Interconnessione e rapporti di forza nel Sistema Finanziario Europeo. Gli effetti sulla sicurezza internazionale Abstract Il sistema finanziario di un’area economica si distingue da altri settori di attività per la sua funzione monetaria: esso, e in particolar modo il sistema bancario che ne è un elemento, rappresenta il canale di trasmissione della politica monetaria, attraverso il quale le autorità, con vari strumenti tra cui la definizione del tasso di rifinanziamento e le regole di capitalizzazione delle istituzioni finanziarie, determinano l’offerta di credito del sistema e la indirizzano nei confronti dei diversi soggetti dell’attività economica, tra i quali gli stati nazionali. L’Unione Monetaria Europea ha accentrato le decisioni riguardanti la politica monetaria assegnando alla BCE i poteri in tema di rifinanziamento del sistema bancario e al comitato di Basilea per la definizione della normativa prudenziale. Con la creazione del mercato unico, in base al principio di libertà di stabilimento, le imprese finanziarie sono libere di operare in tutto il territorio dell’unione e di vantare un azionariato potenzialmente internazionale. In condizioni normali l’offerta di credito e la sua distribuzione all’interno dei singoli paesi dipendono da considerazioni prettamente economiche, ma nessuno vieta a una banca o ad un fondo di investire maggiormente nei paesi di origine dei propri azionisti. La crisi dei debiti sovrani, per cui ogni stato europeo compete con gli altri sul costo relativo di rifinanziamento del proprio debito, comunemente definito spread, accentua l’importanza dell’interconnessione e dei rapporti di forza tra i diversi operatori finanziari, inclusi gli stessi stati sovrani che devono piazzare i propri titoli, con conseguenze non sempre scontate sul canale del credito e del mercato finanziario. Il necessario intervento di ricapitalizzazione di molte banche da parte degli stati di origine durante la crisi del 2007-2008 e il contestuale aumento dei deficit di bilancio degli stessi hanno cambiato radicalmente l’assetto proprietario del sistema finanziario europeo e aumentato l’influenza dei governi nazionali su molte banche con effetti non sempre trasparenti. Mentre, ad esempio, opinione diffusa indica come causa della crisi dei debiti sovrani il dispendio di risorse per i salvataggi bancari avvenuti durante la crisi dei subprime, alcuni dei paesi protagonisti dell’epoca, tra cui Inghilterra e Germania, non sono stati colpiti dalla più recente speculazione; l’Italia, al contrario, ne è stata 1 oggetto sebbene non abbia avuto necessità di ricapitalizzare il proprio sistema bancario durante la crisi dei subprime. In questo lavoro cercheremo di capire l’evoluzione e lo stato dei rapporti di forza all’interno del sistema finanziario europeo, partendo da un’analisi dei player europei e del loro ruolo nell’economia, passando dalla microstruttura dei mercati fino ad arrivare a considerazioni di politica monetaria. Obiettivo primario sarà l’individuazione delle esigenze minime d’intelligence economica che ogni stato europeo ha nei confronti dei mercati e delle istituzioni che abbiano interesse e influenza rilevante sulla sua sicurezza nazionale, con specifico riferimento al caso italiano. Obiettivo secondario sarà indicare, alla luce dell’analisi effettuata, le diverse esigenze di politica monetaria dei paesi europei e le implicazioni in tema di sicurezza internazionale. Con specifico riguardo alle istituzioni, analizzeremo l’interconnessione tra i grandi gruppi bancari europei e il loro rapporto con gli stati, le agenzie di rating e il legame con la normativa in tema di capitalizzazione del sistema finanziario. Per quanto compete la microstruttura dei mercati, in particolar modo dei derivati di credito, cercheremo di capire come si possano creare esigenze di intelligence economica soprattutto per quegli stati le cui banche non vi giochino un ruolo sufficientemente attivo. Nel caso italiano, ad esempio, nessuna banca nazionale è attiva come market-maker (funzione principe di intelligence sui mercati di riferimento, tramite cui una banca, fornendo liquidità ai vari attori finanziari, ingaggia rapporti idonei ad acquisire, tra le altre cose, informazioni sui propri clienti e sui competitor) sul mercato dei “Sovereign CDS” dove ci si assicura sul fallimento dei paesi sovrani che ha chiaramente enorme influenza sui prezzi dei titoli di stato. Valuteremo, infine, se l’analisi effettuata sia in grado di indicare politiche monetarie ottimali per singoli o blocchi di paesi europei diverse dall’attuale sistema e gli eventuali effetti in tema di sicurezza internazionale. 2 LA STRUTTURA DEL SISTEMA FINANZIARIO EUROPEO 1.1 Background Il sistema finanziario europeo è molto articolato e vede la presenza di diversi player per ogni singolo paese. Riferendosi ai più importanti per quanto riguarda la capacità di influenzare in modo significativo le economie e i mercati di riferimento, si possono identificare delle banche, dei grossi fondi di gestione del risparmio, delle grosse assicurazioni e una miriade di fondi speculativi, anche detti Hedge Funds. La creazione del mercato unico ha segnato l’inizio di un processo di espansione geografica e aggregazione bancaria; molte banche hanno aperto sedi al di fuori dei confini dei paesi di origine, hanno comprato partecipazioni azionarie di gruppi bancari esteri con cui, in molti casi, si sono integrate anche operativamente. Tale processo si è arrestato con la crisi dei subprime che ha evidenziato la difficoltà di aggregare banche con rischi di bilancio simili; anzi sono stati necessari processi di nazionalizzazione di banche in difficoltà. Stesso discorso vale per la crisi dei debiti sovrani che ha messo in crisi la maggior parte dei gruppi bancari europei tramite la componente periferica che deteneva titoli di stato dei paesi di origine (ad esempio le banche francesi hanno avuto problemi con le partecipate greche). Gli stati che esprimono dei campioni nazionali sono le cinque economie maggiori dell’aria, Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Spagna, anche se la forza relativa non sempre va in linea con la grandezza dell’economia di riferimento: la Germania è presente con 2 grandi gruppi bancari di spessore internazionale, mentre la Francia e l’Inghilterra con 3, l’Italia e la Spagna con 2. Il modello di gruppo bancario europeo è di tipo universale, prevede cioè il maggior numero possibile di attività: banca commerciale, banca di investimento, assicurazione, società di gestione del risparmio; l’obiettivo e’ accentrare il ciclo di gestione del risparmio soprattutto a livello domestico anche se i risultati si sono dimostrati spesso deludenti per ciò che riguarda la capacità di generare utili. 