Capitolo IV L’OPERA DI GIROLAMO SACCHERI Tra i vari tentativi di dimostrazione del V postulato quello di gran lunga più interessante è dovuto al padre gesuita Girolamo Saccheri, valente matematico, filosofo e notevole studioso di logica. Egli pubblicò nel 1697 la “Logica Dimostrativa” in cui viene applicato, per la prima volta, il metodo assiomatico all’esposizione della logica stessa. In questa opera è interessante l’illustrazione di un particolare procedimento di dimostrazione per assurdo che consiste nel supporre falsa la proposizione da dimostrare e, da ciò, giungere alla conclusione che la stessa proposizione è, invece, vera. Saccheri è indotto a privilegiare tale metodo dimostrativo perché convinto che la falsità di una proporzione si possa scoprire mediante l’esibizione di una contraddizione. In questa idea è già presente la tesi (destinata a grande fortuna) che: ”La verità matematica consiste nella non contraddittorietà”. L’opera in cui Saccheri, che può considerarsi il vero precursore della geometria non euclidea, tenta la dimostrazione del V postulato ha per titolo: ”Euclides ab omni naevo vindicatus sive conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universae geometriae principia”, cioè, “Euclide liberato da ogni imperfezione, ovvero tentativo geometrico affinché siano stabiliti i principi fondamentali della geometria generale universale”. Le imperfezioni di cui si parla nel titolo sono certe lacune nella teoria delle proposizioni (che non interessano questa esposizione) e quelli, per noi più importanti, che risiedono nell’insoddisfacente statuto logico del V postulato a cui Saccheri dedica il I libro della sua opera. Egli parte dalla considerazione di un quadrilatero birettangolo isoscele (quadrilatero di Saccheri: Q.S.) ottenuto innalzando sul segmento AB uguali segmenti di perpendicolare AD e BC e congiungendo D con C. 29 Saccheri dimostra le seguenti proprietà a proposito del Q.S.: 1) ADC ≡ BCD Dall’eguaglianza dei triangoli DAB e CBA si ottiene DB ≡ AC; dall’eguaglianza dei triangoli DAC e CBD (III criterio) si ottiene ADC ≡ BCD. 2) La congiungente il punto medio M di AB con il punto medio N di CD è perpendicolare ad entrambi i lati AB e CD. Si consideri la figura seguente: Dall’eguaglianza dei triangoli rettangoli DAM e MBC segue: DM ≡ MC; AMD ≡ BMC. Dall’eguaglianza dei triangoli rettangoli MND e MNC (III criterio) segue: DNM ≡ MNC = 1 retto (angoli adiacenti uguali); MDN ≡ MCN; DMN ≡ CMN. Allora: AMD + DMN = BMC + CMN Cioè: AMN = BMN = 1 retto. 30 3) Se l’angolo D = C è acuto allora CD > AB; se l’angolo D = C è retto allora CD = AB; se l’angolo D = C è ottuso allora CD < AB. Dimostriamo la terza implicazione. Con riferimento alla figura si ha: AM = MB; AC = BD; D = C ottuso. Consideriamo i segmenti AM e CN. Se fosse AM = CN, il quadrilatero AMNC sarebbe birettangolo (per la 2) isoscele su MN e sarebbe, per la 1, A ≡ C, che è assurdo. Se fosse AM < CN allora esisterebbe (proposizione 2 e 3 di Euclide) il punto E interno a CN tale che EN = AM e il quadrilatero AMNE che, in tal caso, risulterebbe birettangolo isoscele su MN, avrebbe gli angoli MAE ed NEA uguali, il che è assurdo in quanto MAE è acuto (nozione comune 8), mentre NEA è ottuso (teorema dell’angolo esterno). Deve pertanto risultare AM > CN e quindi 2AM > 2CN o, ciò che è lo stesso, AB > CD. 4) Se CD > AB allora D = C è acuto; se CD = AB allora D = C è retto; se CD < AB allora D = C è ottuso. Dai risultati 3) 4) discende che: o D = C è