Capitolo 4 - Libri Professionali

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Edizioni Simone - Vol. 32 Diritto ecclesiastico
Capitolo 4
L’organizzazione territoriale
della Chiesa in Italia
Sommario
Premessa. - Sezione Prima: I poteri degli uffici ecclesiastici periferici. - 1. L’organizzazione periferica
della Chiesa. - 2. I titolari di uffici ecclesiastici. - 3. L’assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato. 4. Altre forme di assistenza spirituale: i cappellani. - 5. La Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.). Sezione Seconda: La provvista degli uffici ecclesiastici. - 1. Precedenti storici. - 2. La provvista
degli uffici ecclesiastici nell’ordinamento vigente. - 3. La provvista delle Chiese palatine
e del Capitolo del Pantheon. - 4. La nomina dell’Ordinario e dei cappellani militari.
5. Le sanzioni contro gli ufficiali ecclesiastici.
Premessa
Lo Stato italiano non dà, nel suo ordinamento, una nozione propria di Chiesa
cattolica, ma presuppone questa istituzione quale essa è regolata dal proprio
ordinamento; allo stesso modo esso non dà una propria definizione di ufficio
ecclesiastico, cardine della organizzazione della Chiesa, ma richiama questo
istituto, così come è disciplinato dal diritto canonico (1).
Lo Stato, in effetti, non ha mai preteso di dare una forma particolare all’organizzazione della
Chiesa nel territorio statuale, ma si è preoccupato (Petroncelli) di assicurare con le proprie norme una maggiore importanza a quegli uffici della Chiesa che entrano in contatto con esso. Lo
Stato, infatti, da un lato ha attribuito ai loro titolari particolari garanzie, dall’altro ha preteso
che essi, per ricoprire quel determinato ufficio, presentassero determinati requisiti: l’uno e l’altro aspetto saranno presi in esame, rispettivamente, nelle sezioni prima e seconda di questo capitolo.
Sezione Prima
I poteri degli uffici ecclesiastici periferici
1.L’organizzazione periferica della Chiesa
A) Generalità
La Chiesa cattolica, agli effetti del suo governo, si divide territorialmente in
quelle che il codice di diritto canonico definisce «Chiese particolari», cioè le
diocesi (a loro volta ripartite in parrocchie), e i loro raggruppamenti cioè le
(1) A norma del can. 145 cod. dir. can., «l’ufficio ecclesiastico è qualunque incarico costituito stabilmente
per disposizione, sia divina che ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale».
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Parte II: Il diritto ecclesiastico vigente
province ecclesiastiche, le regioni ecclesiastiche, le Conferenze episcopali (v.
canoni da 368 a 572 del codice di diritto canonico) (2).
Le circoscrizioni che trovano particolare rilevanza nell’ordinamento italiano
sono le diocesi e le parrocchie.
Il nostro ordinamento riconosce una particolare posizione anche ad uffici della Chiesa non organizzati territorialmente: ce ne occuperemo ai paragrafi 3) e 4).
B) La diocesi
Il codice canonico definisce la diocesi «la porzione del popolo di Dio», circoscritta territorialmente, che viene affidata alla cura pastorale di un Vescovo
(can. 368).
Vengono equiparate alle diocesi (v. can. 370) la prelatura territoriale e l’abbazia territoriale, circoscrizioni territoriali (un tempo qualificate nullius dioecesis) la cura delle quali viene affidata, per circostanze speciali, ad un Prelato o ad un Abate che le governano a modo di Vescovo diocesano, come loro pastori propri (3).
Organi fondamentali della diocesi sono:
a) il Vescovo, che vi sta a capo, eventualmente coadiuvato da Vescovi ausiliari o coadiutori;
b) la Curia diocesana che consta delle persone e degli organismi che aiutano
il Vescovo nel governo della diocesi (can. 469): rilevanti tra essi il Vicario
generale e il Cancelliere della Curia;
c) il Capitolo dei canonici.
Le diocesi possono essere ripartite per motivi organizzativi in zone pastorali e
vicariati foranei (noti anche come decanati o presbiteriati).
