UNIVERSITÀ DI PISA “Analisi del profilo di espressione in cellule staminali adulte cardiache umane in seguito ad infezione con isolato clinico di Coxsackievirus B3” Relatore Candidato Prof. Luca Ceccherini-Nelli Dott. Antonio Scaccino ANNO ACCADEMICO 2012-2013 INDICE Indice delle Abbreviazioni ......................................................................... 3 Riassunto .................................................................................................... 4 Abstract ...................................................................................................... 6 1 Introduzione ............................................................................................ 8 1.1 Cardiomiopatie................................................................................. 8 1.2 Cardiomiopatia Dilatativa ................................................................ 9 1.3 Coxsackievirus ............................................................................... 10 1.4 Tassonomia: famiglia delle Picornaviridae, genere Enterovirus ... 11 1.5 Patogenesi degli Enterovirus.......................................................... 14 1.6 La Miocardite ................................................................................. 16 1.7 Virus Cardiotropici: meccanismo d’infezione ............................... 18 1.8 Variabilità alle infezioni ................................................................ 24 1.9 Resistenza all’infezione da HIV .................................................... 25 1.10 Geni coinvolti nella resistenza alle infezioni ............................... 28 1.11 Terapie ......................................................................................... 29 2 Scopo..................................................................................................... 32 3 Materiali e Metodi................................................................................. 33 3.1 Colture Cellulari............................................................................. 33 3.2 Verifica dell’espressione del recettore CAR.................................. 36 3.3 Titolazione virale – Metodo della diluzione limite ........................ 41 3.4 Infezione della linea cellulare HHTO2 con CVB3 ........................ 42 3.5 Estrazione RNA virale, RT-PCR e Nested PCR ............................ 42 3.6 Quantificazione della carica virale................................................. 44 3.7 Estrazione dell’RNA totale ............................................................ 45 3.8 Analisi spettrofotometrica dell’RNA cellulare estratto ................. 46 3.9 Retrotrascrizione in cDNA e PCR-Array ...................................... 48 3.10 Elaborazione statistica ................................................................. 55 4 Risultati ................................................................................................. 56 4.1 Risultati espressione recettore CAR .............................................. 56 4.2 Infezione delle linee cellulari ......................................................... 57 4.3 PCR-Array: Analisi dei dati ........................................................... 60 5 Discussione ........................................................................................... 65 6 Conclusioni ........................................................................................... 70 7 Prospettive future .................................................................................. 71 8 Bibliografia ........................................................................................... 72 2 Indice delle Abbreviazioni Adenovirus (ADV) Carcinoma epidermoide della bocca umano (KB) Cardiomiopatia dilatativa (CMD) Coxsackie and Adenovirus receptor (CAR) Coxsackievirus ceppo B3 (CVB3) Decay-Accelerating Factor (DAF) Enterovirus (ENTV) Immunoglobuline (IG) Lungo sopravviventi o long term survivors (LTNP) Cellule staminali mesenchimali umane (hMSCs) 3 Riassunto Le malattie cardiovascolari, sono la principale causa di mortalità e morbilità nei paesi industrializzati, comprendono patologie ad eziologia multifattoriale. L’infarto del miocardio è una delle principali cause di mortalità in tutto il mondo, associato nel 10% dei casi alla miocardite acuta ad eziologia virale [Lim BK et al, 2013; Kühl U et al, 2012; Pavone P, 2008; Baughman KL, 2006] e alla sua evoluzione in Cardiomiopatia dilatativa (CMD) [Kühl U et al, 2012; Schultz JC et al, 2009; Ellis CR et al, 2007]. Indagini sierologiche e molecolari hanno dimostrato che tra i virus maggiormente implicati nell’eziologia della miocardite virale, il più cardiotropico è il Coxsackievirus del ceppo B3 (CVB3) [Lim BK et al, 2013; Martino TA et al, 1994; Kühl U et al, 2005; Yajima T et al, 2009] il cui meccanismo patogenetico è stato in parzialmente chiarito con la scoperta del recettore “Coxsackievirus and Adenovirus Receptor” (CAR) e del corecettore “Decay-Accelerating Factor”(DAF) e della interazione tra loro per la formazione del “CAR-DAF Receptor Complex” [Freimuth P et al, 1998; Bergelson et al, 1994]. Le innovazioni della terapia medica e nuovi trattamenti farmacologici hanno significativamente ridotto la mortalità causata dall’infarto del miocardio, ma non esistono attualmente metodi risolutivi al recupero della funzionalità d’organo determinato dal danno tissutale a carico del miocardio [Miteva K et al, 2011]. Le cellule staminali rappresentano un sistema complesso e solo parzialmente conosciuto, che in questi ultimi anni, è stato studiato con grande interesse come un possibile trattamento per molte patologie ad eziologia virale, in particolare dove i tessuti siano danneggiati o con perdita di funzionalità, come dimostrato in specifici casi di rimpiazzo cellulare staminale in infezioni conclamate su pazienti affetti da HIV [Hutter G et al, 2009; Calabrese LH et al, 2003]. Scopo del presente lavoro di tesi è stato indagare il profilo di espressione genica cellulare alla base dell’infezione virale nelle cellule staminali deputate alla rigenerazione tessutale cardiaca. 4 Abbiamo focalizzando la nostra attenzione in particolare su colture di cellule staminali adulte di origine umana (HHTO2) opportunamente ingegnerizzate con la subunità catalitica della telomerasi (Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare, Università di Roma Tor Vergata) [Abdallah BM et al, 2005], e in seguito infettate con un isolato clinico CVB3 prelevato dal liquido pericardico di un paziente affetto da CMD, titolato per 100 dosi infettanti al 50% a 24 ore. Abbiamo verificato, l’espressione dei recettori CAR e DAF necessari per l’infezione virale e valutando l’efficacia dell’infezione virale ai tempi: 4, 12, 24, 48, 72 e 96 ore post infezione; ricercando il genoma virale nel surnatante e nelle cellule separatamente mediante indagini molecolari e sierologiche. Le cellule prese in esame non hanno mostrato segni di effetto citopatico i tempi presi in esame, come invece osservato nella linea cellulare di controllo KB. Le indagini molecolari hanno rilevato il genoma virale all’interno dell’estratto cellulare delle linee nelle HHTO2 e nelle KB. Mentre, nel surnatante delle HHTO2 il genoma virale di CVB3 è presente a tempi dall’infezione tardivi rispetto alla linea cellulare di controllo KB. L’analisi differenziale dei geni coinvolti nella risposta antivirale a 12, 24 e 48 ore post-infezione mediante RT2 Profiler PCR Array (Qiagen) ha permesso la costruzione di un profilo di espressione genica antivirale, che evidenzia: una “down” regolazione del gene fos, una “up” regolazione del gene traf3, e in risalto, una significativa “up” regolazione del gene tlr3. I risultati del presente lavoro di tesi sono in con la recente letteratura, ove nel modello animale murino deficiente per TRL3 si evince una resistenza alle infezioni da CVB3 [Abston ED et al, 2012]. Indicando maggiormente, il ruolo centrale nel uomo di tlr3, nella risposta immunitaria innata della cellula ospite a seguito dell’infezione con virus cardiotropici e ponendo tlr3 in particolare rilievo come target per possibili strategie farmacologiche o staminali. 5 Abstract Cardiovascular diseases, which include pathologies with multi-factorial etiology, are the leading cause of mortality and morbility in industrialized countries. The myocardium infarct is one of the main causes of death in the world, and in the 10% of the cases it is associated with acute myocarditis and viral etiology [Lim BK et al, 2013; Kühl U et al, 2012; Pavone P, 2008; Baughman KL, 2006] and also with its evolution into dilatative Cardiomyopathy (CMD) [Kühl U et al, 2012; Schultz JC et al, 2009; Ellis CR et al, 2007]. Serological and molecular investigations demonstrated that, among the viruses commonly implicated in the etiology of the viral myocarditis, the most cardiotropic of all is the Coxsackievirus strain B3 (CVB3) [Kühl U et al, 2005; Martino TA et al, 1994; Yajima T et al, 2009], whose pathogenetical mechanism has been partially clarified thanks to the discovery of receptor “Coxsackievirus and Adenovirus Receptor” (CAR), co-receptor “Decay-Accelerating Factor” (DAF) and the interaction between the two, leading to the formation of the “CAR-DAF Receptor Complex” [Freimuth P et al, 1998; Bergelson et al, 1994]. Recent innovations in medical therapy and the newest pharmacological treatments have significantly reduced the mortality rate caused by the myocardium infarct, but currently there are no resolutive methods that allow the recovery of the organ's functionality when a myocardial tissue damage occurs [Miteva K et al, 2011]. Stem cells represent a complex and only partially known system that, over the last few years, has been studied with great interest as a viable treatment for many pathologies with viral etiology, in which the tissues have been damaged or have lost their functionality, as already demonstrated in specific cases of stem cellular replacement for full-blown infections in HIV-infected patients [Hutter G et al, 2009]. The purpose of this thesis is to investigate the profile of the gene cellular expression, which is the basis of the viral infection in the stem cells dedicated to the cardiac tissue regeneration. In particular we focused our attention on cultures of adult stem cells of human origin (HHTO2) properly engineered with the telomerase catalytic 6 subunit (Molecular and Cellular Cardiology Lab, Università di Roma Tor Vergata), and subsequently infected with a clinically isolated CVB3 taken from the pericardial fluid of a patient affected by CMD, titrated for 100 infecting doses at 50% in 24 hours. We also verified the expression of the receptors CAR and DAF and the effectiveness of the viral infection at: 4, 12, 24, 48, 72 and 96 hours postinfection, researching separately the viral genome in the supernatant and in the cells through molecular and serological investigation. The cells we examined didn't show any sign of cytopathic effect at any time and at any dilution, as we observed instead in the control cell line KB. Molecular investigations found out the viral genome inside the cells of the lines in HHTO2 and KB. While inside the supernatant in HHTO2 the viral genome could be observed after a longer time after the infection, compared to the control cell line KB. The differential analysis of the genes involved in the antiviral response at 12, 24 and 48 hours post-infection through RT2 Profiler PCR Array (Qiagen) allowed the construction of a profile of antiviral gene expression, that points out: a “down” regulation of the fos gene, an “up” regulation of the traf3 gene and, particularly, a significant “up” regulation in the tlr3 gene. Our results are in line with the recent literature, where in the animal model murine deficient for TRL3 we can observe a resistance to infections from CVB3 [Abston ED et al, 2012]. They also stress out the central role of tlr3 in humans, particularly in the innate immune response of the host cell after it is infected by cardiopathic viruses, thus indicating tlr3 as a viable target for possible future pharmacological or stem strategies 7 1 Introduzione 1.1 Cardiomiopatie Le cardiomiopatie (CM) sono un gruppo eterogeneo di malattie che colpiscono il muscolo cardiaco, che attraverso lo sviluppo di disfunzioni meccaniche e/o elettriche determinano spesso l'instaurarsi di fenomeni di ipertrofia o dilatazione delle camere ventricolari [Kühl U et al, 2005]. Le CM sono classificate secondo l’anatomia e la fisiologia nelle seguenti categorie principali, ognuna con numerose possibili cause: • Cardiomiopatia dilatativa • Cardiomiopatie ipertrofica • Cardiomiopatia restrittiva • Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro • Cardiomiopatie non classificate • Cardiomiopatia dilatativa La manifestazione finale di malattie cardiache ipertrofiche, come la cardiomiopatia ipertrofica genetica o la cardiomiopatia ipertensiva può essere la CMD. Dove, mentre per la forma ipertrofica appare predominante una componente familiare, ereditaria o comunque genetica, quella CMD sembra la progressione di una miocardite virale [Robinson JA et al, 1983; Goodwin JF, 1987]. La CMD è la forma più comune di CM e si manifesta con dilatazione ventricolare e disfunzione sistolica. La CMD è una causa relativamente comune d’insufficienza cardiaca nei paesi occidentali. I soggetti affetti da CMD possono rimanere asintomatici fino all’esordio dello scompenso cardiaco, che spesso ha un andamento progressivo, che può addirittura portare nel 50% dei casi, ad infarto del miocardio [Ellis CR et al, 2007]. 