Seminario: Etica, metaetica, etica applicata Lezione del 17 ottobre 2008: (L’inuizionismo metaetico di) G.E. Moore e il realismo morale non naturalistico di W. D. Ross Saggi di riferimento nel testo di G. Bongiovanni (a cura di), Oggettività e morale: 1. A. Viggiano e M. Galletti, George Edward Moore e il dibattito sul naturalismo 2. S. Vida, Realismo morale non naturalistico e oggettività. L’intuizionismo etico del Novecento ATTENZIONE: questi appunti si riferiscono esclusivamente alla parte della lezione dedicata a G.E. Moore. Non sono per ora disponibili appunti relativi all’intuizionismo di W.D. Ross. Etica e metaetica G.E. Moore (1873-1958) opera la distinzione classica, per l’etica del Novecento, tra due livelli della ricerca etica: ▪ “primo livello”: domande su ciò che è buono (moralmente), o su quali sono le azioni giuste, o quali le virtù di un agente morale; ▪ “secondo livello”: domande sulla natura delle domande di primo livello (se hanno risposte oggettive, se tali risposte possono essere giustificate, cosa significano i termini o predicati morali che compaiono in esse, ecc.). Moore ritiene che le questioni semantiche ed epistemologiche sollevate dalla ricerca di secondo livello sono propedeutiche per la ricerca di primo livello, e sono neutrali rispetto a queste. Queste idee trapasseranno nella riflessione etica successiva a Moore e verranno codificate nella distinzione standard tra “etica sostantiva” (di primo livello), e “metaetica” (di secondo livello). Naturalismo e non naturalismo etico Per George Edward Moore la domanda etica fondamentale è “Quali sono le cose buone?” Un’altra importante domanda cui la riflessione etica deve rispondere è “Quali sono le azioni giuste?”. Ma poiché il fatto che un’azione sia giusta o meno dipende dal bene che viene prodotto mediante il suo compimento, Moore ritiene la prima domanda più fondamentale della seconda. Le risposta più sistematica alla domanda “Quali sono le cose buone?” si trova formulata nell’opera Principia Ethica (1903) che rappresenta anche una critica al cosiddetto “naturalismo etico” che fino alla fine dell’Ottocento definiva “buono” come proprietà naturale – cioè dello stesso tipo delle proprietà studiate dalle scienze empiriche. In sostanza, per i naturalisti che una cosa sia buona moralmente è un fatto del mondo naturale, esattamente come il fatto che una cosa è “piacevole” o “desiderata” (o rossa, gialla…). Queso non è vero per Moore, secondo il quale, come vedremo, la proprietà morale “buono” è non naturale e indefinibile. Ciò di cui non si parla in questo seminario: Del fatto che rispondere alla domanda “Quali sono le cose buone?” significa, secondo Moore, risolvere (anche) un altro problema, ovvero fornire una tesi sui principi etici fondamentali veri. In sostanza, non parleremo della morale sostantiva di Moore, che è CONSEQUNZIALISTICA (si veda lezione del Prof. Rotolo), ma solo della sua metaetica, che invece è INTUIZIONISTICA. L’argomento contro il naturalismo etico Il naturalista etico sostiene che vi sono enunciati veri della forma ▪ “La proprietà ‘buono’ è identica alla proprietà ‘N’” (dove “N” = proprietà naturale) Da ciò seguirebbe che esiste un solo principio etico fondamentale vero formulabile come ▪ “Tutti gli N sono buoni” Da ciò segue anche che, se N è una proprietà naturale con cui identifichiamo la bontà morale, allora “buono” e “N” sono sinonimi. “Tutti gli N sono buoni” è quindi vero in virtù del significato dei termini usati (si tratta di un enunciato necessario, o analitico, nel senso specificato dal Prof. Artosi). Ma questo, sostiene Moore, è l’errore dei naturalisti etici: pensare che si possa fare appello al significato dei termini morali per rispondere alla domanda fondamentale dell’etica (i.e., “Cos’è buono?”, o “Quali cose sono buone?”) Se il naturalista crede che “buono” equivalga a “desiderato”, allora il giudizio “Tutte le cose desiderate sono buone” dovrebbe poter essere espresso come ▪ “Tutte le cose desiderate sono desiderate” Il che sarebbe plausibile se stessimo parlando di proposizioni necessarie (tautologie logiche), e non di quelle etiche. OPEN QUESTION Infatti, dice Moore, quando il naturalita etico dice “Tutte le cose N sono buone”, non sta dicendo “Tutte le cose N sono N” (dove “N” sta per la proprietà naturale “essere desiderato”), perché, di fatto, rimane sempre lo spazio per un’ulteriore domanda aperta formulabile come segue: ▪ “Ma davvero tutte le cose N sono anche buone?” (x è desiderabile. Ma è anche buono?) Dice infatti Moore che, qualunque sia la proprietà naturale