DANNI MUSCOLOTENDINEI CLASSIFICAZIONE,TRATTAMENTO E PRINCIPI DI PREVENZIONE Dott. Walter Vercelli Fisioterapista Settore Giovanile U.C. Sampdoria TESSUTO MUSCOLARE Il tessuto muscolare è formato da cellule specializzatemiofibrille- incorporate in una rete fine di tessuto connettivo che trasmette la forza delle cellule muscolari durante la contrazione alle parti adiacenti dello scheletro. A questo scopo, esistono connessioni tra cellule muscolari e le fibre collagene della rete di tessuto connettivo. La cellula muscolare o miofibrilla è formata da sarcomeri o mio filamenti le unità contrattili di base del muscolo-disposti parallelamente. In ogni sarcomero esistono 2 tipi di filamenti denominati actina e miosina. I filamenti di actina sono ciascuno attaccato ad un estremo della parte più interna della membrana cellulare formando la così detta linea Z. All'altra estremità sono liberi e si intrecciano ai filamenti di miosina centrali. Durante la contrazione muscolare, i filamenti di actina scivolano sulla miosina verso il centro del sarcomero che porta all’ancoraggio alle linee Z più vicine, con l accorciamento dell’ intera unità contrattile. Gli esercizi aumentano il numero delle miofibrille (ipertrofia). Durante i periodi di immobilizzazione il volume cellulare diminuisce (atrofia). Gruppi di sarcomeri sono disposti parallelamente e formano le fibre muscolari. Queste a loro volta sono disposti in mazzi o fascicoli di varie dimensioni dentro il muscolo. La rete di sottili fibre collagene racchiuse in fasci è conosciuta come endomisio e riempie gli spazi tra le fibre muscolari. In questo modo, ogni fibra muscolare è circondato da un sottile foglio di tessuto connettivo che fornisce il percorso ai capillari, che si collocano principalmente paralleli alle fibre muscolari e facilitano lo scambio dei metaboliti tra fibre muscolari e lo strato capillare. Il perimisio è il tessuto connettivo più resistente che circonda ogni fascio; è composto anch’ esso di fasci di collagene paralleli che sono parzialmente disposti in modo circolare intorno alle fibre muscolari . Questi fasci sono in stretta connessione con il collagene dell’ endomisio. Infine, l'intero muscolo è circondato dal resistente epimisio, che è la continuazione della parte più esterna del perimisio e si fonde con il tessuto connettivo che costituisce il tendine, la fascia o le aponeurosi. Vicino alle giunzioni miotendinee il tessuto connettivo endo-, peri- ed epimisio diventa molto fibroso e acquista spessore, mentre le fibre muscolari si assottigliano. La connessione è così forte che difficilmente si verificano rotture al tendine o all’ inserzione del tendine sull’ osso o alla giunzione mio tendinea. INNERVAZIONE DEI MUSCOLI I muscoli scheletrici sono innervati da uno o più nervi. Ciascuno può contenere fibre sia motrici che sensitive. Le fibre motrici comprendono efferenze degli alpha motoneuroni che innervano le fibre muscolari extrafusali, e i gamma motoneuroni che innervano il fuso muscolare e le fibre del sistema nervoso vegetativo che innervano le fibre muscolari lisce del sintema vascolare. Un singolo alfa motoneurone innerva ogni fibra muscolare. Questa unità funzionale si chiama unità motrice. Le fibre sensoriali sono distribuite tra i fusi muscolari e i nocicettori. TENDINI Queste strutture sono composte per la maggior parte da fibre collagene con un piccola percentuale di proteoglicani. Sulla base di un campione il collagene rappresenta il 60-80% della massa totale del tendine. I tendini che sono formati da fasci di fibre collagene corrono paralleli e in parte si incrociano, sono molto resistenti all’estensione. Benché l’elastina sia assente e il loro collagene è difficile da allungare, i tendini sono comunque leggermente allungabili. La forma ondulata delle fibre insieme alla conformazione intrecciata dei fasci comportano un leggero allungamento al momento della contrazione muscolare che smorza la brusca trazione nel punto di inserzione. Sulla superficie l’epitendine o la guaina tendinea sono formati da connettivo denso e da fibre di elastina. E’ la continuazione del tessuto connettivo che riveste il tendine tra i fasci e crea un ingresso per i vasi e i nervi. Nell’inserzione, i fasci di collagene rivestono le ossa. E’ dimostrato che l’inserzione del tessuto connettivo dei legamenti sulle ossa comporta una transizione da fibro cartilagine non mineralizzata a mineralizzata sull’osso. Nei tendini dei ragazzi, il diametro delle fibre e la forza del tessuto può essere aumentata con l’esercizio. Negli adulti, comunque l’effetto è minimo nonostante la tensione regolarmente applicata sia necessaria a mantenere l’integrità strutturale. L’immobilizzazione ha dimostrato perdita della resistenza del tessuto. L’innervazione dei tendini sembra essere interamente afferente. La vascolarizzazione dei tendini è bassa- la ragione per cui appaiono bianchi. Piccole arteriole si ramificano negli intervalli tra i fasci e sono accompagnate da vene e vasi linfatici. Il passaggio dei vasi attraverso la giunzione osseo tendinea sembra non avvenire. Dove i tendini passano sotto i legamenti o attraverso i tunnel osteofibrosi, si formano le guaine sinoviali , che isolano completamente il tendine. Queste guaine sinoviali hanno due strati concentrici, separati da uno strato sottile di liquido sinoviale. Il fluido agisce come lubrificante ed assicura il facile scorrimento del tendine. Lo strato più interno (viscerale della guaina) è attaccato al tendine e all’esterno (parietale) alle strutture adiacenti come il periostio e il retina colo. TRAUMI DEI TESSUTI CONNETTIVI MOLLI INTRODUZIONI I danni ai tessuti molli comportano problemi agli elementi strutturali del tessuto connettivo con rotture di arteriole e venule. Segue una reazione infiammatoria generale (Tabella 3.1), una parte della quale è di difesa in quanto spinge il soggetto a limitare le attività mentre inizia la guarigione. Senza tener conto della localizzazione del danno e del grado di lesione, la guarigione comprende tre fasi principali: infiammazione, proliferazione (granulazione) e rimodellamento. Questi eventi non avvengono singolarmente ma formano un continuum di cellule, matrice e cambiamenti vascolari che iniziano con il rilascio di mediatori dell’infiammazione e finiscono con il rimodellamento del tessuto riparato. Il tessuto connettivo si rigenera in gran parte come conseguenza dell’azione delle cellule infiammatorie, delle cellule dell’endotelio vascolare e linfatico e dei fibroblasti. Fig. 3.1 fasi della riparazione dopo una danno meccanico ai tessuto molli. INFIAMMAZIONE La prima reazione è la vasocostrizione delle piccole arteriole che dura circa 5 10 min ed è seguita da una vasodilatazione e un aumento della flusso di sangue per 1-3 giorni. Negli infortuni maggiori con danno ai vasi sanguinei il sangue esce e forma un ematoma che temporaneamente riempie la zona della lesione. All’ interno dell’ ematoma la fibrina accumulatasi e le piastrine si legano alle fibre collagene a formare un coagulo. Le modifiche vascolari e le reazioni infiammatorie sono avviate dai mediatori chimici liberati dalle cellule del tessuto distrutto. I mastociti rilasciano eparina (anticoagulante) ed istamina(vaso dilatatore). Le cellule plasmatiche inducono alla bradicinesia e producono sostanza P (dolore e vasodilatazione).Le piastrine producono serotonina, prostaglandine e fattori di crescita che stimolano la migrazione proliferazione e differenziazione delle cellule. In oltre i mediatori causano la migrazione dei leucociti nell’ area della lesione e tumefazione delle cellule endoteliali. Le cellule endoteliali si allontanano dai loro siti ad altri, per lasciare spazio alle cellule che incrementano la permeabilità dei vasi e quindi permettono al plasma di far uscire cellule e proteine. Come risultato la presenza di queste proteine migliora il flusso per osmosi di più plasma nello spazio extracellulare . L’ intero processo è detto fase essudativa. La parte liquida del plasma riduce potenzialmente le sostanze nocive e produce la distruzione di cellule e aiuta nella loro eliminazione mediante globuline ed enzimi. Un'altra importante sostanza è il fibrinogeno, che forma una rete di fibrina nella quale i fibroblasti possono migrare con altre cellule addette alla riparazione. La parte cellulare dell’ essudato è formata da: 1. -granulociti neutrofili responsabili per fagocitosi e proteolisi del prodotto della distruzione cellulare. 2. -linfociti che aumentano la permeabilità e aiutano nella fagocitosi delle cellule danneggiate 3. -macrofagi dei quali il compito è probabilmente quello di fagocitare proteine, i macrofagi restano presenti nell’ intera fase di infiammazione per assistere alla fagocitosi del tessuto malato e sono cellule chiave nella riparazione. I noti segni clinici dell’ infiammazione sono: gonfiore, calore, dolore,rossore e funtion lesa- una reazione di difesa del corpo che prepara il necessario a ridurre le attività mentre ha inizio la guarigione. RIPARAZIONE Vale la pena ricordare che solo la capsula sinoviale delle articolazioni, i muscoli scheletrici e le ossa sono in grado di rigenerazione. Tutto l'altro tessuto connettivo guarisce per riparazione con la formazione di collagene e tessuto cicatriziale. Una volta che la fase essudativa ha eliminato i detriti di tessuto con la fagocitosi, i fibroblasti e capillari migrano lungo la rete di fibrina. I processi infiltrazione vascolare, proliferazione dei fibroblasti e deposito di collagene di solito iniziano 48 ore a cavallo con la fine della fase essudativa e la fase di rimodellamento. La fase di riparazione è iniziata e diretta dal rilascio da parte dei macrofagi di agenti chemio tattici che attirano i fibroblasti e le cellule endoteliali, rilasciano fattori di accrescimento che stimolano queste cellule a proliferare e producono acido lattico che migliora la sintesi del collagene da parte dei fibroblasti. Alte dosi di corticosteroidi prevengono la migrazione dei macrofagi. Durante la loro proliferazione i fibroblasti diventano cellule chiamate mio fibroblasti che producono un attività di trazione sulla matrice richiesta per ridurre gli spazi nell’ area della ferita. I capillari ai lati della ferita,formano una nuova rete capace di mantenere il microcircolo e assicurare ossigeno e nutrienti per la guarigione e la rimozione dei metaboliti prodotti. La fitta massa vascolare prodotta dà l’ apparenza a granuli del tessuto, che prende il nome di tessuto di granulazione. Dal 4 o 5 giorno dopo il trauma,l ammontare del collagene è elevato e c’ è un progressivo e graduale innalzamento fino alla sesta settimana. I corticosteroidi diminuiscono il numero di fibroblasti e ciò si traduce in una diminuita formazione di fibre collagene e di conseguenza una cicatrice più debole. Normalmente l’ iniziale arrangiamento delle fibre collagene è casuale ma dopo 6 settimane la resistenza alla trazione continua ad aumentare grazie all’ orientamento delle fibre lungo le linee di forza nel tessuto che aveva subito il trauma ( rimodellamento). RIMODELLAMENTO Intorno alla fine della 3 settimana inizia la maturazioneprocesso di riorganizzazione e la cicatrice si rinforza, eliminando riorganizzando e sostituendo le cellule e la matrice risulta così un migliore orientamento strutturale e maggiore resistenza alla forza di trazione. 1. -diminuisce la vascolarizzazione e alcuni dei nuovi vasi si riassorbono così il sangue che scorre diventa appropriato alla quantità necessaria alla cicatrice. 