Introduzione alle geometrie non euclidee - "Ferraris"

Dario Palladino1
Introduzione alle geometrie non euclidee
1. PREMESSA
Nel diciannovesimo secolo furono sviluppate le geometrie non euclidee, vale a dire due
nuove teorie geometriche, in seguito dette rispettivamente geometria iperbolica e geometria
ellittica, che si pongono in alternativa sia tra di loro, sia alla tradizionale geometria euclidea.
La loro introduzione avvenne al termine di un lungo processo storico iniziato già nel III
secolo a.C., ossia ai tempi di Euclide, ed è senza alcun dubbio da annoverare fra gli eventi
che hanno maggiormente influenzato l’evoluzione della matematica e del pensiero scientifico. Si può tranquillamente affermare che ogni persona colta dovrebbe sapere, almeno a
grandi linee, che cosa sono e quali influenze hanno avuto nello sviluppo della matematica e
della scienza. Il loro studio, tra l’altro, consente di illustrare la struttura della matematica e il
mutamento che la disciplina ha subito nel passaggio dalla concezione classica a quella moderna, ed è quindi importante che gli studenti della scuola secondaria ne conoscano le principali caratteristiche.
A tal fine illustreremo alcune decisive tappe del loro sviluppo partendo da una sintetica
analisi degli Elementi di Euclide, una delle più importanti opere della storia del pensiero
scientifico2.
2. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E IL V POSTULATO
Nel periodo dal VI al III secolo a.C. nell’antica Grecia la geometria è stata sviluppata e
organizzata secondo i canoni del metodo assiomatico classico, la cui caratteristica principale
è che vanno esplicitate le proposizioni assunte inizialmente come vere e che tutte le altre
proposizioni devono essere dimostrate a partire da esse.
All’inizio del primo dei 13 libri degli Elementi, subito dopo un elenco di 23 definizioni
degli enti geometrici, dette termini (ad esempio: “Angolo acuto è quello minore di un angolo retto”)3, Euclide enuncia le proposizioni che si assumono inizialmente a fondamento
dell’edificio della geometria, dividendole in due gruppi, i postulati e gli assiomi. I 5 postulaDocente di Logica Matematica all’Università di Genova, ora in pensione. Questo articolo costituisce una
versione rielaborata di due conferenze sulle geometrie non euclidee tenute al Liceo Scientifico Statale “G.
Ferraris” di Varese il 29 novembre 2012 e il 21 febbraio 2013.
2
Per non allungare la trattazione, quasi sempre enunceremo le proposizioni geometriche senza accompagnarle dalle loro dimostrazioni. Il lettore potrà trovarle nel recente volumetto introduttivo D. e C. Palladino, Le
geometrie non euclidee, Carocci, Roma, 2008, nel quale sono sviluppati con maggiori particolari tutti gli argomenti di cui ci occuperemo nel seguito.
3
Sulle definizioni euclidee e sul metodo assiomatico torneremo nel paragrafo conclusivo.
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ti enunciano le proprietà degli enti geometrici che vanno accettate senza dimostrazione (ad
esempio: “Per due punti passa una e una sola retta”, “Tutti gli angoli retti sono uguali fra
loro”). Gli 8 assiomi, da Euclide chiamati nozioni comuni, enunciano proprietà generali
delle grandezze, validi anche per enti non geometrici (ad esempio: “Cose uguali a una terza
sono uguali tra loro”, “Metà di cose uguali sono uguali”). Tutte le successive proposizioni
(ossia i teoremi della geometria, tra i quali rientrano anche le costruzioni) sono dimostrate a
partire dai postulati e dagli assiomi. Gli attuali testi scolastici mantengono l’impostazione
degli Elementi, ma i postulati vengono detti assiomi e gli assiomi di Euclide sono fatti rientrare nella logica con la quale si conducono le dimostrazioni 4. Postulati e assiomi, essendo i
garanti della verità delle proposizioni da essi dedotte, dovevano essere evidenti, ossia la loro
verità accettata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il protagonista delle vicende che qui ci interessano è il quinto postulato (VP) di Euclide:
(VP) “Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa
parte minori di due retti, le due rette, prolungate illimitatamente5, verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti”.
Figura 1
L’analisi del I libro degli Elementi, che affronteremo nel prossimo paragrafo, rivela che
VP ha un ruolo alquanto anomalo, diverso da quello degli altri postulati, e ciò induce a ritenere che Euclide abbia esitato prima di introdurlo tra i postulati. Lo ha utilizzato per la prima volta nella Proposizione 29 del primo libro della sua opera. Nell’attuale terminologia, si
Gli assiomi usualmente oggi adottati, in numero più ampio e quasi tutti formulati in modo diverso rispetto a
Euclide, sono ispirati a quelli del matematico tedesco David Hilbert (1862-1943), e costituiscono un ampliamento articolato e rigoroso dei postulati presenti negli Elementi. Nelle attuali impostazioni si distinguono gli
assiomi specifici della teoria e gli assiomi logici. Questi ultimi governano l’esecuzione delle dimostrazioni
dei teoremi.
5
Per ragioni sulle quali possiamo sorvolare, nell’antica Grecia le rette non erano considerate nella loro
totalità (di lunghezza infinita), ma infinite solo potenzialmente, ossia come segmenti senza estremi
prolungabili a piacere nei loro due versi. Il secondo postulato di Euclide afferma che “Ogni retta terminata
può essere prolungata per diritto” ed equivale, nella sostanza, all’infinità della retta così come oggi la
concepiamo.
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dice euclidea la geometria degli Elementi e geometria assoluta la parte di essa che si ottiene
senza l’impiego di VP. Le prime 28 proposizioni degli Elementi rientrano, quindi, nella
geometria assoluta. Come vedremo, gli storici della matematica ritengono che Euclide abbia
cercato di far rientrare VP nella geometria assoluta e, non essendovi riuscito, lo abbia
inserito come ulteriore postulato accanto agli altri solo in un secondo tempo. La ragione
della riluttanza ad accettare il quinto come postulato viene usualmente attribuita, come
emerge anche dalla complessità del suo enunciato, alla sua minore evidenza rispetto agli
altri, di molto più semplice formulazione6.
Di fatto, già dall’antichità è iniziata una lunga serie di tentativi di far rientrare VP nella
geometria assoluta, ossia di dimostrarlo rigorosamente a partire dagli altri quattro postulati e
dagli assiomi. Una seconda via intensamente perseguita fu quella di impostare la geometria
euclidea inserendo come postulato, accanto a quelli della geometria assoluta, una proposizione P più semplice di VP, assumendo la quale si potesse dedurre VP come teorema (nel
paragrafo 4 proporremo un lungo elenco di tali P). In una terza via si è cercato di cambiare
la definizione di rette parallele (definite da Euclide come rette che non hanno alcun punto in
comune), in modo che da essa si potesse sviluppare la geometria senza assumere VP, ma
adottando semplicemente una definizione diversa da quella euclidea.
I tentativi di dimostrare VP nella geometria assoluta sono tutti falliti, anche se alcuni studiosi hanno ritenuto di essere riusciti nell’impresa. Le dimostrazioni di VP, quando non viziate da veri e propri errori, si sono rivelate sempre del secondo tipo: in esse si utilizzava
una proposizione P equivalente7 a VP che non si è mai riusciti a dimostrare nella geometria
assoluta. Anche le proposte di sostituire la definizione di rette parallele non raggiunsero lo
scopo, o perché inadeguate, o poiché richiedevano l’assunzione di una nuova proposizione
P equivalente a VP, e quindi venivano a rientrare anch’esse nel secondo tipo.
Alla fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento, dato che nessuno era riuscito né a dimostrare VP in geometria assoluta, né a individuare una P ad esso equivalente e più evidente di esso, alcuni studiosi iniziarono a convincersi che VP non fosse dimostrabile in geometria assoluta, e quindi che fosse logicamente possibile sviluppare una nuova geometria (in
seguito detta iperbolica), in cui si assume come postulato, accanto a quelli della geometria
assoluta, la negazione non-VP di VP8. Pertanto, sono teoremi della geometria iperbolica, oltre ai teoremi della geometria assoluta, le negazioni delle proposizioni equivalenti a VP9.
Nei paragrafi 3 e 4 enunceremo molte proposizioni sia della geometria assoluta, sia equivalenti a VP.
Le scarse e spesso frammentarie conoscenze della matematica antica, che ci sono pervenute con un
percorso assai tortuoso di traduzioni e ritrascrizioni, non ci consentono di stabilire con un elevato grado di
sicurezza come mai VP fu considerato meno evidente degli altri già ai tempi di Euclide. Una possibile
ragione sarà esposta nella nota 23.
7
In questa sede, “P equivalente a VP” significa che in geometria assoluta si dimostrano i due teoremi “Se P,
allora VP” e “Se VP, allora P”. Il secondo dei due equivale ad affermare che P è un teorema della geometria
euclidea. Se si riuscisse a dimostrare P nella geometria assoluta, allora dal primo teorema seguirebbe che anche VP è un teorema della geometria assoluta e non sarebbe più necessario inserire VP fra i postulati: la geometria euclidea coinciderebbe con la geometria assoluta.