Per quanto concerne lo Stato italiano, la Santa Sede si è impegnata, con l’art. 3, n. 1 del nuovo
Concordato, a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato (4).
La Santa Sede, inoltre, in adempimento di quanto stabilito dall’art. 29 delle norme concordatarie su enti e beni ecclesiastici (v. art. 29 L. 222/1985), ha provveduto ad un riordinamento delle circoscrizioni ecclesiastiche diocesane sul territorio italiano, riducendone il numero da 325 a
228: a queste ultime è stata attribuita la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto
(v. succ. Capp. VI e VII).
C) La parrocchia
Le diocesi sono, di regola, suddivise in parrocchie (can. 374 cod. dir. can.).
La parrocchia, che costituisce la cellula di tutta l’organizzazione della Chie(2) Per ulteriori approfondimenti, anche in relazione al contenuto dei paragrafi successivi, vedi «Manuale
di diritto canonico» di questa stessa Casa editrice.
(3) In Italia possono citarsi, a titolo esemplificativo, Pompei e Loreto come Prelature e Montecassino e Montevergine come Abbazie.
(4) In via eccezionale la diocesi di S. Marino-Montefeltro, con sede in Pennabili (PS), comprende una zona
di territorio appartenente alla sovranità di altro Stato (la Repubblica di S. Marino).
Capitolo 4: L’organizzazione territoriale della Chiesa in Italia
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sa, viene definita dal codice di diritto canonico come «una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare (diocesi) e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del Vescovo
diocesano, ad un Parroco quale suo proprio pastore».
Organo fondamentale della parrocchia è il Parroco, che vi sta a capo, affiancato, eventualmente, da uno o più Vicari parrocchiali comunemente conosciuti come vice parroci.
2.I titolari di uffici ecclesiastici
A) Il Vescovo
Secondo il can. 375 cod. dir. can. «I Vescovi, che per divina istituzione sono
successori degli Apostoli, mediante lo Spirito Santo che è stato loro donato,
sono costituiti Pastori della Chiesa, perché siano anch’essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo».
Sono detti «diocesani» (un tempo residenziali) i Vescovi ai quali è stata affidata la cura di una diocesi; gli altri sono detti «titolari» (can. 376).
Al Vescovo diocesano compete, nella diocesi affidatagli, tutta la potestà ordinaria (can. 381) nella comunione gerarchica con il Romano Pontefice (can. 375 cpv.).
Una figura particolare assume l’Arcivescovo o Metropolita il quale ha piena potestà vescovile su una diocesi (detta metropolitana) e, nel contempo, esplica determinati poteri di giurisdizione ecclesiastica sulle diocesi c.d. suffraganee che costituiscono la provincia o la regione ecclesiastica.
Data l’assimilazione alle diocesi che il nuovo codice di diritto canonico prevede per le prelature e abbazie territoriali (ex nullius), i titolari di esse debbono ora considerarsi equiparati, a tutti
gli effetti, ai Vescovi diocesani.
Secondo il can. 377 cod. dir. can. il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti (Abati territoriali, Vescovi di rito orientale etc.).
Si rinvia, comunque, alla seconda sezione di questo capitolo per l’esame dei rapporti attuali tra
Stato e Chiesa in ordine alla provvista delle sedi vescovili italiane.
Al Vescovo o all’Arcivescovo, come capo della diocesi, il sistema vigente nel
diritto italiano attribuisce una particolare serie di garanzie, prerogative e poteri che, in effetti, sono anche il riconoscimento del prestigio che egli gode
presso il clero e il popolo.
In particolare (5):
— spetta ai Vescovi il diritto di esercitare liberamente le potestà spirituali e giurisdizionali che
loro competono in conformità sia delle norme canoniche che delle norme del Concordato
(art. 2, 1° comma, nuovo Concordato);
(5) Si tenga presente che la legislazione italiana spesso si riferisce ai Vescovi con la espressione autorità
ecclesiastica, senza altra qualificazione, ovvero col termine Ordinario diocesano.
