Interconnessione del sistema finanziario europeo

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Interconnessione e rapporti di forza nel Sistema Finanziario
Europeo. Gli effetti sulla sicurezza internazionale
Abstract
Il sistema finanziario di un’area economica si distingue da altri settori di attività per la sua funzione
monetaria: esso, e in particolar modo il sistema bancario che ne è un elemento, rappresenta il canale
di trasmissione della politica monetaria, attraverso il quale le autorità, con vari strumenti tra cui la
definizione del tasso di rifinanziamento e le regole di capitalizzazione delle istituzioni finanziarie,
determinano l’offerta di credito del sistema e la indirizzano nei confronti dei diversi soggetti
dell’attività economica, tra i quali gli stati nazionali.
L’Unione Monetaria Europea ha accentrato le decisioni riguardanti la politica monetaria
assegnando alla BCE i poteri in tema di rifinanziamento del sistema bancario e al comitato di
Basilea per la definizione della normativa prudenziale. Con la creazione del mercato unico, in base
al principio di libertà di stabilimento, le imprese finanziarie sono libere di operare in tutto il
territorio dell’unione e di vantare un azionariato potenzialmente internazionale. In condizioni
normali l’offerta di credito e la sua distribuzione all’interno dei singoli paesi dipendono da
considerazioni prettamente economiche, ma nessuno vieta a una banca o ad un fondo di investire
maggiormente nei paesi di origine dei propri azionisti.
La crisi dei debiti sovrani, per cui ogni stato europeo compete con gli altri sul costo relativo di
rifinanziamento del proprio debito, comunemente definito spread, accentua l’importanza
dell’interconnessione e dei rapporti di forza tra i diversi operatori finanziari, inclusi gli stessi stati
sovrani che devono piazzare i propri titoli, con conseguenze non sempre scontate sul canale del
credito e del mercato finanziario.
Il necessario intervento di ricapitalizzazione di molte banche da parte degli stati di origine durante
la crisi del 2007-2008 e il contestuale aumento dei deficit di bilancio degli stessi hanno cambiato
radicalmente l’assetto proprietario del sistema finanziario europeo e aumentato l’influenza dei
governi nazionali su molte banche con effetti non sempre trasparenti. Mentre, ad esempio, opinione
diffusa indica come causa della crisi dei debiti sovrani il dispendio di risorse per i salvataggi bancari
avvenuti durante la crisi dei subprime, alcuni dei paesi protagonisti dell’epoca, tra cui Inghilterra e
Germania, non sono stati colpiti dalla più recente speculazione; l’Italia, al contrario, ne è stata
1
oggetto sebbene non abbia avuto necessità di ricapitalizzare il proprio sistema bancario durante la
crisi dei subprime.
In questo lavoro cercheremo di capire l’evoluzione e lo stato dei rapporti di forza all’interno del
sistema finanziario europeo, partendo da un’analisi dei player europei e del loro ruolo
nell’economia, passando dalla microstruttura dei mercati fino ad arrivare a considerazioni di
politica monetaria. Obiettivo primario sarà l’individuazione delle esigenze minime d’intelligence
economica che ogni stato europeo ha nei confronti dei mercati e delle istituzioni che abbiano
interesse e influenza rilevante sulla sua sicurezza nazionale, con specifico riferimento al caso
italiano. Obiettivo secondario sarà indicare, alla luce dell’analisi effettuata, le diverse esigenze di
politica monetaria dei paesi europei e le implicazioni in tema di sicurezza internazionale.
Con specifico riguardo alle istituzioni, analizzeremo l’interconnessione tra i grandi gruppi bancari
europei e il loro rapporto con gli stati, le agenzie di rating e il legame con la normativa in tema di
capitalizzazione del sistema finanziario.
Per quanto compete la microstruttura dei mercati, in particolar modo dei derivati di credito,
cercheremo di capire come si possano creare esigenze di intelligence economica soprattutto per
quegli stati le cui banche non vi giochino un ruolo sufficientemente attivo. Nel caso italiano, ad
esempio, nessuna banca nazionale è attiva come market-maker (funzione principe di intelligence sui
mercati di riferimento, tramite cui una banca, fornendo liquidità ai vari attori finanziari, ingaggia
rapporti idonei ad acquisire, tra le altre cose, informazioni sui propri clienti e sui competitor) sul
mercato dei “Sovereign CDS” dove ci si assicura sul fallimento dei paesi sovrani che ha
chiaramente enorme influenza sui prezzi dei titoli di stato.
Valuteremo, infine, se l’analisi effettuata sia in grado di indicare politiche monetarie ottimali per
singoli o blocchi di paesi europei diverse dall’attuale sistema e gli eventuali effetti in tema di
sicurezza internazionale.
2
LA STRUTTURA DEL SISTEMA FINANZIARIO EUROPEO
1.1 Background
Il sistema finanziario europeo è molto articolato e vede la presenza di diversi player per ogni
singolo paese. Riferendosi ai più importanti per quanto riguarda la capacità di influenzare in modo
significativo le economie e i mercati di riferimento, si possono identificare delle banche, dei grossi
fondi di gestione del risparmio, delle grosse assicurazioni e una miriade di fondi speculativi, anche
detti Hedge Funds.
La creazione del mercato unico ha segnato l’inizio di un processo di espansione geografica e
aggregazione bancaria; molte banche hanno aperto sedi al di fuori dei confini dei paesi di origine,
hanno comprato partecipazioni azionarie di gruppi bancari esteri con cui, in molti casi, si sono
integrate anche operativamente. Tale processo si è arrestato con la crisi dei subprime che ha
evidenziato la difficoltà di aggregare banche con rischi di bilancio simili; anzi sono stati necessari
processi di nazionalizzazione di banche in difficoltà. Stesso discorso vale per la crisi dei debiti
sovrani che ha messo in crisi la maggior parte dei gruppi bancari europei tramite la componente
periferica che deteneva titoli di stato dei paesi di origine (ad esempio le banche francesi hanno
avuto problemi con le partecipate greche).
Gli stati che esprimono dei campioni nazionali sono le cinque economie maggiori dell’aria,
Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Spagna, anche se la forza relativa non sempre va in linea con
la grandezza dell’economia di riferimento: la Germania è presente con 2 grandi gruppi bancari di
spessore internazionale, mentre la Francia e l’Inghilterra con 3, l’Italia e la Spagna con 2. Il
modello di gruppo bancario europeo è di tipo universale, prevede cioè il maggior numero possibile
di attività: banca commerciale, banca di investimento, assicurazione, società di gestione del
risparmio; l’obiettivo e’ accentrare il ciclo di gestione del risparmio soprattutto a livello domestico
anche se i risultati si sono dimostrati spesso deludenti per ciò che riguarda la capacità di generare
utili.