8 1.2 Cardiomiopatia Dilatativa La CMD è caratterizzata da dilatazione e dalla depressa funzione sistolica di uno o entrambi i ventricoli. La dilatazione è determinata dall’aumento della massa totale cardiaca che spesso diventa grave e inevitabilmente si accompagna ad ipertrofia. I pazienti presentano alterata funzione sistolica e possono avere uno scompenso cardiaco conclamato. Le manifestazioni di presentazione sono spesso le aritmie atriali e/o ventricolari; la morte improvvisa può essere osservata in ogni fase della malattia e può essere secondaria a numerose malattie sistemiche [Kühl U et al, 2005]. Si manifesta anche in associazione a malattie valvolari, ipertensione arteriosa o cardiopatia ischemica. Numerose sono le cause della cardiomiopatia dilatativa tra cui più frequenti sono la cardiomiopatia ischemica, la cardiomiopatia valvolare, quella virale, e la cardiomiopatia genetica [Kühl U et al, 2005]. L’eziologia della cardiomiopatia dilatativa nella maggior parte dei casi è ignota, per cui definita idiopatica. In circa un quarto dei pazienti si presenta come malattia familiare, dimostrata dalla presenza di più soggetti con le stesse caratteristiche della malattia nella stessa famiglia o sospetta anamnesticamente. La modalità con cui viene ereditata è con un andamento prevalentemente di tipo autosomico dominante. L‘incidenza della CMD è stata stimata attorno a 5-8 casi per 100.000 abitanti, con una prevalenza di 36 per 100.000. Questi dati sono sottostime della frequenza della malattia nella popolazione, poiché molti pazienti con CMD sono asintomatici e quindi non ospedalizzati. Stime più realistiche sostengono percentuali intorno al 14% con una maggiore incidenza nella popolazione anziana affetta da disfunzione ventricolare sinistra sistolica asintomatica. Figura 1:Confronto cuore sano con CMD. Nella CMD, il muscolo cardiaco è più sottile, con conseguente camere cardiache allargate che non posso pompare efficacemente il sangue. (http://img.webmd.com/dtmcms/live/webmd/consumer/site_images/media/medical/hw/hd551189.jpg) 9 1.3 Coxsackievirus Nel 1948-49 il dott. Gilbert Dalldorf, (New York State Department of Health, Albany), nel tentativo di ottenere una cura per la poliomielite mediante esperimenti condotti sulle scimmie, scoprì che il liquido ricavato da una preparazione di virus non poliomielitico, poteva proteggere dagli effetti invalidanti della poliomielite [Fields et al, 2007]. Figura 2:1948-49 il dott. Gilbert Dalldorf (http://www.nap.edu/books/0309050375/xhtml/images/img00003.jpg) Ispirandosi agli studi degli scienziati danesi Orskov e Andersen (che utilizzavano già da tempo topi neonati per lo studio dei virus murini), impiegò gli stessi topi come vettori per i suoi esperimenti in vivo al fine di isolare questi virus protettivi dalle feci dei pazienti poliomielitici. I virus neoscoperti imitavano una poliomielite blanda o non paralizzante [Dalldorf G, 1950], e si rivelavano deterrenti nelle sovrainfezioni da poliovirus [Dalldorf G, 1951]. Tale scoperta, dunque, diede un’ulteriore evidenza al fatto che alcuni virus possono interferire nella crescita e replicazione di altri. A questi virus neoscoperti fu dato il nome di Coxsackie, nome di origine del paese nello stato di New York dove il dott. Dalldorf aveva ottenuto i primi campioni di feci [Fields et al, 2007]. I Coxsackievirus furono divisi in gruppi A e B a seconda della gravità della patologia che causavano nei topi neonati [Gifford R et al, 1951]. Coxsackie virus gruppo B causavano infezioni meno gravi rispetto al gruppo A (che portano alla morte per necrosi del muscolo scheletrico e successiva paralisi), che hanno un esordio sistemico comprensivo di molti organi, tra cui: cuore, pancreas, cervello, fegato e muscolo scheletrico [Fields et al, 2007]. 10 1.4 Tassonomia: famiglia delle Picornaviridae, genere Enterovirus I Coxsackievirus appartengono alla famiglia delle Picornaviridae, genere Enterovirus. Il genoma dei Coxsackie è costituito da RNA a singolo filamento con polarità positiva, delle dimensioni di 7-8 Kb [Fields et al, 2007]. Presentano un capside icosaedrico senza involucro di 28-30 nm di diametro. L’assenza dell’envelope lipidico e del pericapside è una caratteristica che li rende stabili in ambiente esterno e particolarmente resistenti a pH acido, al calore e a numerosi detergenti, insensibili agli eteri [Fields et al, 2007]. Il capside dei Picornavirus presenta una geometria icosaedrica, con 60 unità strutturali (protomeri) i cui raggruppamenti pentamerici costituiscono i 12 vertici dell’icosaedro. I protomeri sono composti da quattro polipeptidi denominati VP1, VP2, VP3, VP4, che si originano dal taglio di un unico precursore VP0 ad opera di una proteasi virale. VP1, VP2 e VP3, costituiscono la struttura esterna del capside, mentre VP4 è collocato internamente, e svolge una importante funzione stabilizzatrice. L’assemblaggio dei 4 polipeptidi crea uno spazio vuoto, detto canyon, con funzione di antirecettore virale che permette l’interazione con proteine di membrana delle cellule suscettibili al virus [Fields et al, 2007]. Alla famiglia Picornaviridae appartengono gli Enterovirus (ENTV), il secondo agente infettivo per la specie umana, in grado di infettare anche numerose specie animali. La porta di accesso primaria degli ENTV è attraverso le vie respiratorie o l’apparato gastrointestinale, diffondendo attraverso l’epitelio intestinale; si replicano preferenzialmente nell’apparato digerente, pur potendo provocare malattie a carico di molti distretti. L’uomo è l’unico ospite naturale degli ENTV umani [Fields et al, 2007]. Gli ENTV hanno un periodo di incubazione variabile tra 2 e 10 giorni, e possono essere isolati nell’orofaringe e nelle feci per settimane dopo l’infezione. Essi penetrano nelle cellule legandosi a specifiche proteine della membrana, diverse a seconda della specie. La presenza o assenza di queste proteine che fisiologicamente con funzione recettoriale determina il tropismo dei vari ceppi virali e la loro patogenesi alla base delle malattie di cui sono la causa. 11 Gli ENTV penetrano nelle cellule legandosi a specifiche proteine della membrana, diverse a seconda della specie bersaglio. La presenza o assenza di queste proteine bersaglio che fungono da recettori determina il tropismo dei vari ceppi virali e la patogenesi delle malattie causate da questi virus. Tutti gli Enterovirus interagiscono con i recettori cellulari grazie ad uno spazio interposto tra le proteine esterne del capside, definito canyon. Tutte le particelle virali degli Enterovirus vengono internalizzate in endosomi cellulari, nei quali avviene l’uncoating del virus. Il capside perde unità strutturale e l’acido nucleico virale viene liberato nel citoplasma delle cellule infettate. Il genoma virale presenta un unico open reading frame, e viene tradotto immediatamente in una poliproteina, successivamente processata dalle proteasi virali in proteine di dimensioni minori con funzioni strutturali ed enzimatiche, inclusa la stessa polimerasi virale che servirà per sintetizzare copie addizionali del genoma. In seguito il genoma viene trascritto in un filamento complementare negativo, che servirà da template per la produzione di numerose copie di RNA positivo, in parte tradotte nelle proteine strutturali del capside e in parte utilizzate come nuova informazione genetica per la progenie virale [Fields et al, 2007]. Gli ENTV sono variabili per specie e sierotipo. Fino agli anni sessanta secondo la tassonomia classica erano divisi in tre specie: • Poliovirus (comprendente i tre sierotipi agenti eziologici della poliomielite paralitica umana) [Fields et al, 2007]; • Coxsackievirus, Il cui periodo di incubazione è altamente variabile, tra 2 e 35 giorni; la sintomatologia può durare fino a 2 settimane [Fields et al, 2007]; • Echovirus (ECHO: Enteric Cytopathogenic Human Orp Han; isolati in soggetti sani, quindi si tratta di virus “orfani” di una patologia) [Fields et al, 2007]; 12 La tassonomia attuale, basata sulle omologie del genoma virale, ha individuato 5 specie in cui vengono distribuiti 62 dei 64 sierotipi del genere [Fields et al, 2007]: • Poliovirus (Poliovirus umano 1, 2, 3); • ENTV umano A (10 sierotipi) con Coxsackievirus A2, A3, A5, A7, A8, A10, A12, A14, A16 e ENTV umano 71; • ENTV umano B (36 sierotipi) con CoxsackievirusA9, B1/B6, Echovirus 1/7, 9, 11/21, 24/27, 29/33, ENTV umano 69; • ENTV umano C (11 sierotipi) con Coxsackievirus A1, A11, A13, A15, A17/A22, A24; • ENTV umano D (2 sierotipi) con ENTV umano 68 e 70; Rimangono assestanti Coxsackievirus A4 e A6 [Fields et al, 2007]. Figura 3: Albero filogenetico degli enterovirus, PV: poliovirus; HEV-A: enterovirus umano specie A; HEV-B: enterovirus umano specie B; HEV-C: enterovirus umano specie C; HEV-D: enterovirus umano specie D. (http://bvs.sld.cu/revistas/mtr/vol59_2_07/f0103207.jpg) 13 1.5 Patogenesi degli Enterovirus Le patologie umane causate dagli ENTV sono molto varie e presentano sintomi e tempi d’incubazione differenti. Normalmente l’infezione rimane subclinica, caratterizzata da moltiplicazione virale a carico della sede primaria d’infezione, in particolare l’orofaringe e l’intestino [Fields et al, 2007]. Mediante lisi delle cellule gli enterovirus raggiungono lo stadio finale dell’infezione che consiste nel rilascio della progenie virale dal sito primario d’infezione, attraverso le vie respiratorie e la parete intestinale dell’ ospite, dove svolge un primo ciclo di replicazione al livello del tessuto linfoide associato all’ intestino (gut-associated lymphoid tissue o GUT) o associato alle mucose (mucose-associated lymphoid tissue o MALT). Per via linfatica, mantenendo un’attiva replicazione e dopo un periodo d’incubazione di 7-14 giorni, raggiunge gli organi bersaglio secondari con frequenza variabile in relazione ad una serie numerosa di fattori in un certo numero di soggetti, vi è la possibilità che i vari ENTV diffondano nell’organismo in sedi di infezione secondaria. Dopo un periodo d’incubazione, l’infezione si estende tramite il sistema linfatico agli organi bersaglio secondari come: la cute, il cervello, il sistema nervoso centrale, l’encefalo, le meningi, il fegato e il cuore. In tal caso essi possono dare origine ad una grande varietà di sintomi morbosi [Fields et al, 2007]. Figura 4: Patogenesi degli Enterovirus (http://pathmicro.med.sc.edu/virol/picorna.htm) 14 Tra le molteplici patologie umane causate dall’infezione da ENTV troviamo di particolare importanza clinica la MC [Kühl U et al, 2012; Feldman AM et al, 2000], causata nel 50% dei casi da agenti eziologici, di cui circa il 1015% sono proprio gli ENTV [Kühl U et al, 2012], che può evolvere in CMD [Ellis CR et al, 2007]. La prima risposta immunitaria all’infezione dell’ospite è aspecifica, macrofagi, natural killer (NK), attivazione del complemento. La risposta specifica è di tipo sia umorale sia cellulare, mediata dalle immunoglobuline secrete dai Linfociti B la prima e dall’effetto citopatico dei Linfociti T la seconda. Oltre alla segnalazione mediata dalle citochine, ulteriori meccanismi di presentazione degli antigeni virali ai linfociti aumentano l’intensità e la specificità della risposta immunitaria [Abul KA et al, 2010]. In seguito, si ha la produzione di citochine ed altri mediatori quali il tumor necrosis factor (TNF), l’interleuchina 1 (Il1) e l’interleuchina 6 (Il6). Un rilascio eccessivo di citochine come dimostrato in molti casi può causare cronicizzazione dell’infiammazione e danni tissutali diretti. Le citochine infiammatorie over espresse nella prima fase (TNF, IL6, IL8) causano direttamente dilatazione del tessuto attivando delle metallo-proteinasi come gelatinasi, collagenasi ed elastasi. Dove, l’iperattivazione dei linfociti CD4+ e CD8+ e il processo autoimmune, promosso dal mimetismo antigenico tra gli antigeni virali e quelli cardiaci, aggrava lo sviluppo della CMD. Le cellule infettate vengono fagocitate da APC, che espongono poi sulla loro superficie gli antigeni proteici del capside virale processati nel Golgi ed associati a recettori MHC di classe I. Attraverso questo tipo di segnalazione, accompagnata dal riconoscimento di molecole co-stimolatorie che aumentano l’affinità̀ del legame tra antigene e recettore, vengono reclutati e attivati dei linfociti citotossici (CTL) o CD8+, che eliminano l’antigene lisando le cellule infettate. Anche nella fase extracellulare del loro ciclo biologico, i virus vengono captati da APC specializzate. I Linfociti B, oltre a sintetizzare e secernere immunoglobuline dirette contro gli epitopi del capside con funzione neutralizzante e opsonizzante per i macrofagi, si comportano come se fossero delle APC: fagocitano i virus e li processano, esponendo i peptidi del capside in associazione al complesso MHC di classe II, specifico per i patogeni e gli 15 antigeni plasmatici. Il riconoscimento del complesso MHC-antigene causa l’attivazione di linfociti T helper (CTH) o CD4+ [Abul KA et al, 2010]. 