Obama, l`anitra zoppa che si allea con i nemici storici

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Obama, l’anitra zoppa che si allea con i nemici storici degli americani
Contributed by UGO VOLLI
Monday, 22 June 2015
La politica USA in Medio Oriente si può solo definire folle e masochista: si illude di creare prosperità e pace ma produrrà
miseria e guerra
Accade talvolta che potenti forze storiche coincidano con l’iniziativa di un uomo o di un gruppetto di protagonisti.
E’ successo così per la fondazione di Israele, che certo è il risultato di una grande trasformazione del popolo
ebraico, da popolo reietto e isolato nei ghetti europei e mediorientali all’illusione della cittadinanza, alla necessità
percepita sempre più chiaramente di sfuggire all’antisemitismo autodetereminando il proprio stato. Ma senza la
visione di Herzl, senza la decisione di Ben Gurion che colse contro il parere di molti “l’occasione che capita
ogni millennio o due”, difficilmente oggi ci sarebbe uno Stato di Israele e probabilmente i resti del popolo ebraico
sarebbero più dispersi e isolati che mai. Qualcosa del genere, in negativo però, è accaduto con la presidenza Obama per
gli Stati Uniti. Dai tempi della guerra del Vietnam (ancora oggi ingiustamente diffamata da una leggenda nera comunista,
ma giusta e sfortunata, anche per cause interne), la potenza americana e in genere dell’Occidente è in declino.
La globalizzazione dell’economia e del capitalismo, enorme contributo occidentale alla storia del mondo e al
benessere attuale dell’umanità, ha ridimensionato il peso economico e quindi militare degli Stati Uniti. La vittoria
sul comunismo, altrettanto importante e positiva di quella sul nazismo, ha aumentato gli spazi di libertà ma solo per un
breve intervallo ha trasformato gli Usa nella superpotenza unica, essenzialmente perché essa ha rifiutato di subirne il
peso, culturale e politico prima che economico e ha accettato l’egemonia del pensiero antioccidentale, la
leggenda terzomondista, il rifiuto dei propri stessi valori, prima nell’università e nella cultura, poi nella politica. Alla
fine di questo processo, in cui l’America ha deciso progressivamente di rinunciare al disagevole governo del
mondo e ha lasciato decadere per meschine ragioni speculative anche la propria economia, che pure continua ad
alimentare la rivoluzione tecnologica di questi decenni, è arrivato Obama. Figlio della globalizzazione, privo di radici
americane vere, interprete del rancore antiamericano dei suoi ambienti di origine, profondamente influenzato dalla
“chiusura della mente americana” (per citare un importante libro degli anni Ottanta che prevedeva quel che
poi è accaduto) che si pratica a Harvard e in altre università d’élite, contagiato dall’antisemitismo dei
movimenti estremisti di quegli anni; del tutto inesperto di amministrazione e di gestione di una democrazia; egocentrico;
adulato dagli intellettuali e dagli europei per la sua appartenenza alla minoranza nera e per il suo estremismo politico,
oltre che naturalmente bello, buon oratore, fornito di una naturale eleganza. Sembrava la possibilità di volgere in positivo
gli anni duri e faticosi in cui l’amministrazione Bush, sia pure con molti errori, si era data il compito di contenere la
minaccia islamista. Si presentava come “pensiero positivo”: Yes we can. E invece era la Nemesi, il
rappresentante del declino americano programmatico e desiderato. Colui che si era assegnato il compito di chiudere il
“secolo americano”, di cedere il potere e la responsabilità ad altri. Questi altri non potevano che essere i
concorrenti dell’America (e dei suoi alleati), i suoi avversari storici: la Cina, la Russia, il mondo islamico, il
sovversivismo anti-gringos dell’America Latina. A tutti costoro Obama ha ceduto qualcosa: ai sudamericani la
riconciliazione con i dittatori di sinistra, senza chiedere nulla in cambio. Alla Cina l’egemonia regionale a spese
del Giappone e dell’India (è un tema di cui non si parla, ma sarà centrale nel prossimo secolo). Alla Russia