3
1.2 La leva finanziaria e il peso nell’economia
Sebbene non privi di rilevanza soprattutto per ciò che riguarda i legami con i gruppi bancari di
origine, le società di gestione del risparmio, le assicurazioni e gli stessi fondi speculativi
rappresentano una criticità minore rispetto alle banche perché non svolgono la funzione monetaria:
esse non possono utilizzare la leva finanziaria e hanno quindi una gestione del rischio molto più
semplice dal punto di vista sistemico: possono perdere ciò che hanno e hanno dei legami operativi
molto più stringenti all’interno del sistema finanziario (tranne casi limite come per l’assicurazione
AIB durante la crisi dei subprime generati dall’uso eccessivo dei derivati di credito, comunque
limitato dalla normativa attuale)
Le banche, invece, tramite il moltiplicatore dei depositi, possono assumere rischi molto maggiori
rispetto al proprio capitale con evidenti ripercussioni sulla stabilità del sistema soprattutto in
presenza di forti interconnessioni che ne limitino la diversificazione del rischio a livello aggregato.
Lo stato patrimoniale di una banca, come mostra la figura che segue, a prima vista può sembrare
molto simile rispetto a quello di altre attività economiche, ma ciò che cambia è il rapporto tra
l’attivo totale e il capitale proprio (uno dei modi di definire la leva finanziaria) che per una banca
può essere considerevolmente maggiore rispetto alle aziende non di credito.
4
Fonte: Banca d’Italia
La regola base è che per ogni 100 unità di attivo, ogni banca deve avere 8 unità di capitale proprio a
copertura con una leva massima dell’ordine del 12.5 volte . La figura 1 mostra come la leva per le
banche europee si aggiri nell’intorno
intorno di 25 volte con picchi di 50 e questo grazie
g
alla normativa
prudenziale che pondera per il rischio le diverse attività e assegna un peso quasi nullo ai titoli di
stato europei.
Figura 1 Leva delle maggiori banche
he mondiali
Fonte: European banks “lead” in high leverage, Jean-Pierre
Jean
Chevallier
5
Le banche preferiscono adottare una leva elevata per aumentare la capacità di remunerare il capitale
proprio, ma cosi facendo aumentano il rischio di perdere tutto per piccole variazioni negative del
valore dell’attivo. L’aumento della leva ed il conseguente aumento del rischio di default
(atteggiamento che rientra nei casi di “moral hazard”) viene, peraltro, incentivato dall’eventuale
intervento statale di salvataggio previsto in un’ottica di stabilità del sistema finanziario.
Cosi facendo, le banche hanno assunto un ruolo sempre maggiore all’interno dell’economia. Le
figure 2 e 3 mostrano come i bilanci delle banche europee siano cresciuti vertiginosamente negli
ultimi 10 anni sia rispetto al PIL che in valore assoluto.
Figura 2 Asset bancari totali verso il PIL
Fonte: RBS Credit Research, Bloomberg (Banche superiori ad 1 Miliardo di Capitalizzazione)
Figura 3 Bilancio aggregato del sistema bancario europeo
Fonte: Rbs Credit Research, Bloomberg, ECB, FED
6
La figura 4 mostra come i gruppi bancari Inglesi e Francesi siano stati tra i piu’ attivi ad espandere
i propri bilanci e questo e’ avvenuto sia per finanziare l’economia nazionale ed espandersi
geograficamente sia per incrementare la propria influenza sui mercati finanziari.
Figura 4 Attivi bancari in percentuale del PIL
Fonte Rbs Credit Strategy, Bloomberg
Le banche d’affari inglesi e francesi, infatti, insieme alla tedesca Deutche Bank, sono le uniche a
competere con le grosse banche internazionali. Le piazze di Londra e Parigi, legate dal famoso
eurotunnel, vedono la presenza dei piu’ grossi fondi europei di gestione del risparmio. Le
universita’ francesi e inglesi esprimono le piu alte cariche all’interno del gotha della finanza
europea: e’ pacifica la grossa influenza nella City londinese della lobby francese proveniente
dell’”Ecole Polytecnique” soprattutto da quando e’ stato esasperato l’utilizzo dei modelli
matematici nel pricing di attivita’ finanziarie complesse, che si sono poi rivelati inadatti a gestire
situazioni di panico del mercato in cui la componente emotiva diventa preponderante e che hanno
reso le banche francesi e inglesi protagoniste dei maggiori scandali durante la crisi dei subprime;
sono diventate famose le perdite di Socgen e Credit Agricole sui derivati e di RBS generate
dall’acquisizione di ABN.
La crisi del 2008 non pare abbia insegnato molto soprattutto ai francesi, sia per quanto riguarda
l’utilizzo della leva bancaria, visto che, come vedremo, vantano la maggiore esposizione sui paesi
periferici, sia per quanto riguarda gli scandali sui mercati: anche la recente perdita subita dalla
banca americana JP Morgan su derivati di credito vede coinvolto un trader francese, Bruno Iksil,
ingegnere francese in chimica nucleare. Sebbene abbia fatto scalpore l’annuncio di inizio maggio di
7
una perdita di oltre 2 miliardi di dollari, in realta’ la vicenda andava avanti da almeno un mese: il
trader Iksil, detto la balena per la sua capacita’ di assumere rischi in derivati e non solo, aveva
aperto una posizione enorme su indici di credito accumulando singole posizioni con diverse
controparti di mercato; grazie alla sua dimensione enorme aveva messo in difficolta’ queste ultime
per cui era stato impossibile coprire il rischio sul mercato; peccato che tutte le controparti maggiori
siano rappresentate anch’esse da trader francesi, che tra di loro ovviamente si conoscono, per i quali
e’ stato facile capire il gioco di Iksil e mostrarlo al management di JP Morgan tramite la polemica
apparsa un mese fa su tutta la stampa specializzata; chiunque abbia lavorato su un trading desk sa
come a questo punto il managment, per lavarsene le mani, abbia chiesto di ridurre la posizione,
procedura avvenuta in modo particolarmente sfavorevole perche’ le controparti erano ormai mal
predisposte a dare liquidita’(e’ curioso notare come le banche italiane non sarebbero state in grado
di accedere alle informazioni che hanno svelato la posizione di JPM perche’ non sono presenti sul
mercato in oggetto come market-maker).
Ritornando alla discussione sui rischi sistemici e sull’influenza della leva finanziaria sul ciclo
economico, è utile citare lo studio di Tobias Adrian e Hyun Song Shin, i quali mettono in evidenza
come l’uso attivo della leva da parte delle banche possa contribuire all’espansione di bolle
finanziarie nelle fasi di boom economico e alla loro rapida implosione quando l’economia viene
colpita da uno shock negativo. Consideriamo l’esempio di una banca che abbia all’attivo titoli
scambiati in borsa (titoli di Stato, obbligazioni societarie e azioni) per un valore di 100 e al passivo
un debito (sue obbligazioni, depositi della clientela e di altre banche) di 90: il suo patrimonio è pari
a 100–90=10, e la sua leva è pari a 100/10=10.