1.6 La Miocardite La MC è un processo infiammatorio a carico del miocardio determinata da diverse eziologie [Ellis CR et al, 2007] quali malattie sistemiche o alterate condizioni metaboliche, infezioni batteriche, infezioni micotiche e in particolare infezioni virali [Krawczyk J et al, 2011]. Nei paesi occidentali industrializzati le infezioni virali presentano una particolare rilevanza nello sviluppo di tale patologia [Kühl U et al, 2012]. Lo sviluppo di disfunzioni meccaniche e/o elettriche a carico del muscolo cardiaco determinano spesso l'instaurarsi di fenomeni di ipertrofia o dilatazione delle camere ventricolari. L’infezione virale del miocardio può essere distinta in fulminante o acuta. Un andamento fulminante può portare ad una rapida perdita della funzionalità cardiaca; tuttavia, i pazienti affetti da miocardite fulminante hanno una prognosi migliore e a lungo termine rispetto a quelli affetti da miocardite acuta, infatti quest’ultima più frequentemente provoca la morte o necessita di trapianto cardiaco a causa della sua evoluzione in CMD [Schultz JC et al, 2009; Ellis CR et al, 2007]. Diversi dati sperimentali hanno permesso di distinguere tre fasi nella progressione da miocardite virale a CMD [Liu PP et al, 2001]. Figura 5: Progressione da miocardite virale a CMD (http://circ.ahajournals.org/content/104/9/1076/F1.expansion.html) 16 Fasi nella progressione da miocardite virale a CMD: - La prima fase consiste nel processo infettivo, in cui si ha una prima replicazione del virus all’interno del tessuto linfoide e la stimolazione della risposta immunitaria innata. Successivamente, trasportato attraverso il sistema linfatico dell’ospite, raggiunge siti secondari di infezione, come i cardiomiociti del cuore; in questo processo le proteasi virali e le citochine infiammatorie sono responsabili dei danni cellulari diretti. - La seconda fase è caratterizzata dall’attivazione della risposta immunitaria specifica dell’ospite, finalizzata ad attenuare la proliferazione del virus. Nella seconda fase si attua una reazione autoimmune mediata dalla stessa cellula miocardica, verso proteine cardiache rilasciate dai cardiomiociti danneggiati. - La terza fase, porta ad una progressione della patologia che determina un periodo di latenza, durante il quale una reazione infiammatoria cronica darebbe luogo ad un crescente danno miocardico [Dennert R et al, 2008]. Oltre agli ENTV gli agenti eziologici coinvolti nella miocardite sono molteplici, nei tessuti dei pazienti affetti da miocardite sono stati individuati diversi agenti eziologici virali: • Enterovirus • Citomegalovirus (CMV) • Virus diEpstein-Barr (EBV) • Virus dell’epatite C (HCV) • Parvovirus B19 (PVB19) • Virus erpetico umano 6 (HHV6) Tuttavia il CVB3 riveste un ruolo di particolare importanza e sembra essere come si evince dall’odierna letteratura il virus maggiormente cardiotoropico [Ellis CR et al, 2007]. 17 1.7 Virus Cardiotropici: meccanismo d’infezione Per penetrare nelle cellule target i Coxsackievirus sfruttano proteine funzionali della cellula, nel caso particolare una proteina integrale di membrana detta “Coxsackie and Adenovirus Receptor” (CAR) [Freimuth P et al, 1999], utilizzato anche dagli ADV [Bergelson JM et al, 1997]. Inoltre, nel modello proposto da vari autori sembra implicato anche un co-recettore detto “Decay-Accelerating Factor” (DAF). CAR e DAF sembrano che interagiscono tra loro per permettere il riconoscimento e l’adsorbimento del virus con azione sinergica [Bergelson JM et al, 1997]. 1.7.1 CAR: “Coxsackie and Adenovirus Receptor” Il recettore CAR è una glicoproteina di membrana di 46kDa localizzata, in condizioni non patologiche a livello dei dischi intercalari del tessuto muscolare cardiaco [Selinka HC et al, 2004]. Appartenente alla superfamiglia delle immunoglobuline (IG) presenta due domini extracellulari D1 e D2, del tutto simili a quelli delle IG [Liu PP et al, 2000] attraverso i quali, probabilmente, avviene l’adsorbimento dei virus alla cellula. Diversi studi suggeriscono che l’espressione del recettore CAR oltre che essere regolata da segnali che controllano la proliferazione e il differenziamento cellulare, può essere indotta dalla risposta immunitaria probabilmente in relazione all’up-regolazione delle citochine infiammatorie prodotte in risposta all’infezione virale [Liu PP et al, 2000]. Biopsie di pazienti affetti da miocardite e CMD ad eziologia infettiva virale, rivelano una espressione up-regolata della proteina CAR [Selinka HC et al, 2004]. Questa maggiore espressione del CAR sarebbe indotta dalla risposta immunitaria verso queste cellule danneggiate e contribuirebbe ad aumentare l’internalizzazione virale portando in ultima analisi, tramite quindi un processo a feed-back positivo, all’amplificazione della malattia infiammatoria del miocardio [Liu PP et al, 2000]. In condizioni normali si osserva un basso livello di espressione del recettore CAR sulla membrana plasmatica delle cellule cardiache, ad oggi non è conosciuta l’espressione sulle cellule staminali cardiache adulte. 18 Nelle regioni di massima importanza per l'integrità funzionale del cuore, a livello dei dischi intercalari, si trova la quantità più elevata del recettore, ovvero, quelle che lo rendono, per le loro particolari proprietà, un sincizio funzionale [Selinka HC et al., 2004]. Nei tessuti adulti sono presenti diverse isoforme che permettono l’internalizzazione virale come emerge dalla letteratura, con caratteristiche morfo-funzionali diverse. L’isoforma CARex8 e l’isoforma CARex7; entrambe permettono l’internalizzazione dei Coxsackievirus nelle cellule suscettibili in vitro e in vivo, ma con diversa localizzazione cellulare [Excoffon KJ et al, 2010] Nelle cellule polarizzate degli epiteli, nelle quali si distinguono funzionalmente una parte apicale dotata di strutture specializzate, i microvilli dell’epitelio intestinale, e una parte basale che poggia su un connettivo a funzione trofica, CARex8 si localizza in maniera diffusa su tutta la superficie della membrana, mentre CARex7 si localizza specificamente al livello della membrana basolaterale, in particolar modo sulle giunzioni strette. Anche nel cuore umano e in quello murino adulto è stata rilevata l’espressione di entrambe le isoforme, l’isoforma CARex7 è localizzata prevalentemente nei dischi intercalari interposti tra i cardiomiociti [Shaw AC et al, 2004]. L’adsorbimento virale nella cellula avviene tramite il legame del canyon virale nei domini immunoglobulinici del recettore CAR. In assenza di espressione della proteina CAR, il virus non infetta i cardiomiociti [Shi Y et al, 2009], per tale evidenza è stato osservato che l’espressione del recettore CAR risulta essere necessario e sufficiente affinché avvenga il riconoscimento e la penetrazione dei Coxsackievirus nelle cellule target umani e murini [Tomko PR et al, 1997]. Alcuni studi dimostrano che l’infezione virale porta ad una modifica dell’espressione del gene che codifica per il recettore CAR, in particolare, sembra che sia up regolata nel tessuto cardiaco di pazienti affetti da insufficienza cardiaca dovuta a CMD; tale sovraespressione potrebbe contribuire alla propagazione virale, amplificando ulteriormente la malattia infiammatoria miocardica [Selinka HC et al, 2004] 19 1.7.2 DAF: “Decay-­‐Accelerating Factor” L’efficienza d’internalizzazione dei Coxsackievirus nelle cellule target è aumentata sinergicamente dall’interazione con il co-recettore DAF [Bergelson et al, 1994]. La proteina DAF è un recettore di membrana, sfruttato anche dai Coxsackievirus per l’internalizzazione nelle cellule suscettibili [Bergelson JM et al, 1994], l’espressione sulla membrana eritrocitaria è connessa alla funzione regolatoria del recettore sul sistema del complemento. Si tratta di una proteina regolatoria di 72kDa di cui sono note almeno due principali isoforme, frutto di splicing alternativo, una delle quali è una proteina di membrana e l’altra una proteina solubile, espressa a livelli inferiori rispetto alla prima [Osuka F et al, 2006]. L’isoforma del DAF, proteina di membrana, si inserisce nel doppio strato di fosfolipidi grazie ad un’ancora di glicofosfatidilinositolo (GPI) e presenta quattro domini extracellulari in grado di legare le proteine C1-C6 del sistema del complemento [Williams P et al, 2003], è in grado di inibire l’assemblaggio dell’enzima C3-convertasi in assenza di patogeni, proteggendo le cellule dalla lisi autologa [Uhrinova S et al, 2003]. L’azione principale della proteina DAF, che interviene nella via classica e in quella alternativa del sistema del complemento, è quella di prevenire la lisi autologa, rendendolo riconoscibili le cellule dell’ospite come “self” da parte del sistema immunitario [Harris CL et al, 2007]. DAF risulta coinvolto nella diffusione dell'infezione virale ai differenti organi bersaglio, ma non è indispensabile per l’interazione e penetrazione del virus per la cui azione è sufficiente la sola presenza del recettore CAR, sebbene pare che il primo contatto del virus sia con il DAF. Mentre CAR risulta essere espresso in quelle regioni di massima importanza per l’integrità funzionale del cuore, che lo rendono un sincizio funzionale, il co-recettore DAF è abbondantemente espresso a livello delle cellule epiteliali ed endoteliali, inoltre l’espressione risulta essere transiente [Selinka HC et al, 2004]. Poiché CAR è espressa nelle giunzioni strette basolaterali, non immediatamente accessibile al virus. La proteina DAF essendo invece abbondantemente espressa sulla superficie apicale delle cellule, può essere 20 più accessibile e sarebbe la candidata per il primo contatto con il virus [Selinka HC et al, 2004]. L’adsorbimento del virus al recettore DAF sulla superficie apicale delle cellule causa l’attivazione di una cascata del segnale tramite particolari enzimi (Abl e Fyn) che portano ad un riarrangiamento dell’actina citoscheletrica e uno scorrimento del recettore sulla membrana sino alle giunzioni strette dove è localizzato il recettore CAR [Yajima T et al, 2009]. Figura 6: Internalizzazione dei Coxsackievirus. [Yajima T, Knowlton KU, 2009]. La formazione di un complesso recettoriale CAR-DAF causa l’internalizzazione sinergica dei virus in vescicole endocitotiche del diametro di circa 50 nm, definite caveole [Altschmied J et Haendeler J, 2009; Tagawa A et al, 2005] in quanto rivestite da una impalcatura strutturale costituita di caveolina. L’internalizzazione delle caveole richiede sia la fosforilazione della tirosina della caveolina da parte delle chinasi della membrana cellulare AbI, sia un riarrangiamento dei filamenti di actina del citoscheletro e l’intervento delle proteine motrici della famiglia delle miosine, che si muovono sul citoscheletro poiché possiedono delle “teste” globulari capaci di legare l’actina dei filamenti intermedi. Grazie a queste proteine motrici le vescicole scorrono lungo l’actina filamentosa e si spostano nel citoplasma [Selinka HC et al, 2004]. 21 E’ stato dimostrato che il recettore CAR e il co-recettore DAF presentano una stretta associazione spaziale a formare un “CAR-DAF Receptor Complex” che permetterebbe un’efficiente internalizzazione e diffusione virale sia in senso orizzontale che verticale all’interno del tessuto [Martino TA et al, 1998]. Figura 7: Internalizzazione virale: orizzontale e verticale all’interno dei tessuti [Selinka HC et al,2004]. L’azione del “CAR-DAF Receptor Complex” favorirebbe l’instaurarsi di un processo transcitotico che consentirebbe la penetrazione del virus nelle cellule target [Selinka HC et al, 2004]. Il processo transcitotico prevede che le vescicole formatesi nel dominio apico-laterale della membrana durante l’internalizzazione vengano trasportate nel citoplasma per movimento attivo sul citoscheletro e gemmino dal dominio basale alle cellule adiacenti. Questo meccanismo spiegherebbe la diffusione attraverso vari strati cellulari e la possibilità dei Coxsackievirus di infettare anche le cellule staminali cardiache residenti del cuore, impedendo quindi la rigenerazione tissutale con conseguente cicatrizzazione del tessuto infartuato. Anche a livello endoteliale DAF sarebbe coinvolto nella diffusione dell'infezione virale ai differenti organi bersaglio secondari, dove DAF risulta espresso sulla superficie apicale delle cellule endoteliali. Le barriere epiteliali e quelle endoteliali possono dunque essere superate attraverso un'infezione virale o mediante transcitosi del virus. 