2. -la qualità, forma, forza della cicatrice cambiano: il tessuto debole ed immaturo con un orientamento casuale di fibre disposte in 3 piani viene rimodellato linearmente. Questo processo è il risultato di un numero di fattori inclusi il rimaneggiamento del collagene, le fibre concatenate insieme e l’ aumento dei legami intermolecolari. E’ ormai generalmente riconosciuto che le forze interne ed esterne applicate al tessuto riparato è il principale fattore stimolante il rimodellamento. Le tensioni generate da movimenti dolci in direzioni funzionali ri- orientano il collagene e rompono ogni debole e non necessario legame(aderenze) che si era formato. Lo stress meccanico ha in questo momento la sua maggior influenza sul rimodellamento. Il rimodellamento può continuare per anni sebbene più lentamente nel tempo. La resistenza alla trazione del tessuto riparato nei legamenti raggiunge il 50% del normale da 6 a 12 mesi dopo l’ incidente e il 100% solo dopo 1-3 anni. La forza di una cicatrice muscolare aumenta invece più velocemente perché è maggiormente vascolarizzato. SELF-PERPETUATING INFLAMMATION La sequenza lineare degli eventi descritti precedentemente – una reazione infiammatoria seguita da riparazione e rimodellamento – è tipica delle lesioni acute, sia accidentali che chirurgiche. In ortopedia comunque, ciò si verifica sia nelle lesioni muscolari croniche sia nella lesione di tessuti, sia nei fenomeni di “overuse” e tensioni eccessive nei tessuti indeboliti. In questo caso la reazione dei tessuti presi in esame non è sempre così lineare; l’infiammazione potrebbe essere prolungata e la formazione del tessuto cicatriziale eccessiva e inappropriata. Il riposo solitamente fa sì che inizi la formazione di aderenze dentro e attorno al sito lesionato. L’edema aumenta la tensione tissutale e causa dolore, impedendo così i movimenti funzionali che sono estremamente importanti nella prima fase della rigenerazione. Senza una mobilizzazione appropriata non c’è bilanciamento tra la formazione e la lisi degli elementi di rigenerazione del tessuto interessato. Non risulta appropriato l’allineamento del collagene e la forma finale del tessuto cicatriziale tende a rimanere male organizzata. Ogni piccolo stress applicato su questo nuovo tessuto è sufficiente a distruggere le nuove fibre formatesi. Questo a sua volta comporta una nuova risposta infiammatoria ed innesca un circolo vizioso di disordini cronici e tessuto connettivo di qualità inferiore. Se si mantiene uno stato tale di infiammazione cronica, la funzione dell’area interessata continua a danneggiarsi e porta ad un ulteriore indebolimento del tessuto. Cyriax pone attenzione a queste tipologie di infiammazione croniche dei tessuti molli che partono da un trauma ma continuano a lungo dopo che il trauma è stato risolto – dette infiammazioni continue – particolarmente soggette ad accadere anche in seguito a traumi di minore entità ad un legamento. Occasionalmente questo può accadere anche in un tendine in seguito ai fenomeni di “overuse”. Tenendo presente la reazione infiammatoria nei tessuti molli traumatizzati, è chiaro che la mancanza di movimento durante il periodo di riparazione e rimodellamento che porta alla formazione di tessuto cicatriziale potrebbe essere responsabile della formazione di lesioni croniche. La decisione se una lezione ha bisogno di riposo o movimento non può essere presa dal paziente, che sente dolore e perdita della funzione, e interpreta questi sintomi come una potenziale minaccia che potrebbe essere ridotta con l’immobilizzazione. Lo scopo principale nel trattamento delle lesioni muscolo scheletriche è quindi guidare la rigenerazione dei tessuti attraverso le fasi dell’infiammazione e riparazione per mezzo di movimento appropriato che possa ridare il movimento senza dolore. Se si è verificata un’infiammazione cronica e continuata, un’infiltrazione di corticosteroidi potrebbe interrompere questo processo. La cicatrice non dà più dolore e il tessuto che ha riacquistato il suo movimento funzionale e le giuste sollecitazioni, inizia a rimodellarsi. Un altro approccio che potrebbe aiutare a ridurre questa organizzazione del tessuto cicatriziale è applicare un massaggio profondo trasverso attraverso la manipolazione. EFFETTI DELL’IMMOBILIZZAZIONE SULLA GUARIGIONE CAPSULA ARTICOLARE E LEGAMENTI I disturbi del flusso sanguineo e linfatico nelle membrane sinoviali influenzano l’apporto di nutrienti e la rimozione di prodotti metabolici e di cellule distrutte. L’immobilizzazione dell’articolazione riduce la concentrazione ialuronica del liquido sinoviale ed è accompagnata da cambiamenti della popolazione cellulare nella zona intimale della sinovia. In uno studio sugli effetti dell’immobilizzazione nelle articolazioni del ginocchio dei cani, è stata rilevata un’eccessiva sedimentazione di tessuto connettivo. Col tempo la cicatrice e le aderenze intra -articolari risultano colpevoli della riduzione del movimento articolare. Nella matrice si verificano la perdita del 4.4% di liquido extra cellulare ed una riduzione significativa del contenuto di GAG (30-40%). La crescita di nuovi capillari intorno al tessuto leso risulta diminuita. Altri studiosi hanno analizzato gli effetti dell’immobilizzazione nell’articolazione del ginocchio dei conigli. Hanno confermato i risultati nel cane ma anche postulato che la perdita di liquido e dei GAG diminuirebbe lo spazio fra le fibre collagene, e quindi diminuirebbe il normale movimento tra le fibre. L’orientamento casuale delle fibrille di nuova generazione e la formazione di legami fra le nuove e le preesistenti fibre collagene è responsabile della diminuzione della mobilità del collagene e dei movimenti. Tali cambiamenti a livello della matrice sono relativamente uniformi nel legamento, nella capsula, nel tendine e nella fascia. Altri studi specifici sui collaterali e sui crociati hanno dimostrato la lassità, la distruzione nell’inserzione del legamento e una diminuzione del carico dopo un’immobilizzazione di tre mesi. CARTILAGINE Molti autori hanno dimostrato anche gli effetti deleteri sulle cartilagini dell’immobilizzazione. 1. L’accorciamento e l’ispessimento della capsula articolare dà origine ad una triplicazione della cartilagine articolare, che porterebbe ad un cambiamento degenerativo dell’articolazione. 2. La perdita di liquido e di GAG nella cartilagine diminuisce le sue proprietà elastiche. 3. Diminuzione dell’apporto di sangue nella capsula comporta un deposito di metaboliti sulla superficie articolare. 4. Gli enzimi lisosomi rilasciati dalla morte dei condrociti portano ad un’autolisi della cartilagine proporzionale al tempo dell’immobilizzazione. IL MUSCOLO E’ stata studiata la reazione muscolare nell’immobilizzazione. Sono presenti: 1. Diminuzione della densità capillare e atrofia muscolare. 2. Diminuzione nella forza muscolare soprattutto durante la prima settimana di immobilizzazione. Dopo due settimane di gesso si ha una perdita del 20% della forza massima. Le fibre muscolari lente con predominanza di metabolismo ossidativo, sono molto suscettibili di immobilizzazione all’atrofia rispetto a quelle veloci. 3. Incremento del tessuto connettivo. Per prima cosa si verifica una proliferazione negli spazi del perimisio e a volte anche negli spazi dell’endomisio. Si ritiene che questo potrebbe indebolire l’apporto vascolare al muscolo e potrebbe facilitarne la degenerazione e rendere più difficile la rigenerazione. Sebbene la struttura muscolare, il metabolismo e la funzione siano particolarmente indeboliti dopo un’immobilizzazione, il quasi totale recupero è possibile a patto che il programma di riabilitazione parta con esercizi molto cauti ed eviti sforzi volontari massimali. 4. Disturbi della coordinazione neuromuscolare dei gruppi muscolari. Gli stessi studi pongono attenzione alle reazioni sui vari apparati, come i sistemi cardiovascolare, respiratorio, locomotore e vegetativo, che potrebbero essere coinvolti (tabella sottostante). EFFETTI DELLA MOBILIZZAZIONE SULLA GUARIGIONE I benefici di una precoce mobilizzazione nella maggior parte delle lesioni dei tessuti molli fu sostenuta da Ippocrate più di 2400 anni fa. La circolazione nella capsula è aumentata e ciò aiuta l’apporto di nutrienti e l’eliminazione dei detriti cartilaginei. I movimenti articolari hanno effetti benefici e nutrono la cartilagine. Esperimenti accertati sull’influenza dell’attività fisica nei legamenti e nei tendini sostengono che la forza del tessuto connettivo migliora con gli esercizi riabilitativi e diminuisce con l’immobilizzazione, a patto che tali esercizi siano di resistenza. Gli animali allenati hanno una legamenti, giunzioni osseo tendinee più spesse. Effetti simili riguardano la riparazione dei legamenti che mostrano valori di forza significativamente maggiori dopo che la riparazione è completa se non sono stati immobilizzati. La precoce mobilizzazione influenza anche considerevolmente i processi di rimodellamento e previene formazioni di adesioni che potrebbero limitare i movimenti articolari. Un altro vantaggio della precoce mobilizzazione è l’effetto positivo sui muscoli scheletrici che migliorano la circolazione, la forza e la resistenza e mantengono la propriocezione, che assicura la stabilità attiva dell’articolazione. Tab. 3.2 TRATTAMENTO DELLE LESIONI TRAUMATICHE DEI TESSUTI MOLLI Lo scopo del trattamento ortopedico è quello di restituire funzionalità non dolorosa al tessuto connettivo. Durante le ultime decadi è parso chiaro che l’applicazione di movimento funzionale al connettivo danneggiato è estremamente importante e dovrebbe essere il primo e principale obbiettivo del terapista. Ovviamente la selezione delle tecniche dipenderà da tanti fattori, così come lo stadio di lesione, il tessuto coinvolto, la gravità, l’irritabilità e il dolore percepito dal paziente. LESIONI MUSCOLARI Il dolore del muscolo post attività, la contusione, la rottura, la mio sinovite e la miosite ossificante sono diversi tipi di lesioni che possono accadere ai muscoli scheletrici. DOLORE MUSCOLARE POST ATTIVITA’ Un dolore che si presenta dopo l’attività, a volte dopo 12-24 ore dopo l’esercizio, è ben noto negli atleti e potrebbe essere causato da un disturbo del metabolismo, con un alta concentrazione di acido lattico e risultato di una reazione infiammatoria: vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare ed edema. Tumefazione e mancanza di ossigeno potrebbero irritare le terminazioni nervose e portare ad una contrattura. Un’altra recente teoria dice che potrebbe essere presente un danno al sarcomero, alle fibre collagene intramuscolari che potrebbe portare ad una reazione infiammatoria. Lo stretching passivo e la contrazione attiva comportano fastidio. Il dolore dura 3-4 giorni, diminuendo gradualmente nei giorni seguenti. Un improprio riscaldamento, esercizi mal eseguiti, preparazioni accelerate e corse effettuate prima che ci sia una giusta condizione fisica, sono alcune delle cause che possono causare dolore. Il modo migliore per evitare questa condizione è essere sempre in forma. Altre precauzioni possono essere. 1. Riscaldamento prima di iniziare un programma di esercizi. 2. Includere sempre esercizi di allungamento nel riscaldamento. 