acuto se e solo se CD > AB; o D = C è retto se e solo se CD = AB; o D = C è ottuso se e solo se CD < AB. 31 5) In un quadrilatero trirettangolo (Q.T.) si ha: C acuto implica CD > AB e CA > DB; C retto implica CD = AB e CA = DB; C ottuso implica CD < AB e CA < DB. 6) Se in un particolare quadrilatero birettangolo isoscele vale una delle tre ipotesi della proposizione 3), allora la stessa vale in ogni quadrilatero birettangolo isoscele. Chiameremo allora queste ipotesi rispettivamente: 1. Ipotesi dell’angolo acuto; 2. Ipotesi dell’angolo retto; 3. Ipotesi dell’angolo ottuso. 7) La somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di due retti nell’ipotesi dell’angolo ottuso, minore di due retti nell’ipotesi dell’angolo acuto, uguale a due retti nell’ipotesi dell’angolo retto. Nel triangolo ABC siano M il punto medio di AC, N il punto medio di CB, H il piede della perpendicolare condotta da A alla retta MN, K il piede della perpendicolare per C ad MN e L quello della perpendicolare da B a MN. I triangoli rettangoli AHM e MKC sono uguali perché hanno uguale l’angolo in M e anche AM = MC e HM = MK. Se fosse, infatti, HM ≠ MK e, per fissare le idee, HM > MK, esisterebbe un punto E interno a HM tale che EM = MK. In tal caso, però, i triangoli AME e MKC sarebbero uguali. Risulterebbe pure E = K = retto e, quindi, AE perpendicolare a MN. Per l’unicità della perpendicolare si ha E = H. In virtù dell’uguaglianza dei triangoli prima citati risulta: γ1= HAM = MCK e AH = KC. 32 Ragionando analogamente sui triangoli CKN e BLN si trova: KCN = γ2= NBL e CK = BL. Osservato che γ1+ γ2= γ = ACB, che il quadrilatero LHAB è birettangolo (in H e L) e isoscele (HA = LB) e, inoltre, che HAB = LBA (per la 1° proposizione di Saccheri) sono gli angoli non retti del Q.S. e che la loro somma è: HAB + LBA = γ1+ α + β + γ2 = α + β + (γ1+ γ2) = α + β + γ. segue la tesi: 8) Se esiste un triangolo tale che la somma dei suoi angoli interni è maggiore, minore o uguale a due retti, la stessa cosa avviene in ogni triangolo. La dimostrazione è contenuta nell’opera “Elements de Geometrie” di Adrienne Marie Legendre (1752-1833). Dimostriamo ora il seguente teorema (3° di Legendre), “Se in ogni triangolo S = 2R allora vale il P.O.”. Siano a e b due rette, nell’ordine una perpendicolare e l’altra obliqua rispetto a t e siano A e B i loro punti di intersezione con t. Considerato l’angolo ε tale che β + ε = 1 retto, costruiamo ε in modo che abbia vertice B, un lato su b e l’ulteriore lato b esterno a β e perpendicolare a t in B. Sia C1 il punto di a tale che AC1 = AB. Nel triangolo BAC1 rettangolo e isoscele su BC1, si ha: AC1B = ABC1 = ½R (si è supposto, infatti, che in ogni triangolo S = 2R). Chiamiamo β1 ciascuno di questi angoli uguali (β1 = ½ R). Sia ora C2 un punto di a tale che C1C2 = BC1. Il triangolo BC1C2,anch’esso isoscele, ha gli angoli alla base uguali: C1BC2 ≡ C1C2B ≡ β2. Essendo: BC1C2 + β1 ≡ 2R e BC1C 2+ 2β2 ≡ 2R, segue BC1C2 + β1 = BC1C2 + 2β2 e, per la nozione comma 3, β1 =2β2 cioè: β2 = ½ β1 = ½ · ½ R = ¼ R = (½)2 R. Se prendiamo ancora su a il punto C3 tale che C2C3 = BC2,il triangolo BC2C3, risulterà isoscele su BC3 con C2BC3 = C2C3B = β3. Dalle eguaglianze β2 + BC2C3 = 2R =BC2C3 + 2β3, segue β3 = (½)3 R. Così proseguendo, dopo n passaggi, otterremo un triangolo isoscele i cui angoli acuti sono ciascuno (½) n · R. Valgono anche le seguenti uguaglianze, in cui H è un punto di b : 33 o o o o o C1BH = R - β1 = (1 - ½)R = ½R C2BH = R - (β1 + β2 ) = R - ½R - (½)2 R = ½R - (½)2 R = (½)2 R C3BH = R - (β1 + β2 + β3) = R - ½R - (½)2 R - (½)3 R = (½)3 R ... ... ... … … … … … … … ... … … … … CnBH = (½) n R (dopo n passaggi). Per il postulato di Archimede esiste un numero naturale n per cui CnBH = (½)n R < ε, cioè tale da consentirci di affermare che la retta b è interna al triangolo Cn-1BCn. Per il postulato del triangolo la retta b deve incontrare il lato Cn-1Cn, cioè la retta a. c.v.d. A questo punto, se ricordiamo che dal V postulato consegue la proposizione 32 che afferma che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti, possiamo concludere affermando che l’ipotesi dell’angolo retto è equivalente al V postulato. L’indagine di Saccheri è ora rivolta a provare che l’ipotesi dell’angolo ottuso e quella dell’angolo acuto portano a contraddizione. In tal caso l’unica ipotesi possibile rimarrebbe quella dell’angolo retto e sarebbe così provato il V postulato. Confutazione dell’ipotesi dell’angolo ottuso 9) Se dal punto medio M dell’ipotenusa AC di un triangolo rettangolo ABC si conduce la perpendicolare in H al cateto AB, allora AH risulta minore, uguale o maggiore di HB a seconda che valga l’ipotesi dell’angolo ottuso, dell’angolo retto o dell’angolo acuto. Per la dimostrazione si ragiona sul quadrilatero trirettangolo ottenuto mandando da C la perpendicolare CL ad HM. Dall’eguaglianza dei triangoli AHM e CLM deduciamo: CL = AH. Nel quadrilatero trirettangolo BCLH risulta: o CL < HB nell’ipotesi dell’angolo ottuso o CL = HB nell’ipotesi dell’angolo retto 34 o CL > HB nell’ipotesi dell’angolo acuto La proposizione ora dimostrata si può enunciare anche nella seguente maniera (con riferimento alla figura precedente): 10) Date due rette a e b incidenti in un punto A e presi, a partire da A, due segmenti consecutivi uguali su a (AM = MC), le loro proiezioni su b (AH e HB) sono crescenti nell’ipotesi dell’angolo ottuso, decrescenti nell’ipotesi dell’angolo acuto, costanti nell’ipotesi dell’angolo retto. 11) Nell’ipotesi dell’angolo ottuso e dell’angolo retto una perpendicolare ed una obliqua ad una stessa retta sono incidenti. Vale,cioè, il P.O. Sia b una retta perpendicolare alla retta t in B e a una retta che incide t obliquamente in A. Scegliamo arbitrariamente un punto A1 su a distinto da A e sia H1 la sua proiezione su t. Per il postulato di Archimede esiste un multiplo di AH1 che supera AB: AK = nAH1 > AB. Si riportino su a n segmenti consecutivi uguali ad AA1 e siano H2, H3, …, Hn le proiezioni su t dei punti A2, A3, …, An. Per l’ipotesi dell’angolo ottuso risulta: AH1 < H1H2 < H2H3 < … < Hn-1Hn e quindi nAH1 ≤ AHn , cioè AK ≤ AHn (l’eguaglianza si realizza nell’ipotesi dell’angolo retto). La retta b risulta, pertanto, interna al triangolo AHnAn e, per il postulato del triangolo, deve incontrare il lato AAn. L’ipotesi dell’angolo ottuso comporta quindi la validità del P.O. e dunque del V postulato. Vale allora la proposizione 29: S = 2R contro l’ipotesi S >2R. Il Saccheri, a questo punto, può affermare che l’ipotesi dell’angolo ottuso è completamente falsa perché “distrugge se stessa”. Confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto Saccheri comincia con lo studiare le possibili mutue posizioni di due rette distinte e trova tre casi possibili: 35 a) Rette incidenti, prive di una perpendicolare comune; b) Rette non incidenti e con una perpendicolare in comune; c) Rette non incidenti senza perpendicolare in comune e che avvicinano indefinitamente l’una