22 Infatti, è proprio in relazione alla distribuzione del corecettore DAF a livello tissutale, che si ha un effetto amplificato del virus [Selinka HC et al, 2004]. L’infezione da Enterovirus diffonde a gli organi secondari perchè il virus attraversa molto efficacemente numerosi strati di cellule epiteliali del tratto gastrointestinale o del tratto respiratorio nel corso dell'infezione sistemica. La presenza caratteristica nel tessuto epiteliale dalla presenza di cellule polarizzate contigue, unite le une alle altre mediante giunzioni strette, facilita l’infezione virale. È noto che sulle cellule epiteliali polarizzate l'espressione delle proteine CAR è limitata a tali giunzioni strette, a livello delle quali si trova una proteina strutturale che funziona da recettore virale: la molecola di adesione giunzionale (JAM), ovvero il recettore per Reovirus. Grazie alle interazioni specifiche dei Reovirus con JAM e dei Coxsackievirus con il recettore CAR, i membri di queste famiglie di virus utilizzano le giunzioni strette per superare la stretta barriera dell' epitelio gastrointestinale. Poiché CAR è espresso solo nelle giunzioni strette basolaterali, tale recettore non è facilmente accessibile al virus. La proteina DAF è abbondantemente espressa sulla superficie apicale delle cellule e può fornire il primo contatto con il virus [Liu et Opvasky 2000]. 23 1.8 Variabilità alle infezioni Le malattie infettive rappresentano una delle maggiori cause di morte nel mondo, con prevalenze che variano della patologia e dalla variabilità genetica individuale. L’andamento delle malattie infettive causate da diversi microrganismi è influenzato in modo sostanziale dalla varietà genetica dell’ospite, in relazione soprattutto alla risposta immunitaria e fa riferimento ad un certo grado di variabilità genetica dei vari individui, delle varie popolazioni [Johnson WE, 2010]. Individuare le varianti geniche della suscettibilità delle infezioni costituisce un elemento fondamentale per la ricerca di nuovi approcci terapeutici e farmacologici. Le infezioni virali nel corso dell’evoluzione hanno contribuito a modellare la variabilità genetica umana, aumentando o diminuendo la predisposizione alle infezioni. Recenti studi rivelano che nel genoma di molti animali compresi i mammiferi, tra cui l’uomo, contiene numerosi Elementi Virali Endogeni (EVEs) [Katzourakis A et al, 2010], ossia delle vere e proprie “sequenze molecolari” ereditate in seguito ad infezioni anche da generazioni passate e successivamente tramandate alla prole nel corredo genetico [Johnson WE, 2010]. Nel genoma dei mammiferi la maggior parte degli EVEs deriva da retrovirus, virus in cui l’integrazione del genoma virale in quello ospite è necessaria per l’infezione. Recenti studi genetici, riscontrano EVEs derivati dall’integrazione di virus non retrovirali, per ricombinazione omologa con il DNA genomico dell’ospite. Durante il processo evolutivo, questi EVEs si sono integrati nelle linee germinali delle specie infettate, si sono trasmessi fino ai giorni nostri determinando un certo grado di variabilità genetica e quindi una certa suscettibilità alle infezioni virali [Johnson WE, 2010]. 24 1.9 Resistenza all’infezione da HIV HIV è un retrovirus del genere Lentivirus con un genoma costituito da due copie di RNA a polarità positiva non complementari, responsabile della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita o AIDS [Fields et al, 2007]. L’infezione da HIV sfocia nella sindrome da immunodeficienza acquisita dopo 7-8 anni dall’infezione, portando a morte l’individuo per malattie infettive opportunistiche o tumori nel giro di 2 anni. Tale profilo è osservabile, in assenza di terapia, in oltre il 90% degli individui infetti; la residua minoranza di individui si distribuisce agli estremi della gaussiana dell’infezione, ed è quindi suddivisibile in individui cosiddetti con progressione rapida, che sviluppano AIDS e muoiono entro 3-4 anni dall’infezione e individui detti lungo sopravviventi o long term survivors (LTNP) [Fields et al, 2007]. La definizione originale di LTNP indicava individui con almeno 7 anni di sieroconversione certificata (ovvero, in cui esisteva il documentato sviluppo di anticorpi anti-HIV tra due intervalli di tempo), buone condizioni di salute, livelli di linfociti T CD4+ circolanti ≥ 500 cellule/µl senza mai aver assunto, anche transientemente, farmaci antiretrovirali. Si era inizialmente stimato che individui LTNP fossero il 5-10% della popolazione generale, ma queste percentuali si sono ridotte con il tempo e oggi si pensa che essi non ne rappresentino più dell’1-2%. Sebbene esigui numericamente, gli individui LTNP rappresentano un importante modello naturale di controllo spontaneo dell’evoluzione della malattia. Le cause di questa relativamente fortunata condizione sono classificabili in tre categorie : (a) fattori virali. Un’ipotesi per spiegare un decorso più benigno dell’infezione è che gli individui LTNP siano infettati con varianti virali attenuate per patogenicità. Ciò è stato dimostrato in una piccola percentuale di LTNP in cui è stato possibile dimostrare mutazioni nel virus infettante. Tra gli altri geni, molti studi si sono focalizzati su mutazioni e delezioni del gene virale nef, il cui prodotto proteico esercita diverse funzioni tra cui aumentare l’infettività del virus. Complessivamente, i fattori virali vengono considerati una componente minore del fenotipo LTNP [Fields et al, 2007]; 25 (b) fattori genetici dell’ospite. La scoperta del paradigma del secondo recettore, o co-recettore, chemochinico (CCR5 o CXCR4) per l’infezione virale delle cellule bersaglio ha permesso di svelare molti aspetti importanti della storia naturale dell’infezione da HIV. In particolare, una variante allelica di CCR5 – comportante una delezione di 32 paia di basi (Δ32) causa della mancata espressione in membrana del recettore chemochinico – se in configurazione omozigote era alla base della quasi totale resistenza all’infezione da parte di individui esposti frequentemente al rischio d’infezione. La condizione di omozigosi dominante, rende il soggetto refrattario all’infezione da HIV, mentre lo stato di eterozigosi rende LTNP ovvero i soggetti sono infetti ma la loro progressione clinica è molto più lenta rispetto alla controparte omozigote recessiva, per la difficoltà che il virus incontra a diffondersi nell’organismo [Julg B et Goebel FD, 2005; Li M et al, 2005]. Questi individui sono definiti in modo variabile come esposti frequenti non infetti, o esposti sieronegativi; sono attualmente noti solo una decina di questi individui infettati da virus utilizzante CXCR4 come corecettore. Per contro, individui eterozigoti per CCR5-Δ32 sono suscettibili all’infezione, ma frequentemente divengono LTNP (in quanto il recettore è mediamente espresso a livelli più bassi rispetto a individui senza la mutazione). Dopo la scoperta del ruolo fondamentale di CCR5 nell’infezione e del ruolo protettivo della sua variante allelica CCR5-Δ32, molti studi hanno cercato altri correlati genici della condizione LTNP (la mutazione Δ32 era verificabile nel 30% dei LTNP). Diversi altri geni sono emersi con diversa forza correlativa alla condizione LTNP sebbene la modalità di protezione non sia così diretta come nel caso della variante CCR5-Δ32 [Fields et al, 2007]. Inoltre, è’ stato messo in evidenza anche che l’omozigosi per l’aplogruppo CCR2b-64I, potrebbe procurare resistenza all’infezione da HIV, in prostitute esposte per lungo termine al virus in Tailandia [Yang C et al, 2003]; (c) fattori immunologici. In particolare, ricerche sulla resistenza all’infezione virale sono in corso per comprendere la mancata trasmissione di HIV tra partner sessuali non concordanti; una delle possibili cause potrebbe essere rappresentata dalla variabilità in alcuni parametri quali, suscettibilità linfocitaria al virus, immunità cellulo-mediata o produzione di 26 interferone gamma, piuttosto che a caratteristiche genetiche virali [Bienzle D et al, 2000]. Molti studi hanno evidenziato migliori risposte immunitarie all’infezione da HIV in soggetti LTNP rispetto a popolazioni controllo di progressori normali. Si può complessivamente riassumere che tutte le funzioni immunologiche studiate (risposte linfocitarie T CD4+ e CD8+, incluse risposte citotossiche, produzione di anticorpi neutralizzanti, secrezione di chemochine leganti CCR5 e di altri fattori solubili protettivi, altri aspetti legati all’immunità innata) abbiano complessivamente indicato come gli individui LTNP posseggano un sistema immunitario più intatto e rispondano più vigorosamente all’infezione rispetto agli individui controllo [Abul KA et al, 2010]. Da questa osservazione non è semplice evincere se la migliore risposta immunitaria all’infezione sia la causa della condizione LTNP (almeno nei casi in cui si possano escludere fattori genetici o l’infezione da parte di varianti attenuate del virus), o se piuttosto ne sia la conseguenza. Se fosse vera l’ipotesi causale, ci si dovrebbe chiedere quale delle diverse risposte immunitarie sia veramente protettiva e quali siano invece un corollario epifenomenico. Una parziale risposta a questi quesiti ancora aperti potrà venire dal monitoraggio dei diversi parametri immunitari in individui LTNP che improvvisamente perdono il controllo, anche dopo molti anni, della loro infezione (come dimostrato dall’aumento dei livelli di viremia plasmatica e/o dalla perdita di linfociti T CD4+ (500 cellule/µl). Complessivamente, gli individui LTNP rappresentano ancora un fenomeno in parte incompreso nella loro natura. È presumibile che la scoperta dei meccanismi sottendenti questa condizione di resistenza allo sviluppo della malattia, alcuni LTNP convivono con la loro infezione da oltre 20 anni, possa essere di grande utilità per lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche contro l’infezione [Molina A et al, 2005]. Dallo studio di tutti i fattori di resistenza all’infezione da HIV, la papabile per una terapia è la variante CCR5-Δ32 da cui è emerso che è del tutto compatibile con le funzioni immunologiche umane normali, ma incompatibile con l’internalizzazione del virus nelle cellule competenti. La selezione e l’inoculo di cellule staminali midollari, portatrici del polimorfismo CCR5-Δ32 omozigote, potrebbe quindi essere utile nella cura di soggetti affetti da aplasia midollare, causata dalla chemioterapia nel trattamento del linfoma aggressivo [Molina A et al, 2005] e potrebbe essere 27 proposto nelle fasi più gravi dell’immunodeficienza stessa. Lo studio di tutti i fattori di resistenza all’infezione virale da HIV, potrebbe costituire un passo importante nel controllo dell’infezione, qualora i soggetti che necessitano di trapianto di cellule staminali midollari (che si differenziano in progenitori emopoietici) potessero avere infuse cellule staminali resistenti ad HIV nel midollo. 1.10 Geni coinvolti nella resistenza alle infezioni Diversi approcci sperimentali sono stati utilizzati per l’identificazione dei geni coinvolti nella suscettibilità alle malattie infettive: - analisi della mappa di ricombinazione dei geni di suscettibilità in animali da esperimento; questa analisi ha portato all’identificazione della controparte umana dei geni in esame [Klug WS, 2007]. - analisi di associazione semplice a malattie infettive in studi di famiglie affette/non affette e analisi di linkage in studi di individui non imparentati, per la comprensione di malattie “multi-loci” complesse [Molina A et al, 2003]. - knockout genico sperimentale per verificare gli effetti delle mutazioni nulle in geni candidati nella suscettibilità alle infezioni; questi studi hanno portato all’identificazione della controparte umana dei geni in esame [Klug WS, 2007]. - analisi dei geni candidati in studi di “caso-controllo”; la frequenza di varianti geniche sospettate di avere un ruolo nella suscettibilità alle infezioni o nella patogenesi delle malattie, è più alta nei “casi” rispetto agli individui sani, i “controlli” [Conti G et al, 2007]. - Analisi dei geni che correlano l’immunità o la resistenza innata alle infezioni; un esempio è il sistema HLA umano e le varianti geniche di lectine che legano il mannosio, coinvolte nella resistenza all’infezione da HBV [Kacprzak-Bergman I et al, 2005]. 