8
In logica si dimostra che, se in una teoria coerente T non si può dimostrare né una proposizione A (A è indimostrabile), né la negazione non-A di A (A non è refutabile), allora sono coerenti le due teorie ottenute aggiungendo A oppure aggiungendo non-A agli assiomi di T.
9
Infatti, se “Se P, allora VP” è un teorema della geometria assoluta, lo è anche, per la legge logica di
contrapposizione, la proposizione “Se non-VP, allora non-P”, la quale equivale ad affermare che, se si
aggiunge non-VP agli assiomi della geometria assoluta, ossia nella geometria iperbolica, si ha come teorema
non-P.
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3. IL I LIBRO DEGLI ELEMENTI DI EUCLIDE
Secondo la concezione classica dell’assiomatica, postulati e assiomi devono essere proposizioni evidenti. Come si è detto in precedenza, di fatto, l’evidenza di VP fu messa in dubbio già dall’antichità e un esame accurato del I libro degli Elementi corrobora l’ipotesi che
lo stesso Euclide abbia esitato prima di annoverarlo fra i postulati. Infatti, si possono evidenziare tre vere e proprie anomalie:
(I) VP è utilizzato molto avanti nel testo, a partire dalla Proposizione 29.
(II) La proposizione inversa di VP è un teorema.
(III) La Proposizione 32 è molto più “informativa” delle due Proposizioni 16 e 17.
Esaminiamole separatamente.
(I) In primo luogo rileviamo che, dopo i tre gruppi delle proposizioni primitive, ossia le
definizioni (termini), i postulati e gli assiomi (nozioni comuni), Euclide inizia a dimostrare
le proposizioni della geometria (teoremi e costruzioni) e conclude il I libro con le Proposizioni 47 e 48, che enunciano il teorema di Pitagora e il suo inverso. Ebbene, VP non interviene che nella dimostrazione della Proposizione 29. Questo fatto costituisce una prima anomalia, poiché Euclide sfrutta fin dall’inizio tutte le altre proposizioni primitive indipendentemente dal loro ordine progressivo. Pertanto, le prime 28 proposizioni, essendo conseguenza delle altre proposizioni primitive, sono teoremi della geometria assoluta (e anche della
geometria iperbolica). Tra esse rientrano le seguenti: triangoli isosceli hanno gli angoli alla
base uguali e, viceversa, se in un triangolo vi sono due angoli uguali allora il triangolo è isoscele; i tre criteri di uguaglianza dei triangoli; l’esistenza e l’unicità della bisettrice di un angolo, del punto medio di un segmento, della perpendicolare condotta da un punto a una retta; le proprietà degli angoli adiacenti, consecutivi e opposti al vertice; le disuguaglianze tra
lati e angoli di un triangolo (un lato è minore della somma degli altri due e maggiore della
loro differenza, a lato maggiore è opposto angolo maggiore e, viceversa, ad angolo maggiore è opposto lato maggiore).
(II) Nella prima parte del I libro degli Elementi Euclide dimostra la Proposizione 16 (“In
ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è maggiore di ciascuno dei due
angoli interni non adiacenti ad esso”) e, come immediata conseguenza, la Proposizione 17
(“In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti”), la quale
si può riformulare come segue:
“Se due rette r e s tagliate rispettivamente in A e B dalla trasversale t si incontrano in P
(dato il triangolo ABP), allora la somma degli angoli che formano con t dalla parte del
punto di intersezione (ossia dei due angoli in A e B di ABP), è minore di due retti” (fig. 2):
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Ipotesi: r e s si incontrano
Figura 2
La Proposizione 17 è quindi la proposizione inversa di VP. È una seconda anomalia il
fatto che, di due proposizioni una inversa dell’altra ed entrambe ritenute vere in geometria10,
una sia un teorema e la seconda un postulato.
Con le Proposizioni 27 e 28 Euclide inizia a esaminare le proprietà delle rette parallele
dimostrando che, se due rette qualsiasi tagliate da una trasversale formano con quest’ultima
angoli alterni interni uguali, o angoli corrispondenti uguali, o angoli coniugati interni supplementari, allora le due rette sono parallele.
Nella dimostrazione della Proposizione 29 (“Una retta trasversale forma con due rette
parallele angoli alterni interni uguali, angoli corrispondenti uguali e angoli coniugati interni
supplementari”, che è l’inversa delle 27 e 28) interviene VP. Si riproduce un’anomalia in un
certo senso analoga alla precedente, in quanto le Proposizioni 27 e 28 rientrano nella geometria assoluta, mentre, per dimostrare le loro inverse (Proposizione 29), Euclide è costretto
a utilizzare VP.
(III) Illustriamo ora la terza ancora più evidente anomalia. Una volta ottenuta la Proposizione 32 (“In ogni triangolo l’angolo esterno è uguale alla somma degli angoli interni non
adiacenti ad esso, e la somma dei tre angoli interni del triangolo è uguale a due retti”), le
Proposizioni 16 e 17 divengono superflue: se l’angolo esterno di un triangolo è la somma
dei due angoli interni non adiacenti, allora è maggiore di ciascuno di essi, e, se la somma dei
tre angoli interni di un triangolo è uguale a due retti, la somma di due di essi è minore di due
retti. Per quale ragione Euclide dimostra prima due proposizioni per così dire meno informative e in seguito una che le comprende? Si potrebbe essere tentati di rispondere che ciò
sia stato motivato dall’intento di proporre un percorso dimostrativo più lineare e di più agevole comprensione, ossia, in altri termini, per facilitare l’apprendimento da parte dei lettori
graduando in qualche misura le difficoltà. Questa giustificazione, ai nostri occhi del tutto
plausibile, è in realtà del tutto insostenibile perché completamente estranea allo spirito con
cui è compilata l’intera opera: nessun espediente di natura didattica è presente negli Elementi di Euclide!
Per spiegare le tre anomalie è ragionevole ipotizzare che Euclide abbia esitato a introdurre VP tra i postulati e cercato di ottenerlo come teorema, dimostrando il maggior numero
Per evitare fraintendimenti, i matematici del passato non mettevano in dubbio che VP fosse vero. Ciò che si
contestava era che la sua verità fosse incontrovertibile. Il problema si poteva eliminare dimostrandolo nella
geometria assoluta. Infatti, ai teoremi non è richiesta l’evidenza. Anzi, in generale, un teorema matematico è
tanto più significativo quanto meno è evidente, in quanto, in tal caso, enuncia una proprietà inattesa e talora
sorprendente.
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possibile di proposizioni senza impiegarlo: le Proposizioni 16 e 17, a differenza della 32, si
dimostrano senza ricorrere ad esso. Solo dopo aver fallito nei suoi tentativi di dimostrarlo e
ritenendolo essenziale per continuare lo sviluppo della geometria, pur trattandosi della
proposizione inversa di un teorema, lo ha inserito tra i postulati, iniziando a utilizzarlo solo
a partire dalla Proposizione 29.
Le Proposizioni 29 e 32 sono teoremi della geometria euclidea che non rientrano nella
geometria assoluta. Inoltre, in geometria assoluta si può dimostrare che, da ciascuna di esse,
segue VP, e quindi le Proposizioni 29 e 32 sono equivalenti al V postulato.
Prima di concludere questo paragrafo osserviamo che, in geometria assoluta, si dimostrano i due seguenti teoremi relativi alla somma S degli angoli di un triangolo:
“S non è mai maggiore di 2 retti (S ≤ 2R)”.
“Se S = 2R in un solo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli”.
Pertanto, in geometria assoluta si dimostra che non vi può essere alcun triangolo in cui
S > 2R. In geometria euclidea tutti i triangoli hanno somma degli angoli interni uguale a 2R,
e questa proprietà equivale al V postulato. Basta che in un solo triangolo valga S = 2R,
affinché valga S = 2R in tutti i triangoli. Ne segue che, se in un solo triangolo S < 2R, allora
S < 2R in tutti i triangoli.
Queste considerazioni si estendono facilmente ai quadrilateri e ai poligoni con più lati, i
quali si possono scomporre in triangoli tracciando opportunamente alcune diagonali. In geometria euclidea la somma degli angoli interni di tutti i quadrilateri è 4R, di tutti i pentagoni è
6R, di tutti gli esagoni è 8R, e così via. Ciascuna di queste proposizioni è equivalente al V
postulato. Basta che vi sia un quadrilatero con somma degli angoli 4R, affinché sia 4R la
somma degli angoli di ogni quadrilatero, e analoghe proposizioni valgono per i pentagoni,
gli esagoni, e così via.
4. PROPOSIZIONI EQUIVALENTI AL V POSTULATO
In questo paragrafo proponiamo un elenco di proposizioni P equivalenti a VP. Tali P
sono teoremi della geometria euclidea e, in geometria assoluta, si può dimostrare “Se P, allora VP”11.
È equivalente a VP il seguente postulato dell’obliqua:
(PO) “Una perpendicolare s e un’obliqua r a una stessa retta t si incontrano sempre in
un punto P dalla parte dove l’obliqua forma con la retta un angolo acuto β” (figura 3)
Per le dimostrazioni ed ulteriori esempi rinviamo al testo citato nella nota 2. Si osservi che, ovviamente,
anziché “Se P, allora VP”, si può dimostrare “Se P, allora Q”, dove Q è una proposizione che si è già
dimostrato essere equivalente a VP. Se si sostituisce VP con una P ad esso equivalente si ottiene una diversa
assiomatizzazione della geometria euclidea.