Assumiamo che, in una fase di rialzo di borsa, il valore dei titoli aumenti a 101: il patrimonio della
banca, valutato al nuovo prezzo dei titoli, aumenterebbe a 101–90=11 e la leva si ridurrebbe a
101/11=9,2 circa. Quindi, se la banca vuole mantenere costante la sua leva al livello di 10, deve
emettere nuovo debito e acquistare altri titoli per una cifra pari a 9: in questo modo, il suo
patrimonio risulta pari a 110–99=11 e la sua leva è nuovamente pari a 110/11=10. Il risultato di
questo ragionamento è che un aumento di valore dei titoli pari a 1 induce la banca ad acquistare altri
titoli per 9. Naturalmente, il meccanismo funziona in modo analogo, ma in direzione opposta,
partendo da una riduzione del valore dei titoli: in questo caso, per mantenere la leva costante la
banca sarà indotta a vendere titoli.
La morale è che avere un obiettivo di leva costante, insieme alla pratica di valutare gli asset ai
prezzi di mercato, porta a un’amplificazione delle fluttuazioni dei prezzi delle attività finanziarie,
perché induce gli intermediari ad acquistare titoli nelle fasi di ascesa dei prezzi e a vendere titoli
8
nelle fasi di calo. In particolare, questo è un meccanismo amplificatore di uno shock iniziale: ad
esempio, una riduzione di valore delle attività induce un processo di de-leveraging, nel quale gli
intermediari vendono titoli per un multiplo di quella riduzione iniziale, provocando ulteriori
svalutazioni degli asset, secondo un processo che si auto-alimenta.
I dati di Adrian e Shin mostrano che le banche d’investimento statunitensi gestiscono la leva in
modo pro-ciclico: non cercano cioè di mantenere la leva costante, ma l’aumentano nelle fasi di
aumento del valore delle attività, e fanno il contrario nella fasi di calo dei prezzi. E le banche
europee sembrano seguire un comportamento simile, anzi maggiore dato che anche le banche
commerciali mostrano un andamento pro-ciclico della leva.
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INTERCONNESSIONE DEL SISTEMA FINANZIARIO EUROPEO
2.1 Le Fonti di Interconnessione
a) Partecipazioni incrociate
La figura che segue, riguardante alcune partecipazioni azionarie all’interno del sistema finanziario
europeo, sembra un buon punto d’inizio per descriverne l’elevato livello di interconnessione.
Figura 5 Alcune partecipazioni azionarie
Fonte: Rbs Credit Research, Bloomberg
Oltre ad una fittissima rete di partecipazioni incrociate che lega praticamente tutte le maggiori
banche europee, appare evidente l’influenza francese sul sistema finanziario italiano che si esplica
nei seguenti punti salienti:
1)Credit Agricole, dopo esserne stata la prima azionista, detiene tutt’ora il 5% di Intesa, prima
banca italiana, da cui ha acquistato la societa’ di gestione del risparmio e 2 grandi banche regionali
per dare l’avvallo alla fusione con Sanpaolo.
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2)BNP detiene la maggioranza assoluta di tutto il gruppo BNL, inclusa la società di gestione del
risparmio.
3) L’assicurazione francese Groupama, oltre ad aver acquistato Nuova Tirrenia Assicurazione,
detiene una partecipazione in Mediobanca e influenza così Unicredit e Generali.
4)Axa, prima assicurazione francese ed europea, detiene il 2% di Montepaschi da cui ha rilevato
anche una quota della società di gestione del risparmio, tale da acquisirne il controllo.
5) La Libia è il primo azionista del gruppo Unicredit, inclusa la società di gestione del risparmio (la
Francia ha aumentato la sua influenza nell’area con il recente conflitto).
6) Molti manager francesi sono o sono stati presenti nei consigli di amministrazioni di varie società
finanziarie italiane, primo tra tutti il celebre Antoine Bernheim all’interno di Generali; in questo
momento manager provenienti da esperienze non proprio esaltanti in Socgen e Credit Agricole sono
a capo della banca d’affari del gruppo Unicredit.
Avere influenza su società di gestione del risparmio e assicurazioni importanti vuol dire giocare un
potere enorme sul risparmio nazionale. Mentre soggetti stranieri si espandevano in Italia, il nostro
sistema bancario diventava, ad esclusione di Unicredit, prevalentemente domestico anche in seguito
alla vendita di Intesa delle sue partecipate in America Latina (avvenuta durante la crisi dei subprime
in favore tra gli altri di Santander, ex grande azionista di Sanpaolo, con cui Intesa si e’ fusa).
Mentre la crescita economica di questa parte del mondo mitiga gli effetti della debolezza domestica
sul bilancio delle grandi banche spagnole, Unicredit, banca italo-tedesca ha dovuto scrivere a
bilancio 8 miliardi di perdite dalle sue partecipate in Kazakistan, non chiaro se paese partner
dell’Italia o della Germania.
b) Detenzione incrociata di obbligazioni finanziarie
Oltre alle partecipazioni azionarie, molte istituzioni finanziarie investono una parte cospicua delle
loro risorse in obbligazioni emesse da altre società finanziare. La figura 6 indica come oltre il 50%
dei bond emessi dalle banche rimangano all’interno del sistema finanziario. E’ chiaro che i paesi
con maggiore influenza sul risparmio gestito sono in grado di rifinanziare il proprio debito a
condizioni migliori, indipendentemente dai fondamentali economici.
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Figura 6 Detenzione di bond bancari o corporate
Fonte: RBS Credit Research, ECB
c) Detenzione di titoli di Stato
La figura 7 mostra come molte banche detengano titoli di stato di paesi non di origine, alle volte in
percentuale alta rispetto ai propri asset totali.
Figura 7 Percentuale degli asset totali detenuti in titoli di Stato
Fonte: RBS Research, EBA
La figura 8 mostra l’esposizione delle banche europee al rischio Grecia.
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Figura 8 Esposizione delle banche europee al rischio Grecia
Fonte: Washington Post
La figura 9 mostra come l’ esposizione in titoli di stato sia aumenta nel tempo, mentre il caso
italiano, descritto dalla figura 10, dimostra come negli ultimi mesi siano stati i campioni nazionali
ad assorbire il rifinanziamento del debito dei paesi di origine, discorso che vale per tutti i paesi
periferici.
Figura 9 Dinamica della percentuale degli asset bancari totali detenuti in titoli di stato europei
Fonte Rbs Credit Strategy, ECB
13
Figura 10 Esposizione delle banche italiane in titoli di stato italiani
Fonte: Nomura Credit Research, Banca d’Italia
L’esplosione dell’acquisto di titoli di stato da parte delle banche è stata favorita dalla normativa
prudenziale Basilea II per permettere agli stati di rifinanziarsi più agevolmente e alle banche di fare
utili dopo le perdite subite a causa della crisi dei subprime. Non e’ un caso che le banche francesi,
come dimostra la figura 8 per la Grecia e come vedremo anche per l’Italia, siano state tra le più
attive ad aumentare la loro esposizione sui titoli di stato dei paesi periferici che fornivano un
rendimento maggiore rispetto ai titoli di stato francesi.
d) Poste fuori bilancio
Altra fonte di interconnessione, più difficilmente quantificabile e verificabile, è rappresentata dai
derivati, che rimangono inevitabili alla luce dell’attuale tecnologia finanziaria e della stessa natura
dell’attività bancaria. Come abbiamo visto, infatti, le banche forniscono credito con un’elevata leva
e devono coprire i rischi di tasso d’interesse sul mercato degli swap con controparti internazionali,
scambiare i depositi e le valute sul mercato interbancario mondiale, assumendo inevitabilmente un
rischio derivato: se una banca fornisce un prestito ad una azienda italiana e ne copre il rischio di
tasso sul mercato interbancario, avrà due rischi controparte che sono a loro volta derivati finanziari,
cioè l’entità’ del rischio dipende anche dall’andamento del sottostante che può essere uno tasso di
interesse o una valuta. E’ curioso notare come proprio il tentativo di arginare tale rischio
14
controparte tramite lo scambio di titoli di stato a garanzia dell’esposizione abbia messo in crisi
quelle banche che avevano accettato titoli dei paesi periferici come collaterale.