3. Graduale aumento del carico e della durata degli esercizi 4. Evitare eccessive tensioni muscolari 5. Permettere ai muscoli di eliminare i prodotti della loro attività (defaticamento). CONTUSIONI MUSCOLARI E’ il risultato da colpo diretto sul ventre muscolare. C’ è un grado variabile di severità caratterizzato dal dolore e dal sanguinamento intra- extra muscolare con ampio gonfiore. Il sanguinamento intra muscolare è più grave e perdura di più nel tempo a causa della difficoltà di riassorbire l’ ematoma. Un tale trauma non causa un forte dolore nell’ atleta “a caldo” ma è nella notte o il giorno seguente che si presentano rigidità e disabilità (vedi figura sottostante). Lesione da contusione con tipico ematoma in prossimità della superficie ossea. Le contrazioni attive contro resistenza portano dolore e lo stretching passivo del muscolo è limitato e doloroso. La terapia consiste nell’ aspirazione dell’ ematoma(entro 3 giorni) dopo che sia stata applicata immediatamente una compressione mediante bende elastiche. Può essere prescritto un breve periodo di riposo ma mai completo e prolungato. Dopo pochi giorni può iniziare il trattamento con dolce frizioni trasverse profonde e contrazioni attive con il muscolo in accorciamento. LESIONI MUSCOLARI MINORI LESIONE ACUTA: Ci sono traumi o sforzi muscolari che derivano da improvvise e violente sollecitazioni e portano disabilità. Strappi accadono spesso durante insolite contrazioni che producono una più elevata forza muscolare di quando il muscolo è contratto in isometrica o il concentrica. E’ stato inoltre dimostrato che i muscoli bi articolari come il bicipite femorale e il gartocnemio sono più a rischio degli altri. La zona più vulnerabile sembra essere la giunzione muscolo tendinea. L’ immediata risposta al trauma è l’ infiammazione, associata ad edema ed emorragia localizzata. Gli eccessivi edema ed emorragia dovrebbero essere ridotti il più possibile. Accumuli di sangue non si limitano al muscolo stesso ma passano attraverso il perimisio e la fascia nello spazio sottocutaneo. Di regola il dolore è direttamente proporzionale alla misura del danno. TRATTAMENTO L’ immediata induzione all’ anestesia locale presso il sito della lesione blocca gli impulsi che sono responsabili della contrattura muscolare. Crioterapia come alternativa è stata criticata. Anche se si conosce l’ effetto positivo sulla soglia del dolore, effetti fisiologici e le procedure di applicazione sono ancora basati principalmente su scoperte sia empiriche sia cliniche Van Wingerdin suggerisce che crioterapia, specialmente quando viene applicato nella fase acuta della lesione, potrebbe causare edema,inibizione del processo di guarigione e aumento delle reazioni infiammatorie. Dal giorno seguente, contrazioni attive o contrazioni elettriche, con il muscolo in posizione di completo accorciamento per mantenere la mobilità ampliando il ventre muscolare. Nelle fasi successive di guarigione( granulazione e rimodellamento) iniziano formazioni intramuscolari con anormali aderenze e cicatrici che costituiranno una barriera meccanica all’ allargamento muscolare durante la contrazione, una fondamentale funzione del muscolo. II massaggio trasverso profondo simula questo allargamento e previene nuove aderenze. Esso potrebbe iniziare il giorno dopo l’ infortunio e vorrebbe dire che la riparazione è iniziata. Un leggero massaggio viene effettuato quotidianamente per un breve periodo di tempo. Sia un allungamento passivo intenso e forti resistenze muscolari possono causare danni al sito lesionato ed devono essere evitati fino a che il recupero non sia buono. E’ stato dimostrato che la capacità contrattile recupera rapidamente. Una volta che il paziente è libero da dolore e con completo range di mobilità, ripetitivi esercizi di stretching sembrano dare un importante contributo al futura prevenzione di queste lesioni. Il ritorno allo sport può essere concesso quando la forza dell’ arto infortunato è stata riportata al 10%di quella della gamba sana (di solito dopo tre- sei settimane). LESIONI CRONICHE Le nella lesione cronica inizia coprendo le fibre trasversalmente. Il range di allargamento è compromesso e le contrazioni contro la resistenza sono dolorose. Un punto doloroso può essere palpato anche se può essere difficile quando la lesione si trova in profondità, per esempio il ventre del bicipite brachiale o l estensore radiale breve del carpo. Il dolore probabilmente risulta da distensione tra tessuto cicatriziale e quello normale, da variazioni locali di tensione. TRATTAMENTO E’ indicato una frizione trasversale profonda sul sito della cicatrice 2 volte la settimana per 20 minuti. Per mantenere gli effetti della frizione dovrebbero seguire contrazioni attive ed elettriche, con il ventre muscolare che deve ogni volta tornare in una completa posizione di rilassamento. Il muscolo si contrae entro i suoi limiti e ciò viene ripetuto per 5 min a intervalli regolari. Quando la lesione è nella giunzione muscolo tendinea, le contrazioni attive ed elettriche sono inefficaci, e il trattamento è solo la frizione profonda trasversale. Gli steroidi non vengono impiegati nelle lesioni muscolari. Scoperte recenti sul modello animale indicano che il cortisone potrebbe dare effetti positivi a breve termine, ma causare danni irreversibili nel processo di guarigione del muscolo, portando disorganizzazione strutturale delle fibre nuove e marcata diminuzione della capacità di generare forza. MIOSINOVITE E’ una condizione dolorosa descritta da Cyriax, derivante dal overuse di un muscolo. Nei casi più gravi è accompagnata dal crepitio durante il movimento. Questa inusuale condizione sembra verificarsi solo nel ventre dell’ abduttore lungo ed estensore del pollice e nella giunzione muscolo tendinea del tibiale anteriore. Quest’ ultimo problema è ben noto nelle reclute militari che marciano per inconsuete ed elevate distanze. MIOSITE OSSIFICANTE Questa condizione è caratterizzata dalla progressiva formazione ossea benigna; può verificarsi dopo forti contusioni al tessuto muscolare,al connettivo, ai vasi e al periosteo. La patogenesi è mal compresa. Essa si manifesta prevalentemente nei maschi fra i 15 e 30 anni. I siti comuni sono il brachiale e il quadricipite. Questa condizione patologica è riscontrabile anche negli adduttori dell’ anca, gran pettorale e i depositi ossei sono spesso connessi con le ossa sottostanti. E’ sempre presente la seguente triade: 1. -aumento del dolore 2. -palpabile e crescente massa nel muscolo colpito 3. -graduale diminuzione della gamma di movimenti nelle articolazioni adiacenti. La storia di gravi e recenti contusioni al muscolo colpito è utile per la prima valutazione perché i risultati radiografici diventano positivi solo dopo 2-4 settimane dopo il trauma. La situazione potrebbe essere scambiata per tumori ossei e osteomieliti; non è raccomandato nessun trattamento specifico. La formazione ossea potrebbe riassorbirsi col tempo ma il recupero può richiedere da 1 a 2 anni. Da evitare la chirurgia precoce perché può aggravare la formazione di osso. Se i sintomi persistono può essere presa in considerazione la rimozione ma solo dopo che il tessuto osseo è maturo e senza il verificarsi di nuove modifiche. LESIONI TENDINEE I tendini trasmettono forza dal ventre muscolare all’osso. Poiché il tendine presenta sempre un diametro minore rispetto al muscolo, il carico trasmesso al tendine sarà più grande per ogni unità di diametro rispetto al ventre muscolare. La disfunzione può originarsi da cambiamenti nel tendine o nei tessuti circostanti dello stesso. Le lesioni tendinee possono essere classificate nel modo seguente: 1. Lesioni tendinee da affaticamento (tendinite) 2. Peritendinite (tenosinovite, tenovaginalite) 3. Tendinosi 4. Tendinite con peritendinite 5. Gonfiore locale di un tendine 6. Rottura completa TENDINITE Quando lo strappo di un tendine lacera alcune fibre, sembra che si verifichi sempre in quelle parti del tendine dove la vascolarizzazione è relativamente scarsa. Il punto di inserzione nell’osso e parti specifiche del tendine sono considerate zone di vascolarizzazione critiche. Buoni esempi sono una zona nel tendine di Achille, 2,5 cm circa sopra l’inserzione del calcagno, e il tendine del sovraspinato vicino all’inserzione sul tubercolo maggiore. Oltre i 25 anni la vascolarizzazione dei tessuti tendinei diminuisce (di circa il 30%) e ciò aumenta la loro vulnerabilità. Le lesioni sono principalmente causate dall’affaticamento. Ad ogni modo la risposta meccanica di un tendine ad un carico non dipende soltanto dall’intera forza applicata esternamente ma è anche strettamente legata allo stato del tendine. Il sovraccarico può alterare la microcircolazione che, specialmente nelle zone di ipovascolarità, influenza negativamente i processi metabolici. Se ciò continua, ha inizio il processo di degenerazione, chiamato “tendinosi”. All’inizio del processo si ha una condizione degenerativa che non presenta reazioni infiammatorie e quindi segnali clinici e sintomi risultano totalmente assenti. Dal momento in cui un carico normale sforza il tendine e lacera alcune fibre, inizia la reazione infiammatoria. Il trattamento di lunga durata con corticosteroidi o i periodi di immobilizzazione possono ulteriormente influenzare negativamente la condizione del collagene e portare ad un ulteriore deterioramento e diminuzione del numero di fibre. Nello sport un clima rigido, un equipaggiamento non adeguato e delle tecniche di allenamento sbagliate (per esempio la mancanza di riscaldamento che include l’assenza di stretching, un aumento troppo veloce del carico e della durata degli esercizi) possono tutti influenzare negativamente la condizione. Le reazioni infiammatorie nella tendinite sono localizzate non soltanto nelle fibre strappate ma anche intorno ad esse. Qui si verificano l’edema, la crescita dei capillari, la migrazione dei leucociti e l’invasione di cellule mesenchimali, che producono nuove generazioni di fibroblasti e portano ad una larga proliferazione di tessuto connettivo intorno al sito lesionato. LESIONI TRAUMATICHE ACUTE Nelle lesioni traumatiche acute 48 ore dopo la lesione, fibrille collagene di nuova generazione iniziano a chiudere la zona dove manca il tessuto attraverso la formazione di tessuto cicatriziale. Le cicatrici possono essere dolorose per molto tempo e spesso possono presentare una resistenza alla trazione inferiore, specialmente se la reazione infiammatoria iniziale è stata eccessiva e le fasi di granulazione e di rimodellamento inadeguate. TRATTAMENTO Per evitare l’infiammazione eccessiva e stimolare un rimodellamento più efficace, la mobilizzazione moderata e la frizione trasversale sono utilizzate per orientare il collagene distribuito casualmente, in una direzione funzionale. Questo inoltre evita la formazione di aderenze anormali. La terapia inizia il giorno dopo che la lesione si è verificata e il massaggio dovrebbe essere leggero e superficiale per evitare che le nuove fibrille appena generate si rompano. La terapia secondo queste linee guida va protratta giornalmente per la prima settimana e a giorni alterni durante la seconda e la terza settimana. Dopo tre settimane si possono aggiungere delle contrazioni attive prive di carico. E’ consigliabile fare un bendaggio per supportare la struttura e prevenire movimenti inadeguati. E’ necessaria una valutazione attenta, per calcolare il grado di attività e il grado di reazione locale. Il paziente dovrebbe essere molto cauto nel tornare alla piena attività fino a che la lesione non risulti completamente indolore. LESIONI CRONICHE (OVERUSE) TRATTAMENTO Nelle lesioni tendinee croniche, il massaggio di frizione trasversa effettuato sul punto preciso può costituire una tecnica molto utile che può anche portare sollievo a lungo. La frizione trasversale è fatta allo scopo di completare il movimento trasversale della struttura del collagene del tessuto connettivo. In questo modo si evita la formazione di aderenze mentre le aderenze esistenti sono mobilizzate. Il carico ed il movimento dei tessuti connettivi fatti con regolarità durante la guarigione della cicatrice possono anche stimolare la formazione ed il rimodellamento del collagene. Un altro approccio è quello di infiltrare localmente una piccola dose di corticosteroide. Ciò riduce velocemente la reazione infiammatoria cronica ma agisce anche sulla fase proliferativa ad anche rimodellante – la biosintesi del collagene è alterata dai corticosteroidi. Per questo motivo le infiltrazioni locali di steroidi dovrebbero essere fatte soltanto all’inserzione tenoperiostale e mai in relazione al corpo di un tendine per paura di una possibile lacerazione. Un altro svantaggio dell’infiltrazione di steroidi è il tasso più elevato di ricadute (intorno al 25%) dopo l’iniziale successo terapeutico. Si ritiene che il dolore persistente sia causato da cambiamenti degenerativi irreversibili nel tendine. In questo caso viene consigliata la rimozione tramite terapia chirurgica. Anche in questo caso la terapia può prevedere sessioni di frizione trasversale effettuate in modo progressivo fino a che il paziente non manifesta più alcun sintomo. Dopo di che, si inizia il programma di riabilitazione. TENOSINOVITE La tenosinovite è una lesione ben nota della caviglia o del polso dove i tendini presentano un rivestimento. L’irruvidimento delle superfici scivolose dei tendini (guaina) e dello strato interno o viscerale del rivestimento è la conseguenza di una