all’altra (rette asintotiche). A questo punto, anziché seguire passo passo i ragionamenti molto elaborati e talora contorti del Saccheri, preferisco presentarvi una sintesi più semplice ed organica dell’opera di Saccheri. Se esistesse una perpendicolare p comune a due rette r ed s incidenti, detti A e B i punti di intersezione di p con r ed s, si determinerebbe un triangolo con due angoli retti: α + β + γ >2R contraria all’ipotesi dell’angolo acuto. Siano r ed s due rette non incidenti. Da due punti A e B di r conduciamo le perpendicolari AH e BK ad s, congiungiamo A con K e consideriamo i triangoli AHK e AKB. 36 Con riferimento a tali triangoli, per l’ipotesi dell’angolo acuto (prop. 7), valgono le seguenti relazioni: α1 + γ1 + R < 2R → α1 + γ1 < R α2 + γ2 + β < 2R dalle quali otteniamo: (α1 + α2) + (γ1 + γ2) + β < 3R, cioè α + R + β < 3R α + β < 2R. Se supponiamo, per fissare le idee, α ≤ β allora α deve essere acuto. Sono possibili i seguenti casi: 1) α acuto e β retto; 2) α acuto e β acuto; 3) α acuto e β ottuso. Esaminiamo il caso 1) Le rette r ed s sono non incidenti e hanno la perpendicolare comune KB, cioè sono del tipo b). Esaminiamo il caso 2) Il fatto che β è acuto assicura che β1 è ottuso. Se spostiamo con continuità il punto B lungo r e verso A, l’angolo β1 > R arriverà a coincidere con α < R, allora esisterà (assioma tacito della continuità) una posizione B1 tale che β1 = R. Le rette r ed s risultano del tipo b. Esaminiamo il caso 3) al quale, come vedremo, corrisponderanno rette del tipo c). Sia data la retta r e da un punto A si conduca la perpendicolare ad r in B e sia s la retta perpendicolare in A ad AB. Da un punto C di s si conduca la perpendicolare ad r e sia D il piede. 37 Il quadrilatero ABCD è trirettangolo e, per l’ipotesi dell’angolo acuto, risulta che ACD è acuto. Conduciamo da A la perpendicolare a CD e sia H il piede; H è interno al segmento CD. Se fosse H nella posizione di H1 allora AH1 dovrebbe incidere r, ma ciò è impossibile perché due rette perpendicolari ad una stessa retta sono parallele (prop. 28 di Euclide). H non può nemmeno coincidere con D perché AD incide r. H deve essere anche distinto da C perché in tal caso ACD sarebbe retto. E infine se fosse H nella posizione di H2 l’angolo ACH, esterno al triangolo AH2C, rettangolo in H2, dovrebbe essere ottuso. Osserviamo esplicitamente che AH ed r non s’incontrano ed hanno una perpendicolare in comune. Possiamo allora notare che tra le rette uscenti da A e interne all’angolo BAC ci sono rette incidenti r (per esempio AD) e rette non incidenti r ma aventi con essa una perpendicolare in comune (per esempio AH). Per costruire una retta della prima classe basta considerare un punto D su r e congiungerlo con A; per costruire una retta della seconda classe basta condurre da D su r la perpendicolare h ad r e la perpendicolare da A ad h. Consideriamo ora un punto E su r a destra di D e mandiamo per A la normale alla perpendicolare K in E ad r. Essa appartiene alla seconda classe e, come vedremo, si trova al di sotto di AH. Infatti, se la situazione fosse quella schematizzata nella figura seguente, si verrebbe a determinare un quadrilatero HDEF trirettangolo (in H, D, E) e l’angolo in F dovrebbe essere acuto (per l’ipotesi dell’angolo acuto) e, nel contempo, dovrebbe risultare ottuso in quanto esterno al triangolo rettangolo AHF. Spostando il punto E su r in modo da allontanarlo da B, si può costruire una retta m non incidente r, che si avvicina ad r