NEOS Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare AUGUSTO PIETRO CASANI GIORGIO GUIDETTI MARCO MANFRIN ALDO MESSINA Titolo dell’opera NEOS Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare AUTORI/EDITORS Augusto Pietro Casani Dipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa Giorgio Guidetti Servizio di Audio-Vestibologia e Rieducazione Vestibolare, Azienda USL di Modena, Ospedale Ramazzini di Carpi (MO) Marco Manfrin Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica - Dipartimento di Scienze Chirurgiche, RianimatorieRiabilitative e dei Trapianti d’Organo, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo” e Università di Pavia Aldo Messina Ambulatorio di Otoneurologia - Unità Operativa di Audiologia, A.U.O. Policlinico “Paolo Giaccone” di Palermo CO-AUTORI Niccolò Cerchiai Dipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa Paola Lenzi Dipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa Antonio Paparelli Dipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa ISBN 978-88-8204-162-5 L’opera è stata resa possibile grazie al contributo non condizionante di ALFAWASSERMANN S.p.A. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o conservata in un sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma, o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, registrazioni o altro, senza un’autorizzazione scritta da parte dell’Editore. © 2011 by MEDISERVE S.r.l. Milano – Napoli [email protected] www.mediserve.it SOMMARIO INTRODUZIONE La vertigine vascolare: razionale diagnostico e terapeutico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Giorgio Guidetti CAPITOLO 1 Anatomia del circolo posteriore e correlazioni con il circolo anteriore . . . . . . . . . . . . . . . 9 Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani CAPITOLO 2 La barriera emato-labirintica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Marco Manfrin CAPITOLO 3 Fisiologia del microcircolo e dell’endotelio: una nuova finestra sulla patologia vestibolare. . . . 29 Augusto Pietro Casani CAPITOLO 4 La semeiotica del deficit labirintico su base vascolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Marco Manfrin CAPITOLO 5 La sordità centrale: tra Gestalt e Working Memory . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Aldo Messina CAPITOLO 6 Il rischio della ototossicità farmacologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 Giorgio Guidetti CAPITOLO 7 Lo stress ossidativo nel danno cocleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Giorgio Guidetti CAPITOLO 8 Le scelte terapeutiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 Giorgio Guidetti APPENDICE I. Farmaci Vascolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 II. Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA - SPREAD 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 III Introduzione LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO Giorgio Guidetti VERTIGINI E DISEQUILIBRIO: UNA SINTOMATOLOGIA ETEROGENEA La vertigine ed i disturbi dell’equilibrio rappresentano una delle più comuni cause di richiesta di visita medica. Dopo il dolore, la vertigine acuta è il sintomo (spesso estremamente invalidante) che più frequentemente determina l’accesso al Pronto Soccorso e risulta al terzo posto tra i quadri clinici che richiedono l’intervento del neurologo, dopo la patologia cerebro-vascolare e le cefalee. Essi costituiscono però anche una delle cause più frequenti di ripetuto consulto ambulatoriale, soprattutto per le forme cronicizzate. Varie analisi epidemiologiche dimostrano che la prima valutazione del paziente vertiginoso spetta nove volte su dieci al medico di Medicina Generale e, tra gli specialisti, all’otorinolaringoiatra, rispecchiando la maggior frequenza di “vertigini di tipo labirintico”. Il sintomo vertiginoso viene infatti riferito in circa il 5% delle prestazioni ambulatoriali di base e nel 15-20% delle consultazioni specialistiche ORL. Tuttavia, la varia sintomatologia associata e la diversa percezione soggettiva del fenomeno vertiginoso chiamano spesso in causa anche altri specialisti, quali il neurologo, il cardiologo, l’angiologo, l’ortopedico, il fisiatra, lo psicoterapeuta o lo stomatologo. In questo modo si finisce spes- so per coinvolgere il paziente in un lungo e dispendioso iter diagnostico che non sempre porta in tempi accettabili alla giusta diagnosi e terapia. Il problema interpretativo nasce in genere da una scarsa abitudine ad una classificazione corretta di questo tipo di problema. La vertigine propriamente detta è unicamente la falsa sensazione di movimento (generalmente di tipo rotatorio, a volte traslatorio) dell’ambiente circostante rispetto al proprio corpo (vertigine oggettiva) o di quest’ultimo rispetto all’ambiente (vertigine soggettiva). Per altri sintomi, simili ma non identici, occorre utilizzare altri termini, per non ingenerare pericolosi fraintendimenti. In realtà, “vertigine”, “disequilibrio”, “instabilità” , “capogiro”, “sensazione di svenimento o di mancamento”, “testa leggera o pesante” sono termini utilizzati dai pazienti indifferentemente per descrivere tutta la vasta gamma eterogenea di alterazioni dell’equilibrio, accompagnate o meno anche da sintomatologia uditiva, neurovegetativa o neurologica di entità variabile. L’eterogeneità della sintomatologia dell’equilibrio è giustificata dalle numerose e differenti possibilità di coinvolgimento della complessa rete di organi e vie nervose interagenti nella funzione dell’equilibrio. L’ equilibrio, il vero sesto senso del- 1 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare l’uomo, è infatti garantito da un “sistema complesso” il cui organo principale è il labirinto vestibolare, ma che integra a livello cerebrale le informazioni provenienti anche dai sensori visivi e propriocettivi, attuando una sofisticata organizzazione neuro-fisiologica di riflessi segmentari e sinergie che coinvolge centri nervosi posti nel midollo spinale, nel tronco encefalico, nel cervelletto, nel talamo, nel sistema limbico e nella corteccia cerebrale per dare vita alla strategia finale di mantenimento di un giusto rapporto uomo/ambiente. Questo rapporto è infatti il mezzo grazie al quale l’uomo può mantenere in qualsiasi condizione ambientale un corretto orientamento spazio-temporale, il controllo visivo dell’ambiente, una corretta postura statica e dinamica, normali funzioni neurovegetative e la sensazione di benessere anche psicologico. Secondo un modello interpretativo di tipo cibernetico potremmo definire l’equilibrio come un insieme di sottosistemi sensoriali (visivo, propriocettivo e vestibolare) connessi in un “tutto”, dove le varie informazioni sensoriali vengono, in ogni istante, elaborate e trasferite al sistema muscolare e neurovegetativo per dare vita a risposte automatiche e volontarie, condizionate anche dalle esperienze precedenti e dallo stato emozionale (Tabella 1). Il corretto funzionamento dell’apparato vestibolare è fondamentale per la funzione e trae origine dai diversi recettori labirintici altamente specializzati nell’analizzare le accelerazioni rotatorie (creste dei tre canali semicircolari) e lineari (macule dell’utricolo e del sacculo) della testa e del corpo. I recettori delle creste dei canali semicircolari vengono attivati dal movimento dell’endolinfa, mentre le macule dell’utricolo e del sacculo dallo spostamento degli otoliti in relazione alla forza di gravità. Tali impulsi vengono trasportati attraverso le porzioni vestibolari dell’ottavo paio dei nervi cranici fino ai nuclei vestibolari del tronco, al cervelletto e ai centri superiori (talamo, sistema limbico e corteccia cerebrale in toto, ma particolarmente quella destra, soprattutto nella cosiddetta corteccia vestibolare multisensoriale). Gli impulsi visivi provenienti dalla retina sono importanti per valutare la situazione ambientale e per stabilizzare lo sguardo durante i movimenti degli oggetti circostanti. Gli impulsi provenienti dai propriorecettori articolari e muscolari sono essenziali per analizzare la condizione posturale. Tabella 1. Il modello funzionale del sistema dell’equilibrio STRUTTURA Sensori Periferici FUNZIONE Informazione sensore-specifica Riconoscimento dei singoli input Modulazione Integrazione Riconoscimento dell’insieme degli input integrati Sistema Nervoso Centrale Valutazione dell’esperienza (piacevole, pericolosa, ecc.) Programmazione delle risposte automatiche e volontarie Coscienza della situazione Adattamento alle nuove situazioni Memorizzazione dell’esperienza Organi Periferici 2 Effettuazione dei programmi automatici e volontari LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO La disfunzione di una qualsiasi componente di questa rete neuronale, sia a livello periferico che centrale, è in grado di provocare un disturbo dell’equilibrio, che avrà naturalmente caratteristiche diverse per ciascuna sede di lesione. Orientarsi nel labirinto delle ipotesi diagnostiche La notevole variabilità dei quadri clinici caratterizzati dall’insorgenza di una sindrome vertiginosa, sia in acuto che in cronico, rende spesso la tassonomia delle vertigini un autentico “labirinto clinico”. I disturbi dell’equilibrio possono infatti rappresentare la prima espressione di processi morbosi molto diversi – sistemici, neurologici, otologici, osteo-artro-muscolari, visivi, psicopatologici – e di diversa gravità. Sintomi abbastanza simili possono inoltre essere provocati da cause molto diverse e ciò implica una difficoltà nell’inquadramento diagnostico e, di conseguenza, nella scelta della terapia. • Le vertigini possono essere acute, di breve durata e spesso a carattere occasionale, oppure ricorrenti, croniche, periodiche. La durata delle manifestazioni acute può variare da pochi secondi ad intere settimane. • La vertigine può associarsi a sintomi di tipo neurovegetativo (senso di nausea, vomito, tachicardia), oppure di tipo otologico, quali ipoacusia, acufeni, senso di pienezza o pressione endoauricolare (fullness), oppure può coesistere con segni neurologici più o meno focali, quali turbe della coordinazione del movimento o deficit di più nervi cranici, tremori, dismetria, cefalea. • Una vertigine può insorgere spontaneamente o essere scatenata da determinati movimenti o posizioni del capo o del corpo. Per l’interpretazione topo-diagnostica risulta fondamentale la distinzione tra la vera vertigine rotatoria (legata generalmente ad una patologia vestibolare periferica) ed i sintomi più aspecifici di disequilibrio (“dizziness” degli Autori anglosassoni) come la sensazione di sbandamento, lateropulsione, incertezza o instabilità durante la marcia, lipotimia, sensazione di “testa vuota” e di svenimento imminente, oscillopsia, sincopi, cadute. In ambito clinico, è di uso comune la suddivisione delle patologie vestibolari propriamente dette in base alle caratteristiche di insorgenza e di evoluzione. Vi sono infatti patologie caratterizzate da crisi ricorrenti (Malattia di Menière, Vertigini parossistiche posizionali da labirintolitiasi, Fistola labirintica, Deiscenza canalare superiore, Vertigine emicranica), altre con episodio unico acuto (Neuronite virale, Labirintite otogena, Ictus labirintico, Fratture della rocca petrosa, Ototossicità da farmaci) anche se talora caratterizzate da successivi episodi di scompenso. In alcuni casi, infatti, i meccanismi fisiologici di compenso e di adattamento centrale alla patologia non sono del tutto efficaci e si possono avere sintomi cronici e ricorrenti più aspecifici che ricordano le patologie centrali. L’efficacia degli indirizzi terapeutici dipende molto dalla precisione diagnostica: è, infatti, l’identificazione dei meccanismi eziopatogenetici della vertigine, che può indirizzare la scelta di una terapia il più possibile mirata. La diagnosi eziologica delle vertigini è però complessa, perché, come già illustrato, complessa è la rete neuronale che sovraintende alla funzione dell’equilibrio, vari sono gli organi interessati e che possono provocarne una disfunzione e altrettanto numerose sono le possibili cause di patologia di ciascuno di questi elementi del sistema. 3 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare La ricerca di specifici fattori eziopatogenetici può richiedere uno studio multidisciplinare, che comporta il coinvolgimento di diverse specialità e specifiche competenze e l’impiego di esami clinici e strumentali specialistici. Tuttavia, resta fondamentale l’approccio clinico al paziente vertiginoso. Per poter valutare il ruolo delle diverse possibili cause di vertigine ed individuare singoli settori disciplinari di approfondimento, l’attenzione del medico deve concentrarsi in prima battuta sulla interpretazione dei sintomi riferiti dai pazienti e dei segni clinici non strumentali, rilevabili mediante manovre semeiologiche praticabili al letto del paziente (bedside examination), nel contesto del quadro anamnestico e delle disfunzioni evidenziate all’esame clinico. L’attenzione all’anamnesi, ai sintomi concomitanti e a quelli pregressi diventa ancor più fondamentale quando si ipotizza un’eziologia vascolare del disturbo. Figura 1. Meccanismi patogenetci nelle vertigini vascolari. 4 I meccanismi patogenetici potenzialmente in grado di provocare danni di tipo vascolare al sistema nervoso centrale o al labirinto sono da ricercare tra le numerose possibili cause di alterazione dell’emodinamica della microcircolazione cerebrale che, compromettendo l’autoregolazione del flusso, non consentono un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti, ed i fattori trombogenetici (Figura 1). • L’esclusione di altre cause e la documentazione del meccanismo patogenetico specifico richiedono poi il riscontro dei markers tipici di ognuna delle eziologie sospettate. • In tal senso risultano utili anche strumenti diagnostici quali l’eco-color-doppler dei tronchi sovra-aortici e la diagnostica per immagini, associata o meno ad angiografia. La concordanza di elementi è determinante per giudicare la responsabilità di una lesione vascolare, in quanto, specialmente nelle persone anziane, coesistono spesso più elementi lesionali. LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO In caso di sospetto diagnostico ristretto al solo microcircolo terminale labirintico, l’eziologia vascolare rimane comunque spesso più un’ipotesi che una certezza “documentabile visivamente” e la diagnosi viene sostenuta solo dai dati anamnestici e dai markers bioumorali e neuroradiologici. Data la complessità del problema, l’esigenza di una strategia diagnostico-terapeutica o di una vera e propria linea guida per i disturbi dell’equilibrio di natura vascolare è avvertita da tempo. Nel 2001 Tirelli e collaboratori sottolineavano l’importanza di una terapia impostata su base eziologica (risposta positiva nel 69% dei casi entro il primo mese di trattamento) e, in un successivo studio retrospettivo del 2004, rilevavano l’assenza di diagnosi eziologica in 1039 su 1975 casi di dizziness, di cui oltre il 40% sarebbero stati inquadrabili come “vascolari” utilizzando una flow-chart diagnostica ad hoc. Nel 2005 una Consensus Conference nazionale tenutasi a Modena sui criteri diagnostici della vertigine vascolare ha sottolineato l’utilità del protocollo diagnostico-terapeutico per le vertigini vascolari elaborato nell’ambito dello studio VascVert, indagine retrospettiva condotta su pazienti con sindrome vertiginosa di verosimile origine vascolare (Figura 2). L’esperienza dello studio VascVert ha suggerito un percorso diagnostico basato sull’identificazione dei fattori di rischio cardiovascolare (Figura 3) ed ha evidenziato l’importanza di una terapia causale non solo ad azione antiaggregante, specialmente nei pazienti a basso e medio rischio trombotico. I farmaci eparinoidi (es. Sulodexide) sono risultati infatti particolarmente efficaci grazie ad un meccanismo d’azione più complesso e che verosimilmente consente di affrontare in modo più specifico e personalizzato alcuni tra i vari possibili meccanismi implicati nell’ eziopatogenesi delle vertigini vascolari. VascVert: studio epidemiologico policentrico italiano sulla vertigine vascolare Nello studio VascVert sono stati coinvolti 46 Centri italiani di Vestibologia, con il coordinamento del Servizio di Vestibologia e Rieducazione Vestibolare dell’ Azienda USL di Modena. La casistica considerata, inerente al periodo luglio 2002-febbraio 2006, è stata di 315 pazienti ambulatoriali con disturbi cronici dell’equilibrio (44,1% di sesso maschile, 55,9% di sesso femminile), di età compresa tra i 41 e i 94 anni (età media: 66 anni). Nell’indagine retrospettiva, condotta su pazienti con sindrome vertiginosa di verosimile origine vascolare, sono stati valutati le caratteristiche della vertigine, la sua evoluzione e gli effetti dei trattamenti adottati: antitrombotico (sulodexide) e antiaggregante (aspirina, ticlopidina) (Figura 4). L’eziologia vascolare è stata dedotta da: 1. Rilevazione anamnestica di almeno tre dei fattori di rischio cardiovascolari selezionati: eventi cerebro-vascolari, patologia carotidea, cardiopatia ischemica, diabete mellito, ipertensione arteriosa, arteriopatia periferica, familiarità per patologia vascolare, fumo, consumo di alcool, obesità, fibrinogenemia >350 mg/dL, ipertrigliceridemia (>180 mg/dL) ed ipercolesterolemia (>220 mg/dL). I fattori di rischio più rappresentati sono stati: ipertensione arteriosa (71,7%), ipercolesterolemia (64,1%), patologia carotidea (45,7%) e familiarità per malattie cardiovascolari (59,7%). 2 Chiara positività per patologia vascolare di almeno uno dei seguenti esami: ecoDoppler dei vasi sovra-aortici, TC o RM cerebrale. 5 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 2. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Guidetti, Otolaringol 2005). 6 LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO Figura 3. Prevalenza dei fattori di rischio cerebrovascolari nella popolazione generale e nel campione di pazienti dello studio VascVert (Guidetti, Otolaringol 2005). Figura 4. Miglioramento della maggioranza dei parametri clinici nel campione di pazienti dello studio VascVert dopo due mesi di trattamento causale (sia antitrombotico sia antiaggregante). Vertigine e instabilità migliorano in modo statisticamente significativo con entrambi i trattamenti: * P<0,001 (Guidetti, Otolaringol 2005). 7 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Sono stati valutati gli effetti del trattamento di due mesi con farmaco antitrombotico (sulodexide) o antiaggregante (aspirina, ticlopidina). I trattamenti antiaggregante e antitrombotico, insieme considerati, dopo due mesi di terapia, hanno determinato (Figura 4): • riduzione significativa dei casi di vertigine (dal 90% al 61,1%) e di instabilità (da 88,9% a 54%); • ridotta incidenza dei sintomi neurovegetativi (da 45,7% a 20,6%), cefalea (da 34,6% a 19,7%) e miglioramento nei test di bedside examination: test di Unterberger (da 17,1% a 7,3%), head shaking test (da 23,5% a 9,5%), prova indice-naso (da 4,8% a 2,2%), nistagmo spontaneo (da 15,9% a 4,4%). BIBLIOGRAFIA – Guidetti G. La terapia della vertigine vascolare nella pratica ambulatoriale: esperienza multicentrica (Studio – – – – 8 VascVert). Otorinolaringol 2005;55:237-46. Guidetti G. La vertigine vascolare: elementi anamnestico-clinici di sospetto diagnostico. Otoneurologia 2000 2005;22:3-10. Guidetti G. La vertigine vascolare: il razionale della diagnosi e della terapia. Otoneurologia 2000 2005;21:356. Tirelli G, Meneguzzi C. Orientamento clinicodiagnostico sulla vertigine da causa vascolare. Otorinolaringol 2004;54:1-10. Tirelli G, Zarcone O, Giacomarra V, Bianchi M. La vertigine da causa vascolare: ipotesi patogenetiche e considerazioni terapeutiche. Otorinolaringol 2001;51:61-8. Capitolo 1 ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani IL CIRCOLO CEREBRALE ARTERIOSO Le strutture encefaliche nella fossa cranica anteriore e media vengono irrorate da rami dell’arteria carotide interna (territorio arterioso della carotide), le strutture nella fossa cranica posteriore da rami dell’arteria vertebrale o dell’arteria basilare che ha origine dall’unione delle due arterie vertebrali (territorio arterioso vertebro-basilare) (Figura 1). Territorio di irrorazione della carotide e territorio arterioso vertebro-basilare sono collegati tra loro mediante un circolo arterioso, il poligono di Willis; grazie ad esso in molti casi una parziale occlusione può essere compensata da un altro vaso (formazione di anastomosi: importante nel caso di stenosi delle arterie). tomica, potendo presentare conformazioni anche molto diverse da individuo ad individuo. 1. Nel 40% dei casi, il circolo arterioso è formato dalle seguenti arterie: a. comunicante anteriore, a. cerebrale anteriore, a. cerebrale Poligono di Willis Le due arterie vertebrali (che nascono dalla succlavia) giungono all’interno del cranio attraverso il forame magno e si fondono a livello del clivio per formare l’arteria basilare impari. Da questa originano poi le arterie cerebrali posteriori (Figura 2). L’arteria cerebrale media costituisce il prolungamento diretto della carotide interna. Varianti del circolo arterioso cerebrale I collegamenti vascolari all’interno del circolo arterioso sono soggetti a notevole variabilità ana- Figura 1. Diagramma del circolo cerebrale. 9 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare contenuto in esso ed è formato da un sistema di vescicole e condotti membranosi, tra loro comunicanti. Arterie Figura 2. Il poligono di Willis. 2. 3. 4. 5. 6. 7. media, a. carotide interna, a. comunicante posteriore, a. cerebrale posteriore, a. basilare. L’a. comunicante anteriore è assente nell’1% dei casi. Entrambe le aa. cerebrali anteriori hanno origine da un’a. carotide interna (10% dei casi). L’a. comunicante posteriore è monolaterale, ipoplastica o addirittura non presente (10% dei casi). L’a. comunicante posteriore si presenta bilateralmente, ipoplasica o manca del tutto (10% dei casi). L’a. cerebrale posteriore origina monolateralmente dall’a. carotide interna (10% dei casi). L’a. cerebrale posteriore ha origine bilateralmente dall’a. carotide interna (5% dei casi). VASCOLARIZZAZIONE DELL’ORECCHIO INTERNO L’orecchio interno comprende il labirinto osseo, una complessa serie di cavità della piramide del temporale e il labirinto membranoso, che è 10 È interessante notare come una struttura così piccola, come la rocca petrosa, riceva molteplici rami arteriosi di diversa origine, sia intracranici, derivanti dalla carotide interna e dall’arteria basilare, sia extracranici, di pertinenza invece della carotide esterna. L’arteria basilare deriva dalla confluenza delle arterie vertebrali (destra e sinistra) che a loro volta traggono origine dall’arteria succlavia. L’arteria basilare, nella sua porzione inferiore, dà origine all’arteria cerebellare inferiore anteriore (AICA), responsabile principale dell’apporto di sangue al labirinto membranoso in quanto vaso di origine dell’arteria uditiva interna (AUI) o arteria labirintica (Figura 3). L’origine dell’AUI è stata negli anni ampiamente discussa in letteratura: mentre alcuni Autori ammettono che essa possa generarsi solo come ramo dell’arteria cerebellare inferiore anteriore (AICA) all’interno della cavità cranica, altri ne ammettono una possibile origine anche come ramo indipendente direttamente dall’arteria basilare. I dati più recenti sembrano comunque escludere un’origine diretta dall’arteria basilare. In particolare, dagli studi di Mazzoni negli anni ’70 emerge come l’AUI derivi invariabilmente dall’AICA (o dall’AICA accessoria), la quale (in alcuni casi una sua collaterale) dopo un decorso in direzione laterale e dorsale, prima di raggiungere la superficie antero-inferiore dell’emisfero cerebellare, forma un’ansa arteriosa con convessità rivolta verso l’apertura del meato acustico interno. Da tale ansa trarrebbero origine l’arteria subarcuata ed appunto l’AUI. Diversi Autori hanno inoltre affermato che, in una percentuale di casi che può giungere al 60%, l’arteria uditiva interna possa ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE Figura 3. La vascolarizzazione dell’orecchio interno. presentarsi come una doppia arteria, anche se pare che un solo ramo raggiunga effettivamente l’orecchio interno. Nell’evenienza di una doppia AUI, possiamo distinguerne una principale che segue il medesimo decorso della variante in numero singolo, e una secondaria, generalmente più piccola, con un decorso meno costante (Figura 4). L’AUI secondaria può non avere rami collaterali diretti all’orecchio interno ed essere deputata solo all’irrorazione del condotto; in altri casi può invece fornire apporto di sangue al labirinto attraverso l’arteria vestibolare posteriore. Altra arteria del labirinto è l’arteria stilo-mastoidea che si origina per i due terzi degli individui dall’occipitale (origina dalla parete posteriore della carotide esterna) o per un terzo degli individui dall’auricolare posteriore (che origina dalla carotide esterna posteriormente) e vascolarizza i canali semicircolari. La vascolarizzazione del labirinto membranoso non può essere comunque interamente separata dalla vascolarizzazione del labirinto osseo e da quella dell’orecchio medio, in quanto esistono dei rami anastomotici che penetrano nell’endostio. Durante il suo decorso, l’arteria labirintica prima fornisce il sangue ai nervi (VIII nervo cranico) e alla dura madre del canale uditivo interno, poi alle ossa contigue al canale uditivo e alla Figura 4. Schema dell’AUI nel condotto uditivo interno. L’AUI principale (IAa I) dà origine alle tre branche arteriose: vestibolare anteriore (SVa), cocleare comune (Ca) e vestibolo-cocleare (VCa). La AUI secondaria (IAa II) rifornisce la vestibolo-cocleare. 11 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare regione mediale dell’orecchio interno. All’interno dell’osso temporale adulto, l’arteria labirintica non si distribuisce soltanto all’orecchio interno, alla dura e alle formazioni nervose, ma anche ad una discreta area dell’osso petroso stesso. Il suo decorso all’interno del meato acustico interno ovviamente cambia a seconda se siamo di fronte alla variante singola o alla variante doppia (il decorso in questo seconda evenienza è diverso soltanto per l’arteria secondaria; per la principale delle due il decorso è assimilabile a quello dell’arteria labirintica in numero singolo). Nei casi in cui essa è singola, al livello del terzo prossimale del canale, decorre tra la superficie ventrale dell’VIII nervo cranico e la parete ventrale del canale, in prossimità del pavimento. Nel terzo medio incrocia in senso obliquo la faccia ventrale dell’VIII nervo cranico e si adagia sulla superficie craniale del medesimo nervo appena prima della sua divisione. A questo punto l’arteria continua il suo decorso sulla superficie craniale del nervo cocleare e si divide nei suoi rami intralabirintici (Figura 5). Nel caso si sia di fronte ad un’arteria labirintica in variante doppia, ci sono importanti differenze determinate dalla presenza di un’arte- 1. AICA; 2 AUI; 3. A. cocleare comune; 4. A. vestibolare anteriore; 5. A. cocleare propriamente detta; 6. A. vestibolococleare; 7. Rami cocleari; 8. Rami vestibolari. Figura 5. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI. Nel riquadro, capillari della stria vascolare. 12 ria labirintica secondaria. Essa, nata dalla già menzionata ansa formata dall’AICA, giace prima sul lato caudale dell’VIII nervo cranico, e.g. tra il pavimento del condotto ed il nervo vestibolare inferiore. Continua il suo decorso tra lato caudale e lato dorsale dell’VIII e successivamente, resasi mediale, va a giacere ventralmente e caudalmente al nervo sacculare. Il primo di questi vasi arteriosi a diramarsi dall’AUI è l’arteria vestibolare anteriore che con un decorso tortuoso penetra nel canale osseo del nervo vestibolare superiore, al quale rimane praticamente adesa e tramite il quale raggiunge l’orecchio interno. L’arteria vestibolare anteriore (Figura 6) rifornisce di sangue la sezione antero-superiore del vestibolo, comprendendo l’utricolo con la sua macula, una porzione extramaculare del sacculo, l’ampolla, la cresta ampollare, le crures ampollari e i dotti membranosi dei canali semicircolari anteriore e laterale. Le arteriole entrano nell’ampolla per mezzo di canali ossei distinti rispetto a quelli delle fibre nervose. Le reti capillari della cresta ampollare e delle pareti dell’ampolla sono formate da diverse arteriole. La rami- Figura 6. L’arteria vestibolare anteriore (vista dall’alto) con i suoi rami per l’utricolo (Ua), per l’ampolla del canale semicircolare superiore (SCCa), per l’ampolla del canale semicircolare laterale (LCCa), e per le regioni non ampollari (crus) dei suddetti canali (SCACa e LCACa). ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE ficazione arteriolare stabilisce reti capillari tra l’epitelio sensitivo e le fibre nervose vicine alla linea mediana di ciascuna cresta. Ogni canale è attraversato per la sua lunghezza da una o due arteriole che sostengono un sistema di capillari poco connessi tra di loro. Dopo aver emesso l’arteria vestibolare anteriore, il tronco principale dell’arteria labirintica prende il nome di arteria cocleare comune; essa continua il proprio decorso attraverso il triangolo vestibolo-cocleare e successivamente si divide per dare origine all’arteria cocleare maggiore e all’arteria vestibolo-cocleare. La prima è destinata a quasi tutta la coclea ad eccezione di parte del giro basale irrorato dalla seconda. Nel modiolo i vasi si presentano tortuosi quasi a ricordare le formazioni glomerurali, immerse in abbondante tessuto lasso. Questi vasi, pur di discreto calibro, presentano una parete estremamente sottile, costituita dallo strato endoteliale cui si sovrappone un sottile mantello connettivale e scarse cellule muscolari lisce. L’arteria cocleare maggiore si mantiene adesa alla superficie inferiore del nervo cocleare, assume un decorso a spirale con la stessa direzione dei giri cocleari. Appena entra nel modiolo fornisce numerose arterie primarie e secondarie (Figura 7). Ulteriori arborizzazioni dell’arteria cocleare danno luogo a due serie di arteriole ad andamento radiale (arteriole radiali esterne e arteriole radiali interne); la prima serie fornisce la vascolarizzazione alle strutture della parete esterna della coclea, l’altra fornisce la vascolarizzazione alla parete interna (Figura 8). Le arteriole radiali esterne si avvolgono a spirale sulla scala vestibolare nella parte intracocleare e distribuiscono vasi alle pareti della scala vestibolare. All’entrata dell’apice del legamento spirale, questi vasi formano quattro reti capillari: 1. vasi a spirale localizzati nella regione del legamento spirale che guarda verso la scala vestibolare (vasi della membrana del Reissner, vasi della scala vestibolare); Figura 7. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea. 13 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare 2. rete capillare della stria vascolare; 3. vaso della prominenza spirale; 4. vasi all’interno del legamento spirale sul lato della scala timpanica della cresta basilare. Questi ultimi vasi posseggono le caratteristiche morfologiche di capillari, ma funzionano come venule di drenaggio. Sebbene la rete capillare della stria vascolare sia una rete anastomotica tortuosa ad andamento spiraliforme, i suoi confini sono relativamente dritti e paralleli. La rete capillare è accolta all’interno dell’epitelio pluristratificato della stria vascolare; infatti i capillari intraepiteliali sono avvolti dai prolungamenti discendenti delle cellule scure e da quelli ascendenti delle cellule intermedie e basali dell’epitelio della stria vascolare. Di particolare interesse è la rete capillare intraepiteliale della stria vascolare, in quanto la circolazione del sangue in questo plesso consente un adeguato livello di ossigenazione delle cellule della stria vascolare, permettendo il mantenimento dell’elevato potenziale elettrico positivo endococleare. Figura 8. Struttura vascolare della coclea. La freccia indica l’AUI nel punto di biforcazione nella vestibolare anteriore e nella cocleare comune. Tratto da: Ars B (ed.). Partition of the Inner Ear. Kugler Publ. 1998. 14 Il vaso della prominenza spirale generalmente riceve un ramo da ciascuna arteriola radiale e, sebbene questo vaso abbia un andamento spirale parallelo alla rete della stria vascolare, non ci sono interconnessioni tra i due. Le arteriole radiali interne dell’arteria cocleare rimangono all’interno del modiolo, fornendo rami al ganglio spirale nel momento in cui decorrono alla base della coclea. Penetrano nella lamina vestibolare della lamina spirale ossea dando origine ai vasi del limbus e a quelli marginali. I vasi marginali costituiscono due gruppi di arcate indipendenti che fungono da canali sia arteriosi che venosi: un gruppo forma i vasi della membrana basilare, mentre l’altro comprende i vasi del bordo timpanico. Occasionalmente un vaso attraversa una scala o del timpano o del vestibolo. L’arteria vestibolo-cocleare decorre in prossimità del pavimento del condotto e raggiunge l’orecchio interno circa a metà del lato mediale della confluenza tra vestibolo e giro basale della coclea. A questo punto, una sua divisione a T dà origine all’arteria vestibolare posteriore (o inferiore) che decorre dorsalmente attraverso la radice della lamina spirale e il dotto reuniens, proprio al di sopra dell’apertura del canale semicircolare posteriore (Figura 9), e al ramo cocleare (arteria cocleare basale) diretta verso il modiolo. L’arteria cocleare basale dà origine ai seguenti rami: • arterie radiali della scala vestibolare ed arterie radiali della lamina spirale; • arteria sacculare per la macula; • arteria per l’area della finestra rotonda; • arteria per la porzione ventrale del sacculo • branche arteriose lungo la parete mediale delvestibolo per l’apporto ematico al sacco endolinfatico e per la regione mediale dell’utricolo; • arteria che decorre sulla porzione postero-laterale del pavimento del vestibolo per l’apporto ematico al cieco vestibolare della scala media. ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE stroma della macula insieme con le fibre nervose mielinizzate e stabiliscono un’estesa rete capillare al di sotto dell’area delle cellule ciliate. La distribuzione dei vasi a livello del labirinto posteriore evidenzia i vasi di maggior calibro in corrispondenza della porzione più distale regioni neurosensoriali (macule dell’utricolo e del sacculo, ampolle dei canali semicircolari); in un piano superiore si trova una rete costituita da capillari a larghe Il ramo cocleare dell’arteria vestibolo-cocleare maglie. Immediatamente sotto l’epitelio si trova vascolarizza un quarto della parte basale della inoltre una rete capillare a maglie strette che ricorcoclea e dell’adiacente modiolo, mentre il ramo da nella sua architettura quella della stria vascolavestibolare posteriore si distribuisce alla macula re. I rapporti tra epitelio sensoriale e rete vasale del sacculo, alla cresta ampollare e al canale sono molto intimi tanto da far pensare ad una membranoso del canale posteriore e alle pareti penetrazione diretta di vasi tra gli elementi epiteliali posteriori dell’utricolo e del sacculo. Le ramifica- stessi. Nella porzione extramaculare è evidenziabizioni arteriolari sono identiche a quelle dell’arteria le una rete a maglie larghe ben diversa nell’aspetvestibolare anteriore. Le arteriole entrano nello to da quella propria della regione maculare. Anche lungo la superficie dei canali semicircolari si trova un ricco plesso vasale a maglie molto irregolari (Figura 10), unito a vasi di discreto calibro che decorrono lungo la superficie endostale del canale osseo mediante tronchi di vario calibro sottesi da trabecole connettivali che attraversano lo spazio perilinfatico. I capillari a livello delle varie parti del vestibolo, in particolare quelle caratterizzate dalla presenza di cellule scure, che circonL’arteria vestibolare posteriore (IVa) e la relativa vena (IVv) decorrono sulla parete mediadano l’area sensoriale le del vestibolo. Prima di giungere ad irrorare l’ampolla del canale semicircolare posteriore (PCCa), l’Iva dà rami al sacculo (Sa), alla crus comune (CCa), alla porzione inferiore non epiteliale, risultano intemaculare dell’utricolo (VUa), alla regione del cieco vestibolare (VCaea) ed alla superficie ressanti per le interazioni vestibolare della scala media (VASMa). che contraggono con le Figura 9. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI. cellule circostanti. L’arteria vestibolare posteriore dà origine a: • un ramo per la cresta ampollare del canale semicircolare posteriore; • un ramo per il braccio semplice del canale semicircolare laterale; • un ramo per la crus comune e per la porzione non ampollare dei canali semircolari superiore e posteriore. 15 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare lazione del flusso sanguigno in molti organi. Un recente studio ha dimostrato come l’infusione di potassio e calcio a livello della parete laterale della coclea risulti in un restringimento localizzato dei diametri capillari nel punto di localizzazione dei periciti. Figura 10. La rete vascolare di ampolla e canale semicircolare laterale. Tratto da: Scuderi, Del Bo, Arch Ital Otol Rinol Laringol, 1952. Vene Il principale drenaggio venoso della coclea è costituito dalle vene spirali anteriori e posteriori (Figura 11). La vena spirale anteriore riceve rami tributari dalla lamina spirale e dalla scala del vestibolo. La vena spirale posteriore raccoglie il sangue venoso dalla scala del timpano, dalla parete esterna della scala media e dal ganglio spirale. Ci sono diversi shunt dalla vena spirale anteriore alla posteriore. Le due vene si uniscono vicino alla base della coclea formando la vena comune modiolare. L’utricolo, così come l’ampolla dei canali superiore e laterale, è drenato dalla vena vestibolare anteriore. La vena vestibolare posteriore riceve il sangue dal sacculo, dall’ampolla del canale Questi capillari hanno un diametro approssimativamente di 8 nm e sono capillari continui con pochi periciti. Le cellule endoteliali, unite tra di loro da complessi giunzionali, presentano sulla superficie luminale dei microvilli e molte vescicole di pinocitosi, suggerendo un attivo passaggio di materiale. In prossimità di questi capillari si trovano melanofagi o loro processi citoplasmatici e melanociti; inoltre, è stata descritta anche la presenza di linfociti T i quali, attivati dalla presentazione dell’antigene da parte dei melanofagi, fornirebbero un possibile sistema di sorveglianza immunitaria per l’orecchio interno. I periciti sembrano svolgere un ruolo importante nella formazione della rete vascolare e nella rego- Figura 11. La vascolarizzazione venosa dell’orecchio interno. 16 ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE posteriore e dalla base della coclea. La vena della finestra rotonda si unisce con le vene vestibolari anteriori e posteriori per formare la vena vestibolo-cocleare. Quest’ultima si unisce con la vena comune modiolare per diventare la vena cocleare inferiore, la quale attraversa il canale osseo di Cotugno, ed è localizzata vicino all’acquedotto cocleare, per svuotarsi nel seno petroso inferiore. I dotti membranosi sono drenati dai canali che formano la vena dell’acquedotto vestibolare; questi canali attraversano l’acquedotto vestibolare o un canalicolo paravestibolare per immettersi nel seno venoso laterale. La vena uditiva interna è un vaso che non sempre è presente; quando lo è, raccoglie il sangue dal giro apicale e medio della coclea e si immette nel seno petroso inferiore attraverso il canale auditivo interno. ASPETTI DI ANATOMO-FISIOLOGIA DEL CIRCOLO COCLEO-VESTIBOLARE Le arterie intracraniche possiedono una membrana interna elastica ben sviluppata, mentre la tonaca media di queste arterie è più sottile di quella delle arterie extracraniche dello stesso calibro ed è priva di fibre elastiche. La tonaca media delle arterie intracraniche presenta soltanto cellule muscolari con numerose gap junction tra di loro per facilitare la propagazione degli impulsi di contrazione. Una delle caratteristiche funzioni delle arterie intracraniche è l’autoregolazione del flusso sanguigno, che è definita come mantenimento del flusso costante con variazioni nella pressione arteriosa media su un ampio range fisiologico. Questo meccanismo protettivo fa affidamento sul pH locale, sulla pCO2 e sull’innervazione autonoma delle arterie. Numerosi studi hanno documentato come il flusso sanguigno cocleare sia sotto il controllo del sistema nervoso autonomo; in particolare, terminazioni nervose del simpatico sono state dimostrate lungo l’arteria basilare, l’AICA e l’arteria cocleare maggiore. Studi su modelli animali hanno dimostrato come la stimolazione dei gangli del simpatico, del ganglio stellato e della catena cervicale sia in grado di alterare il flusso sanguigno cocleare in situ. I vasi che forniscono sangue all’orecchio interno hanno autoregolazione, ma non quelli dei nervi periferici spinali. Le arterie uditive interne e i loro rami principali presentano le stesse caratteristiche ultrastrutturali delle arterie intracraniche ed è noto che queste arterie sono innervate da fibre adrenergiche e colinergiche. Quindi il flusso sanguigno attraverso l’arteria uditiva interna e i suoi rami principali può essere soggetto ad autoregolazione nella stessa maniera di quello che passa nelle altre arterie intracraniche. Studi recenti in vitro hanno dimostrato la presenza di recettori alfa1-adrenergici a livello dell’arteria cocleare maggiore, responsabili di una vasocostrizione norepinefrina-mediata. La risposta vasodilatatoria sarebbe invece, almeno secondo quanto riscontrato in modelli animali, imputabile ad un’innervazione contenente CGRP, sostanza P o VIP. Nell’arteria uditiva interna e nei suoi rami principali sono state trovate occasionalmente cellule muscolari lisce nello spazio sottoendoteliale o tra le membrane elastiche interne. Nei campioni di pazienti anziani, è stato osservata la presenza di materiale elettrondenso nella membrana elastica interna. Queste caratteristiche morfologiche sono compatibili con cambiamenti regressivi associati con l’età e non possono essere chiaramente differenziati con l’inizio dell’aterosclerosi, che è caratterizzata da una tonaca intima dallo spessore frammentato ed irregolare con accumulo di cellule muscolari lisce e depositi di lipidi intracellulari ed extracellulari. Poiché l’aterosclerosi è una delle principali cause di infarto miocardico e di trombosi cerebrale, questi cambiamenti morfolo- 17 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare gici della tonaca intima dell’arteria uditiva interna e dei suoi principali rami possono essere messi in relazione ai disturbi dell’orecchio interno negli anziani. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE – Axelsson A. Comparative anatomy of cochlear blood vessels. Am J Otolaryngol 1988;9:278-90. – Dai M, Nuttall A, Yang Y, Shi X. Visualization and contractile activity of cochlear pericytes in the capillaries of – – – – – – – – – – – – 18 the spiral ligament. Hear Res 2009;254:100-7. Garcia J H, Patel S C, Wagner S. The vasculature of the human brain. In: P.M. Conn (ed.), Neuroscience in Medicine. Philadelphia, PA: Lippincott 1995; pp. 151-166. Laurikainen EA, Kim D, Didier A, Ren T, Miller JM, Quirk WS, Nuttall AL. Stellate ganglion drives sympathetic regulation of cochlear blood flow. Hear Res 1993;64:199-204. Mazzoni A. Internal auditory artery supply to the petrous bone. Ann Otol Rhinol Laryngol 1972;81:13-21. Mazzoni A. The vascualr anatomy of the vestibular labyrinth in man. Acta Otolaryngol 1990;Suppl 472:1-83. Miller JM, Dengerink H. Control of inner ear blood flow. Am J Otolaryngol 1988;9:302-16. Mom T, Chazal J, Gabrillargues J, Gilain L, Avan P. Cochlear blood supply: an update on anatomy and function. Fr. ORL 2005;88:81-8. Nakashima T, Naganawa S, Sone M, Tominaga M, Hayashi H, Yamamoto H, Liu X, Nuttall AL. Disorders of cochlear blood flow. Brain Res Rev 2003;43:17-28. Prometheus Atlante di Anatomia. Edizione italiana a cura di Eugenio Gaudio. Torino: UTET 2007. Scuderi R, Del Bo M. La vascolarizzazione del labirinto umano. Arch Ital Otol Rinol Laringol 1952;63:3-90. Spoendlin H. Autonomic innervation of the inner ear. Adv Otorhinolaryngol 1981;27:1-13. Tange RA. Vascular structures of the inner ear. In: Ars B (ed.), Partition of the Inner Ear. The Hague, Netherlands: Kugler Publ. 1998; pp. 5-11. Wangemann P, Wonneberger K. Neurogenic regulation of cochlear blood flow occurs along the basilar artery, the anterior inferior cerebellar artery and at branch points of the spiral modiolar artery. Hear Res 2005;209:91-6. Capitolo 2 LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Marco Manfrin OMEOSTASI DEI FLUIDI LABIRINTICI E BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Il mantenimento dell’omeostasi idroelettrolitica dei liquidi labirintici, condizione necessaria per il corretto funzionamento dell’epitelio sensoriale, dipende da particolari meccanismi che garantiscono differenti concentrazioni del potassio (K+) nell’endolinfa e del sodio (Na+) nella perilinfa (Figura 1). I processi coinvolti sono caratteristici dell’orecchio interno, legati alla originale configurazione di alcune cellule ben differenziate, presenti sia nel distretto cocleare che in quello labirintico posteriore. Per alcuni aspetti, vi sono analogie morfofunzionali con le cellule dei glomeruli renali e con i plessi corioidei del sistema nervoso centrale. Si definisce come barriera emato-labirintica il meccanismo di trasporto selettivo di molecole e ioni che garantiscono il mantenimento dei 1:cellule ciliate interne; 2: cellule ciliate esterne. Figura 1. Composizione ionica prevalente di endolinfa e perilinfa. 19 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare gradienti chimici di concentrazione a livello ematico, perilinfatico ed endolinfatico (1,2). La funzione della barriera è facilitata dalla presenza di giunzioni cellulari serrate, dalla scarsità di vescicole pinocitotiche a livello delle cellule endoteliali e dalla formazione di un sottile strato, caricato negativamente, sulla superficie delle cellule endoteliali a livello dei capillari (3,4). La selettività funzionale della barriera ematolabirintica condiziona il passaggio solo di alcune molecole e non quello di altre; si sviluppa durante la vita embrionaria e può modificarsi nel corso della vita per opera di svariati meccanismi patogenetici (farmaci, rumore, alterazioni del metabolismo) (5,6). Infine, i liquidi labirintici possiedono un ruolo fisiologico duplice: • il primo è quello di concorrere ad attivare le cellule ciliate cocleo-vestibolari mediante la trasmissione del segnale meccanico; • il secondo è quello di partecipare al fenomeno della trasduzione meccano-elettrica, vale a dire alla trasformazione dello stimolo meccanico in segnale elettrico (potenziali d’azione) lungo la via afferente. LA PERILINFA Lo spazio compreso tra il labirinto membranoso e la capsula otica è occupato dalla perilinfa, liquido extracellulare il cui catione principale è il Na+ (140 mM) e l’anione è il Cl- (120 mM). Vi sono alcune differenze tra la perilinfa della scala vestibolare rispetto a quella della scala timpanica, in cui proteine, glucosio e K+ presentano concentrazioni inferiori. Si ammette che l’origine della perilinfa possa essere duplice: da una parte, il plasma ne sarebbe il precursore tramite una rete capillare molto diffusa nel rivestimento della scala vestibolare; 20 dall’altra, il liquido cefalo-rachidiano che comunica tramite l’acquedotto cocleare con il giro basale della scala timpanica. È stata ipotizzata anche una secrezione attiva di perilinfa da parte delle strutture vascoloepiteliali del legamento spirale, dove Na+/K+-ATPAasi e anidrasi carbonica sono molto attive. L’ENDOLINFA Gli spazi contenuti all’interno del labirinto membranoso (canale cocleare, dotto reuniente, sacculo, dotto sacculare, utricolo, dotto utricolare, dotto endolinfatico, canali semicircolari) sono occupati dal liquido endolinfatico che si caratterizza per: – elevata concentrazione di K+: diversa nelle differenti specie animali di mammiferi, ha un valore medio di circa 150 mmol/l; – bassa concentrazione di Na+, pari a circa 1 mmol/l. Si differenzia da queste sedi il sacco endolinfatico, dotato di caratteristiche diverse per ciò che concerne la composizione elettrolitica. • Le caratteristiche chimiche giustificano la presenza di potenziali endolinfatici di riposo che, analogamente alle concentrazioni ioniche, non sono uniformi nelle diverse parti dell’orecchio interno. Infatti, la concentrazione endolinfatica di K+ diminuisce dalla base verso l’apice della coclea; il potenziale endolinfatico di riposo è maggiore nella coclea rispetto al labirinto posteriore. Tutto ciò esprime meccanismi metabolici diversi nelle differenti sottosedi del labirinto membranoso. • Anche le concentrazioni di altri ioni o di altre sostanze è diversa nei comparti endolinfa/perilinfa/sangue: infatti, nell’endolinfa vi è una minor concentrazione di calcio e magnesio, di proteine e di glucosio rispetto agli altri due. LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA L’endolinfa, inoltre, si dimostra relativamente iperosmolare rispetto alla perilinfa e al sangue, anche in questo caso secondo un gradiente di osmolarità che va dalla base, ove è maggiore, all’apice, seguendo lo stesso comportamento del gradiente elettrochimico. La regolazione dell’equilibrio acido-base dell’endolinfa, che garantisce un pH di 7,4 del tutto simile alla perilinfa e al sangue, è dovuto all’azione di meccanismi diversi rispetto a quelli coinvolti nel gradiente elettrico e osmolare. Viene unanimamente riconosciuta come una “zona franca”, a sé stante dal punto di vista metabolico, il sacco endolinfatico in cui i rapporti tra le concentrazioni del K+ e del Na+ sono invertiti rispetto agli altri spazi endolinfatici e in cui vi è una concentrazione molto elevata di proteine. LA CORTILINFA E IL LIQUIDO SOTTOTECTORIALE A livello cocleare, è possibile individuare due altri tipi di liquido (cortilinfa e linfa sottotectoriale) che si trovano a livello extracellulare. • La cortilinfa si trova nell’organo del Corti (galleria) e ha una composizione chimica simile alla perilinfa. • La linfa sottotectoriale si posiziona sotto la membrana tectoria e al di sopra dello strato cuticolare delle cellule ciliate e ha composizione del tutto simile all’endolinfa. LA MICROCIRCOLAZIONE DELL’ORECCHIO INTERNO Le fini diramazioni distali infralabirintiche dei diversi rami dell’arteria uditiva interna, si compendiano in diverse reti di arteriole, quali l’arte- ria modiolare spirale nella coclea e le arteriole delle creste ampollari e delle macule nel labirinto posteriore. Dall’arteria modiolare spirale, che decorre nel modiolo della coclea, si dipartono arteriole esterne destinate alle strutture della parete esterna del canale cocleare (o della scala vestibolare), e arteriole interne destinate ad irrorare il ganglio spirale e le strutture neurosensoriali della lamina spirale. Da un punto di vista strutturale, le arteriole radiali esterne mostrano all’inizio del loro tragitto una parete fine e fenestrata, del tutto simile a quella dei glomeruli renali (7), per poi divenire spessa per la comparsa di uno strato continuo di cellule muscolari lisce. In maniera del tutto caratteristica, formano due “circuiti”: uno, definito “metabolico” o “di lusso”, che è costituito da tre reti capillari longitudinali dirette verso gli spazi interstiziali; l’altro, derivativo o “di corto circuito”, che porta il sangue direttamente, tramite le metarteriole, alle venule. Le reti capillari principali comprendono: rete capillare soprastriatale (della membrana di Reissner), in rapporto per tutta la sua lunghezza all’inserzione della membrana di Reissner; – rete capillare della stria vascolare, in stretto contatto con le cellule marginali ed intermedie; – rete capillare della prominenza spirale; – rete capillare del legamento spirale, in stretto contatto con le celle basali della stria vascolare. Le arteriole radiali interne, a loro volta, danno origine a quattro reti capillari: – rete capillare del ganglio spirale; – rete capillare del limbus, che sembra essere l’unica rete in rapporto diretto con l’endolinfa; – rete capillare spirale interna o dello strato timpanico, che coinvolgerebbe l’organo del Corti; – rete capillare della membrana basilare (o spirale 21 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare esterna), situata sulla faccia inferiore della membrana basilare, al centro della zona arcuata, subito al di sotto del tunnel del Corti. Analogamente ai capillari cerebrali, i capillari cocleari hanno un rivestimento endoteliale continuo, formato da cellule unite in maniera serrata da giunzioni molto chiuse. Solo nel modiolo i capillari presentano un rivestimento fenestrato, anche se sono avvolti da uno strato di cellule connettivali unite da giunzioni serrate; in analogia ai plessi corioidei, si definisce questa regione del modiolo come plesso cocleare. • Le arteriole destinate alle aree sensoriali del labirinto posteriore non presentano una distribuzione anatomica caratteristica. Esse penetrano nel tessuto di sostegno maculare in associazione stretta alle fibre nervose mielinizzate e si distribuiscono in una rete capillare posta al di sotto della zona cigliata del neuroepitelio. • Analogamente, anche l’irrorazione delle aree recettoriali ampollari non mostra una caratteristica distribuzione se non quella di arteriole che si portano, con gli elementi nervosi, all’ampolla dei canali semicircolari e qui si distribuiscono in una rete capillare molto lassa. • Il drenaggio venoso dell’orecchio interno è garantito dalla vena dell’acquedotto cocleare che raccoglie il sangue proveniente dalla vena modiolare comune (formata dalla confluenza della vena spirale anteriore e posteriore) e dalla vena vestibolococleare (formata dalla confluenza della vena vestibolare anteriore, della vena vestibolare posteriore e dalla vena della finestra rotonda). Una parte del drenaggio venoso dei canali semicircolari si convoglia nella vena dell’acquedotto vestibolare che si dirige verso il sacco endolinfatico e sbocca direttamente nel seno laterale. 22 LA PRODUZIONE DI ENDOLINFA E LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Il precursore dell’endolinfa è, quasi certamente, la perilinfa e non il plasma. L’asserzione nasce da osservazioni sperimentali ottenute dall’analisi della cinetica di ioni veicolati nell’endolinfa da traccianti radioattivi, somministrati per via perilinfatica e per via ematica (Figura 2). Il trasporto degli ioni nei due compartimenti avviene per meccanismo attivo, poiché l’equilibrio elettrochimico viene mantenuto costante nonostante la disparità di concentrazione del K+ e del Na+. Il trasporto del K+ nell’endolinfa, attraverso gli epiteli, è un meccanismo attivo ad alto dispendio energetico che garantisce il potenziale endolinfatico (endococleare ed endolabirintico), il cui valore finale è dato dalla somma algebrica di due potenziali: – uno di + 120 mV generato dal trasporto attivo del K+ contro il gradiente elettrochimico, generato dalla Na+/K+-ATPasi localizzata prevalentemente nelle cellule marginali della stria vascolare della coclea e dalle cellule scure perimaculari del labirinto posteriore; – l’altro di - 40 mV dovuto al trasporto passivo del K+ che tende a fuoriuscire dall’endolinfa, in cui gioca un ruolo determinante la permeabilità dell’organo del Corti alla diffusione passiva dello ione. Nella coclea, l’attività della Na+/K+-ATPasi decresce dalla base all’apice, parallelamente al gradiente elettrochimico. La Na+/K+-ATPasi rende ragione dell’ingresso del K+ dalla perilinfa nelle cellule marginali o scure e della fuoriuscita del Na+ dalle cellule alla perilinfa; esistono poi altri due meccanismi responsabili rispettivamente del passaggio del K+ dalla cellula all’endolinfa e del Na+ dalla cellula alla perilinfa e dell’accoppiamento del movimento di ioni Na+ e K+ con il Cl- (Figura 3). LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Figura 2. Correlazioni tra i liquidi dell'orecchio interno, il liquido cefalo-rachidiano e il sangue implicati nella genesi di endolinfa e perilinfa. Mod. da: Sterkers, J Fr Otorhinolaryngol Audiophonol Chir Maxillofac 1984. 23 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 3. Meccanismo di formazione dell'endolinfa a livello cocleare. 24 LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Si rende concreto, quindi, un aspetto di diversità anatomo-funzionale all’interno delle singole sottosedi del labirinto membranoso: alcune parti sono coinvolte nella produzione dell’endolinfa (stria vascolare, regione perimaculare e parte prossima alla cresta ampollare di ciascun canale); altre che sono interessate dal riassorbimento dell’endolinfa (sacco endolinfatico) e altre che, infine, sembrano essere inerti dal punto di vista dell’omeostasi dei liquidi dell’orecchio interno (braccio non ampollare dei canali semicircolari, buona parte dell’utricolo e del sacculo) (Figura 4). Nell’ambito del sistema di barriera emato-labirintica occorre tenere distinti due compatimenti: la barriera emato-perilinfatica e quella ematoendolinfatica. Tutte le informazioni riguardanti i due sistemi sono ampiamente ottenute da prove sperimentali e per analogie comportamentali con i dati relativi alla barriera emato-encefalica. La lentezza del passaggio di alcune sostanze tra il plasma e la perilinfa ha fatto ipotizzare la presenza di un sistema di barriera che ha sede nei capillari perilinfatici, dotati di un rivestimento endoteliale continuo, mantenuto da giunzioni cellulari molto serrate e con scarsezza di vescicole pinocitotiche. • La configurazione capillare giustifica le caratteristiche principali della barriera emato-perilinfatica, che sono: 1. – impermeabilità alle macromolecole; 1. – selettività nel trasporto degli elettroliti e di molecole idrosolubili in funzione del loro peso molecolare; 1. – presenza di un trasporto facilitato per il Dglucosio. Figura 4. Composizione ionica di endolinfa, perilinfa e nel sacco endolinfatico. 25 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare In ordine progressivo di maggior permeabilità alle diverse sostanze (ioni, molecole), si può stabilire un scala di priorità nel passaggio tra sangue e perilinfa così schematizzata: Na+ = K+ = Cl- = D-glucosio > urea > L-glucosio = mannitolo = saccarosio. La barriera emato-endolinfatica, più che un’entità specifica anatomica, rappresenta un meccanismo funzionale che permette il mantenimento dell’omeostasi dell’endolinfa (analogamente ad una barriera emato-perilinfatica) e ne impedisce l’ingresso di macromolecole. Tale proprietà si acquisisce durante la vita embrionaria e la funzione di selettività nel passaggio di molecole all’endolinfa è meno efficace nei neonati che negli adulti (8). Le strutture anatomiche sede di regolazione della concentrazione del K+ nell’endolinfa si identificano nella composizione cellulare della membrana di Reissner, della stria vascolare, dell’organo del Corti e nelle “dark cells” variamente distribuite nel labirinto posteriore. • La membrana del Reissner è formata da due tipi di cellule: uno, di natura mesoteliale, si trova sul versante perilinfatico della membrana ed è caricata negativamente con conseguente capacità di blocco all’ingresso nell’endolinfa di anioni come il Cl-; l’altro, di natura epiteliale, dotato di giunzioni intercellulari serrate, si contraddistingue per la presenza di canali attivati dallo stiramento della membrana. • La stria vascolare costituisce l’elemento cardine nella produzione finale dell’endolinfa per la presenza di giunzioni cellulari serrate tra le cellule marginali e le cellule basali, stabilendo così un perfetto controllo nell’isolamento dei comparti endolinfatico e perilinfatico. I meccanismi di trasporto del K+ sono stati ben identificati nei modelli sperimentali e si identificano fondamentalmente nella presenza di canali di trasporto codificati geneticamente (KCNJ10, 26 SLC12A2, KCNE1, KCNQ1) (9-12). Il potenziale endococleare sarebbe generato dalle cellule intermedie della stria vascolare tramite i canali del K+ di tipo KCNJ10. • Il turnover del K+ si completa con la messa in evidenza di giunzioni comunicanti intercellulari, particolarmente evidenti a livello cocleare. Queste “gap junctions” formano dei veri e propri canali intercellulari consentendo la diffusione di piccole molecole (<1000 Da), di sostanze nutitrizie, di messaggeri chimici e di ioni. Sono formate da due emicanali uniti (connessoni), costituiti da proteine (connessine) determinate geneticamente. Il K+ viene rilasciato dal polo basolaterale delle cellule ciliate, dopo esservi penetrato in risposta alla corrente di depolarizzazione cellulare per l’accoppiamento meccano-elettrico; viene captato da cellule extrasensoriali, come quelle localizzate nel solco esterno, ma può anche essere trasportato attraverso la rete delle “gap junctions” agli spazi perilinfatici del lembo spirale e del legamento spirale. Il raggiungimento degli spazi endolinfatici avverrebbe, quindi, tramite la rete connettiva e le giunzioni comunicanti, sia attraverso il legamento spirale e la stria vascolare, sia attraverso le cellule interdentali del lembo spirale. LA REGOLAZIONE DEI TRASPORTI IDROELETTROLITICI NELL’ORECCHIO INTERNO Alcuni meccanismi di carattere endocrinologico sono in grado di intervenire nel controllo dell’omeostasi idrosalina dei liquidi dell’orecchio interno. L’enzima Na+/K+-ATPasi, fondamentale nella secrezione dell’endolinfa, viene attivato dai mineralcorticoidi, i cui recettori sono molto rappresentati nelle cellule marginali. LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA Il secondo sistema implicato nel determinare il volume e l’osmolarità dell’endolinfa è il sistema ADH/Adenilciclasi/AQP-2 grazie al quale, in seguito a variazioni dell’osmolarità plasmatica o ad una variazione di volume di essa, l’ormone antidiuretico è in grado di attivare l’adenilciclasi che, a sua volta, attiva la codificazione delle acquaporine (2 soprattutto), consentendo l’as- sorbimento di acqua secondo un gradiente osmotico (13,14). Numerose sono le segnalazioni sperimentali relative ad altri mediatori implicati nella regolazione dei liquidi dell’orecchio interno; tra queste, le prostaglandine, il fattore natriuretico, il fattore attivante le piastrine, gli estrogeni (17β-estradiolo). BIBLIOGRAFIA 1. Suzuki M., Kaga K. Development of blood-labyrinth barrier in the semicircular canal ampolla of the rat. Hearing Res 1999;129:27-34. 2. Juhn SK. Barrier system in the inner ear. Acta otolaryngol (Stockh) 1988;Suppl 458:79-83. 3. Reese TS, Karnovsky MJ. Fine structural localization of a blood-brain barrier to exogenous peroxidase. J 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Cell Biol 1967;34:207-17. Vorbrodt AW, Lossinsky AS, Dobrogowoska DH, Wisniewski HM. Distribution of anionic sites and glycoconjungates on the endotelial surfaces of the developing blood-brain barrier. Dev Brain Res 1986;29:69-79. Juhn SK, Rybak LP, Prado S. Nature of the blood-labyrinth barrier in experimental conditions. Ann Otol 1981;90:135-41. Juhn SK, Rybak LP, Fowlks L. Transport characteristics of the blood-labyrinth barrier. Am J Otolaryngol 1982;3:393-6. Hawkins JE. Microcirculation in the labyrinth. Arch Oto-Rhino-laryngol 1976;212:241-51. Stewart PA, Hayakawa EM. 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Kumagami H, Loewenheim H, Beitz E, Wild K, Schwartz H, Yamashita K et al. The effect of anti-diuretic hormone on the endolymphatic sac of the inner ear. Pflugers Arch 1998;436:970-5. 27 Capitolo 3 FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Una nuova finestra sulla patologia vestibolare Augusto Pietro Casani DISTURBI VESTIBOLARI: L’IPOTESI VASCOLARE Un fenomeno ischemico o emorragico che si verifica nell’ambito del distretto vascolare Vertebro-Basilare (V-B) può essere responsabile di un’ampia gamma di quadri clinici, nei quali la vertigine rappresenta indubbiamente un sintomo estremamente frequente. In effetti una buona parte delle sindromi vertiginose causate da un danno a carico delle strutture vestibolari centrali, così come molte manifestazioni vertiginose dovute ad una lesione della periferia labirintica, possono riconoscere un’eziologia vascolare. Tuttavia le manifestazioni vertiginose possono essere legate anche ad altri fattori patogenetici, per cui una precisa diagnosi eziologica assume estrema importanza specialmente nell’ottica di una corretta scelta terapeutica. La vertigine vascolare La definizione di “vertigine vascolare” è attualmente basata su criteri non ben definiti, spesso non supportati da una analisi documentata dei markers tipici di questo particolare agente eziologico, tanto che nella maggior parte dei casi essa appare più una ipotesi che una vera diagnosi di certezza. Di fronte ad una qualsiasi forma di patologia dell’organo stato-cinetico, si pone il problema clinico di identificare con precisione il fattore eziologico responsabile della sintomatologia vertiginosa, in particolar modo nell’ambito delle forme ad insorgenza acuta. Spesso il dilemma si riduce al dualismo tra origine vascolare e virale. Quest’ultima è supportata da numerosi studi che hanno dimostrato l’esistenza di DNA riconducibile al virus dell’Herpes simplex tipo 1 (HSV-1) e di altri virus neurotropi nei gangli e nei nuclei vestibolari di soggetti affetti da labirintopatia acuta periferica; è noto che, dopo un episodio di nevrite vestibolare, possiamo assistere ad un recupero funzionale che in alcuni casi può essere del tutto completo. Analogamente di notevole importanza sono i dati epidemiologici e anatomo-patologici. Durante i periodi di epidemia influenzale è possibile notare un significativo incremento degli episodi di vertigine acuta, tanto che è stata dimostrato la presenza di infiltrati compatibili con un’infiammazione virale nelle ossa temporali di pazienti deceduti, per altri motivi, che avevano manifestato in tempi recenti situazioni cliniche compatibili con una nevrite vestibolare. Tuttavia, di fronte ad un paziente che presenta un episodio vertiginoso acuto, non possiamo non considerare l’ipotesi vascolare tenendo pre- 29 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare sente i suoi risvolti, sia in chiave terapeutica che prognostica. A tal proposito, in assenza di dati indicativi che possono emergere sia da indagini di tipo otoneurologico che di imaging, rivestono un ruolo importante da un lato i dati anamnestici e. dall’altro, i dati clinici; di fronte a soggetti portatori di rilevanti fattori di rischio cardiovascolari (CV) – diabete, ipertensione, con episodi pregressi di infarto miocardio acuto o attacco ischemico transitorio, ecc. (Tabella 1) – non dobbiamo assolutamente trascurare l’attenta ricerca del fattore causale della vertigine. Questa fase dell’approccio diagnostico al paziente vertiginoso potrà permettere all’otoneurologo non solo l’impostazione di una terapia specifica per la risoluzione del quadro clinico attuale, ma anche di intervenire cercando di correggere tutte le condizioni di rischio cosiddette “modificabili”, al fine di impedire il recidivare della sintomatologia vertiginosa e di evitare l’evoluzione verso quadri clinici di tipo ischemico che potrebbero coinvolgere il SNC, specialmente nell’ambito del distretto V-B. Tabella 1. Dati clinici rilevanti per il rischio cardiovascolare. FATTORI DI RISCHIO DOCUMENTATI E MODIFICABILI PER LA PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE • • • • • • • • • • • 30 Ipertensione Arteriosa Malattie cardiache (Fibrillazione Atriale) Diabete Dislipidemia Obesità Iperomocistinemia Ipetrofia Ventricolare Stenosi Carotidea Fumo Alcol Ridotta attività fisica Accanto a questi elementi clinici, non dobbiamo dimenticare tutta una serie di considerazioni di natura anatomo-fisiologica che rappresentano elementi fondamentali per interpretare nella giusta ottica il ruolo dell’apporto vascolare alle strutture vestibolari periferiche e centrali: il SNC ha un peso pari al 2% del peso corporeo totale ma riceve il 15% della gittata cardiaca, valutabile all’incirca in 750 ml/min. Per questi motivi, il SNC necessita di una grande quantità di metaboliti, in quanto ossida esclusivamente glucosio attraverso il ciclo di Krebs, non potendo adottare modalità energetiche di tipo anaerobico. Una riduzione del flusso ematico cerebrale del 50-60% causa sintomi neurologici prodromici, mentre una sua interruzione per 8-10 secondi è generalmente sufficiente per indurre perdita di coscienza. Una lesione infartuale si produce quando il flusso decade sotto i 10-12 ml/100 grammi per minuto. IL MECCANISMO DI AUTOREGOLAZIONE DEL FLUSSO EMATICO CEREBRALE Il sistema circolatorio cerebrale assicura l’apporto di ossigeno e metaboliti attraverso una rete vascolare terminale multi-anastomotica, la cui regolazione è assicurata da diversi meccanismi fisiologici che permettono di mantenere un costante livello di perfusione. Gli elementi più rilevanti per un corretto flusso ematico cerebrale sono rappresentati dalla funzione cardiaca, in modo direttamente proporzionale e all’opposto, in modo inversamente proporzionale, dalle resistenze vascolari periferiche. In particolare, a livello del microcircolo cerebrale, il controllo delle resistenze vascolari è determinato da un meccanismo di autoregolazione che dipende sia dai valori pressori che dalla resistenza vasale al flusso, a sua volta correlabile al valore di viscosità ematica in rapporto al diametro del vaso stesso (Figura 1). FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Legenda: CBF, flusso ematico cerebrale (cerebral blood flow); CVB, volume ematico cerebrale (cerebral blood volume); CPP, pressione di perfusione cerebtrale (cerebral perfusion pressure); CVR, resistenza vasale nel microcircolo cerebrale (cerebrovascular resistance). Figura 1. Schema dell’autoregolazione cerebrale. L’autoregolazione cerebrale permette di mantenere costante il flusso ematico al parenchima encefalico anche in condizioni circolatorie generali piuttosto precarie, nell’ambito di valori pressori compresi tra 80 e 180 mmHg, in virtù di fenomeni di vasodilatazione (quando la PA si riduce) o di vasocostrizione (in presenza di elevati valori pressori). Possiamo distinguere due principali componenti – una statica e l’altra dinamica –dell’autoregolazione cerebrale. 1. La componente statica, relativa agli aggiustamenti di flusso in risposta alle variazioni progressive della pressione di perfusione, consente che il sistema si adatti ai nuovi valori di PA dopo una progressiva e graduale modificazione (Figura 2). La componente dinamica dell’autoregolazione cerebrale permette invece una sua rapida modificazione a seguito di brusche variazioni della PA. Il meccanismo di autoregolazione si basa principalmente sui seguenti processi fisiopatologici: L’autoregolazione mantiene un flusso cerebrale costante nonostante le variazioni della PA entro un range compreso tra 60 e 140 mmHg. Un abbassamento della PA oltre il limite inferiore riduce proporzionalmente il flusso, mentre un suo incremento al di là dei limiti superiori ne determina un aumento. Figura 2. Curva Pressione/Flusso relativa alla circolazione cerebrale. • Il livello di contrazione della tonaca muscolare delle arteriole e dei capillari (per azione del pericita): esso varia in modo inversamente proporzionale ai livelli di PA garantendo un costante livello di flusso ematico anche di fronte ad ampie variazioni pressorie. • Le variazioni di p02 e pCO2: è ampiamente dimostrato che una riduzione dei valori di ossigeno (e parallelamente un incremento dell’anidride carbonica) riduce il tono arteriolare. • Un meccanismo di tipo chemorecettorale, i cui recettori sono ben rappresentati sulla faccia ventrale del ponte e del bulbo. Il tono arteriolare può essere modulato in funzione delle variazioni del pH tissutale: in questo modo una acidosi comporta ad una riduzione del tono arteriorale con incremento del flusso ematico. • Esiste anche una componente neurogenica di controllo del tono arteriolare: il neurone può modulare la velocità di flusso ematico attraverso la liberazione di tutta una serie di sostanze peptidiche vasoattive (serotonina, dopamina, 31 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare GABA, ecc.) che vanno ad interagire su specifici recettori presenti sulla pareti delle arteriole con conseguenti variazioni del tono e quindi delle resistenza. • Infine, il ruolo dell’ossido nitrico (NO): sintetizzato sia nelle cellule nervose che in quelle dei vasi sanguigni a partire dalla L-Arginina attraverso un processo enzimatico, ha ricevuto, del tutto recentemente, una particolare attenzione. Pur non essendo ancor ben chiaro il suo ruolo, l’NO esercita una potente azione vasodilatatoria consentendo di mantenere costante il livello di perfusione cerebrale, specie in condizioni di riposo (Figura 3). Sembra comunque che l’NO, più che svolgere un’azione diretta rappresenti un fattore di controllo neurogeno in qualità di mediatore finale dell’effetto vasodilatatore colinergico. Non va dimenticato tuttavia che l’NO presenta anche un’azione ossidante in quanto genera radicali liberi (ROS) che limitano il metabolismo energeti- co. Infatti di fronte ad un fenomeno ischemico, all’inizio si verifica un incremento dell’azione di enzimi quali la NO-sintetasi a partenza dalle cellule vascolari, mentre, se l’ischemia si protrae, si assiste ad un incremento dell’NO in virtù di una produzione da parte delle cellule dell’infiammazione. Questo meccanismo riveste un ruolo determinante anche nell’ambito della circolazione dell’orecchio interno. Anche il flusso ematico dell’orecchio interno mostra gli stessi meccanismi di autoregolazione, indispensabili per il mantenimento di una corretta omeostasi dell’endolinfa. FISIOPATOLOGIA DELLA CIRCOLAZIONE DELL’ORECCHIO INTERNO L’apporto vascolare al labirinto e alle strutture vestibolari centrali è di competenza del circolo vertebro-basilare, la cui portata di 200 ml/min cor- Legenda: NO, ossido nitrico; eNOS, isoenzima endoteliale della ossido nitrico sintetasi; nNOS, isoenzima neuronale della ossido nitrico sintetasi; EC, cellule endoteliali; SMC, cellule del muscolo liscio; GTP, guanosin-trifosfato; cGMP, guanosin-monofosfato ciclico. Attraverso recettori citoplasmatici ed enzimi catalizzatori fuoriesce dalla cellula per indurre vasodilatazione ed inibire l’adesione e la migrazione nello spazio subendoteliale di piastrine e leucociti. Figura 3. L’ossido nitrico è sintetizzato da L-arginina all’interno delle cellule endoteliali e dei periciti. 32 FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO risponde all’incirca al 20% del circolo anteriore. Per questo il distretto V-B, in rapporto alla quantità di tessuto, ha maggiore necessità di metaboliti e di un adeguato e costante livello di perfusione. Di conseguenza il distretto V-B possiede una particolare sensibilità alle diminuzioni di flusso ematico e, poiché questa area cerebrale comprende la maggior parte delle strutture neurali coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio, si capisce come la vertigine possa essere considerata il sintomo più frequente e precoce di insufficiente perfusione ematica nel territorio normalmente irrorato dal circolo posteriore o vertebro-basilare. L’insufficienza vertebro-basilare (IVB) Generalmente un’ischemia nei territori irrorati dall’arteria vertebrale, basilare e dalle cerebrali posteriori viene definita “Insufficienza VertebroBasilare” (IVB), allo scopo di differenziarla da analoghi fenomeni ischemici riguardanti il distretto carotideo, le cui manifestazioni cliniche e il cui approccio terapeutico sono estremamente diversi. L’IVB riconosce numerosi meccanismi patogenetici, spesso associati tra loro: aterosclerosi, malformazioni congenite o acquisite, insufficienza emodinamica, compressione estrinseca, traumatismi, dissecazione, vasculite. Tutti questi fenomeni possono generare un deficit di perfusione di aree cerebrali diverse che può essere acuto o cronico. In quest’ultimo caso, interessando soprattutto i vasi di scambio, l’ischemia si instaura lentamente nel tempo realizzando un quadro di microangiopatia cerebrale. L’incidenza della patologia del distretto V-B è indubbiamente superiore a quanto riportato nelle casistiche più recenti, se consideriamo che le indagini autoptiche hanno permesso di riscontrare una patologia occlusiva della circolazione V-B nel 5-25% dei casi e che tale percentuale saliva al 25-50% se il paziente aveva mostrato in vita segni clinici di patologia cerebro-vascolare. La maggiore incidenza di lesioni ateromasiche interessa l’ostio e il tratto pre-foraminale dell’arteria vertebrale, mentre rare sono le lesioni nel tratto cervicale, ove possono prevalere fenomeni compressivi su base spondiloartrosica (Figura 4). Figura 4. Anatomia dei vasi cerebro-afferenti. 33 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Dobbiamo sottolineare inoltre un dato rilevante: nel distretto V-B esiste una elevata incidenza di anomalie anatomiche. In particolare le due arterie vertebrali presentano una asimmetria di calibro nel 50-80% della popolazione e addirittura nel 20% dei soggetti l’arteria vertebrale è emodinamicamente insufficiente. Considerando che sono necessari almeno 2 mm di calibro per garantire un flusso sufficiente, la presenza, evidenziabile al doppler o con angio-RM, di una A A. Proiezione antero-posteriore ipoplasia di questa arteria rappresenta un indicatore certo di possibile sofferenza da ridotta perfusione delle strutture vestibolari periferiche, così come delle regioni tronco-cerebellari, specialmente se coesiste un fattore compressivo che, a questo livello, è frequentemente legato ad una spondilosi cervicale. Le immagini angiografiche in figura 5 documentano quadri fisiologici di circolazione vertebro-basilare. B B. Proiezione laterale Si evidenzia l’area di lieve restringimento delle arterie vertebrali al momento della penetrazione intracranica attraverso il forame magno. Il primo ramo dell’arteria vertebrale è la PICA (arteria cerebellare postero-inferiore). AICA è l’arteria cerebellare antero-inferiore, generalmente di dimensioni minori della PICA. Dalla porzione posteriore dell’arteria basilare nascono numerosi piccoli vasi penetranti. Le frecce indicano le numerose piccole arterie che nascono dall’apice della arteria basilare e vanno ad irrorare le regioni diencefaliche. Figura 5. Normale aspetto angiografico della circolazione vertebro-basilare. 34 FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO IVB DA DANNO ISCHEMICO Da un punto di vista fisiopatologico si parla di ischemia nel momento in cui il flusso ematico ad un certo volume di tessuto risulta insufficiente ai suoi fabbisogni metabolici e, quando il difetto di irrorazione si protrae per oltre 5 minuti, gli organi sensoriali specifici vanno incontro a degenerazione. Il quadro clinico è quindi condizionato dalla durata e dalla sede colpita dall’evento ischemico. Se l’ischemia si prolunga ulteriormente si realizzeranno delle sindromi infartuali (stroke o ictus) diverse a seconda dell’arteria coinvolta e del territorio leso. Si parla di attacco ischemico transitorio (TIA) se la sintomatologia è completamente reversibile nell’arco di 24 ore in virtù di una risoluzione parziale o totale del fenomeno di ipoperfusione tissutale. Tuttavia, se i TIA assumono un carattere subentrante, il rischio imminente di stroke aumenta in modo significativo. IVB CENTRALE E PERIFERICA. Un’insufficienza vascolare a carico del distretto V-B può provocare un danno sia a livello centrale, con interessamento di tronco e cervelletto, sia a livello periferico, con interessamento di coclea e vestibolo, dando quindi luogo ad un quadro sintomatologico ed obiettivo estremamente polimorfo. Ne consegue che le strutture vestibolari periferiche e centrali possono essere interessate da un evento ischemico in modo permanente o transitorio, secondario o ad un deficit di flusso su base emodinamica anche ad albero vascolare integro, o per una ostruzione tromboembolica di un ramo arterioso più distale. In quest’ultimo caso entrano in gioco numerosi fattori patogenetici, quali: aterosclerosi dei grossi vasi, malattia delle arterie penetranti, traumatismi, malformazioni vascolari congenite o acquisite, compressione estrinseca, dissecazione, fenomeni di vasculite autoimmunitaria ecc. (Figura 6). Figura 6. Modello schematico della cascata di eventi coinvolti nella trombogenesi. L’embolia può riconoscere tre punti di origine: • cardiaca: 90% dei casi a partire da fibrillazione atriale, malformazioni cardiache, quali: pervietà del forame ovale, lesioni valvolari; • arteriosa: per distacco di un trombo da una sacca aneurismatica o per distacco da una placca ateromasica; • venosa: rara, per lo più in soggetti con pervietà del dotto di Botallo. In una recente casistica, la frequenza dell’embolismo cardiaco come causa di ischemia V-B è risultata estremamente elevata (37%), tanto che un’indagine ecocardiografica così come il monitoraggio del ritmo cardiaco devono essere considerati momenti diagnostici indispensabili nel paziente con fenomeni ischemici che coinvolgono il distretto circolatorio cerebrale posteriore. 35 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare L’ostruzione vascolare può dipendere anche da una trombosi in situ. La figura 7 mostra i siti più comuni di sviluppo di una lesione aterosclerotica, nell’ambito del distretto V-B. La stessa placca aterosclerotica, oltre che promuovere un’occlusione trombotica in situ, con conseguente ischemia dei territori irrorati da quel ramo arterioso, può rappresentare la sorgente di emboli che vanno ad ostruire rami più distali. Caplan ha introdotto il concetto di malattia dei piccoli vasi penetranti: le piccole arterie che irrorano il tronco e le regioni talamiche nascono dalle Legenda: AICA, arteria cerebellare antero-inferiore; ASA, arteria spinale anteriore; BA, arteria basilare; ECVA, arteria vertebrale extracranica; ICVA; arteria vertebrale intracranica; PCA, arteria cerebrale posteriore; PICA, arteria cerebellare postero-inferiore; SCA, arteria cerebellare superiore; ECVA, arteria vertebrale extracranica (extracranial vertebral artery). Figura 7. I siti di predilezione per la formazione di placche aterosclerotiche (a), dissecazione (d) ed embolismo (e). 