reazione infiammatoria, normalmente uno strappo o movimenti ripetitivi. Durante il movimento le superfici ruvide si sfregano e questo provoca dolore. In molti casi il crepitio leggero è palpabile ed altrettanto il gonfiore. Il crepitio è un segno allarmante che può indicare problemi reumatoidi. TRATTAMENTO Consiste di una frizione trasversale profonda per condizioni recenti o croniche ma è indicato soltanto nelle lesioni post traumatiche. La frizione restituisce il movimento scorrevole e indolore del tendine in relazione allo strato interno del rivestimento. In alternativa si può iniettare una piccola quantità di sospensione steroidea tra il tendine ed il rivestimento. Alcune lesioni rispondono più positivamente al massaggio mentre per altre l’iniezione risulta più efficace. Qualsiasi attività che causi dolore dovrebbe essere evitata fino a che tutti i sintomi scompaiono. TENOVAGINALITE La tenovaginalite è principalmente la lesione del rivestimento del tendine, che è spesso associata a gonfiore e debolezza ma non presenta mai il crepitio. Tra le cause più probabili c’è l’usura ma spesso si verifica anche spontaneamente. Le tipologie non specifiche di tenovaginaliti vanno distinte da quelle che presentano cause specifiche come l’infezione batterica, l’artrite reumatoide, la gotta e la gonorrea. TRATTAMENTO Per le tipologie non specifiche di tenovaginaliti, la terapia prevede l’introduzione di una piccola quantità di steroide tra il tendine e il rivestimento, che produce un immediato sollievo. Nei casi più persistenti si può provare la frizione profonda trasversale anche se spesso è necessaria l’incisione del rivestimento. Nelle tenovaginaliti specifiche la terapia è quella del disturbo sotto menzionato. TENDINOSI Si tratta di una condizione degenerativa del tendine, non accompagnata da reazioni infiammatorie e quindi spesso non presenta sintomi clinici. La lesione è caratterizzata da un visibile scolorimento del tessuto e dalla perdita della lucentezza della superficie del tendine. A livello microscopico la lendinosi è caratterizzata da una perdita marcata di collagene. Le fibre presentano un corso intricato e irregolare ed una forma altrettanto irregolare. Tra le fibre, le cavità colme di fluido allentano il tessuto. Il numero di fibroblasti è diminuito e i loro nuclei si sono trasformati. Accanto a questa distruzione locale, ci sono anche segnali di rigenerazione come mostrano la proliferazione di fibroblasti sottili, la formazione di nuovi di capillari e di nuove cellule mesenchimali, che sintetizzano le fibrille collagene giovani per riempire la zona dove manca il tessuto. In questo processo di granulazione la necrosi e la calcificazione sono insufficienti. All’inserzione (zona di transizione) del tendine il numero di cellule cartilaginee aumenta mentre i fibroblasti mostrano segni di degenerazione con gonfiore delle membrane. Ciò disturba la sintesi delle proteine e comporta cambiamenti radicali nel collagene con perdita completa della struttura. La degenerazione fibrina è sempre più consistente di quella ialina. Se la rigenerazione è assente, spesso si verifica la calcificazione. Molti autori hanno dato spiegazioni riguardanti il processo di calcificazione. Alcuni ritengono che un cambiamento del pH in alcalosi insieme ad una diminuzione nel metabolismo possano creare le circostanze che aumentano il livello di calcio e di ioni fosfati e che causano la cristallizzazione. Altri ritengono che queste calcificazioni siano il risultato della lacerazione di piccole parti della struttura cartilagineo-ossea dalla loro normale attaccatura, lacerazione che comporta la successiva osteogenesi nella zona interessata. GONFIORE LOCALE DEL TENDINE Si verifica di frequente nei tendini flessori digitali del palmo della mano. Quando tali gonfiori sono localizzati al livello delle sommità metacarpali, essi occupano e possono fissarsi al momento della flessione nella parte distale del rivestimento del tendine. Spesso l’allungamento è possibile soltanto con aiuto. Questo sintomo è noto come “indice” della mano destra o pollice . TRATTAMENTO A volte per influire sulla componente infiammatoria del gonfiore risulta efficace l’infiltrazione di steroide. Se però ciò non dà gli effetti sperati, l’alternativa è la rimozione chirurgica del tessuto gonfio (della cicatrice e/o dei depositi di calcio) o il taglio della parte circoscritta del rivestimento. La Figura 3.18 dà una visione generale della localizzazione e della terapia delle lesioni muscolotendinee. ROTTURA COMPLETA La rottura completa di un tendine generalmente ha origine da un trauma indiretto. Sembra verificarsi sempre nel mezzo del tendine. Le lacerazioni acute sono quelle che si verificano improvvisamente, generalmente inseguito ad una singola lesione. Le lacerazioni croniche sono quelle insidiose all’inizio che si verificano in seguito ad un caricamento ripetitivo di un tendine degenerato e indebolito. Le rotture tendinee si verificano soprattutto alla spalla, al polso e al calcagno. Alla spalla l’incidenza di lacerazioni della cuffia dei rotatori nella popolazione va dal 30% al 60%. Le rotture del tendine di Achille e del tibiale posteriore sono anch’esse abbastanza frequenti. Le situazioni anatomiche speciali dei tendini flessori ed estensori del pollice e dell’indice li predispongono a carichi elevati che possono alterare la loro struttura istologica fino a romperli. La cicatrizzazione della rottura di un tendine dipende dal tendine stesso e dalle reazioni dei tessuti circostanti. Alcuni tendini, tra cui quello di Achille, hanno la notevole capacità di cicatrizzarsi dopo la rottura, mentre altri no. Per esempio le lacerazioni della cuffia dei rotatori generalmente non si cicatrizzano e, se lo fanno, rimane un indebolimento permanente. La cicatrizzazione della rottura di un tendine di Achille non è diversa dalle reazioni generali dei tessuti dopo un danno meccanico: la fase iniziale di essudazione è seguita dalla granulazione vascolare e dalla proliferazione dei fibroblasti. La sintesi del collagene inizia nella prima settimana e raggiunge il culmine dopo circa quattro settimane. Poi continua per circa tre mesi. La maturazione e il rimodellamento iniziano alla fine della terza settimana e continuano fino ad un anno dalla lesione. La forza meccanica della cicatrizzazione di un tendine è correlata al processo istologico di riparazione. Durante la seconda fase la forza aumenta ma risulta ancora insufficiente ad impedire un ulteriore tensione sulla ferita. Per questo motivo la regione deve sempre essere immobilizzata fino a che non ha inizio il processo di maturazione (circa tre settimane dopo la lesione). In quel periodo la disposizione delle fibrille collagene non è organizzata e il rimodellamento dipende interamente dalla presenza delle forze di tensione ripetitive applicate al tessuto cicatriziale. Numerosi studi sostengono che il carico passivo ciclico controllato del tendine che sta guarendo, applicato dopo la fase iniziale di guarigione (tre settimane) è efficace nel diminuire la formazione di aderenze anormali e nell’aumentare la forza di tensione del tessuto. LESIONI LEGAMENTOSE TRATTAMENTO PER LA CURA DELLE LESIONI ACUTE E CRONICHE I regimi di terapia rimangono soggetto di controversie e spaziano dalla politica delle nessuna terapia, alla mobilizzazione anticipata e all’applicazione di cerotti, fino all’immobilizzazione con il gesso. Comunque gli studi sperimentali dei decenni scorsi confermano la convinzione clinica che i legamenti lesionati guariscono meglio sotto carichi funzionali piuttosto che tenendoli a riposo. Gli effetti del carico sui legamenti sono stati ampiamente studiati e dagli studi è risultato evidente che il rimodellamento dei tessuti risponde in maniera estremamente positiva al carico ciclico e al movimento. Gli studi a lungo termine sulle distorsioni della caviglia hanno evidenziato che i risultati migliori sono ottenuti quando si è optato per la mobilizzazione anticipata. Altri studi hanno mostrato che le risposte migliori sono ottenute con la terapia funzionale anticipata. Poiché la ricostruzione dei legamenti della caviglia posticipata dà ancora buoni risultati, non c’è bisogno di terapia chirurgica anticipata e per prima cosa va sempre sperimentata la terapia conservativa con mobilizzazione anticipata. Per quanto riguarda l’articolazione del ginocchio molti studi hanno anche dimostrato che il trattamento non chirurgico di un legamento collaterale mediale isolato dà risultati positivi tanto quanto la riparazione chirurgica, ma con una riabilitazione significativamente più veloce. Nonostante questi studi, molti medici e chirurghi affrontano il trattamento delle lesioni legamentose in modo “anatomico”: se una lesione è sospetta o dimostrata radiologicamente, l’approccio medico deve essere quello di ripararla il più in fretta possibile. Questo è possibile mediante la parziale o totale immobilizzazione oppure con la sutura anticipata – lo stesso approccio utilizzato nel caso di fratture, dove le parti separate dell’osso vengono fissate accostandole. Questo modo di pensare in maniera anatomica non corrisponde alla realtà funzionale delle lesioni del tessuto connettivo molle – la funzione del legamento non è in alcun modo paragonabile con la funzione dell’osso. Mentre l’osso deve essere forte e solido, il legamento deve permettere e controllare i movimenti entro certi limiti. Per raggiungere questo scopo il tessuto legamentoso deve essere abbastanza mobile per cambiare posizione continuamente. Le stesse proprietà riguardano il tessuto cicatriziale che deve essere non soltanto forte per evitare un movimento eccessivo, ma deve essere anche abbastanza mobile per permettere un movimento sufficiente. Se tale principio viene trascurato e la cicatrice diventa eccessivamente aderente (all’osso), si verificano continui problemi funzionali. La mobilizzazione precoce previene tali aderenze nella struttura e intorno ad essa. La tensione durante la deposizione del collagene allinea le fibrille collagene appena generate nella direzione della sollecitazione e previene anche la formazione di legami disposti in maniera casuale. Di conseguenza la cicatrice risulta più resistente nella direzione in cui viene esercitata la forza. La tensione evita inoltre che il tessuto cicatriziale aderisca all’osso. Il movimento stimola la sintesi protoglicana, importante per la lubrificazone del tessuto connettivo, e mantiene la distanza critica tra le fibre preesistenti. E’ decisamente efficace iniziare la mobilizzazione dall’inizio, prima che le fibrille di nuova generazione sviluppino legami casuali in maniera anormale e irregolare. Ciò può essere ottenuto attraverso la frizione trasversale profonda e con movimenti passivi. Con la mobilizzazione precoce può verificarsi una difficoltà comune: l’infiammazione traumatica e il dolore intenso durante i movimenti più leggeri sono grossi impedimenti alla mobilizzazione dei tessuti connettivi. In questa situazione, Cyriax sostiene l’infiltrazione in lesioni localizzate di piccole quantità di steroidi, non appena il paziente viene visitato. Questo riduce la fase acuta di infiammazione ed incoraggia il paziente a muovere la parte lesa anzitempo con tutti gli effetti benefici che ne conseguono. Nelle lesioni diffuse questo approccio è impraticabile ed il massaggio trasversale profondo oltre che i movimenti passivi sono sostituiti, anche se esercizio e movimento devono essere modificati fino a che il dolore non viene più avvertito. La “distrazione” del legamento è il risultato dell’eccessivo movimento dell’articolazione in mancanza del controllo muscolare. La zona di transizione tra la fibrocartilagine mineralizzata e l’osso è il luogo della maggior parte delle separazioni tra legamenti ed ossa. Ad ogni modo la distorsione può verificarsi anche nello stesso legamento. Ne è un valido esempio il legamento collaterale mediale del ginocchio, dove le lacerazioni si verificano spesso a metà o appena sotto la linea dell’articolazione adiacente alla tibia. A seconda del grado di gravità, le lesioni