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Ipotesi:
retto, acuto
Figura 3
il quale è il caso particolare di VP quando uno dei due angoli è retto.
Abitualmente, nelle attuali sistemazioni assiomatiche della geometria euclidea si assume,
anziché VP, l’equivalente proposizione di unicità della parallela:
(UP) “Dati nel piano un punto e una retta esterna ad esso, per il punto passa al più una
retta parallela alla retta data”.
In molti testi si assume come assioma “Dati nel piano un punto e una retta esterna ad
esso, per il punto passa una e una sola parallela alla retta data”, che sancisce sia l’esistenza
della parallela (“passa una”), sia la sua unicità (“una sola”, “al più una”). In questa sede è
importante tener presente che l’esistenza della parallela si può dimostrare nella geometria
assoluta12, e non è necessario assumerla tra gli assiomi.
La storia, come si è detto, ci ha lasciato un lungo elenco di proposizioni equivalenti al V
postulato, nessuna di esse tale da essere ritenuta un sostituto più accettabile di VP tra gli assiomi della geometria. Alcune delle più importanti dal punto di vista storico sono le seguenti
(la (1) è UP):
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
Unicità della parallela. Dati in un piano una retta r e un punto P non appartenente ad
essa, per P passa al più una retta parallela a r (Proclo 412-485 d.C., John Playfair
1748-1819).
Transitività del parallelismo. Due rette parallele a una terza sono parallele tra loro
(Proclo).
Se una retta interseca una di due rette parallele interseca anche l’altra (Proclo).
Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti da un stessa parte di essa è una retta
(Posidonio II-I sec. a.C., Gemino I sec. d.C.).
Dato un triangolo, si può costruire un triangolo simile ad esso avente un lato assegnato
(John Wallis 1616-1703).
Per tre punti non allineati passa sempre una circonferenza (Wolfgang Bolyai 17751856).
Euclide la dimostra nel I libro degli Elementi (Proposizione 31) senza far intervenire VP, utilizzando la
Proposizione 27 dalla quale segue che due perpendicolari a una stessa retta sono parallele. Dati r e un punto
P esterno ad essa, da P si abbassa la perpendicolare PH a r e poi si traccia la retta s perpendicolare a PH in
P. In tal modo r e s risultano entrambe perpendicolari a PH, e quindi sono parallele. UP afferma che la s così
ottenuta è l’unica retta del piano passante per P e parallela a r.
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(7)
Non esiste un’unità di misura assoluta per i segmenti (Johann Heinrich Lambert 17281777).
(8) Per un punto interno ad un angolo acuto si può sempre condurre una retta che interseca
entrambi i lati dell’angolo (Adrien Marie Legendre 1752-1833).
(9) Si può costruire un triangolo di area arbitrariamente grande (Karl Friedrich Gauss
1777-1855).
(10) Non è in alcun caso possibile costruire con riga e compasso un quadrato equivalente a
un cerchio (János Bolyai 1802-1860).
e, oltre a quelle richiamate alla fine del paragrafo precedente (le Proposizioni 29 e 32 degli
Elementi), ve ne sono molte altre, tra le quali:
(11)
(12)
(13)
(14)
(15)
Le tre altezze di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.
I tre assi dei lati di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.
Un angolo alla circonferenza è metà del corrispondente angolo al centro.
Un angolo inscritto in una semicirconferenza è retto.
Il teorema di Pitagora.
Figura 4
Indicando con S la somma degli angoli di un triangolo, si ha:
in ABC :
in ABD :
in ACD :
S = α + β + γ
S = α1 + β + δ1
S = α2 + γ + δ2
Sommando membro a membro le due ultime uguaglianze si ha:
2S = α1 + β + δ1 + α2 + γ + δ2
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Dato che α1 + α2 = α e δ1 + δ2 = 2R, si ottiene:
2S = α + β + γ + 2R, ossia 2S = S + 2R, da cui S = 2R
Se questo ragionamento fosse inattaccabile, avremmo ottenuto una facilissima dimostrazione di S = 2R, e quindi di VP! Le cose non stanno così, anche se non vi è alcun errore nei
calcoli. Il punto è che il ragionamento non si è svolto interamente nella geometria assoluta.
Probabilmente senza che il lettore se ne sia accorto, abbiamo impiegato nella dimostrazione
una proposizione che non era lecito sfruttare poiché non è né una proposizione primitiva, né
un teorema già dimostrato. Ciò è avvenuto quando si è indicata con S la somma degli angoli
dei tre triangoli. Si è così implicitamente assunta la proposizione P che afferma: “La somma
degli angoli interni è uguale in tutti i triangoli”. Pertanto, quanto si è effettivamente dimostrato è che “Se P, allora S = 2R” (da cui segue “Se P, allora VP”). Abbiamo ricordato che,
in geometria assoluta, sono aperte le due possibilità S = 2R o S < 2R. Dato che P implica la
prima, si è stabilita la seguente proposizione della geometria assoluta: “Se S < 2R, allora
non tutti i triangoli hanno la stessa somma degli angoli interni”.
γ uguali. Di-
Nel quadrilatero BCED, evidentemente, gli angoli in B e C sono supplementari degli angoli in D ed E, e quindi la somma degli angoli interni è 4R.
Come si è osservato alla fine del paragrafo precedente, basta che vi sia un solo quadrilatero in cui S = 4R per poter concludere che lo stesso avviene in ogni quadrilatero, e che valga VP13. Pertanto la proposizione “Esistono due triangoli simili e non uguali” è equivalente
a VP: se non si assume VP o una P ad esso equivalente, non si può dimostrare che esistano
Infatti, se dividiamo mediante una diagonale un quadrilatero in due triangoli, la somma degli angoli del
quadrilatero risulta uguale alla somma degli angoli dei due triangoli. Se la somma degli angoli del quadrilatero è 4R, ne segue che la somma degli angoli di ciascuno dei due triangoli è 2R. Infatti, se la somma degli angoli di uno dei due triangoli fosse minore di 2R, l’altra dovrebbe essere maggiore di 2R, contro quanto vale
in geometria assoluta. Come già si è detto, se vi sono triangoli in cui la somma degli angoli è 2R, allora vale
VP.
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triangoli simili non uguali, e quindi non ha senso procedere allo sviluppo della teoria della
similitudine.
(III) Consideriamo un segmento AB e i due segmenti uguali AD e BC perpendicolari ad
AB. Se uniamo D con C otteniamo il quadrilatero ABCD detto quadrilatero birettangolo
isoscele (figura 6)
D
C
A
B
Figura 6
Si dimostra facilmente che gli angoli in C e D sono uguali14. In geometria euclidea, essendo 4R la somma degli angoli di un quadrilatero, C e D sono retti (ABCD è un rettangolo).
In geometria assoluta, come già detto, è aperta la possibilità che C e D siano acuti (non possono essere ottusi, altrimenti la somma degli angoli del quadrilatero sarebbe maggiore di 4R
e vi sarebbero triangoli con somma degli angoli maggiore di 2R, eventualità esclusa nella
geometria assoluta).
Consideriamo ora una retta s e supponiamo che siano dati tre punti A, B e C allineati su
una retta r ed equidistanti da s, ossia tali che AH = BK = CL (figura 7)
A
B
C
r
s
H
K
L
Figura 7
I quadrilateri AHKB, BKLC e AHLC sono birettangoli isosceli, e quindi sono uguali i
loro angoli in A e B, in B e C e in A e C. Pertanto gli angoli in A, B, C sono tutti e tre uguali.
Dato che A, B, C sono allineati, i due angoli in B sono retti. Ne segue che i tre quadrilateri
sono rettangoli, e quindi che vale VP.
Si è così dimostrato che la proposizione della geometria euclidea “Esistono tre punti allineati equidistanti da una retta” è equivalente a VP.
Se si tracciano le diagonali AC e BD, risultano uguali i due triangoli rettangoli ABC e BAD (I criterio di
uguaglianza), e quindi AC = BD. Ne segue che sono uguali i due triangoli DCA e CDB (III criterio di uguaglianza), e pertanto sono uguali gli angoli in C e D.
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Fin dall’antichità è stato riconosciuto che la proposizione “Il luogo dei punti equidistanti
da una retta e posti dalla stessa parte di essa è una retta” è equivalente a VP. Alcuni matematici del passato hanno proposto di cambiare la definizione di rette parallele: invece di definire, come in Euclide, parallele due rette che non si incontrano, si definiscono parallele
due rette equidistanti. Dall’equidistanza delle due rette parallele si ottiene nel modo appena
visto VP. Sembra allora che si sia risolto il problema di VP mediante il semplice cambiamento di una definizione. In realtà si può adottare la nuova definizione solo se vale la proposizione “Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti dalla stessa parte di essa è una
retta”. Ma questa proposizione è equivalente a VP. Pertanto, per assumere la nuova definizione di rette parallele si deve assumere una proposizione P equivalente a VP.
