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Gli antichi ominidi
I primi passi
Il vantaggio
di stare in piedi
Ominidi e nuovi
tipi umani
I più antichi resti fossili di primati che possono essere messi in relazione diretta con
la nostra specie sono stati trovati in numerosi siti fossiliferi (località ricche di fossili)
dell’Africa centrale e orientale, soprattutto nella Great Rift Valley, una spaccatura della
crosta terrestre prodottasi all’incirca 10 milioni di anni fa in seguito a spostamenti delle
masse continentali e a sconvolgimenti climatici, che si snoda tra Etiopia, Kenya, Tanzania e Sudafrica.
Poiché nel continente africano sono stati trovati i più antichi resti fossili di ominidi,
databili da 7 a 2 milioni di anni fa, gli scienziati ritengono che lo scenario dell’ominazione sia senz’altro stato l’Africa.
Nell’era geologica chiamata Miocene (da 23 a 7 milioni di anni fa), una fitta foresta
pluviale ricopriva tutto il continente africano, a quel tempo privo di rilievi montuosi.
La foresta pluviale è un ambiente multistrato: una cupola di verdi foglie posta a 40-50
metri dal suolo la protegge dai raggi diretti del sole; da quelle altezze fino a terra vivono
numerose specie vegetali e animali. All’epoca dei mutamenti geologici che produssero
la Rift Valley, anche il paesaggio africano si modificò profondamente: l’immensa foresta
pluviale si diradò e a oriente della spaccatura comparvero vaste macchie di savana alternate a boscaglia. La savana è un ambiente con vegetazione scarsa, costituita da erba e
radi alberi, adatto alla vita degli animali erbivori capaci di compiere lunghi percorsi
e di resistere a lungo a fame e sete (antilopi, gazzelle, bufali).
In un arco di tempo valutabile in 5 milioni di anni (da 10 a 5 milioni di anni fa), nel
contesto dei fenomeni geologici e climatici sommariamente descritti, si realizzò la separazione degli ominidi (la famiglia di primati bipedi a cui apparteniamo) dalle altre
scimmie antropomorfe africane (scimpanzé e gorilla). Come ciò sia avvenuto è ancora
un mistero, accresciuto dal fatto che non sono stati ritrovati resti fossili significativi per il
periodo compreso tra 10 e 7 milioni di anni fa. Alla luce di recenti scoperte, oggi si ritiene probabile che già nella foresta pluviale esistessero popolazioni di primati in grado di
camminare su due piedi; nella savana, poi, la stazione eretta si affermò definitivamente,
per effetto delle due molle principali della selezione naturale: la pressione ambientale
(cioè l’adattamento a condizioni ambientali mutate) e la competizione per le risorse
disponibili.
Stando ritto su due piedi, l’ominide poteva raccogliere i frutti dai rami degli alberi,
guardare al di sopra dell’erba alta della savana e offrire una minore superficie corporea
ai raggi cocenti del sole; nella savana la capacità di aggrapparsi ai rami con i quattro arti
e saltare da un albero all’altro non era più necessaria come nella fitta foresta pluviale.
La stazione eretta “liberò” le mani che di conseguenza si avviarono a diventare strumenti di esplorazione e conoscenza dell’ambiente. Gli ominidi, però, mantennero la
capacità di arrampicarsi sugli alberi, quanto mai opportuna nella competizione con i
predatori carnivori.
In un remoto periodo compreso tra 4 milioni e 1 milione di anni fa, nella Rift Valley
vissero diverse specie di ominidi, creature bipedi ricoperte di pelo, dall’aspetto più scimmiesco che umano, organizzate in piccole bande seminomadi.
I più antichi ominidi appartenevano ai generi australopiteco, di cui si conoscono 5 specie, e parantropo, con 3 specie riconosciute. Questi due generi si estinsero circa 1 milione
di anni fa.
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E. Clemente - R. Danieli, Antropologia, Paravia
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La vita
quotidiana
nella preistoria
A partire da 2 milioni e 200 000 anni fa circa essi condivisero l’habitat con quella che
tuttora è ritenuta la prima specie del genere umano: Homo habilis, così definito per la
sua capacità di creare strumenti di pietra.
All’incirca 1 milione e 800 000 anni fa apparve in Africa orientale un nuovo tipo umano,
che gli scienziati hanno chiamato, per l’alta statura, la struttura fisica possente e la perfetta padronanza dell’andatura bipede, Homo erectus; fu il più longevo e intraprendente
dei nostri progenitori umani: visse per 1 milione e mezzo di anni, scoprì il fuoco, che
imparò prima a conservare per lunghi periodi e poi ad accendere, perfezionò notevolmente la lavorazione della pietra e si diffuse con lenti movimenti migratori in Asia e in
Europa, dove si stabilì, evolvendosi in modo indipendente in ambienti diversi.
Le ultime testimonianze di Homo erectus risalgono a 300 000 anni fa: i resti fossili ci dicono che all’epoca era già avviata l’evoluzione verso Homo sapiens.