legamentose si dividono in tre livelli: Grado 1: un leggero elongazione con micro lacerazioni nella struttura legamentosa Grado 2: una distrazione più acuta con parziale rottura del legamento Grado 3: il legamento è completamente lacerato o è avulso dall’attaccamento dell’osso. Tale classificazione è piuttosto arbitraria e sebbene sia possibile distinguere una piccola lesione da una totale separazione, la differenza tra i livelli 1 e 2 è sempre soggettiva. Le lesioni legamentose possono anche essere classificate tenendo conto del tempo che è trascorso dall’incidente che le ha causate: 1. Acuta: fino a 48 ore 2. Subacuta: da 48 ore a 6 settimane 3. Cronica: più di 6 settimane. Questa classificazione è importante in relazione alla terapia. Le distorsioni con incompleta rottura del legamento sono generalmente piuttosto dolorose e comportano spasmi muscolari e pseudo immobilizzazione. Ciò rende difficoltoso l’esame clinico, per questo spesso occorre il Diazepam o l’anestesia generale per completarlo. Nelle lacerazioni totali raramente si avverte forte dolore e, nelle lacerazioni di ginocchio e caviglia il paziente spesso può camminare senza aiuto. Ma la paura di provare dolore porta il paziente ad evitare attività come salire e scendere le scale o accosciarsi. La valutazione clinica di un’articolazione compromessa a livello acuto dovrebbe essere effettuata il prima possibile – entro poche ora dall’incidente – altrimenti dolore, gonfiore e spasmo muscolare renderanno impossibile i test appropriati. Questo è particolarmente necessario nelle lesioni di primo e secondo grado, nelle quali questi sintomi sono molto evidenti. La storia e la conoscenza del meccanismo dell’incidente sono importanti aiuti per la diagnosi del legamento lesionato. In molti casi fragilità ed edema localizzati indicano il luogo anatomico della lacerazione. TRATTAMENTO La distorsione legamentosa minore dovrebbe essere trattata in maniera tradizionale. I legamenti si rimarginano ma è necessario non distorcerli durante la prima parte della granulazione. Per esempio dopo una lesione al legamento collaterale mediale dell’articolazione del ginocchio, per i primi 10 giorni occorre evitare l’allungamento totale. Nello stato acuto, le reazioni traumatiche come dolore e gonfiore dovrebbero essere mantenute al minimo. Per questo motivo sono molto importanti la compressione e la posizione elevata dell’estremità. In un legamento del ginocchio o della caviglia slogato, se il movimento è necessario dovrebbero essere usate le stampelle. Il giorno successivo inizia la fisioterapia. La frizione trasversale viene esercitata per muovere il tessuto danneggiato avanti e indietro sopra l’osso sottostante ad imitazione del suo normale comportamento. Questo evita l’orientamento casuale delle fibrille di nuova generazione e la formazione di legami casuali anormali tra le fibrille rigenerate e le fibre collagene preesistenti. In questo stato acuto la frizione profonda trasversale non deve durare più di un minuto poiché non si devono ledere le cicatrici più resistenti. Comunque essa dovrebbe essere delicata in rapporto al movimento del tessuto danneggiato. In seguito l’articolazione viene mossa passivamente nella maniera più graduale possibile senza causare dolore. Lo stesso movimento (o movimenti) vengono ripetuti attivamente. Non si dovrebbe tentare di aumentare l’esercizio durante le fasi acuta e subacuta. In una distorsione dell’articolazione dell’arto inferiore esistono le seguenti istruzioni: applicazione dei bendaggi sull’articolazione per proteggerla da movimenti involontari è una misura addizionale utile, specialmente se il paziente è ansioso. I pazienti trattati in questo modo recuperano molto più rapidamente. Un’alternativa è l’infiltrazione di una piccola quantità di steroidi nel luogo della lesione. L’iniezione va fatta entro le prime 48 ore – nella fase iniziale di essudazione. Questa riduce l’infiammazione traumatica e previene la maggior parte di cambiamenti strutturali e di riflesso. Anche il dolore scompare, cosa che permette al paziente di muovere l’articolazione normalmente. A questo punto la frizione trasversale profonda perde efficacia. Le iniezioni di steroidi durante la granulazione e la cicatrizzazione possono portare ad avere pochi fibroblasti, una diminuzione nella formazione di fibre collagene ed una cicatrice più debole. Però questi effetti non sono stati riscontrati in seguito ad un’unica iniezione. Allungare troppo un legamento spesso causa una lassità permanente con conseguente instabilità dell’articolazione. Cyriax sottolinea la propensione dei legamenti non controllati dai muscoli a sviluppare un tale rilassamento permanente e cita come esempi i legamenti sternoclavicolare, acromioclavicolare, sacroiliaco e sacrococcigeo, la sinfisi pubica, i legamenti crociati del ginocchio e i legamenti tibiofibulari inferiori. Dopo il trauma lo spasmo del riflesso muscolare non è in grado di rendere stabili queste articolazioni. Nei legamenti intracapsulari (come i legamenti crociati), una causa della mancata cicatrizzazione può essere data dalla condizione sinoviale, dalla limitata migrazione di fibroblasti e dalla crescita vascolare interna ridotta. La successiva infiammazione traumatica può essere ridotta con i modi già spiegati. Per prevenire il rilassamento occorre evitare completamente i movimenti, attraverso l’immobilizzazione dell’articolazione o l’intervento chirurgico. Tali misure vanno attuate preferibilmente entro sette giorni. Dopo il recupero l’eccellente funzionamento riduce il rilassamento, mentre il rilassamento cronico cessa di essere doloroso con il tempo o con l’infiltrazione locale di steroide. Nelle articolazioni controllate dai muscoli è molto meno frequente che si verifichi il rilassamento permanente. Lo spasmo del riflesso muscolare rende efficacemente stabile l’articolazione. Le lesioni di I e II grado trattate in questo modo, guariscono facilmente. Anche i risultati della terapia tradizionale nelle lesioni di III grado sono positivi nella maggioranza dei casi ma la condizione essenziale è che la lesione sia isolata. E’ poi consigliata l’immobilizzazione parziale per evitare ogni movimento involontario durante il recupero. Il perdurare dell’instabilità in queste articolazioni può essere più o meno compensata dalla rigidità dei muscoli e dei tendini che si trovano sopra l’articolazione. Gli esercizi di rinforzo sono molto importanti e devono essere eseguiti seguendo un adeguato programma. Se necessario, bendaggi e tutori possono dare ulteriore supporto. Nell’intervento chirurgico il tessuto fibroso denso viene utilizzato per ricostruire il legamento – la fascia lata, parte del tendine patellare su altri tendini. Un innesto guarisce il tessuto ricettivo ma non darà mai la forza che esso aveva prima del trapianto. In ogni caso gli innesti migliorano significativamente la stabilità delle articolazioni. LESIONI CAPSULARI Artriti traumatiche, capsuliti e sinoviti hanno tutto vogliono dire tutte la stessa cosa: l’infiammazione dell’intera capsula dovuta ad un più o meno recente trauma. Questa risulta invisibile ai raggi X e quindi l’accertamento non può escludere la diagnosi. Se il trauma ha danneggiato il sistema linfatico e la rete vascolare nella tonaca intima, l’integrità della membrana sinoviale e quindi la sua funzione cellulare risulterà alterata in maniera importante. L’aumentata permeabilità di piccole venule permette al plasma di penetrare e si ha l’espansione. Il gonfiore intra articolare aumenta la tensione nella capsula e inoltre irrita diversi recettori sensibili. Si prova dolore e si verifica l’inibizione del riflesso dei muscoli che può ulteriormente avere effetto sull’articolazione. Se il paziente avverte dolore e gonfiore improvviso all’articolazione, nel giro di pochi minuti, potrebbe trattarsi di enartrosi. La velocità di apparizione dell’effusione e l’acuto dolore eccedono di gran lunga quello causato da un fluido completo. Tramite la palpazione si avverte che l’articolazione è calda e più tesa rispetto a quando l’effusione è completa. Il sangue nell’articolazione è molto irritante ed esercita un’azione erosiva sulla cartilagine. Deve essere aspirato in una volta, dopo di che la rimanente effusione sinoviale viene rimossa pochi giorni dopo. Dopo la lesione le articolazioni sostenute dai muscoli sviluppano in breve tempo una limitazione del movimento con uno schema capsulare. Nelle recenti artriti tale limitazione ha origine dall’azione difensiva del muscolo che è riflessivo e controlla i movimenti che potrebbero ulteriormente irritare la capsula. I muscoli entrano in azione e ciò può essere verificato provando un particolare movimento delicato. Nello stadio cronico lo stato infiammatorio perdura a causa degli effetti dei frammenti cartilaginei, dagli elementi del sangue e dagli enzimi proveniente dalle cellule distrutte, che attivano cellule della membrana sinoviale a produrre eccessivo fluido di qualità inferiore contenente molecole di acido ialuronico e che sono più piccole sia come dimensioni che come concentrazione. La resistenza alla frizione tra le superfici articolari aumenta dell’eccessiva di conseguenza proliferazione e collagene. riduce Si l’inibizione verifica la contrazione della capsula e una limitazione dei movimenti, nello schema capsulare. In assenza di spasmo muscolare l’end-feel diventa meno duro che può sembrare più elastico. TRATTAMENTO I movimenti conservano la mobilità dell’articolazione. Essi hanno l’effetto di mantenere una struttura articolare normale. Nei traumi recenti, il dolore limita il movimento attivo ed è essenziale, particolarmente nella gente di mezza età e negli anziani in cui le aderenze post traumatiche sono inclini a formarsi a ridare un pieno range di movimento il prima possibile. Il movimento attivo assistito e passivo migliora l’apporto vascolare, rimuove i piccoli frammenti cartilaginei, riassorbe l’edema o l’emartro più velocemente, aiuta nel trasporto dei nutrienti e dei metaboliti dalle e alle cellule cartilaginee, e prevengono la formazione di aderenze e contrazioni capsulari. I movimenti dovrebbero essere eseguiti fino al punto in cui si sente la limitazione ma non il dolore. Tutte le possibili direzioni di movimento devono essere provate una ad una, e un piccolo ma consistente aumento del range deve essere evidente giorno per giorno. Se non si vedono tali miglioramenti, sono indicate iniezioni intra articolari di corticosteroidi. Nella fase cronica l’allungamento della capsula richiede molte ripetizioni di spinte costanti e protratte nel tempo finchè il paziente le può sopportare – circa per un minuto. Si producono infine aderenze capsulari ma non può essere atteso un miglioramento del range a breve termine. Nel periodo in cui il miglioramento è lento il terapista e il paziente devono dimostrare rispettivamente pazienza e persistenza. La diatermia ad onde corte fatta per 15 minuti prima della mobilizzazione diminuisce il dolore dell’allungamento capsulare. I segni e i sintomi dell’attività possono controindicare movimenti forzati. Il dolore in assenza di movimento, specialmente di notte, il segnale di dolore e l’inabilità a stare sdraiati a letto portando pesi sull’articolazione affetta, sono tutti sintomi che indicano che siamo in una fase attiva della lesione e i movimenti forzati possono aumentare il problema. Il calore locale e lo spasmo muscolare sono segnali che accompagnano tale evento e indicano che è opportuna un’iniezione di cortisonici. Se il paziente si rifiuta, in alternativa ci sono tecniche leggere di distrazione dell’articolazione messa in posizione neutra. Il terapista inizia con distrazione di minima ampiezza senza dolore, intermittenti e con leggera irregolarità nella profondità e nella distribuzione. Effettuato quotidianamente per la prima settimana e a giorni alterni nelle settimane seguenti, il dolore dovrebbe cessare e il range migliorare lentamente sebbene non in tutti i casi di infiammazione traumatica. l disordine interno nell’articolazione spinale e in quella del ginocchio è un’eccezione in cui i movimenti forzati sono ancora eseguiti nonostante segni e sintomi di attività. Interventi manipolativi fanno sparire rapidamente segni e sintomi e in tal modo dimostrano l’assenza reale di un trauma capsulare. I movimenti forzati non dovrebbero essere fatti nelle artriti traumatiche delle seguenti articolazioni periferiche 1. Gomito: mobilizzazioni passive per ridurre recenti rigidità post traumatiche piuttosto che aumentare il range di movimento; inoltre sono controindicate a causa della possibilità di verificarsi di una miosite ossificante. Un iniezione di corticosteroidi è molto indicata e dà una ripresa piu rapida. 