5. L’OPERA DI GIROLAMO SACCHERI
Esaminiamo ora brevemente l’Euclides ab omni naevo vindicatus del gesuita ligure Gerolamo Saccheri (1667-1733), opera in cui sono sviluppate due lunghe e articolate dimostrazioni di VP nella geometria assoluta. Ciò che lo rende diverso dai moltissimi tentativi che
hanno percorso più di due millenni di storia della matematica è il particolare procedimento
per assurdo che Saccheri ha adottato.
La figura centrale nei ragionamenti di Saccheri è il quadrilatero birettangolo isoscele di
figura 6, a proposito del quale formula le tre ipotesi possibili sugli angoli uguali in C e D: C
e D acuti, C e D retti e C e D ottusi.
Saccheri riesce a dimostrare che l’ipotesi che si verifica in un solo quadrilatero birettangolo isoscele si verifica in tutti gli altri. Detta S la somma degli angoli di un triangolo, le tre
ipotesi dell’angolo acuto, retto, ottuso sui quadrilateri birettangoli isosceli equivalgono,
come si può dimostrare facilmente, a supporre rispettivamente S < 2R, S = 2R, S > 2R, e
quindi le tre possibilità sono mutualmente esclusive: o in tutti i triangoli S < 2R, o in tutti i
triangoli S = 2R, o in tutti i triangoli S > 2R.
La strategia di Saccheri consiste nel dimostrare che le due ipotesi dell’angolo ottuso e
dell’angolo acuto conducono a contraddizione. In tal modo risulterebbe dimostrato che vale
solo l’ipotesi dell’angolo retto, dalla quale segue VP.
Nella prima parte della sua opera Saccheri riesce a dimostrare che, assumendo l’ipotesi
dell’angolo ottuso, si giunge a una contraddizione. Più precisamente, egli dimostra la proposizione “Nell’ipotesi dell’angolo retto e dell’angolo ottuso vale il postulato dell’obliqua PO”
e ottiene così due risultati. Il primo è che l’ipotesi dell’angolo retto implica PO, e quindi è
equivalente a VP. Il secondo, ancora più importante, è che anche l’ipotesi dell’angolo ottuso
implica PO, e quindi VP. Ma quest’ultimo implica l’ipotesi dell’angolo retto, e quindi
dall’ipotesi dell’angolo ottuso segue che non vale l’ipotesi dell’angolo ottuso. Nella Proposizione 14 Saccheri può quindi concludere: “L’ipotesi dell’angolo ottuso è completamente
falsa, perché distrugge se stessa”15.
Pertanto, è stato Saccheri il primo a dimostrare i teoremi della geometria assoluta
“S ≤ 2R” (è assurda l’ipotesi dell’angolo ottuso che equivale a S > 2R), “Se S = 2R in un
solo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli” e “S = 2R è equivalente a VP”.
La legge logica applicata da Saccheri, detta consequentia mirabilis, è una forma particolare di dimostrazione per assurdo: se una proposizione A implica la sua negazione non-A, allora vale non-A.
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Nel proseguimento della sua opera Saccheri procede cercando di confutare l’ipotesi
dell’angolo acuto (che equivale a non-VP) e, ragionando in tale ipotesi per trovare una contraddizione, ottiene di fatto per la prima volta vari teoremi della geometria iperbolica. In
particolare, egli stabilisce il complesso comportamento che le rette vengono ad assumere
nell’ipotesi dell’angolo acuto, ossia se vale non-VP, e quindi non-UP ed esistono più parallele per un punto a una retta (figura 8).
n
P
m
H
r
Figura 8
Se vi sono almeno due rette passanti per P che non intersecano r, allora ve ne sono infinite (ossia tutte quelle comprese fra le due la cui esistenza segue da non-UP) e si dimostra
che tra esse ve ne sono due, m e n, che non intersecano r e sono le rette di separazione fra
quelle che intersecano r e quelle che non la intersecano. In geometria iperbolica le rette m e
n sono dette le parallele a r nei suoi due versi, e le altre rette che non incontrano r le iperparallele a r per P.
Saccheri dimostra varie proprietà, visualizzate in figura 9, che le rette incidenti, parallele
e iperparallele vengono a possedere nell’ipotesi dell’angolo acuto.
Figura 9
Le rette incidenti divergono oltre ogni limite e la proiezione ortogonale di r su s è un
segmento aperto di quest’ultima. Le rette parallele in un verso (a sinistra in figura) divergono oltre ogni limite e, nell’altro verso (a destra in figura), si avvicinano sempre di più senza
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mai incontrarsi (la proiezione ortogonale di r su s è una semiretta aperta di quest’ultima). Le
rette iperparallele, sulle quali Saccheri non si sofferma a lungo, hanno una e una sola
perpendicolare comune su cui si trova il segmento di minima distanza fra esse e divergono
oltre ogni limite in entrambi i versi (le proiezioni ortogonali di una sull’altra sono segmenti
aperti). Per poter visualizzare tali proprietà abbiamo dovuto rappresentare curve alcune
rette. Si tenga tuttavia presente che, anche nell’ipotesi dell’angolo acuto, tutte le rette sono
uguali.
Pertanto, Saccheri dimostra che la retta m di figura 8, oltre a non avere una perpendicolare comune con r, si avvicina sempre di più a r senza incontrarla. Si può dire che m e r hanno
un comportamento asintotico, poiché avviene per esse quanto accade a curve già note
dall’antichità, quali l’iperbole, che si avvicinano sempre di più a rette (dette asintoti) senza
mai intersecarle.
Stabilita l’esistenza di rette che hanno un comportamento asintotico, Saccheri enuncia la
Proposizione 33: “L’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa, perché ripugna alla natura della linea retta”. Se la si paragona alla Proposizione 14 prima enunciata, balza evidente
che Saccheri non dice “distrugge se stessa”: egli è conscio di non trovarsi di fronte a una
vera e propria contraddizione, ma a qualcosa di contrario all’intuizione, e ciò non costituisce
affatto una confutazione rigorosa dell’ipotesi dell’angolo acuto. In sostanza il ragionamento
di Saccheri fa ricorso a una proposizione P (“Non esistono rette che hanno un comportamento asintotico”) equivalente a VP16.
Per questa ragione, nella seconda parte del I libro della sua opera, Saccheri propone una
seconda confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto. In tale ipotesi, come si è visto, il luogo
dei punti equidistanti da una retta e dalla stessa parte di essa non è una retta, ma una nuova
linea che viene detta linea equidistante. Saccheri individua una contraddizione nelle proprietà di questa linea e, nella Proposizione 38, perviene ad affermare: “L’ipotesi dell’angolo
acuto è completamente falsa, perché distrugge se stessa”. Tuttavia, il suo ragionamento, che
si addentra in considerazioni di analisi matematica, è questa volta viziato da un vero e proprio errore.
Concludiamo osservando che l’opera di Saccheri è stata scoperta solo dopo la diffusione della geometria iperbolica e quindi non ha avuto un particolare ruolo nelle vicende
storiche successive. Ci siamo soffermati su di essa poiché, seppur costituendo un tentativo
fallito di dimostrare VP nella geometria assoluta, contiene i primi teoremi di geometria iperbolica della storia: il comportamento delle rette nell’ipotesi dell’angolo acuto è quello che le
rette hanno nella geometria iperbolica.
6. LA GEOMETRIA IPERBOLICA
A questo punto illustriamo brevemente le tappe principali della svolta avvenuta all’inizio
dell’Ottocento, quando alcuni studiosi, adducendo considerazioni sulle quali possiamo sorEvidentemente, se vale VP, le rette parallele sono equidistanti, e quindi non hanno un comportamento asintotico. In realtà, le considerazioni di Saccheri sono più lunghe e articolate di come le abbiamo esposte in questa sede. Egli dimostra, tra l’altro, che le rette parallele non hanno una perpendicolare comune. Alcuni studiosi avevano pensato di risolvere il problema di VP assumendo come nuova definizione di rette parallele la
seguente: sono parallele due rette che hanno una perpendicolare comune. Tuttavia, segue dal risultato di Saccheri che in geometria assoluta non vale l’equivalenza tra il non avere punti in comune e avere una perpendicolare comune, ma solo che la seconda proprietà implica la prima.
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volare, maturarono la convinzione che la geometria che si ottiene sostituendo VP con nonVP, ossia la geometria iperbolica. non fosse contraddittoria.
Sono ritenuti precursori delle geometrie non euclidee due figure minori del panorama
matematico, Ferdinand Karl Schweikart (1780-1857) e Franz Adolph Taurinus (1794-1874),
i quali svilupparono alcuni aspetti della geometria iperbolica, chiamandola rispettivamente
geometria astrale e geometria logaritmo-sferica.
Un ruolo ben più importante, come emergerà anche nel seguito, ebbe Karl Friedrich
Gauss, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, il quale, pur non pubblicando i suoi risultati, riteneva che la nuova geometria fosse coerente.
I fondatori unanimemente riconosciuti della geometria iperbolica sono l’ungherese János
Bolyai (1802-1860) e il russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (1792-1856). Il primo pubblicò
nel 1832 un’appendice ad un libro del padre Wolfgang in cui espose in modo sistematico alcuni aspetti basilari della geometria iperbolica. Il secondo dedicò, a partire dal 1829, varie
memorie e volumi alla geometria iperbolica, da lui chiamata geometria immaginaria, sviluppandola ampiamente sia nel piano che nello spazio, e affiancandola con la trigonometria,
la teoria della misura e la trattazione analitica nel piano cartesiano.