Ma qual era l’aspetto dei nostri antichi progenitori? Come vivevano? Quali problemi di
sopravvivenza dovevano affrontare quotidianamente?
Partendo dall’analisi dei fossili, la paleoantropologia ha tentato di rispondere a queste
domande e di ricostruire la vita quotidiana dei nostri lontani antenati africani; un’impresa difficile, che ha prodotto delle ipotesi tuttora soggette a discussione. Non dimentichiamo che gli studiosi della preistoria lavorano su cronologie di milioni di anni avendo
a disposizione una documentazione quantitativamente modesta, mentre, ad esempio,
lo storico della Seconda guerra mondiale può ricostruire, grazie alle numerose fonti, una
giornata di Churchill o del generale De Gaulle oppure tutti i dettagli di un’azione militare. Comunque, la tenace fatica degli studiosi ha permesso di stabilire qualche punto
fermo. Vediamoli.
Gli ominidi più antichi
Per quanto riguarda gli australopitechi e i parantropi, le caratteristiche comuni agli
esemplari conosciuti e studiati sono le seguenti:
stazione eretta e andatura bipede;
mantenimento della capacità di arrampicarsi sugli alberi;
statura bassa, compresa tra i 110 e i 150 cm;
peso medio intorno ai 30-40 kg;
cranio sfuggente e cervello molto piccolo, di volume compreso tra i 400 e i 550 cc;
faccia scimmiesca, con “visiera” sopra le orbite oculari, zigomi pronunciati e accentuato prognatismo (la parte inferiore della faccia sporgente in avanti).
L’analisi della dentatura permette di fare qualche ipotesi sulle abitudini alimentari di
questi ominidi: nella dieta di australopitechi e parantropi, prevalentemente vegetariani, erano compresi frutta, semi, germogli, radici, uova, noci e forse qualche piccolo
animale catturato con le mani o con l’aiuto di bastoni e pezzi di osso.
Questi primi ominidi, molto più deboli della maggior parte dei mammiferi africani,
erano esposti ai predatori carnivori (persino agli uccelli rapaci) e conducevano un’esistenza precaria. Organizzati in bande nomadi, con i piccoli sempre appresso, nelle ore
diurne percorrevano un ambiente misto di savana, boscaglia, foresta, lago e palude; di
notte o nei momenti di pericolo si rifugiavano sugli alberi che li mettevano al sicuro
dai predatori.
Le informazioni sulla costituzione fisica e sulle abitudini alimentari degli australopitechi inducono a ritenere che fossero esseri piuttosto miti e inoffensivi, lontani dalle
“scimmie assassine” descritte dal paleoantropologo Raymond Dart in alcuni suoi articoli.
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Nelle pagine di Dart, gli australopitechi sono presentati come spietati cacciatori, assetati del sangue di giovani babbuini di cui percuotono e lacerano le carni con spaventosa
violenza.
Per circa 2 milioni di anni australopitechi e parantropi occuparono la scena da soli; poi,
a partire da 2 milioni 200 000 anni fa, condivisero l’habitat africano con una nuova
specie, Homo habilis.
Homo habilis
Nella statura (130-140 cm circa) e nella struttura corporea, Homo habilis non è molto
diverso da talune scimmie australopitecine, ma, secondo gli studiosi – in primo luogo
Mary e Louis Leakey che per primi lo classificarono nel genere umano –, possiede alcune caratteristiche che lo staccano nettamente dalle scimmie:
cranio tondeggiante che contiene un cervello più sviluppato, che varia da 600 a
800 cc;
sviluppo delle aree associative del cervello, da cui dipendono le attività cognitive
superiori (pensiero e linguaggio);
testa più eretta, faccia meno scimmiesca e dentatura da onnivoro;
capacità di creare e utilizzare strumenti di pietra (i cosiddetti chopper, pietre scheggiate lavorate a una sola estremità).
La dentatura da onnivoro di Homo habilis indica che nella sua alimentazione la carne era
presente stabilmente. Più che cacciatore, egli era un predatore di carcasse di animali
abbandonate dai grandi carnivori. Con i suoi strumenti in pietra, Homo habilis spolpava
la carcassa e frantumava le ossa lunghe per cibarsi del nutriente midollo.
La ricerca della carne, la competizione con gli animali carnivori, la fabbricazione di
utensili furono potenti spinte evolutive nella storia del genere umano: si tratta infatti
di compiti che richiedono intelligenza e pianificazione.
Homo erectus
Strumenti
raffinati
Homo erectus, il colonizzatore dell’Asia e dell’Europa, possedeva le seguenti caratteristiche:
statura media di 160 cm;
costituzione robusta, con muscolatura e articolazioni da grande camminatore;
cervello di 800-1250 cc (siamo molto vicini al volume attuale, di 1400-1500 cc).