2. Anca: artite traumatica il miglior trattamento è il riposo o l immobilizzazione. 3. Inter e metacarpo falangee nella mano e nel piede:queste articolazioni rispondono male alle mobilizzazioni forzate, le articolazioni delle dita del piede possono essere iniettate di cortisonici. 4. Radioulnare prossimale:l aggravamento dei sintomi può essere causato degli esercizi attivi. Articolazioni non sotto al nostro controllo volontario: dopo un danno non ci si aspetta delle adesioni. I movimenti forzati sono inutili e dannosi; il riposo e i cortisonici sono una buona alternativa. Nei bambini la formazione di aderenze dopo un trauma discorsivo non avviene, sono anche qui da evirare i movimenti forzati. PRINCIPI DI PREVENZIONE: 1. Il riscaldamento 2. Il lavoro eccentrico 3. Il lavoro isoinerziale 4. Lo squilibrio tra flessori ed estensori IL RISCALDAMENTO: ASPETTI FISIOLOGICI E APPLICAZIONI NEL GIOCO DEL CALCIO. E' ormai pratica diffusa e consolidata quella di far effettuare ai calciatori una fase di "riscaldamento muscolare" (warm up) prima della seduta d'allenamento o della partita. Sebbene quest'attività sia accettata e adottata dalla maggior parte degli allenatori, non tutti conoscono le necessità fisiologiche che la rendono indispensabile. Principalmente questa fase d'attività fisica preliminare è fatta svolgere per prevenire gli infortuni muscolo-scheletrici correlati alla pratica sportiva, ma un secondo e non meno importante fine è, come tratteremo più diffusamente di seguito, quello di creare le condizioni ideali cardiorespiratorie e metaboliche per una performance ottimale. Infatti, se da un lato il riscaldamento condotto per un tempo troppo breve è inefficace, dall'altro una fase di riscaldamento troppo lunga può addirittura inficiare il rendimento della prestazione in partita. Non solo la durata ma anche l'intensità con cui è svolto il riscaldamento è un fattore di notevole importanza per le possibili ripercussioni che si potrebbero determinare sull'attività muscolare e di conseguenza sulla prestazione sportiva. Diverse sono le tecniche di riscaldamento utilizzate dagli allenatori: Tecniche di riscaldamento muscolare Passivo determina un aumento della temperatura corporea utilizzando mezzi esterni (docce calde, massaggi, onde corte diatermiche) Attivo movimenti generalizzati Generale del corpo non specifici per lo sport praticato Attivo attività fisica che Specifico coinvolge gruppi muscolari specificamente attivi durante la gara Mezzi attraverso i quali si ottiene il riscaldamento muscolare Attivià fisica Stretching Tra queste le migliori sembrano essere quelle di riscaldamento specifico. Si abbinano a queste le tecniche di stretching che si rendono necessarie per migliorare la flessibilità sia statica sia dinamica, mentre è ancora controverso se effettivamente inducano un miglioramento della performance. I benefici che derivano da procedure di riscaldamento attivo si devono principalmente ascrivere agli aggiustamenti fisiologici indotti a livello dell'apparato cardiovascolare, su i sistemi di trasporto dell'ossigeno da un incremento della temperatura muscolare, e più in generale della temperatura corporea "interna", e infine alla mobilizzazione di diversi ormoni (adrenalina, noradrenalina, glucagone, cortisolo, GH). La maggior parte di questi aggiustamenti è dipendente dalla temperatura. Un innalzamento della temperatura, indotto dall'esercizio fisico nella fase di warm up, determina una più rapida e completa dissociazione dell'ossigeno dalla sua molecola trasportatrice, l'emoglobina, rendendolo disponibile in modo più pronto e massivo per i muscoli attivi (metabolismo ossidativi di tipo aerobico). A livello cellulare l'incremento di temperatura abbassa il livello critico cui avvengono importanti reazioni biochimiche e velocizza l'attività dei mitocondri delle cellule muscolari rendendo in tal modo più efficiente l'utilizzazione dei substrati per l'energetica muscolare. Anche la meccanica muscolare trae beneficio dall'innalzarsi della sua temperatura che a sua volta provoca una riduzione della viscosità interna del muscolo. Ne consegue che il muscolo può effettuare contrazioni più rapide e più forti e tollerare maggiori carichi di lavoro senza correre il rischio di andare incontro a lesioni traumatiche. La temperatura corporea influenza anche la sensibilità dei recettori nervosi e la velocità di trasmissione degli impulsi nervosi, in altri termini le temperature più alte incrementano le funzioni del sistema nervoso. Quest'incremento d'attività del sistema nervoso indotto dalla fase di riscaldamento sembra essere particolarmente utile negli sport, calcio compreso, in cui è richiesto un rapido controllo a feedback dei movimenti effettuati (non solo in rapporto alle tattiche di gioco quali i movimenti di gruppo nei specifici ruoli, ma soprattutto nell'esecuzione di schemi motori che sottendono al gesto tecnico). Per quanto riguarda l'apparato cardiovascolare il warm up determina un aumento di flusso ematico nelle aree muscolari sollecitate che vengono privilegiate rispetto al distretto viscerale. In tal modo si realizza mediante una ridistribuzione del flusso sanguigno una più rapida ottimizzazione della gettata cardiaca per i distretti muscolari attivi. Alla base di questi aggiustamenti cardiocircolatori c'è un incremento delle catecolamine circolanti (adrenalina e nor-adrenalina) e degli stimoli eccitatori che originano dal centro cardioregolatore del bulbo come risposta riflessa agli stimoli che prevengono da i meccano recettori muscolari in seguito all'esercizio fisico. Tali ormoni adrenergici determinano anche un rapido incremento della sudorazione in risposta all'esercizio incrementale della fase di riscaldamento. Questa fase di sudorazione "rapida" è di notevole importanza poiché attenua l'ipertermia. In altri termini si ottiene un aumento della temperatura cutanea, cui consegue la sudorazione, senza che la temperatura corporea "interna" subisca particolari innalzamenti. Una fase di riscaldamento muscolare ben condotta, per intensità e durata, può apportare un miglioramento della prestazione. Infatti, com'è stato sperimentalmente verificato, se essa si protrae per 10 minuti ad un'intensità pari al 40% del massimo consumo di ossigeno (O2max) si può ottenere un aumento della capacità di endurance e un ritardo dell'innesco della soglia anaerobica in partita - o comunque nell'esercizio fisico che fa seguito al riscaldamento. I vantaggi sopra descritti sono da riferirsi ad un riscaldamento attivo, perché utilizzando il riscaldamento passivo si ottiene solo un innalzamento della temperatura, ma non si ottiene un aumento di flusso nei muscoli ne la ridistribuzione del volume ematico, necessaria come si è detto per ottimizzare la gittata cardiaca. Va comunque sottolineato che la fase di riscaldamento va adattata, per intensità e durata, alle condizioni di fitness del soggetto nonché alle condizioni ambientali (temperatura, umidità, ventilazione ecc.) presenti al momento della partita o dell'allenamento. Infatti, essa dovrà essere più lunga e più intensa nei soggetti più allenati e quindi meglio condizionati per ottenere un ottimale innalzamento della temperatura corporea che induca i sopracitati aggiustamenti. D'altro canto non deve essere particolarmente lunga o intensa per non provocare, all'opposto, fenomeni di fatica che possono far abbassare il rendimento in gara. Il warm up deve variare in rapporto alle condizioni ambientali, diventando necessariamente più lungo e poi più intenso nelle giornate fredde, mentre sarà più blando, ma comunque sempre presente, nei periodi caldi. In condizioni di bassa temperatura ambientale, per ottenere un riscaldamento più rapido e prolungato è conveniente fare uso di abbigliamento sportivo realizzato con materiale isolante dal punto di vista termico. In tal modo il calore emanato dal corpo non viene dissipato nell'ambiente. Anche in condizioni climatiche particolarmente calde è necessario effettuare una fase di warm up che preceda la seduta di allenamento o la partita. Un parametro che può essere facilmente controllato e che risulta essere un indice abbastanza sensibile dell'avvenuta "messa in moto" muscolare è dato dall'incremento di sudorazione (soprattutto in ambiente freddo). Si potrebbe valutare anche la frequenza cardiaca, che a valori di 100-110 battiti al minuto dovrebbe stare ad indicare l'avvenuta sollecitazione dell'apparato cardiovascolare. Ricordiamo però che anche i valori di frequenza cardiaca sono influenzati dalla condizione di fitness del soggetto. Concludendo è opportuno sottolineare che tra le forme di riscaldamento è da preferirsi quell'attiva. L'intensità e la durata della fase di riscaldamento devono essere adattate alla condizione atletica della squadra e alle situazioni ambientali. Si propone un semplice schema da adottare per effettuare il warm up pre-allenamento o pre-partita. Nel calcio, essendo uno sport di squadra, il riscaldamento avviene in gruppo, con la sola eccezione dei portieri che generalmente effettuano procedure di riscaldamento differenziato. Regola generale è che il riscaldamento deve avere una durata globale almeno non inferiore ai 15 minuti e deve essere completato in prossimità dell'inizio della partita. Se questa viene ad essere ritardata sarà conveniente effettuare una nuova fase di riscaldamento "di richiamo". I carichi di lavoro da utilizzare devono essere progressivi. Pertanto è opportuno cominciare con esercizio aerobico a bassa intensità (corsa lenta) con abbinati esercizi generali, che coinvolgono i quattro cingoli articolari con attività di tutti gli arti. Questa condizione permette un più rapido aggiustamento cardiorespiratorio, essendo più ampia la massa muscolare globalmente attiva. Seguiranno esercizi che coinvolgono specificamente i gruppi muscolari degli arti inferiori. Questa prima fase, di bassa intensità e di maggiore durata, è anche di preparazione alla fase di allungamento muscolare effettuata con esercizi di stretching. Infatti, il muscolo "riscaldato" dalla precedente attività si lascerà più facilmente allungare nell'esercizio, riducendo la stiffness complessiva mioosteo-articolare. Questa fase è di notevole importanza, poiché eseguita secondo corrette posture, può preservare il muscolo da traumi indiretti. Si adotta in genere anche una fase di stretching alla fine dell'allenamento o della partita, perché questo tipo di esercizio tende a far salire il rendimento del recupero, in altre parole riduce la fatica muscolare. L'ultima fase del riscaldamento prevede il passaggio a esercizi di maggior intensità ma di minore durata (skip, balzi, spostamenti laterali, scatti) con riduzione progressiva dei tempi di recupero. Si dovrebbe ottenere in tal modo il raggiungimento degli scopi del riscaldamento: preparare i gruppi muscolari per ottenere un miglior rendimento in partita e evitare che le sollecitazioni in gara possano indurre lesioni dell'apparato muscolo scheletrico. ALLENAMENTO ECCENTRICO E PREVENZIONE DEI DANNI MUSCOLARI L'evento lesivo a livello muscolare, costituisce uno degli insulti traumatici più ricorrenti in ambito sportivo. L'entità della lesione può andare dal semplice stiramento, spesso associato a rottura dei piccoli vasi, con comparsa di dolore e tumefazione, sino allo strappo muscolare completo. Le conseguenze per lo sportivo, che appaiono ovviamente correlate all'entità della lesione subita, sono sempre comunque