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— per tutto ciò che si riferisce al ministero pastorale, i Vescovi comunicano e corrispondono
liberamente con la Santa Sede, con la Conferenza Episcopale, con il loro clero e con tutti i
fedeli (art. 2, numero 2, nuovo Concordato). Ed è perciò riconosciuto loro il diritto di pubblicare liberamente ed anche affiggere nell’interno ed alla porta esterna degli edifici destinati al culto o ad uffici del proprio ministero, istruzioni, ordinanze, lettere, bollettini diocesani e altri atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, che crederanno di emanare nell’ambito della loro competenza;
— il Vescovo deve essere informato dall’autorità giudiziaria del deferimento al magistrato penale di ecclesiastici e religiosi (punto 2/b Protocollo add. 1984);
— ai Vescovi sono riconosciuti determinati diritti e pubblici poteri:
— rilasciare certificazioni circa la qualità di ecclesiastico o di religioso;
— visitare, senza la prevista autorizzazione, gli stabilimenti di pena e le case di rieducazione esistenti nella propria diocesi (art. 67, lett. e), L. 25-7-1975, n. 354);
— in diversi casi sono previste forme di collaborazione tra Vescovo e amministrazione dello
Stato: per es. nel caso si debba procedere alla occupazione o alla demolizione di un edificio
aperto al culto (art. 5 nuovo Concordato); oppure alla costruzione nuovi edifici di culto (stesso art. 5).
B) I Parroci ed i Rettori di chiese
Il «Parroco» è il sacerdote che, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, esercita la cura pastorale di quella specifica comunità di fedeli denominata appunto
parrocchia (can. 519) (6).
Si avvicina al Parroco la figura del Rettore di chiesa, che trova una sua parte di rilevanza, anche
se ridotta, nell’ordinamento statale: si intende per tale, ai sensi dei cann. 556 e 557 cod. dir. can.,
il sacerdote cui il Vescovo diocesano affida la cura di una chiesa che non è né parrocchiale, né
capitolare, né annessa alla casa di una comunità religiosa o di una società di vita apostolica.
La provvista (cioè il conferimento) dell’ufficio di Parroco spetta al Vescovo
diocesano (can. 523).
Circa i rapporti attuali tra Stato e Chiesa in ordine alla provvista delle parrocchie italiane, si rinvia al par. 2 della seconda sezione di questo capitolo.
Sia pure in misura molto più limitata rispetto ai Vescovi, anche ai Parroci l’ordinamento italiano riconosce determinate prerogative e poteri.
In particolare:
a) è riconosciuto al Parroco il diritto di certificare, ai fini della trascrizione e del riconoscimento degli effetti civili, l’avvenuta celebrazione del matrimonio canonico (art. 8 nuovo Concordato);
b) è riconosciuto, altresì, il potere di certificazione in ordine agli atti di nascita, di matrimonio
e di morte, di data anteriore alla istituzione dei registri di stato civile (art. 48, 2° comma,
Disp. trans., c.c. 1865);
c) i Parroci (e tutti i Rettori di chiese) hanno diritto di disporre liberamente circa l’esercizio
del pubblico culto e la disciplina delle funzioni da eseguirsi nella loro chiesa.
(6) L’etimologia della parola è greca ove «Pàrokos» significava «fornitori di viveri», perché il Parroco originariamente distribuiva viveri in elemosina ai poveri.
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A tal proposito va notato che mentre non vi sono limitazioni allo svolgimento di tutte le funzioni che, secondo il diritto canonico, si tengono all’interno delle chiese, vanno autorizzate
dalla autorità di pubblica sicurezza quelle funzioni, cerimonie o processioni, che si debbano svolgere fuori dei luoghi destinati al culto;
d) i Parroci (e, in genere, i Rettori di chiese) possono liberamente pubblicare e diffondere tutti gli atti e documenti relativi al governo spirituale dei fedeli senza assoggettamento ad oneri fiscali, e possono, altresì, eseguire, senza ingerenze delle autorità civili, collette nell’interno e all’ingresso delle chiese e degli uffici appartenenti ad enti ecclesiastici (art. 7, n. 4,
nuovo Concordato).