l’inizio della ricostruzione dell’impero, che è il compito centrale della dittatura putiniana (a spese
dell’Europa, per ora della sua parte orientale). Ma quel che premeva di più a Obama era la
“riconciliazione” col mondo Islamico. Ci ha provato da subito, col famoso discorso del Cairo. Ha fatto tutto
quel che poteva per estromettere i vecchi alleati e lasciare posto alla Fratellanza Musulmana (il cui progetto,
ricordiamolo, è la ricostruzione del Califfato e l’espansione islamica - quel che in pratica fa oggi l’Isis). Nel
mondo sunnita gli è andata male, perché in parte la salsa della “Primavera araba” è impazzita
nell’anarchia più violenta, sicché il tentativo obamiano di rappacificarsi con loro è costato agli arabi ormai poco
meno che un milione di morti in cinque anni. Allora Obama ha deciso di puntare sul mondo sciita, di stringere
un’alleanza col nemico mortale e non pentito degli ultimi 40 anni, la rivoluzione islamica di Khomeini. Non occorre
essere Machiavelli per sapere che se cerchi di allearti coi tuoi nemici senza chiedere nulla in cambio, solo dando loro
quel che vogliono, ne uscirai povero e pesto. E’ quel che è successo alla politica estera di Obama dappertutto:
una immensa diminuzione di ruolo e di risorse per l’America (e per i suoi alleati autentici), che non ha conquistato
agli Usa neanche un po’ di simpatia, non diciamo un’alleanza vera, da parte dei suoi tradizionali nemici.
Anzi da parte loro e degli alleati più accorti e meno ideologici, dunque non dell’illusa Europa), solo disprezzo. Ora
questa partita è arrivata al punto culminante. Mancano diciotto mesi alla fine del mandato di Obama, che è sempre più
una lame duck, un’anitra zoppa come si dice nel gergo politico americano di chi ha il titolo del potere ma non
l’autorità vera di decidere. E mancano soprattutto un paio di settimane alla data limite per la firma
dell’accordo con l’Iran. Che è concepito in questa maniera. Gli Usa riconoscono lo stato degli ayatollah
come potenza egemone della regione più sensibile del mondo, il Medio Oriente - piaccia o non piaccia agli alleati storici
(Egitto, Stati del Golfo, soprattutto Israele). In cambio di questo potere che gli si apre, l’Iran si impegna a
rallentare per qualche tempo il processo di acquisizione della bomba atomica. Un rallentamento parziale, che gli iraniani
pretendono che non sia controllato (in campo militare, che è quello decisivo). Gli Usa poi devono acconsentire a far
cadere tutte le sanzioni e a restituire le somme congelate per queste: un afflusso finanziario enorme, che rafforzerà
immediatamente la macchina da guerra iraniana, già in azione dalla Siria all’Iraq al Libano a Gaza e al Sinai, allo
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Yemen ed altri stati del Golfo. E’ evidente che l’impero che Obama generosamente regala all’Iran
in casa d’altri in cambio di nulla potrà essere realizzato solo con la guerra ai diretti interessati. L’Isis è parte
di questa guerra. Insomma, Obama, per realizzare la propria storica missione ideologica di allearsi ai nemici, prepara
una stagione di guerre e desolazioni ancora più grande del presente in Medio Oriente, anche per quelli che sono stati
capaci di tenersi fuori dalle stragi della “primavera araba”. Un vecchio detto latino secondo cui
“Deus amentat quos perdere vult”, il Cielo fa impazzire quelli che intende distruggere, si applica bene a
questa situazione. La politica americana ed europea in Medio Oriente può solo definirsi folle e masochista. Ma c’è
del metodo in questa follia, c’è in Obama una volontà o una cultura della distruzione dell’Occidente e
dell’egemonia americana che spiega le sue azioni. La follia è di chi ha eletto lui e quelli come lui, con
l’illusione di avere prosperità e pace e probabilmente ne otterrà miseria e guerra. Vedremo a giorni se questo
disegno non fallirà per qualche inciampo. Perché forse, nonostante Obama e i suoi sostenitori, vi sono forze
nell’Occidente, a partire da Israele, non disposte a suicidarsi così facilmente.
UGO VOLLI
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