36 arterie vertebrali, dalla basilare e dall’arteria cerebrale posteriore. Un focolaio aterosclerotico di queste arterie può bloccare o estendersi fino all’origine delle arterie penetranti oppure può indurre la formazione di microateromi al loro interno inducendo fenomeni ischemici di piccole dimensioni dei territori irrorati. In questi casi il fattore associato di maggiore importanza è l’ipertensione che può determinare un ispessimento iperialinotico di questi piccoli vasi favorendo ulteriormente il difetto di perfusione. Una causa importante, specie nei soggetti giovani, è rappresentata dalla dissecazione arteriosa. Anche se talora ci può essere un fattore scatenante (es. un trauma), più spesso la dissecazione avviene in modo spontaneo prevalentemente a livello extracranico in corrispondenza dell’origine dell’arteria vertebrale o del suo passaggio attraverso la regione della VI vertebra cervicale o dell’atlante. Più rare sono le dissecazioni in ambito intracranico che coinvolgono nella maggior parte dei casi la stessa arteria vertebrale, meno spesso la basilare. In base al meccanismo interessato potremo quindi avere: • Ipoperfusione dell’intero distretto V-B, per cui vaste e diverse aree possono subire un danno ischemico da cui può derivare, tra l’altro, un danno vestibolare associato periferico e centrale. • Ipoperfusione di aree di minori dimensioni per un coinvolgimento generalmente tromboembolico di rami arteriosi di minor calibro fino ad un interessamento del microcircolo da cui deriva una ischemia che coinvolge aree molto più circoscritte. I più comuni pattern di occlusione vascolare nell’ambito dei distretti V-B, sono: • Occlusione di una piccola arteria penetrante: ad es. un ramo della basilare che causa un infarto lacunare della regione pontina ventrale. FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO • Stenosi od occlusione di un ramo arterioso circonfenziale: ad es. PICA (arteria cerebellare postero-inferiore) o AICA (arteria cerebellare antero-inferiore). • Stenosi o occlusione di una grande arteria prossimale con ischemia distale su base emodinamica: ad es. una stenosi della vertebrale alla sua origine che causa vertigine acuta, atassia e disartria. • Occlusione su base embolica di un ramo prossimale per danno locale: ad es. un infarto occipitale secondario ad una placca aterosclerotica ulcerata nell’arteria vertebrale. • Occlusione su base embolica ad origine cardiogena: ad es. un infarto cerebellare conseguente ad un’embolia secondaria a fibrillazione atriale. SINDROMI VERTIGINOSE DA IVB CENTRALE E PERIFERICA Nell’area vertebro-basilare l’insufficienza circolatoria si esprime più precocemente a carico dei distretti irrorati dall’arteria uditiva interna, poiché il labirinto ha scarse capacità di adattamento e possiede una vascolarizzazione di tipo terminale. Per questo motivo, l’insufficienza circolatoria del distretto V-B rappresenta una causa comune di vertigine, soprattutto in soggetti di età superiore ai 50 anni; e l’elevata incidenza di questo sintomo, nell’ambito dei sintomi iniziali di IVB, conferma l’importanza dei disturbi del circolo posteriore nella genesi di molte sindromi vertiginose. Tuttavia risulta molto spesso difficile interpretare e accertare l’eziologia vascolare di un isolato episodio vertiginoso, quando esso non sia associato ad altri sintomi di natura neurologica. In effetti solo la contemporanea presenza di due o più segni/sintomi è considerata sufficiente per sospettare l’origine vascolare del problema. La sintomatologia vertiginosa che ne deriva può essere presente in forma isolata: in questo caso risulta generalmente di breve durata (3-5 minuti) a carattere rotatorio e tendenzialmente ricorrente, in quanto indotta da ipoperfusione periferica, o associata ad altri sintomi neurologici e quindi verosimilmente legata ad un interessamento delle strutture vestibolari centrali. Inoltre questi sintomi (Tabella 2) sono più indicativi di una sede di lesione che di una eziologia. Tra le forme centrali assume notevole importanza la sindrome di Wallemberg o Sindrome laterale del bulbo, causata da una ostruzione della PICA o, più frequentemente, dell’arteria vertebrale (Figura 8). Questa sindrome si caratterizza per l’insorgenza di vertigine rotatoria di lunga durata (da 12 ore fino a qualche giorno) con lateropulsione, nistagmo unidirezionale orizzontale rotatorio, parestesie periorali, sindrome di Horner e disartria. Nel suddetto quadro clinico, la sintomatologia vertiginosa è indistinguibile da quella di una nevrite vestibolare, per cui, di fronte ad un paziente con un quadro clinico caratterizzato da intensa vertigine rotatoria e nistagmo spontaneo Tabella 2. Sintomi di Insufficienza Vertebro-Basilare. • Vertigine • Disturbi visivi (diplopia, deficit del campo visivo, allucinazioni, cecità) • Turbe dell’equilibrio, atassia • Disturbi della sensibilità e motilità facciale • Drop Attacks • Segni cerebellari (incoordinazione) • Cefalea • Confusione mentale • Perdita di conoscenza • Disartria • Ipoacusia e acufeni 37 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 8. L’area colorata in rosa mostra la porzione cerebrale (porzione laterale del tegmento del midollo allungato) colpita da ischemia nella sindrome di Wallemberg. unidirezionale, è fondamentale ricercare la presenza dei segni neurologici (in particolare alterazioni della sensibilità facciale, segni di deficit degli ultimi nervi cranici, sindrome di Horner), specie se il paziente ha un’età superiore ai 50 anni ed è portatore di fattori di rischio CV. Nel caso di una ostruzione dell’AICA, si sviluppa una sindrome infartuale nella quale la sintomatologia vertiginosa può essere dovuta sia ad un danno ischemico delle strutture tronco-cerebellari, che ad un interessamento periferico audio-vestibolare, visto che l’arteria uditiva interna deriva per lo più dall’AICA. Più raramente un quadro clinico simile può essere la conseguenza di un infarto cerebellare isolato, specialmente del territorio irrorato dalla PICA, da cui l’importanza di ricercare segni compatibili con una lesione di questo distretto. Pertanto, di fronte ad un soggetto che presenta il quadro clinico della grande vertigine periferica in assenza di evidenti segni neurologici, si pone immediato il quesito riguardante l’eziopatogenesi del disturbo. In realtà, inquadrare una labirintopatia acuta periferica nell’ambito di una forma vascolare risulta molto spesso estremamente complesso, 38 tanto che si ritiene che queste ultime siano meno frequenti rispetto alle forme di origine ad esempio virale. La presenza di fattori di rischio CV, l’anamnesi positiva per pregressi episodi ostruttivi su base vascolare in altri distretti, l’età superiore ai 50 anni, rappresentano elementi clinici che possono far supporre l’eziologia vascolare del danno labirintico acuto monolaterale. Tuttavia è comunemente ritenuto che l’ischemia labirintica, rispetto alla forme di nevrite vestibolare, rappresenti una causa meno comune di sintomi vestibolari od uditivi isolati. Qualora la vertigine abbia un carattere meno violento e più ricorrente, ci possono essere di aiuto gli aspetti temporali, di durata, del quadro clinico, che possono rappresentare una chiave di lettura importante anche nella diagnosi differenziale. Vertigini episodiche di breve durata (3-5 minuti) e con rapida risoluzione in pazienti con fattori di rischio CV o con patologie cardiovascolari in atto, hanno generalmente un’eziologia vascolare; al contrario, come abbiamo già sottolineato, vertigini di durata maggiore e con graduale risoluzione hanno minori possibilità di avere un’origine ischemica. Questa osservazione FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO deriva da studi che hanno documentato che questo tipo di vertigine può precedere in un elevato numero di casi la comparsa di uno stroke. Infatti nel 25% dei pazienti con una ostruzione dell’arteria basilare rilevata alla valutazione autoptica, la vertigine ricorrente episodica rappresentava il sintomo iniziale ed unico. Nel 70% dei soggetti che hanno poi sviluppato TIA del distretto V-B, la vertiFigura 9. La vascolarizzazione dell’orecchio interno. gine ricorrente era il sintomo prevalente. In questi soggetti era spesso presente una ridotta restante 20% direttamente dall’arteria basilare – risposta del labirinto alle prove caloriche, a con- si divide nella arteria vestibolare anteriore (AVA), ferma dell’interessamento anche periferico del che irrora l’utricolo, la parte superiore del sacculo e i canali semicircolari anteriore e laterale, e deficit di perfusione. Tuttavia, in presenza di vertigine isolata è nella cocleare comune, che a sua volta si divide estremamente difficile stabilire l’eziologia vascola- nell’arteria cocleare principale e nella arteria vestire; in altri termini, esistono forme monosintomati- bolo-cocleare. Quest’ultima attraverso il ramo che di IVB? In effetti, di fronte ad un deficit vesti- vestibolare posteriore irrora la parte inferiore del bolare monolaterale associato ad ipoacusia sacculo (che comprende la macula) e il canale improvvisa ispilaterale, non è possibile escludere semicircolare posteriore (Figura 9). L’AUI è un’arteria terminale di piccolo calibro a priori un’origine vascolare legata nel caso specifico ad un’ostruzione dell’arteria uditiva interna. con scarsi collaterali, caratteristica che giustifica la Anche quando non vi sono manifestazioni udi- particolare suscettibilità delle strutture cocleotive associate, come non considerare un’origine vestibolari all’ischemia. Questa particolare precavascolare della vertigine? Il labirinto posteriore è rietà fisiologica è ancora maggiore per i distretti di irrorato dall’arteria vestibolare anteriore, vaso di competenza dell’AVA a causa della maggiore esipiccolo calibro privo di circoli collaterali e dal guità del calibro arterioso e per la totale assenza di ramo vestibolare dell’arteria cocleo-vestibolare. collaterali; per questo motivo si capisce come Le due arterie citate derivano dall’arteria uditi- un’alterazione vascolare dell’orecchio interno induva interna (AUI), il cui calibro non supera il decimo ca più facilmente fenomeni vertiginosi piuttosto di millimetro. L’AUI – che nasce nell’80% dei casi che patologie uditive. Questa peculiare condizione dall’arteria cerebellare antero-inferiore e nel vascolare della porzione vestibolare dell’orecchio 39 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare interno comporta evidenti conseguenze cliniche che portano anche a sottolineare il ruolo dei disturbi di circolo nella genesi di molte sindromi vertiginose. Sulla base di indiscutibili osservazioni anatomo-patologiche è possibile giustificare la cosiddetta sindrome di Lindsay-Hemenway (o sindrome dell’arteria vestibolare anteriore): in questo caso si verifica un danno a carico dell’orecchio interno su base vascolare in virtù di una ostruzione selettiva dell’arteria vestibolare anteriore. Il quadro clinico si caratterizza pertanto per un episodio acuto di vertigine acuta periferica seguito (indotto dalla lesione ischemica del canale semicircolare laterale e dell’utricolo) da crisi vertiginose posizionali parossistiche posizionali. L’utricolo degenerato libera una grande quantità di materiale otolitico che si deposita nel canale semicircolare posteriore che risulta tuttora funzionante, in quanto irrorato, insieme al sacculo, non dall’arteria vestibolare anteriore ma da rami dell’arteria vestibolo cocleare (Figura 10). IL MICROCIRCOLO COCLEO-VESTIBOLARE Partendo da questi presupposti che inducono a non sottovalutare il ruolo dei problemi circolatori nella genesi di disturbi vestibolari, spesso viene dimenticato che tutto l’apporto vascolare ai vari distretti corporei viene finalizzato dal microcircolo. Il microcircolo rappresenta la parte del sistema vascolare che porta a compimento il trasporto dei metaboliti ematici (ossigeno e glucosio) dai grossi vasi fino al tessuto cerebrale, ma la sua funzionalità è indubbiamente la più difficile da indagare, almeno in vivo. La struttura della sua parete vascolare ed in particolare le caratteristiche dell’endotelio rappresentano elementi di fondamentale importanza nell’autoregolazione del flusso ematico locale; in altri termini l’endotelio non è un semplice rivesti- 40 L’ostruzione dell’arteria vestibolare anteriore (AVA) causa una lesione ischemica del canale semicircolare anteriore (CSA), laterale (CSL) e dell’utricolo, mentre il canale posteriore (CSP) viene risparmiato. Figura 10 Schema della sindrome di Lindasy-Hemenway. mento delle strutture vasali ma svolge tutta una serie di funzioni che lo hanno fatto definire “organo” o “laboratorio” endoteliale (Figura 11). L’endotelio riveste la superficie luminale della parete vasale fino a livello dei capillari, che sono costituiti da solo endotelio. Esso si presenta come un singolo strato di cellule che riveste la superficie luminale della parete vasale che è costituita da cellule muscolari lisce, fibroblasti e Figura 11. La struttura dell’unità microcircolatoria: arteria, anastomosi arteriolo-venulare, letto capillare e vena. FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO fibre collagene ed elastiche (Figura 12). Per dare un’idea quantitativa dell’importanza di questa struttura basti pensare che la massa globale delle cellule endoteliali corrisponderebbe a 250 grammi in una persona di 70 kg con una superficie piana di 1200 m2. Il capillare è formato quindi da uno strato di cellule endoteliali allungate secondo l’asse longitudinale del vaso. Le cellule sono unite tra loro da una sostanza cementante di tipo reticolare. L’endotelio poggia su una membrana basale con l’interposizione di fibre collagene (Figura 13). La membrana basale in alcuni punti si sdoppia per avvolgere una cellula contrattile detta pericita (Figura 14) o miocita dotata di attività muscolare tale da garantire un minimo grado di tonicità della parete. Il pericita è una vera e propria cellula muscolare che si trova in uno stato di contrazione tonica e possiede una capacità contrattile spontanea e ciclica che realizza una continua alternanza tra vasodilatazione e vasocostrizione con un’azione conseguente di stimolo al flusso definita “flowmotion”. Questo meccanismo induce le ritmiche variazioni pressorie che costituiscono la principa- le fonte di energia cinetica necessaria per superare l’attrito viscoso che si sviluppa tra capillare e sangue, favorendone lo scorrimento. Inoltre il pericita sembra possa interferire nel controllo della replicazione delle cellule endoteliali tanto che la scomparsa del pericita, come avviene nella microangiopatia diabetica, può determinare una grave disfunzione della membrana basale. Periciti dotati di attività contrattile sono stati dimostrati Figura 13. Schema di cellula endoteliale di un capillare circondato da periciti. Attraverso i pori endoteliali avviene lo scambio tra lume vascolare e tessuto circostante, in presenza di membrana basale integra. Figura 14. Immagine al microscopio elettronico a scansione di un pericita (in colore fucsia) che circonda un’arteriola. Figura 12. Le cellule endoteliali presentano il nucleo colorato di blu. Le giunzioni intercellulari appaiono come linee scure (colorazione con nitrato d’argento). 41 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 15. Immagine di glicocalice arterioso a diversi ingrandimenti. nei vasi del ligamento spirale cocleare ipotizzando quindi un ruolo importante nella regolazione del flusso microcircolatorio dell’orecchio interno. L’endotelio cerebrale presenta aspetti peculiari che sono alla base della cosiddetta barriera emato-encefalica. La mancanza di fenestrazioni e la presenza di giunzioni serrate tra le cellule limita fortemente il trasporto passivo tra sangue e regione subendoteliale; il passaggio dei metaboliti viene a questo livello regolato da un meccanismo di trasporto attivo che comporta una rilevante spesa energetica ma che assicura una permeabilità selettiva al microcircolo cerebrale. I capillari sono in grado quindi di regolare il flusso in funzione del reale fabbisogno di metaboliti ed ossigeno da parte dei tessuti. L’entità del flusso viene regolata dalla tunica muscolare del canale (o anastomosi) di SucquetHoyer, dalle meta-arteriole e dagli sfinteri precapillari che indirizzano il flusso ematico sulla base della necessità attuale. Il sangue passa direttamente dalle arteriole alle venule tramite il canale di Sucquet-Hoyer, mantenendo una fisiologica irrorazione di tutti i distretti. Questo flusso viene tuttavia deviato quando uno specifico distretto richiede un maggior apporto nutritivo: il canale di Sucquet-Hoyer si restringe, gli sfinteri pre-capillari si aprono e il sangue arterioso arriva in quantità superiore nei capillari di quel distretto. Il flusso sanguigno sarà più lento tanto più si avvicina alla parete vasale e risulta quasi immobile 42 quando si trova a contatto con lo stato endoteliale. È a questo livello che assume un ruolo di assoluto rilievo la superficie interna del capillare. Essa è ricoperta da un rivestimento molecolare definito film endoteliale in cui sono presenti monomeri di fibrina e sostanze atrombogene. Queste due componenti sono costantemente in rinnovamento grazie ad un perfetto e costante equilibrio tra formazione di fibrina e fibrinolisi. Questo film non deve essere considerato un’interfaccia passiva, ma esso svolge diverse funzioni: • garantisce la coesione delle cellule endoteliali; • influenza la permeabilità capillare; • influenza la viscosità ematica; • interviene nei processi di coagulazione e di flogosi. Tra queste sostanze di fondamentale importanza sono i glicosaminoglicani (GAGs), la cui caratteristica fondamentale è quella di possedere cariche elettriche negative (gruppi SO4-) che proteggono la superficie endoteliale dall’adesione di leucociti e piastrine (Figura 15). L’integrità di questa barriera assicura, in condizioni fisiologiche, una risposta endoteliale equilibrata attraverso un meccanismo di “signaling” che potremmo definire come una mediazione esercitata dall’organo endoteliale relativa a tutti i segnali pressori, chimici ed enzimatici del flusso sanguigno. Le funzioni dell’endotelio (Figura 16) sono rappresentate da: • Attività di barriera diretta verso le cellule del sangue, composti macromolecolari, particelle libere e nei confronti del trasferimento di substrati metabolici. • Regolazione dell’emostasi attraverso un equilibrio tra fattori Pro-emostatici (che sottraggono al circolo fattori attivati della coagulazione) e Antitrombotici (GAGs) ad azione anticoagulante. I primi localizzano il processo emocoagula- FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Figura 16. In condizioni normali il glicocalice impedisce l’adesione degli elementi corpuscolati alla superficie endoteliale (A); nello schema (B) sono indicate le altre funzioni espletate dall’endotelio. tivo sulla superficie endoteliale e sottraggono al circolo fattori attivati della coagulazione. I secondi coinvolgono sia molecole simil-epariniche (GAGs, in particolare eparansolfato) della superficie interna dei capillari e della matrice extracellulare subendoteliale (eparansolfato, dermatansolfato e condroitinsolfato) che la trombomodulina, tutte sostanza ad attività anticoagulante. Un ulteriore fondamentale elemento di tromboresistenza è fornito dalla carica elettrica negativa dell’endotelio, garantita dalla solfatazione dei GAGs, che respinge le piastrine e altri elementi cellulari del sangue, impedendone l’adesione alla parete vasale. • Sintesi di costituenti della matrice extracellulare (collageno tipo IV e V, laminina, elastina, mucopolisaccaridi, fibronectina ecc.): si tratta di sostanze presenti nella membrana basale che hanno un ruolo fondamentale per l’adesione tra le cellule endoteliali, tra cellule endoteliali e substrato nonché tra le stesse proteine della matrice. Esse favoriscono il rimodellamento tissutale durante l’embriogenesi, della cicatrizzazione delle ferite e nella rimozione di detriti circolanti. • Regolazione del tono vascolare che avviene in virtù di appositi meccanocettori endoteliali che inducono la produzione di endotelina (potente 43 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare vasocostrittore), e di EDRF (Endothelium Relaxing Factor) ad azione vasodilatatoria. L’endotelio regola dinamicamente il tono vascolare agendo sui periciti attraverso un’intereferenza sul rapporto tra produzione di NOx (ossido nitrico) e la rimozione di ROS (radicali liberi di ossigeno). In condizioni patologiche tale rapporto (NOx/ROS) diviene negativo. • Angiogenesi. La formazione di nuovi vasi è legata alla capacità di sintetizzare i componenti della matrice extracellulare che fa da impalcatura per la crescita del nuovo endotelio. Questo processo viene modulato da fattori agonisti e antagonisti specifici (EGF, FGF, ECGF, IFN, TNF). Piccole lesioni endoteliali vengono invece riparate per migrazione delle cellule endoteliali adiacenti. • Interazione con i meccanismi che regolano la flogosi e l’immunità. I leucociti interagiscono normalmente con la parete vascolare durante il continuo rapporto sangue/tessuti e durante la genesi della risposta flogistica ed immunitaria. In condizioni di flogosi dell’endotelio (anche su base immunitaria) i leucociti aderiscono alla parete provocando lesioni che vanno dall’aumento della permeabilità alla morte cellulare con esposizione del subendotelio. Nell’ambito delle diverse funzioni endoteliali, il glicocalice di GAGs riveste il ruolo predominante in quanto esso riesce a modulare la risposta della parete vasale con un meccanismo detto “signaling”. Il film endoteliale ha uno spessore variabile da un minimo di 0.5 mm dei capillari ai 4.5 mm del-la carotide e i GAGs più rappresentati sono eparina/eparansolfato, dermatansolfato e condroitinsolfato. Il Dermatansolfato in particolare inattiva la trombina tramite il Cofattore Eparinico II che possiede potente azione antitrombotica. Il glicocalice contiene anche Glicoproteine (Selectine ed Integrine) che lo legano alla cellule endoteliali. In ogni distretto il glicocalice di GAGs regola l’equilibrio dinamico tra gli stimoli meccanici (es. pressori), chimici (es. glicemia) e biologici (es. ormoni) del flusso controllando in ultima analisi la risposta vascolare comportandosi come un vero e proprio sensore endoteliale (Figura 17). Il glicocalice di GAGs è indubbiamente il primo bersaglio degli insulti derivanti da alcune condizioni patologiche quali ipertensione, diabete, iperlipemia, iperviscosità, stasi e, in generale, tutte le condizioni che rientrano nei fattori di rischio CV (Figura 18). Figura 17. Il glicocalice di GAGs modula la risposta endoteliale in condizioni fisiologiche, in particolare proteggendo la parete vascolare dall’adesione di leucociti e piastrine per la presenza di cariche elettriche negative di superficie (gruppi SO4- dei GAGs). A. Glicocalice fisiologico. B. Glicocalice patologico. 44 FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Figura 19. Immagine schematica di un glicocalice intatto (a sinistra) e danneggiato (a destra). Figura 18. Schema delle funzioni protettive del glicocalice ed effetti patogenetici della disfunzione endotelale a livello di circolazione arteriosa e microvascolare. Queste condizioni patologiche determinano un’alterazione della composizione del glicocalice prevalentemente – e più precocemente – a livello dei piccoli vasi, in quanto la struttura più resistente delle arterie (laddove il glicocalice ha uno spessore maggiore) rende il processo di danneggiamento più lungo (Figura 19). La funzione protettiva è presente ovunque vi sia una superficie endoteliale. Tuttavia il suo ruolo sarà più rilevante laddove il glicocalice controlla direttamente gli scambi dei fluidi, quindi a livello del microcircolo. Nei vasi di maggior calibro il principale ruolo del glicocalice è quello di proteggere l’endotelio dall’adesione piastrinica e leucocitaria: quindi, in ultima analisi, dall’aterosclerosi vasale. Pertanto, sotto la spinta dei fattori di rischio CV, la degradazione fino alla rimozione dei GAGs della faccia endoluminale può innescare l’attivazione della flogosi endoteliale nell’ambito non solo dei vasi cerebrali di maggior calibro, ma anche nel microcircolo, compreso quello cocleovestibolare (Figura 20). Figura 20. Schema della reazione endoteliale al danno meccanico, chimico e biologico. 45 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Legenda: ALCAM, Activated Leukocytes Cell Adhesion Molecule; ICAM-1, Intercellular Adhesion Molecule-1; VCAM-1, Vascular Cell Adhesion Molecole-1; IL-1β, interleuchina 1β; TNF, tumor necrosis factor; IFN-γ, interferone-γ. (a) In condizioni normali le cellule endoteliali esprimono sia ICAM-1 sia VCAM-1 (in misura minore). (b) A seguito di uno stimolo infiammatorio si verifica una upregolation di ICAM-1 e VCAM-1 che comporta una migrazione transcellulare o pericellulare dei leucociti (freccia nera) e un signaling intracellulare nelle cellule endoteliali (freccia bianca). (c) Le giunzioni (in verde) tra le cellule endoteliali dei vasi cerebrali sono più dense e le stesse cellule esprimono ALCAM. (d) Durante il processo infiammatorio, la produzione di ICAM-1 e ALCAM è aumentata. ICAM-1 e ALCAM legano i rispettivi ligandi (LFA-1 e CD6) presenti sui linfociti, che possono così migrare fino a livello sub-endoteliale. Figura 21. Modello di attivazione di meccanismi pro-trombogeni di adesività piastrinica e leucocitaria, in presenza di danno endoteliale e conseguente degradazione dei GAGs di parete. La perdita dei GAGs determina la flogosi endoteliale esponendo direttamente le cellule endoteliali al flusso ematico, da cui deriva (anche in virtù dell’esposizione di proteine come Selectine e Integrine) l’adesione delle piastrine, il rilascio di fattori trombogenetici e la riduzione dell’attività fibrinolitica. L’adesione viene poi esaltata dalla presenza di molecole quali VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecole-1, prodotte sia da leucociti che fibroblasti), ICAM-1 (Intercellular Adhesion Molecule-1, prodotti dalle cellule endoteliali) e ALCAM (Activated Leukocites Cell Adhesion Molecule) (Figura 21). Queste ultime sono esclusivamente pre- 46 senti nell’endotelio cerebrale, laddove interagiscono con le integrine a livello della superficie cellulare. In tutto questo processo si verifica una significativa perdita delle cariche negative che caratterizzano la superficie dell’endotelio e che impediscono l’adesione degli elementi cellulari del sangue circolante sull’endotelio stesso: questo fenomeno permette il rolling dei leucociti sulle pareti vasali con adesione all’endotelio anche in ragione della brusca riduzione dei valori pressori tra area arteriolare e venulare, indotta dall’incremento della permeabilità vasale (Figura 22). Si vengono così a determinare le condizioni FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Figura 22. Fasi del danno endoteliale da rimozione del glicocalice di parete. favorevoli ad un evento trombotico e all’alterazione della permeabilità vasale, entrambi possibili responsabili di un fenomeno ischemico (Figura 23). In particolare l’adesione di leucociti piastrine promuove la cascata di citochine, l’espressione genica di fattori di crescita (ad es. VEGF, TGH, HGF) e il rilascio di fattori pro-trombotici. La concomitante alterazione della permeabilità vasale provoca una riduzione del passaggio di ossigeno Figura 23. Un grave danno ipossico dell’endotelio provoca l’esposizione dello spazio suendoteliale (apertura ovale evidenziata dalle frecce) che mostra lamelle elastiche (EL), detriti di fibre collagene (CO). Si evidenziano anche piastrine (TH) e propaggini della cellula endoteliale (E). ai tessuti da cui derivano fenomeni di sofferenza ischemica cellulare che causa l’alterazione della bilancia NOx/ROS. Il modello di risposta al danno Il danno endoteliale e la degradazione dello strato di GAGs ha conseguenze tissutali e conseguenze emoreologiche (Figura 24). Conseguenze Tissutali: • Iperpermeabilità di parete ed infiltrati leucocitari da cui deriva una diminuzione della perfusione di O2. • Diminuzione dell’attività contrattile e proliferazione dei periciti per produzione di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) con ispessimento della membrana basale. • Degradazione della matrice extracellulare per aumento di metalloproteasi (MMP) che si accumula negli spazi extracellulari. Conseguenze Emoreologiche: • Adesione di piastrine e leucociti e formazione di aggregati prodromici di fenomeni microtrombotici • Rilascio di fattori protrombotici (Tissue Factor) e riduzione di fattori inibenti l’attività della trombina 47 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare a causa del depauperamento di dermatansolfato sulla superficie endoteliale che funge da attivatore del cofattore eparinico II. • Ridotta attività fibrinolitica e iperviscosità con conseguenti disordini emoreologici. • Ridotto flusso ematico (stasi) per inibizione alla produzione di NOx e prevalenza dei radicali liberi di ossigeno (Alterazione della bilancia NOx/ROS). I ROS, sostanze ossidanti definite anche comunemente radicali liberi, sono gruppi di molecole prodotte a partire dall’ossigeno molecolare e sono caratterizzati dalla presenza di elettroni spaiati altamente reattivi in grado di danneggiare le strutture cellulari e la struttura di GAGs che protegge il lume endoteliale. La presenza di un elevato livello di ROS, come accade in corso di vasculopatia, provoca numerose conseguenze patologiche, tra cui: apoptosi, proteolisi incontrollata, azione mutagena sul DNA e perossidazione lipidica. Le conseguenze di un danno endoteliale si fanno inoltre risentire a livello sistemico: ovunque il danno si sia verificato, esso provoca uno stato di ipercoagulabilità che contribuisce ulteriormente all’insorgenza di un danno ischemico cerebrale. La lesione endoteliale determina una riduzione locale delle capacità antitrombotica, da cui deriva un accumulo di piastrine e leucociti. Una buona parte di questi elementi cellulari passa in circolo favorendo globalmente una condizione di ipercoagulabilità che aumenta il rischio ischemico specie nei casi in cui esiste un maggior rischio di disfunzione endoteliale sistemica, come accade nei soggetti anziani, negli ipertesi, diabetici e comunque con fattori di rischio CV (Figura 25). Il glicocalice di GAGs sulla parete vasale è oggi considerato una barriera fra la condizione vascolare fisiologica e quella patologica, tanto che l’integrazione dei GAGs di parete ripristina il tono vascolare attraverso la correzione della 48 Figura 24. Conseguenze dell’alterazione endoteliale. 1. Processi infiammatori da adesione piastrinica e leucocitaria. 2. Formazione di microtrombi per alterazione dell’attività fibrinolitica e rilascio di fattori protrombotici. 3. Alterazione della perfusione capillare. bilancia NOx/ROS che risulta invertita a favore dei ROS nei processi di danno endoteliale. Lo schema di risposta al danno su base flogistica endoteliale apre a nuove soluzioni terapeutiche che integrano i classici schemi terapeutici orientati alla correzione dei fattori di rischio CV e alle singole disfunzioni tissutali (ad es. ischemia) ed emoreologiche (ad es. trombosi), ponendo la reintegrazione dei GAGs di parete (glicocalice) come barriera ai processi flogistici endoteliali che sostengono la disfunzione endoteliale e i processi ischemici e trombotici connessi, caratterizzati come qualsiasi processo infiammatorio dalla capacità di autoalimentarsi al di là della correzione dei fattori di rischio CV che li hanno innescati. In questo senso, il glicocalice oggi è considerato come una vera e propria barriera che divide FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Figura 25. In presenza di un danno endoteliale (A), piastrine e leucociti si accumulano nel sito di lesione; numerosi elementi cellulari attivati possono passare nel circolo sistemico favorendo una condizione di maggiore trombogenecità del sangue. Se l’endotelio è normale (B), il sangue appare molto meno trombogenico prevenendo una interazione patologica tra le cellule circolanti e l’endotelio stesso. uno stato vascolare fisiologico da uno patologico. La reintegrazione dei GAGs di parete può essere pertanto considerata una tappa fondamentale per ristabilire un effetto barriera ai processi flogistici che sostengono la disfunzione endoteliale e i processi ischemici/trombotici ad essa connessi. Questi eventi hanno peraltro la capacità di autoalimentarsi anche laddove si sia provveduto alla correzione dei fattori di rischio CV che li hanno innescati. Pertanto la ricostruzione della barriera anionica (con le relative cariche negative) permette di ottenere una funzione antiinfiammatoria inibendo l’adesione dei leucociti, consente di ripristinare l’attività antitrombotica di parete attraverso l’inibizione dell’adesione piastrinica ed infine induce la normalizzazione del tono vascolare che viene alterato nei processi di danno endoteliale a causa dell’alterazione della bilancia NOx/ROS. Numerose sono le conferme sperimentali relative al ruolo dei GAGs nei fenomeni di stress ossidativo: è stato dimostrata la capacità del glicocalice di mobilizzare dalla matrice endoteliale alcuni enzimi quali la mieloperossidasi, prodotti dai processi flogistici dell’endotelio che riducono la biodisponibilità di NO. È stata inoltre documentata una correlazione diretta tra l’iperfibrinogemia e disfunzione endoteliale in soggetti sottoposti ad endoarteriectomia per patologia ischemica CV. L’ipotesi della ricostituzione del glicocalice come target terapeutico nelle patologie ischemiche CV viene confermata anche dal riscontro che il Cofattore Eparinico II legandosi al suo precursore, il dermatansolfato, in corrispondenza dei lesioni vasali quali la rottura di una placca ateromasica induce il rallentamento fino al blocco del processo aterotrombotico. I fenomeni descritti comportano in ultima analisi un insulto ischemico di una porzione variabile di tessuto cerebrale da cui deriva la perdita distrettuale dei meccanismi di autoregolazione. Tuttavia il flusso ematico privilegia le aree laddove questi meccanismi sono mantenuti, realizzandosi un fenomeno di furto vascolare a carico dei distretti ischemici il cui deficit di perfusione si aggrava ulteriormente. In questa fase se la noxa patogena viene rimossa si può verificare una fenomeno di riperfusione con ripristino dell’autoregolazione e 49 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare regressione della sofferenza neuronale. In molti casi la riperfusione (la cui realizzazione dipende dall’entità e dalla durata dell’evento ischemico) si instaura piuttosto rapidamente non permettendo quindi l’insorgere di sintomi clinicamente evidenti. I fattori di rischio cardiovascolare e i biomarkers Da quanto è stato finora esposto è possibile affermare che l’attivazione della flogosi endoteliale sia nei vasi cerebrali di maggior calibro che a livello del microcircolo è strettamente correlabile con i fattori di rischio CV. Pertanto lo studio della loro presenza nel soggetto con patologia vertiginosa rappresenta un momento di fondamentale importanza non solo ai fini diagnostici ma soprattutto in termini di approccio terapeutico. Analogamente l’individuazione di biomarkers specifici indicativi sia del rischio vascolare generico che, più specificatamente, di flogosi endoteliale può essere l’elemento chiave al fine di poter ipotizzare un fattore eziologico specifico nella genesi di molti disturbi vertiginosi. Accanto ai ben noti fattori di rischio (età, ipertensione, fumo, diabete, iperlipemia) dobbiamo anche prendere in considerazione la presenza di patologia cardiaca, in particolare i disturbi del ritmo (fibrillazione atriale) e alcune patologie congenite (pervietà del forame ovale) che determinano un rilevante rischio trombo-embolico a carico dei distretti V-B. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla introduzione di un sempre maggior numero di fattori di rischio misurabili con metodi di laboratorio, la cui effettiva validità ai fini della prevenzione primaria e secondaria della patologia cerebrovascolare su base prevalentemente aterosclerotica necessita in molti casi di una validazione clinica (Tabella 3). Per valutare gli specifici fattori di rischio ci affidiamo alla valutazione di biomarkers. Per bio- 50 Tabella 3. I fattori di rischio cardiovascolari. CLASSICI FATTORI DI RISCHIO (BEN DIMOSTRATI) • • • • • • • • • • Età Sesso Storia familiare positiva per malattie cardiovascolari Ipertensione arteriosa sistemica Abitudine al fumo Dislipemia Inattività fisica Obesità Diabete Stati prolungati di stress psico-fisico e/o particolari tipologie psicologiche • Condizioni economiche disagiate • Stato ormonale estrogenico NUOVI FATTORI DI RISCHIO (RECENTEMENTE PROPOSTI) • • • • Omocisteinemia Fibrinogenemia Lipoproteina(a) Microalbuminuria Enzima γ-glutamil transferasi (γ-GT) Angiotensina II Uricemia Marcatori della funzione coagulativa e fibrinolitica (come: d-Dimero e fattore V Leiden) • Marcatori di infiammazione, come: proteina C reattiva (CRP), molecole di adesione (VCAMs) e citochine pro-infiammatorie (come: IL-6 e TNF) • Agenti infettivi (Citomegalovirus, Herpes simplex virus, Chlamydia pneumoniae, Helicobacter pylori) • • • • marker si intende qualsiasi caratteristica che si possa oggettivamente misurare e quantificare come un indicatore di un processo normale o patologico o anche di una risposta farmacologica ad un intervento terapeutico. Pertanto il termine biomarker può essere riferito sia ad un’inda- FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO gine di laboratorio, sia ad un test funzionale (ad es. la misurazione della PA) che a tecniche di imaging (ad es. Doppler dei vasi cerebro afferenti). Nella pratica clinica, più biomarkers vengono utilizzati insieme: sorge allora il problema di stabilire se essi siano complementari o se invece aggiungano indipendentemente informazione diagnostica e prognostica, migliorando in tal modo il controllo terapeutico del paziente. Per questo motivo si tende a privilegiare un modello di rischio globale (Multi-Marker) che comprende un insieme di biomarcatori, il cui valore globale può rappresentare una corretta stima per la predizione di rischio CV. Entrando nel dettaglio dei biomarkers indicativi di rischio CV, questo è un gruppo molto eterogeneo che comprende elementi rilevanti non solo ai fini diagnostici, ma anche ai fini di prevenzione primaria e secondaria delle malattie circolatorie in genere. L'involucro esterno di una LDL è composto da apolipoproteine (APO)-B (principale componente proteica deputata al trasporto di colesterolo ai tessuti, che funge da ligando per i recettori delle LDL situati in numerose cellule dell'organismo) e da due tipi di molecole lipidiche: fosfolipidi e colesterolo non esterificato, nello strato tra involucro proteico esterno e core, il nucelo interno costituito da trigliceridi e colesterolo esterificato. Figura 26. Diagramma della struttura e dei componenti dell’aggregato lipoproeteico di una lipoproteina a bassa densità (LDL). Nonostante il gran numero di “nuovi” biomarkers suggeriti, lo studio del profilo lipidico rappresenta l’indicatore raccomandato anche dalle recenti linee guida per una valutazione routinaria del rischio CV. La riduzione del valore ematico delle lipoproteine a bassa densità (LDL) (Figura 26) comporta una marcata riduzione dell’incidenza di eventi clinici correlati a malattie delle arterie coronariche e cerebrali. Anche la proteina C reattiva (CRP) rappresenta a questo scopo un buon marker di rischio CV; la sua azione sembra riconducibile all’attivazione del complemento. Possiamo allora ipotizzare che CRP, marker dei processi arteriopatici su base infiammatoria, possa rappresentare, assieme ai valori ematici dei lipidi, un buon indicatore nelle patologie a carico dei piccoli vasi anche a livello cocleo-vestibolare. Su queste basi, LDL, valori di PA ed emoglobina glicosilata sono considerati validi marker di rischio CV dall’Agenzia Europea del farmaco. In particolare l’ipertensione arteriosa è associata ad una più elevata mortalità e morbilità per eventi cerebro-vascolari in virtù di modificazioni della capacità di autoregolazione del flusso ematico cerebrale (sia per variazioni dell’attività autonomica che per modificazioni strutturali dei vasi cerebrali che vanno incontro ad un ipertofia endoluminale ed ispessimento delle arteriole). Per questo viene consigliato un trattamento della PA se questa supera almeno in due valutazioni eseguite a distanza di tempo i valori di 160 (per la sistolica) e 95 per la diastolica. L’ematocrito è un importante indicatore della viscosità ematica e anche del contenuto di ossigeno nel sangue ed è noto che un incremento di patologico di questo parametro può indurre una riduzione del flusso ematico cerebrale. Anche il diabete rappresenta un rilevante fattore di danno circolatorio a livello dell’orecchio interno: in rocche petrose di soggetti diabetici 51 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare insulino-dipendenti, è stata ritrovata una marcata atrofia della stria vascolare, una riduzione delle cellule ciliate esterne ed un ispessimento delle parete vasali delle arteriole della membrana basilare e della stria vascolare. Recentemente molto interesse ha destato il possibile ruolo dell’aumento dell’omocisteina nel plasma nella patogenesi dei disturbi CV. L’omocisteina è un prodotto intermedio nel metabolismo della metionina, amminoacido sulfidrilico essenziale derivato dalle proteine alimentari. Studi epidemiologici hanno dimostrato che un aumento dell’omocisteina plasmatica con valori superiori a 12 micromoli/litro sono associati ad un aumento del rischio di malattia cerebrale vascolare di circa due volte e mezzo rispetto ai controlli. Il danno vascolare da iperomocisteinemia è riconducibile ad una azione lesiva diretta sull’endotelio e un incremento dell’adesività piastrinica. È stata dimostrata anche un’azione sui fattori di coagulazione riconducibile ad una riduzione dell’attività dell’antitrombina III, attivazione del fattore VII, ossidazione delle LDL ecc. Il rischio di ictus è di circa 2.5 volte maggiore in presenza di iperomocisteinemia. Accanto a questi markers ormai ben noti ve ne sono altri che possono dare indicazioni riguardanti la flogosi endoteliale e la vulnerabilità della placca ateromasica, attraverso la quantificazione serica dei valori delle molecole di adesione (ICAM-1, VCAM-1, Selectine). Un loro valore ematico elevato sarebbe riscontrabile in pazienti con patologia aterosclerotica dei vasi cerebro-afferenti e nelle patologie del microcircolo. Analogamente sono stati studiati anche markers recettoriali quali il TNF 1-2, che vengono correlati in modo significativo con la dimensione delle placche ateromasiche a livello carotideo. Nella lista dei markers di vulnerabilità va menzionata la lipoproteina-a. Sulla base dell’osservazione che la sua più piccola forma 52 isomorfa, l’apoproteina-a viene scissa da alcune metalloproteasi il cui ruolo nell’aterogenesi è ben documentato, si è dimostrata una forte associazione tra elevati livelli di frammenti di apoproteina-a e destabilizzazione della placca aterosclerotica. La fosfolipasi A2 lipoproteina associata (LP-PLA2) è stata recentemente approvata dalla FDA come utile biomarker predittivo per il rischio di stroke. Tuttavia, in generale, tutti questi fattori presentano comuni caratteristiche fisiopatologiche dato che sono strettamente associati e correlati ai processi fisiopatologici di formazione ed evoluzione della placca aterosclerotica. L’attenta analisi di questo processo permette quindi di discuterli in modo unitario. Come abbiamo già rilevato, infiammazione e trombosi rappresentano i due momenti chiave nella genesi del processo aterosclerotico: esso inizia come una lesione endoteliale localizzata laddove risultano maggiori le forze tangenziali dovute al flusso e alla pressione del sangue circolante (shear stress). La conseguente alterazione della funzionalità endoteliale si caratterizza per l’espressione di molecole di adesione sulla superficie delle cellule endoteliali (VCAM), molecole che possono passare nel torrente ematico e misurate nel siero del paziente. Per questo le VCAM (e altre molecole di adesione, quali la P-selectina, l’interleuchina-6, ecc.) potrebbero essere utilizzate per monitorare la progressione della lesione endoteliale e per evidenziare lesioni subcliniche. Nella sede del danno le LDL possono passare la barriera endoteliale per essere ossidate attraverso un processo che prevede l’intervento di monociti e linfociti T (Figura 27). Nella migrazione dei leucociti sono implicate molecole come selectine e citochine (cosiddette chemoattractant), mentre i macrofagi, una volta raggiunta l’intima vasale, possono imbibirsi di lipidi per poi replicarsi favoriti da alcuni fattori di FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Figura 27. Schema della migrazione dei leucociti dal sangue alla parete arteriosa con successiva liberazione di sostanze citotossiche e radicali liberi dell’ossigeno (ROS). crescita, tra cui l’interleuchina-3. I linfociti T elaborano citochine infiammatorie come il g interferone e il fattore di necrosi tumorale (TNF). L’evoluzione della lesione ateromatosa fa sì che si verifichi un incremento delle cellule muscolari lisce (stimolate tra gli altri dal fattore di crescita piastrinico, PDGF) così come la deposizione di una notevole quantità di matrice extracellulare come le metalloproteasi della matrice (MMPs) e l’inibizione della sintesi di collagene. Ciò comporta una progressiva riduzione dello spessore del cappuccio fibroso della placca che può scoprire il core lipidico che, a sua volta, essendo ricco di fattore tissutale, predispone all’aggregazione piastrinica e alla successiva trombosi della placca. Anche l’accumulo di cellule T e macrofagi comporta, attraverso la produzione di citochine pro-infiammatorie, l’ulcerazione della placca da cui possono derivare microemboli (Figura 28). Attualmente molte delle sostanze sopra menzionate sono misurate solo in laboratori specializzati, per cui non hanno un ruolo importante nella pratica clinica. La trombosi vasale che segue generalmente la rottura del cappuccio fibroso di una placca atero- masica instabile rappresenta l’evento principale per l’instaurarsi di un episodio acuto cerebrale su base aterosclerotica trombo-embolica. La valutazione di alcuni markers di attivazione del sistema coagulativo/fibrinolitico (fibrinogeno, D-dimero, fattore V Leiden, fattore VII, fattore von Willebrand) potrebbe pertanto essere utile per la valutazione del rischio in pazienti con patologia Figura 28. Evoluzione del processo aterosclerotico: dalla placca all’evento cerebrovascolare acuto. 