A questo punto conosciamo già numerosi teoremi della geometria iperbolica: oltre a
quelli della geometria assoluta, sono teoremi tutte le negazioni delle proposizioni equivalenti a VP individuate nel paragrafo 4. Ad esempio: non vale l’unicità della parallela, la somma
degli angoli di un triangolo è minore di due angoli retti e non è costante, se due triangoli
hanno gli angoli uguali allora sono uguali (vale cioè un IV criterio di uguaglianza dei triangoli), il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta, non vale il teorema di Pitagora, non sempre esistono il circocentro e l’ortocentro di un triangolo. Negare VP equivale
ad assumere l’ipotesi dell’angolo acuto di Saccheri, e quindi sono teoremi della geometria
iperbolica le proposizioni ottenute dal gesuita ligure nel suo tentativo di confutare tale ipotesi, ad esempio quelle che enunciano le proprietà delle rette incidenti, parallele e iperparallele illustrate in figura 9, e in particolare il comportamento asintotico delle rette parallele.
Esaminiamo ora qualche ulteriore aspetto della geometria iperbolica con riferimento alla
figura 10.
Figura 10
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Consideriamo tre rette uscenti da un punto che formano tra loro angoli uguali di 120°.
Unendo tre punti equidistanti dal loro punto comune si ottiene un triangolo equilatero ed
equiangolo. In geometria iperbolica (in cui S < 2R) i tre angoli uguali di ciascun triangolo
equilatero hanno ampiezza minore di 60° e si dimostra che essa tende a 60° quando i vertici
del triangolo tendono al centro, ossia tende a 0 il lato del triangolo equilatero, e tende a 0°
più si allontanano da esso, ossia quando i lati del triangolo tendono all’infinito (per visualizzare in figura 10 questo comportamento abbiamo dovuto incurvare i lati). Il fatto che l’ampiezza dell’angolo del triangolo equilatero tende a 60° quando il lato del triangolo equilatero
tende a 0 dimostra che la geometria euclidea è un caso limite di quella iperbolica e ciò si
esprime affermando che “In zone piccole del piano iperbolico vale la geometria euclidea”.
Le rette r, s e t, parallele nel senso prima richiamato alle tre rette date, formano una figura caratteristica della geometria iperbolica, detta triangolo limite. Si dimostra che esso ha
area finita e che ogni triangolo ha area inferiore al triangolo limite17.
I vari triangoli equilateri hanno angoli diversi e, se si fissa un angolo qualsiasi compreso
tra 0° e 60°, ad esempio 45°, il lato del triangolo equilatero risulta fissato. Si può quindi assumere come unità di misura dei segmenti tale lato, che quindi viene a costituire una unità di
misura assoluta per i segmenti18. Ecco perché assumere la non esistenza di un’unità di misura assoluta per i segmenti contraddice l’ipotesi dell’angolo acuto ed è equivalente a VP19. In
geometria iperbolica due triangoli con i tre angoli uguali hanno uguali i tre lati (vale un
quarto criterio di uguaglianza per i triangoli), e si possono ricavare le formule che esprimono tali lati in funzione delle ampiezze degli angoli.
Nella figura 11, analoga alla precedente, ma in cui si parte da due rette perpendicolari, è
rappresentato il quadrato limite, avente un’area finita che è l’estremo superiore delle aree di
tutti i quadrati.
Figura 11
Si confronti questo risultato con la Proposizione (9) di Gauss del paragrafo 4. L’area A dei triangoli iperbolici è proporzionale al loro difetto angolare 2R – S, ossia A = k(2R – S), e quindi è superiormente limitata da
2kR, che è l’area del triangolo limite.
18
Gli angoli hanno una unità di misura assoluta poiché, ad esempio, il grado o il radiante sono fissati in modo
univoco con considerazioni geometriche. Per le lunghezze, invece, l’unità di misura (ad esempio il metro) è
fissata in modo convenzionale (il metro mediante un campione fisico). In geometria iperbolica le unità di misura assolute degli angoli individuano univocamente unità di misura assolute per i segmenti.
19
Si veda la Proposizione (7) del paragrafo 4, individuata da Lambert, uno dei precursori delle geometrie non
euclidee.
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In geometria iperbolica il rapporto fra la diagonale e il lato di un quadrato non è costante
come in geometria euclidea, ma tende al numero irrazionale 2 (valore costante che il rapporto ha in geometria euclidea) quando il lato tende a zero (in zone piccole del piano iperbolico vale la geometria euclidea) e tende a 1 quando il lato aumenta indefinitamente. Dato
che fra 1 e √ 2 vi sono infiniti numeri razionali, vi sono infiniti quadrati in cui la diagonale
è commensurabile col lato (ad esempio, vi sono quadrati in cui la diagonale è 4/3 oppure 5/4
del lato).
Un’interessante considerazione si può fare a proposito dei cerchi. In geometria euclidea
la lunghezza L della circonferenza e l’area A del cerchio di raggio r sono:
A = π r2
L=2πr
Il rapporto fra L e il diametro e fra A e il quadrato del raggio è sempre uguale al numero
π, il quale, oltre ad essere irrazionale, è trascendente, ossia non è soluzione di alcuna equazione a coefficienti interi. Da ciò segue che è impossibile con riga e compasso sia rettificare
la circonferenza (costruire un segmento di lunghezza uguale a quella di una circonferenza),
sia quadrare il cerchio (costruire un quadrato di area uguale a quella di un cerchio). In geometria iperbolica le formule della lunghezza della circonferenza e dell’area del cerchio, individuate per la prima volta da Gauss, sono più complesse e si dimostra che si possono costruire con riga e compasso circonferenze e segmenti di stessa lunghezza e cerchi e quadrati
di stessa area20.
Queste schematiche considerazioni mostrano come le varie proprietà della geometria
iperbolica si collegano fra loro, costituendo un nuovo mondo, di non facile rappresentazione
per la variabilità di forma delle figure, ma dotato di un’organicità tale da far passare in secondo piano l’apparente stranezza di ciascuna singola proprietà e la difficoltà di visualizzarla nelle figure.
7. LA COERENZA DELLA GEOMETRIA IPERBOLICA
Le opere dei precursori e dei fondatori della geometria iperbolica non ebbero immediata
risonanza. Infatti, tale geometria si presenta strana e complessa, e non è facile convincersi
della sua coerenza. In altri termini, la maggior parte dei matematici ha continuato a lungo a
ritenere che prima o poi qualcuno sarebbe riuscito a pervenire all’obiettivo fallito da Saccheri, vale a dire a confutare rigorosamente anche l’ipotesi dell’angolo acuto, e quindi a dimostrare che la geometria euclidea è l’unica logicamente possibile.
L’interesse verso la geometria iperbolica iniziò a diffondersi dopo la morte di Gauss,
quando i matematici vennero a conoscenza del fatto che il sommo matematico tedesco la
aveva ritenuta perfettamente legittima, ossia immune da contraddizioni.
Chiediamoci come si può essere sicuri di tale coerenza, ossia che qualcuno non possa
riuscire dove Saccheri aveva fallito. Si noti la diversità dei due seguenti compiti: per confutare un’ipotesi basta riuscire a trovare la dimostrazione che da essa segue una contraddizio20
Si confronti questo risultato con la Proposizione (10) del paragrafo 4.
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ne21; per dimostrare che un’ipotesi non è confutabile bisogna riuscire a far vedere che da
essa non può e non potrà mai essere dedotta una contraddizione. Il secondo compito è di
natura completamente diversa dal primo in quanto l’attenzione non è più rivolta agli enti
della geometria, ma a tutte le proposizioni geometriche che conseguono dall’ipotesi stessa,
comprese quelle non ancora ottenute, per poter escludere che fra di esse vi sia una
contraddizione.
Il problema della coerenza di una teoria geometrica era del tutto nuovo nello scenario
matematico poiché, secondo la concezione classica dell’assiomatica, i postulati e gli assiomi
erano ritenuti veri: deducendo logicamente da proposizioni vere si ottengono proposizioni
vere, e quindi non si può ottenere una contraddizione che è, per la sua stessa struttura, una
proposizione falsa.
In pochi decenni, a seguito di intense e articolate ricerche, fu elaborato un metodo, detto
metodo dei modelli, che consente di affrontare ed eventualmente risolvere il secondo dei due
compiti22. Esso consiste sostanzialmente in questo: si fa vedere che, in base ad un’opportuna
interpretazione dei concetti primitivi, gli assiomi di una teoria risultano veri relativamente a
un certo universo di oggetti; ne segue che la teoria è coerente poiché da proposizioni vere
non si può dedurre logicamente una proposizione falsa qual è una contraddizione. Nel caso
della geometria iperbolica tali oggetti sono stati individuati tra gli enti della geometria euclidea, ed è per questo che si parla di modelli euclidei della geometria iperbolica.
Illustriamone brevemente uno, detto modello di Klein in onore del matematico tedesco
Felix Klein (1848-1925).