3 1.2 La leva finanziaria e il peso nell’economia Sebbene non privi di rilevanza soprattutto per ciò che riguarda i legami con i gruppi bancari di origine, le società di gestione del risparmio, le assicurazioni e gli stessi fondi speculativi rappresentano una criticità minore rispetto alle banche perché non svolgono la funzione monetaria: esse non possono utilizzare la leva finanziaria e hanno quindi una gestione del rischio molto più semplice dal punto di vista sistemico: possono perdere ciò che hanno e hanno dei legami operativi molto più stringenti all’interno del sistema finanziario (tranne casi limite come per l’assicurazione AIB durante la crisi dei subprime generati dall’uso eccessivo dei derivati di credito, comunque limitato dalla normativa attuale) Le banche, invece, tramite il moltiplicatore dei depositi, possono assumere rischi molto maggiori rispetto al proprio capitale con evidenti ripercussioni sulla stabilità del sistema soprattutto in presenza di forti interconnessioni che ne limitino la diversificazione del rischio a livello aggregato. Lo stato patrimoniale di una banca, come mostra la figura che segue, a prima vista può sembrare molto simile rispetto a quello di altre attività economiche, ma ciò che cambia è il rapporto tra l’attivo totale e il capitale proprio (uno dei modi di definire la leva finanziaria) che per una banca può essere considerevolmente maggiore rispetto alle aziende non di credito. 4 Fonte: Banca d’Italia La regola base è che per ogni 100 unità di attivo, ogni banca deve avere 8 unità di capitale proprio a copertura con una leva massima dell’ordine del 12.5 volte . La figura 1 mostra come la leva per le banche europee si aggiri nell’intorno intorno di 25 volte con picchi di 50 e questo grazie g alla normativa prudenziale che pondera per il rischio le diverse attività e assegna un peso quasi nullo ai titoli di stato europei. Figura 1 Leva delle maggiori banche he mondiali Fonte: European banks “lead” in high leverage, Jean-Pierre Jean Chevallier 5 Le banche preferiscono adottare una leva elevata per aumentare la capacità di remunerare il capitale proprio, ma cosi facendo aumentano il rischio di perdere tutto per piccole variazioni negative del valore dell’attivo. L’aumento della leva ed il conseguente aumento del rischio di default (atteggiamento che rientra nei casi di “moral hazard”) viene, peraltro, incentivato dall’eventuale intervento statale di salvataggio previsto in un’ottica di stabilità del sistema finanziario. Cosi facendo, le banche hanno assunto un ruolo sempre maggiore all’interno dell’economia. Le figure 2 e 3 mostrano come i bilanci delle banche europee siano cresciuti vertiginosamente negli ultimi 10 anni sia rispetto al PIL che in valore assoluto. Figura 2 Asset bancari totali verso il PIL Fonte: RBS Credit Research, Bloomberg (Banche superiori ad 1 Miliardo di Capitalizzazione) Figura 3 Bilancio aggregato del sistema bancario europeo Fonte: Rbs Credit Research, Bloomberg, ECB, FED 6 La figura 4 mostra come i gruppi bancari Inglesi e Francesi siano stati tra i piu’ attivi ad espandere i propri bilanci e questo e’ avvenuto sia per finanziare l’economia nazionale ed espandersi geograficamente sia per incrementare la propria influenza sui mercati finanziari. Figura 4 Attivi bancari in percentuale del PIL Fonte Rbs Credit Strategy, Bloomberg Le banche d’affari inglesi e francesi, infatti, insieme alla tedesca Deutche Bank, sono le uniche a competere con le grosse banche internazionali. Le piazze di Londra e Parigi, legate dal famoso eurotunnel, vedono la presenza dei piu’ grossi fondi europei di gestione del risparmio. Le universita’ francesi e inglesi esprimono le piu alte cariche all’interno del gotha della finanza europea: e’ pacifica la grossa influenza nella City londinese della lobby francese proveniente dell’”Ecole Polytecnique” soprattutto da quando e’ stato esasperato l’utilizzo dei modelli matematici nel pricing di attivita’ finanziarie complesse, che si sono poi rivelati inadatti a gestire situazioni di panico del mercato in cui la componente emotiva diventa preponderante e che hanno reso le banche francesi e inglesi protagoniste dei maggiori scandali durante la crisi dei subprime; sono diventate famose le perdite di Socgen e Credit Agricole sui derivati e di RBS generate dall’acquisizione di ABN. La crisi del 2008 non pare abbia insegnato molto soprattutto ai francesi, sia per quanto riguarda l’utilizzo della leva bancaria, visto che, come vedremo, vantano la maggiore esposizione sui paesi periferici, sia per quanto riguarda gli scandali sui mercati: anche la recente perdita subita dalla banca americana JP Morgan su derivati di credito vede coinvolto un trader francese, Bruno Iksil, ingegnere francese in chimica nucleare. Sebbene abbia fatto scalpore l’annuncio di inizio maggio di 7 una perdita di oltre 2 miliardi di dollari, in realta’ la vicenda andava avanti da almeno un mese: il trader Iksil, detto la balena per la sua capacita’ di assumere rischi in derivati e non solo, aveva aperto una posizione enorme su indici di credito accumulando singole posizioni con diverse controparti di mercato; grazie alla sua dimensione enorme aveva messo in difficolta’ queste ultime per cui era stato impossibile coprire il rischio sul mercato; peccato che tutte le controparti maggiori siano rappresentate anch’esse da trader francesi, che tra di loro ovviamente si conoscono, per i quali e’ stato facile capire il gioco di Iksil e mostrarlo al management di JP Morgan tramite la polemica apparsa un mese fa su tutta la stampa specializzata; chiunque abbia lavorato su un trading desk sa come a questo punto il managment, per lavarsene le mani, abbia chiesto di ridurre la posizione, procedura avvenuta in modo particolarmente sfavorevole perche’ le controparti erano ormai mal predisposte a dare liquidita’(e’ curioso notare come le banche italiane non sarebbero state in grado di accedere alle informazioni che hanno svelato la posizione di JPM perche’ non sono presenti sul mercato in oggetto come market-maker). Ritornando alla discussione sui rischi sistemici e sull’influenza della leva finanziaria sul ciclo economico, è utile citare lo studio di Tobias Adrian e Hyun Song Shin, i quali mettono in evidenza come l’uso attivo della leva da parte delle banche possa contribuire all’espansione di bolle finanziarie nelle fasi di boom economico e alla loro rapida implosione quando l’economia viene colpita da uno shock negativo. Consideriamo l’esempio di una banca che abbia all’attivo titoli scambiati in borsa (titoli di Stato, obbligazioni societarie e azioni) per un valore di 100 e al passivo un debito (sue obbligazioni, depositi della clientela e di altre banche) di 90: il suo patrimonio è pari a 100–90=10, e la sua leva è pari a 100/10=10. Assumiamo che, in una fase di rialzo di borsa, il valore dei titoli aumenti a 101: il patrimonio della banca, valutato al nuovo prezzo dei titoli, aumenterebbe a 101–90=11 e la leva si ridurrebbe a 101/11=9,2 circa. Quindi, se la banca vuole mantenere costante la sua leva al livello di 10, deve emettere nuovo debito e acquistare altri titoli per una cifra pari a 9: in questo modo, il suo patrimonio risulta pari a 110–99=11 e la sua leva è nuovamente pari a 110/11=10. Il