53 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare CV, dato che un aumento di tali indici potrebbe indicare la progressione della trombosi vasale. Il D-dimero, prodotto di degradazione della fibrina, ha dimostrato di possedere un elevato livello di correlazione con i valori plasmatici di CRP, tanto che può effettivamente essere considerato anche un marker di infiammazione oltre che di trombosi. Elevati livelli di D-Dimero, associati ad alti livelli serici di indici di flogosi (CRP) potrebbero indicare l’esistenza di una marcata instabilità della placca ateromasica predittiva di elevato rischio a breve di fenomeni ischemici acuti. Il fattore vonWillebrand è una glicoproteina che si trova nel plasma, nelle piastrine e nell’endotelio vascolare e rappresenta il principale determinante dell’adesione delle piastrine all’endotelio danneggiato (Figura 29). Pertanto un incremento dei livelli plasmatici potrebbe essere un indice di rischio trombotico. La microalbuminuria (specie nei pazienti ipertesi e/o diabetici) sembra essere correlata ad una condizione di elevato rischio CV, con un meccanismo ancora sconosciuto. Un recente studio ha posto in relazione, nell’anziano, la presenza di microalbuminuria con patologia dei piccoli vasi cerebrali, indipendentemente dall’esistenza di altri biomarkers specifici. Anche l’emicrania può essere inserita nel novero dei biomarkers indicativi di rischio CV. Sono oramai ben noti i rapporti tra la patologia vestibolare e i disturbi di tipo emicranico tanto che la diagnosi di Vertigine Emicranica rappresenta un’entità clinica ben definita con un razionale terapeutico ben delineato. Pur non essendo ancora del tutto conosciuto l’intimo meccanismo alla base del processo emicranico, la presenza di alterazioni geniche che comportano anomalie dei canali del calcio rappresenta la causa di alcune forme emicraniche (emicrania basilare, emicrania emiplegica familiare); in effetti un anomalo funzionamento dei canali del calcio rende estremamen- 54 Figura 29. Meccanismo d’azione del fattore vonWillebrand (vWF). te instabile l’attività della cellula neurosensoriale e può indurre disturbi della composizione ionica dei liquidi dell’orecchio interno provocando così gli attacchi vertiginoso ricorrenti tipici della vertigine emicranica. Tuttavia l’emicrania può indurre patologie a carico del sistema dell’equilibrio anche attraverso un meccanismo puramente vascolare ischemico tanto che la International Headache Society inserisce tra le complicanze dell’emicrania la possibile insorgenza di episodi infartuali del distretto V-B. A titolo di esempio, è ampiamente documentato che il torcicollo parossistico dell’infanzia è riconducibile ad un’aura senza cefalea per ischemia del tegmento mesencefalico. Anche l’emicrania basilare si caratterizza per sintomi che sono chiaramente la conseguenza di un fattore ischemico che coinvolge il distretto vertebrobasilare. Infine sono numerose le evidenze cliniche e sperimentali che indicano la maggiore incidenza di patologia vestibolare periferica (vertigine parossistica posizionale, malattia di Meniere, cocleo-labirintopatia acuta improvvisa) in soggetti emicranici in virtù di un danno subischemico ricorrente da vasospasmo dell’orecchio interno da cui potrebbero derivare fenomeni di danno a carico del microcircolo con le relative conseguenze sul piano clinico. Infine la recente esplosione delle procedure di indagine di tipo genetico ha raggiunto anche il settore della patologia CV facendo prevedere la FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO futura disponibilità di test indicativi non solo di malattia CV ma anche di indagini tese ad ottimizzare il trattamento farmacologico attraverso una terapia personalizzata. L’analisi a livello del genoma comprende molte procedure che consentono l’identificazione di possibili geni (geni candidati) la cui alterata funzione potrebbe essere responsabile di particolari forme di malattie cerebro-vascolari, come anche l’analisi di polimorfismi (mutazioni geniche) che sono associati ad un aumento del rischio CV. Tuttavia l’utilità clinica dell’analisi di possibili geni candidati è limitata dal fatto che i più frequenti disturbi cerebrovascolari riconoscono un’eziologia multifattoriale; fattori ambientali e comportamentali interagiscono in maniera dinamica con la funzione di vari geni nel determinare i meccanismi che portano all’instaurarsi della malattia. Pertanto di fronte al processo aterosclerotico bisogna utilizzare un approccio genomico piuttosto che un’analisi genetica basata su un singolo locus genico. L’intento sarà quello di definire un profilo associato ad un maggior rischio di patologia CV attraverso l’analisi della funzione concomitante di più geni (gene clustering, expression patterns, proteonic fingerprint). Le analisi genetiche sono utilizzate solo in ricerche di fisiopatologia e ancora non hanno un riscontro nella pratica clinica. Solo a scopo esemplificativo riportiamo l’osservazione che le mutazioni geniche MTHRF C677T e A1298C (ubiquitarie nei paesi occidentali con una prevalenza del 27-41%) comportano alterazioni enzimatiche da cui deriva un incremento dei valori plasmatici di omocisteina da cui deriva un’alterazione della funzione endoteliale. In ambito audiologico tali mutazioni sono state poste in relazione con l’insorgenza di ipoacusia improvvisa. In un recente studio è stato infatti sottolineato il ruolo dell’associazione tra fattori pro trombotici acquisiti e ereditari nella genesi del danno del microcircolo cocleare. Pertanto, accanto alle classiche indagini sierologiche, lo studio dell’assetto genotipico relativo alla funzione piastrinica, protrombinica e del fattore V Leiden, potrebbe far identificare pazienti a potenziale rischio di sviluppare patologie audiologiche e vestibolari di origine ischemica. MICROCIRCOLO E PATOLOGIA VESTIBOLARE A livello cocleo-vestibolare le strutture recettoriali sono immerse in un fluido linfatico diviso in due aree, denominate perilinfa ed endolinfa, in equilibrio emostatico fra loro e con il network di capillari terminali del microcircolo cocleo-vestibolare realizzando un peculiare doppio equilibrio emostatico. Il dato saliente dell’equilibrio perilinfa-endolinfa che assicura le funzioni di trasmissione dei segnali cocleo-vestibolari è rappresentato dal potenziale sodio-potassio, laddove la perilinfa è il serbatoio di sodio (150-180 mM) e l’endolinfa quello di potassio (150-180 mM) (Figure 30, 31). Tale potenziale è funzione della pressione di perfusione sanguigna e l’orecchio interno dimostra, in esperimenti condotti in vivo, ampie capacità di regolazione autonoma in grado di ripristinare il potenziale Na+/K+ in meno di un minuto (compenso fisiologico), dopo avere indotto una variazione repentina della pressione di perfusione. Tali capacità di autoregolazione sono largamente superiori a quelle riscontrabili nella microcircolazione cerebrale. Un esempio di questo tipo di struttura è rappresentato dalla stria vasculare che garantisce il potenziale endococleare e la composizione ionica dell’endolinfa (Figura 32). La stria vascolare è ricca di strutture microvascolari. A contatto con lo spazio endolinfatico si trova uno strato di cellule marginali, caratterizza- 55 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 30. Composizione ionica dei liquidi dell’orecchio interno. te da legami intercellulari molto stretti e da numerosi mitocondri (Figura 33). Subito sotto vi sono capillari e le cellule intermedie. A contatto con il ligamento spirale si trovano numerosi strati di cellule basali piatte. Tra lo strato di cellule intermedie e quelle basali si trovano delle giunzioni molto aderenti (tight junctions) che si ritiene possono rappresentare una vera e propria barriera al movimento ionico attraverso gli spazi interstiziali. Inoltre questi stretti contatti tra cellule basali ed intermedie sono così Figura 32. La striscia vascolare. 56 Figura 31. I potenziali endococleari. aderenti da far pensare che queste cellule formino quasi una struttura sinciziale permettendo addirittura lo scambio di sostanze intracellulari. Questa barriera viene considerata un vero e proprio sbarramento tra i liquidi dell’orecchio interno e le strutture vascolari. È stato dimostrato che un incremento della pressione dell’orecchio interno (derivato dall’incremento dei valori pressori sia endolinfatici che perilinfatici) comporta FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO Legenda: BC, cellule basali; CAP, vasi capillari; IC, cellule intermedie; MC, cellule marginali. Figura 33. Ultrastruttura della stria vascolare. una riduzione del flusso ematico cocleare più evidente al livello del microcircolo e dei capillari, allo stesso modo con cui un incremento della pressione del liquido cerebro-spinale riduce la perfusione cerebrale. Anche a questo livello è possibile ipotizzare che possa verificarsi una patologia del microcircolo basata sul modello precedentemente descritto da cui deriva una sofferenza delle strutture neurosensoriali vestibolari ma anche delle vie vestibolari centrali. La teoria di Risposta al Danno endoteliale su base flogistica che spiega i processi aterosclerotici e aterotrombotici a partire dai distretti microcircolatori, è stata di recente confermata anche a livello della circolazione cerebrale, con l’individuazione di mediatori flogistici a livello dei micro- e macro-vasi in pazienti con cerebrovasculopatie rispetto a pazienti sani. L’adesione dei leucociti è considerata cruciale nella patogenesi, lasciando speculare sul valore di terapie anti-adesive e anti-flogi- stiche vascolari. Pertanto possiamo ipotizzare che l’origine di molti disturbi vestibolari in soggetti con fattori di rischio CV possa riconoscere lo start-up nella flogosi che può innescarsi a livello vascolare, sotto la spinta dei fattori di rischio cardiovascolari e trombotici. D’altro canto sono ben conosciute le disfunzioni dell’equilibrio e dell’udito associate a fenomeni autoimmunitari. In questi casi si realizza un danno endoteliale e microcircolatorio su base flogistica immuno-mediata da cui deriva una lesione ischemica. In questi casi si realizza una vasculite ovvero un processo infiammatorio della parete vasale con alterazioni del flusso e dell’integrità dei vasi (Figura 34). Esistono numerose evidenze di danno cocleo-vestibolare in pazienti con questo tipo di patologia. L’arterite a cellule giganti è la più comune forma di vasculite dell’anziano che interessa i vasi di medio e grosso calibro. Esiste una elevata incidenza di VPP in questi pazienti: 20% contro il 2% della popolazione generale e poichè le manifestazioni cliniche della GCA sono causate da fenomeni ischemici si può ipotizzare una causa vascolare alla base della VPP. Nella crioglobulinemia mista essenziale, vasculite che interessa i piccoli vasi, è estremamente frequente sia un danno neurosensoriale all’orecchio interno, sia un danno a livello delle strutture vestibolari con un’alta incidenza di VPP. Un altro quadro clinico raro ma estremamente interessante è rappresentato dalla sindrome di Susac (Figura 35). Si tratta di una patologia piuttosto rara causata da una encefalopatia subacuta multifocale associata a sintomi audiovestibolari e oculari dovuta a fenomeni di microangiopatia da vasculite anche se non si hanno alterazioni sierologiche tipiche. Altri sintomi associati sono la cefalea, disturbi della memoria comportamentali e cognitivi e 57 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 34. La flogosi (autoimmune) della parete dei vasi provoca i danni endoteliali descritti nel modello di risposta al danno provocando una riduzione del flusso ematico già presente in virtù della riduzione del lume vascolare a causa dell’ispessimento della parete. l’atassia. La sintomatologia si caratterizza, oltre che a sintomi oculari (alterazioni segmentali del campo visivo per ostruzione su base vasculitica di rami dell’arteria centrale della retina, da una ipoacusia bilaterale neurosensoriale a rapida progressione o improvvisa e da vertigini ed instabilità con segni sia periferici (per ripetuti microinfarti del labirinto) che centrali. In questo soggetti la RM mostra aree iperintense in T2 diffuse sia a livello sopra che sotto-tentoriale indotte da microinfarti per trombosi indotta da vascu- Figura 35. Aspetto tipico della risonanza magnetica nei pazienti con sindrome di Susac: aree iperintense in T2 diffuse sia a livello corticale che a livello sottocorticale, esito dei microinfarti per trombosi indotta da vasculite dei piccoli vasi. 58 lite dei piccoli vasi (infiltrati perivascolari ma non necrosi fibrinoide). Questo quadro di imaging, associato ad anomalie evidenti alla fluoro angiografia, permettono la diagnosi. Pur essendo una patologia piuttosto rara la sindrome di Susac offre numerosi spunti fisiopatologici che ci inducono a confermare l’effettiva esistenza di una patologia vestibolare su base ischemica per danno specifica del microcircolo centrale e periferico Anche dal punto di vista sperimentale possiamo evidenziare il ruolo fondamentale dell’endotelio nella normale funzionalità delle strutture deputate al mantenimento dell’equilibrio. Le cavie con sindrome di Alport, patologia presente anche nell’uomo e caratterizzata da alterazioni dell’omeostasi labirintica, mostrano un innalzamento dei livelli di MMP 29 (proteasi di degradazione della matrice endoteliale) tipici del rimodellamento vasale osservabile nella aterosclerosi che segue la flogosi endoteliale. Un altro studio sperimentale ha dimostrato che il flusso ematico dell’orecchio interno si riduce in corso di esposizione al rumore, tanto che nelle cavie esposte al rumore si è riscontrato un FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO aumento del VEGF, espressione del processo flogistico endoteliale. Queste evidenze sperimentali possono dare un ulteriore spinta all’affermazione del fatto che molti danni dell’orecchio interno sia dovuti al trauma acustico che a sindromi metaboliche, si esprimono attraverso una flogosi endoteliale. Una volta documentato sperimentalmente, clinicamente e anatomo-patologicamente che molte forme vertiginose possono essere di origine vascolare, come possiamo essere certi che in un determinato paziente l’origine del disturbo vertiginoso sia di origine vascolare? A questo punto visto che la valutazione otoneurologica non dà informazioni di tipo eziopatogenetico e che gli esami strumentali hanno un significato limitato, il ruolo delle indagini emato-chimiche diviene essenziale nella diagnosi di vertigine vascolare, anche alla luce delle evidenze relative al modello endoteliale di risposta al danno. Sulla base delle evidenze diagnostiche vascolari sono state intraprese numerose indagini volte a valutare la correlazione fra i fattori di rischio CV e i disturbi cocleo-vestibolari con risultati che confermano l’ipotesi del coinvolgimento dell’emostasi emato-labirintica nei processi aterotrombotici alla base dei disturbi cocleo-vestibolari di origine vascolare. Un nostro lavoro ha cercato di studiare il ruolo del D-dimero (parametro emato-chimico riconducibile ad uno stato di ipercoagulabilità) nella patologia vertiginosa acuta. È stato effettuato un confronto tra un gruppo di 45 pazienti con disfunzione vestibolare periferica (APV) e un gruppo di controllo di 25 pazienti affetti da Sindrome di Menière. Sono stati misurati, in sede di diagnosi e dopo sei settimane di wash out farmacologico, i livelli di D-dimero, riscontrando un aumento degli stessi nel 51,1% dei pazienti (> 300 ng/ml) rispetto al 16% del gruppo di controllo. Il campione mostrava inoltre livelli elevati di fibrinogeno (> 400 mg/dl) nel 17,7% dei casi e di lipoproteina a (> 30 mg/dl) nel 42,2%. Un incremento del D-dimero è espressione di un’alterazione del sistema emostatico (Figura 36). A. Il livello ematico delle lipoproteine (a) si abbassa durante la fase acuta di una forma vertiginosa periferica, mentre si innalzano gli indici generici di flogosi (CRP, fibronogeno, citochine ecc.) B. Aumento dei livelli di fibrinogeno, D-dimero, lipoproteine, leucociti nei pz con APV, sia nella fase acuta che nel periodo di followup, rispetto a pz con malattia di Menière. Legenda: APV, patologia vertiginosa acuta. Figura 36. Le alterazioni di alcuni biomarkers emato-chimici (D-dimero, fibrinogeno lipoproteine) danno una indicazione eziopatogenetica, nella diagnostica della vertigine vascolare (Da: Casani et al, Otol Neurotol 2009). 59 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare È stato altresì dimostrato che il livello ematico delle lipoproteine si abbassa durante la fase acuta di una forma vertiginosa periferica (Nevrite Vestibolare) mentre si innalzano gli indici generici di flogosi (CRP, Fibrinogeno, Citochine ecc.). In letteratura sono riportati altri studi che parlano di una possibile correlazione tra aumentati livelli serici di fibrinogeno e ipoacusia improvvisa, ma non è stata dimostrata una significativa differenza per lipidi ematici tra pazienti con ipoacusia improvvisa e pazienti con infarto miocardio. In una recente pubblicazione è stata riportata una correlazione statisticamente significativa tra l’iperlipemia e l’ipertensione e la presenza di vertigini di origine vestibolare, mentre l’associazione con il diabete appare meno significativa. Riconoscere l’origine vascolare di un quadro clinico caratterizzato da sintomi audiovestibolari risulta comunque una sfida piuttosto complessa. La sfida appare ancor più complessa quando ci troviamo di fronte ad una vertigine isolata. Come abbiamo già ampiamente discusso la causa più comune di IVB è rappresentata dall’aterosclerosi di uno o più vasi del distretto V-B. cause meno comuni sono rappresentate dalla sindrome da furto della succlavia, dissezione arteriosa, tromboangioite obliterante, policitemia o disturbi della coagulazione, il tutto favorito da meccanismi compressivi indotti ad esempio da osteofiti durante i movimenti di iperestensione ed estrema rotazione del collo (Figura 37). L’importanza dello studio dei fattori di rischio CV nella diagnosi di vertigine vascolare è stata recentemente sottolineata da uno studio retrospettivo eseguito su un elevato numero di pazienti sottoposti ad angio-RM, suddivisi in base alla normalità delle arterie vertebrali od ad una loro anomalia (ipoplasia o stenosi). Di questi pazienti vennero analizzati i fattori di rischio per stroke (età, sesso, pregresso TIA, ipertensione, diabete, iperlipemia, fumo) e, a seguito di analisi statistica, venne evidenziata una correlazione tra la presenza di vertigine episodica isolata e almeno 3 fattori di rischio nel gruppo dei soggetti con anomalia delle arterie vertebrali. La comparsa della vertigine potrebbe essere legata a transitori episodi ischemici delle strutture vestibolari periferiche o Figura 37. Schema riassuntivo dei fattori di rischio per l’insorgenza di una vertigine su base vascolare. 60 FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO centrali, durante la rotazione od estensione del collo che va a comprimere l’arteria vertebrale stenotica in pazienti con anomalie bilaterali. Questa correlazione induce a prendere in considerazione l’utilità di una valutazione neuroradiologica dell’albero vascolare V-B in soggetti affetti da vertigine isolata (specie se posizionale) o da dizziness di origine ignota, se sono presenti almeno tre fattori di rischio CV. Abbiamo visto come in tutti i distretti dell’orecchio interno un danno microcircolatorio possa giustificare una sintomatologia cocleo-vestibolare. Accertata l’impossibilità di una diagnosi di vertigine vascolare su base puramente strumentale, la diagnosi si avvale attualmente di elementi clinico- anamnestici. Nell’ambito dei dati clinico-anamnestici, al di là dei comuni fattori di rischio, è importante valutare attentamente in questi pazienti i fattori di rischio CV, specie quelli evidenziabili con gli esami ematochimici, con particolare attenzione all’assetto lipidico all’omocisteina e anche al D-dimero, fibrinogeno e alla proteina C reattiva. Se abbiamo delle indicazioni che ci fanno ipotizzare un danno dell’endotelio possiamo intervenire in maniera sicuramente efficace con una terapia a base di farmaci con attività anti-aterotrombotica (farmaci di parete) tra cui Suledexide rappresenta quello di maggior rilievo. BIBLIOGRAFIA – Ainslie PN, Tzeng YC. On the regulation of the blood supply to the brain: old age concepts and new age – – – – – – – – – – – ideas. J Appl Physiol 2010;108:1447-9. Berrettini S, Ravecca F, Marcaccini M, Forli F, Casani A, Sellari-Franceschini S. Reccurrent vestibulo-cochlear pathology due to immunologic origin. Acta Otorhinolaryngol Ital 2003:23(Suppl 75):57-68. Capaccio P, Cuccarini V, Ottaviani F, Fracchiolla NS, Bossi A, Pignataro L. Prothrombotic gene mutations in patients with sudden sensorineural hearing loss and cardiovascular thrombotic disease. Ann Otol Rhinol Laryngol 2009;118:205-10. Casani AP. La sindrome di Lindsay-Hemenway. Aggiornamenti in Vestibologia, 2a Ed. Modena 2005. Casani AP. 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Biomarkers of cardiovascular disease: molecular basis and practical consideration. Circulation 2006;113:2335-62. Capitolo 4 LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE Marco Manfrin INTRODUZIONE Un difetto di vascolarizzazione nelle strutture dell’orecchio interno è ritenuto responsabile di numerosi quadri clinici che differiscono a seconda delle modalità d’insorgenza (deficit acuto o cronico) e delle diverse sedi coinvolte. La distribuzione distrettuale della circolazione arteriosa nell’orecchio interno rappresenta il razionale interpretativo di sintomi e segni clinici, con rare eccezioni. Vi sono dei limiti nello stabilire la genesi vascolare di un disturbo cocleo-vestibolare, poiché le strutture recettoriali sono avvolte da uno spesso involucro osseo che ne impedisce l’osservazione diretta o indiretta, anche se in qualche caso l’indagine intensitometrica consente la diagnosi di emorragia intralabirintica (1) o, in caso di “stroke” con sintomi uditivi, consente di identificare la sede dell’alterato flusso ematico (2). La comparsa di disturbi cocleovestibolari in soggetti definibili “a rischio vascolare” per presenza di fattori generali specifici rappresenta, a tutt’oggi, il criterio clinico maggiormente in uso (3-6). Gli effetti dell’occlusione arteriosa sull’orecchio interno sono tanto maggiori quanto più vicino al meato acustico interno si trova il punto di compressione (7), dato supportato anche dal fatto che, pur considerando l’arteria uditiva inter- na un ramo terminale dell’arteria cerebellare anteroinferiore (AICA), sono state descritte molte anastomosi tra l’AICA stessa e alcuni rami pontini dell’arteria basilare (8) in grado di sopperire al flusso ematico cocleo-vestibolare per occlusioni più prossimali dell’AICA. PREMESSE ANATOMICHE Per quanto vengano descritte varianti anatomiche nell’irrorazione arteriosa delle diverse aree recettoriali cocleovestibolari, il dato più comune è quello schematizzato nel diagramma in Figura 1. Lo schema riportato giustifica la semeiotica cocleo-vestibolare sia attraverso la valutazione di eventuali segni spontanei o rivelati, sia attraverso l’analisi strumentale delle singole aree recettoriali. CLINICA DEL DEFICIT LABIRINTICO ACUTO L’esordio improvviso e acuto di un deficit vascolare dell’orecchio interno in genere è monolaterale e può riguardare tutto l’orecchio interno o solo parte di esso. Può essere di natura emorragica o infartuale e, in questo caso, può essere sostenuta da compressioni estrinseche dell’arteria o per patologia intrinseca, come quella tromboembolica. 63 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 1. Semeiotica cocleo-vestibolare. 64 LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE La premessa anatomica, tuttavia, indica che l’emergenza dell’arteria uditiva interna si pone ad angolo retto rispetto al decorso dell’AICA, in tal modo garantendone una sorta di protezione dall’ingresso di materiale embolico, ma esponendola invece più facilmente, alle lesioni intimali che possono verificarsi per aumenti pressori endoarteriosi improvvisi (punto di turbolenza): tale aspetto rende più frequente il meccanismo trombotico rispetto a quello embolico. Si tratta di una situazione clinica d’emergenza/urgenza che richiede un’attenta valutazione semeiologica fisica e, spesso, un ausilio radiodiagnostico. In caso di perdita improvvisa della funzione cocleo-vestibolare, l’indagine RMN è in grado di svelare anomalie in circa il 35% dei casi (9), di cui solo l’1,1% a carico dell’orecchio interno, il 6,5% nel condotto uditivo interno/angolo ponto-cerebellare, il 3,4% a carico delle vie uditive localizzate nel tronco dell’encefalo e il 22% con positività indiretta per evidenza di lesioni microangiopatiche diffuse nell’encefalo (Figura 2). Il sintomo più frequente di carattere vestibolare è la vertigine o, meglio, la grande crisi vertigi- nosa (10), anche se è possibile la comparsa di un’instabilità improvvisa, ai limiti dell’atassia. Acufeni e ipoacusia, sino all’anacusia, corrispondono al danno cocleare con le caratteristiche proprie delle ipoacusie, parziali o panfrequenziali, a sede recettoriale. Per definizione, si definisce come ipoacusia improvvisa la perdita di almeno 20 dB, di tipo neurosensoriale, che si sviluppa in un periodo di tempo che va da qualche minuto a ore (Figura 3) (11). In tabella 1 è riportato un quadro sinottico dei dati della semeiotica relativa al deficit acuto su base vascolare cocleo-vestibolare. • Nella perdita improvvisa della funzione cocleovestibolare monolaterale, il Nistagmo (Ny) spontaneo e le deviazioni segmentario-toniche corrispondono alla sindrome deficitaria acuta periferica di tipo armonico con sintomi e segni che permangono, con una certa intensità, per almeno 48-72 ore. La successiva attivazione dei meccanismi rapidi di compenso e quelli più tardivi di adattamento consentono il recupero delle funzioni oculomotorie e vestibolospinali, anche se nel complesso vi può essere una Figura 2. Immagine coronale RMN T1-pesata di emorragia intralabirintica sinistra: il segnale iperintenso (freccia) è legato alla presenza di sangue all’interno del labirinto membranoso (9). Figura 3. Quadro audiometrico di ipoacusia improvvisa sinistra. 65 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Tabella 1. Dati della semeiotica relativa al deficit acuto su base vascolare. Arteria Territorio Semeiotica canalare Semeiotica otolitica Semeiotica cocleare Uditiva interna Orecchio interno Ny spontaneo orizzontale-rotatorio, persistente, stazionario monodirezionale, pluriposizionale diretto verso il lato sano Ocular tilt reaction verso il lato leso Verticale visiva soggettiva inclinata verso il lato leso VEMPs assenti Anacusia, acufeni Vestibolare anteriore o superiore Utricolo CSL CSS Idem OTR sfumata VVS patologica VEMPs presenti Normoacusia Ny spontaneo verticale-rotatorio verso il basso OTR sfumata VVS normale VEMPs assenti Ipoacusia neurosensoriale in discesa sugli acuti, acufeni Assente Normale Ipoacusia neurosensoriale in salita sui gravi e sui medi, acufeni Vestibolococleare Sacculo CSI Giro basale della coclea Cocleare propria Giro intermedio Giro apicale della coclea concomitante o preesistente sofferenza su base vascolare delle strutture neurologiche che rendono inefficace o parziale il compenso. • Nella forma da interessamento dell’arteria uditiva interna è possibile che si possa apprezzare la variazione d’intensità e frequenza del Ny spontaneo secondaria alla modificazione della posizione del corpo del paziente (Ny monodirezionale ma con rinforzo apogeotropo e inibizione geotropa) per l’impossibilità di contrastare le interazioni otolito-canalari del lato sano da parte del labirinto lesionato “in toto”. Tale variazione, invece, può non essere presente nelle forme da interessamento dell’arteria vestibolare anteriore, in cui il Ny spontaneo è del tutto simile alla forma precedente, ma tende a non mostrare variazioni posizionali di intensità e frequenza, in quanto viene conservata la funzione otolitica sacculare del lato patologico. Questo spiega anche perché il recupero, in questi casi, sia più rapido con conseguente minore durata 66 di vertigine e Ny. La conservazione della funzione del canale semicircolare superiore rende possibile la comparsa, più o meno tardiva, di una vertigine parossistica posizionale da labirintolitiasi interessante il lato colpito (sindrome di Lindsay-Hemenway) (12). • Il quadro clinico da interessamento dell’arteria cocleo-vestibolare appare più complesso in quanto più sfumato. Può non essere riferita una vertigine acuta, ma una sensazione di instabilità improvvisa; il Ny spontaneo, quando presente, è di tipo verticale-rotatorio verso il basso per la prevalenza delle afferenze toniche del canale semicircolare superiore controlaterale, in un contesto dove è conservata l’afferenza di tutti gli altri canali semicircolari di entrambi i lati. Il dato più caratteristico è l’assenza dei VEMPs e una curva audiometria in caduta sulle frequenze acute, in genere con una discesa che inizia dalla frequenza 4 kHz (zona di arrivo della circolazione arteriosa terminale del ramo cocleare LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE della vestibolococleare e della cocleare propriamente detta). La reflettività del canale semicircolare laterale è conservata perfettamente (Figura 4). Gli eventi acuti nel territorio dell’arteria cocleare propriamente detta generano un’ipoacusia improvvisa che interessa le frequenze gravi e medie, a simulare un andamento comunemente attribuito all’idrope endolinfatica. La differenza tra le due forme riguarda la diversa suscettibilità delle cellule ciliate: mentre l’idrope endolinfatica agisce preferenzialmente su quelle esterne, dando origine ad un’ipoacusia neurosensoriale che non supera i 60 dB, in caso di ischemia quelle maggiormente coinvolte sono le cellule ciliate interne, con un tracciato audiometrico che supera i 60 dB per le frequenze interessate (13,14). Un’altra caratteristica differenziale è quella della fluttuazione (ricorrenza) dell’ipoacusia nelle forme su base idropica. DIAGNOSI DIFFERENZIALE 1. L’evento clinico più comune da distinguere è la perdita improvvisa della funzione cocleo-vesti- bolare da causa infettiva (virale) (15-17). In assenza di altre indicazioni, la neurite dell’VIII nervo cranico si differenzia per: – Criteri epidemiologici: in genere, si tratta di soggetti relativamente più giovani, anche in età infantile, senza evidenti fattori di rischio vascolare; si tratta di casi non sporadici, ma con un certo andamento epidemico nell’ambito di una popolazione. – Criteri eziologici: nella forma più frequente, l’infezione da herpes simplex è quella con maggiore evidenza di dati laboratoristici. Segue quella da herpes zoster che spesso si manifesta con la classica eruzione vescicolosa nella regione concomeatale (zona di Ramsay-Hunt che corrisponde all’innervazione sensitiva della cute dell’orecchio esterno di pertinenza del nervo facciale dopo l’anastomosi extracranica con il nervo vago). Sovente è coinvolto anche il VII nervo cranico nella sua componente motoria (paralisi, paresi). In termini di frequenza, seguono poi le forme dovute a myxovirus, paramyxovirus e al virus della parotite. Altre forme infettive sono più rare: merita di essere segnalata la neuropatia cocleo-vestibolare nel contesto della sindrome di Lyme, malattia Figura 4. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea. 67 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare sistemica da Borrelia burgdorferi che può interessare anche il sistema nervoso sotto forma di meningoradicolonevrite (periferica o a carico di più nervi cranici). – Criteri clinici: nella forma comune, la neurite da virus interessa più frequentemente il ramo vestibolare dell’VIII nervo cranico e, di questo, la branca superiore, per l’esclusività delle anastomosi tra questa parte e il nervo facciale nel cui ganglio genicolato si indovano i virus erpetici a provenienza delle superfici mucocutanee facciali. Si tratta, quindi, di una neurite parziale con un quadro del tutto simile a quello da interessamento dell’arteria vestibolare anteriore. Anche in questo caso è possibile l’insorgenza tardiva di una vertigine parossistica posizionale da labirintolitiasi del CSP ipsilaterale al lato sede della neurite. – Criteri audiologici: la perdita uditiva improvvisa da causa infettiva si caratterizza per una maggiore importanza del danno che in genere è di grado elevato/profondo (oltre i 90 dB) con amputazione del tacciato a livello delle frequenze medie e acute e presenza di residui uditivi dai 250 ai 1000 Hz. – Criteri terapeutici: è nota l’efficacia di una terapia antinfiammatoria steroidea in associazione a farmaci antivirali nell’accelerare la guarigione e favorire il compenso naturale in caso di neurite vestibolare (18), schema terapeutico inefficace in caso di natura vascolare dell’evento acuto. 2. La diagnosi differenziale, in secondo luogo, deve essere posta con un primo attacco di malattia di Menière, in cui la durata della crisi vertiginosa è inferiore (da parecchi minuti a qualche ora) e l’ipoacusia da idrope cocleare colpisce le frequenze gravi-medie, difficilmente superando i 60 dB. La ricorrenza degli episodi nel prosieguo della malattia toglie ogni possibile dubbio diagnostico. 68 3. Un’ipoacusia improvvisa associata a vertigine, della durata di parecchi giorni, può essere sostenuta da un infarto isolato nel territorio irrorato dall’AICA a livello del tegmen pontino inferolaterale (19), senza necessariamente associarsi ad altri sintomi di carattere neurologico da interessamento del tronco encefalico e del cervelletto. Se l’area infartuale è maggiore, si possono associare paralisi facciale, atassia, disartria, ipoestesia agli arti, diplopia e sindrome di Horner (sindrome di Wallemberg). 4. Una crisi vertiginosa acuta importante, senza sintomi o segni uditivi, può essere data anche da un’emorragia del lobo cerebellare, in genere nel territorio del ramo mediale della PICA. La semeiotica nistagmica consente agevolmente di differenziare un evento vascolare acuto a carico del cervelletto in quanto, pur manifestandosi con un Ny orizzontale-rotatorio verso il lato sano in maniera del tutto analoga a quello della perdita improvvisa della funzione vestibolare, si caratterizza per: – mancata sostituzione saccadica nel movimento rapido del capo verso il lato leso, sotto fissazione visiva (test di Halmagyi negativo); nel danno labirintico il test è positivo (saccadici sostituitivi generati da una struttura neurologica integra); – indifferenza alla stimolazione simultanea fredda dei due labirinti; nella forma periferica, il Ny spontaneo subisce una riduzione in ampiezza e frequenza, sino all’inversione nella direzione. CLINICA DEL DEFICIT LABIRINTICO CRONICO Non esiste un quadro clinico patognomonico di un deficit vascolare cronico a carico dell’orecchio interno. Le modalità di espressione sul piano semeiologico sono aspecifiche e possono essere LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE Tabella 2. Caratteristiche semeiologiche cocleovestibolari del deficit vascolare cronico. Sede Sintomi Semeiotica fisica Semeiotica strumentale Coclea Ipoacusia (bilaterale) Acufeni (+/-) Negativa Ipoacusia neurosensoriale (< 60 dB) con morfologia variabile (piatta, in discesa, in salita); recruitment (+/-) Labirinto Posteriore Instabilità Negativa NyPP da CSP o CSL Iporeflettività bilaterale VEMPs (+/-) condivise con altre alterazioni che riconoscono meccanismi eziopatogenetici diversi da quello vascolare. Le esigenze metaboliche differenti nelle diverse sedi dell’orecchio interno, espressione di un “costo” energetico non omogeneo, spiegano una parziale partizione del danno vascolare cronico a livello recettoriale; in ordine decrescente, la maggiore sensibilità all’ischemia cronica riguarda il giro basale della coclea, il sacco endolinfatico, i giri intermedio e apicale, i canali semicircolari e, infine, il sistema otolitico. Inoltre, il danno graduale si manifesta a livello cocleare soprattutto a carico delle cellule ciliate esterne, mentre a livello di quello vestibolare a carico delle cellule ciliate di tipo 1. Uniforme è la sensibilità degli elementi di sostegno in entrambi i comparti. Sul piano clinico, le modalità di combinazione sono diverse e condizionate, specialmente per l’analisi dei riflessi vestibolari, dal concomitante interessamento delle strutture tronco-cerebellari, così come per la funzione uditiva, dalla maggiore o minore partecipazione delle vie retrococleari all’espressione sintomatica (acufeni, ipoacusia). La comorbidità, oltre alle malattie sistemiche a coinvolgimento vascolare, associata ad un’alterazione permanente del flusso ematico cocleo-vestibolare annovera anche l’ipoacusia da rumore (20-23), la presbiacusia (24) e l’idrope endolinfatica (25,26). In tabella 2 sono riassunte le caratteristiche semeiologiche cocleovestibolari del deficit vascolare cronico. • Indubbiamente, una riduzione cronica dell’apporto vascolare alle aree recettoriali comporta una generica riduzione delle funzioni riflesse vestibolo-oculomotorie e vestibolospinali, per quanto di entità variabile e spesso non tale da evocare movimenti oculari sostituivi di tipo nei movimenti di rotazione del capo sotto fissazione (test di Halmagyi). Se il difetto è generalizzato, non vi è asimmetria svelabile con l’head shaking test: eventuali risposte nistagmiche devono essere attribuite ad una concomitante disfunzione tronco-cerebellare. La prevalenza della labirintolitiasi in soggetti “vascolari” si attesta sul 2-11% dei casi: si tratta di forme secondarie del tutto simili e sovrapponibili alle forme idiopatiche. • Sul versante cocleare, il pattern audiometrico più frequente, seppur aspecifico, è quello di un’ipoacusia neurosensoriale con maggior coinvolgimento delle frequenze acute, nel rispetto della compromissione prevalente a livello del giro basale, e in genere non eccedente i 60 dB (cellule ciliate esterne). Il deficit cronico dell’AUI può presentarsi con un quadro di ipoacusia percettiva “in discesa” associata a instabilità e iporeflettività vestibolare (Figura 5). 69 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 5. Ipoacusia neurosensoriale bilaterale “in discesa” come da deficit cronico di vascolarizzazione cocleare. Se l’entità dell’ipoacusia supera tale limite, è evidente il contributo di altri fattori patogenetici che possono interessare la coclea (cellule ciliate interne) ma anche le vie nervose retro cocleari. BIBLIOGRAFIA 1. Annesley-Williams DJ, Laitt RD, Jenkins JP, Ramsden RT, Gillespie JE. Magnetic resonance imaging in the 2. 3. 4. 5. 70 investigation of sensorineural hearing loss: is contrast enhancement still necessary? J Laringol Otol 2001;115:14-21. Hausler R, Levine RA. Auditory disfunction in stroke. Acta Otolaryngol 2000; 120:689-703. Fattori B, Nacci A, Casani A, Cristofani R, Sagripanti A. Hemostatic alterations in patients with acute, unilateral vestibular paresis. Otolaryngol Head Neck Surg 2001;124:401-7. Fattori B, Ursino F, Cristofani R, Galetta F, Nacci A. Relevance of plasma D-dimer measurement in patients with acute peripheral vertigo. J Laryngol Otol 2003;117:467-72. Fattori B, Nacci A, Ghilardi PL, Bruschini L, Matteucci F, Ursino F. 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Otolaryngol Head Neck Surg 1983;91:68-71. 71 Capitolo 5 LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY Aldo Messina L’UDITO CENTRALE “Sento ma non capisco le parole, specialmente se parlano più persone contemporaneamente”. Può essere sufficiente questo riferimento anamnestico per far sorgere il sospetto diagnostico di avere individuato una sordità centrale, particolare quadro patologico conseguente ad una lesione delle vie uditive nervose centrali poste a valle della zona nucleare bulbo-protuberenziale ed estese fino alle aree uditive corticali. In realtà, come ci avverte Jack Katz, non tutti gli studiosi concordano su cosa si debba intendere anatomicamente per “udito centrale”. Secondo Duane e poi Pickles il sistema nervoso uditivo centrale inizierebbe nel tronco encefalico laddove finiscono i fasci dell’VIII nervo cranico (n.c.) (Figura 1). Legenda: 3. Nucleo n. oculomotore; 4. Nucleo n. trocleare; 5. Nucleo n. trigemino; 6. Nucleo n. abducente; 7. Nucleo n. faciale; 8. Nucleo n. vestibolo-cocleare; 9 Nucleo n. glossofaringeo; 10 Nucleo n. vago; 11 Nucleo n. accessorio; 12 Nucleo n. ipoglosso. Figura 1. A. Anatomia del tronco encefalico. B. Sezione sagittale del tronco encefalico, con i principali nuclei dei nervi cranici. 73 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Douglas Noffsinger et al. invece, ritengono che i nuclei cocleari, essendo funzionali al sistema nervoso periferico, non svolgano alcun ruolo che possa essere identificato come di tipo centrale. I nuclei precedono la decussatio delle vie nervose e pertanto non sono in grado di svolgere alcuna analisi comparativa delle informazioni provenienti dai due lati, funzione che rappresenta il ruolo più importante svolto dal sistema uditivo centrale. Sistema uditivo centrale: cenni di anatomofisiologia Dal punto di vista anatomofisiologico, ricordiamo che il nervo acustico (che ovviamente è bilaterale) raggiunge il tronco encefalico nella giunzione tra ponte e midollo allungato, lateralmente al nervo vestibolare (Figura 2). In questa sede il suono viene già esaminato nei parametri di intensità, durata e frequenza. 1. Il ramo uditivo dell’VIII n.c. si divide in un ramo ascendente rivolto al nucleo cocleare anteroventrale (dotato di tonotopia e capace di analisi in frequenza) ed uno posteriore indirizzato ai nuclei cocleari postero-ventrale (in grado di codificazione in frequenza) e dorsale (analisi qualitativa del suono). Qui i suoi neuroni di primo ordine, a livello dei tre nuclei cocleari (dorsale e ventrali: anteriore e posteriore), entrano in sinapsi con i deutoneuroni, dando luogo ad un primo relais di rinforzo del messaggio nervoso. • Dal nucleo cocleare antero-ventrale origina la stria acustica ventrale che proietta verso la sostanza reticolare, il complesso olivare superiore e il lemnisco laterale. Dal nucleo posteriore originano la stria intermedia che va al lemnisco controlaterale e al collicolo inferiore e la stria dorsale che proietta al complesso olivare superiore, al lemnisco laterale e al collicolo Legenda: 1. Nervo vestibolare; 2. Nervo cocleare; 3. Nervo intermedio-faciale/Nervo faciale; 4. Ganglio genicolato; 5. Corda timpanica; 6. Coclea; 7. Canali semicircolari, 8. Martello; 9. Membrana del timpano; 10. Condotto uditivo. Figura 2. A. Emergenza dei rami vestibolare e cocleare (acustico) dell’VIII nervo cranico, alla giunzione tra ponte e midollo allungato del tronco encefalico. B. Rapporti anatomici del nervo vestibolo-cocleare con le strutture di orecchio medio e orecchio interno. 74 LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY inferiore controlaterale. Quindi è nella parte caudale del tronco encefalico che le vie uditive attraversano la linea mediana, configurandosi come “crociate”. Di conseguenza eventuali deficit uditivi determinati da una lesione in questa precisa sede si evidenziano per lo più bilateralmente. 2. Il secondo relais avviene nel complesso olivare superiore, del quale fa parte il complesso mediano del corpo trapezoide dove è evidente l’organizzazione tonotopica: anteromedialmente cellule sensibili alle frequenze acute, dorsolateralmente le cellule deputate ai toni gravi. Sempre a livello olivare avviene la localizzazione sonora (vedi oltre) relativamente al parametro di analisi interaurale di tempo del suono. • Le vie uditive quindi si incrociano quasi immediatamente a livello del tronco cerebrale. Sussistono però anche dei fasci che, senza incrociare la via mediana, salgono verso le aree corticali, ma questo contingente è minimo e apparentemente poco importante. • Da questo momento le fibre nervose, riunite nel lemnisco laterale, attraversano il complesso olivare superiore, mantenendo la distinzione operata a livello dei nuclei cocleari. A questo livello il sistema uditivo è in grado di effettuare una comparazione delle informazioni che provengono dai due lati, prevalentemente finalizzata a consentire la localizzazione del suono nello spazio. Le notevoli integrazioni con la sostanza reticolare fanno ritenere che sempre in questa sede si attivino eventuali reazioni di allarme. 