N, alla domanda fondamentale dell’etica non si risponde basandosi sull’analisi del significato di “buono”. In sostanza negli enunciati morali NON È POSSIBILE SOSTITUIRE il predicato “buono” con una definizione in termini di proprietà naturale “N”. Infatti, quando pensiamo “tutte le cose N sono buone” non pensiamo che “tutte le cose N sono N” (analogamente: quando diciamo “tutte le azioni altruistiche sono buone” non stiamo dicendo che “tutte le azioni altruistiche sono azioni altruistiche”). Riassumendo: l’argomento dell’open question dimostra che 1. E’ SBAGLIATO pensare che si possa rispondere alla domanda fondamentale dell’etica mediante un’analisi del significato dei termini etici; 2. E’ SBAGLIATO pensare che si possa dare al predicato morale “buono” il significato di una qualche proprietà naturale. Fallacia naturalistica Un’altra conseguenza dell’argomento dell’open question di Moore è l’argomento della “fallacia naturalistica” contro il passaggio indebito dal discorso (piano) descrittivo a quello prescrittivo. Si commette una fallacia naturalistica tutte le volte che si tenta di definire “buono” mediante qualche proprietà, naturale o non naturale. Se non ammettiamo l’indefinibilità di “buono” non siamo in grado di rispettare quella che Moore chiama “la grande divisione tra fatti e valori” (is e ought), la dicotomia tra due piani nettamente distinti. L’indefinibilità di “buono” comporta che si conosca tale proprietà non per mezzo di un’analisi semantica, ma in base all’ammissione che ogni “oggetto” morale possiede un valore intrinseco, ossia una qualità non naturale che non può essere dimostrata, ma che può essere solamente oggetto di INTUIZIONE. L’intuizione ha la sua genesi nell’impossibilità di una prova dimostrativa per ciò che ha intrinseco valore morale, il che significa, in sostanza, l’irriducibilità dei giudizi morali al piano descrittivo. Conseguenza: Moore difende una concezione epistemologica non naturalistica, e in particolare INTUIZIONISTICA, secondo cui le proprietà morali sono sui generis e non sono conoscibili come quelle naturali, bensì esclusivamente mediante INTUIZIONE (lezione precedente). La bontà morale è infatti una proprietà distinguibile da ogni proprietà naturale, della quale possiamo INTUIRE la presenza in cose, situazioni o fatti morali. Ne segue che anche i principi etici fondamentali non sono conoscibili sulla base del significato dei termini che contengono, bensì mediante un ATTO INTUITIVO che li mostra come AUTOEVIDENTI, cioè come CONOSCIBILI DIRETTAMENTE, senza prova o dimostrazione (o argomentazione). Tuttavia, solo un insieme ristretto di giudizi etici è di questo tipo. Pertanto è possibile avere credenze morali fallibili. Da qui parte la riflessione dell’intuizionista William D. Ross (1877-1971). Prima di cominciare a parlarne, però, occorre ricordare un argomento della lezione precedente (prof. Artosi), vale a dire la critica mossa al realismo morale intuizionistico da parte di uno dei teorici dello scetticismo morale contemporaneo. John L. Mackie (1917-1981), filosofo australiano, circa 70 anni dopo Moore se la prende con la metaetica intuizionistica in un’opera intitolata Ethics. Inventing Right and Wrong (1977), e formula contro di essa due argomenti (lezione precedente del Prof. Artosi). 1. argomento a partire dalla relatività 2. argomento a partire dalla stranezza L’attacco di Mackie è al REALISMO MORALE intuizionistico (Moore, Ross) secondo cui i predicati morali sono indefinibili, non possono essere spiegati mediante altri termini descrittivi, e possono essere conosciuti solo attraverso l’intuizione morale, che rende i fatti morali (=valori) indipendenti da quelli naturali, e rende la conoscenza dei primi autonoma rispetto a quella dei secondi (l’intuizionismo è COGNITIVISMO) L’intuizionismo è anche una forma di OGGETTIVISMO etico: esistono proprietà (e fatti) morali oggettive, conoscibili mediante intuizione, e indipendenti da ogni conoscenza che possiamo avere di esse. Ma lo scetticista Mackie non può essere d’accordo. Contro l’oggettivsmo/realismo/cognitivismo intuizionista egli usa infatti i due seguenti argomenti: ▪ Argomento della relatività: esistono diversi sistemi di valori in conflitto tra loro. Quindi l’intuizionismo non è una teoria morale plausibile (vedremo perché) ▪ Argomento della stranezza: se esistessero valori (proprietà morali) oggettivi sarebbero entità molto strane, completamente diverse da qualsiasi altra entità presente nell’universo, entità conoscibili solo attraverso una altrettanto strana facoltà dell’intuizione.