risultato di questo ragionamento è che un aumento di valore dei titoli pari a 1 induce la banca ad acquistare altri titoli per 9. Naturalmente, il meccanismo funziona in modo analogo, ma in direzione opposta, partendo da una riduzione del valore dei titoli: in questo caso, per mantenere la leva costante la banca sarà indotta a vendere titoli. La morale è che avere un obiettivo di leva costante, insieme alla pratica di valutare gli asset ai prezzi di mercato, porta a un’amplificazione delle fluttuazioni dei prezzi delle attività finanziarie, perché induce gli intermediari ad acquistare titoli nelle fasi di ascesa dei prezzi e a vendere titoli 8 nelle fasi di calo. In particolare, questo è un meccanismo amplificatore di uno shock iniziale: ad esempio, una riduzione di valore delle attività induce un processo di de-leveraging, nel quale gli intermediari vendono titoli per un multiplo di quella riduzione iniziale, provocando ulteriori svalutazioni degli asset, secondo un processo che si auto-alimenta. I dati di Adrian e Shin mostrano che le banche d’investimento statunitensi gestiscono la leva in modo pro-ciclico: non cercano cioè di mantenere la leva costante, ma l’aumentano nelle fasi di aumento del valore delle attività, e fanno il contrario nella fasi di calo dei prezzi. E le banche europee sembrano seguire un comportamento simile, anzi maggiore dato che anche le banche commerciali mostrano un andamento pro-ciclico della leva. 9 INTERCONNESSIONE DEL SISTEMA FINANZIARIO EUROPEO 2.1 Le Fonti di Interconnessione a) Partecipazioni incrociate La figura che segue, riguardante alcune partecipazioni azionarie all’interno del sistema finanziario europeo, sembra un buon punto d’inizio per descriverne l’elevato livello di interconnessione. Figura 5 Alcune partecipazioni azionarie Fonte: Rbs Credit Research, Bloomberg Oltre ad una fittissima rete di partecipazioni incrociate che lega praticamente tutte le maggiori banche europee, appare evidente l’influenza francese sul sistema finanziario italiano che si esplica nei seguenti punti salienti: 1)Credit Agricole, dopo esserne stata la prima azionista, detiene tutt’ora il 5% di Intesa, prima banca italiana, da cui ha acquistato la societa’ di gestione del risparmio e 2 grandi banche regionali per dare l’avvallo alla fusione con Sanpaolo. 10 2)BNP detiene la maggioranza assoluta di tutto il gruppo BNL, inclusa la società di gestione del risparmio. 3) L’assicurazione francese Groupama, oltre ad aver acquistato Nuova Tirrenia Assicurazione, detiene una partecipazione in Mediobanca e influenza così Unicredit e Generali. 4)Axa, prima assicurazione francese ed europea, detiene il 2% di Montepaschi da cui ha rilevato anche una quota della società di gestione del risparmio, tale da acquisirne il controllo. 5) La Libia è il primo azionista del gruppo Unicredit, inclusa la società di gestione del risparmio (la Francia ha aumentato la sua influenza nell’area con il recente conflitto). 6) Molti manager francesi sono o sono stati presenti nei consigli di amministrazioni di varie società finanziarie italiane, primo tra tutti il celebre Antoine Bernheim all’interno di Generali; in questo momento manager provenienti da esperienze non proprio esaltanti in Socgen e Credit Agricole sono a capo della banca d’affari del gruppo Unicredit. Avere influenza su società di gestione del risparmio e assicurazioni importanti vuol dire giocare un potere enorme sul risparmio nazionale. Mentre soggetti stranieri si espandevano in Italia, il nostro sistema bancario diventava, ad esclusione di Unicredit, prevalentemente domestico anche in seguito alla vendita di Intesa delle sue partecipate in America Latina (avvenuta durante la crisi dei subprime in favore tra gli altri di Santander, ex grande azionista di Sanpaolo, con cui Intesa si e’ fusa). Mentre la crescita economica di questa parte del mondo mitiga gli effetti della debolezza domestica sul bilancio delle grandi banche spagnole, Unicredit, banca italo-tedesca ha dovuto scrivere a bilancio 8 miliardi di perdite dalle sue partecipate in Kazakistan, non chiaro se paese partner dell’Italia o della Germania. b) Detenzione incrociata di obbligazioni finanziarie Oltre alle partecipazioni azionarie, molte istituzioni finanziarie investono una parte cospicua delle loro risorse in obbligazioni emesse da altre società finanziare. La figura 6 indica come oltre il 50% dei bond emessi dalle banche rimangano all’interno del sistema finanziario. E’ chiaro che i paesi con maggiore influenza sul risparmio gestito sono in grado di rifinanziare il proprio debito a condizioni migliori, indipendentemente dai fondamentali economici. 11 Figura 6 Detenzione di bond bancari o corporate Fonte: RBS Credit Research, ECB c) Detenzione di titoli di Stato La figura 7 mostra come molte banche detengano titoli di stato di paesi non di origine, alle volte in percentuale alta rispetto ai propri asset totali. Figura 7 Percentuale degli asset totali detenuti in titoli di Stato Fonte: RBS Research, EBA La figura 8 mostra l’esposizione delle banche europee al rischio Grecia. 12 Figura 8 Esposizione delle banche europee al rischio Grecia Fonte: Washington Post La figura 9 mostra come l’ esposizione in titoli di stato sia aumenta nel tempo, mentre il caso italiano, descritto dalla figura 10, dimostra come negli ultimi mesi siano stati i campioni nazionali ad assorbire il rifinanziamento del debito dei paesi di origine, discorso che vale per tutti i paesi periferici. Figura 9 Dinamica della percentuale degli asset bancari totali detenuti in titoli di stato europei Fonte Rbs Credit Strategy, ECB 13 Figura 10 Esposizione delle banche italiane in titoli di stato italiani Fonte: Nomura Credit Research, Banca d’Italia L’esplosione dell’acquisto di titoli di stato da parte delle banche è stata favorita dalla normativa prudenziale Basilea II per permettere agli stati di rifinanziarsi più agevolmente e alle banche di fare utili dopo le perdite subite a causa della crisi dei subprime. Non e’ un caso che le banche francesi, come dimostra la figura 8 per la Grecia e come vedremo anche per l’Italia, siano state tra le più attive ad aumentare la loro esposizione sui titoli di stato dei paesi periferici che fornivano un rendimento maggiore rispetto ai titoli di stato francesi. d) Poste fuori bilancio Altra fonte di interconnessione, più difficilmente quantificabile e verificabile, è rappresentata dai derivati, che rimangono inevitabili alla luce dell’attuale tecnologia finanziaria e della stessa natura dell’attività bancaria. Come abbiamo visto, infatti, le banche forniscono credito con un’elevata leva e devono coprire i rischi di tasso d’interesse sul mercato degli swap con controparti internazionali, scambiare i depositi e le valute sul mercato interbancario mondiale, assumendo inevitabilmente un rischio derivato: se una banca fornisce un prestito ad una azienda italiana e ne copre il rischio di tasso sul mercato interbancario, avrà due rischi controparte che sono a loro volta derivati finanziari, cioè l’entità’ del rischio dipende anche dall’andamento del sottostante che può essere uno tasso di interesse o una valuta. E’ curioso notare come proprio il tentativo di arginare tale rischio 14 controparte tramite lo scambio di titoli di stato a garanzia dell’esposizione abbia messo in crisi quelle banche che avevano accettato titoli dei paesi periferici come collaterale. 