terapia antibiotica nelle cure palliative

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TERAPIA ANTIBIOTICA NELLE CURE PALLIATIVE: ESPERIENZA IN UN HOSPICE
A. ZAMBELLI, M. DEGL'INNOCENTI, A. RICCI, M. CERESA
HOSPICE MALATTIE INFETTIVE - A.O. LUIGI SACCO POLO UNIVERSITARIO, MILANO, ITALY
La febbre, come evidenziato in diverse casistiche, è uno dei sintomi più fastidiosi e frequenti nella fase
terminale della vita e percepito come importante per la Qualità della Vita (QoL) del paziente. Nel paziente
oncologico può essere spesso correlata alla neoplasia stessa, ma può riconoscere anche una causa
infettiva, batterica virale, fungina. Nel paziente non oncologico le cause sono quasi sempre infettive,
prevalentemente batteriche. La diagnosi ed il conseguente trattamento delle febbri è strettamente
dipendente dalle caratteristiche del paziente, dal setting assistenziale, dall’esperienza dell’équipe palliativa,
dalla disponibilità degli esami microbiologici, laboratoristici e radiologici. Se il paziente è al termine della vita,
con una prognosi inferiore a pochi giorni, la palliazione può essere effettuata con l’uso di antinfiammatori e
antipiretici e con mezzi fisici. Se l’aspettativa di vita è superiore ai 5-7gg, sarebbe opportuno indagare le
cause, che sono spesso correlate a infezioni batteriche delle vie urinarie, delle vie respiratorie e del tratto
gastroenterico. Il setting assistenziale è importante: nell’assistenza domiciliare il paziente è al termine della
vita ed è più difficoltoso eseguire indagini microbiologiche rispetto all’Hospice o all’ospedale. L’esperienza
dell’èquipe porta a scelte puramente palliative oppure verso il trattamento ragionato dopo diagnosi
eziologica. Il trattamento antibiotico ragionato costituisce un elemento importante delle cure palliative, ma
richiede la conoscenza della causa, esperienza nell’uso degli antibiotici e della epidemiologia. Spesso
l’impossibilità del paziente di assumere terapie orali e la mancanza di adeguato accesso venoso ne
impedisce la corretta applicazione. Nell’esperienza del nostro Hospice la febbre è presente in oltre il 95% dei
pazienti, con aumento della prevalenza negli ultimi giorni della vita. Nella maggioranza dei casi viene trattata
con terapia antibiotica ragionata, ma spesso si esegue esame colturale appropriato e conseguente terapia
mirata. La via di somministrazione preferita è quella orale. Nell’impossibilità di utilizzo di tale via per motivi
legati al paziente (impossibilità di deglutizione) o microbiologici, la scelta successiva è la via intra muscolare,
spesso non utilizzabile per il rischio di ematomi. La via endovenosa, che comporta comunque il
posizionamento di un ago-cannula in vena, è generalmente poco accettato dai pazienti, che non tollerano
terapie invasive e le percepiscono come peggioramento della QoL. In casi particolari, dove la mancanza di
accesso venoso e in presenza di patogeni resistenti, viene utilizzata la via sottocutanea. Si tratta di una
scelta empirica, off-label, non supportata da dati nella evidence based medicine, ma che ha prodotto buoni
risultati in termini sintomatici (scomparsa della febbre e dei sintomi di infezione), buona tollerabilità per i
pazienti, e un risparmio in termini economici. Sono stati utilizzati per via sottocutanea i seguenti antibiotici:
ceftriaxone, teicoplanina, amikacina, levofloxacina, tigeciclina. La somministrazione avviene mediante ago
da insulina o posizionamento di ago-cannula sottocute. Utilizziamo lo stesso numero di somministrazioni e
gli stessi dosaggi previsti dal protocollo parenterale, ev o im.
Non sono state riscontrate reazioni avverse, sia locali che generali, tranne lieve dolore nella sede di inoculo,
paragonabile alla somministrazione intramuscolare. La valutazione dell’efficacia è stata effettuata sulla
clinica: scomparsa della febbre, miglioramento locale; quando è stato possibile mediante controllo degli
indici infiammatori.
Riteniamo che la via di somministrazione sottocutanea nelle cure palliative meriti di essere approfondita e
meglio definita con studi appropriati, essendo solitamente ben tollerata dal pz per la sua scarsa invasività
(maggior rispetto della Qol), mentre la facilità di somministrazione ne permette l’utilizzo in assistenza
domiciliare, anche da parte del care-giver, senza il problema della gestione dell’accesso venoso.
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