Uno dei giacimenti più interessanti per conoscere la vita di Homo erectus si trova in Cina, a
Zhoukoudian, nella regione di Pechino, dove in una grande grotta di calcare sono stati
trovati resti di uomini vissuti 400 000 anni fa. Le grotte erano una delle dimore favorite
dai gruppi di Homo erectus, anche se all’occorrenza sapevano costruire capanne di legno
e frasche. Nella grotta e nelle immediate vicinanze sono stati trovati resti della varia e
abbondante fauna con cui Homo erectus conviveva: antenati di bufali, cervi, alci, cammelli, cani, pecore, maiali, lupi, iene, tigri, orsi, volpi, marmotte, ratti. Si tratta in gran
parte (per oltre il 40%) di specie estinte.
Lo strumentario rinvenuto nel sito mostra manufatti di quarzo, selce e cristallo di
rocca. Oltre ai chopper, già utilizzati da Homo habilis, sono stati scoperti molti bifacciali
(strumenti di pietra a forma di mandorla – da cui il nome di “amigdala”, che in greco
significa proprio “mandorla” – lavorati su tutta la superficie) con funzioni di raschiatoi, grattatoi, perforatori, e poi sfere di pietra (bolas), picchi (strumenti di pietra lunghi e stretti appuntiti a un’estremità) e punte in osso. Il bifacciale è, in un certo senso,
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Capaci di usare
il fuoco
il “distintivo” di Homo erectus; ne sono stati trovati in tutti i siti africani, europei e asiatici che documentano la lunga permanenza sulla Terra di questo antico essere umano.
Alcuni sono talmente belli e finemente lavorati da indurre gli studiosi a ipotizzare una
funzione rituale di amuleto o addirittura di riconoscimento sociale: una specie di status symbol della preistoria.
I più acuminati e taglienti servivano per la caccia di gruppo: le lance erano di legno appuntito, ma i perforatori e i coltelli per fare a pezzi la carne erano in pietra. Altri erano
adatti a tagliare e perforare le pelli di animali con cui gli uomini e le donne fabbricavano giacigli, borse e slitte per il trasporto di bambini e provviste durante gli spostamenti.
Sembra accertato che gli abitanti della grotta di Zhoukoudian conoscessero l’uso del
fuoco. Vi sono tracce di ceneri, carboni, ossa e pietre bruciate, tra le quali bisogna però
distinguere quelle provenienti dagli incendi naturali (le tracce più antiche) da quelle
lasciate dai fuochi alimentati volontariamente.
400 000 anni fa gli uomini erano sicuramente in grado di accendere e alimentare il fuoco.
Nelle epoche precedenti lo conoscevano, lo temevano e forse erano in grado di conservarlo, dopo averlo “rubato” a qualche incendio naturale. Non dimentichiamo che lungo
la Great Rift Valley al tempo degli ominidi esistevano molti vulcani attivi e che la savana
è un ambiente che si incendia facilmente. La scoperta del fuoco rappresenta un evento
cruciale nella storia dell’umanità; nel campo della cultura materiale significò cibi cotti,
riscaldamento, difesa dai predatori, possibilità di lavorare meglio certi materiali, come
le corna o le pelli di animali, o di indurire le estremità delle lance di legno dopo averle
appuntite con strumenti di selce. Altrettanto importanti furono le conseguenze della
scoperta del fuoco sulla vita sociale ed emotiva di Homo erectus:
Il fuoco affranca da due aspetti ambientali fonte di grave stress: il freddo e il buio. Il poter
vivere riparati e l’estensione del giorno nella notte hanno avuto un’influenza determinante nello sviluppo dello psichismo umano. Ancora oggi, attorno al fuoco si crea una situazione che favorisce il racconto. La sequenza azione-ricordo-racconto che può aver utilizzato erectus davanti al fuoco è la base della trasmissione culturale attraverso il linguaggio
parlato e il senso del passare del tempo, altre due grandi invenzioni di Homo erectus.
(A. Salza, Atlante delle popolazioni, UTET, Torino 1997, p. 65)
Da “eretto”
a “sapiente”
La presenza di Homo erectus nel Vecchio mondo è attestata per circa 1 milione e mezzo
di anni; la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano risale agli ultimi periodi
della sua evoluzione, come la grotta di Zhoukoudian di cui abbiamo parlato; come è naturale, avvicinandoci nel tempo a noi si moltiplicano i ritrovamenti. Il ricchissimo sito di
Isernia La Pineta, scoperto nel 1978, i cui strati più antichi sono databili a 736 000 anni
fa, induce a pensare che i più antichi abitanti della penisola italiana appartenessero
proprio alla specie erectus.
Negli ultimi periodi della sua esistenza, Homo erectus accelerò la sua evoluzione verso
Homo sapiens; alcuni fossili scoperti in Europa, risalenti a 200 000-250 000 anni fa, appartengono a esseri umani assai evoluti, dotati di un notevole sviluppo del volume del
cervello, che raggiunge in alcuni casi i 1300 cc.
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