2.2 Interconnessione, normativa finanziaria e agenzie di rating L’Unione Monetaria Europea adotta un modello duale nella definizione della politica monetaria, assegnando alla BCE i poteri in tema di rifinanziamento e controllo del sistema bancario e al comitato di Basilea, di cui fanno parte i governi nazionali, per la definizione della normativa prudenziale tra cui quella riguardante la capitalizzazione delle banche. La cosiddetta normativa Basilea I, II e poi III, definisce i fattori di ponderazione delle attività e il livello minimo di capitalizzazione. Il tema è molto delicato per gli effetti sulla leva finanziaria: se per 100 d’investimento una banca deve detenere 8 di capitale come accade per i prestiti allo sportello o nessun capitale, come capita per i titoli di stato europeo, essa sarà incentivata a investire maggiormente in questi ultimi. La figura 8 evidenzia proprio questo trend. L’entrata in vigore di Basilea II, avvenuta nel gennaio del 2008, ha abbassato e quasi azzerato il costo del capitale per gli investimenti in titoli di stato europei senza quasi nessuna differenza tra i diversi emittenti, innescando una corsa all’acquisto da parte delle banche finalizzata ad aumentare la redditività del capitale messa in crisi dalle grosse perdite avvenute a causa della crisi dei subprime. Nella stessa direzione va la normativa Solvency II che determina il capitale normativo delle assicurazioni europee, influenzandone così le scelte di investimento. Sebbene fosse normale aspettarsi che la normativa tendesse ad uniformare il sistema, molte sono le critiche su come abbia influito sulla riduzione del livello di diversificazione a livello aggregato, spingendo le banche ad agire tutte allo stesso modo, come era già avvenuto per la normativa in tema di cartolarizzazione che aveva amplificato la crisi dei subprime. La tabella 1 mostra come la normativa prudenziale, assegnando un minore costo del capitale conseguente ad una cartolarizzazione, abbia spinto le banche a ricorrere a questo strumento. 15 Tabella 1: Costo del Capitale di un pool di prestiti Nozionale RW PORTAFOGLIO PRESTITI 1000 Classe Rating PORTAFOGLIO CARTOLARIZZATO Classe A Classe B Classe C Classe D Classe E RWA 75% Nozionale RW AAA AA BBB BB NR TOTALE 1000 750 RWA 885 7% 20 15% 35 75% 20 425% 40 1250% Capitale T1 @8% 60 Capitale T1 @8% 61,95 3 26,25 85 500 4,956 0,24 2,1 6,8 40 676,2 54,096 Basilea I non prevedeva alcun trattamento specifico per le singole tranche dell’operazione di cartolarizzazione, incoraggiando le banche a non coprire le posizioni rischiose riducendo così l’ammontare di rischio trasferito. Anche alla luce della crisi dei subprime, l’entrata in vigore di Basilea II ha cercato di cambiare profondamente l'efficacia di tali operazioni come strumento di gestione del capitale regolamentare: maggiore attenzione ai rischi economici e maggiore riconoscimento della cartolarizzazione sintetica. La tabella che segue mostra come con Basilea II le banche abbiano più incentivo a coprire il rischio Junior rispetto a Basilea I. Tabella 2 : Coefficienti di ponderazione delle cartolarizzazioni TRANCHE RATING BASILEA I BASILEA II (Standardized) AAA AA A BBB BB B and below 100% 20% 20% 50% 100% 1250% 1250% BASILEA II IRB Tranche Senior 7% 8% 12% 60% 425% 1250% BASILEA II IRB Caso Base 12% 15% 20% 75% 425% 1250% BASILEA II IRB Portafoglio non granulare 20% 25% 35% 75% 425% 1250% 16 Le tabelle 1 e 2 mostrano anche un altro tema fondamentale: i fattori di ponderazione del capitale e quindi la leva finanziaria, dipendono in maniera diretta dai rating: tutta la normativa assegna alle agenzie di rating un ruolo centrale di valutazione del rischio delle attività finanziarie; questo ha effetti enormi sia sul capitale regolamentare, sia sulla capacità di rifinanziamento delle banche presso la BCE perché il rating incide sulla definizione del pool di asset che si possono rifinanziare oltre al prezzo di tali operazioni. Come il downgrading di molte cartolarizzazioni influì sul crollo azionario durante la crisi dei subprime proprio perché evidenziava la necessità per le banche di reperire nuovo capitale, cosi il downgrading degli stati influisce sulla capacita di rifinanziamento e sulla necessità di ricapitalizzazione del sistema bancario. Le due principali agenzie di rating sono soggetti privati americani, partecipate anche da fondi e banche; da molte parti vengono le accuse riguardo alla decisione di affidare una leva di stabilità del sistema europeo in mano ad interessi stranieri. Le autorità hanno mostrato l’intenzione di costituire un’agenzia di rating europea per arginare il problema, ma al momento rimane l’enorme influenza di soggetti privati americani su interessi pubblici vitali per il sistema europeo. Per far tesoro dei recenti errori commessi, i regolatori a livello internazionale si stanno muovendo anche nella direzione di porre argini ai movimenti pro-ciclici della leva bancaria, mettendo mano agli accordi sui requisiti patrimoniali. La nuova regolamentazione, detta Basilea III, persegue il rafforzamento della qualità e della quantità del capitale bancario; il contenimento della leva finanziaria del sistema; l’attenuazione dei possibili effetti pro ciclici delle regole prudenziali; un più attento controllo del rischio di liquidità. I nuovi standard entreranno in vigore con gradualità a partire dal 1° gennaio del 2013. Molti economisti, tra cui l’autorevole Blanchard, ritengono che “al coefficiente patrimoniale basato sull’attivo ponderato per il rischio (noto come “Basilea II”) dovrebbe aggiungersi un leverage ratio basato sull’attivo non ponderato, in modo da limitare l’accumularsi di una leva eccessiva, che possa poi dare origine a disordinati processi di de-leveraging nelle fasi negative del ciclo; controllare l’evoluzione della leva dovrebbe rispondere ad obiettivi non solo prudenziali, ma anche macroeconomici, poiché le sue fluttuazioni amplificano le variazioni dei prezzi delle attività finanziarie e, per questa via, le fasi del ciclo economico. Gli strumenti della politica monetaria e della supervisione prudenziale sul sistema bancario andrebbero quindi usati in modo coordinato, al fine di stabilizzare il sistema. Le tradizionali regole applicate ai singoli istituti dovrebbero essere affiancate da regolamentazioni anticicliche, capaci di accrescere il grado di “autoassicurazione” dell’intero sistema finanziario. Bilanciando costi e benefici delle regole e della discrezionalità si dovrebbero scartare regole fisse troppo rigide e avviare un regime di “discrezionalità vincolata”, che 17 consenta anche il necessario apprendimento da parte degli stessi regolatori, pur in un quadro di trasparenza e responsabilità. Il coordinamento tra politica monetaria e supervisione prudenziale rende opportuna la loro integrazione presso un’unica autorità – la banca centrale– anziché la loro separazione, come è successo per esempio nel Regno Unito, con i conseguenti disastri di “comunicazione” evidenziati nel corso delle recenti crisi bancarie” (la voce.info). 