3.L’assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato
L’ordinamento italiano riconosce anche una posizione particolare ad uffici della Chiesa non organizzati territorialmente, quali, ad esempio, quelli per l’assistenza spirituale alle Forze armate.
Lo Stato italiano aveva dato rilievo al servizio di assistenza spirituale alle Forze armate sin dall’epoca della prima guerra mondiale, con la istituzione del Vescovo da campo e dei cappellani militari; successivamente, mentre la Santa Sede istituiva nel 1925 l’Ordinariato militare (o castrense) per l’Italia, con R.D. 11-3-1926, n. 417 veniva istituito il ruolo unico dei cappellani militari per il servizio religioso nell’esercito, nella marina e nell’aeronautica. La materia formò oggetto delle pattuizioni lateranensi con gli artt. 13, 14 e 15 del Concordato e originariamente disciplinata dalla L. 1-6-1961, n. 512 è confluita nel D.Lgs. 15-3-2010, n. 66 con il quale è stato
approvato il codice dell’ordinamento militare.
A norma dell’art. 17 del decreto citato il servizio di assistenza è disimpegnato da sacerdoti cattolici in qualità di cappellani militari che sono legati da un rapporto di impiego con l’amministrazione militare e inquadrati nelle gerarchie militari.
Tutta la materia dovrà essere rivista in base all’art. 11, n. 2 del nuovo Concordato, con una intesa tra le competenti autorità italiane e la Conferenza Episcopale Italiana (7).
L’alta direzione del servizio è affidata all’Ordinario militare per l’Italia investito di dignità
vescovile ed equiparato al grado di generale di corpo d’armata.
L’Ordinario militare è assistito:
a) da un Vicario generale (col grado di maggior generale) con funzioni vicarie e di rappresentanza;
b) da tre Ispettori (col grado di brigadiere generale) con funzioni di vigilanza.
La giurisdizione ecclesiastica dell’Ordinario militare è personale e locale e si estende al personale addetto agli ospedali o enti militari.
Dall’Ordinario dipendono tutti i cappellani militari, suddivisi in:
—
—
—
—
—
terzo cappellano militare capo (equiparato a colonnello);
secondo cappellano militare capo (equiparato a tenente colonnello);
primo cappellano militare capo (equiparato a maggiore);
cappellano militare capo (equiparato a capitano);
cappellano militare addetto (equiparato a tenente).
(7) Nella stipula di detta intesa si dovrà tener conto, ovviamente, della Costituzione Apostolica di Papa Giovanni Paolo II, in data 21 aprile 1986, «Spirituali militari cura», attuativa del can. 569 del codice di diritto
canonico relativo all’assistenza spirituale alle Forze armate.
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La giurisdizione dei cappellani ha carattere parrocchiale per il personale ed il territorio a ciascuno di essi assegnato.
Per la competenza relativa alle nomine si rinvia al par. 4 della sezione seconda di questo capitolo.
4.Altre forme di assistenza spirituale: i cappellani
Con il nuovo Concordato del 18 febbraio 1984 lo Stato italiano ha, per la prima volta, riconosciuto ufficialmente una posizione particolare ad altri uffici
della Chiesa, anch’essi non organizzati territorialmente (al pari di quelli per
l’assistenza spirituale alle Forze armate), e precisamente quelli per l’assistenza spirituale alla Polizia di Stato, o ad altri servizi assimilati (Guardia di Finanza, Corpo forestale, Vigili del fuoco etc.), ai degenti in ospedali, case di
cura o di assistenza pubbliche, a coloro che sono trattenuti in istituti di prevenzione e di pena.
L’art. 11 dell’Accordo, dopo aver precisato (art. 11, n. 1) che l’appartenenza
a tali servizi o la degenza e permanenza in detti istituti non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici, stabilisce (art. 11, n. 2) che l’assistenza spirituale è assicurata da ecclesiastici (c.d. cappellani) nominati dalle
autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d’intesa fra tali autorità.
