Rivoluzione industriale, modernizzazione e modernità La rivoluzione industriale è possibile per via di alcuni importanti innovazioni tecnologiche, specialmente riconducibili a tre grandi aree: i mezzi meccanici sostituiscono l’abilità umana il vapore, e in seguito altre forme di energia, presero il posto della fatica dell’uomo e degli animali ci fu un netto miglioramento nei processi di estrazione e di lavorazione delle materie prime Questi cambiamenti nelle attrezzature ebbero conseguenze sui processi produttivi al punto che si realizzarono nuove forme di organizzazione industriale. La fabbrica, all’interno della quale si concentrano i mezzi per la produzione, divenne un’unità di produzione molto grande, prendendo il posto delle botteghe e delle abitazioni. Essa divenne, più che un’unità di produzione, un universo sociale che si reggeva su due nuovi protagonisti del sistema produttivo: l’imprenditore e l’operaio, legati da una relazione economica e da un rapporto di sorveglianza e di disciplina. Questo rapporto comincerà a estendersi al di fuori della fabbrica a partire dalla fine del ’700, dando vita a quelle architetture delle istituzioni disciplinari della modernità (la prigione, la fabbrica, la scuola, la caserma, l’ospedale, ecc. ecc.) che secondo lo storico delle idee francese Michel Foucault si richiamano l’un l’altra. La disciplina, benché non fosse una novità, si trasformò all’interno delle fabbriche nella dura e inesorabile pressione del tempo di produzione, e perciò stesso creò una nuova forma di processo produttivo attraverso il controllo completo del ciclo lavorativo per mezzo della sua razionalizzazione e un nuovo tipo di operaio sottoposto al rigido controllo del tempo. Al processo di industrializzazione si accompagna un processo più complesso che va sotto il nome di modernizzazione. Si tratta di un processo che coinvolge mutamento economico, politico, sociale e culturale che può essere studiato enfatizzando il ruolo che i fattori di ordine sociale e istituzionale giocano nel processo di mutamento (versione sociologica della modernizzazione), oppure enfatizzando il ruolo giocato dai fattori interni e dai motivi psicologici (versione psicologica) oppure provando a individuare gli stadi di crescita economica (versione economica). Fra la metà del 1700 e l’inizio del 1800, la modernizzazione comprende: lo sviluppo dell’urbanesimo, vale a dire il concentrarsi della popolazione nelle città, che diventano il centro pulsante sia delle attività produttive industriali che dell’amministrazione, delle attività culturali e intellettuali; una netta caduta del tasso di mortalità; la costituzione di una forte e centralizzata burocrazia; la creazione di un sistema scolastico ad ampia diffusione. Accanto al concetto di modernizzazione compare spesso quello correlato di modernità. Quando si parla di modernità si intende la società occidentale – quasi esclusivamente europea – scientifica e industriale, la cui forma politica era lo stato-nazione, che attribuiva una straordinaria importanza all’economia e alla crescita economica, le cui concezioni fondamentali erano date dal razionalismo, dall’utilitarismo e dall’individualismo. E’ inoltre tipico della modernità: a) la trasformazione della struttura delle classi e dei ceti con conseguente aumento della mobilità sociale, caratterizzata dal declino dei contadini, dallo spopolamento delle campagne a favore delle città, dalla crescita della borghesia urbana e della classe operaia, dall’espansione e dalla diversificazione dei ceti medi; b) la differenziazione strutturale delle diverse sfere della vita sociale, con particolar riferimento alla divisione del lavoro tra le classi, alla separazione fra sfera privata e sfera pubblica; c) lo sviluppo politico, inteso sia nel senso dell’affermazione degli apparati tipici degli stati-nazione – amministrazione pubblica, monopolio della violenza, coscrizione obbligatoria – sia nel senso di un progressivo riconoscimento dei diritti politici in seguito all’aumento della mobilitazione politica in movimenti, partiti e associazioni che rappresentano interessi reali presenti all’interno della società e che lottano per affermarli; d) l’emergere dei processi di secolarizzazione, vale a dire di processi di progressivo affrancamento ed emancipazione della società civile, della società politica e della conoscenza scientifica dal controllo religioso, così come dei processi di trasformazione della fede religiosa in un fatto privato; e) la