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Una Guerra Mondiale finita tre volte
Contributed by PIERO DI NEPI
Thursday, 14 May 2015
La liberazione dal nazi fascismo è una ricorrenza con memorie diverse da ritrovare.
di PIERO DI NEPI
La Repubblica italiana, nata dalla Resistenza e con la resistenza contro il nemico nazista e fascista, giustamente celebra
ogni anno quel giorno straordinario che fu il 25 aprile 1945, e riconosce nella Festa della Liberazione il primo annuncio
dei valori fondamentali che poi saranno alla base della nostra Carta costituzionale. Liberazione prima di tutto dalla cappa
di paura, di viltà e di complicità che il fascismo aveva imposto agli italiani. L’insurrezione generale proclamata dal
Comitato di Liberazione Nazionale doveva dunque chiudere i conti con i fascisti e sorvegliare la resa senza condizioni,
dove possibile per accerchiamento, oppure il ripiegamento senza azioni di retroguardia di 800.000 tedeschi ancora bene
equipaggiati. Fabbriche e città dovevano comunque rimanere intatte. Tuttavia la storia è sempre più complessa delle
ricorrenze che vuole, giustamente, celebrare. Nel nostro paese sono in pochi a sapere che gli Alleati d’Occidente
ricorderanno i 70 anni dal Victory Day in Europa l’8 e il 9 di maggio. I generali Jodl e Keitel, assistenti militari di
Hitler, firmarono l’atto definitivo di resa senza condizioni a Berlino proprio il giorno 8 del mese di maggio. Hitler si
era suicidato il 30 aprile. In Russia una grande parata militare celebrerà il 9 maggio la Vittoria nella Grande Guerra
Patriottica. La vittoria sul Giappone conoscerà invece il suo 70° anniversario il prossimo 2 settembre. In Italia le cose
andarono diversamente, e il 25 aprile 1945 appare l’esito di una vicenda sulla quale ci si può finalmente esprimere
senza il pericolo di fraintendimenti. Infatti, il 10 giugno di 5 anni prima, 500.000 mila “brave persone”
avevano applaudito a Roma, in Piazza Venezia, l’uomo che urlava da un balcone, il Duce infallibile che
prometteva la distruzione delle democrazie occidentali - in pochi mesi - e una guerra rapida, facile, vittoriosa a fianco dei
“camerati germanici”. La strada che avrebbe portato alla grande festa di aprile doveva essere lastricata di
sconfitte, dalla devastazione del territorio nazionale, dalle stragi naziste e infine da una feroce guerra civile. Tanti italiani
avevano aperto gli occhi, e si schierarono dalla parte giusta. C’era voluto però il disastro di El Alamein in Libia
(1942) e poi del corpo di spedizione italiano in Russia (1943). Sotto le bombe delle Fortezze Volanti il popolo aveva
rapidamente cambiato idea. Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia (9 luglio 1943) il regime durò appena 16 giorni. Cacciata
dall’isola, la Wehrmacht nazista aveva iniziato a risalire la penisola lasciandosi alle spalle la consueta scia di
sangue. Grazie ad una operazione da manuale del reparto specializzato di Otto Skorzeny, il “Duce” venne
prelevato da una comoda prigione-albergo al Gran Sasso. Ordini personali di Adolf Hitler, e così Mussolini poté
proclamare la sua Repubblica Sociale Italiana. Non si doveva cedere neppure un palmo, in Italia. Un milione di soldati
tedeschi di tutte le armi, SS incluse, furono letteralmente inchiodati su due linee successive per la difesa di un fronte
sostanzialmente secondario, prima la Gustav e poi la Gotica. Infatti le Alpi avrebbero comunque sbarrato la strada ad
una penetrazione delle forze alleate che si spingesse dall’Italia verso l’Austria e la Germania. La guerra
seminò nel nostro paese morte e distruzione, ma quel milione di uomini certo non poté schierarsi a ridosso delle spiagge
di Normandia il 6 giugno 1944, il D-Day dello sbarco. Nei primi mesi del 1945 un pugno di nazisti d’alto rango, di
stanza in Italia e tra i peggiori che la Germania avesse in servizio, comprese che la guerra era perduta. Ma tutti
sapevano che Hitler aveva impartito l’ordine categorico di fare terra bruciata, come in Russia. La vita di milioni di
civili, le fabbriche, i musei, chiese e monumenti, potevano dunque trasformarsi nel prezzo per l’impunità. Per il
Generale Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, era ben chiara la dimensione e la natura dei crimini commessi. Era
stato lui l’uomo a sovrintendere l’invio al campo di sterminio di Treblinka di 300.000 ebrei di Varsavia. I
collaboratori più stretti di Wolff si misero in contatto con i servizi segreti americani e inglesi nella Svizzera neutrale.
Nacque Sunrise. E nacque precocemente, tra il dicembre 1944 e il febbraio 1945. Lo scopo era quello di negoziare la
resa separata delle forze germaniche operanti in Italia. Il 22 marzo i generali nazisti, con la sola eccezione
dell’irriducibile Kesserling, si riuniscono presso il centro di comando a Recoaro Terme e decidono di avviare le
procedure di resa ed evacuazione. Insomma, di deporre le armi e di reagire solo se attaccati. Le truppe gradualmente
dovranno disimpegnarsi. Tuttavia la resa sarà firmata a Caserta presso il Comando Alleato soltanto il 29 aprile. De facto et
de iure, il 2 maggio finì la guerra in Italia. Le fabbriche e le città furono risparmiate, ma i nazifascisti avevano continuato a
mietere vittime. Wolff non fu processato a Norimberga. Non è forzatura della storia stabilire un nesso di causalità diretta
tra l’Operazione Sunrise (Operazione Alba) e il fatto che Karl Wolff se la cavò con brevi periodi di prigionia e morì
tranquillamente nel proprio letto, nel 1984.
PIERO DI NEPI
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