18 RAPPORTI DI FORZA Possiamo definire come forza relativa all’interno di un sistema finanziario il costo che le diverse componenti del mercato devono sostenere per attrarre capitale di rischio e per rifinanziare il proprio debito in modo sostenibile nel tempo; tempo più e’ basso questoo costo, maggiore e’ la possibilità di accesso al mercato. Dal punto di vista teorico, tale forza relativa può essere descritta dalla famosa formula del “Capital Asset Pricing Model” anche detto CAPM. Il nucleo del CAPM è una relazione attesa tra il rendimento re imento di un qualsiasi titolo( titolo ) e il rendimento del portafoglio di mercato che può essere espressa come: dove sono il rendimento lordo del titolo in questione e del portafoglio di mercato, è il rendimento lordo privo di rischio, e Il tasso rappresenta il tasso privo di rischio, comunemente identificato con il tasso dei titoli governativi. Il prezzo di ogni attività finanziaria e quindi l’intero tero mercato dipendono dal tasso riskfree. In Europa ci sono diversi emittenti di titoli di stato e un’unica banca centrale che per statuto non può rifinanziare gli stati membri; la maggiore criticità del sistema sta nella mancanza di un prestatore di ultima istanza sempre disponibilee a stampare moneta e rendere il debito nominale in valuta domestica privo di rischio. rischio La forza del sistema finanziario di ogni singolo paese dipende quindi dalla sua capacità di abbassare autonomamente il costo di rifinanziamento del proprio debito. La figura 11 mostra la matrice del rendimento relativo, comunemente detto spread, tra i diversi titoli di stato dell’aria euro. uro. Tale matrice varia nel tempo e va ad influenzare, influenzare tramite i canali di interconnessione precedentemente descritti, tutto il sistema finanziario. Ogni spread dipende dalle attese del mercato sulla solvibilità di ogni paese. 19 Figura 11 Spread tra i titoli di stato dell'aria euro con scadenza a 5 anni Fonte: Bloomberg Ipotizzando che 200 punti base di differenza dal rendimento dei titoli di stato tedesco sia il livello di allerta sopra il quale ogni stato inizia ad avere difficoltà di rifinanziamento del debito, si possono distinguere due blocchi: paesi core, o poco rischiosi, e paesi periferici, in difficoltà relativa. La composizione di questi due gruppi varia nel tempo e dipende dal processo di contagio della crisi. Al momento sono ritenuti paesi periferici la Grecia, l’Italia, il Portogallo, la Spagna e l’Irlanda. La Francia rappresenta il prossimo obiettivo della speculazione a causa dell’esposizione nei confronti dei paesi periferici e in particolar modo della Grecia, della Spagna e dell’Italia. La figura 12 mostra quale sia stata l’evoluzione di questa matrice nel tempo sia per i core che per i paesi periferici. 20 Figura 12 Evoluzione dello spread dei titoli di stato con scadenza a 10 anni Fonte: Washington Post La figura 13 mostra come la debolezza degli stati abbia influito sulla raccolta bancaria evidenziando lo spostamento di depositi dai paesi periferici in favore dei paesi meno rischiosi. Figura 13 Crescita annuale dei depositi delle banche europee. Fonte Rbs Credit Strategy, Bloomberg 21 Considerando sia il livello del costo di rifinanziamento sia la quantità di capitali che si sono riversasti nei titoli di stato e nei depositi bancari dei paesi core, si coglie il grado di redistribuzione di ricchezza che sta avvenendo tra i due blocchi europei. 3.1 Fattori strutturali . I motivi di questa forza relativa sono di natura strutturale o di mercato. La figura 14 mostra l’evoluzione della competitività economica dei diversi paesi europei dall’avvento dell’euro, indicando la Germania come l’unica in grado di migliorarla. Non a caso essa rappresenta il benchmark di riferimento per tutto il mercato di titoli di stato europei. Figura 14 Competitività economica dei paesi appartenenti all’aria euro Fonte Washington Post Molti economisti avevano evidenziato, già durante le discussioni sui vantaggi di una moneta unica europea, i pericoli di una sola valuta all’interno di un’aria con almeno due cicli economici differenti: i paesi latini, maggiormente turistici ed agricoli, competono con paesi che hanno una valuta debole (ad esempio la Turchia) mentre i paesi industrializzati si avvantaggiano delle economie di scala di un mercato di riferimento più ampio e di una valuta forte per approvvigionarsi sul mercato delle materie prime. Non sembra un caso che i paesi core abbiano una maggiore connotazione industriale mentre i paesi periferici agricola/turistica. Altre variabili tipo un solido sistema finanziario e un alto tasso di risparmio domestici, una buona crescita economica, un basso livello di deficit di bilancio e di debito pubblico o la presenza di una banca centrale di ultima istanza e una valuta forte di riferimento (queste ultime due chiaramente non 22 si applicano ai paesi dell’euro ma spiegano la forza relativa dell’Inghilterra e dei paesi del nord Europa) rappresentano forze strutturali. I fattori di mercato, invece, sono rappresentati dai punti di vulnerabilità di un sistema finanziario che possono portare ad una crisi in caso di un attacco speculativo (i quali possono avere successo solo se i fondamentali dell’economia non sono sufficientemente solidi). Essi variano da paese a paese e mutano nel tempo. La figura 15 mostra, ad esempio, come le aspettative di mercato possano spingere il costo di rifinanziamento di uno stato, in assenza di una banca prestatrice di ultima istanza, da un livello sostenibile ad uno insostenibile tramite un processo autoverificantesi. Figura 15 Equilibri multipli e aspettative autoverificantesi Fonte: Blog Free Exchange dell'Economist E’ qui che si inserisce il ruolo dell’intelligence economica, nel cercare di capire quali siano i fattori e gli interessi di mercato che possano spingere verso il “bad equilibrium” e i modi per controllarli e influenzarli al fine di contribuire a determinare o a mantenere il “good equilibrium”. 3.2 Fattori di mercato: il caso italiano La figura 16 evidenzia come nel 2012 si sia aperto un periodo durante il quale e’ presente un picco enorme di debito italiano da rifinanziare, in concomitanza con un momento di particolare vulnerabilità del mercato dei titoli di stato europei innescato dai problemi della Grecia. La figura 17 mostra come questo picco di debito coincida (e contribuisca a determinare) con un bisogno di ricapitalizzazione delle banche italiane tale da innescare, tramite i canali descritti della leva finanziaria pro-ciclica, un mix esplosivo sia sui mercati che nell’economia reale. 