Con il D.P.R. 27-10-1999, n. 421 è stata regolamentata l’intesa sull’assistenza spirituale al personale della Polizia di Stato di religione cattolica (v. infra Cap. XV, par. 5, lett. B).
5.La Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.)
Un organismo che assume un rilievo particolare nei rapporti tra lo Stato e la
Chiesa è la Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I) nella quale si sono riuniti
i Vescovi italiani (8).
La C.E.I. è una persona giuridica (pubblica) a norma dell’ordinamento canonico, è civilmente riconosciuta con sede in Roma e ne sono membri di diritto
gli Arcivescovi e Vescovi, di qualsiasi rito, delle diocesi e delle altre Chiese
particolari italiane, i Vescovi coadiutori ed ausiliari nonché i Vescovi titolari
che dalla Santa Sede o dalla stessa C.E.I. hanno ricevuto uno speciale ufficio
stabile a carattere nazionale (ad es. l’Ordinario militare detto anche «Arcivescovo castrense»).
(8) Secondo il can. 447 del Codice di diritto canonico la Conferenza Episcopale, organismo di per sé permanente, è «l’Assemblea dei Vescovi di una nazione determinata, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio, per promuovere maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini, soprattutto mediante forme e modalità di apostolato, opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo, a norma del diritto».
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La C.E.I. ha un proprio statuto (ispirato ai principi contenuti nella costituzione conciliare Lumen gentium e nel decreto Christus Dominus) approvato nel
marzo 1971 ed emendato nel 1977.
In difformità dal can. 452 del Codice di diritto canonico (che prevede una regolare elezione) la nomina del Presidente dell’episcopato italiano è riservata
al Pontefice («in considerazione dei particolari vincoli dell’episcopato d’Italia
con il Papa», come afferma l’art. 25 dello statuto).
La C.E.I. è organicamente collegata con le Conferenze episcopali regionali italiane (si pensi, per approssimazione, al rapporto tra Stato italiano e Regioni);
aderisce, inoltre, al Consiglio europeo delle Conferenze episcopali e mantiene
rapporti, oltre che con la Santa Sede, con le Conferenze episcopali di altre nazioni.
Suoi compiti specifici sono:
a) studiare i problemi che interessano la vita della Chiesa in Italia;
b) dare orientamenti nel campo dottrinale e pastorale;
c) mantenere i rapporti con le pubbliche autorità dello Stato italiano.
Per quanto riguarda il punto c) è interessante notare che il nuovo Concordato
ha affidato alla C.E.I. il compito di gestire direttamente i termini dell’Accordo (v. ad es.: art. 13, n. 2); poiché l’attuazione di numerose norme è rinviata a
intese successive tra le Parti, è previsto che i rapporti relativi si instaurino tra
autorità governative e Conferenza episcopale (anziché, come un tempo, direttamente con la Santa Sede) e questo è indubbiamente una ulteriore conferma
dell’importanza data a questo organismo particolare di governo ecclesiastico.
In particolare, la L. 20-5-1985, n. 222, all’art. 75, individua la C.E.I. quale autorità ecclesiastica competente ad emanare le disposizioni necessarie per «l’attuazione» nel diritto canonico delle norme sui beni ecclesiastici e sul sostentamento del clero di cui al titolo II della legge stessa. Quest’ultima, inoltre, legittima
la C.E.I. a compiere numerosi atti giuridicamente rilevanti per l’ordinamento statuale (si vedano specificamente gli artt. 21, 23, 24, 34, 35, 36, 39, 41, 47, 56).
Sezione Seconda
La provvista degli uffici ecclesiastici
1.Precedenti storici
Abbiamo già rilevato (v. cap. II della parte prima­) che il giurisdizionalismo affidava agli Stati
il diritto di influire sulla scelta dei titolari degli uffici ecclesiastici.
La Chiesa in passato fu spesso costretta, sotto la minaccia ora dello scisma ora della rivoluzione protestante, ad appoggiarsi ai sovrani cattolici più ligi ad essa, ed ebbe a concedere agli Stati il diritto (o privilegio) di partecipazione alle nomine dei Vescovi.