Consideriamo una circonferenza Γ di centro O nel piano euclideo. Chiamiamo I-punti i
punti del piano interni a Γ e I-rette le corde di C, diametri compresi, esclusi i loro estremi.
In figura 12 sono rappresentati vari I-punti (A, B, C, D, E, F, G, O) e alcune I-rette (tra cui
QR, ST, UV) e EFG è l’I-triangolo avente lati gli I-segmenti EF, FG, EG. Gli estremi delle
corde non sono I-punti, ed è per questa ragione che li abbiamo rappresentati con circoletti
vuoti. Il modello di Klein è ottenuto assumendo come universo di oggetti l’insieme dei punti
interni a Γ e interpretando i concetti primitivi di “punto” e “retta” rispettivamente in “I-punto” e “I-retta”.
Tale dimostrazione si svolge nell’ambito della geometria, come ad esempio è avvenuto per la confutazione
di Saccheri dell’ipotesi dell’angolo ottuso.
22
L’elaborazione del metodo dei modelli è avvenuta nel periodo del passaggio tra la concezione classica e la
concezione moderna dell’assiomatica sul quale torneremo nel paragrafo conclusivo.
21
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T
S
s C D
C
G
E
O
U
V
F
B
r
R
A
Q
Figura 12
Consideriamo l’assioma della geometria assoluta: “Per due punti passa una ed una sola
retta”. Se sostituiamo “punti” con “I-punti” e “retta” con “I-retta”, ossia se lo formuliamo
nel modo seguente: “Per due I-punti passa una ed una sola I-retta”, si riconosce immediatamente che esso è vero nel modello, in quanto esiste una ed una sola corda che unisce due
punti interni alla circonferenza Γ. Ad esempio, dati gli I-punti A e B, esiste una ed una sola
I-retta, ossia r (la corda QR), che passa per A e B, e la I-retta s (la corda ST) è l’unica I-retta
che passa per i due I-punti C e D.
Ebbene, si può dimostrare che, ampliando opportunamente l’interpretazione, la stessa
circostanza si verifica per tutti gli assiomi della geometria iperbolica. In particolare, è immediato constatare che nel modello non vale l’unicità della parallela, e quindi è vera la negazione di VP.
T
S
k
C
P
h
m
r
n
Q
R
b
a
Figura 13
Dati l’I-punto P e la I-retta r (la corda QR) (figura 13), per P passano infinite I-rette che
intersecano r, ad esempio a e b, e infinite I-rette che non intersecano r, ad esempio h e k. Le
I-rette m e n sono gli elementi di separazione fra le secanti e le non secanti, e sono le I-rette
parallele a r nei suoi due versi. Si osservi che m e n non intersecano r in un I-punto poiché
Q e R sono esclusi dagli I-punti. In generale, due corde senza punti comuni sono I-rette iper-
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parallele e due che hanno in comune un punto di Γ sono I-rette parallele. La figura 13
corrisponde nel modello alla figura 823.
Si riesamini la figura 12. Il segmento AB della I-retta r è più lungo dell’intera I-retta s e,
se si sposta il segmento AB lungo r fino a far coincidere A con B, il secondo estremo fuoriesce dal cerchio Γ. Affinché siano verificati gli assiomi relativi all’uguaglianza, occorre che
si possa trasportare un segmento infinite volte sopra una retta e che tutte le rette siano uguali. Se r è una I-retta (la corda ST), dato su di essa il segmento AB, si devono poter trovare su
di essa dei punti C, D, E,… tali che i segmenti BC, CD, DE,…, seppur divenendo più corti
se misurati con l’usuale misura euclidea, possano essere ritenuti uguali ad AB (figura 14):
S
A
B
C D E
T
Figura 14
Ebbene, utilizzando opportune funzioni matematiche, si può introdurre una I-misura dei
segmenti diversa da quella usuale, tale che, quando il segmento si avvicina verso l’estremo
T (che non è un I-punto) e si accorcia da un punto di vista euclideo, mantiene tuttavia la
stessa I-misura. In tal modo, ad esempio, fra E e T si può determinare un I-punto F tale che
il segmento EF abbia come I-misura un numero reale comunque scelto. Dato un qualsiasi
segmento su una I-retta, lo si può trasportare su una qualsiasi altra I-retta a partire da un
qualsiasi I-punto di quest’ultima, in modo che mantenga la stessa I-misura. Senza entrare in
particolari tecnici, adottando questa I-misura e definendo uguali due segmenti che hanno la
stessa I-misura, sono verificati nel modello tutti gli assiomi della geometria relativi all’uguaglianza dei segmenti.
Un discorso analogo va ripetuto relativamente agli angoli. Nel modello di Klein gli
I-triangoli coincidono con triangoli euclidei (ad esempio EFG della figura 12). Se adottassimo l’usuale misura degli angoli, la somma degli angoli degli I-triangoli sarebbe uguale a
due retti. Affinché valgano le proprietà della geometria iperbolica, come sappiamo, occorre
che tale somma sia minore di due retti. Ciò si può realizzare adottando una opportuna Imisura degli angoli diversa da quella euclidea.
In definitiva, si può dimostrare rigorosamente che, adottando opportune I-misure per i
segmenti e gli angoli, tutti gli assiomi della geometria iperbolica sono veri nel modello. Ne
segue che, se vi fosse una contraddizione nella geometria iperbolica, questa stessa contraddizione risulterebbe dimostrabile a proposito degli enti del modello (punti e corde di Γ) e sarebbe una contraddizione della stessa geometria euclidea. Quindi: se la geometria euclidea
è coerente, allora lo è anche la geometria iperbolica. Ecco la ragione per la quale siamo sicuri che nessuno potrà trovare una contraddizione nella geometria iperbolica. Se qualcuno ci
riuscisse, non distruggerebbe soltanto la geometria iperbolica, ma renderebbe al contempo
incoerente la più che bimillenaria e consolidata geometria euclidea.
Aver limitato il piano all’interno di Γ rende falsa UP e quindi VP. Dato che gli antichi credevano che
l’Universo fosse contenuto interamente nella sfera delle stelle fisse, potrebbero avere avuto qualche dubbio
sull’evidenza di VP, poiché vi sono rette che soddisfano l’ipotesi di VP il cui punto in comune va a cadere al
di fuori dell’Universo.
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8. LE GEOMETRIE SFERICA ED ELLITTICA
Per dare un’idea dell’altra geometria non euclidea, la geometria ellittica, è opportuno
procedere accompagnandola con alcune considerazioni di geometria sferica, la quale corrisponde alla geometria euclidea della superficie di una sfera.
Nelle geometrie sferica ed ellittica vale l’ipotesi dell’angolo ottuso di Saccheri ed esse
sono caratterizzate dall’assioma detto, per ragioni storiche sulle quali possiamo sorvolare,
assioma di Riemann: “Tutte le rette si intersecano”, oppure: “Non esistono rette parallele”.
In esse valgono teoremi quali “La somma S degli angoli interni di un triangolo è maggiore
di due retti”, “Se due triangoli hanno uguali gli angoli, allora sono uguali”; “L’area dei
triangoli è proporzionale al loro eccesso angolare S – 2R”, “Un angolo inscritto in una semicirconferenza è ottuso”, “In un quadrilatero ABCD birettangolo in A e B e isoscele (AD =
BC), gli angoli in C e D sono ottusi”.
Come si conciliano queste proprietà col fatto che si può confutare l’ipotesi dell’angolo
ottuso? Nella geometria assoluta si dimostra che esistono rette parallele e che la somma degli angoli di un triangolo non può superare due retti. Pertanto, se si aggiunge l’assioma di
Riemann o l’ipotesi dell’angolo ottuso agli assiomi della geometria assoluta si ottiene una
teoria contraddittoria. Se si vuole costruire una geometria coerente nella quale si assume
l’assioma di Riemann occorre modificare alcuni degli assiomi della geometria assoluta e, in
particolare, non deve essere dimostrabile la Proposizione 16 degli Elementi di Euclide dalla
quale segue l’esistenza di rette parallele. Non entreremo nel merito di tali non semplici modifiche. Osserviamo comunque, per curiosità, che l’assioma di Riemann implica VP (se tutte
le rette si intersecano, allora si intersecano anche quelle che soddisfano l’ipotesi di VP). Se
la geometria iperbolica si ottiene assumendo non-VP al posto di VP, nelle geometrie sferica
ed ellittica si assume l’assioma di Riemann e si modificano alcuni degli assiomi della geometria assoluta24.
Consideriamo ora la geometria sferica, che ci è familiare poiché viviamo su una superficie che possiamo assimilare a una sfera. Supponiamo di agire restando sopra la superficie di
una sfera S e, per ora, in una porzione non troppo vasta di essa, ossia tale da non contenere
due punti diametralmente opposti. Siano A e B due punti qualsiasi di S e supponiamo di voler andare da A a B percorrendo il tragitto più breve possibile. Si può dimostrare che la linea
di minima lunghezza è l’arco di circonferenza massima ottenuta intersecando la sfera col
piano passante per A, B e per il centro O della sfera (figura 15).