23 Figura 16 Distribuzione per scadenze del debito statale italiano Fonte: Bloomberg Figura 17 Core tier1 delle banche europee Fonte: Credit Suisse Credit Research 24 Tali fattori sembrano aver influito maggiormente sulla crisi rispetto agli elementi strutturali che erano in linea a quelli di altri grandi partner europei. La figura 18 mostra come l’avanzo primario italiano sia positivo da molti anni e come il debito aggregato sia tra i più bassi d’Europa in rapporto al PIL. La figura 19 mostra anche come il ruolo delle banche italiane nell’economia non sia cresciuto molto rispetto agli altri paesi europei. Figura 18 Avanzo primario e debito aggregato Fonte: Rbs Credit Strategy, ECB Figura 19 Asset del sistema bancario in percentuale del PIL Fonte: Rbs Credit Strategy, Bloomberg 25 Per cercare di capire perché il sistema finanziario italiano non sia stato in grado di arginare l’attacco speculativo (i panni sporchi si lavano in famiglia soprattutto in mancanza di una banca centrale che sia prestatrice di ultima istanza e con investitori stranieri che razionalmente riducono l’esposizione estera nei momenti di panico del mercato) possiamo fare riferimento a due ordini di problemi: una debolezza organizzativa ed un problema di coordinamento. Per quanto riguarda la prima, le banche italiane hanno deciso negli ultimi anni di limitare la propria presenza sui mercati internazionali (questo ha rappresentato un punto di debolezza anche per gli altri periferici) e l’espansione geografica fuori dall’Europa con effetti negativi sulla diversificazione del proprio bilancio (la più grossa banca italiana ha venduto ai minimi le partecipazioni in America Latina durante la crisi dei subprime e adesso non beneficia della crescita di quella zona del mondo a favore delle grandi banche spagnole che cosi limitano la debolezza domestica). Hanno deciso di focalizzarsi sui clienti retail e sui corporate prevalentemente domestici diventando spesso clienti delle grosse banche d’affari mondiali sui mercati più sofisticati, con conseguenti problemi di carenza tecnologica e informativa: nessuna banca nazionale e’ attiva, ad esempio, come market-maker (funzione principe di intelligence sui mercati di riferimento, tramite cui una banca, fornendo liquidità a vari attori finanziari, ingaggia rapporti idonei ad acquisire, tra le altre cose, informazioni sui propri clienti e sui competitor di riferimento) sul mercato dei “Sovereign CDS” dove ci si assicura sul fallimento dei paesi sovrani che ha enorme influenza sui prezzi dei titoli di stato. In molti casi, alcuni dei quali emersi proprio durante la crisi che ha esasperato i problemi di capitalizzazione e quindi di assetti azionari delle banche italiane, la governance, spesso espressione di interessi politici e non sempre preparata a confrontarsi con la complessità del sistema finanziario internazionale, e’ stata costretta a convivere con assetti di potere deboli ed influenzati da dinamiche extra business (si ricordi come la vicenda libica abbia influito sull’aumento di capitale di UniCredit avvenuto proprio nel periodo di maggior turbolenza per il mercato finanziario italiano o si pensi all’affaire MPS). Per quanto riguarda i problemi di coordinamento, in assenza di una banca centrale prestatrice di ultima istanza, le istituzioni italiane, sia pubbliche che private, sono state incapaci di adottare comportamenti congiunti utili a prevenire e ad arginare l’attacco speculativo. Se è vero che il rifinanziamento del debito in scadenza ha rappresentato la causa dell’attacco e che le banche erano in crisi di liquidità anche grazie alla crisi del debito sovrano, gli altri attori del sistema non bancari, ministero del tesoro, altri enti pubblici o parastatali come cassa depositi e prestiti, fondi ed 26 assicurazioni che gestiscono una parte importante del risparmio nazionale, non si sono coordinati per adottare misure unitarie indirizzate ad arginare la crisi; non si e’ pensato ad esempio di organizzare un prestito sindacato per lo stato per alleviarne il problema di rifinanziamento o ad un modo per rifinanziare il sistema bancario -anche magari tramite l’utilizzo della linea di credito che il tesoro ha in banca centrale- tramite il quale poi sostenere il mercato dei titoli di stato: (il successivo intervento straordinario di rifinanziamento del sistema europeo (LTRO) da parte della BCE ha attenuato la crisi proprio rifinanziando le banche che a loro volta hanno sostenuto il mercato dei titoli di stato). Non si è pensato di capire se la linea di credito in oggetto, che ogni stato europeo detiene presso la banca centrale, poteva essere usata, altresì, in accordo con il divieto di monetizzazione del debito, per facilitare esclusivamente il rifinanziamento del debito pubblico in scadenza e alleviare così il problema di liquidità. Ci siamo limitati a proporre il “Btp Day”. E’ lecito chiedersi se questa debolezza interna derivi in qualche modo dal fatto che molte banche, società di gestione del risparmio e assicurazioni che operano in Italia siano passate sotto l’influenza straniera. Senza dare giudizi di convenienza economica e lungi da essere completi nell’esposizione, pare utile domandarsi se può essere un problema per la sicurezza nazionale che la società di gestione del risparmio di banca Intesa sia stata venduta ad una società francese durante la fusione con San Paolo, o chiedersi chi influenza le decisioni di bilancio o la società di gestione del risparmio del gruppo italo-tedesco UniCredit, o che ruolo abbia Axa dopo aver acquistato MPS asset managment. Di sicuro nascono esigenze di intelligence economica e finanziaria di tutela della sicurezza e del risparmio nazionali, di coordinamento del sistema finanziario domestico. La compattezza interna rappresenta, altresì, la base su cui far perno per le operazioni di intelligence esterna di raccolta di informazioni rilevanti sui mercati e di controllo del processo normativo europeo, delle agenzie di rating e delle altre associazioni private con influenza sugli interessi pubblici, come ad esempio l’ISDA (International Swap and Derivatives Association), pool di banche private che ha poteri enormi in tema di definizione di eventi creditizi e quindi anche in tema di fallimenti statali. 