privatizzazione della vita familiare, vale a dire il suo isolamento dal controllo sociale della comunità così come la drastica separazione fra il luogo di lavoro e il luogo di residenza; f) l’invenzione della tradizione del nuovo, ossia l’idea di un processo senza fine volto all’innovazione permanente, alla incessante creazione del nuovo, al futuro Questi elementi della modernità sostituiscono altri modi di vivere, un nuovo ritmo e un nuovo tempo della vita si sostituisce a quello precedente. Essi rappresentano una vera e propria destrutturazione delle precedenti forme di vita associata con riferimento alle quali diventa urgente la necessità di riorganizzare, accanto al nuovo ordine produttivo e al nuovo ordine politico, anche i fondamenti stessi di un nuovo ordine sociale. E’ in questo contesto che nasce l’esigenza di una scienza della società; e la sfida è data dalle molteplici sfaccettature della crisi che attraversa tutte le società europee “modernizzate” alle quali occorre provare a dare una risposta: a) innanzitutto la crisi politica. Le rivoluzioni in America e in Francia avevano definitivamente spezzato l’illusione che lo “Stato” potesse rimanere al riparo dalle effervescenze sociali. Soprattutto in Francia, le istituzioni vennero travolte, la monarchia fu sostituita dalla repubblica e il tema all’ordine del giorno riguardava la riflessione sulle nuove forme e sui nuovi modi della rappresentanza politica, della partecipazione politica e della rappresentanza degli interessi; b) alla crisi politica si accompagnò una crisi religiosa, per via del fatto che lo stato assoluto era tale in virtù di una investitura divina. Con quel sistema di potere, entrava così in crisi anche l’istituzione ecclesiastica che perdeva sia il proprio potere temporale che i propri beni. La crisi delle istituzioni religiose innescò un processo di separazione dei destini umani dalla “Provvidenza”, comportando l’isolamento degli individui di fronte alla insondabilità del divenire storico; c) la crisi non investì solo le istituzioni politiche e quelle religiose, ma anche tutte le istituzioni che regolamentavano l’organizzazione sociale. Questo, di conseguenza, diede vita ad una crisi sociale. La rivoluzione industriale, che aveva innescato processi di deruralizzazione e di urbanizzazione, aveva altresì innescato processi di progressivo impoverimento di quella parte di popolazione che si era spostata dalle campagne alle città, creando fratture nel tessuto sociale e nell’ordine sociale; d) inoltre, l’attacco alle tradizionali forme di aggregazione quali le corporazioni, volto alla liberalizzazione del mercato del lavoro, mentre spezzava legami sociali consolidati non ne proponeva di altri, lasciando gli individui isolati gli uni dagli altri. La questione sociale, oltre ad essere fortemente segnata dalla nascita della città industriale e dal sorgere del sistema delle fabbriche, si caratterizzava altresì per ulteriori due aspetti: la condizione dei lavoratori e la trasformazione della proprietà. L’industrialismo aveva portato con sé l’emergere di una forza lavoro formalmente libera, ma priva di garanzie. Solo in seguito, a partire dalla metà del 1800, sarebbero sorte le prime organizzazioni di lavoratori che avrebbero spinto alla negoziazione delle prestazioni e della retribuzione attraverso la formalizzazione di un contratto di lavoro. La mancanza di garanzie accentuava l’aspetto traumatico del nuovo ordine sociale, sradicando il lavoro sia da quei contesti che in passato avevano svolto una funzione protettiva – la corporazione, la famiglia estesa, il villaggio – sia dalle specifiche competenze individuali. Anche coloro che non avevano alcuna nostalgia per il passato e il ruralismo, come Marx, sottolineavano come l’unico legame fra uomo e uomo fosse “il nudo interesse egoistico e il brutale pagamento in contanti”, mettendo in evidenza come l’industrialismo avesse annegato le “più celestiali estasi di fervore religioso, entusiasmo cavalleresco, sentimentalismo filisteo, nelle acque ghiacciate dell’utile egoistico”. Per quanto riguardava la proprietà, la confisca dei beni ecclesiastici e della nobiltà iniziata con la rivoluzione francese, aveva prodotto un indebolimento delle basi istituzionali della proprietà e aperto un conflitto molto aspro fra coloro che consideravano la proprietà come la base indispensabile della famiglia, della chiesa, dello stato e di tutti i principali gruppi sociali e coloro che invece lottavano per la sua abolizione.