Le norme del diritto italiano postunitario vigenti in materia sino agli Accordi Lateranensi trovavano la loro fonte nella L. 13-5-1871, n. 214 c.d. «legge delle guarentigie» che, tra gli altri isti-
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Parte II: Il diritto ecclesiastico vigente
tuti, dichiarò aboliti, per rinunzia dello Stato la nomina e proposta regia nella provvista dei
benefici maggiori (le diocesi), diritto abbondantemente esercitato dagli Stati italiani prima
dell’unificazione.
Rimaneva in vigore la prerogativa sovrana del regio patronato su alcuni benefici maggiori e
minori (una sorta di privativa), mentre lo Stato si riservava una ingerenza nelle nomine con il
regio assenso nelle forme dell’exequatur (benefici maggiori) e del placet (benefici minori). Rimanevano, invece, fuori di ogni ingerenza regia gli uffici «non beneficiati» (9).
Conseguenza di tale disciplina era che l’ecclesiastico privo di assenso non poteva godere dei
redditi del beneficio né esercitare quegli atti del suo ministero che importassero conseguenze dirette per lo Stato (ad es.: un Vescovo privo di exequatur non poteva nominare un Parroco).
Continuava anche ad esistere, quale residuo giurisdizionalistico il diritto di regalia sui benefici
maggiori e minori, per cui il sovrano incamerava i redditi dei benefici resisi vacanti e di quelli
sottoposti a sequestro conservativo.
2.La provvista degli uffici ecclesiastici nell’ordinamento vigente
A) Il Concordato dell’11 febbraio 1929
Tutti gli istituti ai quali abbiamo accennato nel precedente paragrafo furono
aboliti col nuovo regime di rapporti instauratosi tra Stato e Santa Sede in virtù degli Accordi Lateranensi (artt. 24 e 25 Conc.).
Ne conseguì, in linea di principio, un disinteresse da parte dello Stato per il
conferimento degli uffici ecclesiastici.
Tale disinteresse risultava però differenziato:
— era completo e totale per quanto concerneva la provvista di qualunque ufficio non beneficiale (es. Vicario generale) nonché degli uffici beneficiali (comunemente denominati benefici) della diocesi di Roma e delle diocesi suburbicarie (art. 23, 1° comma, Conc.). Circa tali
uffici l’autorità ecclesiastica era del tutto libera nel conferimento e lo Stato considerava titolari di essi coloro che erano tali canonicamente;
— per gli uffici beneficiali extraromani, invece, il disinteresse era limitato alla scelta della persona, nel senso che essa spettava all’autorità ecclesiastica competente (artt. 19, 1° comma e
21, 1° comma, Conc.); lo Stato non sindacava (né lo avrebbe potuto stante la riconosciuta
autonomia della Chiesa in materia) i requisiti canonici della provvista, ma richiedeva che
vi si aggiungessero anche altri requisiti particolari di natura civile e pretendeva che in
alcuni casi la nomina ecclesiastica sortisse effetti civili solo dopo che fossero stati osservati determinati adempimenti.
Requisito generale, per coloro che dovevano essere investiti di poteri ecclesiastici, era l’essere cittadini italiani (art. 22 Conc.),
Nello stesso articolo era anche stabilito che «i titolari delle diocesi e delle parrocchie dovessero inoltre parlare la lingua italiana» (consentendosi eventualmente la nomina di un coadiutore
che intendesse e parlasse la lingua localmente in uso); questa disposizione non aveva più ragione di essere se correlata con l’art. 3 Cost., in base al quale non può costituire ragione di diseguaglianza tra i cittadini, tra l’altro, la differenza di lingua.
Oltre al requisito della cittadinanza era opinione comune (v. per tutti Del Giudice V.), anche se
il Concordato taceva al riguardo, che non potesse essere nominato (o conservato, nell’ufficio un
(9) Per beneficio s’intende un «ente giuridico eretto perpetuamente dalle competenti autorità ecclesiastiche
per assicurare il sostentamento del titolare dell’ufficio cui fa capo il beneficio stesso» (Petroncelli).