2.2
Interconnessione, normativa finanziaria e agenzie di rating
L’Unione Monetaria Europea adotta un modello duale nella definizione della politica monetaria,
assegnando alla BCE i poteri in tema di rifinanziamento e controllo del sistema bancario e al
comitato di Basilea, di cui fanno parte i governi nazionali, per la definizione della normativa
prudenziale tra cui quella riguardante la capitalizzazione delle banche. La cosiddetta normativa
Basilea I, II e poi III, definisce i fattori di ponderazione delle attività e il livello minimo di
capitalizzazione.
Il tema è molto delicato per gli effetti sulla leva finanziaria: se per 100 d’investimento una banca
deve detenere 8 di capitale come accade per i prestiti allo sportello o nessun capitale, come capita
per i titoli di stato europeo, essa sarà incentivata a investire maggiormente in questi ultimi. La figura
8 evidenzia proprio questo trend.
L’entrata in vigore di Basilea II, avvenuta nel gennaio del 2008, ha abbassato e quasi azzerato il
costo del capitale per gli investimenti in titoli di stato europei senza quasi nessuna differenza tra i
diversi emittenti, innescando una corsa all’acquisto da parte delle banche finalizzata ad aumentare
la redditività del capitale messa in crisi dalle grosse perdite avvenute a causa della crisi dei
subprime. Nella stessa direzione va la normativa Solvency II che determina il capitale normativo
delle assicurazioni europee, influenzandone così le scelte di investimento.
Sebbene fosse normale aspettarsi che la normativa tendesse ad uniformare il sistema, molte sono le
critiche su come abbia influito sulla riduzione del livello di diversificazione a livello aggregato,
spingendo le banche ad agire tutte allo stesso modo, come era già avvenuto per la normativa in tema
di cartolarizzazione che aveva amplificato la crisi dei subprime.
La tabella 1 mostra come la normativa prudenziale, assegnando un minore costo del capitale
conseguente ad una cartolarizzazione, abbia spinto le banche a ricorrere a questo strumento.
15
Tabella 1: Costo del Capitale di un pool di prestiti
Nozionale RW
PORTAFOGLIO
PRESTITI
1000
Classe
Rating
PORTAFOGLIO
CARTOLARIZZATO Classe A
Classe B
Classe C
Classe D
Classe E
RWA
75%
Nozionale RW
AAA
AA
BBB
BB
NR
TOTALE
1000
750
RWA
885
7%
20
15%
35
75%
20 425%
40 1250%
Capitale T1
@8%
60
Capitale T1
@8%
61,95
3
26,25
85
500
4,956
0,24
2,1
6,8
40
676,2
54,096
Basilea I non prevedeva alcun trattamento specifico per le singole tranche dell’operazione di
cartolarizzazione, incoraggiando le banche a non coprire le posizioni rischiose riducendo così
l’ammontare di rischio trasferito. Anche alla luce della crisi dei subprime, l’entrata in vigore di
Basilea II ha cercato di cambiare profondamente l'efficacia di tali operazioni come strumento di
gestione del capitale regolamentare: maggiore attenzione ai rischi economici e maggiore
riconoscimento della cartolarizzazione sintetica. La tabella che segue mostra come con Basilea II le
banche abbiano più incentivo a coprire il rischio Junior rispetto a Basilea I.
Tabella 2 : Coefficienti di ponderazione delle cartolarizzazioni
TRANCHE
RATING
BASILEA I
BASILEA II
(Standardized)
AAA
AA
A
BBB
BB
B and below
100%
20%
20%
50%
100%
1250%
1250%
BASILEA
II IRB
Tranche
Senior
7%
8%
12%
60%
425%
1250%
BASILEA
II IRB
Caso Base
12%
15%
20%
75%
425%
1250%
BASILEA II IRB
Portafoglio non
granulare
20%
25%
35%
75%
425%
1250%
16
Le tabelle 1 e 2 mostrano anche un altro tema fondamentale: i fattori di ponderazione del capitale e
quindi la leva finanziaria, dipendono in maniera diretta dai rating: tutta la normativa assegna alle
agenzie di rating un ruolo centrale di valutazione del rischio delle attività finanziarie; questo ha
effetti enormi sia sul capitale regolamentare, sia sulla capacità di rifinanziamento delle banche
presso la BCE perché il rating incide sulla definizione del pool di asset che si possono rifinanziare
oltre al prezzo di tali operazioni. Come il downgrading di molte cartolarizzazioni influì sul crollo
azionario durante la crisi dei subprime proprio perché evidenziava la necessità per le banche di
reperire nuovo capitale, cosi il downgrading degli stati influisce sulla capacita di rifinanziamento e
sulla necessità di ricapitalizzazione del sistema bancario.
Le due principali agenzie di rating sono soggetti privati americani, partecipate anche da fondi e
banche; da molte parti vengono le accuse riguardo alla decisione di affidare una leva di stabilità del
sistema europeo in mano ad interessi stranieri. Le autorità hanno mostrato l’intenzione di costituire
un’agenzia di rating europea per arginare il problema, ma al momento rimane l’enorme influenza di
soggetti privati americani su interessi pubblici vitali per il sistema europeo.
Per far tesoro dei recenti errori commessi, i regolatori a livello internazionale si stanno muovendo
anche nella direzione di porre argini ai movimenti pro-ciclici della leva bancaria, mettendo mano
agli accordi sui requisiti patrimoniali. La nuova regolamentazione, detta Basilea III, persegue il
rafforzamento della qualità e della quantità del capitale bancario; il contenimento della leva
finanziaria del sistema; l’attenuazione dei possibili effetti pro ciclici delle regole prudenziali; un più
attento controllo del rischio di liquidità. I nuovi standard entreranno in vigore con gradualità a
partire dal 1° gennaio del 2013.