27 GLI EFFETTI SULLA SICUREZZA INTERNAZIONALE La saggezza popolare insegna che, sebbene di solito sia il debitore ad essere preoccupato dall’azione del suo creditore che potrebbe togliergli il credito, al di là di una certa esposizione e’ quest’ultimo che ha maggiore interesse a che il rapporto creditizio vada a buon fine. Figura 20 Esposizione delle banche europee al rischio Italia Fonte: Washington Post La figura 20 mostra l’esposizione delle banche europee nei confronti del rischio Italia. Alla luce delle considerazione fatte sulla leva finanziaria pro-ciclica e sulle interconnessioni del sistema bancario, e’ chiaro il ruolo dei paesi che detengono il nostro debito sulla sicurezza economica italiana, ma e’ altrettanto chiara la rilevanza della situazione italiana nei confronti della stabilità finanziaria mondiale e quindi gli effetti sulla sicurezza internazionale. Simile discorso vale per la questione più attuale della Grecia; come mostra la figura 8, l’esposizione del sistema finanziario e’ quantitativamente minore rispetto a quella italiana, ma comunque rilevante per la sua stabilità. La crisi greca va avanti ormai da molti mesi, ma la questione ha 28 assunto una dimensione politica sin dall’inizio a causa della non correttezza delle statistiche economiche pubblicate dagli organi governativi greci; da subito si è aperto un fronte ideologico, soprattutto in Germania, contrario ad un salvataggio tout-court che ha rallentato una risoluzione efficace del problema. La contrattazione a livello europeo ha portato faticosamente alla recente ristrutturazione del debito pubblico greco con un contestuale salvataggio del sistema bancario per evitare il contagio in Europa. I termini della ristrutturazione hanno però generato spinte antieuropeiste: diversamente da quello che capita di solito per un debito sovrano che e’ garantito esclusivamente dalla credibilità di chi lo emette, il nuovo debito greco e’ collateralizzato a dei beni reali appartenenti allo stato. Tale struttura è stata richiesta dalle banche straniere per ottenere un valore più alto del debito post ristrutturazione e realizzare una perdita minore con lo scambio: un debito collateralizzato rappresenta una maggiore sicurezza rispetto ad uno senza garanzie e quindi ha un valore teorico più alto. Ciò rappresenta però anche una perdita particolare di sovranità del paese che, unita alla mancanza di una politica monetaria nazionale, diventa inaccettabile per un popolo fiero come quello greco. Una maggiore sensibilità politica e culturale nella definizione dei termini dell’accordo lo avrebbe reso più sostenibile, sebbene a discapito della convenienza del sistema bancario. La paventata uscita della Grecia dell’euro avrebbe implicazioni tecniche pericolose: mentre la ristrutturazione all’interno dell’unione monetaria ha tenuto in vita il sistema bancario greco (anche perché ha determinato un credit event solo per i credit derivatives, ma non per tutti gli altri derivati che sono numericamente molto maggiori rispetto ai primi), l’uscita dall’euro determinerebbe anche il collasso di quest’ultimo con conseguenze difficilmente controllabili sul sistema finanziario mondiale. A nessuno conviene il fallimento di un paese europeo che abbia effetti incontrollati o incontrollabili anche perché la fortuna vuole che il debito di ogni paese, a differenza di quanto accaduto per le crisi dei paesi asiatici e dell’Argentina, è denominato in valuta domestica e quindi, tecnicamente, la soluzione della crisi (almeno di debito) e’ in mano all’Europa: anche se attualmente non previsto dallo statuto della BCE, nessuno toglie che un domani si possa ricorrere alla monetizzazione del debito, politica comunque anticipata in qualche modo dall’operazione gigantesca di rifinanziamento del sistema bancario europeo (LTRO) da parte della BCE e dalla creazione del fondo salva-stati EFSF; essa sarebbe, altresì, in linea con la politica monetaria già intrapresa durante la crisi dei subprime dagli USA, Inghilterra e Giappone al fine di stabilizzare il sistema bancario e di determinare una riduzione della leva finanziaria senza grandi contraccolpi per l’economia reale. 29 In Europa, comunque, non c’e’ ancora accordo a riguardo: convivono due scuole di pensiero, quella tedesca dei falchi, e quella latina delle colombe. I tedeschi, per costituzione, non possono accettare l’inflazione che deriverebbe dallo stampare moneta (al netto di un possibile “liquidity-trap” come nel caso giapponese). I paesi latini, invece, accetterebbero di buon grado sia un pizzico di inflazione che aiuta sempre i bilanci dello stato e delle banche, sia una riduzione della forza dell’euro per riacquistare quella competitività persa nei confronti del resto del mondo, che adotta come valuta di riferimento il dollaro debole. Al momento prevalgono i falchi: le politiche adottate vanno nella direzione di ridurre il costo del lavoro e gli sprechi di spesa pubblica per rendere le economie periferiche più competitive, ma contribuiscono a mantenere un euro forte e ad alimentare tensioni sociali in quei paesi abituati storicamente alle svalutazioni competitive, oltre ad un pericolosissimo rischio deflazionistico che metterebbe ulteriormente in ginocchio il sistema bancario. Pare chiaro l’interesse dei paesi core a che la crisi si protragga il più a lungo possibile in modo tale da continuare ad avere la forza relativa per condurre la politica europea e attrarre capitali a prezzi stracciati (i titoli di stato tedeschi e inglesi, ad esempio, hanno rendimenti reali negativi), fino a quando non ci sarà la minaccia di un crollo imminente di qualche economia periferica, come quella greca, che abbia un impatto determinante sul sistema finanziario e sulle esportazioni dei paesi core. E’ altresì chiaro come i paesi che competono con l’Europa abbiano l’interesse a mantenere questa situazione di crisi per indebolire un proprio concorrente, alle volte in un curioso intreccio di interessi proprio con i paesi core dell’Europa che hanno fatto delle esportazioni al di fuori dell’aria euro una enorme fonte di guadagno e di influenza economica. Se è vero, ad esempio, che la Spagna compete con la Turchia sul turismo, pare lecito chiedersi se quest’ultima abbia interesse a che la Germania, uno dei suo maggiori partner commerciali, continui la sua politica di euro forte. I paesi periferici, gli unici ad avere interesse ad una veloce soluzione della crisi, non stanno forzando la mano per non correre il rischio (anche legale derivante dai trattati e dai derivati finanziari) che l’uscita dall’euro e l’adozione di una valuta debole metta in crisi il sistema bancario domestico indebitato per una grossa parte in euro sui mercati internazionali. Pare lecito attendersi, quindi, che una soluzione avverrà soltanto quando il rischio di contagio farà compattare delle forze sufficientemente grandi da spingere l’Europa a difendere gli interessi dei paesi in crisi o a dividerla definitivamente. Un indicatore potrebbe essere rappresentato dall’evoluzione della crisi greca che potrebbe indebolire ulteriormente la Spagna e l’Italia e quindi contagiare irrimediabilmente il sistema finanziario francese; a questo punto la Francia non potrebbe 30 fare altro che chiedere una politica monetaria maggiormente espansiva ed allentare così l’asse con la Germania. Ma quali sono i possibili scenari futuri per l’euro? Fonte: Gavyn Davies, Blog del Financial Times Per avere una percezione della probabilità da assegnare ai singoli eventi, consideriamo come obiettivo primario la stabilità del sistema finanziario post evento. Molto elevati sono i rischi operativi e legali derivanti dall’uscita di qualche paese dall’Unione Monetaria, evento in realtà non previsto dai trattati. Lo scenario 3 quindi rimane