Capitolo 4: L’organizzazione territoriale della Chiesa in Italia
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ecclesiastico che fosse incorso, per delitto, nella pena accessoria della interdizione perpetua o
temporanea dai pubblici uffici (art. 28, 2° e 5° comma, c.p.).
Vescovi e Parroci, infatti, esercitano poteri (in relazione per es. al matrimonio concordatario)
che presuppongono, come qualsiasi altra funzione, il pieno possesso dei diritti civili e politici
(è nostra opinione che tale requisito valga tuttora).
L’art. 19, comma 2, Concordato richiedeva la comunicazione del nome della persona prescelta
al Governo italiano, che poteva eventualmente sollevare ragioni di carattere politico contro la
nomina. I Vescovi, inoltre, dovevano prestare giuramento di fedeltà allo Stato italiano nelle mani
del Capo dello Stato. Anche la nomina degli investiti dei benefici doveva essere comunicata riservatamente al Governo italiano, che aveva trenta giorni per manifestare riservatamente le eventuali gravi ragioni che si opponevano alla nomina. Se tali ragioni permanevano, il Vescovo deferiva il caso alla Santa Sede (art. 21 Concordato).
Circa la decorrenza degli effetti della provvista, l’art. 26 Conc. stabiliva che «la nomina degli
investiti dei benefici maggiori e minori, e di chi rappresenta temporaneamente la sede o il beneficio vacante, ha effetto dalla data della provvista ecclesiastica» e doveva essere partecipata
ufficialmente: al Ministro dell’interno per i benefici maggiori e al Prefetto della provincia per i
benefici minori.
B) L’Accordo di revisione del 18 febbraio 1984
In seguito all’Accordo del 18 febbraio 1984 l’ingerenza dello Stato italiano
nella provvista degli uffici ecclesiastici è venuta completamente a cadere.
L’art. 3, n. 2, infatti, sancisce che «la nomina dei titolari di uffici ecclesiastici
è liberamente effettuata dall’autorità ecclesiastica».
Permane solo l’obbligo, per la competente autorità ecclesiastica, di «dare comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e
Vescovi diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l’ordinamento dello Stato» (art. 3, n. 2).
Unica limitazione (se così si può dire) alla piena libertà della Chiesa, in questo campo, è che i titolari degli uffici di cui sopra (escluse però la diocesi di
Roma e quelle suburbicarie) devono essere cittadini italiani.
3.La provvista delle Chiese palatine e del Capitolo del Pantheon
Con la nuova normativa concordataria del 1984 sono venuti anche a cadere i due unici casi in
cui il conferimento di benefici ecclesiastici, anche dopo il Concordato del 1929, era rimasto, per
tradizione, di competenza dello Stato italiano:
a) Chiese palatine: cioè quelle previste dalla lett. g) dell’art. 29 Conc. e la cui provvista era
regolata dalla Convenzione applicativa del 13-6-1939 tra Santa Sede e Italia, approvata con
L. 30-11-1939, n. 1887;
b) Capitolo del Pantheon istituito dall’art. 15 Conc. che ne regolava anche le modalità di nomina.
A parte l’intervenuta abrogazione della normativa soprarichiamata, l’art. 66 della L. 20-5-1985,
n. 222 ha sancito espressamente: «Il clero addetto alle chiese della Santa Sindone e di Superga
in Torino, del Pantheon e del Sudario in Roma, alle cappelle annesse ai Palazzi ex reali di Roma,
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Parte II: Il diritto ecclesiastico vigente
Torino, Firenze, Napoli, Genova, alla tenuta di S. Rossore, all’oratorio entro il palazzo ex reale di Venezia, alle cappelle annesse ai palazzi di dimora e di villeggiatura degli ex sovrani e
dell’ex famiglia reale e alle chiese parrocchiali di San Gottardo al Palazzo in Milano, di San
Francesco di Paola in Napoli e di San Pietro in Palermo, è nominato liberamente, secondo il
diritto canonico comune, dalla autorità ecclesiastica competente».