Molti economisti, tra cui l’autorevole Blanchard, ritengono che “al coefficiente patrimoniale basato
sull’attivo ponderato per il rischio (noto come “Basilea II”) dovrebbe aggiungersi un leverage ratio
basato sull’attivo non ponderato, in modo da limitare l’accumularsi di una leva eccessiva, che possa
poi dare origine a disordinati processi di de-leveraging nelle fasi negative del ciclo; controllare
l’evoluzione della leva dovrebbe rispondere ad obiettivi non solo prudenziali, ma anche
macroeconomici, poiché le sue fluttuazioni amplificano le variazioni dei prezzi delle attività
finanziarie e, per questa via, le fasi del ciclo economico. Gli strumenti della politica monetaria e
della supervisione prudenziale sul sistema bancario andrebbero quindi usati in modo coordinato, al
fine di stabilizzare il sistema. Le tradizionali regole applicate ai singoli istituti dovrebbero essere
affiancate da regolamentazioni anticicliche, capaci di accrescere il grado di “autoassicurazione”
dell’intero sistema finanziario. Bilanciando costi e benefici delle regole e della discrezionalità si
dovrebbero scartare regole fisse troppo rigide e avviare un regime di “discrezionalità vincolata”, che
17
consenta anche il necessario apprendimento da parte degli stessi regolatori, pur in un quadro di
trasparenza e responsabilità. Il coordinamento tra politica monetaria e supervisione prudenziale
rende opportuna la loro integrazione presso un’unica autorità – la banca centrale– anziché la loro
separazione, come è successo per esempio nel Regno Unito, con i conseguenti disastri di
“comunicazione” evidenziati nel corso delle recenti crisi bancarie” (la voce.info).
18
RAPPORTI DI FORZA
Possiamo definire come forza relativa all’interno di un sistema finanziario il costo che le diverse
componenti del mercato devono sostenere per attrarre capitale di rischio e per rifinanziare il proprio
debito in modo sostenibile nel tempo;
tempo più e’ basso questoo costo, maggiore e’ la possibilità di
accesso al mercato.
Dal punto di vista teorico, tale forza relativa può essere descritta dalla famosa formula del “Capital
Asset Pricing Model” anche detto CAPM.
Il nucleo del CAPM è una relazione attesa tra il rendimento
re imento di un qualsiasi titolo(
titolo ) e il rendimento
del portafoglio di mercato che può essere espressa come:
dove
sono il rendimento lordo del titolo in questione e del portafoglio di mercato,
è il
rendimento lordo privo di rischio, e
Il tasso
rappresenta il tasso privo di rischio, comunemente identificato con il tasso dei titoli
governativi. Il prezzo di ogni attività finanziaria e quindi l’intero
tero mercato dipendono dal tasso riskfree.
In Europa ci sono diversi emittenti di titoli di stato e un’unica banca centrale che per statuto non
può rifinanziare gli stati membri; la maggiore criticità del sistema sta nella mancanza di un
prestatore di ultima istanza sempre disponibilee a stampare moneta e rendere il debito nominale in
valuta domestica privo di rischio.
rischio La forza del sistema finanziario di ogni singolo paese dipende
quindi dalla sua capacità di abbassare autonomamente il costo di rifinanziamento del proprio debito.
La figura 11 mostra la matrice del rendimento relativo, comunemente detto spread, tra i diversi
titoli di stato dell’aria euro.
uro. Tale matrice varia nel tempo e va ad influenzare,
influenzare tramite i canali di
interconnessione precedentemente descritti, tutto il sistema finanziario. Ogni spread dipende dalle
attese del mercato sulla solvibilità di ogni paese.
19
Figura 11 Spread tra i titoli di stato dell'aria euro con scadenza a 5 anni
Fonte: Bloomberg
Ipotizzando che 200 punti base di differenza dal rendimento dei titoli di stato tedesco sia il livello
di allerta sopra il quale ogni stato inizia ad avere difficoltà di rifinanziamento del debito, si possono
distinguere due blocchi: paesi core, o poco rischiosi, e paesi periferici, in difficoltà relativa. La
composizione di questi due gruppi varia nel tempo e dipende dal processo di contagio della crisi. Al
momento sono ritenuti paesi periferici la Grecia, l’Italia, il Portogallo, la Spagna e l’Irlanda. La
Francia rappresenta il prossimo obiettivo della speculazione a causa dell’esposizione nei confronti
dei paesi periferici e in particolar modo della Grecia, della Spagna e dell’Italia.
La figura 12 mostra quale sia stata l’evoluzione di questa matrice nel tempo sia per i core che per i
paesi periferici.
20
Figura 12 Evoluzione dello spread dei titoli di stato con scadenza a 10 anni
Fonte: Washington Post
La figura 13 mostra come la debolezza degli stati abbia influito sulla raccolta bancaria evidenziando
lo spostamento di depositi dai paesi periferici in favore dei paesi meno rischiosi.
Figura 13 Crescita annuale dei depositi delle banche europee.
Fonte Rbs Credit Strategy, Bloomberg
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Considerando sia il livello del costo di rifinanziamento sia la quantità di capitali che si sono
riversasti nei titoli di stato e nei depositi bancari dei paesi core, si coglie il grado di redistribuzione
di ricchezza che sta avvenendo tra i due blocchi europei.
3.1 Fattori strutturali .
I motivi di questa forza relativa sono di natura strutturale o di mercato. La figura 14 mostra
l’evoluzione della competitività economica dei diversi paesi europei dall’avvento dell’euro,
indicando la Germania come l’unica in grado di migliorarla. Non a caso essa rappresenta il
benchmark di riferimento per tutto il mercato di titoli di stato europei.
Figura 14 Competitività economica dei paesi appartenenti all’aria euro
Fonte Washington Post
Molti economisti avevano evidenziato, già durante le discussioni sui vantaggi di una moneta unica
europea, i pericoli di una sola valuta all’interno di un’aria con almeno due cicli economici
differenti: i paesi latini, maggiormente turistici ed agricoli, competono con paesi che hanno una
valuta debole (ad esempio la Turchia) mentre i paesi industrializzati si avvantaggiano delle
economie di scala di un mercato di riferimento più ampio e di una valuta forte per approvvigionarsi
sul mercato delle materie prime. Non sembra un caso che i paesi core abbiano una maggiore
connotazione industriale mentre i paesi periferici agricola/turistica.
Altre variabili tipo un solido sistema finanziario e un alto tasso di risparmio domestici, una buona
crescita economica, un basso livello di deficit di bilancio e di debito pubblico o la presenza di una
banca centrale di ultima istanza e una valuta forte di riferimento (queste ultime due chiaramente non
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si applicano ai paesi dell’euro ma spiegano la forza relativa dell’Inghilterra e dei paesi del nord
Europa) rappresentano forze strutturali.
I fattori di mercato, invece, sono rappresentati dai punti di vulnerabilità di un sistema finanziario
che possono portare ad una crisi in caso di un attacco speculativo (i quali possono avere successo
solo se i fondamentali dell’economia non sono sufficientemente solidi). Essi variano da paese a
paese e mutano nel tempo. La figura 15 mostra, ad esempio, come le aspettative di mercato possano
spingere il costo di rifinanziamento di uno stato, in assenza di una banca prestatrice di ultima
istanza, da un livello sostenibile ad uno insostenibile tramite un processo autoverificantesi.