3. Successivamente lo stimolo nervoso fa relais a livello dei collicoli inferiori, struttura dotata di elevata sensibilità alla discriminazione in frequenza e alle differenze interaurali temporali. La parte postero-laterale svolge funzioni dipendenti dalla condizione di veglia. Dal col- licolo le fibre si dirigono ai corpi genicolati mediali. La porzione parvicellulare del corpo genicolato mediale è l’unica a ricevere informazioni collicolari; la magnicellulare è invece connessa al talamo posteriore e quindi al mondo della sensazione. 4. Successivamente le fibre raggiungono le aree uditive corticali, passando per la capsula interna. Dette aree sono localizzate nella zona superiore del lobo temporale e nel pavimento del solco laterale, nei due giri traversi, area 41 di Brodmann, uditiva corticale primaria. Individuata anche un’area 42, secondaria e associativa. L’area 41 mantiene la tonotopia cocleare (giri basali per le frequenze alte e giri apicali per le frequenze basse), mentre l’area 42 presenta tonotopicità invertita. Una rappresentazione schematica delle vie sensoriali acustiche è riportata in figura 3. PERCEZIONE E INTERPRETAZIONE DEI SEGNALI ACUSTICI Le aree corticali uditive del lobo temporale (area 41 e 42 di Brodmann) consentono l’identificazione temporale sonora e la memorizzazione dei suoni. Le cellule in questa zona sono anche capaci di sommazione binaurale e si osserva la dominanza delle afferenze che provengono della via uditiva prevalente. Oltre alle aree 41 e 42, probabilmente sono presenti altre aree uditive corticali, essendo oggi accettata l’ipotesi secondo la quale retina e coclea abbiano rappresentazioni multiple sulla corteccia cerebrale. Non deve essere sottovalutato il ruolo svolto dal corpo calloso come documentato da Pandya e coll. nel 1971. Un deficit in questa sede non sempre determina una sordità, ma in questa evenienza l’ipoacusia non sempre si presenta controlateralmente al lato leso, ma spesso omolateralmente. 75 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Legenda: 1. Organo del Corti; 2. Ganglio del Corti; 3: Nervo cocleare; 4. Nucleo cocleare dorsale; 5. Nucleo cocleare ventrale; 6. Corpo restiforme; 7. Complesso olivare superiore; 8. Fibre del lemnisco laterale, 9. nucleo del lemnisco laterale; 10. tubercoli qudrigemini inferiori; 11. Corpi genicolati mediali; 12. Area acustica primaria; 13 e 14. Aree acustiche associative. Figura 3. Rappresentazione schematica delle vie uditive. Inoltre i test vocali dicotici, allorquando il segnale indebolito sia presentato specificatamente all’orecchio sinistro (sembra che il segnale di sinistra venga sopraffatto dal segnale proveniente da destra), determinerebbero risultati imprevedibili. Ricordiamo che, secondo Alfred Tomatis, la via uditiva di destra possiede maggiori competenze e specializzazioni specie nel 76 controllo canoro: l’autore ha evidenziato come, “mascherando” l’orecchio destro, molti cantanti perdano la capacità di controllo vocale. LA LOCALIZZAZIONE SONORA. Complessa la funzione di identificazione di lateralità del suono. Come è noto, l’animale razionale è provvisto di due vie di ingresso dello stimolo sonoro (destro e LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY sinistro) proprio per consentire l’identificazione di provenienza di lato destro e sinistro. Non essendo l’uomo (come nessun animale) dotato di padiglioni auricolari sulla volta cranica e sul mento, l’identificazione del suono quale proveniente dall’alto o dal basso è determinata solo ed esclusivamente dall’apprendimento, dall’esperienza dei suoni e di conseguenza è funzione acquisita completamente intorno al dodicesimo mese di vita. Udendo il rumore di un elicottero, ad esempio, alziamo la testa perché identifichiamo quel rumore che non può che provenire dall’alto e certamente non dal basso. Qualora l’esperienza non ci aiuti, saremo maggiormente predisposti a localizzarlo come proveniente dall’alto più che dal basso. Ricordiamo brevemente che la localizzazione di lateralità (destra/sinistra) del suono avviene con diversa modalità a seconda della sua frequenza. Considerando nell’adulto la testa con una dimensione di 34 cm, suoni con dimensioni superiori a 34 cm la scavalcheranno ed i suoni che non raggiungeranno tale dimensione, urtando la testa, verranno riflessi. Per calcolare la lunghezza d’onda (λ) di un suono, essendo λ = c/f (dove c’è la velocità del suono, pari a 340 msec e f la frequenza del suono in Hz), ne otterremo che i suoni di frequenza elevata risentiranno dell’effetto schermo della testa e saranno localizzati sull’analisi differenziale dei parametri differenza di intensità; suoni a frequenza bassa avranno una dimensione tale da scavalcare l’ovoide cranico ma raggiungeranno diversamente l’orecchio destro e sinistro, nei parametri fase e tempo oltre che intensità (Figura 4). Va precisato che nel lattante la minore circonferenza del capo, rispetto a quella di un adulto, determina maggiori difficoltà e tempi lunghi tanto che la localizzazione di lateralità sarà completa intorno al 5°-6° mese. La localizzazione sonora intesa come analisi della differenza di fase, tempo e di intensità prevede, oltre ad una normale funzione delle aree corticali il contemporaneo coinvolgimento del nucleo olivare superiore (analisi temporale) e del collicolo inferiore (analisi d’intensità). LA PERCEZIONE UDITIVA VERBALE. Le aree uditive sono topograficamente diverse da quelle verbali. Figura 4. Localizzazione della sorgente sonora. 77 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Questo avvalora l’osservazione che l’analisi frequenziale della parola non è sufficiente a consentirci di riconoscere e identificare il suono linguistico. Per questa ultima funzione vengono coinvolte, oltre alle aree uditive, anche le aree associative. Né si può omettere il ruolo della prevalenza (erroneamente detta “dominanza”) emisferica nell’analisi sonora. Il lobo temporale destro consente l’analisi acustica di intensità, durata e timbro; il sinistro identifica il suono verbale. Il riconoscimento dell’intonazione del suono, quale caratteristica emozionale, è demandato sempre alle aree corticali, parietali e all’opercolo temporale di destra. Esistono meccanismi di controllo a feedback della sensazione sonora, compito svolto dalle vie acustiche centrali discendenti. Alcune vie dal cortex raggiungono il corpo genicolato e, tramite relais con i nuclei motori dei nervi cranici del tronco encefalico, attiverebbero molte risposte mimiche riflesse allo stimolo sonoro. Ricordiamo inoltre le vie tetto-bulbari e quelle tetto-spinali a partenza dal collicolo inferiore che determinano le risposte di orientamento visivo, della testa, del collo e degli arti allo stimolo improvviso. In questo contesto si inseriscono l’anastomosi acustico facciale, responsabile del riflesso stapediale (solo marginalmente da considerare riflesso da difesa), e il fascio olivo-cocleare a funzione poco nota. L’analisi spettrale della parola non è esaustiva per comprendere quale analisi il sistema uditivo centrale operi sul messaggio verbale. Nel linguaggio parlato, infatti, i suoni si “influenzano” a vicenda e diventano indistinguibili nella loro analisi in frequenza pura. Non è chiaro come il nostro apparato uditivo centrale riesce ad identificare e analizzare il segnale linguistico caratterizzato da questa continua variazione in frequenza. Come si riconoscono le “diverse forme” di un suono? Ad esempio la “b” di bici non è in analisi spettarle identica alla “b” di bob. Come si identificano 78 come uguali parole dette da oratori diversi e quindi con diversi toni di voce? Inoltre nel linguaggio parlato molti suoni sono sovrapposti o omessi, tuttavia il cervello riesce ad identificarli. Per rispondere a queste domande si suppone che il SNC operi non esaminando le singole frequenze che compongono il messaggio verbale ma basandosi su particolari suoi elementi denominati indicatori acustici. Nella vocale, ad esempio, l’indicatore è costituto dalle prime due formanti (vedi oltre). Per consentire adeguate performance di ascolto del messaggio verbale nelle condizioni di ascolto più difficili (ambienti con rumore di fondo o sovraffollati), il nostro Sistema Nervoso Centrale Uditivo è dotato di un numero di fibre nervose ascendenti superiore a quelle necessarie per percepire la parola in condizioni di comodo ascolto (ridondanza intrinseca). A ciò si aggiunga che il messaggio verbale è associato ad un numero di informazioni superiore a quelle effettivamente necessarie per consentirne la comprensione (ridondanza estrinseca). Ad esempio, basta ascoltare “mi sie... su… u... sed...” per comprendere il messaggio: “mi siedo su una sedia”. Ovviamente, questo automatismo si verifica solo in chi ha esperienza del messaggio; non, ad esempio, nei bambini piccoli o in chi non conosce la lingua. Inoltre, è molto più facile identificare una parola nel contesto di un discorso che “da sola”. Questa premessa è fondamentale per comprendere il principio su cui si basano le prove vocali, soprattutto le prove monosillabiche o con frasi distorte o accelerate. LA SORDITÀ CENTRALE Quadri clinici Le sordità centrali raggruppano diversi quadri clinici, quali la sordità corticale, clinicamente descritta per la prima volta da Wernicke e LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY Friedlander nel 1883, la sordità verbale, Kussmaul nel 1887 e l’amusia, descritta da Bernard nel 1889. Tratto comune ai diversi quadri è rappresentato dalla scarsa discriminazione e inattendibilità alle risposte a stimoli uditivi, in presenza di un deficit uditivo tonale liminare, sempre meno conclamato, man mano che la sede del danno sia più alta, verso le aree corticali. Jerger e Harford (1960) confermano che la lesione uditiva centrale non determina evidenti deficit né all’audiometria tonale liminare né alle prove vocali standard. La sordità centrale non si associa di per sé a disturbo dell’eloquio, a meno di contemporanea presenza di afasia. Biboulet e Uziel (1992) classificano i quadri clinici più noti: • Sordità corticale. Prevalentemente transitoria, si caratterizza per un deficit di discriminazione degli stimoli sonori, in presenza di deficit uditivo. Si ritiene essere conseguenza di inibizione transitoria dei corpi genicolati mediani dal lato leso. • Agnosia uditiva. Incapacità ad identificare e riconoscere il suono verbale, musicale e rumori familiari, conseguente a lesione cerebrale. A differenza della sordità corticale, non vi è ipoacusia. Si sospetta essere conseguenza di una lesione delle aree temporali bilateralmente. • Sordità verbale. Si usa questo termine allorquando la comprensione verbale è compromessa in modo evidentemente più conclamato rispetto alle altre funzioni uditive. Le parole vengono percepite come rumori, non identificate come lingua originale. È conseguente ad una lesione dell’area cerebrale di Wernicke. • Emianacusia. Dovuta a compromissione monolaterale dell’area uditiva primaria, determina un deficit della comprensione controlaterale al lato leso. Pertanto, se la sede è nella corteccia temporale di destra, si determinerà emianacusia sinistra e sarà presente anche un disturbo del linguaggio. Qualora quest’ultimo venisse recuperato persisterebbe l’emianacusia. • Amusia. Forma di agnosia uditiva per i suoni musicali. In realtà il tema delle aree corticali deputate alla percezione musicale è molto complesso. Sappiamo che entrano in gioco entrambi gli emisferi, ma restano da definire ancora le rispettive competenze che peraltro potrebbero essere differenti, a seconda che il soggetto esaminato sia musicofilo o profano. Eziologia L’eziologia delle sordità centrali è prevalentemente di tipo vascolare, anche se sono descritti casi conseguenti a meningite, traumi, neoplasie, farmaci (litio), chirurgia e malattia demielinizzante. La sordità centrale può essere conseguenza di una vecchia patologia periferica, anche da tecnopatia o da farmaci ototossici, che determina una degenerazione delle fibre uditive centrali, quale conseguenza della mancata stimolazione nervosa; Musiek ha dimostrato come nel neurinoma dell’VIII n.c, si determinino disturbi uditivi di tipo centrale. Analogamente, le più recenti teorie sulla patogenesi degli acufeni ipotizzano che il disturbo sia conseguenza della risposta del Sistema Uditivo Centrale alla patologia periferica, una sorta di riorganizzazione plastica. L’ipotesi sembra essere confermata dalla persistenza di acufeni dopo neurectomia. Hinchcliffe (1962) ha evidenziato che la presbiacusia coinvolge sia il sistema uditivo periferico che quello centrale. Relativamente all’ipotesi vascolare, dobbiamo evidenziare che il danno al microcircolo dell’orecchio interno spesso non è indagato dal medico. Ad esempio, nella fisiopatologia e nel trattamento delle complicanze del diabete mellito, relativamente ai danni endoteliali da microangiopatia, 79 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare si fa per lo più riferimento al termine istangiopatia, a sostituire quello più generico di microangiopatia. Le alterazioni istangiche precedono i segni clinici della stasi venosa. Il termine “microcircolazione” è stato recentemente sostituito con quello di Unità Microcircolatoria (Figura 5) costituita da un microcircolo arterioso afferente, un microcircolo venulare efferente e dalle anastomosi arterovenose. L’unità presenta dei Canali Preferenziali, dei ponti arterovenulari con funzione di corto circuito del flusso (sfinteri e cuscinetti) e si caratterizza per la presenza di una sostanza fondamentale del connettivo che influisce sulla permeabilità arteriolo capillare e presenta alcuni Glicososoaminoglicani (GAGs), proteine dell’interstizio perivascolare. I GAGs sono polisaccaridi presenti negli epiteli di tutti gli organi cavi, anche dell’intestino. Principale responsabile della regolazione dell’unità microcircolatoria è l’endotelio, organo, esteso in ognuno di noi per circa 1.200 metri Figura 5. Unità microcircolatoria. 80 quadri, non più riconosciuto quale semplice “contenitore” ematico ed assunto al ruolo di “laboratorio endoteliale”. All’endotelio viene oggi riconosciuto un ruolo nell’angiogenesi, nella flogosi, nella sintesi di elementi della matrice extracellulare e nell’immunità. Questa spiega la patogenesi di patologie quali la Panarterite Nodosa, la sindrome di Kawasaki, le vasculiti e le porpore. Il laboratorio endoteliale svolge la propria azione sui sistemi di coagulazione, fibrinolisi e di infiammazione. In condizioni normali l’endotelio svolge contemporaneamente e riesce ad equilibrare la propria azione antitrombotica, dovuta alla sintesi d numerose molecole tra le quali la potente prostaciclina e il monossido di azoto (NO) e quella trombotica, mediata prevalentemente dal PAF (fattore attivante le piastrine, “Platelet”). Nei soggetti affetti da diabete, vasculiti ed aterosclerosi, tale capacità di mediazione dell’endotelio risulta compromessa con conseguente arteriopatia. L’istangiopatia è una patologia caratterizzata da alterazioni a carico dei vasi sanguigni più piccoli, arteriole e capillari, con conseguente malfunzionamento del microcircolo e sofferenza tissutale che, nel tempo, si esprime con un deficit di funzione. Sintomatologia La sintomatologia della sordità centrale è ben descritta da Musiek: • Acufeni, spesso localizzati nella linea mediana del capo. • Allucinazioni uditive e/o insolite sensazioni uditive. • Estrema difficoltà a seguire il discorso in ambiente riverberante o con rumore di fondo. • Difficoltà a seguire comandi uditivi complessi. • Difficoltà a localizzare il suono nello spazio. • Marcata diminuzione nell’apprezzamento della musica. LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY L’anamnesi non ha perso il proprio valore (Figura 6). Si consideri che proprio questi sintomi sono quelli riferiti dai pazienti al medico audiologo che è spesso il primo specialista ad essere consultato. Inoltre, poiché non sempre i disturbi centrali sono conseguenza di lesioni evidenti alla neuroradiologia (si pensi ai disturbi biochimici o alle lesioni minime), il ruolo del medico audiologo è di primaria importanza nella diagnostica dei deficit centrali e nella eventuale prevenzione delle sue complicanze. I quadri clinici di più frequente riscontro sono rappresentati a livello del tronco encefalico dalla sclerosi multipla, dalle lesioni vascolari, dai tumori e dagli stati comatosi. • Nella sclerosi multipla la sordità non è frequente a meno di una localizzazione a livello dei nuclei cocleari, corpi trapezoidi o del lemnisco laterale; viceversa, massima attenzione va posta ai disturbi dell’equilibrio. Talvolta si evidenzia sordità improvvisa, spesso reversibile, con acufeni e vertigini. La malattia deve essere sospettata nei soggetti giovani. Sono di ausilio diagnostico sia i potenziali evocati che l’esame otoneurologico. Figura 6. Anamnesi. • Analogamente, le lesioni vascolari e neoplastiche determinano sordità solo se localizzate a livello dei nuclei cocleari. I test clinici documentano diplacusia, fatica uditiva. Anche in questo caso risulta utile la batteria diagnostica otoneurologica. • I potenziali evocati sono anche utilizzati per seguire le diverse fasi dello stato comatoso. • Nelle patologie cortico-sottocorticali è ancora più rara la sordità (se sussiste è bilaterale). Si documenta sordità verbale e difficoltà nell’esecuzione dei test verbali; i test dicotici sono patologici controlateralmente; non sempre indicativi i potenziali evocati uditivi precoci. • Documentata l’alterazione dei potenziali evocati cognitivi in quadri clinici di demenza, autismo e schizofrenia. • Grimes e coll. (1985) hanno proposto di utilizzare i test d’ascolto dicotico quale indice della progressione della malattia di Alzheimer, allorquando coinvolga il lobo temporale. Esami diagnostici Quali sono i test clinici di ausilio diagnostico? VALUTAZIONE AUDIOMETRICA TONALE E VOCALE. Non è completamente vero che i test tonali non sono utili a svelare deficit centrali. Basti pensare al test MLD (Masking Level Difference). La metodica prevede l’invio in cuffia, bilateralmente, di due frequenze gravi cui si aggiunge, sempre bilateralmente, un rumore di minima intensità tale da mascherare i precedenti. Il fine è quello di evidenziare un disturbo nella percezione della differenza di fase. Sempre con l’audiometro è possibile eseguire i test di adattamento, di percezione di loudness e di durata e studiare il pitch e i battimenti. Relativamente alla ricerca audiometrica della diploacusia (distorsione della percezione della frequenza sonora), Ghosh (1990) ha descritto un caso di diploacusia presente controlateralmente alla sede della lesione che è stata dimostrata nel talamo posteriore. 81 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Potremmo eseguire test di facilitazione che consistono nel dimostrare un miglioramento della capacità uditiva dopo presentazione di uno stimolo test. Tale fenomeno normalmente presente non potrà essere dimostrato in condizione di sordità centrale. Anche il fenomeno della sommazione temporale e relativa funzione di integrazione tempo/intensità evidenziabile con l’audiometria pulsata a toni brevi (quanti ricordano l’audiometria automatica?) risulta alterato in presenza di una sordità centrale. ALTRI TEST. Utile al prosieguo della nostra trattazione menzionare i test tonali (mono- e binaurali) per svelare lesioni di tipo centrale. Il test d’integrazione binaurale (Chocholle) si basa sull’osservazione che la soglia differenziale d’intensità aumenta di circa 1,5 dB, se si presenta controlateralmente un tono costante e di frequenza identica al tono test (5 dB sopra la soglia); viceversa, diminuisce di circa 0,7 dB se controlateralmente si somministra un tono di differente frequenza. L’assenza di variazioni è indice di deficit d’integrazione binaurale. Il test di reazione valuta invece l’intervallo di tempo tra stimolazione sonora e risposta volontaria di riconoscimento (test monoaurale di Chocholle). Test temporo-direzionali (Bosatra e Russolo): con le prove di udito direzionale (in cuffia, test di Matzker e in campo libero, test di Nordlund) per l’esame della zona bassa del tronco, di ordine temporale (identifica l’ordine di successione degli stimoli) per lo studio delle zone alte collicolo- e sottotalamiche, di discriminazione dei pattern uditivi, per lesioni corticali e sottocorticale. Test impedenzometrici. Per alcuni anni, si è utilizzato lo studio dei parametri dinamici (latenza, ampiezza, velocità di contrazione iniziale) del riflesso stapediale impedenzometrico, alla ricerca di lesioni della zona bulbo-protuberenziale. Otoemissioni acustiche. Forniscono poche 82 indicazioni sul deficit centrale; Collet sta valutando l’ipotesi che le otoemissioni possano essere messe n relazione alla funzionalità delle vie discendenti. Utile lo studio dei potenziali evocati uditivi, soprattutto per lo studio delle lesioni retrococleari e troncoencefaliche. L’impiego dell’ABR, metodica audiologica maggiormente obiettiva, ha clinicamente limitato l’uso delle tecniche di audiometria vocale, che mantengono però l’utilità di dimostrare una carenza di funzione più che una sede di lesione. SIGNIFICATO DEL DEFICIT DI RIDONDANZA INTRINSECA L’audiologia deve riconoscere all’audiometria vocale un ruolo fondamentale nell’identificazione dei diversi aspetti della sordità centrale. Pertanto, se è vero che oggi molti test non vengono più eseguiti, appare utile conoscere i principi neurofisiologici sui quali si fondano. Si è già fatto cenno precedentemente al concetto di ridondanza intrinseca (neurologica) ed estrinseca (verbale). Un disturbo delle vie uditive centrali determina una ridotta funzionalità delle vie nervose uditive e pertanto risulta deficitario il meccanismo della ridondanza intrinseca. Lo stimolo (tono puro) utilizzato in audiometria tonale liminare, per la sua carenza di armoniche, per essere percepito impegna un ridotto numero di fibre nervose uditive centrali: non è quindi sufficiente a mettere in crisi, in “difficoltà”, a saturare la capacità delle numerose fibre che compongono le vie uditive centrali. Nella ricerca di un danno centrale pertanto ricoprono un ruolo prevalente i test di audiometria vocale che, diversamente dai test con toni puri, essendo costituiti da suoni più complessi, sono più idonei a dimostrare il deficit di ridondanza LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY intrinseca e quindi il disturbo di conduzione delle vie uditive centrali. Uno stimolo sonoro complesso, quale la voce, ancor di più se presentata in condizioni di ascolto difficili, come un ambiente rumoroso (o comunque con messaggio competitivo), per essere percepito impegna un maggior numero di fibre nervose uditive. Un primo e più noto esempio è dato dalle prove monosillabiche di Bocca, che hanno la funzione di ridurre la ridondanza estrinseca del messaggio verbale (monosillabiche). I test vocali possono essere somministrati dopo avere valutato le capacità cognitive dei soggetti. Agli inizi della mia esperienza audiologica, nell’esecuzione del test vocale, notai che alla somministrazione della parola “gelsi” il paziente spesso riferiva “geusi”. Ed io, che non capivo, assegnavo la risposta errata. In un secondo momento, ho intuito che il paziente riferiva in dialetto siciliano (“geusi”) ciò che sentiva in italiano (“gelsi”). Probabilmente; in quel caso il deficit “centrale” era il mio! Le innumerevoli prove vocali possono essere classificate a seconda della sede del deficit che si vuole evidenziare: 1. del tronco encefalico: intrassiali o extrassiali; 2. delle vie uditive centrali, intese, secondo la classificazione che abbiamo ritenuto più valida, a valle dei nuclei cocleari. Le prove con frasi accelerate hanno dimostrato maggiore sensibilità per evidenziare disturbi del tronco encefalico più caudale e a livello della sostanza nucleo-reticolare, in quanto in tale sede avviene la codifica del parametro temporale. Le frasi filtrate evidenziano maggiormente disturbi corticali. Non sempre c’è corrispondenza esatta per tale impostazione topografica. Quello che è certo è che un deficit centrale può determinare sordità monolaterale (omolaterale) se topograficamente si colloca al di sotto dell’incrocio delle vie uditive. Nelle lesioni corticali il deficit è ovviamente sempre controlaterale alla sede di lesione. Per evidenziare lesioni al di sopra dell’incrocio delle vie si utilizzano prove vocali binaurali. Attendibili le prove di competizione dicotica con frasi sintetiche (SSI) di Jerger e Speaks, con ulteriore competizione ipsilaterale (ICM) o controlaterale (CCM). Attualmente, queste prove (vittime dei DRG!) sono state soppiantate dalle metodiche elettrofisiologiche, e in particolare dai potenziali evocati al tronco encefalico (BAEPs). Inoltre, con l’avvento della diagnostica per immagini, nel “dubbio” si preferisce una metodica più obiettiva e rapida. L’Audiometria Musicale (Carrè, Biboulet e Uziel) si fonda sull’importanza della percezione musicale nei suoi parametri di altezza, ritmo, durata, sonorità, timbro e di memoria melodica. PERCEZIONE UDITIVA E ATTENZIONE SELETTIVA Come ha evidenziato Oskar Schindler, la capacità uditiva, fenomeno per il quale lo stimolo fisico acustico è trasformato in impulso elettriconervoso, è cosa ben diversa dalla percezione uditiva, vero presupposto alla comunicazione umana che, secondo l’autore, è condizionata da una scelta di informazioni uditive fra le moltissime mediate dalla coclea. Mentre la standardizzazione della capacità uditiva è da tempo di uso comune grazie all’audiometria tonale liminare, lo stesso non possiamo affermare per la percezione uditiva che, oltre a non obbedire a leggi fisiche ma a principi psicoacustici, risulta condizionata (Schindler, 1980): • coordinazione uditivo-motoria e sensoriomotoria; • separazione figura sfondo; 83 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare • costanza timbrica, • separazione silenzio/sonorità; • separazione sonorità continue/interrotte. Particolare rilievo occorre dare al concetto di figura/sfondo. In realtà, in audiometria vocale utilizzando il test noto come “speech in noise”, rumore e parole presentate ipsilateralmente, non si fa altro che studiare l’attenzione selettiva del soggetto che è l’espressione della sua capacità di separare la figura (parola) dallo sfondo (rumore). Anche l’effetto “cocktail party” (meglio descritto in seguito) è conseguenza dell’attenzione selettiva (figura/sfondo). L’analisi della parola si basa sulla identificazione, sul riconoscimento operato dal nostro sistema nervoso uditivo centrale, di alcune formanti (principali punti di risonanza ove il picco d’energia acustica è maggiore) contenute nel messaggio verbale. Ad esempio, una vocale possiede in genere due-tre formanti. Le consonanti “J” e “W” possedendo anche tratti acustici rispettivamente della “i” e della “u” sono per questo dette semivocali. Su questo principio si basa la realizzazione degli MP3 musicali (Motion Picture Expert Group1/2 Audio Layer 3), sistema di compressione audio in grado di ridurre drasticamente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, consentendo comunque all’ascoltatore una percezione fedele del file originale non compresso. Forma e figura possono essere considerati omologhi, essendo la forma quell’aspetto dell’informazione sensoriale cui si dà il valore di figura e che va distinta nettamente da ciò “che non interessa”, definito come sfondo. Per raggiungere la separazione figura/sfondo occorre prima procedere alla percezione della forma ed essere in grado di dare lo stesso valore, la stessa forma anche a costrutti funzionalmente omologhi ma che si presentano ai nostri organi di senso in modo diverso. Ad esempio, noi identifichiamo la 84 parola “bacio” indipendentemente dalla persona che la pronuncia (ovviamente emettendo frequenze sonore differenti) e pertanto indipendentemente dalle frequenze sonore che la compongono. Tale giudizio percettivo prende il nome di “costante di forma” ed è un processo che non è specifico del solo sistema uditivo. Lo studio del sistema visivo ci rende più semplice il concetto della costanza di forma. È semplice dimostrare, ad esempio, come un triangolo venga da noi identificato come tale, indipendentemente dalle sue dimensioni o dalla interposizione di altre figure. La nostra mente tende in realtà sempre a “completare” le immagini visive, dando importanza ad alcune informazioni, spesso solo dei particolari e ricostruisce sulla base di questi “dettagli” l’intera figura. Analogamente a quanto fa la mente, nel caso della percezione uditiva, allorquando acquisisce la percezione della parola basandosi sull’identificazione delle formanti. È il concetto della “buona forma” dimostrato con il triangolo di Kanizsa. Tutti riconosciamo nella figura il triangolo bianco inserito tra i tre quasi- cerchi rossi, anche se in realtà il triangolo non è disegnato (Figura 7). Teoria delle affordance ed effetto “cocktail party” Recenti studi (come quello di Rizzolatti e Sinigaglia del 2006), al momento limitati alla percezione visiva, dimostrano che alcuni neuroni vengono attivati selettivamente da specifici stimoli tridimensionali, altri da oggetti sferici, altri ancora da oggetti cubici. L’osservazione ben si coniuga con l’ipotesi di J. Gibson secondo la quale la percezione di un oggetto determina la necessaria identificazione delle sue caratteristiche, che ci consentono di interagire con lo stesso: teoria delle affordance. Ogni oggetto o persona possiede più affordance ed il nostro apparato visivo si attiva in funzione delle nostre finalità. LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY Figura 7. Il triangolo di Kanizsa è un'illusione ottica descritta per la prima volta nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa. Nella figura “vediamo” il profilo illusorio di un triangolo equilatero non disegnato, perché la nostra mente tende a “completare” le immagini, tenendo conto spesso solo dei particolari. Ad esempio, nel vedere entrare la nostra segretaria, potremmo volere raggiungere la finalità di controllare il suo operato e in tal caso le sue mani costituiranno per noi l’affordance; se l’obiettivo che desideriamo è quello di conquistarla, guardarle le mani non ci sembrerà utile e l’affordance potrebbe essere rappresentata dagli occhi. Il che dimostra che l’apparato visivo (anche quello uditivo, come nell’effetto “cocktail party”?) non è un semplice registratore di immagini ma possiede già una prima capacità discriminativi: l ’organo di senso agli ordini del fare. Tali principi possono essere estesi all’osservazione degli altri sistemi sensoriali. Inoltre, come ha sottolineato in diverse comunicazioni Stefano Rigo, con il movimento saccadico rapido dei globi oculari, il nostro cervello sopprime la visione, al fine di evitare che pervengano a livello corticale informazioni di immagini visive “mosse”. Pertanto, durante il movimento saccadico il nostro occhio “non vede” ma, al tempo stesso, il cervello – in base alle informazio- ni precedentemente ed involontariamente immagazzinate in memoria – “ricostruisce” la scena dandoci la sensazione di vedere come se fosse percepita in successione Considerando che una saccade dura in media 50-100 msec e la pausa di rifissazione non più di 200-400 msec (poi c’è un’altra saccade), su 16 ore di veglia “vediamo” realmente per 12 ore e restiamo al buio per 4 ore. Il nostro cervello però immediatamente ricostruisce le 4 ore di “buio saccadico”, dandoci l’illusione della continuità. Ecco perché, afferma Rigo, gli arbitri che, seguendo con movimenti rapidi del capo e degli occhi la traiettoria (movimento) del pallone, attivano la soppressione visiva saccadica, ricostruiscono una propria immagine della scena e, spesso, non riconoscono il fuori gioco. Sempre nel caso della percezione visiva “ricostruita” abbiamo più volte noi stessi osservato che, scrivendo un testo, anche rileggendolo, non riconosciamo gli errori fatti. Dobbiamo farlo rileggere ad un amico o, se siamo dei professionisti, ai correttori di bozze. Nel campo della percezione uditiva si assiste a fenomeni analoghi. Ne è ancora ulteriore esempio il citato effetto “cocktail Party” (descritto da Cherry nel 1953), utile per comprendere meglio il rapporto figura/sfondo che è anche segnale/rumore ed espressione di attenzione selettiva e automatica. Ci troviamo ad una festa, un cocktail party, laddove il vocio di centinaia di invitati produce un rumore di circa 80-90 dB (legge di Weber e Fechner). La nostra attenzione relazionale si rivolge verso un partner con il quale desideriamo un approccio ed al quale rivolgiamo la nostra attenzione comunicativa. I nostri occhi e le relative fovee, si dirigono verso la sua figura nettamente separata dallo sfondo degli altri invitati che mettiamo scarsamente a fuoco (separazione figura/sfondo). 85 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Al contatto comunicativo riusciremo a percepire con chiarezza la sua voce (60-65 dB), pur nel rumore di fondo (80-90 dB) prodotto dagli altri invitati del cocktail party. Al tempo stesso, se nel frangente qualche altro ospite ci chiama per nome, la percezione dello specifico richiamo cattura la nostra attenzione e la distoglie, indipendentemente dalla nostra volontà, dalla conversazione nella quale eravamo impegnati. In realtà è vero che la nostra mente ha focalizzato l’attenzione sul partner ma ha anche inconsciamente memorizzato le altre informazioni utili che costituiscono la scena, consentendoci, ad esempio al richiamo del nostro nome, di attivare un movimento saccadico rapido, noto come saccadico guidato dalla memoria (MSG). Per tornare al tema della sordità centrale, ricordiamo che l’attenzione selettiva alla base dell’effetto “cocktail party” è compromessa in caso di disturbo delle vie uditive centrali. Ne è un esempio l’anziano che, come è noto, non partecipa attivamente dal punto di vista relazionale alle feste. GLOBALITÀ DELLA PERCEZIONE, GESTALT E WORKING MEMORY La globalità della percezione (fenomeno non esclusivamente visivo o uditivo) è alla base della teoria della Gestalt (dal tedesco “forma”), corrente psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania (avendo come principali teorizzatori Von Ehrenfels e Wertheimer), poi sviluppata da Fritz Perls nel 1950 negli Stati Uniti. La Gestalt non considera le componenti elementari della percezione ma l’intero, affermando che “l’insieme è sempre di più della somma delle singole componenti” (molarismo epistemologico). La percezione non sarebbe pertanto preceduta solo dalla sensa- 86 zione ma è influenzata dall’organizzazione del nostro pensiero, dalle passate esperienze, come dimostrano le esperienze sensoriali, visive e uditive, che abbiamo proposto. La psicoterapia della Gestalt si caratterizza per il valore positivo dato all’essere umano e alle sue risorse (Baiocchi). Perls elabora successivamente il concetto di campo percettivo proprio in funzione della relazione tra figura e sfondo: per valutare la “figura” (persona, oggetto, suono, esperienza) è necessario riferirla ad un contesto, lo sfondo (Baiocchi). Elementi che influenzano la percezione uditiva I vari modelli proposti per spiegare i meccanismi dell’attenzione selettiva si differenziano per il fatto che la selezione degli stimoli da elaborare è precoce o tardiva. I neurofisiologi nel tentativo di comprendere cosa determini le nostre capacità attentive, hanno formulato tre ipotesi : 1. Teoria della capacità corticale, secondo la quale il nostro cervello ha una propria possibilità di ricevere informazioni, saturando la quale insorge la disattenzione. Questa teoria ha fatto a sua volta nascere tre linee di pensiero: • Teoria filtro di Broadbendt, 1958. Quando due stimoli sono presentati contemporaneamente, essendo unico il canale di elaborazione, solo uno (“figura”) dei due può superare il filtro sensoriale, sulla base dei parametri intensità e familiarità o se presentato nell’orecchio dominante, mentre l’altro (“sfondo”), rimane immagazzinato nel buffer sensoriale (Working Memory - W.M.). Non spiega l’effetto cocktail party. • Teoria del filtro attenuato di Treisman, 1960. Tutti gli stimoli superano il filtro e quelli poco importanti non vengono bloccati ma attenuati e questi comunque influenzano il processo di selezione. LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY • Teoria della pertinenza di Norman, 1960. Tutti gli stimoli vengono esaminati ma, nella fase finale, solo quelli pertinenti con ciò che stiamo facendo viene selezionato. 3. Teoria dell’interferenza strutturale: il sovraccarico crea competizione tra processi cognitivi ad identico meccanismo. È la struttura non la mente ad essere limitata. 4. Teoria mista tra le due precedenti. Deutsch e Deutsch (1963) ipotizzano invece che entrambe le informazioni, sia quella rilevante (“figura”) che quella irrilevante (“sfondo”), siano elaborate completamente e che la differenza si trovi non nell’elaborazione del materiale, ma nel tipo di risposta prodotta dal soggetto. In altre parole, il filtro si troverebbe non più a livello della ricezione delle informazioni, ma a livello della risposta. Che ne sarà delle informazioni alle quali non prestiamo attenzione e che pertanto riteniamo irrilevanti? Secondo Broadbent, 1958, tesi della selezione precoce, esse vengono poco elaborate ; secondo Norman, 1968,tesi della selezione tardiva, viceversa, vengono elaborate e memorizzate; secondo Johnston e Heinz, 1978, tesi della selezione multimodale, a seconda dei casi possono o meno arrivare alla codifica inconsapevole. Relativamente allo stimolo uditivo l’elaborazione è in gran parte inconscia, ma la velocità di elaborazione è talmente elevata che gran parte degli stimoli vengono esclusi quando sono già ad uno stadio avanzato di elaborazione e di minima consapevolezza. Ovviamente “passano” le informazioni più importanti e per lo più inconsapevolmente “cestiniamo” molte altre informazioni. Le informazioni non coscienti probabilmente vengono immagazzinate a livello di memoria implicita che non richiede il recupero conscio o intenzionale dell’esperienza, come documentato da Schacter nel 1987, Eichenbaum, Mathews e Cohen nel 1989, Reber, Knowlton e Squire nel 1996. Diverso il concetto di memoria esplicita rivelata - illustrato da Schacter nel 1987 - quando la performance in un compito richiede il recupero conscio delle precedenti esperienze. Attivato il meccanismo dell’attenzione selettiva nei confronti di uno stimolo sonoro, come quello descritto nell’effetto cocktail party, questa potrà essere distolta ed indirizzata verso un nuovo stimolo se il nuovo input sonoro possiederà determinati caratteri d’intensità, durata e specifici contenuti emozionali e significati. Anche la percezione timbrica (numero di armoniche prodotte e qualità del suono), che nello schema proposto da Schindler (vedi paragrafo su percezione uditiva e attenzione selettiva) è elemento essenziale della percezione uditiva, sembra riconoscere un meccanismo gestaltico. Riferendosi all’importanza del timbro nella percezione uditiva, A. Carré ha osservato che, proponendo a bambini con sordità preverbale, ad esempio, la frequenza “La 4” emessa da un pianoforte e successivamente la stessa nota emessa da un violino, pur essendo i due suoni di identica frequenza (La 4), durata, intensità (misurata con fonometro), sia nelle condizioni di orecchio nudo che con protesi e cuffie, il bambino talvolta percepiva, addirittura con fastidio, il violino ma non percepiva neanche minimamente il suono del pianoforte. Se ne deve dedurre che il solo timbro può modificare la percezione di un suono, ma soprattutto che ognuno di noi costruisce un proprio modo di “udire” legato anche al timbro ottimale. Per tornare all’ipotesi di Schindler dobbiamo esaminare un altro parametro utile alla percezione uditiva: i rapporti tra suono e movimento. Quest’ultimo fenomeno richiama alle esperienze di udito sacculare ed alle teorie del neurofisiologo Todd sull’importanza di quest’organo dell’orecchio interno nel mediare i rapporti tra suono e movimento. 