ed ha con r una perpendicolare comune. Tutte le rette incidenti r ed uscenti da A sono, per quanto visto precedentemente, al di sotto di m. 38 Concludendo possiamo affermare che tutte le rette uscenti da A incidenti r e tutte le rette uscenti da A non incidenti r e aventi con r una perpendicolare in comune, costituiscono due classi separate aventi, per l’assioma della continuità, una retta p come elemento di separazione. La retta p si troverà quindi al di sotto di tutte le parallele aventi con r una perpendicolare in comune e al di sopra di tutte quelle incidenti r. E’ allora immediato osservare che p non incide r. Infatti, se p incidesse r in Q, preso un punto T a destra di Q su r, la retta AT incidente r in T sarebbe al di sopra di p e ci troveremmo di fronte ad un assurdo. La retta p non può avere una perpendicolare in comune con r. Se così fosse, detta PK la perpendicolare comune a p e ad r, si potrebbe costruire, come si è visto in precedenza, da un punto Q a destra di K una retta non incidente r, avente con r una perpendicolare comune e al di sotto di p. Ma ciò è assurdo. La scoperta di rette parallele senza perpendicolare comune e che si avvicinano indefinitamente (rette asintotiche), cioè che si incontrano all’infinito, indusse il Saccheri a concludere che l’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa perché “repugnans naturae lineae rectae”. Ora è possibile che l’esistenza di rette asintotiche ”ripugni alla natura della retta” ma, purtroppo per Saccheri, questa deduzione non costituisce una contraddizione. Il Saccheri comunque deve essere considerato come il matematico che pose le basi della geometria iperbolica. Egli, infatti, nel tentativo di provare il V postulato di Euclide per assurdo, cioè negandolo, non essendo pervenuto ad alcuna contraddizione ha, in realtà, trovato molte proprietà di quel sistema geometrico non euclideo. L’opera del Saccheri ebbe il dovuto riconoscimento e la giusta diffusione soltanto nella seconda metà dell’800 per merito di un altro matematico italiano: Eugenio Beltrani. Chiudo la rassegna dei matematici che, nel corso dei secoli, si sono interessati al V postulato di Euclide, con riferimento doveroso agli studi di Legendre (Tolosa 1752-1883), Bolyai (1775-1856) e di Gauss (1777-1855). Ricordo, per inciso, che nella trattazione relativa all’opera di Saccheri, ho già utilizzato il III teorema di Legendre per dimostrare proposizioni acquisite dallo 39 stesso Saccheri (ho ritenuto, infatti, che la dimostrazione di Legendre fosse più accessibile a voi di quella effettuata da Saccheri). Gli enunciati dei tre teoremi di Legendre sono i seguenti: I) La somma degli angoli interni di un triangolo è minore o uguale a 2R (risultato già conseguito da Saccheri). II) Se in un particolare triangolo S = 2R allora in ogni triangolo S = 2R (risultato anch’esso conseguito da Saccheri). III) Se S = 2R in ogni triangolo, allora vale il v postulato (la dimostrazione è stata svolta a proposito dell’opera di Saccheri). A partire dalla proposizione “Esistono triangoli simili non uguali” (P.L.) che, in sostanza, è la proposizione di Wallis indebolita, Legendre dimostra il teorema: Se esistono triangoli simili non uguali (cioè se vale P.L.), allora esistono triangoli tali che S = 2R. Siano ABC e A'B'C' due triangoli simili non uguali, cioè tali che abbiano gli angoli uguali e, per fissare le idee, AB > A'B'. Sotto tali ipotesi esiste un punto B" interno ad AB tale che sia AB" = A'B' ed esiste anche un