28 1.11 Terapie E’ noto che l’infarto del miocardio è la più comune causa di morte nei paesi industrializzati e in Italia provoca circa il 30-35% dei decessi annui [Pavone P, 2008]. Un possibile approccio risolutivo per rimpiazzare i cardiomiociti danneggiati irreversibilmente durante l’infarto potrebbe essere rappresentato dalla terapia cellulare che prevede l’impianto di cellule staminali cardiache adulte con capacità di generare nuovi cardiomiociti [Forte G et al, 2009]. L’impianto di cellule staminali adulte potrebbe quindi rappresentare un approccio terapeutico innovativo per curare la patologia cardiaca e sopperire al trapianto d’organo [Forte G et al, 2009]. L’impianto di cellule staminali adulte potrebbe quindi rappresentare un approccio terapeutico innovativo per curare la patologia cardiaca e sopperire al trapianto d’organo. Recentemente sono state coltivate linee cellulari staminali ottenute da vari organi, tra cui del cuore, per verificare la possibilità di generare in vitro, tessuti umani adulti funzionali. Isolando e propagando cellule staminali multipotenti che potrebbero essere indotte a differenziarsi in maniera indipendente dal tessuto di provenienza ed essere efficacemente impiegate per riparare i tessuti danneggiati [Beltrami AP et al, 2007]. Lo studio delle interazioni geniche e molecolari è necessario per finalizzare un approccio risolutivo per individuare possibili target farmacologici al fine di contrastare l’infezione in quanto le interazioni virus cellula ospite presentano un ruolo chiave nei meccanismi coinvolti nell'azione eziopatogenica. L’infiammazione virale è associata alla produzione di Interferone (IFN) di tipo I da parte delle cellule infettate. Gli IFN di tipo I sono una grande famiglia di citochine correlate strutturalmente che mediano le fasi precoci della risposta immunitaria innata interferendo così con l’infezione virale. Molti segnali biochimici causano la produzione di IFN, tra i quali il riconoscimento di RNA e DNA virale da parte dei recettori Toll-Like (TLR) e l’attivazione di chinasi citoplasmatiche da parte dell’RNA virale. Le vie di trasduzione del segnale innescate dai TLR e dai sensori citoplasmatici convergono sull’attivazione della chinasi che attivano i fattori di trascrizione 29 che, a loro volta, stimolano la trascrizione di geni che codificano per gli IFN di tipo I [Abbas A et al, 2010]. Dalla letteratura emerge che la regolazione genetica e molecolare attraverso cui i virus controllano il macchinario biosintetico molecolare cellulare alla base della risposta della cellula ospite alle infezioni virali ha fornito, contributi importanti alla definizione degli elementi cellulari e molecolari implicati nella risposta innata. Le conoscenze, sempre più approfondite negli ultimi anni, sulla complessa rete di segnali e di prodotti genici coinvolti nelle interazioni virus cellula ospite sono cresciute negli ultimi anni, le nuove informazioni su questi aspetti modificheranno profondamente le procedure metodologiche per lo sviluppo di nuovi strumenti terapeutici antivirali. Recentemente, particolare attenzione è rivolta alle cellule staminali del midollo osseo che potrebbe essere una base per studi anche su altre cellule staminali e alle loro interazioni con i virus. Nel midollo, oltre alle cellule staminali che sostengono l’ematopoiesi (Hematopoietic staminal cell, HSC), esiste una sottopopolazione di cellule definite mesenchimali (Mesenchimal Staminal o Marrow Stromal Cells, MSC), scoperte nel 1973 da Friedenstein e che studi recenti hanno dimostrato trovarsi anche nei tessuti adulti [Schipani E, Kronenberg HM, 2009]. Le cellule mesenchimali hanno delle enormi potenzialità di “self- renewal” e grande plasticità: a seconda degli stimoli differenti che ricevono in vivo o in vitro possono differenziarsi in molte derive cellulari. Vari studi, infatti, hanno focalizzato l'attenzione sulle cellule staminali mesenchimali del midollo osseo umano (hMSCs) ritenendole ottime candidate per la terapia cellulare l'ingegneria tessutale [Huang G et al, 2008]. Ultimi sviluppi dimostrano che il gene che codifica per la subunità catalitica della telomerasi umana (hTERT) può prolungare la durata della vita delle hMSCs e mantenere il loro potenziale di differenziamento osteogenico in vitro [Huang G et al, 2008]. Quindi l'introduzione della subunità catalitica della telomerasi nelle hMSCs mantiene il fenotipo delle cellule staminali; in questo modo è possibile ottenere un numero sufficiente di cellule da utilizzare per studi meccanicistici del differenziamento cellulare e per i protocolli di ingegneria dei tessuti. 30 Allo scopo di verificare se sia possibile generare in vitro, da differenti tessuti umani adulti, popolazioni di cellule con un comportamento, in coltura, come cellule staminali multipotenti in vivo [Beltrami AP et al, 2007], la letteratura propone colture cellulari ottenute da vari organi, tra i quali fegato umano adulto, cuore e midollo osseo. Le cellule ottenute dai tre differenti tessuti hanno espresso fattori di trascrizione specifici dello stato di pluripotenza, mostrando attività telomerasica e mantendo un contenuto diploide di DNA [Beltrami AP et al, 2007], evidenziando come tali, un pattern di espressione indipendentemente dal tessuto dal quale erano state isolate [Beltrami AP et al, 2007]. Tali risultati dimostrano come sia possibile ottimizzare un protocollo in vitro per generare ed espandere cellule da molti organi che potrebbero essere indotte ad acquisire le caratteristiche morfologiche e funzionali di particolari tessuti, anche non connesso al tessuto di origine. Abbiamo perfezionato quindi un protocollo, verificato la suscettibilità all’infezione di una linea cellulare staminale umana adulta cardiaca HHTO2, ingegnerizzata con la subunità catalitica della telomerasi (Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare, Università di Roma Tor Vergata), con un isolato clinico da un paziente affetto da cardiomiopatia dilatativa del ceppo CVB3. 31 2 Scopo Lo scopo di questa tesi è indagare il meccanismo molecolare d’interazione virale con le cellule staminali cardiache adulte, analizzando il pattern di espressione genica al fine di individuare nuovi target per possibili strategie farmacologiche o staminali. 32 3 Materiali e Metodi L’attività di ricerca è stata articolata in tre momenti distinti: ü Verifica dell’espressione recettore CAR ü Infezione delle linee cellulari e valutazione dell’infezione virale; ü Valutazione dei profili di espressione mediante PCR Array e RealTime PCR. 3.1 Colture Cellulari I virus sono incapaci di moltiplicarsi in terreni artificiali, in quanto necessitano di cellule viventi per la loro replicazione. Si utilizzano, pertanto, animali da laboratorio, uova embrionate e colture cellulari in vitro. Gli embrioni di pollo contengono vari tipi di cellule, nelle quali possono replicarsi vari tipi di virus, e ciò ha reso possibile l'infezione e la coltura di diversi virus in cellule idonee. Attualmente le colture cellulari hanno sostituito l' uso delle uova embrionate, salvo alcune eccezioni come il virus dell'influenza. Le colture cellulari sono ottenute da tessuti o organi, prelevati da animali, che vengono trattati con enzimi proteolitici per ottenere delle sospensioni di singole cellule. Tali cellule dopo la crescita non presentano tracce della primitiva organizzazione e morfologia, assumendo un aspetto epitelioide o fibroblastico. Le principali fonti sono: tessuto epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso, anche in relazione al fatto che alcuni virus vivono solo in determinati tessuti. Le cellule ottenute da questi tessuti, dopo trattamento proteolitico sono fatte crescere a 37 °C con speciali terreni di coltura in recipienti di vetro o di plastica. Questi terreni, costituiti da soluzioni saline bilanciate e opportunamente tamponate con sodio bicarbonato a pH 7.4, contengono sali, idrati di carbonio, vitamine, aminoacidi e siero fetale, tutte sostanze nutritizie di cui le cellule hanno bisogno per crescere. Inoltre possono essere addizionati con antibiotici, antibatterici ed antimicotici, per prevenire le contaminazioni batteriche e fungine. Cellule eucariotiche provenienti dalla dissociazione di tessuti animali possono essere mantenute in vita in colture cellulari per tempi anche molto 33 lunghi, usando condizioni appropriate. Le colture cellulari eucariotiche offrono il vantaggio di poter diminuire la sperimentazione animale, con modelli spendibili nella ricerca. Le colture di tessuto od organo derivano ad espianti di tessuto o di frammenti d’organo le cui cellule hanno mantenuto l’architettura originaria. Le colture cellulari derivano da sospensioni cellulari allestite tramite disgregazione meccanica e chimica dei tessuti d’interesse. Tali cellule dopo la crescita assumono un aspetto epitelioide o fibroblastico perdendo completamente l’architettura originaria [Mariottini G, 2003]. Le linee cellulari così ottenute vengono mantenute in coltura stabilmente da condizioni di crescita note: 37° al 5% di CO2 con terreni speciali di coltura con opportuni nutrienti e fattori di crescita del siero fetale bovino (FCS). Inoltre possono essere tamponate tramite soluzioni saline equilibrate. Questi terreni contengono le sostanze nutritizie quali: sali, idrati di carbonio, vitamine, amminoacidi, supplementi indispensabili per la crescita cellulare FCS al 5-10% in fase di crescita oppure al 1-3% per il mantenimento; inoltre possono essere addizionati di antibiotici o antimicotici (penicillina, streptomicina, gentamicina) per prevenire le contaminazioni batteriche e fungine. Il rosso fenolo è aggiunto per monitorare il terreno, che da rosso violaceo vira al giallo a causa dell’acidificazione determinata dall’esaurimento dei nutrienti da parte delle cellule [Mariottini G, 2003]. Le colture cellulari si distinguono in colture primarie se provengono da tessute e organi, e vengono considerate come tali fino a che non sono subcoltivate, dando origine a colture secondarie. Normalmente le subcolture hanno un genoma di tipo diploidi, fino a che il 75% delle cellule conserva le stesse caratteristiche o il cariotipo di quelle presenti dal tessuto o originario. Le cellule diploidi possono essere mantenute in vitro per lunghi periodi, ma generalmente dopo il cinquantesimo passaggio degenerano a meno di mutazioni del genoma, in cui si presentano con assetto genomico trasformato, poliploide. Queste cellule trasformate in genere di derivazione neoplastica divengono capaci di riprodursi in modo indefinito in vitro, originando linee cellulari, continue o stabilizzate. Le linee cellulare continue di origine epiteliale e fibroblastica possono essere mantenute indefinitamente mediante colture secondarie ad intervalli regolari se poste nelle apposite condizioni, inoltre possono essere conservate 34 previo congelamento a -70°C oppure in azoto liquido, mantenute in un medium composto da sospensione di terreno di coltura contenete dimetilsuffossido o glicerina per stabilizzare la membrana cellulare [Mariottini G, 2003]. Le linee cellulari più comunemente usate per i virus sono contrassegnate con le sigle HELA (carcinoma della cervice umana) e KB (carcinoma epidermoide della bocca umana). La semina delle cellule è di consuetudine preceduta da una conta cellulare in camera di Burker. La conta delle cellule e le opportune diluizioni coadiuvano l’ottimizzazione della crescita cellulare per la semina in fiasca [Mariottini G, 2003]. Per la realizzazione di questi esperimenti, sono state prese in esame due tipi di colture cellulari: - Cellule staminali adulte umane cardiache (HHTO2), ingegnerizzate con la subunità catalitica della telomerasi umana. Coltivate con terreno foto sensibile brevettato (Di Nardo P, Laboratorio di cardiologia molecolare e cellulare, università di Roma Tor Vergata). Addizionato di FCS a concentrazione pari al 10% del volume del terreno. L’infezione con CVB3 a concentrazione opportuna del 2%, dove la concentrazione minore di siero favorisce il processo infettivo. - Linea di controllo KB, suscettibili a infezioni da ENTV come dalla letteratura. Coltivate in terreno minino di MEM addizionato al 10% di FCS nella fase di espansione e al 2% FCS allestimento dell’infezione con CVB3. 35 3.2 Verifica dell’espressione del recettore CAR 3.2.1 Estrazione RNA cellulare Per verificare l’espressione del recettore CAR, il cui riconoscimento da parte del virus consente l’internalizzazione nella cellula, è stato estratto l’RNA messaggero (High Pure RNA Kit, ROCHE) dalle cellule HHTO2e dalla linea cellulare di controllo KB. L’RNA messaggero estratto è stato poi quantificato mediate elettroforesi su gel di agarosio. Per confermare l’espressione del recettore CAR è stata eseguita un’analisi immunoenzimatica con lettura spettrofotometrica. 3.2.2 RT-­‐PCR L’RNA estratto dalla linea cellulare staminale cardiaca umana HHTO2 e dalla linea cellulare di controllo KB, è stato poi retrotrascritto in DNA complementare (cDNA) tramite RT-PCR con random primers (Invitrogen). La reazione di retrotrascrizione prevede due fasi: - prima fase (PRE-RT): in cui avviene l’annealing dei primers all’RNA; per cui la miscela di reazione sarà composta dai primers e dall’RNA estratto, che vengono incubati per 10 minuti a 72°C. Sono stati utilizzati random primers (Invitrogen) che si legano in modo random in vari punti dei filamenti di RNA, che quindi viene retrotrascritto tutto. - seconda fase: vera e propria reazione di retrotrascrizione, in cui viene sintetizzato cDNA a partire da uno stampo di RNA a singolo filamento. Vengono quindi aggiunti nella provetta il buffer di reazione, MgCl2, la proteina RNase Inhibitor che inibisce le ribonucleasi, i nucleotidi (dNTPs) e l’enzima AMV Reverse Trascriptase (FINNZYMES). 