87 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare La percezione uditiva, infine, risulterebbe “influenzata” da altre informazioni sensoriali: la coordinazione sensorio-motoria e visuo-motoria (occhio-mano) e assume pertanto una connotazione di globalità che, in modo figurato, ci induce ad affermare che in un’orchestra apprezziamo la sinfonia e non le note o il singolo strumento (teoria gestaltica). COMPONENTI PERCETTIVE E MNESTICHE DELL’ASCOLTO: MEMORIA E SORDITÀ CENTRALE Musiek, come abbiamo già ricordato nel paragrafo relativo alla sintomatologia, individua quale segno di sordità centrale la difficoltà ad seguire comandi uditivi complessi. La programmazione di comandi richiama il concetto neurofisiologico di memoria. In neuroscienze la memoria è definita come la capacità del nostro Sistema Nervoso Centrale di immagazzinare informazioni, dati. Le fasi principali nell’elaborazione della memoria sono: • l’elaborazione delle informazioni ricevute; • l’immagazzinamento di queste; • il recupero delle informazioni immagazzinate. Per la nostra trattazione è utile applicare la seguente classificazione dei vari tipi di memoria e identificarne le sedi neurologiche coinvolte (Tabella 1). In questa sede interessa evidenziare che la working memory o memoria di lavoro, potrebbe entrare in campo prevalentemente nei meccanismi di integrazione temporale. Si è detto che il sistema uditivo possiede delle strutture in grado di elaborare le componenti temporali dello stimolo e far sì che lo stimolo precedente venga immagazzinato, memorizzato, per un periodo sufficiente a poterlo “lavorare” e sovrapporlo al successivo (Working Memory). Il fenomeno è analogo 88 Tabella 1. Vari tipi di memoria e relative sedi neurologiche. AREE CEREBRALI (Gestalt)MEMORIA a quanto avviene nel sistema visivo, ladCOINVOLTE Memoria Spaziale Memoria Emozionale Memoria Identificativa Working Memory (memoria di lavoro) Capacità motorie Sensoriale (visiva, uditiva, tattile) Ippocampo Paraippocampo Subiculum Cortex Aree Temporali Area 47 Parietale Posteriore Amigdala Ippocampo Ippocampo Corteccia Prefrontale Corpo striato Cervelletto Diverse localizzazioni corticali dove la memoria iconica consente di immagazzinare il dato per circa 250 millisecondi, principio sul quale, come è noto, si basa la cinematografia. Si è già riferito che l’identificazione del messaggio verbale non deriva dall’analisi di tutte le componenti frequenziali della parola ma dall’identificazione di alcune formanti (Gestalt) e pertanto anche l’ascolto diviene un fenomeno sensoriale globale, gestaltico. Dobbiamo distinguere l’atto dell’udire, che impegna l’orecchio interno, dall’atto del sentire, che coinvolge udito e corpo (specie sistema propriocettivo) ed infine dall’ascoltare, esperienza multisensoriale che attiva tutto il sistema nervoso centrale, specialmente le vie corticali e i centri di memoria. L’’ascolto, la cui funzione deficitaria determina i sintomi della sordità centrale, è un fenomeno c:condizionato da: • l’integrazione di processi percettivi (Gestalt) e mnestici (Working Memory); • la rappresentazione interna secondo il nostro vissuto sonoro (memoria emozionale, identificativa, sensitiva); LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY • la rappresentazione motoria: gesto, postura, caratteri sovrasegmentari (ritmo, pausa, intonazione), della parola (memoria motoria); • l’integrazione tra processi percettivi e mnestici ed il nostro vissuto sonoro. Pertanto, per consentirci l’ascolto (ma lo stesso vale per altre funzioni sensoriali) il nostro sistema nervoso centrale non può operare in modo lineare di successione di eventi ma dovrà realizzare dei processi di feedback, dei circuiti riverberanti; deve possedere, quindi, un buon equilibrio tra passato e futuro. In conclusione, fintantoché l’analisi del parametro uditivo è di tipo fisico (analisi in frequenza o intensità) la percezione fa riferimento all’impiego del solo recettore uditivo (analisi intramodale), ma laddove si proceda a fenomeni di integrazione e di sintesi simultanea globale per interpretare lo stimolo, occorre far riferimento a sistemi plurisensoriali al confine tra percezione e conoscenza. INTERPRETAZIONE GESTALTICA DEGLI ACUFENI L’applicazione della teoria gestaltica alla fisiologia del sistema nervoso centrale uditivo può aiutarci anche a comprendere meglio il fenomeno degli acufeni, conseguenza di una riorganizzazione plastica conseguente ad un deficit uditivo periferico più o meno documentabile con l’ausilio dell’audiometria tonale liminare. Il danno cocleare scatenerebbe l’invio di informazioni discontinue alle vie uditive centrali ed in particolare, alle vie lemniscali. Gli studi di Norena e Eggerrmont riportati da Santarelli dimostrano come la riorganizzazione precoce dell’assetto neurale corticale conseguente al disturbato input periferico, scateni una, diremmo noi, gestaltica “copertura”, ricostruzione dell’informazione, in tutto analoga a quella descritta nell’esperienza del triangolo di Kanisza. In definitiva, le aree corticali uditive compenserebbero il deficit immaginando un suono che non c’è: l’acufene. DEFICIT UDITIVO CENTRALE: PROSPETTIVE DI RICERCA E TERAPIA Si è fatto cenno all’importanza che oggi ricopre la medicina per immagini che ha quasi soppiantato la ricerca clinica audiologica. In particolare grande importanza per l’analisi di fattori coinvolti nei processi neurologici si dà alla PET (tomografia ad emissione di positroni), all’FMRI (visualizzazione funzionale per immagini con risonanza magnetica nucleare) e alla MEG (magnetoencefalografia). La PET ci consente di individuare quale parte del cervello si attivi per svolgere una certa azione, ma non ci fornisce alcuna informazione su quanto l’area attivata sia importante per la funzione studiata. Recentemente si è utilizzata la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, eccitando in modo prolungato un’area e determinando adattamento e ipofunzione. Un rilevante contributo è dato dallo studio degli algoritmi matematici di mappaggio topografico ad alta densità spaziale degli ERP (potenziali eventi correlati), nuovo traguardo della psicofisiologia cognitiva, che hanno permesso di raggiungere buoni risultati in modo meno invasivo. L’aspetto più attuale di questi studi è quello relativo alla preattenzione che precede lo stato di cognizione. Lo stadio di pre-attenzione è un’attività involtaria, inconscia, che lascia una memoria sensoriale, working memory visuo-spaziale (distinta dalla working memory fonologico/linguistica) e successivamente una memoria di fissazione (registrazione, immagazzinamento, recupero a distanza di tempo) in grado di influenzare lo stato decisionale. Pertanto la pre-attenzione e le aspettative influenzano l’analisi degli stimoli sensoriali. 89 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Gli studi sulla pre-attenzione hanno permesso all’audiologia clinica di raggiungere nuovi traguardi, come nel caso della Mismatch Negativity (MMN). Tale metodica, oggi di sempre più frequente riscontro, può essere applicata anche nei neonati. Inviando un treno di impulsi cui si frappongono degli stimoli standard, si possono sviluppare tracce di memoria. L’esame inizia con la stimolazione ripetuta (circa l’80-90% del numero totale dei suoni) di un suono e di un altro che viene presentato meno frequentemente (10-20% del numero totale), per questo definito “deviante”. Gli stimoli sono proposti a treni d’impulsi della durata di 5-10 minuti tanto da consentire al paziente anche di muoversi liberamente. Si evoca così una componente dei potenziali “evento correlati” che rappresenta una misura oggettiva dei processi cognitivi e che è probabilmente generata a livello della corteccia uditiva primaria del lobo temporale. La teoria della sordità centrale come condizionata dalla Working Memory, sembra essere confermata dagli studi di Doris-Eva Bamiou et al. Il pax6 è un gene che codifica una trascrizione regolare, che è essenziale per la morfogenesi del cervello. La mutazione eterozigote del gene pax 6 è associata ad aniridia e anomalie della scissura interemisferica cerebrale negli esseri umani. Gli autori descrivono il caso di un ragazzo di 12 anni di età, con una mutazione del gene Pax6. I genitori si mostravano preoccupati per la sue capacità uditive benché l’esame audiometrico tonale liminare più volte eseguito non avesse evidenziato alcuna patologia. Risultavano però patologici i test dicotici di audiometria vocale suggestivi per patologia centrale. In particolare, però, le prove di lingua e di valutazione età correlati hanno rivelato una ridotta memoria verbale di lavoro. I risultati dei test sono stati interpretati come patognomonici di una ridotta memoria uditiva e sensoriale in linea con i risultati riportati in 90 adulti cui era stata riscontrata una mutazione Pax 6. Questo è stato il primo studio sulla relazione della patologia centrale uditiva e verbale con deficit della memoria di lavoro in un bambino con una mutazione. Dal punto di vista terapeutico, se è ben evidente che la funzione dei recettori uditivi periferici può essere migliorata con sussidi chirurgici o protesici, analoga considerazione non può esser fatta per i disturbi centrali, per i quali occorre un intervento globale. Occorre limitare i danni affrontando la patologia di base che, ribadiamo, è prevalentemente di natura vascolare. Inoltre, è necessario migliorare la ridondanza estrinseca, applicando un sussidio protesico di ultima generazione e, per quanto possibile, la ridondanza intrinseca con interventi riabilitativi basati proprio sui processi di memoria a breve e lungo termine. La terapia medica trova indicazione nelle forme di origine vascolare (Guidetti). In particolare utili farmaci antitrombotici (antagonisti vitamina K, eparinoidi e antiaggreganti piastrinici) e farmaci con azione sul SNC (nootropi e antivertiginosi, se sussiste questo sintomo). La terapia rieducativa, trattandosi per lo più di persone adulte, è mirata prevalentemente a limitare i danni e a rispondere alle necessità della persona. Per far questo occorrerebbe assumere dall’esperienza del mondo della scuola il concetto di progetto educativo individualizzato e di profilo dinamico funzionale. La diagnosi funzionale non si limita alla diagnosi clinica ma necessita di valutazione delle competenze della persona, predispone ad un progetto riabilitativo individualizzato che valuti in itinere i risultati ottenuti. Il progetto riabilitativo deve preliminarmente operare sulla working memory, sottoponendo sequenze sonore secondo un ordine prestabilito, migliorare l’attenzione selettiva, attivare sistemi di stimolazione multisensoriale. LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY CONCLUSIONI: L’IMPORTANZA DEL TEMPO I processi d’integrazione della nostra mente, deficitari nelle sordità centrali, sono basati sulla sincronizzazione di attività neurali in regioni corticali separate. Se l’attività avviene in regioni cerebrali anatomicamente separate, ma entro la medesima finestra temporale, è possibile che le attività vengano collegate dal nostro sistema centrale, sviluppando dei processi di memoria. Memoria “a breve termine” che, se non rinforzata entro un certo tempo, si perde e memoria “a lungo termine” che determinata modificazioni fisi- che del sistema nervoso, con sintesi di nuove proteine e conseguente modificazione strutturali. L’apertura di un sistema di memoria rispetto all’altro dipende dal tempo e sempre il tempo influenza la permanenza o meno di un’informazione. Non è facile capire come il tempo operi il collegamento. So però che Aristotele nel De Memoria affermava che “La memoria non è né sensazione né concetto ma la consapevolezza di queste ultime quando interviene il tempo… cosicché solo gli animali che percepiscono il tempo possono ricordare”. Ed inizio a chiedermi come i soggetti con sofferenza centrale percepiscano il tempo. BIBLIOGRAFIA – Baiocchi P. L’applicazione dell’EMDR nell’approccio della psicoterapia della Gestalt. In EMDR: uno strumento di dialogo fra le psicoterapie (a cura di Marina Balbo). Psicologia Mc Graw-Hill. 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Atti II Meeting interdisciplinare, Milano 1990. 93 Capitolo 6 IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA Giorgio Guidetti PRINCIPI ATTIVI OTOTOSSICI E DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARI L’ototossicità è una possibile causa di disturbi audio-vestibolari e dipende dall’effetto tossico di diversi farmaci e tossine a livello dell’orecchio interno (in particolare delle cellule ciliate della coclea e del vestibolo) o del nervo acustico. La recentissima riclassificazione dei farmaci ototossici, pubblicata dalla Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale nel 2010, comprende ben 635 farmaci distinti in base al grado di ototossicità in 4 classi: • Ototossici – Farmaci in grado di indurre disturbi uditivi e vertigini. • Acufenogeni (non propriamente ototossici). • Vertiginogeni (non propriamente ototossici). • Farmaci associati a disturbi dell’udito (non ototossici). Una sottoclassificazione (a,b,c,d,e) riguarda invece la frequenza di reazioni avverse (ADr) registrate dal SSN. Il danno ototossico è accompagnato principalmente da un corredo sintomatologico uditivo (acufeni, ipoacusia o iperacusia) a causa della maggiore sensibilità dell’organo del Corti, ma si osservano anche casi di vertigine. I sintomi possono manifestarsi isolatamente o in associazione e svilupparsi all’improvviso o in tempi lunghi, risultando reversibili o meno. Nelle forme più gravi si può arrivare alla sordità completa. Si ipotizza che esista una predisposizione genetica al danno ototossico ed esistono evidenti differenze di sensibilità tra le specie animali. • Quest’ultimo aspetto è molto importante nella valutazione degli effetti ototossici reali sull’uomo fatti a partire da modelli animali. Si è visto ad esempio che il cis-platino ha dosi pro-Kg ototossiche simili fra cavia e uomo, mentre per la gentamicina il modello animale risulta essere molto più resistente agli effetti ototossici di quello umano. Un altro aspetto da tenere in alta considerazione nella pratica clinica è l’eliminazione renale di quasi tutti i farmaci ototossici, che si traduce in un abbassamento della soglia di tossicità nei soggetti con insufficienza renale. • È utile ricordare in proposito che i tessuti dell’orecchio interno e quelli renali sono immunologicamente, biochimicamente e funzionalmente correlati, tanto da suggerire una possibile correlazione fra gli effetti sul trasporto di sodio/potassio nel rene e quelli sulla omeostasi ionica dell’orecchio interno da parte dei farmaci. In molti casi i danni sono progressivi nel tempo. 95 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare È logico che i soggetti con ipoacusia o danni labirintici preesistenti o con possibili problemi nell’eliminazione dei farmaci, come ad esempio gli anziani, non andrebbero trattati con farmaci potenzialmente ototossici se sono disponibili altre molecole efficaci. Anche la contemporanea abituale esposizione al rumore va presa in considerazione poiché risulta ulteriormente peggiorativa, a causa della maggiore produzione di radicali liberi. Importanza della valutazione preliminare del paziente da trattare con farmaci a rischio Prima di intraprendere una terapia con farmaci potenzialmente ototossici è molto importante fare un esame audiometrico preliminare e ricercare i segni di un’eventuale vestibolopatia. È inoltre fondamentale (criteri di riferimento dell’American Speech-Language-Hearing Association - ASHA) il monitoraggio audiometrico e l’applicazione di test specifici come le emissioni otoacustiche (TEOAEs e DPOAEs) che vengono considerate oggi l’esame gold standard clinico per il controllo dell’ototossicità. Questo tipo di esame consente in pochi minuti lo studio della funzione cocleare per le frequenze acute e di evidenziare l’eventuale effetto ototossico già nelle fasi precoci del trattamento, anche quando ancora non si è evidenziato un deficit uditivo. La disfunzione cocleare può variare da un leggero aumento della soglia uditiva, rilevabile solo mediante l’audiometria, fino alla sordità. La perdita uditiva può essere accompagnata da tinnito transitorio o permanente. Per stabilire una diagnosi di sordità farmacoindotta è necessario riscontrare all’esame 96 audiometrico un aumento della soglia dei toni puri maggiore di 15 dB in una o piu frequenze. Tuttavia, in assenza di audiogrammi effettuati prima e dopo il trattamento, è difficile sostenere una eziologia farmacologica. Le contestazioni medico-legali per danni iatrogeni da ototossicità restano rare e si segnalano solo casi gravi (quali la perdita uditiva grave con interessamento di molte frequenze) con problemi di comunicazione, ma questo dato va letto in un contesto epidemiologico di acufeni e ipoacusie in rapida evoluzione, anche in fasce di età non geriatriche. • L’ipoacusia è uno dei disturbi sensoriali più comuni, che colpisce ad esempio negli USA, più di 36 milioni di persone e prevale non solo tra gli anziani, ma riguarda circa un terzo delle popolazione 40-50enne (American Survey NHANES). Inoltre negli adulti di 48 anni, l’incidenza a 5 anni di sviluppare perdita di udito è del 21%. L’improvvisa perdita d’udito neurosensoriale solitamente è unilaterale e può essere associata a tinnito e vertigini. Nella maggior parte dei casi l’origine non è definita e vengono ipotizzate cause infettive, vascolari, immunitarie ed ototossiche. • L’acufene colpisce circa il 10% della popolazione almeno in un momento della vita. Esso può essere temporaneo o di lunga durata. Approssimativamente il 5% degli adulti è colpito da acufene di tipo grave e persistente, tanto da condizionare lo stile di vita, e la sua prevalenza aumenta con l’età. Il meccanismo fisiopatologico dell’acufene non è ancora stato completamente chiarito e le ipotesi più consistenti lo presentano come il risultato di un’attività neurale aberrante in qualche sede lungo l’asse uditivo, mentre le cause scatenanti riguardano principalmente i IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA traumi acustici, i fattori vascolari e infettivi, e le forme appunto di ototossicità. • Ad eccezione del caso di alcune molecole come gli aminoglicosidici, in genere il danno della funzione cocleare si manifesta clinicamente molto prima di quello vestibolare, anche se quest’ultimo è grave o bilaterale. I deficit vestibolari lenti e progressivi possono infatti passare inosservati, limitandosi a fugaci vertigini o modesta instabilità, a causa dei meccanismi centrali di adattamento e compenso. • Una corretta bedside examination del paziente, alla ricerca dei segni specifici di disfunzione vestibolare quali il nistagmo spontaneo, di posizione o da head shaking o l’head trust test, consente comunque di identificare l’insorgenza del danno. L’individuazione di segni precoci di ototossicità permette l’attuazione di provvedimenti quali l’adeguamento della posologia, la sospensione o la sostituzione del farmaco. storica basata sull’impiego al bisogno e per brevi periodi dell’ASA come semplice antinfiammatorio, impieghi che ponevano l’accento solo sul sovradosaggio e su forme di ototossicità reversibili, rafforzando l’ipotesi che a basso dosaggio il rischio per l’orecchio interno fosse pressoché nullo. Sono ben conosciuti diversi effetti collaterali dell’ASA come l’intolleranza gastrica, sino alla potenziale gastrolesività, l’accelerazione del ritmo cardiaco, le difficoltà respiratorie, le reazioni cutanee, l’ipoacusia e gli acufeni (Figura 2). In particolare l’ototossicità dei salicilati, associata ad ipoacusia ed acufeni, è nota in clinica da oltre un secolo, ma è sempre stata considerata reversibile e correlata al solo sovradosaggio, per via dell’impiego prevalente nella popolazione generale per periodi brevi negli stati influenzali, ovvero in forma cronica su nicchie di pazienti problematici come in reumatologia. IL CASO DELL'ACIDO ACETILSALICILICO Fra i farmaci classificati come ototossici (Classe 1) vi è l’acido acetilsalicilico (ASA), in tutte le formulazioni e dosaggi (Figura 1). L’ASA è una delle molecole di più frequente riscontro nella pratica clinica (vedi Appendice I – Farmaci Vascolari) per l’impiego massiccio nella prevenzione cardiovascolare come antiaggregante piastrinico, in reumatologia come FANS e nelle cefalee come antiemicranico. Negli ultimi 20-30 anni, l’esteso impiego di questa molecola nella popolazione generale, in forma cronica (a vita) in campo cardiovascolare, sta portando alla luce aspetti della ototossicità di questo farmaco, inattesi secondo l’esperienza Figura 1. Struttura molecolare dell'acido acetilsalicilico (ASA) o aspirina. 97 IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA A. Perdita neurosensoriale assoluta, come riportato dai 16 riferimenti indicati nel box in alto. Per ottenere dati comparabili, le perdite sono state considerate, per quanto possibile, sulle frequenze medie. Linea continua: regressione lineare. B. Intensità dell’acufene in relazione al livello plasmatico di salicilato per i sei studi citati nel box in alto. I punti isolati rappresentano i valori soggettivi più bassi alla comparsa dell’acufene. Per due studi, i punti dell’acufene incipiente sono stati collocati a 10 dB. I punti collegati rappresentano i valori medi di crescita del volume (confrontato con il suono esterno: simboli pieni; scala soggettiva: simboli aperti) in rapporto all’incremento del livello plasmatico di salicilato. Figura 3. Livelli di ipoacusia e acufene in funzione dei livelli di concentrazione plasmatica di ASA (Cazals, Prog Neurobiol 2000). • Altri documentano però che tale azione protettiva non esiste e che, anzi, l’ASA è persino in grado di esacerbare temporaneamente la perdita uditiva da rumore e che ad alte dosi ha un’azione pro-ossidativa e facilitante la morte cellulare (Vedi Capitolo 7 “Lo stress ossidativo nel danno cocleare”). Un giudizio più chiaro e verosimilmente definitivo emerge ora dall’indagine Health Professionals Follow-up Study pubblicata nel 2010 sull’American Journal of Medicine. Si tratta di un monitoraggio condotto dal Curhan e collaboratori per 20 anni (baseline 1986) su 26.917 soggetti utilizzatori di FANS. Si è evidenziata una correlazione significativa fra le abitudini d’impiego dell’ASA e altri FANS ed il rischio di sviluppare ipoacusia rispetto alla popolazione generale, soprattutto nella fascia di età 40-50 anni. Il maggiore rischio di ipoacusia neurosensoriale associato all’ASA ed agli altri FANS è dovuto in parte al dosaggio (Tabella 1) e in parte alla durata della terapia (Tabella 2), con un rischio maggiore nei soggetti fra i 40 ed i 60 anni (Tabella 3). 99 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Tabella 1. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattato per età e multivariato) associato ad uso di analgesici (Curhan et al. Am J Med 2010). Tabella 3. Stratificazione per età del Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattato per età e multivariato*) associato ad uso di analgesici (Curhan et al. Am J Med 2010). Analge Ca si AnniPersona sici Analgesico Età <50 anni Rischio Rischio Relativo Relativo adattato per età multivariato* Aspirina <2/sett 1.769 213.831 2+/sett 1.711 154.412 1,0 1,0 1,13 (1,06-1,21) 1,12 (1,04-1,20) FANS <2/sett 2.852 320.467 2+/sett 636 48.612 1,0 1,0 1,38 (1,27-1,50) 1,21 (1,11-1,33) Pa ra c e t a molo <2/sett 3.214 347.362 2+/sett 274 21.717 1,0 1,0 1,32 (1,17-1,50) 1m22 (1,07-1,39) FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei *Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza. Tabella 2. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattato per età e multivariato) associato alla durata dell’assunzione dell’analgesico (Curhan et al. Am J Med 2010). Rischio Risc hio Durata Ca si AnniPersona Relativo Re la t ivo dell’uso adattato per età mult iva ria t o* (anni) Aspirina 0 1-4 5-8 >8 1.042 1.122 687 637 156.188 1,0 108.177 1,35 (1,24-1,46) 56.431 1,34 (1,22-1,48) 48.282 1,26 (1,14-1,40) 1,0 1,28 (1,17-1,40) 1,30 (1,17-1,44) 1,17 (1,04-1.31) 2.409 284.706 1,0 721 59.774 1,30 (1,20-1,42) 358 24.600 1,41 (1,26-1,57) 1,0 1,23 (1,12-1,34) 1,33 (1,18-1,49) FANS 0 1-4 >4 Pa ra c e t a molo 0 1-4 >4 2.897 320.893 1,0 420 36.348 1,23 (1,11-1,36) 171 511.838 1,39 (1,19-1,62) 1,0 1,19 (1,07-1,32) 1,33 (1,14-1,56) FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei *Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza. 100 Età 50-59 anni Età 60+ anni Aspirina Adattato per età 1,32 (1,02-1,69 1,36 (1,20-1,54) 1,03 (0,94-1,12) Multivariato 1,33 (1,03-1,72) 1,33 (1,17-1,50) 1,02 (0,93-1,11) FANS Adattato per età 1,59 (1,14-2,23) 1,35 (1,15-1,58) 1,17 (1,04-1,31) Multivariato 161 (1,15-2,26) 1,32 (1,13-1,55) 1,16 (1,03-1,30) Paracetamolo Adattato per età 1,91 (1,29-2,82) 1,37 (1,09-1,73) 1,17 (0,99-1,37) Multivariato 1,99 (1,34-2,95) 1,38 (1,09-1,74) 1,16 (0,99-1,37) FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei *Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza. I meccanismi della ototossicità dell’ASA I processi biochimici responsabili degli effetti tossici dell’ASA sono ancora oggi materia di ricerca. Tuttavia, varie alterazioni metaboliche sono state individuate per i salicilati (Tabella 4). Sono invece poche le indagini biochimiche condotte sino ad oggi specificamente per gli effetti ototossici come quella di Cazals del 2000. Nei modelli animali, la somministrazione acuta di alte dosi di salicilato provoca un momentaneo deficit uditivo, sino a 40-50 dB, con riduzione dei prodotti di distorsione (Distortion Product Otoacoustic Emissions, DPOAE) nelle otoemissioni, con interessamento soprattutto dell’amplificazione cocleare. I DPOAE sono generati nella coclea in risposta a determinate frequenze tonali e livelli di pressione sonora e sono un indice oggettivo del normale funzionamento delle cellule ciliate esterne. La perdita temporanea della sensibilità cocleare indotta dai salicilati parrebbe dipendere dunque da una disfunzione reversibile delle cellule ciliate esterne (Figura 4). IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA Tabella 4. Principali alterazioni metaboliche legate alla ototossicità. • Inibizione della sintesi delle prostaglandine, della NADPH sintetasi, della fosfolipasi C, della colesterolesterasi e della ATPasi. • Interazione con antigeni e anticorpi. • Passaggio nelle membrane. • Uncoupling della fosforilazione ossidativa. • Iperglicemia. • Attivazione del heat shock transcription factor. • Interazione con i radicali liberi. LEGENDA: SV: Stria Vascularis; BM: Membrana Basale; AN: Nervo Acustico (VIII n.c.) Figura 4. Sistema delle cellule ciliate esterne (OHC) e interne (IHC). In particolare pare interessata la capacità di questa classe di molecole di legare competitivamente la prestina, che, come documentato dal gruppo di Zheng, Dallos e collaboratori, è il motore proteico che garantisce il movimento delle cellule ciliate. La prestina è presente nelle hair cells di tutti i mammiferi (Figura 5) e serve per amplificare le onde sonore. Le persone che possiedono un gene mutato per la formazione di questa proteina non riescono ad udire suoni ad alta frequenza ed è stata scoperta una correlazione tra la mutazione di questo gene e la capacità di orientarsi grazie a sonar. I cambiamenti conformazionali di questa proteina sono causati da spostamenti di anioni intracellulari indotti dalle variazioni del campo elettrico della membrana (Figura 6). L’interferenza con la prestina produrrebbe: l’eliminazione reversibile della elettromoticità delle cellule ciliate esterne (OHC); la perdita temporanea dei DPOAE; la perdita temporanea dell’amplificazione cellulare. Figura 5. Grazie al biosonar (ecolocalizzazione) i delfini identificano e stimano la distanza degli oggetti, utilizzano gli echi dei suoni emessi nell'ambiente, per l'orientamento e la ricerca del cibo. 101 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 6. La prestina è implicata nei meccanismi di attivazione delle cellule ciliate, a causa dei cambiamenti indotti nella proteina dalle variazioni del campo elettrico della membrana. La somministrazione prolungata di elevati dosaggi di salicilati pare invece comportare: un aumento dell’ampiezza dei DPOAE; un aumento della elettromotricità delle cellule ciliate esterne; un aumento della produzione di prestina. Un recente studio sperimentale di Chen e collaboratori ha chiarito meglio questo apparente paradosso in un articolo dal titolo “Troppo di una cosa buona: il trattamento a lungo termine con i salicilati rafforza le funzioni delle cellu- 102 le ciliate esterne, ma altera l’attività neurale uditiva”. È stato infatti osservato che: l’ampiezza dei DPOAE cala nelle prime 24h per poi aumentare nuovamente e stabilizzarsi; l’ampiezza dei CAP (Compound Action Potential) si riduce in modo permanente; l’ampiezza delle risposte evocate uditive tronco-encefaliche (ABR: Auditory Brainstem Response) si riduce in modo permanente (Figura 7). IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA L’applicazione di salicilati a colture cellulari organotipiche cocleari immature e postnatali ha inoltre documentato cambiamenti morfologici cellulari e dell’espressione dei geni coinvolti nell’apoptosi dopo 3, 6 e 12 ore dal trattamento. In particolare sono evidenti danni nelle cellule del ganglio spirale, con una significativa e progressiva riduzione della dimensione somatica del ganglio, un’apoptosi capsasi-dipendente e un cambiamento dell’espressione della famiglia dei Tumor Necrosis Factors (Figura 8). Lo studio dell’attività tinnitogena dell’ASA nell’animale, mediante l’acoustic startle reflex, o alarm reflex con risposta motoria emozionale condizionata ha consentito a Kizawa e collaboratori di identificare ulteriori meccanismi di interazione della molecola con la funzione uditiva. Secondo i risultati dello studio pubblicato da Neuroscience nel 2010, nell’animale da esperimento la lesione dei nuclei cocleari abolisce questo riflesso, mentre la stimolazione elettrica lo evoca. Nell’uomo questo riflesso pare collegato all’attività della sostanza reticolare tronco-encefalica e alle vie reticolo-spinali. A. Ampiezze ABR come funzione di un livello di stimolazione a 12 kHz. B. Ampiezze ABR ad un livello di stimolazione di 100 dB (SPL) come funzione di frequenza Figura 7. Gli effetti permanenti del trattamento cronico con salicilato sugli ABR in un gruppo di ratti SD giovani adulti (n=6) (Mod. da Chen et al, Hear Res 2010). La riduzione permanente dell’ampiezza dei CAP suggerisce che un trattamento a lungo termine con i salicilati possa danneggiare il soma e gli assoni dei neuroni del ganglio spirale della coclea. Figura 8. Media della dimensione somatica del ganglio spirale dei neuroni cocleari (± SEM) in controlli e colture di neuroni gangliari trattate con 1, 3 e 5 mM di salicilati per 48 ore (Mod. da Wei et al, Neuroscience 2010). 103 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare L’iniezione di dosi elevate di salicilato, come dimostrato nel 209 da Sun e collaboratori, induce un aumento della risposta acustica d’allarme nell’animale, per aumento della sensibilità del sistema uditivo centrale, presumibilmente da inibizione della down-regulation GABA-mediata, che verosimilmente può essere il correlato comportamentale dell’iperacusia che spesso accompagna il tinnito e la perdita d’udito. Nello studio del 2010 di Kizawa e collabora- tori sui ratti, due ore dopo l’iniezione di salicilato (400 mg/kg) gli animali sono in grado di avvertire un acufene (risposta falso-positivo) equivalente a quello indotto da 60 dB SPL e 16 kHz (Figura 9). Poiché questa condizione è soppressa in modo significativo dalla capsazepina, la sovraregolazione uditiva centrale pare provocata in particolare dall’attivazione del TRPV1 nella via uditiva del ratto, soprattutto nel ganglio spirale (Figura 10). A. La percentuale di risposte corrette al suono (% punteggio di “fuga attiva”) misurato prima (giorno 0), durante (giorno 1-3), e dopo le iniezioni di salina o di salicilato (400 mg/kg) (giorno 4). La percentuale di punteggio di “fuga attiva” è rimasta stabile (80%) in entrambi i gruppi durante il periodo sperimentale. B. Numero di risposte anormali durante i periodi asintomatici (falsi positivi). Le iniezioni di salicilato hanno indotto in maniera significativa un aumento del numero di falsi positivi al terzo giorno (giorno 3) (* P<0.005). È stata riscontrata una completa guarigione nel momento in cui è stato sospeso il trattamento al quarto giorno (giorno 4). Figura 9. Punteggio di “fuga attiva” (A) e falsi positivi (B) nei ratti trattati con salicilato (Mod. da Kizawa et al., Neuroscience 2010). 104 IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA Figura 10. La superfamiglia dei Transient Receptor Potential (TRP) è implicata nei processi nocicettivi a livello periferico e centrale. L’aumento dell’attività TRPV1 nel ganglio spirale, con la relativa ipersensibilità neuronale, è correlabile alla diminuzione della cicloossigenasi provocata dall’ASA. L’inibizione della cicloossigenasi e l’alterazione del metabolismio dell’acido arachidonico ad opera dell’ASA è inoltre capace di attivare i recettori cocleari NMDA che non sono normalmente implicati nella trasmissione del messaggio acustico, favorendo ulteriormente la disreattività neuronale (Figura 11). Esistono due tipi di cicloossigenasi: COX 1 e COX 2 (Figura 12). L’ASA li inibisce entrambi. La COX 1 è presente nelle piastrine e, venendo acetilata, non può essere risintetizzata. La COX 2 si trova principalmente nelle cellule endoteliali e, essendo queste ultime provviste di nucleo, la risintesi è possibile. L’ASA inibisce la formazione di trombossani da parte della COX-1 mentre la sintesi di prostaglandine e prostacicline si ristabilisce abbastanza rapidamente, spostando la bilancia trombotica verso l’antiaggregazione piastrinica. L’inibizione della COX1 è un effetto indesiderato dell’ASA e di altri FANS e riduce la trasformazione dell’acido arachidonico in prostaglandine e la sintesi di trombossani (Figura 13). Nell’apparato uditivo il metabolismo dell’acido arachidonico è sicuramente importante e una sua alterazione, come ad esempio nel trauma acustico, è in grado di provocare danni. L’espressione dei recettori COX-1 scende infatti dopo esposizione a 70-90 dB SPL nella maggior parte delle cellule dell’organo del Corti, mentre aumentano nelle fibre nervose nella lamina spirale ossea. 105 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare A. Recettore NMDA: 1) Membrana cellulare, 2) canale bloccato dal Mg, 3) sito di legame del Mg che blocca il recettore, 4) composti allucinogeni che legano il sito 5, 5) sito di legame per Zn2+, 6) sito di legame per agonisti ed antagonisti, 7) sito di glicosilazione, 8) siti di legame del protone, 9) sito di legame della glicina, 10) sito di legame delle poliammine, 11) spazio extracellulare, 12) spazio intracellulare. B. Modello tridimensionale dell’enzima ciclossigenasi (COX o prostaglandina-endoperossido sintasi, (in alto ) e diagramma della reazione catalizzata (in basso) C. L'aspirina blocca il legame dell'acido arachidonico nel sito attivo della cicloossigenasi, inibendo la trasmissione di stimoli dolorifici e la risposta infiammatoria. Figura 11. Recettore NMDA, cicloossigenasi e acido arachidonico sono implicati nella disregolazione uditiva indotta dall'ASA. 106 IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA Figura 12. A. La scoperta dell’esistenza della ciclossigenasi indotta (COX2) isoforma della ciclossigenasi costitutiva (COX1) ha dato impulso allo studio dei farmaci antinfiammatori, per la soppressione selettiva degli effetti collaterali indesiderati. B, C. COX 1 e COX2 inibite dall’ASA. 107 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 13. Molti farmaci antinfiammatori e antidolorifici inibiscono una delle vie dell’acido arachidonico, la cui metabolizzazione produce mediatori infiammatori. Contemporaneamente si reduce la 5Lipossigenasi, parimenti inplicata nei processi di trasformazione dell’acido arachidonico, soprattutto nel terzo anello dell’organo del Corti, nel secondo e nel terzo del ganglio spirale e in tutti quelli della stria vascularis (vedi Box “Ruolo della stria vascolare nella fisiologia dei fluidi endolinfatici). 108 L’alterazione dei processi biochimici relativi all’acico arachidonico, alle prostaglandine e ai trombossani implica quindi naturalmente anche un’interferenza sui meccanismi di regolazione vascolare. IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA RUOLO DELLA STRIA VASCOLARE NELLA FISIOLOGIA DEI FLUIDI ENDOLINFATICI La stria vascolare è l’epitelio riccamente vascolarizzato che riveste la parete laterale del dotto cocleare, delimitato sugli altri due lati dall’organo del Corti (che è immerso nell’endolinfa e, mediante le cellule ciliate, traduce gli stimoli sensoriali meccanici – suono – in segnali elettrici) e dalla membrana di Reissner. Queste strutture concorrono in modo indipendente e coordinato all’omeostasi dell’endolinfa della scala media, che ha concentrazione alta di K+ e potenziale positivo. L’organizzazione cellulare della stria vascolare, con tre tipi di cellule in serie – basali, intermedie e marginali – potrebbe essere responsabile della genesi del potenziale endococleare. Probabilmente, il potenziale positivo all’interno della scala media è generato da un epitelio di cellule basali e intermedie che si trovano al di sotto delle cellule marginali. È stato stabilito con certezza che la stria vascolare è responsabile della secrezione di K+ nell’endolinfa. Anche i trasportatori implicati nel trasporto di K+ sono stati per la maggior parte identificati e localizzati nelle diverse cellule che formano la stria vascolare. Le cellule marginali, che ricoprono il bordo del canale endolinfatico, giocano un ruolo chiave negli scambi ionici e nella formazione del potenziale dell’endolinfa. Il potassio secreto nell’endolinfa dalla stria vascolare entra nelle cellule ciliate attraverso i canali meccano-sensitivi apicali dello ione K+, e lascia probabilmente le cellule ciliate esterne attraverso i canali KCNQ4. Il potassio è poi riutilizzato nella stria vascolare attraverso le cellule di sostegno e i fibrociti del legamento spirale per un altro giro di secrezione. I progressi compiuti dalla ricerca sperimentale nella caratterizzazione molecolare dei sistemi di trasporto idroelettrolitici implicati nella fisiologia dei fluidi dell’orecchio interno hanno permesso di comprendere meglio alcune patologie, particolarmente nel campo delle sordità genetiche e della malattia di Menière. In futuro, queste conoscenze dovrebbero permettere lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici a ipoacusia, vertigini e altre disfunzioni audio-vestibolari legate ad anomalie di questi trasporti. Le prostaglandine (PGs) maggiormente prodotte dalle strutture vascolari nell’orecchio interno sono la PGI2, PGF2α, PGE2, PGI2α, che si ritrovano nella perilinfa. Come documentato in uno studio del 1985 da Escoubet e collaboratori, l’iniezione di 350 mg/kg di ASA per via intraperitoneale reduce per 3 giorni la sintesi di PGs nella perilinfa. La PGH2 viene trasformata enzimaticamente in tre prodotti: • il Trombossano A2, che si trova soprattutto nelle piastrine, è piuttosto instabile e provoca aggregazione piastrinica e vasocostrizione; • la Prostaciclina o PGI2, che si trova prevalentemente nella parete dei vasi, ha effetti opposti a quelli del Trombossano A2, inibisce l’aggregazione piastrinica e agisce da vasodilatatore; • le prostaglandine PGD2, PGE2, PGF2 , che si riscontrano in varie zone dell’organismo e rappresentano i metaboliti più stabili, esercitano diverse azioni sul tono e sulla permeabilità vascolare. Nel ratto alti dosaggi di ASA sembrano poter prevenire la disintegrazione delle cellule ciliate vestibolari dopo trombosi selettiva dell’arteria cerebellare antero-inferiore, ma lo studio laser Doppler ha dimostrato che il flusso ematico cocleare in realtà viene ridotto del 10-20% a seconda delle dosi iniettate e vi è un aumento significativo della soglia del CAP per le frequenze superiori ai 4KHz. Verosimilmente entrano appunto in gioco anche in questo caso i meccanismi relativi alle prostaglandine. 109 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Sia negli animali da esperimento che nell’uomo i recettori dei prostanoidi infatti sono distribuiti in abbondanza nella coclea, nel legamento spirale, nella stria vasculari, nel ganglio spirale e nell’organo del Corti. L’analisi al microscopio rivela una distribuzione omogenea dei recettori COX-1 in quasi tutte le cellule dell’organo del Corti ad esclusione dei pilastri. I recettori COX-2 sono presenti in tutti i tipi di cellule della coclea, con una maggiore distribuzione nelle cellule di Hensen e in quelle di Deiters, che parrebbero avere anche un importante ruolo metabolico, nonchè sulla lamina cuticulare delle cellule ciliate esterne e sulla membrana reticolare in genere. I recettori COX-1 e COX2 sono rappresentati omogeanemente anche nel ganglio spirale. La coclea inoltre ha un’innervazione autonoma, ristretta al modiolo, di tipo noradrenergico ed un test in vivo su cavie trattate con salicilati ad alto dosaggio ha dimostrato che l’ipoacusia rilevata è correlata anche ad un aumento di norepi- nefrina, epinefrina, dopamina e di alcuni metaboliti come l’acido 5-hydroxyindole-3-acetico e l’acido omovanilico nella perilinfa. In conclusione: l’ASA somministrato ad alte dosi, sia sperimentalmente sugli animali che nell’uomo, è in grado di provocare con vari meccanismi una sofferenze del sistema uditivo a più livelli, dall’organo del Corti sino ai centri di integrazione delle informazioni uditive, generalmenre accompagnato da acufeni. Più raramente è stata indagata la componente vestibolare ma i dati sperimentali ed il coinvolgimento dei meccanismi circolatori suggeriscono che un suo coinvolgimento è altamente probabile. Il recente follow-up ventennale di pazienti con uso cronico di ASA ai dosaggi clinicamente più attuali rivela che l’ototossicità è purtroppo irreversibile ed è più evidente nei soggetti al di sotto dei 60 anni. BIBLIOGRAFIA – Abramson S, Weissmann G. The mechanisms of action of nonsteroidal antiinflammatory drugs. Clin Exp – – – – – – – – 110 Rheumatol 1989;7(3):S163-S170. Bernstein JM, Weiss AD. Further observations on salicylate ototoxicity. J Laryngol Otol 1967;81:915-25. Bonding P. 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Immunohistochemical Localization of Cyclooxygenase Isoforms in the Organ of Corti and the Spiral Ganglion Cells of Guinea Pig Cochlea. ORL 2004;66:297-301. 113 Capitolo 7 LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE Giorgio Guidetti IL DEFICIT UDITIVO NEUROSENSORIALE Si considerano ipoacusie neurosensoriali improvvise o acute (Sudden SensoriNeural Hearing Loss) quei quadri patologici caratterizzati da una perdita repentina della funzione uditiva, solitamente localizzata ad un solo orecchio e dall’evoluzione variabile. Infatti, la perdita uditiva si manifesta nel volgere di qualche secondo fino ad alcune ore, o al massimo tre giorni. L’inquadramento clinico si basa innanzitutto sui dati anamnestici forniti dal paziente sulla comparsa di una ipoacusia unilaterale manifestatasi nel volgere di minuti o di poche ore, al massimo tre giorni. L’ipoacusia può essere accompagnata da altri segni di sofferenza cocleo-vestibolare, associandosi spesso ad acufeni, fullness, vertigine o instabilità. All’origine del deficit uditivo neurosensoriale c’è generalmente un malfunzionamento della coclea, dovuto al danneggiamento delle cellule ciliate uditive dell’organo di Corti, oppure un danno del nervo uditivo o delle vie nervose centrali. Le cellule ciliate danneggiate non sono in grado di trasformare il segnale acustico in impulsi nervosi. Più cellule sono danneggiate, più grave sarà la sordità (Figura 1). Figura 1. A. L'attivazione delle cellule ciliate in scariche di potenziali d'azione è modulata da una serie di complessi meccanismi ionici e neurosecretori. IHC: cellule ciliate interne; OHC: cellule ciliate esterne. B. Le cellule ciliate danneggiate non sono in grado di trasformare il segnale acustico in impulsi nervosi. 115 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Sulla base della entità della perdita uditiva, le ipoacusie neurosensoriali si definiscono di grado lieve (perdita uditiva da 20 a 40 dB), medio (da 41 a 70 dB), grave (da 71 a 90 dB), profondo (>90 dB). L’entità del danno può delinearsi immediatamente nella sua massima entità, oppure manifestarsi come un peggioramento progressivo. L’evoluzione naturale della patologia è variabile, perché il deficit può rimanere inalterato oppure può verificarsi una remissione spontanea, parziale o (più raramente) completa. La più frequente tra le ipoacusie neurosensoriali ad evoluzione cronica è la presbiacusia, nella quale il deficit uditivo è dovuto all’invecchiamento e progressiva diminuzione delle cellule uditive. Altre sordità neurosensoriali sono di natura ereditaria, metabolica, vascolare, traumatica, da stress per esposizione eccessiva a rumori, infettiva o iatrogena da farmaci ototossici. Cause possibili di ipoacusie neurosensoriali da danno delle vie nervose sono la sclerosi mul- tipla e la neurofibromatosi. Nel caso di una ipoacusia neurosensoriale puramente monolaterale va sempre escluso il neurinoma del nervo acustico, comunque a bassa prevalenza (circa 1 ogni 100.000 abitanti). L’ACUFENE L’acufene o tinnito, caratterizzato dalla percezione di suono in assenza di stimoli esterni, è stato riscontrato in circa il 10% della popolazione almeno in un momento della loro vita (Figura 2). Esso può essere temporaneo o di lunga durata; approssimativamente il 5% degli adulti è colpito da acufene grave e persistente, tanto da condizionare lo stile di vita. Infatti, sebbene molti riescano ad adattarsi positivamente a questa situazione, altri vivono questa esperienza come una condizione invalidante. La prevalenza del tinnito aumenta con l’età. Figura 2. Nel 78% delle persone che soffrono di acufene l’intensità del “suono fantasma” è minore o uguale a 10dB, mentre nel 44,5% dei casi è compreso tra 1 e 5 dB. Ma la reazione organica che un medesimo tipo di acufene produce tramite il sistema limbico e il sistema nervoso autonomo (fastidio o senso di allarme vs. adattamento) è strettamente soggettiva. 