L’EREDITÀ DI ATENE Si può individuare un’unità profonda, in grado di testimoniare il genio di Atene,nell’eccellenza che ha brillato in arti assai diverse? INTERVISTA CON JACQUELINE DE ROMILLY, DELL’ACADÉMIE FRANÇAISE A CURA DI MICHEL DE JAEGHERE Nell’anno delle olimpiadi Rassegna rende omaggio all’antica Grecia. La più grande ellenista del nostro tempo ricorda che cosa dobbiamo al secolo di Pericle. “Quando non si leggeranno più i versi di Omero, quando non si saprà più che cosa fu il secolo di Pericle, quando Erodoto e Tucidide, insieme a Eschilo, Sofocle e Euripide saranno stati sepolti sotto la polvere dei libri che hanno cessato di essere letti, si saranno spente delle luci che da tanti secoli hanno brillato come stelle nel cielo”. Tucidide fa dire a Pericle, nella sua orazione funebre per i primi morti della guerra del Peloponneso, che Atene è per la Grecia una “lezione vivente”. Dobbiamo crederlo, e questa visione esprime la realtà della situazione del V° secolo, o si tratta di una immagine di propaganda? Non è un’illusione. Ad Atene, nel V° secolo, è accaduto qualcosa di assolutamente unico. Su questo non vi è alcun dubbio. Colpisce la constatazione dell’ampiezza di quanto ha fatto allora la propria apparizione. Citiamo, nel solo campo letterario, la tragedia, con Eschilo, Sofocle ed Euripide, ai quali non abbiamo mai smesso di tornare; la commedia, con Aristofane ed i suoi rivali; la storia, con Erodoto, che non era certo ateniese ma ha vissuto ad Atene e ne ha subito l’influenza;la filosofia, con Socrate. Gli Ateniesi non hanno propriamente inventato queste discipline (vi erano filosofi presocratici, in Asia minore, e poeti tragici o comici al di fuori di Atene), ma ad esse hanno dato un’ampiezza e degli sviluppi senza pari. Lo stesso si può dire della retorica e dell’eloquenza: i sofisti che sono venuti ad insegnare ad Atene non erano generalmente ateniesi, ma è ad Atene che hanno potuto sviluppare l’arte della discussione; è là, grazie al ruolo che le istituzioni conferivano alla parola, che l’arte oratoria è venuta ad assumere la sua importanza. L’influenza e la preminenza intellettuale di Atene nel V° secolo sono pertanto indiscutibili: non parlo neppure degli splendori della costruzione dell’Acropoli, dei laboratori di scultura e di ceramica. Tutto questo si concentra in un lasso di tempo assai breve, nel quale vengono definite le grandi nozioni alle quali ancor oggi facciamo riferimento. 24 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4 Tutte queste discipline, tutte queste arti si influenzano reciprocamente. Atene era una piccola città, in cui la gente si parlava. Si ritrovano echi della vita politica nelle tragedie e versi di teatro nei discorsi politici. Gli stessi avvenimenti ispiravano a Aristofane le sue commedie, a Tucidide le sue analisi. E la stessa fierezza si traduce nell’elogio che Eschilo fa di Atene nei persiani, all’indomani di Salamina, o nel fregio che ha immortalato la processione delle Panatenee sul Partenone. Ma c’è anche un’altra cosa: un’unità che concerne l’interesse rivolto all’uomo, al trionfo della misura e della ragione. “Vi sono molte meraviglie in questo mondo, ma non ve n’è di più grande dell’uomo”, scrive Sofocle nell’Antigone. Nell’architettura dei monumenti dell’Acropoli, così come nei dialoghi di Platone si ritrova lo stesso desiderio di eliminare, di dominare l’irrazionalità e di trasmettere le chiavi per comprendere il mondo, per metterlo alla nostra portata. Per la verità, questo desiderio non è propriamente ateniese. Si colloca nella continuità di tutto il pensiero greco dopo Omero. Ma la Atene del V° secolo ne ha realizzato tutte le virtualità. Questo trionfo della ragione può essere paragonato alla nostra filosofia dei Lumi? Atene, il tempio di Zeus Olimpico Il desiderio di comprendere degli Ateniesi si inseriva nel contesto di un pensiero che restava, malgrado tutto, molto vicino al mito, legato ai simboli e, per così dire, colmato dalla presenza divina. Gli dei esistevano. Facevano parte del mondo che la ragione aveva il compito di svelare. Il razionalismo dei Lumi, al contrario, si è sviluppato contro l’idea di Dio e contro ogni spiegazione irrazionale del mondo. Ciò che ha evitato al pensiero greco di finire in uno scientismo paragonabile a quello dei pensatori dell’illuminismo, è che esso si è sviluppato in una perfetta armonia con la presenza del divino. Quando si esalta la straordinaria fioritura intellettuale di Atene, non si deve dimenticare che essa non è avvenuta contro la religione. Ogni assemblea politica, ogni rappresentazione teatrale aveva inizio con un sacrificio e una preghiera. 