36 Profilo di amplificazione: 72° 10min 42° 60min 95° 5min 4° ∞ 3.2.3 PCR con primers specifici Una volta prodotto, il cDNA viene amplificato tramite una reazione di PCR (PolymeraseChain Reaction) con primers specifici [Sollerbrant K et al, 2007], al fine di verificare l’espressione del recettore CAR nelle due linee cellulari HHTO2 e KB. La PCR è una tecnica che permette l’amplificazione esponenziale di un DNA stampo di cui si conosca, almeno in parte, la sequenza nucleotidica; infatti il frammento amplificato è definito da due brevi oligonucleotidi sintetici (primers) che sono complementari ai filamenti opposti del DNA stampo che deve essere amplificato. La soluzione è costituita da: - cDNA - “buffer” di reazione - dNTPs - MgCl2 - primers (senso e antisenso) - DNA polimerasi (Taq polimerasi) - H2 O La reazione di PCR prevede diverse fasi o “step”: - I° step (fase di denaturazione): separazione dei filamenti del DNA da amplificare; avviene a 94°C per circa 1 minuto. - II° step (fase di annealing): la temperatura viene abbassata fino a raggiungere la temperatura di annealing ottimale (40-60°C) e viene mantenuta per 1 minuto, consentendo ai due primers di appaiarsi ai filamenti opposti di DNA. 37 - III° step (fase di estensione): la temperatura viene innalzata fino a circa 72°C al fine di ottenere livelli di estensione ottimali da parte della Taq polimerasi che inizia a sintetizzare una nuovo filamento con una processività di circa 1000 basi/min. Questo enzima è stato isolato dall’archeobatterio termofilo “Thermophilus aquaticus”, che vive nelle sorgenti termali a temperature vicine al punto di ebollizione dell’acqua. Come conseguenza questa polimerasi è molto resistente alle alte temperature e si adatta in maniera ottimale alle temperature raggiunte durante la PCR. Queste tre fasi costituiscono un normale ciclo di PCR che verrà ripetuto circa 30-40 volte per ottenere un’amplificazione adeguata del frammento d’interesse. I primers utilizzati nella reazione sono: senso 5’-CGATGTCAAGTCTGGCGA-3’ antisenso 5’-GAACCGTGCAGCTGTATG-3’ Il profilo di amplificazione usato è il seguente: 94° 1 min 52° 1 min 72° 1,30 min 94° 45 sec 52° 30 sec 72° 1 min 72° 15 min 4 ∞ 5 cicli 30 cicli 38 3.2.4 Elettroforesi Per effettuare un’analisi qualitativa, l’RNA estratto è stato corso su un gel di Agarosio. Si definisce elettroforesi il movimento di una molecola provvista di carica netta in un campo elettrico. Molte molecole di interesse biologico (amminoacidi, proteine, nucleotidi ed acidi nucleici) possiedono gruppi ionizzabili e possono essere presenti in soluzione sia come cationi (ovvero carichi positivamente) che come anioni (carichi negativamente). Le molecole di acido nucleico possiedono una carica netta negativa e poste in un ambiente a pH neutro, tenderanno a migrare verso il polo positivo (anodo). La separazione delle molecole di acido nucleico avviene in base alla loro dimensione, infatti le molecole più piccole migreranno più velocemente tra le maglie del gel, localizzandosi più lontano dai pozzetti rispetto alle molecole più grandi. Figura 8: Elettroforesi su gel di agarosio. La preparazione di un gel di agarosio per elettroforesi avviene sciogliendo una quantità di agarosio in un tampone come il TAE (TRIS AMMONIO EDTA) e aggiungendo il Bromuro di Etidio il quale, essendo un agente 39 intercalante. Si intercala tra le basi del DNA ed emette fluorescenza se colpito da raggi UV. Il gel viene poi trasferito all’interno di un supporto elettroforetico collegato a due elettrodi e immerso nel tampone per la corsa elettroforetica (è infatti questo tampone che conduce la maggior parte della corrente). Successivamente viene aggiunto al campione da sottoporre ad elettroforesi un colorante (Blu di bromofenolo) per monitorare il movimento all’interno del gel, e glicerolo. I campioni vengono generalmente sospesi in una soluzione contenente glicerolo in modo da aumentarne la densità: in questo modo i campioni scendono nel pozzetto senza mescolarsi con il tampone. Il campione viene così applicato in opportune quantità all’interno dei pozzetti del nostro gel (ottenuti con un apposito “pettine”), procedendo in seguito alla corsa elettroforetica: si ha così la “separazione” netta di bande, visualizzabile grazie ad un’apposita apparecchiatura a raggi UV, che possono essere confrontate con marcatori di peso molecolare o di dimensione (markers o ladders) per avere conferma della loro specificità e corrispondenza ai segmenti genici attesi. 3.2.5 Saggio Immunoenzimatico Per verificare l’espressione del recettore CAR sulla membrana delle cellule della linea staminale cardiaca umana e sulla linea cellulare di controllo KB, è stato effettuato un saggio immunoenzimatico. Le cellule sono state fissate nei pozzetti di una micropiastra (Biotrin) con una soluzione di etanolo ed acetone 1:1 e posizionate a -20°C per 15 minuti. Eliminata la soluzione tampone, le cellule sono state coperte con un anticorpo monoclonale prodotto nel coniglio (“rabbit”), in grado di riconoscere il recettore CAR (SIGMA ALDRICH). Dopo un periodo di incubazione (30 minuti a 37°C e al 5% di CO2), è stato aggiunto un anticorpo secondario (“anti-rabbit”) coniugato con perossidasi (SIGMA ALDRICH), in grado di riconoscere il complesso antigene-anticorpo primario. Dopo un altro periodo di incubazione alle stesse condizioni del precedente, è stato addizionato il substrato della perossidasi (Biotrin). La rilevazione della reazione è stata effettuata mediante analisi con lettore di micro piastre (Biotrin). 40 3.3 Titolazione virale – Metodo della diluzione limite Nella titolazione virale possiamo distinguere diverse metodiche di titolazione quantitative e qualitative [Fields et al, 2007]. Le metodologie di titolazione quantitative mirano ad identificare il numero di particelle virali presenti nel campione mettendolo in relazione alla quantità degli effetti biologici che tali particelle sono in grado di produrre. Le metodologie di titolazione qualitative mirano invece a stabilire la minima quantità di particelle virali capaci di indurre l'assenza o la presenza di un determinato fenomeno nel substrato sensibile, il metodo della diluizione limite è un metodo quantitativo [Fields et al, 2007]. È stato prelevato con il consenso informato del paziente in sede chirurgica, il liquido pericardico di un paziente affetto da CMD infetto da CVB3 (Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare, Università di Roma Tor Vergata). Determinato da una campione di partenza rappresentativo del totale di virus presenti abbiamo ritenuto opportuno utilizzare il metodo di titolazione Metodo della diluizione limite. Dal liquido pericardico è stata praticata una serie di diluizioni per ridurre il numero totale di virus e portarlo a concentrazione nota. Le diluizioni effettuate sono esponenziali, da 10-1 fino alla 10-8. Abbiamo preso in esame un rapporto da 1:10 (1 parte di virus e 9 parti di diluente) fino a 1:10000000. Con un allestimento su piastra di 4 pozzetti dove in ogni pozzetto si inserirà 50 µl di D-Mem (terreno), in cui il virus è diluito esponenzialmente a cui si aggiungono come metodo di rivelazione le cellule, come si evince dalla letteratura per il CVB3 di riferimento è la linea cellulare KB. Il titolo virale è la più alta diluizione del virus, cioè il più piccolo numero di particelle virali in grado di infettare il 50% delle unità inoculate e corrisponde a 1 dose infettante citopatica (DITC50). In particolare, è stato preso un titolo di riferimento di 100 DITC50 a 24 ore post infezione di riferimento nella linea cellulare di controllo KB. 41 3.4 Infezione della linea cellulare HHTO2 con CVB3 La linea cellulare HHTO2 è stata infettata con 250 µl soluzione contenente CVB3 proveniente dalla titolazione dell’isolato clinico preso in esame titolato per 100 DITC50 24 ore post infezione nella linea KB. Le cellule così infettate sono state incubate per 1 ora a 37°C e al 5% di CO2, per permettere l’adsorbimento del virus. Al termine del periodo di incubazione la miscela virale è stata eliminata e le colture sono state lavate 3 volte con tampone salino per eliminare eventuali particelle virali residue. Successivamente è stato addizionato un terreno specifico brevettato al 2% di siero fetale bovino (Euroclone) e le cellule sono state poste nuovamente in incubatore. 3.5 Estrazione RNA virale, RT-­‐PCR e Nested PCR Ad ogni tempo post-infezione sono state recuperate le cellule e il surnatante ultrafiltrato per la ricerca del genoma virale mediante estrazione dell’RNA virale (High Pure Viral RNA Kit, ROCHE), RTPCR e nested PCR con primers specifici all-entero (TIB MOBIOL) [McWilliam Leitcha et al, 2009; Simmond P et al, 2009]. La nested PCR consiste nel realizzare due step di amplificazione, utilizzando due diverse coppie di primers, di cui la seconda coppia è interna al frammento sintetizzato nella prima reazione; in questo modo si ha una maggiore sensibilità e specificità della reazione di PCR, anche partendo da un target iniziale a bassa concentrazione (come nel caso del genoma virale). I primers utilizzati nel I step di amplificazione sono: senso 5’- TTAAAACAGCCTGTGGGTTG-3’ antisenso 5’-ATTGTCACCATAAGCAGCCA- 3’ I primers utilizzati nel II step di amplificazione sono: senso 5’-GGNAYYYTWGTRCGCCTGTTTT-3’ antisenso 5’-CACCCAAAGTAGTCGGTTCCGC-3’ 42 Profilo di amplificazione I Step: I step 94° 1min 55° 1min 72° 1,30 min 94° 45sec 55° 30sec 72° 1min 72° 15min 4° ∞ 5 cicli 30 cicli Profilo di amplificazione II Step: II step 94° 1min 55° 1min 72° 1,30 min 94° 45sec 55° 30sec 72° 1min 72° 15min 4° ∞ 5 cicli 30 cicli 43 3.6 Quantificazione della carica virale Ad ogni tempo post-infezione sono state recuperate le cellule e il surnatante ultrafiltrato della linea cellulare staminale HHTO2, per la quantificazione della carica virale mediante estrazione dell’RNA virale (High Pure Viral RNA Kit, ROCHE), RT-PCR e real time PCR (LightCycler 2.0 Real-Time PCR System, ROCHE).La reazione è stata condotta con primers specifici per gli Enterovirus (TIB MOLBIOL) [Moya-Suri V et al, 2005]. senso 5’- CCCCTGAATGCGGCTAATC -3’ antisenso 5’- GAAACACGGACACCCAAAGTA-3’ Lo stesso processo è stato utilizzato per la quantificazione della carica virale all’interno delle cellule e nel surnatante della linea di controllo KB. 44 3.7 Estrazione dell’RNA totale Abbiamo preso in considerazione tempi: 12, 24 e 48 ora post-infezione e le cellule di non infette. Sono state recuperate le cellule tramite scraping delle stesse sul fondo della piastra d’infezione e successivamente abbiamo centrifugato, per procedere con volumi opportuni nell’estrazione dell’RNA totale. L’RNA totale è stato estratto dalle cellule con il kit commerciale della “RNeasyMini Kit”(Qiagen). Figura9: RNeasy Mini Kit, Qiagen (http://www.Qiagen.com) La purificazione dell’RNA avviene all’interno di appositi filtri di cellulosa forniti nel kit. Attraverso una serie di quattro passaggi che determinano in successione: la lisi delle cellule, la denaturazione dei complessi nucleoproteici, l’inattivazione dell’attività ribonucleasica endogena e la rimozione di DNA e proteine contaminanti, si ottiene come eluato finale una soluzione di RNA opportunamente purificato. La metodica combina le proprietà litiche e protettive della guanidina tiocianato (GTC) e del β-mercaptoetanolo per inattivare le ribonucleasi presenti nell’estratto cellulare. 45 La GTC, infatti, assieme all’SDS provocano la denaturazione dei complessi nucleoproteici ed il rilascio dell’RNA nella soluzione di eluizione. Inoltre, successivamente alla lisi cellulare, è stato previsto un passaggio in QIAshredder (Qiagen) per eliminare il residuo cellulare derivato dalla lisi. Successivamente, la purificazione dell’estratto cellulare tramite l’alta concentrazione di GTC favorisce la precipitazione delle proteine cellulari, mentre l’RNA rimane in soluzione. L’aggiunta di etanolo provoca la precipitazione dell’RNA che si lega al filtro in colonna mentre il DNA (digerito per via enzimatica tramite impiego della DNasi I) e le altre impurità contaminanti si raccoglie nel fondo della vial di scarto attraverso una successione di lavaggi con uno specifico tampone salino. L’eluato finale di RNA purificato viene raccolto nella colonna con acqua “nuclease free” e successivamente mantenuta a una temperatura stabile. 