punto C" interno ad AC" = A'C'. I triangoli AB"C" ed A'B'C' risultano uguali per il I criterio e di conseguenza avranno uguali gli angoli: AC"B" = A'C'B' = γ e AB"C" = A'B'C' = β. Considerando il quadrilatero CC"B"B notiamo che γ è supplementare di CC"B" e l’angolo β è supplementare di C"B"B: γ + CC"B" = 2R; β + BB"C" = 2R 40 Congiungendo C" con B si ottengono due triangoli in ciascuno dei quali S = 2R (per il I teorema). Dal teorema ora dimostrato e in virtù dei teoremi II e III, Legendre deduce la validità del V postulato. Un’altra proposizione equivalente al V postulato fu enunciata da Bolyai nel modo seguente: “Per tre punti non allineati passa sempre una circonferenza”(P.B.). Dimostro che se vale il P.B. allora vale il P.O. Siano r ed s due rette una perpendicolare in A e una obliqua in B alla retta AB. Da A si tracci la perpendicolare ad s e sia H il suo piede. Su tale perpendicolare si prenda un punto C in modo che AH = HC. Si costruisca, poi, la perpendicolare CK ad r in K e si prenda su di essa un punto F tale che CK = KF. Per ipotesi si sa che esiste una circonferenza per tre punti il cui centro sarà dato dal punto di intersezione delle rette r ed s, essendo quest’ultime gli assi dei segmenti CF ed AC. Quanto detto basta per affermare che vale il P.O. e quindi il V postulato. Si può facilmente dimostrare il viceversa del teorema e quindi desumere che la posizione di Bolyai è equivalente al V postulato. Come si è visto, tutti i tentativi di dimostrazione del V postulato hanno condotto, nei casi più fortunati, all’esplicitazione di proposizioni equivalenti ad esso. Ritengo utile riassumere quelle esaminate: P.U. (postulato dell’unicità della parallela); P.O. (postulato dell’obliqua); 41 P.T. (postulato della transitività del parallelismo); P.E. (postulato dell’equidistanza: il luogo dei punti equidistanti da una retta è una retta); P.W. (postulato di Wallis); P.L. (postulato di Legendre: esistono triangoli simili non uguali); P.B. (postulato di Bollai: esiste sempre una circonferenza per tre punti non allineati); P.Ar. (postulato dell’angolo retto: S = 2R). A seguito di tanti tentativi infruttuosi di dimostrare il V postulato, cominciò ad affacciarsi l’idea che effettivamente il V postulato fosse indimostrabile a partire dagli altri postulati. Sembra che anche Gauss (forse il più grande matematico di tutti i tempi) fosse convinto di ciò. In una lettera afferma che tutti i suoi sforzi per trovare una contraddizione partendo dalla negazione del V postulato sono stati vani e dice testualmente:“La geometria non euclidea non contiene assolutamente nulla di contraddittorio, sebbene molti dei suoi risultati debbono, sulle prime, essere ritenuti paradossali; tuttavia scambiare ciò che per contraddizione sarebbe un’illusione, provocata dalla vecchia abitudine a considerare la geometria euclidea come strettamente vera”. In un’altra lettera egli così si esprime: “Non so se le ho mai parlato delle mie vedute sui primi fondamenti di geometria; ho consolidato qui la mia convinzione che non possiamo fondare la Geometria complementare a priori. Non mi dedicherò ancora per molto tempo ad elaborare per una pubblicazione le mie molto estese ricerche sull’argomento, e ciò forse non avverrà mai durante la mia vita, perché temo gli strilli dei beoti qualora volessi esprimere completamente le mie vedute”. Quest’ultimo riferimento mostra quanto il clima culturale dell’epoca fosse sfavorevole allo sviluppo delle prospettive non euclidee. 42