Figura 15 Equilibri multipli e aspettative autoverificantesi
Fonte: Blog Free Exchange dell'Economist
E’ qui che si inserisce il ruolo dell’intelligence economica, nel cercare di capire quali siano i fattori
e gli interessi di mercato che possano spingere verso il “bad equilibrium” e i modi per controllarli e
influenzarli al fine di contribuire a determinare o a mantenere il “good equilibrium”.
3.2 Fattori di mercato: il caso italiano
La figura 16 evidenzia come nel 2012 si sia aperto un periodo durante il quale e’ presente un picco
enorme di debito italiano da rifinanziare, in concomitanza con un momento di particolare
vulnerabilità del mercato dei titoli di stato europei innescato dai problemi della Grecia.
La figura 17 mostra come questo picco di debito coincida (e contribuisca a determinare) con un
bisogno di ricapitalizzazione delle banche italiane tale da innescare, tramite i canali descritti della
leva finanziaria pro-ciclica, un mix esplosivo sia sui mercati che nell’economia reale.
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Figura 16 Distribuzione per scadenze del debito statale italiano
Fonte: Bloomberg
Figura 17 Core tier1 delle banche europee
Fonte: Credit Suisse Credit Research
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Tali fattori sembrano aver influito maggiormente sulla crisi rispetto agli elementi strutturali che
erano in linea a quelli di altri grandi partner europei. La figura 18 mostra come l’avanzo primario
italiano sia positivo da molti anni e come il debito aggregato sia tra i più bassi d’Europa in rapporto
al PIL. La figura 19 mostra anche come il ruolo delle banche italiane nell’economia non sia
cresciuto molto rispetto agli altri paesi europei.
Figura 18 Avanzo primario e debito aggregato
Fonte: Rbs Credit Strategy, ECB
Figura 19 Asset del sistema bancario in percentuale del PIL
Fonte: Rbs Credit Strategy, Bloomberg
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Per cercare di capire perché il sistema finanziario italiano non sia stato in grado di arginare l’attacco
speculativo (i panni sporchi si lavano in famiglia soprattutto in mancanza di una banca centrale che
sia prestatrice di ultima istanza e con investitori stranieri che razionalmente riducono l’esposizione
estera nei momenti di panico del mercato) possiamo fare riferimento a due ordini di problemi: una
debolezza organizzativa ed un problema di coordinamento.
Per quanto riguarda la prima, le banche italiane hanno deciso negli ultimi anni di limitare la propria
presenza sui mercati internazionali (questo ha rappresentato un punto di debolezza anche per gli
altri periferici) e l’espansione geografica fuori dall’Europa con effetti negativi sulla diversificazione
del proprio bilancio (la più grossa banca italiana ha venduto ai minimi le partecipazioni in America
Latina durante la crisi dei subprime e adesso non beneficia della crescita di quella zona del mondo a
favore delle grandi banche spagnole che cosi limitano la debolezza domestica).
Hanno deciso di focalizzarsi sui clienti retail e sui corporate prevalentemente domestici diventando
spesso clienti delle grosse banche d’affari mondiali sui mercati più sofisticati, con conseguenti
problemi di carenza tecnologica e informativa: nessuna banca nazionale e’ attiva, ad esempio, come
market-maker (funzione principe di intelligence sui mercati di riferimento, tramite cui una banca,
fornendo liquidità a vari attori finanziari, ingaggia rapporti idonei ad acquisire, tra le altre cose,
informazioni sui propri clienti e sui competitor di riferimento) sul mercato dei “Sovereign CDS”
dove ci si assicura sul fallimento dei paesi sovrani che ha enorme influenza sui prezzi dei titoli di
stato.
In molti casi, alcuni dei quali emersi proprio durante la crisi che ha esasperato i problemi di
capitalizzazione e quindi di assetti azionari delle banche italiane, la governance, spesso espressione
di interessi politici e non sempre preparata a confrontarsi con la complessità del sistema finanziario
internazionale, e’ stata costretta a convivere con assetti di potere deboli ed influenzati da dinamiche
extra business (si ricordi come la vicenda libica abbia influito sull’aumento di capitale di UniCredit
avvenuto proprio nel periodo di maggior turbolenza per il mercato finanziario italiano o si pensi
all’affaire MPS).
Per quanto riguarda i problemi di coordinamento, in assenza di una banca centrale prestatrice di
ultima istanza, le istituzioni italiane, sia pubbliche che private, sono state incapaci di adottare
comportamenti congiunti utili a prevenire e ad arginare l’attacco speculativo. Se è vero che il
rifinanziamento del debito in scadenza ha rappresentato la causa dell’attacco e che le banche erano
in crisi di liquidità anche grazie alla crisi del debito sovrano, gli altri attori del sistema non bancari,
ministero del tesoro, altri enti pubblici o parastatali come cassa depositi e prestiti, fondi ed
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assicurazioni che gestiscono una parte importante del risparmio nazionale, non si sono coordinati
per adottare misure unitarie indirizzate ad arginare la crisi; non si e’ pensato ad esempio di
organizzare un prestito sindacato per lo stato per alleviarne il problema di rifinanziamento o ad un
modo per rifinanziare il sistema bancario -anche magari tramite l’utilizzo della linea di credito che
il tesoro ha in banca centrale- tramite il quale poi sostenere il mercato dei titoli di stato: (il
successivo intervento straordinario di rifinanziamento del sistema europeo (LTRO) da parte della
BCE ha attenuato la crisi proprio rifinanziando le banche che a loro volta hanno sostenuto il
mercato dei titoli di stato). Non si è pensato di capire se la linea di credito in oggetto, che ogni stato
europeo detiene presso la banca centrale, poteva essere usata, altresì, in accordo con il divieto di
monetizzazione del debito, per facilitare esclusivamente il rifinanziamento del debito pubblico in
scadenza e alleviare così il problema di liquidità. Ci siamo limitati a proporre il “Btp Day”.
E’ lecito chiedersi se questa debolezza interna derivi in qualche modo dal fatto che molte banche,
società di gestione del risparmio e assicurazioni che operano in Italia siano passate sotto l’influenza
straniera. Senza dare giudizi di convenienza economica e lungi da essere completi nell’esposizione,
pare utile domandarsi se può essere un problema per la sicurezza nazionale che la società di
gestione del risparmio di banca Intesa sia stata venduta ad una società francese durante la fusione
con San Paolo, o chiedersi chi influenza le decisioni di bilancio o la società di gestione del
risparmio del gruppo italo-tedesco UniCredit, o che ruolo abbia Axa dopo aver acquistato MPS
asset managment.
Di sicuro nascono esigenze di intelligence economica e finanziaria di tutela della sicurezza e del
risparmio nazionali, di coordinamento del sistema finanziario domestico. La compattezza interna
rappresenta, altresì, la base su cui far perno per le operazioni di intelligence esterna di raccolta di
informazioni rilevanti sui mercati e di controllo del processo normativo europeo, delle agenzie di
rating e delle altre associazioni private con influenza sugli interessi pubblici, come ad esempio
l’ISDA (International Swap and Derivatives Association), pool di banche private che ha poteri
enormi in tema di definizione di eventi creditizi e quindi anche in tema di fallimenti statali.