sgradevoli e comportano sempre una sospensione, più o meno lunga, dell'attività agonistica e l'attuazione di un'idonea terapia fisica. Il danno strutturale della fibra muscolare può essere causato, sia da una singola contrazione muscolare, come dall'effetto cumulativo di una serie di contrazioni. In ogni caso, il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico. CONTRAZIONE ECCENTRICA La contrazione di tipo eccentrico è un particolare tipo di attivazione muscolare durante la quale il muscolo produce forza, anziché accorciandosi come durante il lavoro concentrico, allungandosi. Per spiegare in termini pratici questo concetto di meccanica muscolare, immaginiamo di tenere in mano con il braccio piegato a 90°, un manubrio il cui peso sia maggiore rispetto alla massima forza esprimibile dal bicipite, poniamo 60 kg. In questo caso, nonostante ogni sforzo, non può certamente flettere il braccio e portare il manubrio verso la spalla, abbiamo appena detto che il suo peso è maggiore della forza, anzi il braccio si distenderà verso il basso, proprio in virtù del grosso carico che è tenuto in mano. L'unica cosa che si è in grado di fare in questa situazione, è cercare di rallentare al massimo la caduta del carico, grazie appunto ad una contrazione eccentrica del bicipite. In questa condizione il muscolo funziona come un vero e proprio "freno": più si riuscirà a rallentare la caduta del peso, maggiore sarà la forza di tipo eccentrico espressa. DANNO STRUTTURALE DOVUTO ALLA CONTRAZIONE ECCENTRICA La ragione della maggior incidenza traumatica a livello muscolare, riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, è soprattutto imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest'ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico. Infatti, durante una contrazione eccentrica, -1 effettuata alla velocità di 90° s , la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica. Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento. Soprattutto con riferimento a questo ultimo dato, occorre sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell'elongazione, possa giocare un ruolo importante nell'insorgenza dell'evento traumatico, visto che questo ultimo può verificarsi, sia in un muscolo che si presenti attivo durante la fase di stiramento, come in un distretto muscolare che sia passivo durante la fase di elongazione. Durante la contrazione eccentrica il muscolo è, in effetti, sottoposto ad un fenomeno di "overstretching" che, in quanto tale, può determinare l'insorgenza di lesioni a livello dell'inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione. E' interessante notare come siano i muscoli pluriarticolari quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni). Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza d'evento traumatico. Le fibre a contrazione rapida (FT), sono, infatti, maggiormente esposte a danni strutturali rispetto a quelle a contrazione lenta (ST), probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un'accresciuta produzione di forza, e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST. Inoltre i muscoli che presentano un'alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, fattori entrambi predisponenti al danno strutturale. Inoltre è interessante notare come l'insulto traumatico sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, come del resto nella porzione finale della fibra muscolare, avvenga il maggior stress meccanico. In ultimo occorre sottolineare il particolare aspetto metabolico connesso alla contrazione di tipo eccentrico. Durante la contrazione di tipo eccentrico, poiché la vascolarizzazione muscolare è interrotta, il lavoro svolto è di tipo anaerobico, questo determina, sia un aumento della temperatura locale, che dell'acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare. Questi eventi metabolici si traducono in un'aumentata fragilità muscolare ed in una possibile necrosi cellulare, sia a livello muscolare, che del connettivo di sostegno. L'allenamento eccentrico come metodologia d'allenamento muscolare di tipo "preventivo". Considerando quindi il fatto che il muscolo si presenta particolarmente vulnerabile nel momento in cui sia sottoposto ad una contrazione di tipo eccentrico, soprattutto quando quest'ultima sia di notevole entità, come nel caso di uno sprint, di un balzo o di comunque un gesto di tipo esplosivo, nasce l'esigenza di "condizionare" i distretti muscolari maggiormente a rischio con un tipo di lavoro consono a questa particolare esigenza. Si tratta quindi di agire secondo una metodologia di lavoro che comporti la ricerca dell'instaurazione di un ambiente muscolare acido, condizione immediatamente seguita, senza soluzione di continuità, da una serie di contrazioni eccentriche rapide (definibili come eccentriche-flash) effettuate sull'atleta da un operatore, oppure da una contrazione eccentrica lenta e controllata (che potremmo definire come eccentrica-classica). L'acidosi muscolare può essere prodotta da una serie di scatti a velocità massimale, ancor meglio se effettuati su distanze relativamente brevi (20-30 metri) con arresto e cambi di direzioni immediati, in modo da ricalcare, nella biomeccanica di corsa, il più possibile il modello prestativo. Esempio 1: L'esercitazione è complessivamente composta da una serie di 5 scatti a velocità massimale effettuati su di una distanza breve (20 metri), con arresto e cambiamento di direzione, effettuati senza soluzione di continuità, abbinati ad una serie di " contrazioni flash" ( 10-15 ripetizioni per gamba) a carico del bicipite femorale. In tal modo il condizionamento muscolare è orientato verso un progressivo adattamento nello sviluppare contrazioni eccentriche rapide ed intense in condizioni di forte acidosi e di marcata anossia cellulare. Questo tipo di lavoro, come riportato nell'esempio 1, si dimostra particolarmente interessante per il bicipite femorale per il semimembranoso e semitendinoso. Per provocare una marcata acidosi locale, del bicipite femorale, è possibile indurre quest'ultima attraverso un'esercitazione muscolare settoriale, come l'esercizio di leg curl, eseguito ad esaurimento muscolare completo, immediatamente seguito dall'esercitazione eccentrica, come descritto dall'esempio 2. Esempio 2 : Per provocare una marcata acidosi locale, del bicipite femorale, è possibile effettuare un esercitazione muscolare settoriale, come il leg curl, eseguito ad esaurimento muscolare completo (65-70% del carico massimale per 12-10 RM), immediatamente seguito da una serie di "contrazioni flash" (10 15 ripetizioni per gamba). Un altro schema di lavoro interessante, sempre a carico del bicipite femorale, è costituito da una serie di corsa calciata, eseguita ad alta intensità, con l'ausilio di bande elastiche, della durata di alcuni secondi, seguita da una serie di contrazioni eccentriche-flash (esempio 3) o da contrazioni eccentriche di tipo tradizionale. Ricordiamo che una serie eccentrica, definibile come di tipo "classico", comporta l'utilizzo di un carico sovramassimale (110%-120% del carico massimale) ed un numero di ripetizioni compreso tra 3 e 4, la fase eccentrica deve essere eseguita molto lentamente e naturalmente la fase concentrica deve essere effettuata grazie ad un aiuto esterno. Data la diversità della modalità di contrazione eccentrica tra il cosiddetto "eccentrico-flash" ed il metodo "eccentrico classico", sarebbe buona norma adottare entrambi questi tipi di lavoro, al fine di ottenere un condizionamento muscolare consono ad entrambi i pattern di attivazione Esempio 3: Un altro schema di lavoro a carico del bicipite femorale, può prevedere una serie di corsa calciata, eseguita ad alta intensità, con l'ausilio di bande elastiche, della durata compresa tra i 20 ed i 30 '', immediatamente seguita da una serie di contrazioni eccentriche-flash (10 -15 ripetizioni per gamba). Questi esempi esercitativi, che naturalmente posso essere integrati o modificati, sempre restando in questa ottica metodologica, possono quindi costituire sia un egregio lavoro di tipo preventivo nei confronti dei possibili danni muscolari, sia, ovviamente con i dovuti adattamenti, fornire una solida base di condizionamento muscolare per ciò che riguarda i piani di lavoro riabilitativo susseguenti ad eventi traumatici a livello muscolare. LAVORO ISOINERZIALE YO-YO Alla fine degli anni ’80, il crescente interesse per i viaggi spaziali di lunga durata ha posto il problema della salute degli astronauti. In assenza di gravitá il loro sistema muscolo scheletrico, non piú chiamato a sorreggere il peso del tronco, subisce una marcata atrofia muscolare (perdita di massa e forza) ed una diminuzione della densitá minerale ossea. Per questo motivo le Agenzie Spaziali Americana (NASA) ed Europea (ESA) hanno iniziato a cercare una soluzione al problema dell’allenamento degli astronauti nello spazio. La soluzione é giunta dagli studi di Per Tesch ed Hans Berg, due ricercatori presso il prestigioso Karolinska Institutet di Stoccolma, che ogni anno assegna il premio Nobel in Medicina e Fisiologia. Utilizzando un volano messo in rotazione da un cinghia, Tesch e Berg hanno realizzato una macchina per l’allenamento resistivo che funziona indipendentemente dalla forza di gravitá. Questa tecnologia, anche nota come isoinerziale, é stata brevettata col nome Yo-Yo Inertial TechnologyTM per la somiglianza con l’omonimo giocattolo. In letteratura scientifica i dispositivi Yo-Yo sono anche indicati come flywheel exercise devices. Il sistema (Fig. 1) funziona come segue: durante la fase concentrica (CON) dell’esercizio, il muscolo viene contratto con la massima forza possibile tirando una cinghia (o una corda) arrotolata sull’asse del volano, mettendolo in rotazione ad alta velocitá. La cinghia ha una lunghezza tale da essere completamente svolta alla fine del movimento. � per via della propria inerzia, il volano continua a ruotare riavvolgendo la cinghia nel senso opposto, tirando a sé l’arto ed iniziando la successiva fase eccentrica (ECC). Dopo una blanda resistenza iniziale, il soggetto inizia a frenare tirando la cinghia fino a completo arresto del volano. Ricominciando a tirare si inizia la successiva ripetizione, e cosí via per tutta la durata dell’esercizio. É possibile variare l’inerzia montando un numero maggiore o minore di volani. L’efficacia della tecnologia isoinerziale é stata provata da numerosi studi di laboratori indipendenti e piú di 150 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali. La sua applicazione é stata estesa con successo al settore dello sport, dove viene utilizzata per l’allenamento e la prevenzione degli infortuni in atleti e squadre di élite. Poiché atrofia muscolare e decalcificazione ossea sono effetti osservabili anche in pazienti costretti all’ immobilitá per trauma, malattia o etá. l’impiego della tecnologia Yo-Yo puó essere esteso anche alla riabilitazione ed alla medicina geriatrica. RESISTENZA VARIABILE ED ILLIMITATA Una delle differenze principali rispetto agli esercizi convenzionali (macchine a pesi, bilancieri o manubri) è che, mentre con i pesi la resistenza é costante ed equivale al carico impostato (esercizio isotonico), nei dispositivi Yo-Yo la resistenza é variabile ed é in ogni istante proporzionale alla forza sviluppata: maggiore è la forza, maggiore sará l’accelerazione con la quale il volano reagisce (esercizio isoinerziale). Con i pesi, l’esercizio termina quando la forza massima che si riesce a sviluppare scende, a causa della fatica, sotto al carico impostato. Ne consegue che tutte le ripetizioni, tranne l’ultima, sono per definizione sub-massimali. In un dispositivo Yo-Yo ogni ripetizione é sempre svolta alla massima forza che l’atleta riesce a produrre, pur se questa decresce con la fatica. Ne consegue che la “dose” di allenamento (lavoro) per un dato numero di ripetizioni é superiore che con i pesi. Inoltre, non esistendo una soglia di carico minima, é possibile proseguire l’esercizio fino ad esaurimento. Per via del carico costante, le macchine a pesi richiedono inoltre speciali camme per compensare