25 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4 Questo pensiero religioso può spiegare per quale ragione il razionalismo greco lascia spazio al sentimento del destino? Si parla spesso del sentimento che i greci avevano del destino. Noi ne parliamo più di loro stessi. Sta di fatto che l’idea in base alla quale certe cose sono inevitabili, che è vano tentare di opporvisi, esiste, per loro. E’ nel cuore della tragedia di Edipo. Peraltro, non vi è in loro del fatalismo, nel senso in cui questo termine comporterebbe una rinuncia all’azione attraverso la ragione. Anche nella tragedia, in cui si mostra l’uomo abbattuto dalla volontà divina, viene sempre esaltata la possibilità di agire il più nobilmente possibile, vale a dire di riprendere una forma di padronanza, sia pure completamente interiore, di fronte alle decisioni del destino. Il desiderio di spiegare l’universo per mezzo della ragione è tanto più sorprendente in quanto emerge all’interno di un mondo che non si presta all’ottimismo: non vi è nulla di pacifico, in quanto esso presenta lo spettacolo di una Grecia in preda ad una guerra permanente delle città tra di loro, e poi al grande conflitto costituito dalla guerra del Peloponneso… La grande contrapposizione del Greci è quella tra mortali ed immortali. Ai loro occhi, l’universo obbedisce indiscutibilmente ad un ordine. Ma il mondo in cui vivono i mortali è sottomesso al disordine delle loro passioni contrastanti. Il ruolo della ragione è al tempo stesso di scoprire l’ordine naturale delle cose, e di mostrare le cause del disordine dei fatti. La storia che Tucidide ha dedicato alla guerra del Peloponneso è caratteristica di questa mentalità. Egli cerca di comprendere quanto è accaduto. Di analizzare i fatti. Di individuare le cause delle disgrazie e delle prosperità. Di mettere in luce i fenomeni suscettibili di riprodursi. Egli stesso dice assai bene di scrivere la sua storia con l’idea che essa potrà essere utile a coloro che vorranno, più tardi, comprendere analoghi avvenimenti. Si potrà in tal modo agire nel modo più intelligente possibile utilizzando l’esperienza del passato. L’idea di una possibile azione non è dunque mai esclusa. Ma si fonda, sempre, sull’esperienza, sulla idea che vi sono delle grandi probabilità che le stesse cause producano gli stessi effetti. 26 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4 Alessandro il Grande, scultura del II secolo a.C.; Museo Archeologico, Istanbul. Tra le scoperte di Atene, vi è quella della democrazia. Non vi è tuttavia un eccesso di linguaggio, nell’attribuire il regno della libertà alla democrazia ateniese, come fa Pericle nell’orazione funebre, nella misura in cui altre città greche si consideravano a buon diritto libere, senza avere istituzioni democratiche? L’idea di libertà si è innanzitutto identificata, per i Greci, con l’indipendenza nazionale, poi con il regno della legge contro l’arbitrio e con il rispetto delle leggi non scritte che sono incise nel cuore dell’uomo; tutte concezioni che non sono direttamente legate alla forma del regime, al punto che Erodoto, nelle sue storie, ne ha potuto inserire l’elogio in bocca a un re di Sparta. Tuttavia, quando si dice “innanzitutto”, occorre intendere il termine nel senso cronologico. I concetti hanno il proprio dinamismo. Dall’idea che la legge doveva essere la stessa per tutti, si è passati, ad Atene, all’idea che ciascuno doveva poter intervenire nell’elaborazione di tale legge, in quanto ciascuno poteva essere chiamato ad esercitare funzioni politiche. E’ ciò che esalta Euripide quando scrive: “La libertà è in queste parole: “Chi vuole, chi può dare un parere utile alla città? Allora, a propria discrezione, ognuno può brillare o tacere”. Qual è un’eguaglianza più bella?”