3.8 Analisi spettrofotometrica dell’RNA cellulare estratto Al fine di verificare la qualità e in particolar modo determinare la concentrazione dell’RNA isolato secondo le modalità descritte in precedenza è stata effettuata un’analisi spettrofotometrica tramite uno spettrofotometro. Figura 10: Spettrofotometro (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Spektrofotometri.jpg) 46 In linea generale tale strumento è costituito da una sorgente di radiazione elettromagnetica, da un sistema monocromatore che seleziona nell’intervallo della radiazione, le lunghezze d’onda (λ) di nostro interesse, da un porta campione dove viene inserita la cuvetta contenente il nostro campione, da un transduttore fotoelettrico che permette la conversione della radiazione luminosa in segnale elettrico grazie a composti fotosensibili e da un misuratore che misura la corrente elettrica prodotta. Lo spettrofotometro consente di ottenere lo spettro di assorbimento di una sostanza, cioè un grafico dell’intensità di radiazione assorbita in funzione di λ. Dallo spettro di assorbimento relativo è possibile quindi ricavare i valori di assorbanza a specifiche λ di: • 230 nm (valore a cui hanno un massimo di assorbimento carboidrati, fenoli, peptidi e composti aromatici); • 260 nm (valore a cui hanno un picco di assorbimento gli acidi nucleici, tale assorbimento è determinato dalle basi azotate, per cui è caratteristico del DNA a doppio e singolo filamento e dell’RNA); • 280 nm( valore a cui hanno un massimo di assorbimento le proteine), utili sia per calcolare la concentrazione degli acidinucleici in soluzione per verificare la purezza dell’RNA estratto; Allo spettrofotometro si leggono dunque le assorbanze a tali valori di λ e per valutare la purezza dell’RNA si verificano i seguenti rapporti: • A260/A280 = 1,8–2,0; se i valori sono superiori è presente una contaminazione da proteine, se inferiori da DNA; • A260/A230= 2,2; valori inferiori indicano contaminazione da carboidrati o fenolo; Per determinare la concentrazione di RNA presente viene utilizzata la legge di Lambert e Beer. 47 3.9 Retrotrascrizione in cDNA e PCR-­‐Array L’RNA totale estratto dalla linea cellulare staminale cardiaca umana HHTO2 a seguito dell’infezione con CVB3, è stato poi retrotrascritto in DNA complementare (cDNA) tramite il Kit “RT2 First Strand Kit“ (Qiagen). Inizialmente, 3 µg di RNA estratto sono stati aggiunti ad un Buffer insieme a RNase-free water in opportune quantità e successivamente tale miscela è stata incubata per 5 min a 42°C;questo step permette l’eliminazione del DNA genomico eventualmente presente nel nostro campione di RNA, tuttavia tale passaggio risulta essere insufficiente per l’eliminazione completa del DNA per questo motivo, come descritto sopra, è stata utilizzata precedentemente la DNasi. Successivamente è stata preparata la miscela necessaria per la retrotrascrizione contenente un Buffer BC3 (in quanto tampone garantisce la formazione di un pH ottimale per l’attività dell’enzima retroscrittasi), l’RNasi-free water ed un controllo P2 (utilizzato come controllo positivo della effettiva avvenuta della reazione diretroscrizione), la “Reverse Transcriptase Mix”RE3 costituita dall’enzima trascrittasi inversa, necessario per la reazione di retroscrizione, e da altri componenti necessari per la riuscita di tale reazione, quali i dNTPs, i primers e il MgCl2. A tale miscela è stato aggiunto il campione di RNA. In seguito a particolari step di incubazione a temperature e tempi, è stato possibile ottenere il cDNA. Il cDNA così ottenuto è stato miscelato con un appropriato RT2 SYBR Green Mastermix (Qiagen), contenente i reagenti necessari per la reazione della Real-time PCR: • L’enzima DNA- polimerasi (Taq-polimerasi) necessario per la reazione di amplificazione. Questo enzima è stato isolato dall’archeobatterio termofilo “Thermophilus aquaticus”, che vive nelle sorgenti termali a temperature vicine al punto di ebollizione dell’acqua dunque questa polimerasi è molto resistente alle alte temperature e si adatta in maniera ottimale alle temperature raggiunte durante la reazione a catena della polimerasi (PCR); • PCR Buffer (“tampone” di reazione); • dNTPs (dATP, dCTP, dGTP , dTTP); 48 • SYBR Green, un composto organico aromatico dotato di attività fluorofora. Il SYBR Green è un agente intercalante legante preferenzialmente il DNA a doppio filamento (dsDNA). Il complesso DNAcolorante assorbe luce blu ad una lunghezza d'onda λ max = 488 nm ed emette luce verde λ max=522 nm. La presenza della molecola legata al DNA non impedisce l'attività di numerosi enzimi, tra cui quelli di restrizione, le ligasi e le DNA polimerasi. La miscela è stata poi aliquotata all’interno dei pozzetti dell’ RT2 Profiler PCR Array (Qiagen) ed eseguita l’amplificazione con il ciclizzatore in tempo reale (Applied Biosystems 5700,Qiagen). Figura 11: Schema di lavoro PCR Array (www.sabiosciences.com) Il sistema RT2 Profiler PCR Arrays (Qiagen) permette di combinare i risultati ottenibili da una Real-time PCR, con la capacità degli Array di poter rappresentare ad un certo istante l’espressione di molti geni simultaneamente. Sarà possibile ottenere quindi un profilo dell’espressione 49 genica della linea cellulare HHTO2, determinando così quali geni sono upregolati e quali down-regolati a seguito dell’infezione con CVB3. Figura 12: RT2 Profiler PCR Array (www.sabiosciences.com) In particolare, in questo studio è stato utilizzato un RT2 Profiler PCR Arrays (Qiagen) costituito da 96 pozzetti (Figura 12) i quali contengono: • primers per il saggio di 84 geni coinvolti nella risposta immunitaria antivirale innata. In particolare, è stata valutata l’espressione genica dei recettori e degli effettori di segnalazione di Toll-Like Receptor, NOD-Like Receptor, RIG-I-Like Receptor, dei geni che rispondono a queste vie di segnalazione e dei geni coinvolti nella segnalazione dell’Interferone di tipo 1 come anche dei geni stimolati a valle dall’interferone (vedi Tabella 1). • primers di 5 geni housekeeping (geni costitutivamente espressi), necessari per la normalizzazione dei dati ottenuti; • il controllo del DNA genomico che rivela la eventuale contaminazione del DNA genomico; • il controllo della reverse-trascrittasi, il quale testa l’efficienza della reazione di retrotrascrittasi effettuata con il RT2 First Strand Kit (Qiagen); • il controllo positivo della PCR che testa l’efficienza della reazione a catena della polimerasi; 50 51 52 Tabella 1: 84 geni presi in esame dalla PCR-Array Tabella 2: Layout PCR-Array 53 3.9.1 Real-­‐time PCR o PCR quantitativa La PCR (Polymerase Chain Reaction) è una tecnica che utilizza una DNA polimerasi termostabile, chiamata Taq polimerasi, per l’amplificazione esponenziale di un frammento di DNA, di cui si conosca almeno in parte la sequenza nucleotidica. Il frammento amplificato è definito da due brevi oligonucleotidi sintetici (primer) che sono complementari ai filamenti opposti del DNA stampo che deve essere amplificato, nel nostro caso questi primers li ritroviamo liofilizzati sul fondo di una superficie solida costituita da diversi pozzetti dove ciascuno di essi presenterà primers specifici (RT2 Profiler PCR Arrays, Qiagen). La reazione di PCR prevede diverse fasi (fase di denaturazione, fase di annealing e fase di estensione) che costituiscono un normale ciclo di PCR che verrà ripetuto un diverso numero di volte per ottenere un’amplificazione adeguata del frammento d’interesse. Lo sviluppo di questa tecnica ha rivoluzionato sia la ricerca biologica di base, sia quella applicata [Dale WJ et al, 2008]. Tuttavia, è difficile derivare una informazione quantitativa affidabile utilizzando questa PCR convenzionale semplicemente misurando la quantità di prodotto formato, in quanto non esiste una semplice relazione tra quantità di stampo iniziale e quantità finale del prodotto, fintanto che non si è certi che la reazione di PCR stia veramente procedendo in maniera esponenziale. E’ possibile rendere quantitativa questa metodica utilizzando un sistema in grado di misurare il prodotto mentre viene sintetizzato, senza dover fermare la reazione. Su questo principio si basa la metodica della Real-time PCR o PCR quantitativa. Il metodo più semplice è quello di aggiungere alla miscela della PCR un colorante come ad esempio SYBR Green che, come sopra specificato, diventa fluorescente quando si lega al DNA a doppio filamento. Se si fa avvenire la reazione di PCR in uno strumento che non effettua solamente i cicli alle diverse temperature necessarie per una reazione di PCR convenzionale, ma che è anche in grado di misurare la fluorescenza dei campioni, allora sarà possibile seguire il progresso della reazione di PCR in tempo reale. Lo stampo è inizialmente a singolo filamento e quindi non vi sarà alcun segnale, con il procedere dell’amplificazione si sintetizzerà un prodotto a 54 doppio filamento, e successivamente verrà prodotta una quantità di questo amplificato sufficiente perché la fluorescenza sia misurabile dallo strumento (Figura 13). Il numero di cicli necessari per la formazione di una quantità misurabile del prodotto è correlato alla quantità iniziale di stampo: dopo un certo numero di cicli, il livello della fluorescenza aumenterà ed estrapolando a zero la curva risultante, sarà possibile determinare il numero di cicli necessari per la formazione di una quantità misurabile del prodotto. Questo numero, conosciuto come il valore Ct, è correlato alla quantità iniziale di stampo. Figura 13: Esempio di un grafico ottenuto da una Real-time PCR 3.10 Elaborazione statistica Il sistema RT2 Profiler PCR Array (Qiagen) fornisce inoltre un software per l’analisi e l’interpretazione dei dati ottenuti, che sono stati confermati tramite GrapH Pad Prism Software version 6.00 (GrapH Pad Software, San Diego, CA, USA). Tutti i valori sono stati espressi come valore medio ± Deviazione Standard. Le differenze nei valori di espressione genica tra gruppo di controllo e gruppo in contatto con il CVB3, sono state considerate statisticamente significative se, dopo l’interpretazione con test di Mann-Whitney, la probabilità (p) risultava inferiore al valore di 0.05. 55 4 Risultati 4.1 Risultati espressione recettore CAR 4.1.1 Espressione del recettore CAR Il recettore CAR risulta espresso sia nella linea cellulare staminale HHTO2, sia nella linea cellulare di controllo KB. Figura 14: Elettroforesi su gel di agarosio al 2% in TAE buffer 1X di 15 µl del prodotto di PCR per la ricerca del CAR e 3 µl di blu di bromofenolo. Il saggio immunoenzimatico ha rilevato la presenza della proteina CAR sulla membrana citoplasmatica delle cellule staminali umane HHTO2 e delle cellule KB (Tabella 3). Tabella 3: Saggio immunoenzimatico per l’espressione del recettore CAR 56 4.2 Infezione delle linee cellulari 4.2.1 Immunofluorescenza indiretta L’analisi mediante IFA indiretta eseguita dopo 4, 12, 24, 48 ore postinfezione, ha rilevato espressione degli antigeni virali sia nella linea cellulare HHTO2 che nella linea di controllo KB (Figura 15). Figura 15: IFA indiretta per valutare l’espressione degli antigeni virali 57 4.2.2 PCR-­‐Nested L’analisi molecolare ha dimostrato che il genoma virale è presente all’interno delle cellule della linea HHTO2 a tutti i tempi postinfezione analizzati, così come nella linea di controllo KB. Allo stesso modo, il genoma virale è stato ritrovato nel surnatante delle colture della linea HHTO2 e della linea KB, a tutti i tempi postinfezione analizzati. 1 HHTO2 Cellule 2 K3 HHTO2 Surnatante 4 K5 KB Cellule 6 K7 KB Surnatante 8 K9 Ladder 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Figura 16: Elettroforesi su gel di agarosio al 2% in TAE buffer 1X di 15 µl del prodotto di PCR per la ricerca del genoma virale e 3 µl di blu di bromofenolo 58 4.2.3 Quantificazione della carica virale La quantificazione della carica virale all’interno delle cellule e nel surnatante, rispettivamente della linea cellulare staminale HHTO2 (Tabella 4) e della linea di controllo KB (Tabella 4) è la seguente: 1000000 100000 10000 Surnatante 1000 Cellule Carica Virale 100 10 1 t 0h t 4h t 12h t 24h t 48h t 96h Tabella 4: Quantificazione della carica virale all’interno delle cellule e nel surnatante della linea cellulare staminale HHTO2 1000000 100000 10000 Surnatante 1000 Carica Virale Cellule 100 10 1 t 0h t 4h t 12h t 24h t 48h t 96h Tabella 5: Quantificazione della carica virale all’interno delle cellule e nel surnatante della linea cellulare di controllo KB 59 4.3 PCR-­‐Array: Analisi dei dati 4.3.1 Risultato dell’estrazione visualizzato su gel di agar L’RNA totale risulta essere correttamente estratto sia dalle cellule HHTO2 non infettate (t 0h), sia dalle cellule HHTO2 a 12-24-48 ore post-infezione (t 12h, t 24h e t 48h). t0h t12h t24h t48h Ld Figura 17: Elettroforesi su gel di agarosio al 2% in TAE buffer 1X di 15 µl dell’ RNA estratto e 3 µl di blu di bromofenolo Dall’immagine ottenuta si evince che l’RNA risulta non essere degradato. Inoltre risulta non esservi contaminazione di DNA cellulare in seguito alla purificazione. 60 4.2.1 Analisi spettrofotometrica L’RNA non presenta contaminazioni di natura proteica, infatti: a 260 nm si osserva il massimo valore di assorbanza, e non si riscontrano picchi di assorbimento nell’intorno di 280 nm (imputabili ad aminoacidi aromatici) che sono indicativi di una contaminazione da proteine. Una conferma ulteriore di tali risultati è stata ottenuta calcolando i seguenti rapporti: 1. assorbanza a 260 nm/assorbanza a 280 nm = 1,9. 2. assorbanza a 260 nm/assorbanza a 230 nm = 1,7. Relativamente al primo rapporto qualsiasi valore inferiore indica la presenza di un’eventuale contaminazione da proteine. Per quanto concerne il secondo rapporto, un basso quoziente depone a favore di una contaminazione di coadiugati che potrebbero interferire con le applicazioni successive. I valori relativi ad entrambi i parametri sono risultati di fatto compresi nell’intervallo teorico, testimoniando così la purezza dell’RNA ottenuto dall’estrazione. L’espressione di un determinato gene è stata considerata significativamente alterata solo se, una volta normalizzata rispetto ai geni housekeeping, il rapporto tra l’espressione delle cellule HHTO2 infette da CVB3 e l’espressione delle cellule di controllo non infette risultava maggiore o uguale a 2 (geni up-regolati) o inferiore o uguale a 0,5 (geni down-regolati). 