più probabile con il raggiungimento di un accordo per una rapida unione fiscale . Se invece si andasse verso gli scenari 1 e 2 di disgregazione dell’euro, anche per affrontare il problema di asincronia dei cicli economici all’interno dell’attuale unione monetaria, la soluzione molto più praticabile dal punto di vista tecnico pare essere l’uscita dei paesi forti (i falchi) con la creazione di una nuova valuta di riferimento e la svalutazione dell’euro che continuerebbe ad essere la valuta dei paesi deboli: nel momento di cambiamento tutte le banche dell’attuale unione monetaria avrebbero debiti in euro e asset denominati in euro o in una valuta più forte, evitando cosi i rischi di fallimenti bancari derivanti da esposizioni valutarie. In questa direzione pare spingere anche la normativa ISDA, come indicato da una celebre ricerca di Barclays apparsa sul Financial Times, che prevede la possibilità di uscire dall’euro senza determinare un “credit event” per quei paesi che adottavano una delle valute ex G7 o che dovessero mantenere un rating AAA dopo 31 l’uscita; si eviterebbero così i rischi finanziari, normativi e legali derivanti dalle esposizioni in derivati. Nel caso si andasse, invece, verso l’uscita dei paesi più deboli, come pare possibile per la Grecia, si assisterebbe ad una serie di fallimenti bancari e ad un processo di contagio su scala mondiale difficilmente prevedibile. Unico argine potrebbe essere rappresentato dal ruolo della BCE che potrebbe garantire tutte le poste delle banche greche e quindi procedere ad una monetizzazione del debito e ad un acquisto di asset bancari a livello europeo. La preferenza del mercato nei confronti di quest’ ultimo scenario potrebbe anche spiegare il recente rafforzamento del dollaro e della sterlina verso l’euro o l’acquisto continuo di titoli di stato tedeschi durante tutto l’arco della crisi, anche nei periodi di miglioramento e di calma che sono seguiti alle operazioni di rifinanziamento della BCE: in molti vogliono detenere qualcosa priva di rischio di credito che abbia un’opportunità’ di rivalutazione nel caso di rottura dell’euro. 32 CONCLUSIONI Abbiamo analizzato gli enormi interessi in gioco, la redistribuzione di ricchezza e gli effetti sulla sicurezza nazionale dei diversi out-come della crisi; l’intelligence economica dovrebbe essere in grado di evidenziare ed influenzare le soluzioni più favorevoli per l’interesse nazionale e per la stabilità internazionale; dovrebbe indicare delle politiche a livello comunitario volte a compattare il fronte dei paesi periferici e ad interrompere questo limbo che permette ai paesi core di primeggiare politicamente e di attrarre capitali a spese dei paesi periferici. Dovrebbe, altresì, monitorare gli enormi interessi dei paesi fuori dall’unione monetaria che per esportare di più hanno la convenienza a questa continua forza dell’euro, non comprensibile considerando solo variabili economiche (visto che l’aria di riferimento vede quasi la metà dei paesi a rischio di fallimento) e che limita in qualche modo la ripresa dei paesi periferici prevenendo un aumento delle esportazioni e di competitività del settore turistico. Pare lecito chiedersi ad esempio (anche alla luce delle recenti accuse rivolte in America alle compagnie cinesi di pannelli solari di attuare politiche di prezzo scorrette) se sia più facile per la Cina competere in Europa con un euro tenuto artificialmente forte anche grazie agli acquisti da parte della banca centrale cinese. Dal punto di vista operativo, la divisione interna di intelligence economica dovrebbe analizzare la struttura, le dinamiche e gli interessi del sistema finanziario interno, le influenze straniere sullo stesso sia in riferimento agli assetti azionari che alle persone che ricoprono ruoli decisionali chiave. All’estero, l’attenzione dovrebbe rivolgersi maggiormente verso quei mercati in cui le banche italiane non sono player di riferimento e le istituzioni che influenzano la normativa finanziaria internazionale, spesso derivazione di interessi privati che possono non coincidere con gli interessi pubblici. Entrambe dovrebbero coordinarsi sia con le autorità istituzionali di controllo e di gestione del debito pubblico sia con chi detiene ruoli critici nel sistema finanziario domestico per informarle di eventuali minacce altrimenti non percepite e aiutarli a coordinarsi nell’affrontarle. Le tecnologie presentate sono vecchie, ma il campo di applicazione totalmente nuovo. Per fortuna l’indagine investigativa, rivolta a capire se associazioni di persone abbiano natura di associazioni a delinquere, o lo spionaggio internazionale non sono compiti nuovi allo stato italiano. 33 BIBLIOGRAFIA (1) T. Adrian e H. Shin (2010), “Liquidity and leverage”, Journal of Financial Intermediation. (2) Morgan Stanley research “Portugal: Bail-Out Now, Bail-In Later?” (3) Working Paper “Is the leverage of European commercial banks pro-cyclical? “di A. Baglioni, A. Boitani,Liberatore,Monticini(2010). (4) Documento di consultazione del Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria: Strengthening the resilience of the banking sector, dicembre 2009 ( http://www.bis.org/publ/bcbs164.pdf). (5) Bank of England, The role of macroprudential policy, Discussion paper, novembre 2009, pp. 2729. (6) O. Blanchard, G. Dell’Ariccia, P. Mauro, Rethinking Macroeconomic Policy, IMF Staff Position Note/10/03, (http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2010/INT021210A.htm). (7) http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=7530#ixzz1tQ8pFkRN (8) http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=7530 (9) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2011/11/27/thinking-the-unthinkable-on-a-euro-breakup/#axzz1f2nFFxZD (10) http://www.washingtonpost.com/blogs/ezra-klein/post/the-european-debt-crisis-in-eightgraphs/2011/12/01/gIQAsmR5GO_blog.html (11) http://www.forexcrunch.com/leverage-of-global-banks-european-banks-lead/2011-10-14-5leveragetotal-1024x462/ (12) http://www.zerohedge.com/contributed/guess-who%E2%80%99s-even-more-leveragedeuropean-banks (13) lavoce.info (14) http://www.ebarbisan.com/Basilea_III.pdf (15) http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/02/12/148481/euro-breakup-not-necessarily-a-credit-event/ (16) http://it.wikipedia.org/wiki/Capital_asset_pricing_model (17) http://www.esrb.europa.eu/news/documents/html/index.en.html (18) http://www.bankofengland.co.uk/publications/Pages/fsr/papers.aspx (19) www.bancaditalia.it 34 (20) RBS credit research “The Long Road To De-leveraging” (21) Nomura equity research “Key Banking Trend in Italy” (22) Barclays credit research “European Banks - Liability management shrinks the bank capital market” (23) Barclays credit research “Is the euro area government bond market turning Japanese?” (24) DB credit research “Does Spain Matter?” (25) www.bce.int (26) www.eba.europa.eu (27) Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) 44 Number “Financial sector pro-cyclicality Lessons from the crisis” 35