In entrambe le geometrie VP è un teorema. Non ne segue però che in esse valgano le P equivalenti a VP
prima enunciate, poiché risulta modificata la geometria assoluta nell’ambito della quale è stata dimostrata
l’equivalenza. Valgono PO e UP, ma, ad esempio, il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta,
non esistono triangoli simili non uguali e l’area dei triangoli non cresce oltre ogni limite.
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Figura 15
Pertanto, gli archi di circonferenza massima rivestono il ruolo dei segmenti della geometria euclidea. Nel seguito chiamiamo S-punti e S-rette rispettivamente i punti e le circonferenze massime di S.
Consideriamo ora la figura 16:
Figura 16
In essa ABC e PAB sono S-triangoli i cui tre lati sono archi di circonferenze massime ed
è evidente che la somma degli angoli interni del triangolo PAB è maggiore di due retti, in
quanto sono retti i due angoli in A e in B. Si noti anche che le due S-rette perpendicolari alla
S-retta r negli S-punti A e B si intersecano in P.
Se ora guardiamo l’intera sfera, balza evidente che le S-rette (le circonferenze massime),
a differenza delle rette euclidee, (a) sono linee chiuse e (b) per due S-punti estremi di un
diametro della sfera passano infinite S-rette (per due punti diametralmente opposti come i
poli passano infiniti meridiani). La proprietà (b) va contro uno degli assiomi fondamentali
della geometria di Euclide: “Per due punti passa una ed una sola retta”. Per quanto riguarda
la (a), essa viola il fatto che la retta euclidea è una linea aperta di lunghezza infinita25. Per
assiomatizzare la geometria sferica occorre cambiare la geometria assoluta in modo che le
rette e l’intero piano possano avere misura finita. Anche senza illustrare quali siano tali
Non vale quindi il postulato euclideo richiamato nella nota 5, il quale interviene nella dimostrazione euclidea della Proposizione 16.
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cambiamenti, il modello della sfera, oltre a consentire di visualizzare i teoremi della geometria sferica, ne garantisce la coerenza relativa alla geometria euclidea.
Nella geometria ellittica si assume l’assioma di Riemann (“Tutte le rette si intersecano”),
ma si vuole conservare l’assioma euclideo: “Per due punti passa una ed una sola retta”. Per
realizzare un modello in cui si verificano queste due circostanze, l’idea è la seguente: per
due punti di una sfera passa una e un sola circonferenza massima a meno che essi non siano
diametralmente opposti. Riduciamo allora la sfera a una semisfera S′ (eliminando cosi i punti diametralmente opposti a quelli della semisfera). Rimangono ancora punti diametralmente
opposti solo sulla circonferenza Γ che delimita la semisfera. Imponiamo allora che due punti
diametralmente opposti di tale circonferenza Γ coincidano in un unico punto, ossia siano lo
stesso punto (figura 17). Chiamiamo E-punti i punti di S′ (e due punti diametralmente opposti di Γ costituiscono un unico E-punto) ed E-rette le semicirconferenze massime giacenti
su S′ compresa Γ (tutte le E-rette incontrano Γ in due punti diametralmente opposti, e quindi
in un E-punto).
Figura 17
Ci si convince facilmente che, dati due E-punti qualsiasi della semisfera (ad esempio C e
D), per essi passa una ed una sola E-retta r (r è l’intersezione di S′ con il piano passante per
i tre punti O, C, D) e lo stesso avviene sia se uno dei due E-punti è una coppia di punti diametralmente opposti della circonferenza Γ che delimita la semisfera, sia se entrambi gli Epunti sono coppie di tali punti (e in questo caso la E-retta è proprio la circonferenza Γ).
Come nella geometria sferica è soddisfatto l’assioma di Riemann, ma due S-rette si incontrano sempre in due S-punti (che sono punti diametralmente opposti della sfera S), mentre,
in geometria ellittica, due E-rette si incontrano sempre in uno ed un solo E-punto. Inoltre, le
E-rette sono linee chiuse: se, ad esempio, si percorre la E-retta r da C a D e si prosegue fino
a raggiungere Γ in A, ci si trova nello stesso punto diametralmente opposto, e si può continuare a percorrere r. L’esistenza del modello della semisfera brevemente descritto assicura
la coerenza relativa della geometria ellittica rispetto alla geometria euclidea (“Se la geometria euclidea è coerente, allora lo è anche la geometria ellittica”)26.
Il modello delle geometria ellittica è più complicato di quello della geometria sferica. L’identificazione dei
punti diametralmente opposti di C comporta che il piano ellittico abbia proprietà che lo differenziano dai piani euclideo, iperbolico e sferico. La geometria ellittica ha in comune con la geometria sferica i teoremi che
non coinvolgano rette nella loro totalità, ad esempio quelli relativi alle usuali figure piane e il fatto che nelle
zone piccole vale la geometria euclidea. Esse si differenziano su proprietà più globali. Ad esempio, in geometria sferica vale: “Tutte le perpendicolari a una stessa retta si incontrano in due punti”, mentre in geometria ellittica vale: “Tutte le perpendicolari a una stessa retta si incontrano in un punto”. Nei piani euclideo,
iperbolico e sferico una retta r divide il piano in due semipiani separati da r. Ciò non avviene nel piano ellit-
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9. CONCLUSIONI
Molte sono state le conseguenze della scoperta delle geometrie non euclidee e del riconoscimento della loro coerenza relativa alla geometria euclidea. Come si è detto, la scoperta,
avvenuta dopo la morte di Gauss, che uno dei più grandi matematici di tutti i tempi ritenesse
coerente la geometria iperbolica comportò una svolta decisiva, e molti studiosi affrontarono
il problema della legittimazione della nuova geometria, alla quale venne affiancata la geometria ellittica. A questo proposito, si possono distinguere tre filoni di ricerca: nell’indirizzo
metrico-differenziale, inaugurato da Gauss e ripreso da Bertrand Riemann (1826-1866), fu
fondamentale l’opera del matematico italiano Eugenio Beltrami (1835-1899), in quello proiettivo fu centrale la figura del già citato Felix Klein e nell’indirizzo analitico il riferimento
è il matematico francese Henri Poincaré (1854-1912). Sorvolando su considerazioni tecniche qui fuori luogo, ciò che accomuna queste intense e produttive ricerche fu che esse diedero rapidamente una indiscutibile legittimazione matematica alle geometrie non euclidee,
che divennero parte integrante di molti settori avanzati.
Il discorso sulla loro legittimazione logica (ossia la dimostrazione rigorosa della loro
coerenza) è più intricato. Nella seconda metà dell’Ottocento maturò lentamente la concezione moderna dell’assiomatica, nella quale ha un ruolo centrale il problema della coerenza
delle teorie matematiche. Come abbiamo visto in precedenza, tale problema venne affrontato individuando opportuni modelli delle teorie stesse (ad esempio, il modello di Klein della
geometria iperbolica).
Segnaliamo comunque che le geometrie non euclidee, contrariamente a quanto spesso si
legge, ebbero storicamente un ruolo secondario nell’evoluzione del metodo matematico.
Tuttavia consentono di illustrare in modo efficace il passaggio dalla concezione classica a
quella moderna dell’assiomatica.
All’inizio del paragrafo 2 abbiamo indicato come caratteristica principale del metodo assiomatico il fatto che si esplicitano le proposizioni assunte inizialmente (assiomi) e che tutte
le altre proposizioni (teoremi) devono essere dimostrate a partire da esse. Un analogo discorso va condotto a proposito dei concetti geometrici: alcuni di essi vanno assunti come
primitivi e tutti gli altri vengono poi definiti a partire da essi. La necessità di assumere concetti primitivi e assiomi deriva dal fatto che definizioni e dimostrazioni sono relazioni: in
una definizione un concetto nuovo viene definito a partire da altri concetti il cui significato è
assunto come già noto, e una dimostrazione mostra come una proposizione segue logicamente da altre assunte come premesse. Se si vogliono evitare circolarità o regressi all’infinito, occorre stabilire i punti di partenza di una teoria (i concetti primitivi e gli assiomi), dai
quali far iniziare i procedimenti definitori e dimostrativi. Come abbiamo visto nel caso degli
Elementi di Euclide, nella concezione classica dell’assiomatica la distinzione tra assiomi e
tico: le due parti in cui la E-retta r sembra dividere la semisfera di figura 17 non sono separate poiché, ad
esempio, il punto B appartiene ad entrambe. Pertanto, una retta non divide il piano in due semipiani: la retta
che unisce due qualsiasi punti, che è una linea chiusa, contiene due segmenti complementari aventi come
estremi i due punti, uno che interseca la retta e l’altro che non la interseca (in geometria sferica o i due segmenti complementari intersecano entrambi la retta, oppure uno non interseca la retta e l’altro la interseca in
due punti: nel primo caso i due punti stanno in semipiani opposti, nel secondo appartengono allo stesso semipiano).
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teoremi è ben presente. Tuttavia, non si è operata una altrettanto esplicita divisione tra
concetti primitivi e concetti definiti.
Per illustrare questa manchevolezza, torniamo all’inizio del I libro degli Elementi.
Il primo gruppo di proposizioni primitive assunte da Euclide contiene le definizioni dei
concetti geometrici (dette termini dal matematico alessandrino). Esse possono essere suddivise nei due tipi che illustriamo in linguaggio moderno.