61 4.3.1 Analisi PCR-­‐Array 12 ore post infezione Applicando tale cut-off sono stati pertanto messi in evidenza 3 geni di cui 1 up-regolati e 2 down-regolato l’analisi statistica ha dimostrato che il gene fos e ticam1 risultano essere down-regolati nelle cellule HHTO2 a 12 ore postinfezione con CVB3; al contrario il gene traf3 risulta essere up-regolato. fos traf3 ticam1 62 4.3.2 Analisi PCR-­‐Array 24 ore post infezione Applicando tale cut-off sono stati pertanto messi in evidenza 3 geni di cui 2 up-regolati e 1 down-regolato l’analisi statistica ha dimostrato che il gene tlr3 e il gene traf3 risultano essere up-regolati nelle cellule HHTO2 a 24 ore post-infezione con CVB3; al contrario il gene fos risulta essere downregolato. In particolare osserviamo una up-regolazione significativa del gene tlr3. trl3 fos traf3 63 4.3.3 Analisi PCR-­‐Array 48 ore post infezione Applicando tale cut-off sono stati pertanto messi in evidenza 3 geni di cui 2 up-regolati e 1 down-regolato l’analisi statistica ha dimostrato che il gene tlr3 e il gene pydc1 risultano essere up-regolati nelle cellule HHTO2 a 48 ore post-infezione con CVB3; al contrario il gene fos risulta essere downregolato. In particolare osserviamo una up-regolazione significativa del gene tlr3. trl3 fos pydc1 64 5 Discussione La CMD è una patologia cardiaca che si manifesta con dilatazione ventricolare e disfunzione sistolica. Attribuita ad un processo infiammatorio a carico del tessuto miocardico è la causa del 50% degli infarti del miocardio [Ellis CR et al, 2007]. Fattori di rischio coronarico genetici o acquisiti, sono predisponenti all’insorgenza dell’infarto nella maggior parte dei soggetti colpiti [Apte M et al, 2008], tuttavia l’incidenza nella popolazione di infartuati è associata alla miocardite ad eziologia virale nel 10% dei casi, con una possibile evoluzione in CMD [Baughman LK, 2006; Cooper TL, 2009] Molti studi hanno dimostrato la presenza di genomi e proteine virali nel tessuto cardiaco di pazienti affetti da CM [Martino TA et al, 1994; Kühl U et al, 2005]. I virus maggiormente implicati sono: Adenovirus (ADV, tipo 2 e 5) ed Enterovirus, in particolare i Coxsackievirus ceppi B1-B6 di cui il più cardiotropico è il CVB3. Per comprendere i meccanismi molecolari alla base dell’infezione da CVB3 nelle cellule staminali cardiache è stato ottimizzato un protocollo in vitro (Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare, Univerità di Roma Tor Vergata), che permette di mantenere le staminali cardiache stabili e adeguate al protocollo d’infezione circa la suscettibilità all’infezione da virus cardiotropici. Nel presente lavoro di tesi è stata presa in esame una linea cellulare staminale cardiaca adulta umana HHTO2 (Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare, Università di Roma Tor Vergata) e la linea di controllo KB (Human Epidermoid Carcinoma, Istituto Zooprofilattico Bruno Ubertini), suscettibile agli Enterovirus [Barnard DL et al, 2004]. CV e ADV interagiscono con un recettore e un co-recettore sulla membrana citoplasmatica il CAR, che sembra necessario e sufficiente al fine dell’infezione e un co-recettore DAF, che ne aumenta l’efficienza di infezione, ma non è necessario per il processo infettivo. La presenza del espressione del gene del recettore car è sufficiente affinché avvenga il riconoscimento e l’internalizzazione nella linea cellulare HHTO2 e nella linea cellulare di controllo KB. Come riportato da molti studi in letteratura 65 [Sollerbrant K et al, 2007], indagini molecolari e immunoenzimatiche hanno rilevato l’espressione del gene car nella linea HHTO2 e nella linea di controllo KB, dalla letteratura di riferimento alle infezioni con CV. Sebbene le cellule staminali, presa in esame non abbia un assetto recettoriale maturo, a causa della sua natura staminale, la linea HHTO2 esprime sia l’mRNA che la proteina CAR, che potrebbe trattarsi di un’espressione transiente, infatti notoriamente il recettore CAR ha normalmente un’espressione variabile [Selinka HC et al, 2004; Sollerbrant K et al, 2007]. E’ stato dimostrato che CAR e DAF interagiscono tra loro per formare un “CAR-DAF Receptor Complex” che permette un’internalizzazione virale e favorisce l’infezione virale a livelli tessutali più profondi tramite un processo “Transcitotico” [Selinka HC et al, 2004]. La dinamica di questo processo, prevede che le particelle virali siano internalizzate in vescicole rivestite da caveolina, le quali possono transitare sui filamenti citoscheletrici e riversare il loro contenuto sul versante basale, permettendo una diffusione del virus anche negli strati più profondi del tessuto [Selinka HC et al, 2004]. Grazie a questo processo di diffusione, l’infezione da CV potrebbe interessare, non solo i cardiomiociti, ma anche le cellule staminali adulte cardiache, la cui compromissione spiegherebbe il mancato self-renewal del tessuto cardiaco. Indagini sierologiche e molecolari, individuano la presenza del genoma virale all’interno delle cellule, sia KB che HHTO2 indicando la loro permissività, ma il virus è anche in grado di replicarsi in quanto si ritrova anche nel surnatante delle colture infettate. Le linee cellulari permettono quindi al virus di replicarsi a spese del proprio apparato metabolico; ne risulta la morte delle cellule infettate, ma solo nella linea di controllo, non nella linea staminale, che sembra avere una resistenza alla lisi. La linea HHTO2 presa in esame risulta un ottimo modello per comprendere i meccanismi molecolari alla base delle infezioni virali in grado far replicare il virus che quindi andrebbe ad infettare le cellule del tessuto del miocardio che subiscono normalmente l’effetto citopatico e vanno incontro a morte. L’andamento delle malattie infettive causate da diversi microrganismi, come si evince dalla letteratura, è influenzato in maniera sostanziale dalla variabilità genetica della cellula ospite, soprattutto sulla base della variabilità dei meccanismi molecolari di difesa. Dove è dimostrato che numerosi 66 polimorfismi genici riferiti ad individui e popolazioni conferiscono resistenza o modulano la suscettibilità alle infezioni virali [Veliov VM, 2005]. Alcuni esempi che abbiamo già citato; il polimorfismo autosomico dominante (presente in circa il 5% dei soggetti caucasici) nel gene che codifica per il recettore CCR5, rende resistenti all’infezione da HIV [Julg B et Goebel FD 2005; Li M et al, 2005]; il genotipo MHC di classe II sarebbe implicato nell’evoluzione dell’infezione da HCV e quindi nella modulazione della suscettibilità all’infezione stessa [Bowen DG et Walker CM, 2005]. Nonostante i progressi raggiunti fino ad oggi nella comprensione della patogenesi dell’infezione e nella conoscenza dei meccanismi molecolari e cellulari della fisiologia cardiaca, non sono disponibili terapie farmacologiche risolutive in grado di preservare le cellule cardiache danneggiate durante l’infarto; infatti l’unico trattamento è rappresentato dal trapianto d’organo o dall’impianto di cellule staminali [Miteva K et al, 2011]. Le attuali ricerche in ambito alla rigenerazione tessutale auspicano una terapia cellulare con impianto di cellule staminali, in grado di generare tessuto cardiaco per il recupero della funzionalità d’organo in seguito a infarto [Miteva K et al, 2011]. In vista della possibilità di attuare una terapia sostitutiva nei soggetti colpiti da miocardite ad eziologia virale e focalizzando l’attenzione e sulla capacità dei virus di cronicizzare nei tessuti [Kühl U 2005], per ottimizzare una potenziale terapia cellulare sono stati presi in esame i profili di espressione di queste cellule staminali per individuare novi target farmacologici che potrebbero essere alla base di nuove strategie terapeutiche. Dai risultati della PCR array emergono, dopo elaborazione statistica dei dati, 3 geni che rivestono un ruolo centrale nella risposta antivirale della cellula. I dati suggeriscono una up-regolazione dei geni tlr3 e traf3, mentre il gene fos risulta essere down-regolato. Dalla letteratura scientifica è noto che: • La proteina codificata dal gene tlr3 è un membro della famiglia dei recettori Toll-like (TLR) che sembra svolgere un ruolo centrale nel mediare le risposte antivirali e infiammatorie dell'immunità innata. Come è noto, tale recettore riconosce l’RNA virale, questo riconoscimento porta alla fosforilazione di due residui tirosinici del recettore stesso e alla conseguente attivazione di una via di segnalazione che porta alla attivazione di un fattore 67 di trascrizione (NF-kB) con conseguente produzione di IFN di tipo I [Abbas A et al, 2010]. • Il gene traf3 codifica per proteine che interagiscono con i domini citoplasmatici di vari recettori della famiglia del recettore del TNF (Fattore di necrosi tumorale).Il TNF è una citochina coinvolta nell'infiammazione sistemica L’interazione del TNF con alcuni membri della famiglia dei recettori del TNF, provoca l’associazione della porzione citoplasmatica del recettore con alcune proteine definite TRAF (TNF Receptor-AssociatedFactors). A loro volta, i TRAF inducono l’attivazione di fattori di trascrizione particolari, come NF-kB, che portano alla produzione di mediatori dell’infiammazione e a proteine coinvolte nella sopravvivenza cellulare [Abbas A et al, 2010]. • La famiglia del gene fos, un oncogene, è composta da diversi membri, questi geni codificano per proteine della classe delle proteine a cerniera lampo di leucina che possono formare, unitamente ad altre proteine della famiglia Jun, il fattore di trascrizione AP-1 [Abbas A et al, 2010]. In particolare, da questo studio osserviamo una significativa up-regolazione del gene tlr3 a seguito dell’infezione dell’ospite con CVB3. E’ evidente dunque che il recettore TLR3 gioca un ruolo importante nella risposta immunitaria innata della cellula ospite a seguito dell’infezione con virus cardiotropici, quale è appunto il CVB3. Ciò è comprovato da diverse tipologie di studi recenti i quali hanno dimostrato che topi mancanti dell’espressione del recettore TLR3, risultano essere molto più vulnerabili all’infezione con CVB3 rispetto a topi wild-type con conseguente incremento dello sviluppo di miocardite acuta [Negishi H et al, 2008]. E’ stato inoltre osservato che variazioni genetiche del gene tlr3 alterano la risposta immunitaria innata, in particolare portano ad una significativa riduzione della segnalazione dell’IFN di tipo 1 dopo l’infezione con CVB3, e possono quindi influenzare la suscettibilità dell’ospite a incrementare la patologia cardiaca [Gorbea C et al, 2010]. 68 Risultati in linea con la recente letteratura, ove nel modello animale murino deficiente per TRL3 si evince una resistenza alle infezioni da CVB3 [Abston ED et al, 2013]. Indicando maggiormente, il ruolo centrale nel uomo di tlr3, nella risposta immunitaria innata della cellula ospite a seguito dell’infezione con virus cardiotropici e ponendo tlr3 in particolare rilievo come target per possibili strategie farmacologiche o staminali. 69 6 Conclusioni Dall’analisi dei dati ottenuti nel presente lavoro di tesi è possibile concludere che: • Le cellule staminali cardiache HHTO2 esprimono il recettore CAR come la linea cellulare di controllo KB. • Le cellule staminali cardiache HHTO2 sono permissive nei confronti del CVB3. Come mostrato dalle evidenze sperimentali il genoma virale viene rilevato a tutti i tempi presi in esame post-infezione, ad indicare che le cellule permettono l’internalizzazione delle particelle virali come le linee cellulari di controllo KB. • Le cellule staminali cardiache HHTO2 sono competenti alla replicazione virale, poiché la progenie virale è stata rilevata nel surnatante delle colture. • Le cellule staminali cardiache HHTO2 presentano una resistenza al CVB3, non mostrando segni di sofferenza e morte cellulare a tutti i tempi post-infezione presi in esame con i Coxsackievirus, diversamente dalla linea cellulare di controllo KB. • Possiamo suggerire che le cellule staminali cardiache HHTO2 sulla base del analisi statistica ottenuta dalla PCR Array ai tempi persi in esame post-infezione con CVB3, presenta una significativa modulazione dell’espessione genica per i geni a 12 ore post infezione traf3, fos e ticam1, a 24 ore post infezione tlr3, traf3 e fos, a 48 ore post infezione: trl3, pydc1 e fos. Di particolare rilevanza con up-regolazione del gene tlr3 e gene fos risulta essere down-regolato. 70 7 Prospettive future Il presente lavoro di tesi potrebbe indicare un protocollo di studio per le interazioni tra virus e cellule staminali. La linea cellulare presa in esame si è rivelata un ottimo modello in vitro per studiare l’espressione genica all’infezione. Al fine di estendere lo studio per sviluppare strategie terapeutiche staminali o farmacologiche, si potrebbe prevedere di: • estendere lo studio alle infezioni da CVB3 con colture di cellule staminali umane cardiace provenienti da altri soggetti; • estendere lo studio alle infezioni con altri virus cardiotropici sulle colture di cellule staminali umane; • approfondire il meccanismo molecolare di interazione virus-cellula prendendo in esame altri pattern di espressione di geni coinvolti nella risposta all’infezione virale, mediante PCRArray dedicati; • approfondire le regolazioni nell’espressione dei geni con RNA interferente. 71 8 Bibliografia Abbas Abul K, Lichtman Andrew H, Pillai Shiv. Immunologia cellulare e molecolare VI edizione. 2010 Abdallah BM, Haack-Sørensen M, Burns JS, Elsnab B, Jakob F, Hokland P, Kassem M. 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