le variazioni del braccio di leva del muscolo lungo l’escursione articolare. Tali camme, studiate per un’antropomorfia “media” possono essere non ottimali per atleti con statura fuori standard o con deficit a particolari angoli articolari, per esempio in seguito a lesioni. Grazie alla resistenza variabile, i dispositivi Yo-Yo si adattano invece in maniera ottimale alla forza che l’atleta riesce a sviluppare in ciascun istante ed a ciascun angolo articolare. Inoltre, mentre in un esercizio tradizionale la scelta del carico é critica nel determinare il numero di ripetizioni per serie, in un dispositivo Yo-Yo é possibile usare la stessa inerzia per un’amplissima gamma di utilizzo, sia a forze bassissime che molto intense. Peculiaritá unica delle macchine isoinerziali, l’inerzia stabilisce piuttosto la velocitá alla quale l’esercizio è svolto. In altre parole, ciascuna ripetizione é sempre massimale, e l’inerzia determina esclusivamente la velocitá di esecuzione: minore é l’inerzia, maggiore sará l’accelerazione e decelerazione del volano, la velocitá di esecuzione e la conseguente “esplosivitá” del gesto atletico. Per ultimo l’esercizio isoinerziale, essendo a forza variabile, é molto piú simile al normale funzionamento del muscolo che non un esercizio a forza costante. Nello sport, per esempio, la grande maggioranza dei gesti riguarda l’accelerazione e la decelerazione a forza elevata di una massa inerziale (per esempio una palla o una parte stessa del corpo). Una macchina Yo-Yo ricrea la stessa modalitá di funzionamento, trasformando l’accelerazione di una massa inerziale rotante (il volano) in un gesto mono- o multiarticolare. Per questi motivi l’allenamento eccentrico consistente nell’esporre il muscolo, in condizioni controllate, a carichi eccentrici elevati, é attualmente riconosciuto come il piú efficace metodo di prevenzione delle lesioni. Esso ha inoltre dimostrato di promuovere un maggiore miglioramento delle caratteristiche contrattili del muscolo (incremento della forza muscolare e sintesi di proteina miofibrillare). Sono stati anche riportati risultati incoraggianti nell’uso dell’allenamento eccentrico per la cura di tendinopatie achilee e patellari. Data la maggiore efficienza muscolare in tale fase, la modalità piú efficace per promuovere allenamento eccentrico é lo sviluppo del cosiddetto sovraccarico eccentrico, ovvero la generazione di forza e potenza di picco superiore a quella della fase concentrica. Durante esercizi convenzionali tuttavia, la fase eccentrica é sottosviluppata. In tali esercizi, lo sforzo prodotto viene trasformato in energia potenziale gravitazionale (sollevamento del peso), successivamente dissipata durante la fase di abbassamento. L’area sottesa alla curva della potenza rappresenta l’energia trasformata, ed é pertanto uguale per la fase concentrica ed eccentrica. Poiché la fase eccentrica ha una durata maggiore (velocitá minore) di quella concentrica, la potenza eccentrica é inferiore. In esercizi Yo-Yo, lo sforzo si traduce invece in energia cinetica rotazionale del volano, successivamente dissipata durante la fase eccentrica. Non essendoci fenomeni di attrito, anche qui l’energia (l’area sottesa alla curva della potenza) é uguale per le fasi concentrica ed eccentrica. In questo caso é peró possibile ritardare la fase di frenata, lasciando inizialmente riavvolgere la cinghia senza opporre sforzo. Ne risulta un tempo minore per dissipare l’energia cinetica del volano e una conseguente potenza (= energia / tempo) eccentrica maggiore. Piú lungo é il ritardo nella frenata, maggiore sará il sovraccarico eccentrico prodotto. Si puó osservare come la forza nell’esercizio tradizionale, sostanzialmente costante e pari al carico impostato (le lievi fluttuazioni sono dovute alle forze inerziali di accelerazione e decelerazione del carico), sia decisamente inferiore a quella nella macchina Yo-Yo. La potenza eccentrica é inoltre minore nella macchina convenzionale. Il grafico in basso infine, mostrante l’attivitá elettrica muscolare (EMG) nei quadricipiti, evidenzia una molto piú marcata attivazione muscolare eccentrica nella macchina Yo-Yo che in quella tradizionale. Studi ed applicazioni pratiche I risultati di uno studio comparativo di 5 settimane, consistente in 14 sessioni di allenamento unilaterale degli estensori del ginocchio. Per lo studio sono stati selezionati 16 soggetti, la metá dei quali si é allenata su una leg extension tradizionale e l’altra metá su una macchina Yo-Yo. Forza massimale e volume muscolare (misurato mediante risonanza magnetica) sono stati comparati prima e dopo l’allenamento. Sebbene l’incremento di volume muscolare sia stato equivalente per le due macchine, l’incremento della forza massimale é stato significativo solo per il gruppo Yo-Yo. Allo scopo di valutare l’efficacia dello Yo-Yo come mezzo di prevenzione dell’atrofia muscolare, sono stati condotti diversi studi finanziati dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA). In uno di questi, i soggetti sono stati costretti a letto (bed rest) per 90 giorni, per indurre un’atrofia muscolare simile a quella osservata in durante permanenza nello spazio. Metá dei soggetti è stata inoltre sottoposta ad un regime di allenamento consistente in alternativamente 2 e 3 sessioni alla settimana di 4 x 7 ripetizioni su una leg press Yo-Yo opportunamente equipaggiata. Nonostante nei 90 giorni la durata totale netta degli esercizi sia stata di soli 30-40 min, ció é stato sufficiente per prevenire il calo di massa muscolare, della forza isometrica e della forza esplosiva concentrica ed eccentrica. Figura 6: effetto dell’atrofia indotta sul volume muscolare e compensazione mediante utilizzo di macchine Yo-Yo Altrettanto interessanti sono i risultati di una ricerca condotta su 30 giocatori di calcio professionisti provenienti da due squadre della lega Svedese di serie A. I giocatori sono stati divisi in due gruppi, ai quali è stato somministrato un identico regime di allenamento. In aggiunta, durante la pre-stagione, metá di essi hanno effettuato sedute di allenamento eccentrico preventivo per i muscoli ischiocrurali con una macchina Yo-Yo. Al termine della stagione, su un totale di 13 infortunati (Fig. 7), quelli appartenti al gruppo sottoposto ad allenamento eccentrico aggiuntivo hanno riportato un numero di lesioni tre volte inferiore (3 infortunati contro 10). Tale gruppo ha inoltre riportato un incremento significativo della forza massima e delle prestazioni su un test di velocitá massima in 30 minuti. RAPPORTO FLESSORI/ ESTENSORI AAII Fattori comuni a tutte le lesioni muscolari sono la mancanza di estensibilità e lo squilibrio nella forza dei muscoli flessoriestesonsori dello stesso arto e fra i 2 arti. Si può avere uno squilibrio nella forza dei muscoli ischiocrurali dei due lati del paziente e vi può essere anche una riduzione del rapporto tra flessione (ischiocrurali) ed estensori(quadricipite). Un rapporto di forza tra flessori ed estensori inferiore a 0,6 o uno squilibrio di forza superiore al 10% tra ischiocrurali di destra e di sinistra può essere un fattore causale di lesione degli ischiocrurali. Molti studi hanno utilizzato dinamometri isocinetici per definire un giusto rapporto di flessione ed estenione lo standard è stato per anni 0.5/0.6. Oggi è chiaro che questo rapporto è variabile a seconda se il soggetto è maschio o femmina e a seconda dello sport praticato. Lo squilibrio destra/sinistra è un fattore in grado di aumentare il rischio di lesione degli ischiocrurali alle estremità inferiori. Inoltre per ridurre il rischio di lesione degli ischiocrurali è raccomandabile un rapporto del 50/65% tra ischiocrurali e quadricipite. BIBLIOGRAFIA Robertosassi.it INGJER F., STRØMME S. B.: Effects of active, passive or no warm-up on the physiological response to heavy exercise . Eur J Appl Physiol 40, 273-282, 1979. WIKTORSONN-MÖLLER M., ÖBERG B., EKSTRAND J., GILLQUIST J.: Effects of warming- up, massage and stretching on range of motion and muscle strength in the lower extremity . Am J Sports Med 11(4) : 249-252, 1983. SHELLOCK F. G., PRENTICE W. E.: Warming-up and stretching for improved physical performance and prevention of sports related injuries . Sports Med 2: 267278, 1985. CHWALBINSKA-MONETA J., HÄNNINEN O.: Effect of active warming-up on thermoregulatory, circulatory and metabolic responses to incremental exercise inendurance-trained athletes . Int J Sports Med 10: 25-29, 1989. RODEMBURG J.B., STEEMBEEK D., SCHIERECK P., BÄR P. R.: Warm-up, stretching and massage diminish harmful effects of eccentric exercise . Int J Sports Med 15:414-419, 1994. PRICE M.J.; CAMPBELL I.G. : Thermoregulatory responses during prolonged upperbody exercise in cool and warm conditions . J Sports Sci Jul;20(7):519-27, 2002. BURNLEY M.; DOUST J.H.; JONES A.M.: Effects of prior heavy exercise, prior sprint exercise and passive warming on oxygen uptake kinetics during heavy exercise in humans . Eur J Appl Physiol Aug;87(4-5):424-32, 2002. GRAY S.C.; DE VITO G.; NIMMO MA: Effect of active warm-up on metabolism prior to and during intense dynamic exercise . Med Sci Sports Exerc Dec;34(12):2091-6, 2002 INGJER F., STRØMME S. B.: Effects of active, passive or no warm-up on the physiological response to heavy exercise . Eur J Appl Physiol 40, 273-282, 1979. WIKTORSONN-MÖLLER M., ÖBERG B., EKSTRAND J., GILLQUIST J.: Effects of warming- up, massage and stretching on range of motion and muscle strength in the lower extremity . Am J Sports Med 11(4) : 249-252, 1983. SHELLOCK F. G., PRENTICE W. E.: Warming-up and stretching for improved physical performance and prevention of sports related injuries . Sports Med 2: 267278, 1985. CHWALBINSKA-MONETA J., HÄNNINEN O.: Effect of active warming-up on thermoregulatory, circulatory and metabolic responses to incremental exercise inendurance-trained athletes . Int J Sports Med 10: 25-29, 1989. RODEMBURG J.B., STEEMBEEK D., SCHIERECK P., BÄR P. R.: Warm-up, stretching and massage diminish harmful effects of eccentric exercise . Int J Sports Med 15:414-419, 1994. PRICE M.J.; CAMPBELL I.G. : Thermoregulatory responses during prolonged upperbody exercise in cool and warm conditions . J Sports Sci Jul;20(7):519-27, 2002. BURNLEY M.; DOUST J.H.; JONES A.M.: Effects of prior heavy exercise, prior sprint exercise and passive warming on oxygen uptake kinetics during heavy exercise in humans . Eur J Appl Physiol Aug;87(4-5):424-32, 2002. GRAY S.C.; DE VITO G.; NIMMO MA: Effect of active warm-up on metabolism prior to and during intense dynamic exercise . Med Sci Sports Exerc Dec;34(12):2091-6, 2002. Fisiobrain.it Warwick L, Williams Pl. Gray 's A natomy, 36th OOn. Churchill Livingstone. Edinburgh. 1980. Lewis CEo McGee JOD. TIle Macrophage. IRLPress. Oxford, 1992. Holgate ST. Mast cells and their med iators. In: Holborrow E], Reeves WG (ed s) ImmulI oIogy in Medicine. 2nd edn. Academic Press, london. 1983:979-994. Walker PS. Human [oints alld their Ar/~ficial Replauments. Thomas, Springfield. 1977. Kennedy Ie. Hawkins R], willts RB. Tension studies of human knee ligamen ts. I 80/1(' loint Surg 1976;50A:350-355. Viidik A. On the rheology and morphology of soft collagenous tissue . I Anal 1969;105:1B4. Brocklin van 10. Ellis DC. A study of the biomechanical behaviour of toe extensor tendons under applied stress. Areh Phys Med 1965;46:369. Wyke B. The neu rology of joints . Ann R CoIl Su rg 1%7;41:25. Rowinski M. Afferent neurobiology of the joint. In: Davi es GJ. Gould JA (OOs) Orthop and Sports: Physical Thrrapy . Mosby, 51 louis, 1985:50. Ham Av-.'. Histology, 7th edn. lippincott. Philadelph ia, 19i4. de Monee n. Dyllamiek N il lid mm~/ijk f,indil.'ftjscl. Fune/it , f,rschadiging (/I ht:rstd. Bohn, Scheltema & Hol kema, Utrecht / Antwerp, 1989. Tipton CM, Matthes RD, Maynard JA, Carey RA. The influence of ph ysical activities on hgaments and ten dons. .'vied Sci Sports 1975:j (3);l65. Henderson B, Pettipher ER. The synovi al cell: biology and pathobiology. Sem A rthritis Rheum 1985;15:1-32. Linck G, Porte A. Cytophysiology of the synovial membrane;