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GLI EFFETTI SULLA SICUREZZA INTERNAZIONALE
La saggezza popolare insegna che, sebbene di solito sia il debitore ad essere preoccupato
dall’azione del suo creditore che potrebbe togliergli il credito, al di là di una certa esposizione e’
quest’ultimo che ha maggiore interesse a che il rapporto creditizio vada a buon fine.
Figura 20 Esposizione delle banche europee al rischio Italia
Fonte: Washington Post
La figura 20 mostra l’esposizione delle banche europee nei confronti del rischio Italia. Alla luce
delle considerazione fatte sulla leva finanziaria pro-ciclica e sulle interconnessioni del sistema
bancario, e’ chiaro il ruolo dei paesi che detengono il nostro debito sulla sicurezza economica
italiana, ma e’ altrettanto chiara la rilevanza della situazione italiana nei confronti della stabilità
finanziaria mondiale e quindi gli effetti sulla sicurezza internazionale.
Simile discorso vale per la questione più attuale della Grecia; come mostra la figura 8, l’esposizione
del sistema finanziario e’ quantitativamente minore rispetto a quella italiana, ma comunque
rilevante per la sua stabilità. La crisi greca va avanti ormai da molti mesi, ma la questione ha
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assunto una dimensione politica sin dall’inizio a causa della non correttezza delle statistiche
economiche pubblicate dagli organi governativi greci; da subito si è aperto un fronte ideologico,
soprattutto in Germania, contrario ad un salvataggio tout-court che ha rallentato una risoluzione
efficace del problema. La contrattazione a livello europeo ha portato faticosamente alla recente
ristrutturazione del debito pubblico greco con un contestuale salvataggio del sistema bancario per
evitare il contagio in Europa. I termini della ristrutturazione hanno però generato spinte
antieuropeiste: diversamente da quello che capita di solito per un debito sovrano che e’ garantito
esclusivamente dalla credibilità di chi lo emette, il nuovo debito greco e’ collateralizzato a dei beni
reali appartenenti allo stato. Tale struttura è stata richiesta dalle banche straniere per ottenere un
valore più alto del debito post ristrutturazione e realizzare una perdita minore con lo scambio: un
debito collateralizzato rappresenta una maggiore sicurezza rispetto ad uno senza garanzie e quindi
ha un valore teorico più alto. Ciò rappresenta però anche una perdita particolare di sovranità del
paese che, unita alla mancanza di una politica monetaria nazionale, diventa inaccettabile per un
popolo fiero come quello greco. Una maggiore sensibilità politica e culturale nella definizione dei
termini dell’accordo lo avrebbe reso più sostenibile, sebbene a discapito della convenienza del
sistema bancario.
La paventata uscita della Grecia dell’euro avrebbe implicazioni tecniche pericolose: mentre la
ristrutturazione all’interno dell’unione monetaria ha tenuto in vita il sistema bancario greco (anche
perché ha determinato un credit event solo per i credit derivatives, ma non per tutti gli altri derivati
che sono numericamente molto maggiori rispetto ai primi), l’uscita dall’euro determinerebbe anche
il collasso di quest’ultimo con conseguenze difficilmente controllabili sul sistema finanziario
mondiale.
A nessuno conviene il fallimento di un paese europeo che abbia effetti incontrollati o incontrollabili
anche perché la fortuna vuole che il debito di ogni paese, a differenza di quanto accaduto per le crisi
dei paesi asiatici e dell’Argentina, è denominato in valuta domestica e quindi, tecnicamente, la
soluzione della crisi (almeno di debito) e’ in mano all’Europa: anche se attualmente non previsto
dallo statuto della BCE, nessuno toglie che un domani si possa ricorrere alla monetizzazione del
debito, politica comunque anticipata in qualche modo dall’operazione gigantesca di rifinanziamento
del sistema bancario europeo (LTRO) da parte della BCE e dalla creazione del fondo salva-stati
EFSF; essa sarebbe, altresì, in linea con la politica monetaria già intrapresa durante la crisi dei
subprime dagli USA, Inghilterra e Giappone al fine di stabilizzare il sistema bancario e di
determinare una riduzione della leva finanziaria senza grandi contraccolpi per l’economia reale.
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In Europa, comunque, non c’e’ ancora accordo a riguardo: convivono due scuole di pensiero, quella
tedesca dei falchi, e quella latina delle colombe. I tedeschi, per costituzione, non possono accettare
l’inflazione che deriverebbe dallo stampare moneta (al netto di un possibile “liquidity-trap” come
nel caso giapponese). I paesi latini, invece, accetterebbero di buon grado sia un pizzico di inflazione
che aiuta sempre i bilanci dello stato e delle banche, sia una riduzione della forza dell’euro per
riacquistare quella competitività persa nei confronti del resto del mondo, che adotta come valuta di
riferimento il dollaro debole. Al momento prevalgono i falchi: le politiche adottate vanno nella
direzione di ridurre il costo del lavoro e gli sprechi di spesa pubblica per rendere le economie
periferiche più competitive, ma contribuiscono a mantenere un euro forte e ad alimentare tensioni
sociali in quei paesi abituati storicamente alle svalutazioni competitive, oltre ad un pericolosissimo
rischio deflazionistico che metterebbe ulteriormente in ginocchio il sistema bancario.
Pare chiaro l’interesse dei paesi core a che la crisi si protragga il più a lungo possibile in modo tale
da continuare ad avere la forza relativa per condurre la politica europea e attrarre capitali a prezzi
stracciati (i titoli di stato tedeschi e inglesi, ad esempio, hanno rendimenti reali negativi), fino a
quando non ci sarà la minaccia di un crollo imminente di qualche economia periferica, come quella
greca, che abbia un impatto determinante sul sistema finanziario e sulle esportazioni dei paesi core.
E’ altresì chiaro come i paesi che competono con l’Europa abbiano l’interesse a mantenere questa
situazione di crisi per indebolire un proprio concorrente, alle volte in un curioso intreccio di
interessi proprio con i paesi core dell’Europa che hanno fatto delle esportazioni al di fuori dell’aria
euro una enorme fonte di guadagno e di influenza economica. Se è vero, ad esempio, che la Spagna
compete con la Turchia sul turismo, pare lecito chiedersi se quest’ultima abbia interesse a che la
Germania, uno dei suo maggiori partner commerciali, continui la sua politica di euro forte.
I paesi periferici, gli unici ad avere interesse ad una veloce soluzione della crisi, non stanno
forzando la mano per non correre il rischio (anche legale derivante dai trattati e dai derivati
finanziari) che l’uscita dall’euro e l’adozione di una valuta debole metta in crisi il sistema bancario
domestico indebitato per una grossa parte in euro sui mercati internazionali.
Pare lecito attendersi, quindi, che una soluzione avverrà soltanto quando il rischio di contagio farà
compattare delle forze sufficientemente grandi da spingere l’Europa a difendere gli interessi dei
paesi in crisi o a dividerla definitivamente. Un indicatore potrebbe essere rappresentato
dall’evoluzione della crisi greca che potrebbe indebolire ulteriormente la Spagna e l’Italia e quindi
contagiare irrimediabilmente il sistema finanziario francese; a questo punto la Francia non potrebbe
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fare altro che chiedere una politica monetaria maggiormente espansiva ed allentare così l’asse con
la Germania.