4.La nomina dell’Ordinario e dei cappellani militari
Nel caso del conferimento dell’ufficio di assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato, la provvista dell’autorità ecclesiastica è sostituita da un parallelo diritto dello Stato, in quanto gli uffici in parola non possono considerarsi uffici puramente ecclesiastici nel senso comune della parola, ma piuttosto uffici dello Stato cui la Chiesa concede sia annessa una potestà giurisdizionale ecclesiastica (Petroncelli).
La nomina degli ecclesiastici che debbono assumere l’ufficio di Ordinario militare, di Vicario generale e di Ispettore è regolata dall’art. 1534 del D.Lgs.
15-3-2010, n. 66.
La Santa Sede designa, in via confidenziale al Governo, i nomi degli ecclesiastici in argomento. Qualora il Governo non creda di poter nominare la persona designata ne dà notizia alla Santa Sede, la quale dovrà procedere ad altra designazione.
Raggiunto l’accordo la nomina è fatta con decreto del Capo dello Stato, proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri dell’interno e della difesa.
La nomina dei cappellani militari ha luogo con decreto del Capo dello Stato proposto dal Ministro della difesa, previa designazione dell’Ordinario militare. I sacerdoti da nominarsi cappellani devono godere dei diritti politici ed essere idonei all’incondizionato servizio militare.
Tutti gli appartenenti ai servizio di assistenza spirituale alle Forze Armate, prima di prendere
possesso del loro ufficio, sono tenuti a prestare giuramento; una volta nominati, risultano pienamente integrati all’interno delle forze armate, nell’ambito di un rapporto lavorativo riconducibile alla categoria del pubblico impiego (Corte costit. sent. 10-11-1982, n. 176).
La nomina a cappellano militare addetto in servizio permanente è conferita, nei limiti dell’organico e secondo le norme sopra riportate, ai cappellani militari addetti di complemento che ne
facciano domanda, abbiano prestato almeno due anni di servizio continuativo riportando la qualifica di ottimo e non abbiano superato il 50° anno di età.
Tale nomina è conferita, altresì, agli allievi cappellani militari che abbiano superato il prescritto ciclo di formazione per l’ordinazione sacerdotale presso il relativo istituto, abbiano svolto almeno due anni di servizio in qualità di cappellani militari addetti di complemento, siano riconosciuti idonei a giudizio dell’Ordinario militare e non abbiano compiuto il 50° anno di età.
5.Le sanzioni contro gli ufficiali ecclesiastici
L’ecclesiastico investito di un ufficio ecclesiastico nell’esercizio delle sue specifiche funzioni può, per inosservanza delle norme dell’ordinamento statuale,
incorrere in responsabilità:
a) penale: per inosservanza alle disposizioni del T.U. delle leggi di P.S. (R.D.
773/1931) circa le pubbliche riunioni (art. 18) e le cerimonie religiose fuori dei templi e le processioni (artt. 25-27);
Capitolo 4: L’organizzazione territoriale della Chiesa in Italia
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b) civile: ex art. 2043 c.c., per danni ingiusti derivati a terzi dal comportamento doloso o colposo dell’ecclesiastico nell’esercizio delle sue funzioni.
Anteriormente al nuovo Concordato si configurava anche una responsabilità disciplinare sia
pure sui generis, mancando un rapporto di dipendenza fra Stato e ufficiali ecclesiastici; nei confronti di questi ultimi, infatti, potevano applicarsi sanzioni amministrative per violazione dei
loro doveri di ufficio.
Tipiche:
— l’allontanamento dal beneficio parrocchiale (art. 21, ult. comma, Conc.);
— sostituzione nella rappresentanza dell’ente dell’ecclesiastico, investito di un beneficio, il
quale si fosse rifiutato di compiere atti che si ritenevano vantaggiosi per l’ente stesso (art.
14, L. 27-5-1929, n. 848);
— sequestro conservativo delle temporalità del benefico in caso di cattiva gestione da parte
dell’investito (art. 30 cpv. Conc. e art. 66 R.D. 2-12-1929).
Tale sistema sanzionatorio è scomparso per l’intervenuta abolizione del regime beneficiale e dei
conseguenti interventi (finanziari e di controllo) dello Stato.
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