. Si può attribuire al regime democratico l’essenziale del merito dello splendore di Atene nel V° secolo? Vi ha certamente contribuito, nella misura in cui la possibilità per ciascuno di partecipare agli affari pubblici ha svolto un ruolo di emulazione. Ciò ha contribuito a mantenere viva, tra gli Ateniesi, la fierezza nazionale, mentre il ruolo centrale assegnato alla discussione nella vita pubblica suscitava il perfezionamento della riflessione e lo sviluppo dell’eloquenza. Quando si pensa che i cittadini erano egualmente chiamati a sedere, a turno, in tribunale, e a giudicare questioni complesse, dopo aver ascoltato le argomentazioni in contradditorio delle parti avverse, si misura quale fermento ciò abbia dovuto rappresentare per l’intelligenza e la formulazione del giudizio. Peraltro, ciò non significa che la democrazia sia stata l’unico responsabile, e neppure il principale fattore dello sviluppo intellettuale che il V° secolo ateniese ci ha dato di contemplare. Questo sviluppo, a mio parere, è nato innan- zitutto dall’alleanza della libertà con la potenza marittima, commerciale senza pari, qual era, allora, quella di Atene. All’indomani delle guerre della Media, Atene ha assunto infatti la guida delle città decise a proseguire la guerra contro i persiani. Di là è nata la lega di Delos, e poco dopo l’impero di Atene. Ciò ha fatto affluire verso Atene i tesori che le hanno consentito di costruire i monumento dell’Acropoli, nello stesso tempo in cui attirava verso sé i talenti. E’ ad Atene che si realizzavano rappresentazioni teatrali attraverso spettacoli sontuosi, a Atene che si svolgevano i dibattiti politici che impegnavano il futuro del mondo greco. E’ dunque naturale che là siano fiorite la storia, nel senso di analisi critica, la tragedia, la retorica o la scienza politica. La democrazia, paradossalmente, non ha mai fatto l’unanimità a Atene… Con ogni evidenza, non vi è mai stata unanimità politica ad Atene. Occorre anche riconoscere che le derive del regime democratico, lo spazio lasciato ai demagoghi dopo la morte di Pericle, la versatilità delle assemblee nella condotta della politica internazionale (penso all’entusiasmo destato dalla disastrosa spedizione in Sicilia, allo scoramento di fronte alla sconfitta), infine l’odio per la tirannia, che ha troppo spesso indotto gli Ateniesi a mettere al bando dei capi che sarebbero stati in grado di tenere le redini dello Stato con fermezza, tutto questo ha contribuito a portare Atene alla sconfitta del 404, alla rovina del suo impero e alla scomparsa della sua potenza politica. La storia della democrazia ateniese è certamente segnata dalla morte di Socrate. Così alcune personalità, e non tra le minori, si sono interrogate sul regime. Aristofane si prende gioco, nelle sue commedie, della credulità del buonuomo Demos. Platone, che definisce la democrazia come un regime “gradevole, anarchico e variegato” ne ha fatto una critica in perfetta regola. In fondo, è quanto di affascinante vi è in Atene: lo stesso crogiuolo intellettuale ha prodotto la democrazia e la critica della democrazia. Tuttavia le opposizioni politiche non sono mai degenerate, ad Atene, in guerra civile. Con una sola eccezione. In seguito alla sconfitta che concluse nel 404 la guerra del Peloponneso, ad Atene, su istigazione di Sparta, era stata instaurata 27 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4 una tirannia: il regime dei Trenta. Una guerra civile oppose i partigiani della democrazia a quelli dell’oligarchia. Terminò rapidamente con la vittoria dei democratici e la morte dei trenta tiranni. Fu allora votata una legge per proibire di ricordare il passato; ciò allo scopo di porre fine alle discordie civili e di preservare la concordia tra i cittadini. La parola era allora molto recente. Ogni infrazione a questa legge era punita con la morte. Per tutto il quarto secolo fu rigorosamente rispettata. Mi sembra che questa bella aspirazione alla concordia potrebbe essere, per il nostro tempo, una “lezione vivente”. La vittoria di Sparta su Atene segna la fine della lega di Delos. Si possono trarre lezioni da questa sconfitta dell’egemonia di Atene? Gli Ateniesi le hanno tratte da soli: è tutto il senso dell’opera di Isocrate. L’impero ateniese era nato in modo empirico, in seguito alla progressiva perdita di autonomia delle