Ma quali sono i possibili scenari futuri per l’euro?
Fonte: Gavyn Davies, Blog del Financial Times
Per avere una percezione della probabilità da assegnare ai singoli eventi, consideriamo come
obiettivo primario la stabilità del sistema finanziario post evento.
Molto elevati sono i rischi operativi e legali derivanti dall’uscita di qualche paese dall’Unione
Monetaria, evento in realtà non previsto dai trattati. Lo scenario 3 quindi rimane più probabile con il
raggiungimento di un accordo per una rapida unione fiscale .
Se invece si andasse verso gli scenari 1 e 2 di disgregazione dell’euro, anche per affrontare il
problema di asincronia dei cicli economici all’interno dell’attuale unione monetaria, la soluzione
molto più praticabile dal punto di vista tecnico pare essere l’uscita dei paesi forti (i falchi) con la
creazione di una nuova valuta di riferimento e la svalutazione dell’euro che continuerebbe ad essere
la valuta dei paesi deboli: nel momento di cambiamento tutte le banche dell’attuale unione
monetaria avrebbero debiti in euro e asset denominati in euro o in una valuta più forte, evitando cosi
i rischi di fallimenti bancari derivanti da esposizioni valutarie. In questa direzione pare spingere
anche la normativa ISDA, come indicato da una celebre ricerca di Barclays apparsa sul Financial
Times, che prevede la possibilità di uscire dall’euro senza determinare un “credit event” per quei
paesi che adottavano una delle valute ex G7 o che dovessero mantenere un rating AAA dopo
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l’uscita; si eviterebbero così i rischi finanziari, normativi e legali derivanti dalle esposizioni in
derivati.
Nel caso si andasse, invece, verso l’uscita dei paesi più deboli, come pare possibile per la Grecia, si
assisterebbe ad una serie di fallimenti bancari e ad un processo di contagio su scala mondiale
difficilmente prevedibile. Unico argine potrebbe essere rappresentato dal ruolo della BCE che
potrebbe garantire tutte le poste delle banche greche e quindi procedere ad una monetizzazione del
debito e ad un acquisto di asset bancari a livello europeo.
La preferenza del mercato nei confronti di quest’ ultimo scenario potrebbe anche spiegare il recente
rafforzamento del dollaro e della sterlina verso l’euro o l’acquisto continuo di titoli di stato tedeschi
durante tutto l’arco della crisi, anche nei periodi di miglioramento e di calma che sono seguiti alle
operazioni di rifinanziamento della BCE: in molti vogliono detenere qualcosa priva di rischio di
credito che abbia un’opportunità’ di rivalutazione nel caso di rottura dell’euro.
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CONCLUSIONI
Abbiamo analizzato gli enormi interessi in gioco, la redistribuzione di ricchezza e gli effetti sulla
sicurezza nazionale dei diversi out-come della crisi; l’intelligence economica dovrebbe essere in
grado di evidenziare ed influenzare le soluzioni più favorevoli per l’interesse nazionale e per la
stabilità internazionale; dovrebbe indicare delle politiche a livello comunitario volte a compattare il
fronte dei paesi periferici e ad interrompere questo limbo che permette ai paesi core di primeggiare
politicamente e di attrarre capitali a spese dei paesi periferici.
Dovrebbe, altresì, monitorare gli enormi interessi dei paesi fuori dall’unione monetaria che per
esportare di più hanno la convenienza a questa continua forza dell’euro, non comprensibile
considerando solo variabili economiche (visto che l’aria di riferimento vede quasi la metà dei paesi
a rischio di fallimento) e che limita in qualche modo la ripresa dei paesi periferici prevenendo un
aumento delle esportazioni e di competitività del settore turistico. Pare lecito chiedersi ad esempio
(anche alla luce delle recenti accuse rivolte in America alle compagnie cinesi di pannelli solari di
attuare politiche di prezzo scorrette) se sia più facile per la Cina competere in Europa con un euro
tenuto artificialmente forte anche grazie agli acquisti da parte della banca centrale cinese.
Dal punto di vista operativo, la divisione interna di intelligence economica dovrebbe analizzare la
struttura, le dinamiche e gli interessi del sistema finanziario interno, le influenze straniere sullo
stesso sia in riferimento agli assetti azionari che alle persone che ricoprono ruoli decisionali chiave.
All’estero, l’attenzione dovrebbe rivolgersi maggiormente verso quei mercati in cui le banche
italiane non sono player di riferimento e le istituzioni che influenzano la normativa finanziaria
internazionale, spesso derivazione di interessi privati che possono non coincidere con gli interessi
pubblici.
Entrambe dovrebbero coordinarsi sia con le autorità istituzionali di controllo e di gestione del debito
pubblico sia con chi detiene ruoli critici nel sistema finanziario domestico per informarle di
eventuali minacce altrimenti non percepite e aiutarli a coordinarsi nell’affrontarle. Le tecnologie
presentate sono vecchie, ma il campo di applicazione totalmente nuovo. Per fortuna l’indagine
investigativa, rivolta a capire se associazioni di persone abbiano natura di associazioni a delinquere,
o lo spionaggio internazionale non sono compiti nuovi allo stato italiano.
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(2) Morgan Stanley research “Portugal: Bail-Out Now, Bail-In Later?”
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Position Note/10/03, (http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2010/INT021210A.htm).
(7) http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=7530#ixzz1tQ8pFkRN
(8) http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=7530
(9) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2011/11/27/thinking-the-unthinkable-on-a-euro-breakup/#axzz1f2nFFxZD
(10) http://www.washingtonpost.com/blogs/ezra-klein/post/the-european-debt-crisis-in-eightgraphs/2011/12/01/gIQAsmR5GO_blog.html
(11) http://www.forexcrunch.com/leverage-of-global-banks-european-banks-lead/2011-10-14-5leveragetotal-1024x462/
(12) http://www.zerohedge.com/contributed/guess-who%E2%80%99s-even-more-leveragedeuropean-banks
(13) lavoce.info
(14) http://www.ebarbisan.com/Basilea_III.pdf
(15) http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/02/12/148481/euro-breakup-not-necessarily-a-credit-event/
(16) http://it.wikipedia.org/wiki/Capital_asset_pricing_model
(17) http://www.esrb.europa.eu/news/documents/html/index.en.html
(18) http://www.bankofengland.co.uk/publications/Pages/fsr/papers.aspx
(19) www.bancaditalia.it
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(20) RBS credit research “The Long Road To De-leveraging”
(21) Nomura equity research “Key Banking Trend in Italy”
(22) Barclays credit research “European Banks - Liability management shrinks the bank capital
market”
(23) Barclays credit research “Is the euro area government bond market turning Japanese?”
(24) DB credit research “Does Spain Matter?”
(25) www.bce.int
(26) www.eba.europa.eu
(27) Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) 44 Number “Financial
sector pro-cyclicality Lessons from the crisis”
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