Nelle definizioni nominali un concetto nuovo viene definito mediante concetti già definiti. Ad esempio (i numeri progressivi sono quelli degli Elementi):
(10) Quando una retta innalzata su un’altra retta forma gli angoli adiacenti uguali fra loro,
ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a
quella su cui è innalzata.
(12) Angolo ottuso è quello maggiore di un retto.
(22) Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall’una e dall’altra parte, non s’incontrano fra loro da nessuna delle due
parti.
Altri termini, spesso qualificati definizioni reali, hanno lo scopo di caratterizzare, intuitivamente e per quanto possibile, l’universo degli enti geometrici. Ad esempio:
(1)
(2)
(4)
(8)
Punto è ciò che non ha parti.
Linea è lunghezza senza larghezza.
Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti.
Angolo piano è l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino
fra loro e non siano in linea retta.
I termini di questo secondo tipo non sono vere e proprie definizioni, in quanto il concetto
nuovo non viene definito mediante concetti già definiti (non è stato preliminarmente esplicitato cosa voglia dire “non avere parti”, “lunghezza”, “larghezza”, “giacere ugualmente rispetto ai suoi punti”, “inclinazione reciproca di due linee”). Come si è detto, non tutto si può
definire, e quindi necessariamente alcuni concetti vanno assunti come primitivi. Si può dire
che le definizioni reali euclidee introducano i concetti primitivi e, tra l’altro, non vengono
utilizzate nello sviluppo delle dimostrazioni. In sintesi, nella concezione classica dell’assiomatica, i concetti primitivi venivano definiti per individuare l’universo degli enti geometrici,
in modo da poter riconoscere che in esso erano verificati gli assiomi.
Nella concezione moderna le teorie matematiche sono concepite come sistemi ipoteticodeduttivi: i concetti primitivi non vengono definiti, e quindi non è necessario collegarli ad
enti esterni. Di conseguenza, gli assiomi non sono più considerati né veri, né falsi: gli assiomi sono le proposizioni che stabiliscono i legami tra i concetti primitivi dalle quali si può
iniziare a dedurre logicamente i teoremi27. In tal modo le teorie matematiche assumono la
Ciò è possibile per il fatto che le dimostrazioni sono condotte in base a leggi e regole logiche la cui
applicazione fa riferimento solo alla forma delle proposizioni, e non ai loro contenuti. In altri termini, un
teorema segue dagli assiomi mediante un procedimento in cui la verità non riveste alcun ruolo. Ad esempio,
in una dimostrazione, l’assioma “Per due punti passa una ed una sola retta” si sfrutta senza sapere che “Punto
è ciò che non ha parti” e “Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti”. Nella concezione
moderna dell’assiomatica si tengono separati il piano sintattico, in cui conta solo la forma delle proposizioni
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veste di linguaggi non interpretati e passa su un diverso piano il problema della verità degli
assiomi.
Si assume inoltre che il requisito della coerenza degli assiomi sia non solo necessario,
ma anche sufficiente per dichiarare legittima una teoria matematica. Le geometrie non euclidee, quindi, essendo coerenti se lo è la geometria euclidea, sono sistemi ipotetico-deduttivi
sullo stesso piano della geometria euclidea. Pur mantenendo un’uguale terminologia, dato
che non hanno gli stessi assiomi, i loro modelli sono costituiti da enti diversi: i punti, le rette
e le figure della geometria iperbolica o ellittica non possono essere gli stessi enti della geometria euclidea.
Passiamo ora ad esaminare brevemente alcuni altri sviluppi delle geometrie non euclidee28. Come si è detto, nella seconda metà dell’Ottocento esse vennero utilizzate da molti
matematici. Ciò non significa che furono accettate da tutti, poiché il problema di VP riguardava i fondamenti della geometria e non aveva un’influenza diretta sulla gran parte delle ricerche matematiche. Molti studiosi, anche di notevole levatura, dato che le geometrie non
euclidee sono alternative a quella euclidea, continuarono a considerarle teorie del tutto inutili poiché prive di applicazioni concrete. Il matematico, infatti, non scrive liste di assiomi
preoccupandosi solo della loro coerenza, ma è soprattutto interessato a teorie con le quali si
affrontano problemi rilevanti per altre discipline, utili per aumentare la nostra conoscenza
del mondo.
La geometria è una disciplina matematica con caratteristiche peculiari, in quanto da sempre è stata collegata con lo spazio fisico, le nostre esperienze percettive, le discipline figurative, le misurazioni di lunghezze, aree e volumi, e applicata in svariate attività dell’uomo.
Nelle tre geometrie euclidea, iperbolica ed ellittica, al triangolo viene attribuita la proprietà di avere somma degli angoli interni rispettivamente uguale, minore, maggiore di due
angoli retti. Perché allora non considerare triangoli disegnati su un foglio, o aventi per vertici le vette di tre monti, o addirittura tre corpi celesti, misurarne con la massima accuratezza
gli angoli, e sommarne le ampiezze29? Esperimenti del genere sono stati condotti e, nei limiti
della precisione sperimentale, la somma degli angoli dei triangoli non si è mai discostata da
due retti. Le misure in accordo con la geometria euclidea sembrano escludere le geometrie
alternative.
Invece le cose non stanno così: è vero che nella geometria iperbolica un triangolo coi lati
molto grandi ha somma degli angoli interni alquanto minore di due retti, ma la teoria non
dice in alcun modo quanto lunghi debbano essere i lati perché la differenza da due retti sia
rilevabile con gli strumenti di misura: ad esempio, potrebbero essere necessari lati di lunghezza di mille anni luce per ottenere una differenza da due retti uguale a un millesimo di
delle teorie e si sviluppano le dimostrazioni, dal piano semantico, nel quale si interpretano i concetti
primitivi e le proposizioni risultano vere o false in base a tale interpretazione. Una teoria può avere modelli
in base a più interpretazioni (quando i suoi assiomi risultano tutti veri), e quindi essere applicabile in vari
ambiti teorici o applicativi.
28
È doveroso segnalare che quanto ci apprestiamo a illustrare, coinvolgendo tematiche di ampio respiro di filosofia della scienza, meriterebbe di essere esposto in modo molto più articolato di quanto è sufficiente in
questa sede.
29
Si ricordi che già gli antichi avevano sottolineato che le figure reali sono solo rappresentazioni approssimate di quelle ideali della geometria. Solo enti astratti possono avere proprietà universali come quelle espresse
nelle proposizioni geometriche. Sulla natura di tali enti si sono registrate e si registrano tuttora opinioni contrastanti, che però non influenzano lo sviluppo matematico della geometria.
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secondo. E un discorso analogo si può fare a proposito della geometria ellittica. Il fatto che
in zone piccole dei piani iperbolico ed ellittico valga la geometria euclidea non consente di
risolvere mediante misure fisiche la questione di quale delle tre sia più adatta a descrivere la
realtà.
La scelta della geometria euclidea appare tuttavia ampiamente giustificata dalla sua molto maggiore semplicità e dalle sue più che bimillenarie applicazioni. Ebbene, nei primi decenni del Novecento, Albert Einstein (1880-1952) ha scoperto che i raggi di luce si incurvano (non vanno secondo le linee rette della geometria euclidea) in presenza di masse. Lo stesso fenomeno può essere interpretato dicendo che i raggi di luce vanno secondo le linee rette
di un’opportuna30 geometria ellittica determinata dalle masse presenti nello spazio. Le due
descrizioni sono del tutto equivalenti, ma nella prima lo spazio conserva la geometria euclidea e nella seconda si assume (per mantenere la legge fondamentale dell’ottica geometrica
secondo cui i raggi di luce vanno in linea retta) che la geometria sia ellittica. Einstein ha
scoperto che, adottando la seconda descrizione, la teoria globale risultante è regolata da leggi fisiche molto più semplici. Nella teoria della relatività generale Einstein ha preferito adottare una geometria non euclidea, in sé più complicata, per formulare una teoria fisica complessivamente più semplice, ma avrebbe potuto continuare a usare la geometria euclidea formulando leggi fisiche più sofisticate.
In definitiva, anche le geometrie non euclidee hanno trovato significative applicazioni
nelle scienze della natura. Se quasi tutte le teorie matematiche nascono da problemi che sorgono nella ricerca scientifica, non è raro che alcune di esse, introdotte per affrontare questioni interne alla disciplina, abbiano trovato una dimensione applicativa in un momento
successivo alla loro elaborazione. E questo è quanto accaduto proprio alle geometrie non euclidee, le quali sono emerse dai tentativi di risolvere il problema sollevato da VP, ma sono
ora divenute una componente di primo piano di fondamentali teorie scientifiche, quale appunto la teoria della relatività generale.
Nelle formule delle geometrie non euclidee compare un parametro legato alla variabilità di forma delle figure, e quindi, in realtà, al variare di tale parametro vi è uno spettro continuo di geometrie iperboliche ed ellittiche. La geometria euclidea, che invece è unica, è il caso limite delle geometrie non euclidee al tendere
all’infinito di tale parametro. Questi risultati tecnici sono stati rilevanti per l’accettazione delle geometrie non
euclidee da parte dei loro precursori e fondatori, molti decenni prima della dimostrazione rigorosa della loro
coerenza.
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