città della lega di Delos. Poiché alcune città avevano scelto di versare un contributo ad Atene per evitare di dover partecipare all’impegno bellico contro i Persiani, lo squilibrio si accentuò. Atene reprimeva brutalmente i tentativi di secessione. Ed insediò spesso dei coloni ateniesi presso i propri alleati. Nel IV secolo, dopo la disgregazione dell’impero, e poi la rapida decadenza dell’egemonia spartana che vi aveva fatto seguito, si vide la ricostituzione di una seconda confederazione ateniese. Isocrate ha sperato che essa si potesse dare come vocazione quella di fare l’unità panellenica Nel suo panegirico di Atene, egli sviluppa una critica non compiacente del primo impero ateniese sottolineando che l’egemonia non può essere durevole se non a patto di rispettare l’autonomia delle città che compongono la federazione, di mettere fine alle guerre fratricide e al contrario di unire le energie intorno ad un comune ideale. delle proprie analisi, e di cui le belle arti illustravano la potenza. E perché la sconfitta apriva la strada alla riflessione sulla libertà interiore, che avrebbe posto il saggio al riparo dei rischi della buona e della cattiva sorte. Non è strano che la grandezza della sua civiltà non abbia impedito ad Atene di sparire per sempre come potenza sovrana? Sotto: l’Acropoli vista dalla collina della Pnyx, Museo Benaki. Di fianco: lo stadio Panatenaico, costruito nel 1895 per i primi giochi olimpici dell’era moderna. L’ampiezza del miracolo di Atene e, più in generale, del miracolo greco è stata tale che si è assistito, in occasione della conquista macedone e poi della conquista romana, ad una sorta di appropriazione, da parte del conquistatore, dei valori della città vinta. Alessandro ha portato ai confini del mondo delle idee, un’estetica, dei valori che erano stati concepiti ad Atene. Roma ha assimilato la cultura greca, alla cui ammirazione la avevano predisposta i suoi contatti con gli Etruschi e la Magna Grecia. Dopo averla rivisitata e completata, ne ha fatto la sostanza stessa della civiltà che ha estesa in tutto il bacino mediterraneo. Tutto ciò non ha impedito ad Atene di sparire, e alla Grecia di conoscere, in seguito, la notte dell’occupazione ottomana. All’inizio del XIX° secolo, Atene non era che una piccola borgata. Per le nostre nazioni troppo sicure di sé, questa è una lezione e un avvertimento. Lei persegue da anni una crociata per il mantenimento delle lingue antiche nella scuola. A questo proposito ha lanciato un nuovo grido di allarme. Su che cosa si basa la sua preoccupazione? Per alcuni, l’insegnamento delle lingue antiche potrebbe essere ridotto, ed anche soppresso, con la scusa che si tratterebbe di materie inutili. In effetti lo sono, se si ritiene che sia inutile possedere con pienezza la propria lingua conoscendo le ricchezze della sua etimologia. Lo sono, se si considera che è inutile formare il carattere, il giudizio, la riflessione, il gusto. Lo studio delle lingue classiche consente il vero contatto con il mondo antico, quel mondo in cui sono nate e sono state studiate, sperimentate, illustrate quasi tutte le idee che ci fanno vivere. Si crede davvero che si sarà fatta progredire l’umanità, reso un servizio alla cultura, contribuito alla crescita delle future generazioni quando si saranno dimenticati i nomi di Ettore e Andromaca? Quando non si leggeranno più i versi di Omero, quando non si saprà più che cosa fu il secolo di Pericle, quando Erodoto e Tucidide, insieme a Eschilo, Sofocle e Euripide saranno stati sepolti sotto la polvere dei libri che hanno cessato di essere letti, si saranno spente delle luci che da tanti secoli hanno brillato come stelle nel cielo. Copyright Le Figaro hors-série. La fine dell’egemonia ateniese vede, nel IV secolo, il fiorire della filosofia, con Platone e Aristotele, proprio mentre le altre discipline che avevano illustrato il V secolo sembrano entrare in una relativa decadenza. Come spiegare questa contraddizione? Forse perché, perdendo la sua potenza politica, Atene ha cessato di essere quel microcosmo in cui i Tragici trovavano la propria ispirazione, gli storici attingevano la materia 28 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4 29 • R A S S E G N A N. 1 7 E S TAT E 2 0 0 4