116 LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE Nonostante vi siano molte teorie che riguardano la fisiopatologia dell’acufene, il meccanismo preciso resta ancora da spiegare. La più consistente di queste è l’ipotesi che rappresenti il risultato di un’attività neurale aberrante in qualche sede lungo l’asse uditivo e di abnormi meccanismi centrali di risposta a questa condizione, con coinvolgimento anche di network limbici ed emozionali. La terapia standard degli acufeni rimane incerta, nonostante il gran numero di interventi terapeutici e studi che vengono proposti come efficaci. Recenti evidenze del coinvolgimento dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS) nelle patologie dell’orecchio interno e delle vie periferiche e centrali potrebbero suggerire un approccio terapeutico all’acufene anche con agenti antiossidanti. DANNO COCLEARE DA STRESS OSSIDATIVO I ROS (Reacting Oxygen Species) o specie reattive dell’ossigeno sono radicali liberi che vengono prodotti dall’organismo in condizioni fisiologiche e patologiche. Normalmente la loro presenza è controllata da meccanismi intercellulari attraverso enzimi endogeni antiossidanti come la Superossidodismutasi (SOD). Uno squilibrio causato da sovrapproduzione di ROS o deplezione di antiossidanti provoca un’azione citotossica sulle cellule. Nell’orecchio interno è stata ampiamente documentata l’ipotesi che i processi di necrosi e apoptosi delle cellule ciliate nelle ipoacusie siano ROS-mediati. Tale ipotesi si basa su prove sperimentali su animali e prende origine da due considerazioni: • I ROS vengono prodotti soprattutto nelle catene mitocondriali che forniscono energia alle cellule e le cellule ciliate (hair cells) della coclea sono note per essere un sistema esigente per il consumo di energia e ossigeno. • I ROS possono attivare i processi di necrosi e/o apoptosi cellulare danneggiando la membrana lipidica, le proteine ed il DNA cellulare. Nei modelli animali sono stati descritti diversi casi di danno cocleare, tra cui quello legato alla esposizione al rumore e ai farmaci ototossici (ad es. aminoglicosidi e cisplatino). Gli effetti degli aminoglicosidi (ad es. gentamicina) nell’orecchio interno comprendono il blocco dei canali di: calcio, magnesio, potassio e sodio; inoltre gli aminoglicosidi permeano nell’endolinfa interferendo con i canali non selettivi delle cellule ciliate (Figura 3). Questi effetti provocano un aumento dei livelli di calcio intracellulare e la produzione di livelli tossici di ROS che conducono a diversi gradi di apoptosi delle hair cells, a seconda del tipo di esposizione, acuta o cronica, con bassi o elevati dosaggi. Questi processi apoptotici possono perdurare fino a 4 settimane dopo la cessazione della somministrazione del farmaco. Le indagini sullo stress ossidativo si sono concentrate in particolare sul ruolo dei ROS nelle ipoacusie reversibili, irreversibili ed in quelle croniche progressive, raccogliendo evidenze sempre più importanti del peso che la perossidazione lipidica e l’apoptosi cellulare sembrano avere nel danno funzionale delle strutture labirintiche. Due markers dello stress ossidativo e della perossidazione lipidica cellulare, rispettivamente i coniugati glutatione-proteine e l’8-isoprostano, sono stati studiati in associazione al danno prodotto in diverse aree dell’orecchio interno (perdita di hair cells), dopo esposizione a trauma acustico o in condizioni di deterioramento cronico fisiologico. L’esposizione al rumore pare indurre stress ossidativo, riduzione del flusso sanguigno cocleare, rigonfiamento neuronale, 117 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 3. La gentamicina, come altri antibiotici aminoglicosidici, permeando nell’endolinfa, induce un aumento dei livelli di calcio intracellulare e la produzione di livelli tossici di ROS, responsabili di diversi gradi di apoptosi delle cellule ciliate. necrosi e apoptosi cellulare nell’organo del Corti. I lipidi sono uno dei principali componenti delle membrane biologiche; la perossidazione lipidica comporta deterioramento ossidativo dei lipidi e danni per le proteine incorporate nelle membrane cellulari. La perossidazione lipidica è avviata dai radicali OH, e una singola reazione iniziale è in grado di innescare una reazione a catena che genera molteplici perossidi radicali. Alcuni studi indicano come lo stress ossidativo aumenti considerevolmente con l’età, mentre le difese antiossidanti (AIF e SOD2) si abbassano. L’area più sensibile allo stress ossidativo pare essere l’organo del Corti, con alterazioni anche 118 irreversibili, mentre la stria vascularis risulterebbe più resistente con alterazioni spesso reversibili. Uno studio pubblicato recentemente dalla Scuola di Ferrara ha fornito la prima prova della produzione di superossido, una specie reattiva dell’ossigeno (ROS) in pazienti con ipoacusia neurosensoriale profonda (60-80 db). Ciorba e collaboratori hanno studiato 142 pazienti ipoacusici (65 maschi e 77 femmine – età compresa fra 2 mesi e 70 anni), dai quali sono stati raccolti 98 campioni validi di perilinfa da pazienti sottoposti ad inserimento di un impianto cocleare, osservando come controllo 7 campioni ottenuti da pazienti affetti da otosclerosi, con leakage spontaneo post-stapedotomia (Figura 4). LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE LEGENDA: XA/XO (Xantina/Xantina-Ossidasi, sistema enzimaticogeneratore di ROS); SDS-PAGE = Sodium Dodecyl Sulphate PolyAcrylamide Gel Electrophoresis (elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecil solfato, tecnica analitica che permette l'analisi di estratti proteici). Figura 4. Test eseguiti sui campioni validi di perilinfa ottenuti dall’orecchio interno dei soggetti inclusi nello studio. (Mod. da: Ciorba et al. Acta Otolaryngol 2010). lIn tutti i pazienti esaminati, a prescindere dall’età e dal grado di ipoacusia, si sono riscontrati livelli di superossido da 50 a 200 volte superiori ai campioni del gruppo di controllo (Tabella 1). Tabella 1. Produzione di radicali superossido misurati come livello di citocromo-riduttasi nella perilinfa di orecchio interno umano. Mod. da: Ciorba et al. Acta Otolaryngol 2010 Età (anni) Superossido (μm/mg proteina) 0-10 15.87 + 7.96 11-30 60.67 + 27.92 >30 21.06 + 14.67 Controlli 0.36 0.13 I ROS sembrano coinvolti anche nei casi di ipoacusia genetica (es. Sindrome di Pendred), nella presbiacusia, nella Malattia di Menière e nel trauma acustico, in cui un ruolo essenziale parrebbe svolto appunto dalla riduzione del flusso sanguigno e dalla formazione di ROS nella coclea, con uno sviluppo significativo a distanza di 7-10 giorni dall’esposizione al rumore. In effetti parrebbe che gli antiossidanti (i cosiddetti “spazzini” dei radicali liberi), somministrati entro tre giorni dal trauma acustico, siano in grado di ridurre la formazione di radicali liberi e l’apoptosi delle cellule sensoriali. L’evento finale scatenante il danno cocleare è infatti comunque sempre l’ipossia, con la relativa sofferenza cellulare da stress ischemico/ossidativo, 119 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare e pare dunque razionale una scelta terapeutica mirata sia alla riparazione del danno endoteliale del microcircolo dell’orecchio interno che alla inibizione dei radicali liberi per ridurre quanto più possibile il danno cellulare. La terapia orale antiossidante in pazienti pare trovare indicazione come trattamento supplementare anche nell’acufene idiopatico in quanto sembra ridurre il disagio soggettivo e l’intensità del tinnito. Presso la Clinica Otorinolaringoiatrica di Padova, Savastano e collaboratori hanno condotto uno studio clinico, in cui sono stati esaminati 31 pazienti con acufene unilaterale idiopatico trattati con antiossidanti per 18 settimane. Si sono valutati i disturbi soggettivi con scala analogica visiva (VAS) ed il dosaggio dei ROS nel siero 48 ore prima e dopo il trattamento medico. Il cocktail antiossidante impiegato prevedeva un mix di fosfolipidi e vitamine (Vit. C, Vit. E). Il trattamento ha mostrato un abbattimento dei livelli di ROS corrispondente ad un miglioramento del tinnito. Attualmente sono in fase di studio numerose molecole otoprotettive con attività antiossidanti. L’Acido Alfa Lipoico (ALA) e la Superossidodismutasi (SOD) hanno già dimostrato efficacia clinica sullo stress ossidativo dei pazienti diabetici. Studi sperimentali hanno dimostrato che un deficit di SOD amplifica il depauperamento fisiologico delle hair cells e il danno alla coclea, che si mostra particolarmente vulnerabile in queste condizioni. Le strategie di up-regulation della SOD hanno già mostrato effetti positivi nel limitare il danno cellulare e la perdita uditiva in condizioni di danneggiamento cellulare da ischemia, trauma acustico e sostanze ototossiche. La combinazione di enzimi sinergici nel neutralizzare lo stress ossidativo prodotto in seguito ad un trauma acustico potrebbe essere una strada molto promettente per ottenere risultati di valore clinico, come nel caso della superossidodismutasi insieme al Glutatione (GSH) catalizzato dall’acido alfa lipoico (ALA), dove l’enzima SOD converte i radicali dell’ossigeno (ROS) in idrogeno perossido (H2O2) e il glutatione converte quest’ultimo in acqua disponibile per la cellula, neutralizzando così il potenziale patogenetico dello stress ossidativo. BIBLIOGRAFIA – Ciorba A, Gasparini P, Chicca M, Pinamonti S, Martini A. Reactive oxygen species in human inner ear peri– – – – – 120 lymph. Acta Otolaryngol 2010;130:240-6. Curhan SG, Eavey R, Shargorodsky J, Curhan GC. Analgesic use and the risk of hearing loss in men. Am J Med 2010;123:231-7. Derin N, Akpinar D, Yargicoglu P, Agar A, Aslan M. Effect of alpha-lipoic acid on visual evoked potentials in rats exposed to sulfite. Neurotoxicol Teratol 2009;31:34-9. Henderson D, Bielefeld EC, Harris KC, Hu BH. The role of oxidative stress in noise-induced hearing loss. Ear Hear 2006;27:1-19. Henderson D, McFadden SL, Liu CC, Hight N, Zheng XY. The role of antioxidants in protection from impulse noise. Ann N Y Acad Sci 1999;884:368-80. Jiang H, Talaska AE, Schacht J, Sha SH. Oxidative imbalance in the aging inner ear. Neurobiol Aging 2007;28:1605-12. LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE – Labbé D, Teranishi MA, Hess A, Bloch W, Michel O. 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Ognuno di essi ha caratteristiche particolari che lo rendono più indicato per un tipo di eziopatogenesi piuttosto che per altri e che lo possono rendere controindicato in particolari condizioni fisio-patologiche (vedi Appendice I: Farmaci vascolari). È dunque evidente che la scelta della molecola da suggerire rappresenta la fase finale dell’iter e deve prendere in particolare considerazione le caratteristiche generali del paziente, anche perché spesso si tratta di terapie croniche, in cui quindi il rischio di eventi indesiderati è maggiore. Le indicazioni delle linee guida SPREAD Nella scelta del farmaco occorre inoltre tenere presente che la sesta edizione delle Linee Guida SPREAD su TIA e ICTUS pubblicata nel 2010, alla voce “TIA - Inquadramento ClinicoDiagnostico”, determina una svolta epocale nel- l’appropriatezza della prevenzione secondaria del TIA, alla luce della nuova definizione proposta dall’American Heart Association (AHA), basata sulle indicazioni dell’OMS (vedi Appendice II – Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA SPREAD 2010). Le Linee Guida SPREAD danno infatti le seguente raccomandazione: Non è indicato considerare TIA, sulla base della definizione dell’OMS (improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, attribuibile ad insufficiente apporto di sangue, di durata inferiore alle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigini, l’amnesia globale transitoria, i drop attack, l’astenia generalizzata, lo stato confusionale, e l’incontinenza sfinterica quando presenti isolatamente. La nuova definizione AHA del Transient Ischemic Attack (TIA). In base all’evidenza fornita dalle moderne tecniche di neuroimaging, l’AHA/ASA Scientific Statement 2009 ha proposto una nuova definizione di TIA: “Episodio di disfunzione neurologica causato da ischemia focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina senza infarto acuto”. 123 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Tabella 1. I farmaci in uso più comunemente nelle patologie otoneurologiche di natura vascolare. VASODILATATORI Papaverina Piricarbato Ciclandelato Xantinolo nicotinato Naftidrofurile Raubasina ANTITROMBOTICI Eparina sodica Acido acetilsalicilico (ASA) Warfarin Eparina calcica Lisina acetilsalicilato Acenocumarolo Bemiparina Dipiridamolo Reviparina sodica Ticlopidina Lepirudina Dalteparina sodica Tirofiban Antitrombina III Nadroparina calcica Sulfinpirpazone Parnaparina sodica Indobufene Streptochinasi Picotamide Urochinasi Sulodexide Eptifibatide Alteplasi Eparansolfato Clopidogrel Reteplasi Glicuronilglicosaminoglicano Abciximab Mesoglicano Cloricromene Tenecteplase Sulfomucopolisaccaride Iloprost Proteina C plasmatica Pentosano polisolfato sodico Triflusal Drotrecogin Danaparoid Epoprostenolo Defibrotide FARMACI AD AZIONE COMPLESSA Nicergolina Amlodipina Buflomedil Diltiazem cloridrato Diidroergocriptina Felodipina Diidroergotossina Isradipina Piribedil Lacidipina Betaistina Ginkgo biloba Vincamina Lercanidipina cloridrato Pentossifillina Nicardipina cloridrato Piracetam Nifedipina Nisoldipina Verapamil cloridrato Nimodipina Cinnarizina Flunarizina 124 Citicolina LE SCELTE TERAPEUTICHE Questo significa che le nuove Linee Guida non pongono indicazione di prevenzione secondaria laddove non vi sia un vero TIA secondo la nuova definizione. Poiché la sintomatologia audio-vestibolare non è più vincolante per porre diagnosi di TIA quale primo episodio isolato, per l’audio-vestibologo si apre l’opportunità di essere il primo attore nella scelta consapevole della terapia causale più adatta secondo il rapporto rischio/beneficio, per i pazienti con disturbi otoneurologici di origine vascolare, tenendo conto oggi anche del potenziale ototossico dei farmaci prescelti. In questa ottica risultano particolarmente interessanti i cosiddetti “farmaci di parete”. I FARMACI DI PARETE NELLA TERAPIA MEDICA DELLE VERTIGINI DI NATURA VASCOLARE La caratteristica emodinamica peculiare della microcircolazione cerebrale è l’autoregolazione del flusso che, in base a due principali componenti (una statica e l’altra dinamica), si traduce nel controllo delle resistenze vascolari intracraniche. Anche il flusso ematico dell’orecchio interno mostra gli stessi meccanismi di autoregolazione, indispensabili per il mantenimento di una corretta omeostasi dell’endolinfa. Un elemento fondamentale nell’autoregolazione del microcircolo è rappresentato dalla parete vascolare e, in particolare, dall’endotelio, che si presenta come un singolo strato di cellule di rivestimento della superficie luminale della parete vasale, costituita da cellule muscolari lisce, fibroblasti e fibre collagene ed elastiche (Vedi Box “Il glicocalice endoteliale”). I fattori di rischio vascolari sono in grado di provocare una vertigine in quanto ipertensione, ipotensione, diabete, dislipidemia, basso shear stress di parete del flusso e processi aterotrombotici conducono ad una scorretta risposta endoteliale che, in ultima analisi, si traduce in un processo ischemico a carico delle strutture cocleo-vestibolari (Tabella 2). Tabella 2. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costituzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da: Noble et al, QJM 2008). Aree di shear stress insufficiente • Stimolo del flusso insufficiente per la produzione di NO Iperglicemia • Azzeramento della risposta allo shear stress • Danno endoteliale Diabete • Danno endoteliale Iperlipidemia • Danno endoteliale • Riduzione della resistenza capillare • Adesione dei leucociti I fattori di rischio vascolari provocano danni a livello della struttura del glicocalice, con conseguente iperpermeabilità, perdita di produzione del monossido d’azoto (NO) a livello endoteliale, contestuale riduzione della vasodilatazione capillare e formazione di microtrombi (Figura 1, Tabella 3). La produzione di NO è fondamentale per l’emodinamica dei distretti vascolari e la sua regolazione sembra essere legata alle proteine che fluttuano all’interno del glicocalice e trasmettono alla parete i segnali meccanici (pressione), chimici (es. glicemia) e biologici (es. enzimi) che circolano nel flusso ematico, garantendo una fine modulazione che adegua, momento per momento, la risposta vascolare alle esigenze metaboliche. 125 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare IL GLICOCALICE ENDOTELIALE Glicocalice: Struttura funzionale dell’endotelio Il ruolo dell’endotelio non è relegabile a quello di Il glicocalice di GAGs, nel lume endoteliale, è una interfaccia passiva tra conrete organizzata a carica negativa che assicura: tenente (parete vasale) e contenuto (sangue), poiché • La permeabilità selettiva. le cellule endoteliali espli• La barriera antitrombotica contro l'adesione cano molteplici e complesdi leucociti e piastrine (microtrombi). se funzioni che giustificano • La funzione di signaling dei la definizione di “organo segnalipressori/chimici/enzimatici che modula la risposta vascolare. endoteliale” o “laboratorio endoteliale” per questa struttura. L’endotelio, infatti, rende la superficie endoluminale atrombogenica (non attiva la coagulazione; non consente l’adesione delle piastrine); svolge attività antitrombotica, fibrinolitica, antinfiammatoria, vasomotoria; modula la regolazione piastrinica e gli scambi sangue-tessuti nel microcircolo. L’endotelio riveste un ruolo centrale in processi biologici essenziali, quali aggregazione piastrinica, coagulazione, attivazione leucocitaria (quindi interazione con i meccanismi che regolano la flogosi), e microregolazione del flusso ematico. In condizioni di danno dell’endotelio, i leucociti aderiscono alla parete, provocando lesioni che vanno dall’aumento della permeabilità alla morte cellulare con esposizione del subendotelio. Sistema capillare, tessuto pericapillare, arteriole e venule costituiscono il microcircolo. La maggior parte delle cellule endoteliali si trovano nei capillari, vasi formati da uno strato di cellule endoteliali allungate secondo l’asse longitudinale del vaso, unite tra loro da una sostanza cementante di tipo reticolare. L’endotelio poggia su una membrana basale con l’interposizione di fibre collagene. La superficie endoluminale è tappezzata da un rivestimento molecolare a diretto contatto con le cellule endoteliali, definito film endoteliale, in cui sono presenti glicosaminoglicani (GAGs) – polisaccaridi naturali presenti nei vasi nel coat endoteliale, nelle membrane basali e nella sostanza interstiziale e che contribuiscono all’atrombogenicità dell’endotelio – e monomeri di fibrina in continuo rinnovamento, grazie ad un equilibrio costante tra fibrino-formazione e fibrinolisi. La capacità autoregolatoria del microcircolo è compromessa dai meccanismi di risposta al danno dell’endotelio, sensibile (soprattutto nei distretti microcircolatori) agli stimoli ischemici di carattere aterotrombotico e/o emodinamico che degradano lo strato di GAGs del glicocalice della parete vasale, con conseguenze tissutali ed emoreologiche. La complessa organizzazione di elementi di emodinamica, di gradienti di concentrazione, elettrochimici e di pressione oncotica, che caratterizza la circolazione nei capillari, è in funzione del reale bisogno di scambi gassosi e nutritivi tra sangue e tessuti. Il flusso sanguigno è più lento, quanto più ci si avvicina alla parete vasale e risulta quasi immobile a contatto con lo strato endoteliale (flusso laminare). Il film endoteliale rappresenta dunque un’interfaccia tra la zona quasi immobile del flusso sanguigno e l’endotelio. Il glicocalice di GAGs riesce a modulare la risposta della parete vasale con un meccanismo detto “signaling”, con lo scambio di informazioni flusso-parete. Si tratta di un elemento centrale nella stabilità fisiologica del microcircolo: tono vascolare, permeabilità e bilancia emostatica vengono regolati dai GAGs a seconda degli stimoli (ad es. pressori). Un aspetto fondamentale del funzionamento del glicocalice di GAGs è rappresentato dalla carica negativa, cioè dai gruppi solfato (SO4--), che respingono le piastrine e i leucociti e inibiscono l’adesione di questi mediatori infiammatori e trombogenici, garantendo le condizioni fisiologiche della parete vascolare. 126 LE SCELTE TERAPEUTICHE Figura 1. Effetti dei fattori aterosclerotici sul glicocalice endoteliale e le sue funzioni (Mod. da: Noble et al, QJM 2008). Tabella 3. Alterazione del glicocalice di GAGs nel microcircolo cocleo-vestibolare) Disfunzione endoteliale Area cocleo-vestibolare Meccanismo fisiopatologico Fisiopatologia vascolare Alterazione equilibrio Alterazione funzione Hair Cells Perdita funzione perilinfa/endolinfa (Na+/K+) (Na+/K+ dipendente) Cocleo-Vestibolare Microcircolo Disfunzione endoteliale Disfunzione microcircolo Cocleo-Vestibolare - Adesione leucociti - Iperpermeabilità - Adesione piastrine - Microtrombi -iProduzione NO - iTono vascolare Disfunzione endoteliale Disfunzione microcircolo - Microtrombi (es. Arteria uditiva interna) - Ischemia Iperpermeabilità Infiammazione Microcircolo cerebrale Trombogenesi Microcircolo Tono vascolare ( NO) Cocleo-Vestibolare 127 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Un aspetto particolare è quello della ipotensione, che può essere legata alla stasi, dunque ad un problema del circolo venoso, che come l’iperviscosità e l’iperlipemia creano alterazioni del glicocalice, delle cellule endoteliali e, a cascata, un aumento della adesione piastrinica e dei leucociti alla parete vascolare, alterazioni di permeabilità e microtrombi che hanno come esito finale il processo ischemico. • Esistono due forme di eparina: le eparine ad alto peso molecolare (eparina calcica – 30.000 Dalton) ed eparine a basso peso molecolare (EBPM) (3-6.000 Dalton). La differenziazione in base al peso molecolare delle eparine si traduce in clinica nell’utilizzo delle EBPM per via iniettiva, come anticoagulanti in fase acuta, e dei glicosaminoglicani (es. Sulodexide), per via iniettiva e/o orale, come antitrombotici di parete. I farmaci di parete: anticoagulanti fisiologici La principale differenza nel meccanismo d’azione fra anticoagulanti (EBPM) e antitrombotici di parete (GAGs) consiste nel fatto che i primi inibiscono selettivamente il Fattore Xa, importante nella fase acuta di embolizzazione (distacco dalla parete vascolare) del trombo formato, mentre i secondi inibiscono anche gli altri fattori della cascata coagulativa, fondamentali nella formazione del trombo sulla parete vascolare danneggiata. L’organismo possiede anticoagulanti fisiologici – le eparine e i glicosaminoglicani (GAGs) – che sono definiti “farmaci di parete” perché permettono di mantenere l’integrità dell’endotelio attraverso un’azione che si esplica con: riduzione di adesione di piastrine e di leucociti al lume endoteliale; inibizione dell’attivazione piastrinica; inibizione dell’accrescimento del trombo; lisi di un trombo già costituito; hanno inoltre un’attività pro-fibrinolitica (Tabella 4). Tabella 4. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costituzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da: Noble et al, QJM 2008). FARMACI DI PARETE: EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE (EBPM) e GLICOSAMINOGLICANI (GAGs) • Conferiscono atrombogenicità al lume vasale (ridotta adesione di piastrine e leucociti) • Inibiscono la formazione del trombo (inibizione dell’attivazione piastrinica) • Inibiscono l’accrescimento del trombo (inibizione del Cof Eparinico II) • Favoriscono la lisi di un trombo già costituito (attività anti-Xa) • Stimolano la fibrinolisi (azione emoreologica su tPA e PAI) 128 Le EBPM hanno il pentasaccaride, strettamente specifico per il fattore Xa, e un numero inferiore a 13 di unità di saccaridiche. Come riportato nell’ottava edizione delle linee guida ACCP sulla terapia antitrombotica e trombolutica, tutti i GAGs a basso e medio peso molecolare (3-9.000 Dalton), a differenza della Eparina calcica, hanno un’attività limitata sul Fattore IIa (antiaggregante), determinante per il rischio emorragico delle eparine. Tali caratteristiche rendono, da un punto di vista pratico (sicurezza e maneggevolezza), le EBPM e gli Antitrombotici di Parete (es. Sulodexide) rispettivamente utili nel Tromboembolismo Arterioso (TEA) e nel trattamento/prevenzione delle microtrombosi a carico dei sistemi microcircolatori. LE SCELTE TERAPEUTICHE Nuove prospettive terapeutiche dell’associazione GAGs/Eparina Eparine e glicosaminoglicani giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’integrità della funzione endoteliale. L’associazione GAGs/eparina inibisce la flogosi endoteliale e l’adesione delle piastrine andando a rivestire il glicocalice e creando una barriera di cariche negative che respingono i leucociti (ricchi di cariche negative) grazie ai gruppi SO4--. • Sulodexide è un’associazione tra eparina e glicosaminoglicani. • È costituito per l’80% da eparina a basso e medio peso molecolare (6-8.000 Dalton) e per il 20% da dermatansolfato (antitrombotico fisiologico) (Vedi Box “Sulodexide: profilo farmacologico”). • Presenta attività farmacologiche che sono da ricondurre all’attività di entrambe le componenti che lo costituiscono: eparina (80%) e dermatansolfato (20%) (Figura 2). • Alla frazione eparinica (80%) spetta l’azione antitrombotica di parete che Sulodexide esplica mediante l’inibizione sui fattori IIIa e Xa, e l’inibizione dell’adesione piastrinica all’endotelio, attraverso la ricostituzione del glicocalice di parete. • Alla frazione dermatanica spetta un’azione antitrombotica dovuta all’inibizione specifica del Cofattore II dell’eparina, determinante nel deposito di trombina al trombo in formazione adeso alla parete endoluminale e importante anche nel rilascio di un fattore pro-trombotico come il Tissue Factor (TF). • La componente dermatanica presenta anche una potente azione fibrinolitica perché aumenta la liberazione dell’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) e riduce la liberazione dell’inibitore del plasminogeno attivato (PAI), che insieme costituiscono la bilancia fibrinolitica fisiologica. • L’azione più importante, evidenziata con gli studi più recenti, riguarda l’inibizione dei processi Figura 2. Attività farmacologiche del Sulodexide riconducibili alle componenti: eparina (80%) e dermatansolfato (20%). 129 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare infiammatori a carico della parete vascolare, che sono quasi sempre alla base dei processi ischemici (iperpermeabilità e riduzione del tono vascolare) e trombotici (adesione piastrinica e cascata coagulativa). • Un effetto indiretto, ma di fondamentale importanza riguarda l’azione antiaggregante per la riduzione dell’aggregazione piastrinica mediata dai leucociti. • Infine è da sottolineare che una delle prime azioni scoperte per questo farmaco di origine biologica riguarda l’attività di normalizzazione dei valori lipidici, per aumento della liberazione delle lipoproteinlipasi, dal quale deriva l’unità di misura ULS (Unità Lipasemiche Sistemiche). La figura 3 riassume l’attività antitrombotica del Sulodexide, dovuta sia alla componente eparinica che dermatanica, e l’attività fibrinolitica dovuta alla componente dermatanica. Figura 3. Attività antitrombotica-profibrinolitica del Sulodexide. 130 Una prova dell’azione antiflogistica di parete (ridotta adesione dei leucociti alla parete vascolare) del Sulodexide riguarda l’inibizione dei valori di proteina C-reattiva (PCR) in circolo, cioè di un marker specifico di rischio cardiovascolare. Uno studio del 2005 nel ha valutato la capacità del Sulodexide di inibire il valore di PCR, dimostrando una riduzione della sua produzione e del suo deposito a livello dell’endotelio. Analoga inibizione avviene per le frazioni di complemento che costituiscono il MAC, per cui si riduce l’attivazione del complemento e il suo deposito a livello delle cellule endoteliali. Sulodexide si è dimostrato inoltre efficace anche nella riduzione della percentuale di zona infartuata suscettibile a riperfusione cardiaca, indicando un’altra possibile indicazione nella riduzione del rischio di riperfusione in seguito ad ischemia. LE SCELTE TERAPEUTICHE Altri studi recenti hanno inoltre dimostrato un’azione favorevole del Sulodexide nelle microangiopatie diabetiche, per la capacità di ridurre la proteinuria, riconosciuta a livello internazionale (Società di Diabetologia e Ipertensione) come importantissimo biomarker del rischio cardiovascolare per tutti i letti vascolari e non più solo per quello renale. La proteinuria rappresenta la quantità di albumina che passa dal microcircolo alle urine ed è un indice affidabile della permeabilità endoteliale. Nei soggetti microalbuminurici (30300 μg/dl) e macro-albuminurici (>300 μg/dl) l’eccesso di albumina che passa nelle urine indica una iperpermeabilità microcircolatoria. Per i soggetti diabetici e/o ipertesi l’aumento della proteinuria è un marker del danno endoteliale su tutti i letti vascolari, compreso quello sovraortico cerebrale, che muove il Rischio CV di even- ti acuti, TIA ed Ictus compresi da 2 a 8 (odd ratio) rispetto ai pazienti ipertesi e/o diabetici con normoalbuminuria. Da un punto di vista farmacocinetico, Sulodexide presenta due picchi ematici, segno che viene captato da organi di deposito come l’endotelio e viene lentamente rilasciato. Presenta infatti un volume di distribuzione di 71 lt, elevato quindi, tipico dei farmaci che vengono accumulati negli organi di deposito; l’escrezione è prevalentemente urinaria. Da sottolineare inoltre la scarsità degli effetti collaterali soprattutto in termini di un basso rischio di sanguinamento. Sulodexide ha dunque la capacità di salvaguardia dell’endotelio e del glicocalice che lo rendono particolarmente utile nella terapia causale nei disturbi audio-vestibolari di origine vascolare. 131 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare Figura 4. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Mod. da: Guidetti, Otolaringol 2005). 132 LE SCELTE TERAPEUTICHE PROPOSTE CONCLUSIVE Considerando che i disturbi vascolari otoneurologici possono sottendere meccanismi patogenetici diversi e che i i fattori di rischio cardiovascolari rappresentano un buon marker per la loro identificazione (studio VascVert), è possibile oggi proporre una flow-chart di orientamento terapeutico (Figura 4; vedi “Introduzione. La vertigine vascolare: razionale diagnostico e terapeutico”) che preveda: L’identificazione di una verosimile eziologia vascolare qualora siano state escluse altre cause, siano stati identificati almeno 3 fattori di rischio e vi sia almeno 1 esame strumentale vascolare (TC, RM, esame Doppler) positivo. La scelta di un farmaco antiaggregante (es. ASA/ticlopidina) prevalentemente nel caso di interessamento trombotico di un vaso cerebrale maggiore, con relativa sintomatologia e, comunque, possibilmente solo nel caso di una prevenzione secondaria, cioè successiva ad un chiaro episodio identificabile come TIA. La scelta di un farmaco di parete negli altri casi di interessamento trombotico e/o emoreologico del microcircolo dell’orecchio interno o cerebrale (Small Vessel Disease), salvo particolari meccanismi patogenetici evidenziati che richiedano specifici trattamenti. Evitare possibilmente l’uso di ASA in prevenzione primaria qualora i sintomi preponderanti evidenzino una sofferenza a carico del labirinto e della funzione uditiva. BIBLIOGRAFIA – Albers GW, Amarenco P, Easton JD, Sacco RL, Teal P; American College of Chest Physicians. – – – – – – – – – Antithrombotic and thrombolytic therapy for ischemic stroke: ACCP Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th Edition). Chest 2008;133:630S-669S. Choi YK, Kim KW. Blood-neural barrier: its diversity and coordinated cell-to-cell communication. BMB Rep 2008;41:345-52. Constantinescu AA, Vink H, Spaan JAE. Elevated capillary tube hematocrit reflects degradation of endothelial cell glycocalyx by oxidized LDL. Am J Physiol Heart Circ Physiol 2001;280:1051-7. Easton JD, Saver JL, Albers GW, et al. Definition and evaluation of Transient Ischemic Attack. AHA/ASA Scientific Statement. Stroke 2009;40:2276-93. Guidetti G. La terapia della vertigine vascolare nella pratica ambulatoriale: esperienza multicentrica (Studio VascVert). Otorinolaringol 2005;55:237-46. Guth PS. The pharmacology of betahistine in the context of the vestibular system. Acta Otorhinolaryngol Ital 2001;3(Suppl 66): 16-23. Kelly RF, Snow HM. Characteristics of the response of the iliac artery to wall shear stress in the anaesthetized pig. J Physiol 2007;582(Pt 2):731-43. Lacour M, Sterkers O. Histamine and betahistine in the treatment of vertigo: elucidation of mechanisms of action. CNS Drugs 2001;15:853-70. Linee guida SPREAD - TIA: http://www.spread.it/files/SPREAD_6_2010_sintesi.pdf Neuhauser HK. Epidemiology of vertigo. Curr Opinion Neurol 2007;20:40-6. 133 NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare – Nieuwdorp M, van Haeften TW, Gouverneur MCLG, et al. Loss of endothelial glycocalyx during acute hyper– – – – – – – 134 glycemia coincides with endothelial dysfunction and coagulation activation in vivo. Diabetes 2006;55:480-6. Noble MIM, Drake-Holland AJ, Vink H. Hypothesis: arterial glycocalyx dysfunction is the first step in the atherothrombotic process. QJM 2008;101: 513-8. Reitsma S, Slaaf DW, Vink H, van Zandvoort MA, Oude Egbrink MG. The endothelial glycocalyx: composition, functions, and visualization. Pflugers Arch-Eur J Physiol 2007;454:345-59. Tirelli G, Meneguzzi C. Orientamento clinicodiagnostico sulla vertigine da causa vascolare. Otorinolaringol 2004;54:1-10. Tirelli G, Zarcone O, Giacomarra V, Bianchi M. La vertigine da causa vascolare: ipotesi patogenetiche e considerazioni terapeutiche. Otorinolaringol 2001;51:61-8. van den Berg BM, Vink H, Spaan JA. The endothelial glycocalyx protects against myocardial edema. Circ Res 2003;92:592-4. Vink H, Constantinescu AA, Spaan JAE. Oxidized lipoproteins degrade the endothelial surface layer: implications for platelet-endothelial cell adhesion. Circulation 2000;101:1500-2. Wangemann P. Supporting sensory transduction: cochlear fluid homeostasis and the endocochlear potential. J Physiol 2006;576.1 pp 11–21 11. APPENDICE I - FARMACI VASCOLARI ACIDO ACETILSALICILICO (ASA) A BASSE DOSI Indicazioni terapeutiche Prevenzione della trombosi coronarica dopo infarto del miocardio, in pazienti con angina pectoris instabile, angina stabile cronica ed in pazienti con fattori di rischio multipli (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità, diabete mellito e familiarità per cardiopatia ischemica). Profilassi degli eventi ischemici occlusivi in pazienti con attacchi ischemici transitori (TIA) e dopo ictus cerebrale. Prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, e nell’angioplastica coronarica percutaneatransluminale (PTCA). Prevenzione della trombosi durante circolazione extracorporea, nei pazienti in emodialisi e nella sindrome di Kawasaki. Posologia e modo di somministrazione Se non diversamente prescritto, si raccomanda la posologia di 1 compressa (in genere 100 mg) al giorno, in un’unica somministrazione. È consigliabile ingerire il farmaco con un’abbondante quantità di liquido (½ - 1 bicchiere di acqua), preferibilmente dopo i pasti. Controindicazioni Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico, ai salicilati e agli altri componenti del prodotto, tendenza accertata alle emorragie, gastropatie (es.: ulcere gastriche e/o duodenali), asma, insufficienza renale. Ultimi 3 mesi di gravidanza. Non va utilizzato nei bambini e nei ragazzi di età inferiore a 16 anni, in corso di affezioni virali, come ad esempio varicella o influenza, a causa del rischio di sindrome di Reye. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Va usata con cautela e sotto controllo medico nei pazienti sottoposti a terapia concomitante con anticoagulanti (ad es. derivati cumarinici o eparina); nei pazienti con carenza di glucosio-6 fosfato deidrogenasi; nei pazienti asmatici o quelli sensibili ai salicilati, ad altri farmaci antiinfiammatori/antireumatici o ad altre sostanze allergeniche; nei pazienti con disturbi gastrici o duodenali cronici o ricorrenti o con funzionalità renale compromessa. Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini. Interazioni La somministrazione, soprattutto se protratta, può intensificare i seguenti effetti: l’azione degli anticoagulanti (ad es.: derivati cumarinici ed eparina); il rischio di emorragia gastrointestinale in caso di trattamento concomitante con corticosteroidi; gli effetti desiderati ed indesiderati di tutti gli analgesici ed antireumatici non steroidei; l’azione dei farmaci ipoglicemizzanti (sulfaniluree); gli effetti avversi del metotrexate. Precauzione deve essere osservata per sostanze quali spironolattone, furosemide e antigottosi uricosurici, la cui attività viene invece ridotta dall’acido acetilsalicilico. Pertanto, salvo diversa prescrizione medica, non deve essere utilizzato contemporaneamente ai preparati suddetti. Gravidanza e allattamento L’impiego in gravidanza per lunghi periodi deve avvenire soltanto dietro prescrizione medica, poiché l’acido acetilsalicilico può provocare fenomeni emorragici nel feto e nella madre, ritardi di parto e, nel nascituro, precoce chiusura del dotto di Botallo. Durante gli ultimi tre mesi ed in particolare nelle ultime settimane di gravidanza, sarebbe comunque opportuno evitare l’uso di acido acetilsalicilico. In caso di uso regolare di dosaggi elevati durante l’allattamento, si deve prendere in considerazione la possibilità di uno svezzamento precoce. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Nessuno. Effetti indesiderati Disturbi gastrointestinali, per lo più in pazienti sensibili. In pazienti predisposti ed in casi sporadici possono verificarsi episodi emorragici gastrointestinali. In casi rari possono verificarsi reazioni di ipersensibilità (dispnea, disturbi otovestibolari (ronzii), reazioni cutanee) e, rarissimamente, riduzione del numero delle piastrine (trombocitopenia) e ritardo di parto. Sovradosaggio Alle normali dosi terapeutiche l’intossicazione è estremamente rara e si verifica quasi sempre dopo sovradosaggio accidentale. Nelle intossicazioni più lievi compaiono senso di vertigine e tinnito. Nelle intossicazioni di grado medio, i sintomi locali d’intossicazione come nausea, vomito, disturbi gastrici, vertigini e tinnito risultano più evidenti (questi sintomi non sono causati da irritazione locale dello stomaco, ma dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale). A sovradosaggi più elevati si osservano stati confusionali, torpore, collassi, convulsioni, depressione respiratoria, anuria e, occasionalmente, emorragie. L’iniziale iperventilazione centrale provoca un aumento della espirazione di CO2 con aumento del pH sanguigno; in seguito all’escrezione compensatoria di bicarbonati, l’urina diventa alcalina; in questo modo la riserva alcalina viene ridotta provocando alcalosi respiratoria. I sintomi clinici sono rappresentati da iperpnea grave e dispnea senza cianosi, accompagnata da sudorazione profusa. Quando l’intossicazione progredisce, la crescente paralisi respiratoria provoca acidosi respiratoria. Il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa con aumento della produzione di CO2 può, infine, provocare acidosi metabolica. Trattamento dei sovradosaggi In caso di sovradosaggio acuto, provvedere a lavanda gastrica; l’assorbimento è spesso ritardato in seguito a pilorospasmo e conseguentemente la lavanda gastrica è comunque un provvedimento indicato anche qualche tempo dopo l’ingestione. Nei bambini e per casi di media gravità si è dimostrata molto efficace una dose di 100 ml di una sospensione di carbone animale (20 g/100 ml) in una soluzione di sorbitolo al 70%. Monitoraggio costante dell’equilibrio acido-base e del bilancio elettrolitico. In base alla situazione metabolica, infondere bicarbonato di sodio o citrato di sodio, o una soluzione di lattato di sodio. Ciò corregge la condizione acido-base, aumenta la riserva alcalina e favorisce l’escrezione di acido salicilico aumentando il pH urinario. Avvertenza - In seguito ad un’eccessiva assunzione di sostanze alcaline, si può verificare arresto respiratorio. Per combattere la disidratazione e favorire l’escrezione di salicilati, si devono somministrare dei liquidi. Vitamina K, possibilmente sedativi. Terapie particolari - Terapia diuretica, tampone tris, emodialisi, ventilazione controllata con rilassamento muscolare artificiale. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche L’inibizione della aggregazione piastrinica rappresenta un aspetto decisivo dell’intervento farmacologico per la profilassi ed il trattamento delle patologie cardiovascolari causate da processi tromboembolici. L’acido acetilsalicilico inibisce l’aggregazione delle piastrine mediante blocco dell’attività ciclo-ossigenasica della PGG/H sintetasi piastrinica, enzima che catalizza la conversione dell’acido arachidonico in trombossano A2 (TXA2). A livello molecolare il meccanismo d’azione è rappresentato dal processo irreversibile di acetilazione dell’ossidrile dell’aminoacido serina in posizione 529 della catena polipeptidica dell’enzima. La risultante inibizione del TXA2 è permanente poiché le piastrine, anucleate, non hanno la possibilità di nuova sintesi proteica. Le basse dosi di acido acetilsalicilico sono in grado di modificare in modo permanente la risposta agli stimoli aggreganti delle piastrine circolanti nei vasi sanguigni mesenterici pre-epatici, prima che il principio attivo venga in larga parte idrolizzato dalle esterasi presenti a livello dei mitocondri e del reticolo sarcoplasmatico epatico. La produzione extra-piastrinica di eicosanoidi (es. la sintesi vascolare della prostaciclina - antagonista fisiologico del TXA2 - e la produzione di PGE2 da parte della mucosa gastrica), risulta risparmiata dalla diversa velocità di ripristino dell’attività ciclo-ossigenasica di questi tipi cellulari (entro poche ore, in funzione della sintesi de novo dell’enzima) rispetto alle piastrine, nelle quali la sintesi dell’enzima è funzione del turnover piastrinico. Proprietà farmacocinetiche L’acido acetilsalicilico viene degradato ad opera di esterasi aspecifiche presenti in molti tessuti. L’emivita plasmatica è di circa 15 minuti. N E O S A P P E N D I C E I 137 N E O S A P P E N D I C E I 138 Dati preclinici di sicurezza Livelli di salicilati nel plasma superiori a 200 mg/l possono provocare tinnito, senso di vertigini e cefalea. Livelli plasmatici di salicilati di 300-400 mg/l possono dar luogo a nausea e vomito. Intossicazioni medio-gravi (iperventilazione centrale, alcalosi respiratoria ed acidosi metabolica) possono essere probabili per concentrazioni che superano i 400-500 mg/l. Tuttavia, la concentrazione plasmatica di salicilati consente una valutazione del grado d’intossicazione solo se è stata assunta un’unica dose tossica ed è noto il momento dell’ingestione. Nel sovradosaggio cronico, la concentrazione plasmatica misurata spesso è scarsamente correlata con il grado di gravità clinica della intossicazione. Incompatibilità Non note. BETAISTINA Indicazioni terapeutiche Stati patologici sostenuti da deficit microcircolatorio a livello del labirinto: vertigini, sindrome di Menière e stati vertiginosi ad essa correlati. Posologia e modo di somministrazione 8-48 mg/die, preferibilmente ai pasti. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco. Ulcera peptica in fase attiva. Feocromocitoma. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Non somministrare in età pediatrica. In pazienti con anamnesi di ulcera peptica, al fine di non indurre esacerbazione della forma patologica e in soggetti affetti da asma bronchiale, va somministrato sotto controllo medico. Interazioni Non somministrare contemporaneamente ad antistaminici. Gravidanza ed allattamento Nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato soltanto in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo medico. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine L’impiego nell’arco della giornata non risulta interferire sullo stato di vigilanza del soggetto. Effetti indesiderati Occasionalmente nausea, cefalea e manifestazioni idiosincrasiche. Sovradosaggio In caso di eventuale sovradosaggio si consiglia lavanda gastrica e dovranno essere attuate le misure generali del caso. Non esiste uno specifico antidoto per betaistina dicloridrato. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Betaistina dicloridrato è un prodotto di sintesi originale attivo a livello di microcircolazione d’organo che contribuisce a ristabilire il flusso microcircolatorio. Tale azione è stata evidenziata anche a livello del labirinto. Non sono state per altro evidenziate: alterazioni della permeabilità capillare, né modificazioni della pressione arteriosa, né influenze sulla muscolatura liscia e sulla secrezione acida gastrica. Betaistina dicloridrato è un farmaco istamino simile, che agisce quindi come l’istamina sugli sfinteri precapillari aumentando il flusso microcircolatorio precapillare. Studi sugli animali hanno dimostrato che la betaistina dicloridrato agisce in maniera qualitativamente simile all’istamina, però, diversamente da questa è somministrabile per via orale ed è scevra degli effetti collaterali dell’istamina. Proprietà farmacocinetiche Nell’uomo il prodotto è assorbito rapidamente per somministrazione orale e raggiunge il picco ematico entro la terza ora. La maggior parte della dose somministrata per via orale è escreta con le urine in forma di metabolita: acido 2-piridil acetico e l’eliminazione è pressoché completa nelle 24 ore. Dati preclinici di sicurezza Le prove di tossicità acuta e cronica hanno dimostrato che il farmaco è ben tollerato; la DL50 nel ratto è 2,67 g/kg. Inoltre, la betaistina dicloridrato non è teratogena né fetotossica. Incompatibilità Non sono note incompatibilità chimico-fisiche di betaistina verso altri composti. BUFLOMEDIL Indicazioni terapeutiche Manifestazioni di insufficienza cerebrovascolare: vertigine, tinnito, deterioramento mentale, alterazioni della personalità, labilità di memoria e della capacità di concentrazione, disorientamento spazio-temporale, sequele della apoplessia cerebrale e degli interventi di neurochirurgia. Insufficienza circolatoria arteriosa degli arti, sindrome e malattia di Raynaud, morbo di Buerger, eritrocianosi, claudicazione intermittente. Posologia e modo di somministrazione La posologia consigliata è 300-600 mg al giorno in dosi suddivise. Controindicazioni Se ne sconsiglia la somministrazione nei casi di nota o sospetta idiosincrasia al farmaco. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Il prodotto può causare sonnolenza e vertigini, si consiglia pertanto prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.). Il farmaco non presenta rischi di assuefazione o di farmaco-dipendenza. Interazioni Non si conoscono finora interazioni con altri farmaci. Gravidanza e allattamento L’uso è sconsigliato durante i primi tre mesi di gravidanza e durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Si consiglia prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.) Effetti indesiderati Il prodotto è di norma ben tollerato sia per trattamenti brevi che prolungati. Occasionalmente si sono riscontrati disturbi gastrointestinali (gastralgie, pirosi e nausea), cefalea, vertigini, sonnolenza, insonnia, vampate di rossore e prurito. Sono stati segnalati, a seguito dell’uso del prodotto, alcuni casi di tachicardia, fibrillazione atriale, aumento della creatininemia, aumento del flusso mestruale, ipertensione, aumento della diuresi, epistassi, psoriasi. Sovradosaggio L’iperdosaggio si manifesta con tachicardia e ipotensione. Interventi d’urgenza: Misure di sostegno. In caso di eccitazione cerebrale si consiglia l’uso di benzodiazepine. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Le esperienze farmacologiche hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato aumenta il flusso ematico senza provocare variazioni delle costanti emodinamiche, quali la pressione arte- riosa. Meccanismi d’azione: Si ritiene che il buflomedil cloridrato esplichi differenti azioni: - calcio antagonista simile a livello delle fibrocellule muscolari lisce presenti negli sfinteri arteriolari precapillari che impedisce perciò lo spasmo delle arteriole e dei vasi periferici più piccoli - inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da collagene, ADP, adrenalina, migliorando il flusso ematico a livello microcircolatorio - migliora la deformabilità della membrana eritrocitaria quando questa tende ad irrigidirsi in condizioni di acidosi tissutale riduce il consumo dell’O2 tissutale senza che si instaurino fenomeni di ipossia o anossia cellulare e senza influenzare negativamente il meccanismo di respirazione cellulare - inibisce l’attivazione alfa adrenergica ostacolando la contrazione delle fibrocellule della muscolatura liscia arteriolare causata dalla noradrenalina. Il Buflomedil inoltre non modifica le costanti emodinamiche nè la pressione arteriosa nè i parametri ematologici e non interferisce con il metabolismo dei glucidi, lipidi e protidi. I lavori clinici internazionali hanno dimostrato l’efficacia del buflomedil cloridrato nelle affezioni vascolari periferiche su base arteriosclerotica, nelle arteriti, nella tromboangioite obliterante, nella sindrome di Raynaud, nei sintomi di insufficienza vascolare periferica, claudicatio intermittens, crampi e dolori diurni e notturni, freddo agli arti, ulcere cutanee e disturbi trofici della cute. È stato inoltre dimostrato un aumento del flusso ematico cerebrale con riduzione della sintomatologia in pazienti trattati con buflomedil cloridrato. Proprietà farmacocinetiche La somministrazione per via orale di 100 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 55.60% del farmaco è escreto per via urinaria ed il 30% per via fecale entro 48 ore. La somministrazione per via endovenosa di 50 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 62,5% del farmaco è eliminato per via renale ed il 13,5% per via fecale entro 24 ore dopo la somministrazione. Dati preclinici di sicurezza Le esperienze condotte in femmine gravide di varie specie animali, a differenti dosi di farmaco, hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato non provoca effetti embriotossici o teratogeni. Le prove tossicologiche su topi e su ratti di sesso maschile e femminile hanno dimostrato una buona tollerabilità del farmaco sia in relazione alla tossicità acuta, che subacuta, a breve ed a lungo termine. La DL50 nel topo per via intraperitoneale è stata pari a circa 74 mg/kg, nel ratto per via orale circa 600 mg/kg e nel coniglio per via endovenosa circa 25 mg/kg. Incompatibilità Non sono note finora incompatibilità con altri farmaci. CLOPIDOGREL Indicazioni terapeutiche Clopidogrel è indicato nella prevenzione di eventi di origine aterotrombotica in: Pazienti affetti da infarto miocardico (da pochi giorni fino a meno di 35), ictus ischemico (da 7 giorni fino a meno di 6 mesi) o arteriopatia obliterante periferica comprovata Pazienti affetti da sindrome coronarica acuta: - sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q), inclusi pazienti sottoposti a posizionamento di stent in seguito a intervento coronarico percutaneo, in associazione con acido acetilsalicilico (ASA). - sindrome coronarica acuta con innalzamento del tratto ST in associazione con ASA nei pazienti in terapia farmacologica candidati alla terapia trombolitica. Posologia e modo di somministrazione Negli adulti ed anziani Clopidogrel va somministrato in dose giornaliera singola di 75 mg durante o lontano dai pasti. Nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta: - sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q): il trattamento con clopidogrel deve essere iniziato con una singola dose di carico di 300 mg e quindi continuato con 75 mg una volta al giorno (in associazione ad acido acetilsalicilico (ASA) 75 mg-325 mg al giorno). Dato che dosi superiori di ASA sono state correlate con un più alto rischio di sanguinamento, si consiglia che la dose di ASA non sia superiore a 100 mg. La durata ottimale del trattamento non è stata formalmente stabilita. I dati degli studi clinici sostengono l’uso fino a 12 mesi e il beneficio massimo è stato osservato a 3 mesi. - infarto miocardico acuto con innalzamento del tratto ST: clopidogrel deve essere somministrato in dose singola giornaliera di 75 mg iniziando con una dose di carico in associazione ad ASA, con o senza trombolitici. Nei pazienti di età superiore ai 75 anni clopidogrel deve essere iniziato senza dose di carico. La terapia combinata deve essere iniziata il prima possibile dal momento della comparsa dei sintomi e continuata per almeno 4 settimane. Il beneficio dell’associazione di clopidogrel con ASA oltre le quattro settimane non è stato studiato in questo contesto Non c’è esperienza sull’uso nei bambini. Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti del medicinale, insufficienza epatica grave, sanguinamento patologico in atto come ad es. in presenza di ulcera peptica, o di emorragia intracranica, allattamento Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso A causa del rischio di sanguinamento e di effetti indesiderati di tipo ematologico, l’esecuzione di un esame emocromocitometrico e/o di altri esami appropriati, deve subito essere presa in considerazione ogni volta si presentino sintomi clinici che suggeriscono sanguinamento durante il trattamento. Così come per altri farmaci antiaggreganti piastrinici, clopidogrel deve essere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia o altre condizioni patologiche e nei pazienti in trattamento con ASA, farmaci antinfiammatori non steroidei compresi gli inibitori della COX-2, eparina o inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. I pazienti devono essere accuratamente seguiti per individuare ogni segno di sanguinamento, compreso il sanguinamento occulto, in particolare durante le prime settimane di trattamento e/o dopo procedure cardiache invasive o interventi chirurgici. La somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti. Se un paziente deve sottoporsi ad intervento chirurgico elettivo per il quale un’attività antiaggregante piastrinica non è necessaria, occorre interrompere l’uso di clopidogrel 7 giorni prima dell’intervento. Clopidogrel prolunga il tempo di sanguinamento e va usato con cautela in pazienti che presentino lesioni a tendenza emorragica (particolarmente gastrointestinali e intraoculari). I pazienti devono essere avvertiti che l’uso di clopidogrel (da solo o in associazione con ASA) potrebbe prolungare un eventuale sanguinamento e che devono informare il medico di ogni emorragia anomala (localizzazione o durata) che si possa manifestare. Prima di essere sottoposti ad eventuale intervento chirurgico e prima di assumere un nuovo farmaco i pazienti devono avvisare il medico ed il dentista che sono in trattamento con clopidogrel. Molto raramente, in seguito all’uso di clopidogrel, talvolta dopo una breve esposizione, è stata segnalata porpora trombotica trombocitopenica (PTT). Questa è caratterizzata da trombocitopenia e anemia emolitica microangiopatica associata o a problemi neurologici, disfunzione renale o a febbre. La PTT è una condizione potenzialmente fatale che richiede un trattamento immediato compresa la plasmaferesi. Per la mancanza di dati, clopidogrel non può essere consigliato nell’ictus ischemico acuto (verificatosi da meno di 7 giorni). L’esperienza terapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con insufficienza renale. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in questi pazienti. L’esperienza terapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con moderata disfunzione epatica che possono avere una diatesi emorragica. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in questi pazienti. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, con deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumere il medicinale. Interazioni Warfarin: la somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti. Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa: clopidogrel deve essere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia o altre condizioni patologiche e che ricevono in concomitanza inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. Acido acetilsalicilico (ASA): ASA non modifica l’inibizione, mediata da clopidogrel, dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta; clopidogrel però potenzia l’effetto di ASA sull’aggregazione piastrinica indotta dal collagene. Tuttavia, la somministrazione contemporanea di 500 mg di ASA due volte die per un giorno, non ha ulteriormente prolungato in modo significativo il tempo di sanguinamento indotto da clopidogrel. Tra clopidogrel e acido acetilsalicilico è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento. Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela. Tuttavia, clopidogrel e ASA sono stati somministrati insieme per periodi fino a 1 anno. Eparina: in uno studio clinico condotto su soggetti sani, in seguito a somministrazione di clopidogrel non si è resa necessaria nessuna modifica della dose di eparina nè è stato altera- N E O S A P P E N D I C E I 139 N E O S A P P E N D I C E I 140 to l’effetto dell’eparina sulla coagulazione. La somministrazione contemporanea di eparina non ha avuto alcun effetto sull’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da clopidogrel. Tra clopidogrel e eparina è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento. Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela. Trombolitici: la sicurezza della somministrazione contemporanea di clopidogrel, farmaci trombolitici fibrino o non-fibrino specifici ed eparine è stata studiata in pazienti con infarto miocardico acuto. L’incidenza di sanguinamento clinicamente significativo era simile a quella osservata quando farmaci trombolitici ed eparina erano somministrati insieme con ASA. Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS): in uno studio clinico condotto su volontari sani, la somministrazione contemporanea di clopidogrel e naproxene ha determinato un aumento del sanguinamento gastrointestinale occulto. Tuttavia per la mancanza di studi di interazione con altri FANS, attualmente non risulta chiaro se esiste un aumento di rischio di sanguinamento gastrointestinale con tutti i FANS. Di conseguenza, la somministrazione contemporanea di FANS compresi gli inibitori della COX-2 e clopidogrel va eseguita con cautela. Altre terapie concomitanti: parecchi altri studi clinici sono stati condotti con clopidogrel ed altre terapie concomitanti per studiare potenziali interazioni di tipo farmacodinamico e farmacocinetico. Non si sono osservate interazioni farmacodinamiche di rilievo quando clopidogrel veniva somministrato con atenololo o nifedipina da soli o in associazione. Inoltre, l’attività farmacodinamica di clopidogrel non era influenzata in modo significativo dalla somministrazione contemporanea di fenobarbital, cimetidina o estrogeni. La farmacocinetica della digossina e della teofillina non era modificata dalla somministrazione contemporanea di clopidogrel. Gli antiacidi non alteravano l’assorbimento di clopidogrel. I dati provenienti da studi su microsomi epatici umani hanno evidenziato che il metabolita carbossilico acido di clopidogrel potrebbe inibire l’attività del Citocromo P450 2C9. Ciò potrebbe potenzialmente portare ad un aumento dei livelli plasmatici di farmaci quali la fenitoina, la tolbutamide e i FANS, che sono metabolizzati dal Citocromo P450 2C9. I dati dello studio CAPRIE indicano che fenitoina e tolbutamide possono essere somministrati contemporaneamente a clopidogrel con sicurezza. Oltre alle informazioni descritte sopra sulle specifiche interazioni con farmaci, non sono stati condotti studi di interazione con clopidogrel e alcuni farmaci comunemente somministrati ai pazienti affetti da patologia aterotrombotica. Tuttavia, i pazienti inclusi negli studi clinici con clopidogrel hanno ricevuto diverse terapie concomitanti inclusi diuretici, beta bloccanti, ACE inibitori, calcio antagonisti, ipocolesterolemizzanti, vasodilatatori coronarici, antidiabetici (inclusa insulina), antiepilettici, terapia ormonale sostitutiva e antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa senza evidenza di interazioni negative clinicamente significative. Gravidanza e allattamento Poichè non sono disponibili dati clinici relativi all’esposizione a clopidogrel in gravidanza, come misura precauzionale è preferibile non usare clopidogrel durante la gravidanza. Gli studi su animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti su gravidanza, sviluppo embrionale/fetale, parto o sviluppo post-natale. Studi su ratti hanno dimostrato che clopidogrel e/o i suoi metaboliti vengono escreti nel latte. Non è noto se questo medicinale sia escreto nel latte umano. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Clopidogrel non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. Effetti indesiderati Esperienza relativa agli studi clinici. La sicurezza di clopidogrel è stata valutata in più di 42.000 pazienti, di cui oltre 9.000 trattati per 1 anno o più. Gli effetti avversi clinicamente rilevanti osservati negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT sono discussi di seguito. Nello studio CAPRIE clopidogrel alla dose di 75 mg/die, confrontato con ASA 325 mg/die, si è dimostrato ben tollerato. La tollerabilità globale di clopidogrel in questo studio è risultata simile a quella di ASA indipendentemente dall’età, sesso e razza dei pazienti. Disturbi emorragici - Nello studio CAPRIE tanto nei pazienti trattati con clopidogrel che in quelli trattati con ASA, l’incidenza complessiva di ogni tipo di sanguinamento è stata del 9,3%. L’incidenza dei casi gravi è stata 1,4% per clopidogrel e 1,6% per ASA. Nei pazienti trattati con clopidogrel il sanguinamento gastrointestinale si è verificato con una percentuale di 2,0% e ha richiesto l’ospedalizzazione nello 0,7%. Nei pazienti trattati con ASA le percentuali corrispondenti sono state rispettivamente 2,7% e 1,1%. L’incidenza degli altri sanguinamenti è stata più alta nei pazienti trattati con clopidogrel in confronto ad ASA (7,3% vs. 6,5%). Tuttavia, l’incidenza degli eventi gravi è stata simile in entrambi i gruppi di trattamento (0,6% vs. 0,4%). Gli eventi più frequentemente riportati in entrambi i gruppi di trattamento sono stati: porpora/ecchimosi/ematoma e epistassi. Altri eventi riportati meno frequentemente sono stati ematoma, ematuria e sanguinamento oculare (soprattutto congiuntivale). L’incidenza di sanguinamento intracranico è stata dello 0,4% per clopidogrel in confronto allo 0,5% per ASA. Nello studio CURE la somministrazione di clopidogrel + ASA in confronto con placebo + ASA non è stata associata ad un aumento statisticamente significativo di sanguinamenti che abbiano messo in pericolo la vita (incidenza del 2,2% vs. 1,8%) o sanguinamenti fatali (0,2% vs. 0,2%), ma il rischio di sanguinamenti maggiori, minori o di altro tipo è stato significativamente superiore con clopidogrel + ASA: sanguinamenti maggiori che non abbiano messo in pericolo la vita (1,6% clopidogrel + ASA vs 1,0% placebo + ASA) principalmente gastrointestinali e al sito di accesso arterioso, e sanguinamenti minori (5,1% clopidogrel + ASA vs 2,4% placebo + ASA). L’incidenza di emorragia intracranica è stata dello 0,1% in entrambi i gruppi. L’incidenza di sanguinamenti maggiori per clopidogrel + ASA è risultata correlata al dosaggio di ASA (<100 mg: 2,6%; 100-200 mg: 3,5%; >200 mg: 4,9%) così come quella per placebo + ASA (<100 mg: 2,0%; 100-200 mg: 2,3%; >200 mg: 4,0%). Il rischio di sanguinamento (con rischio per la vita, maggiore, minore o di altro tipo) diminuiva durante lo svolgimento dello studio: 0-1 mese [clopidogrel: 599/6259 (9,6%); placebo: 413/6303 (6,6%)], 1.3 mesi [clopidogrel: 276/6123 (4,5%); placebo: 144/6168 (2,3%)], 3.6 mesi [clopidogrel: 228/6037 (3,8%); placebo: 99/6048 (1,6%)], 6.9 mesi [clopidogrel: 162/5005 (3,2%); placebo: 74/4972 (1,5%)], 9.12 mesi [clopidogrel: 73/3841 (1,9%); placebo: 40/3844 (1,0%)]. Non si è verificato eccesso di sanguinamenti maggiori nei 7 giorni successivi ad intervento di bypass coronarico nei pazienti che hanno interrotto la terapia per più di 5 giorni prima dell’intervento (4,4% clopidogrel + ASA vs. 5,3% placebo + ASA). Nei pazienti invece che sono rimasti in terapia nei 5 giorni precedenti l’intervento di bypass, l’incidenza è stata del 9,6% per clopidogrel + ASA e del 6,3% per placebo + ASA. Nello studio CLARITY, si è verificato un aumento complessivo di sanguinamenti nel gruppo trattato con clopidogrel + ASA (17,4%) rispetto al gruppo placebo + ASA (12,9%). L’incidenza di sanguinamenti maggiori è risultata simile nei gruppi (1,3% verso 1,1% per il gruppo clopidogrel + ASA ed il gruppo placebo + ASA, rispettivamente). Questo risultato è stato coerente nei sottogruppi di pazienti definiti sulla base delle caratteristiche al basale e per tipo di terapia fibrinolitica o eparinica. L’incidenza di sanguinamenti fatali (0,8% verso 0,6% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) e di emorragie intracraniche (0,5% verso 0,7% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) è risultata bassa e simile nei due gruppi. Nello studio COMMIT, il tasso complessivo di sanguinamenti maggiori non cerebrali o di sanguinamenti cerebrali è risultato basso e simile nei due gruppi (0,6% verso 0,5% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA). Disturbi ematologici - Nello studio CAPRIE neutropenia grave (<0,45x109/l) è stata osservata in 4 pazienti (0,04 %) trattati con clopidogrel e in 2 pazienti (0,02 %) trattati con ASA. In due dei 9.599 pazienti trattati con clopidogrel e in nessuno dei 9.586 pazienti trattati con ASA la conta dei neutrofili è risultata uguale a zero. Un caso di anemia aplastica si è verificato nel gruppo trattato con clopidogrel. L’incidenza di trombocitopenia grave (<80x109/l) è stata dello 0,2% in clopidogrel e dello 0,1% in ASA. Negli studi CURE e CLARITY, il numero di pazienti con trombocitopenia o neutropenia è stato simile nei due gruppi. Altre reazioni avverse da farmaco clinicamente rilevanti osservate negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT con un’incidenza >0,1% così come tutte le reazioni avverse serie e rilevanti sono elencate di seguito in accordo alla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La loro frequenza è definita utilizzando le seguenti convenzioni: comune (>1/100, <1/10); non comune (>1/1.000, <1/100); raro (>1/10.000, <1/1.000). All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico: - non comune: cefalea, capogiro e parestesia - raro: vertigine. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale: - comune: diarrea, dolore addominale, dispepsia - non comune: ulcera gastica e ulcera duodenale, gastrite, vomito, nausea, costipazione, flatulenza. Alterazioni delle piastrine, emorragici e della coagulazione: - non comune: aumento del tempo di sanguinamento e diminuzione delle piastrine Alterazioni della cute e degli annessi - non comune: rash e prurito. Alterazioni dei globuli bianchi e del sistema reticolo-endoteliale: - non comune: leucopenia, diminuzione dei neutrofili ed eosinofilia Esperienza post-marketing Il sanguinamento è la reazione più comunemente segnalata nell’esperienza post-marketing ed è stato segnalato principalmente durante il primo mese di trattamento. Sanguinamento: sono stati segnalati alcuni casi ad esito fatale (in particolare emorragia intracranica, gastrointestinale e retroperitoneale); sono stati segnalati casi gravi di sanguinamento cutaneo (porpora), muscoloscheletrico (emartro, ematoma), dell’occhio (congiuntivale, oculare, retinico), epistassi, sanguinamento del tratto respiratorio (emottisi, emorragia polmonare), ematuria e emorragia di ferita chirurgica; casi di emorragia grave sono stati segnalati in pazienti che assumevano clopidogrel in concomitanza ad acido acetilsalicilico o clopidogrel con acido acetilsalicilico ed eparina. Oltre all’esperienza relativa agli studi clinici, sono state segnalate in maniera spontanea le seguenti reazioni avverse. Nell’ambito della classificazione sistemica organica (classificazione MedDRA), sono state classificate in gruppi in base alla frequenza. “Molto raro” corrisponde a <1/10.000. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Alterazioni del sangue e del sistema linfatico: - molto raro: porpora trombotica trombocitopenica (PTT) (1/200.000 pazienti esposti), trombocitopenia grave (conta piastrinica 30 x 109 /l), agranulocitosi, granulocitopenia, anemia aplastica/pancitopenia, anemia. Alterazioni del sistema immunitario: - molto raro: reazioni anafilattoidi, malattia da siero. Disturbi psichiatrici: - molto raro: confusione, allucinazioni. Alterazioni del sistema nervoso: - molto raro: alterazioni del gusto. Alterazioni del sistema vascolare: - molto raro: vasculite, ipotensione Alterazioni dell’apparato respiratorio, del torace e del mediastino: - molto raro: broncospasmo, polmonite interstiziale. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale: - molto raro: pancreatite, colite (compresa colite ulcerativa o linfocitica), stomatite. Alterazioni del sistema epatobiliare: - molto raro: insufficienza epatica acuta, epatite. Alterazioni della cute e del tessuto sottocutaneo: - molto raro: angioedema, dermatite bollosa (eritema multiforme, sindrome di Stevens Johnson, necrolisi epidermica tossica), rash eritematoso, orticaria, eczema e lichen planus. Alterazioni dell’apparato muscoloscheletrico, tessuto connettivo e tessuto osseo: - molto raro: artralgia, artrite, mialgia Alterazioni renali e delle vie urinarie: - molto raro: glomerulonefrite. Disordini generali e alterazioni del sito di somministrazione: - molto raro: febbre Indagini diagnostiche: - molto raro: test di funzionalità epatica anormale, aumento della creatininemia. Sovradosaggio Il sovradosaggio di clopidogrel può portare ad un prolungamento del tempo di sanguinamento e a conseguenti complicazioni emorragiche. Nel caso in cui si osservino dei sanguinamenti, si dovrà prendere in considerazione una appropriata terapia. Non sono noti antidoti all’attività farmacologica di clopidogrel. Quando fosse richiesta una rapida correzione del prolungamento del tempo di sanguinamento, una trasfusione di piastrine può invertire gli effetti di clopidogrel. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: antiaggreganti piastrinici, esclusa l’eparina, Codice ATC: B01AC/04. Clopidogrel inibisce selettivamente il legame dell’adenosina-difosfato (ADP) al suo recettore piastrinico, e di conseguenza inibisce l’attivazione del complesso GPIIb-IIIa mediata dall’ADP, pertanto l’aggregazione piastrinica risulta inibita. È necessaria la biotrasformazione di clopidogrel per indurre inibizione dell’aggregazione piastrinica. Clopidogrel inibisce anche l’aggregazione piastrinica indotta da altri agonisti bloccando l’amplificazione dell’attivazione piastrinica esercitata dal rilascio di ADP. Clopidogrel agisce modificando irreversibilmente il recettore piastrinico per l’ADP. Di conseguenza, le piastrine esposte a clopidogrel sono influenzate per il resto della loro vita ed il recupero della funzione piastrinica normale avviene ad una velocità proporzionale al ricambio piastrinico. Dosi ripetute di 75 mg al giorno hanno prodotto una notevole inibizione dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta già dal primo giorno; l’inibizione è aumentata progressivamente fino a stabilizzarsi tra il terzo ed il settimo giorno. In questa condizione di “steady-state” il livello medio di inibizione osservato con una dose di 75 mg al giorno era compreso tra 40-60%. L’aggregazione piastrinica ed il tempo di sanguinamento sono tornati gradualmente ai valori di base in genere entro 5 giorni dall’interruzione del trattamento. La sicurezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 4 studi in doppio-cieco che hanno coinvolto più di 80.000 pazienti: lo studio CAPRIE, di confronto tra clopidogrel e ASA, e gli studi CURE, CLARITY e COMMIT di confronto tra clopidogrel e placebo, entrambi somministrati in associazione con ASA ed altre terapie standard. Infarto miocardico recente (IM), ictus recente o arteriopatia obliterante periferica documentata Lo studio CAPRIE è stato condotto su 19.185 pazienti con aterotrombosi manifestatasi con recente infarto miocardico ( 35 giorni), recente ictus ischemico (tra 7 giorni e 6 mesi), o arteriopatia obliterante periferica comprovata (AOP). I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel 75 mg/die oppure con ASA 325 mg/die, e osservati per un periodo da l a 3 anni. Nel sottogruppo con infarto miocardico la maggior parte dei pazienti è stata trattata con ASA per i primissimi giorni seguenti l’infarto miocardico acuto. Clopidogrel ha ridotto significativamente l’incidenza di nuovi eventi ischemici (“end point” combinato di infarto miocardico, ictus ischemico e morte vascolare) rispetto ad ASA. Nell’analisi “intention to treat”, 939 eventi sono stati osservati nel gruppo clopidogrel e 1.020 eventi con ASA, (riduzione del rischio relativo (RRR) 8,7%, [IC 95%: da 0,2 a 16,4 ]; p = 0,045), che corrisponde, per ogni 1.000 pazienti trattati per 2 anni, a 10 ulteriori pazienti [IC: da 0 a 20] ai quali sono stati evitati nuovi eventi ischemici. L’analisi della mortalità totale quale endpoint secondario non ha mostrato nessuna differenza significativa tra clopidogrel (5,8%) e ASA (6,0%). Nell’analisi dei sottogruppi eseguita per patologia qualificante (infarto miocardico, ictus ischemico ed arteriopatia obliterante periferica) il beneficio è apparso essere più consistente (raggiungendo la significatività statistica a p = 0,003) nei pazienti arruolati per arteriopatia obliterante periferica (in special modo per quelli con precedenti di infarto miocardico) (RRR = 23,7%; IC: da 8,9 a 36,2) e meno consistente (non significativamente diverso da ASA) nei pazienti con ictus (RRR = 7,3%; IC: da - 5,7 a 18,7). Nei pazienti arruolati nello studio sulla sola base di un recente infarto miocardico, clopidogrel è stato numericamente inferiore, ma non statisticamente diverso da ASA (RRR = - 4,0%; IC: da - 22,5 a 11,7). Inoltre una analisi dei sottogruppi per età ha indicato che il beneficio di clopidogrel nei pazienti oltre 75 anni è stato inferiore a quello osservato nei pazienti di età 75 anni. Dato che lo studio CAPRIE non è stato dimensionato per valutare l’efficacia nei singoli sottogruppi, non risulta chiaro se le differenze nella riduzione del rischio relativo per le varie patologie qualificanti siano reali oppure siano dovute al caso. Sindrome coronarica acuta Lo studio CURE è stato condotto su 12.562 pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q), che avevano presentato l’inizio del loro più recente episodio di dolore toracico o sintomi coerenti con ischemia nelle 24 ore precedenti. I pazienti dovevano presentare o modificazioni ECG compatibili con nuova ischemia o elevazione degli enzimi cardiaci o della troponina I o T almeno 2 volte il limite superiore della norma. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel (dose di carico 300 mg seguita da 75 mg/die, N=”6”259) o con placebo (N=”6”303), entrambi somministrati in associazione con ASA (75.325 mg una volta al giorno) e altre terapie standard. I pazienti sono stati trattati fino ad un anno. Nello studio CURE, 823 pazienti (6,6%) hanno ricevuto una terapia concomitante di antagonisti dei recettori GPIIb/IIIa. Eparina è stata somministrata in più del 90% dei pazienti e la relativa percentuale di sanguinamento tra clopidogrel e placebo non è stata significativamente influenzata dalla terapia concomitante con eparina. Il numero di pazienti che ha manifestato l’endpoint primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, o ictus) è stato di 582 (9,3%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 719 (11,4%) nel gruppo trattato con placebo, con una riduzione del rischio relativo del 20% (IC 95% da 10% a 28%; p=0,00009) per il gruppo clopidogrel (17% di riduzione del rischio relativo quando i pazienti sono stati trattati in modo conservativo, 29% quando sono stati sottoposti a PTCA con o senza stent e 10% quando sono stati sottoposti a CABG) Sono stati prevenuti nuovi eventi cardiovascolari (endpoint primario) con una riduzione del rischio relativo del 22% (IC: da 8,6 a 33,4), 32% (IC: da 12,8 a 46,4), 4% (IC: da -26,9 a 26,7), 6% (IC: da -33,5 a 34,3) e 14% (IC: da 31,6 a 44,2), durante gli intervalli dello studio 0-1, 1.3, 3.6, 6.9 e 9.12 mesi, rispettivamente. Pertanto, oltre a 3 mesi di trattamento, il beneficio osservato nel gruppo clopidogrel + ASA non era ulteriormente aumentato mentre il rischio di emorragia persisteva. L’uso di clopidogrel nel CURE era associato con una diminuzione della necessità di un trattamento trombolitico (RRR = 43,3%; IC: da 24,3% a 57,5%) e inibitori di GPIIb/IIIa (RRR = 18,2%; IC: 6,5%, 28,3%). Il numero di pazienti cha ha manifestato l’endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria) è stato di 1.035 (16,5%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 1.187 (18,8%) nel gruppo trattato con placebo, con una riduzione del rischio relativo del 14% (IC 95% da 6% a 21%, p=0,0005) per il gruppo trattato con clopidogrel. Questo beneficio è stato principalmente determinato da una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza dell’infarto miocardico [287 (4,6%) nel gruppo trattato con clopidogrel e 363 (5,8%) nel gruppo trattato con placebo]. Non si è osservato nessun effetto sulla percentuale di riospedalizzazione per angina instabile. I risultati ottenuti nelle popolazioni con caratteristiche differenti (per es. angina instabile o infarto miocardico senza onde Q, livelli di rischio basso o alto, diabete, necessità di rivascolarizzazione, età, sesso, ecc.) si sono rivelati coerenti con i risultati dell’analisi primaria. In particolare, in un’analisi a posteriori in 2.172 pazienti (17% della popolazione totale dello studio CURE) che erano stati sottoposti a posizionamento di stent (Stent-CURE), i dati hanno mostrato una significativa RRR del 26,2% a favore di clopidogrel rispetto a placebo per l’endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus) ed una significativa RRR del 23,9% per il secondo endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria). Inoltre, il profilo di sicurezza di clopidogrel in questo sottogruppo di pazienti non ha evidenziato particolari problemi. Pertanto, i risultati ottenuti da questo sottogruppo sono in linea con i risultati complessivi dello studio. Il beneficio osservato con clopidogrel si è dimostrato indipendente dall’utilizzo di altre terapie cardiovascolari in acuto e a lungo termine (come eparina/EBPM, antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa, farmaci ipolipemizzanti, beta bloccanti, e ACE inibitori). L’efficacia di clopidogrel è risultata indipendente dalla dose di ASA (75.325 mg una volta al giorno). Nei pazienti con IM con innalzamento del tratto ST, la sicurezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 2 studi, CLARITY e COMMIT, randomizzati, in doppio-cieco,controllati con placebo. Lo studio CLARITY ha arruolato 3.491 pazienti che si presentavano entro 12 ore dall’esordio di un IM con innalzamento del tratto ST ed erano candidati alla terapia trombolitica. I pazienti hanno ricevuto clopidogrel (dose di carico di 300 mg, seguita da 75 mg/die, n=1752) oppure placebo (n=1739), entrambi in associazione con ASA (dose di carico da 150 a 325 mg, seguita da 75.162 mg/die), un farmaco fibrinolitico e, laddove necessario, eparina. I pazienti sono stati osservati per 30 giorni. L’endpoint primario era rappresentato dalla comparsa di uno dei seguenti eventi: occlusione dell’arteria correlata all’infarto, riscontrabile all’angiografia pre-dimissione, oppure la morte, oppure una recidiva di IM prima dela coronarografia. Per i pazienti che non sono stati sottoposti a coronarografia, l’endpoint primario era rappresentato da morte o recidiva di IM entro il giorno 8 oppure entro la dimissione dall’ospedale. La popolazione dei pazienti includeva il 19,7% di donne e il 29,2% di pazienti di età ≥ 65 anni. Globalmente il 99,7% dei pazienti hanno ricevuto fibrinolitici (fibrino specifici : 68,7%, non fibrino specifici: 31,1%), l’89,5% eparina, il 78,7% beta bloccanti, il 54,7% ACE inibitori e il 63% statine. L’incidenza dell’endpoint primario è stata del quindici percento (15,0%) nei pazienti del gruppo trattato con clopidogrel e del 21,7% nei pazienti del gruppo placebo, con una riduzione assoluta del 6,7% ed una riduzione del rischio del 36 % a favore di clopidogrel (95% CI: 24, 47%; p<0,001), principalmente correlata ad una riduzione delle occlusioni delle arterie correlate all’infarto. Tale beneficio è stato coerente in tutti i sottogruppi prespecificati inclusi i sottogruppi per età e sesso, localizzazione dell’infarto e tipo di fibrinolitico o eparina utilizzati. Lo studio COMMIT con disegno fattoriale 2x2 ha arruolato 45.852 pazienti che si presentavano entro le 24 ore dall’inizio dei sintomi di sospetto IM, con il supporto di anomalie all’ECG (ad es. innalzamento del tratto ST, abbassamento del tratto ST oppure blocco di branca sinistro). I pazienti hanno ricevuto clopidogrel (75 mg/die, n=”2”2,961) oppure placebo (n=”2”2,891), in associazione con ASA (162 mg/die), per 28 giorni o fino alla dimissione dall’ospedale. Gli endpoints co-primari erano morte da qualsiasi causa e la prima comparsa di re-infarto, ictus o morte. La popolazione ha incluso il 27,8% di donne, il 58,4% di pazienti di età ≥ 60 anni N E O S A P P E N D I C E I 141 N E O S A P P E N D I C E I 142 (26% ≥ 70 anni) e il 54,5% di pazienti ha ricevuto fibrinolitici. Clopidogrel ha ridotto in modo significativo del 7% (p = 0,029) il rischio relativo di morte da qualsiasi causa, e del 9% (p = 0,002) il rischio relativo della combinazione di re-infarto, ictus o morte, con una riduzione assoluta dello 0,5% e dello 0,9%, rispettivamente. Tale beneficio è stato coerente per età, sesso e utilizzo o meno di fibrinolitici ed è stato osservato già nelle prime 24 ore. Proprietà farmacocinetiche Dopo dosi orali ripetute di 75 mg/die, clopidogrel viene rapidamente assorbito. Tuttavia, le concentrazioni plasmatiche del farmaco come tale sono molto basse e al di sotto del limite quantificabile (0,00025 mg/l) oltre le due ore dopo la somministrazione. L’assorbimento è almeno del 50% sulla base dell’escrezione urinaria dei metaboliti di clopidogrel. Clopidogrel è metabolizzato principalmente dal fegato ed il suo maggior metabolita, inattivo, è il derivato carbossilico acido che rappresenta circa 1’85% del prodotto circolante nel plasma. Il picco plasmatico di questo metabolita (circa 3 mg/l dopo dosi orali ripetute di 75 mg) si manifesta circa un’ora dopo la somministrazione. Clopidogrel è un profarmaco. Il metabolita attivo, un derivato tiolico, è formato dall’ossidazione di clopidogrel in 2.oxo-clopidogrel e successiva idrolisi. Il passaggio ossidativo è regolato principalmente dagli isoenzimi 2B6 e 3A4 del Citocromo P450 e in misura inferiore dagli isoenzimi 1A1, 1A2 e 2C19. Il metabolita tiolico attivo che è stato isolato in vitro, si lega rapidamente ed irreversibilmente ai recettori piastrinici, con conseguente inibizione dell’aggregazione piastrinica. Questo metabolita non è stato rilevato nel plasma. La cinetica del principale metabolita circolante è lineare (le concentrazioni plasmatiche aumentano in proporzione alla dose) nell’intervallo di dosi 50-150 mg di clopidogrel. In vitro, clopidogrel ed il suo principale metabolita si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche umane (98% e 94%, rispettivamente). Il legame non è saturabile in vitro entro un ampio intervallo di concentrazioni. Nell’uomo dopo una dose orale di clopidogrel marcato con 14C, circa il 50% viene escreto nelle urine e circa il 46% nelle feci entro 120 ore dalla somministrazione. L’emivita di eliminazione del principale metabolita circolante è di otto ore sia dopo somministrazione di dose singola che ripetuta. Dopo dosi giornaliere ripetute di 75 mg/die di clopidogrel i livelli plasmatici del principale metabolita circolante sono più bassi in soggetti con grave disfunzione renale (clearance della creatinina da 5 a 15 ml/min) rispetto a soggetti con moderata disfunzione (clearance della creatinina da 30 a 60 ml/min) e ai livelli plasmatici osservati in altri studi condotti in volontari sani. Sebbene l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da ADP fosse più bassa (25%) di quella osservata in soggetti sani, il prolungamento del tempo di sanguinamento era simile a quello osservato in soggetti sani che avevano ricevuto 75 mg/die di clopidogrel. In aggiunta la tollerabilità clinica è stata buona in tutti i pazienti. La farmacocinetica e la farmacodinamica di clopidogrel sono state valutate in uno studio di dose singola e ripetuta sia in soggetti sani che in pazienti con cirrosi (classe Child-Pugh A o B). La dose giornaliera di 75 mg per 10 giorni di clopidogrel è risultata sicura e ben tollerata. Il Cmax di clopidogrel nei pazienti cirrotici, tanto dopo dose singola che allo steady state, è stato di molte volte più elevato rispetto a quello nei soggetti normali. Tuttavia, sia i livelli plasmatici del principale metabolita circolante sia l’effetto di clopidogrel sulla aggregazione piastrinica indotta da ADP e sul tempo di sanguinamento sono risultati paragonabili in questi gruppi. Dati preclinici di sicurezza Nel corso di studi non-clinici condotti nel ratto e nel babbuino, la modificazione dei parametri epatici è stato l’effetto più frequentemente osservato. Ciò si è verificato per dosi superiori di almeno 25 volte alla dose clinica corrispondente, di 75 mg/die, somministrata nell’uomo, ed era conseguenza di un effetto sugli enzimi metabolici epatici. Nessun effetto di clopidogrel sugli enzimi metabolici epatici è stato osservato nell’uomo alle dosi terapeutiche. A dosi molto elevate, è stata riportata nel ratto e nel babbuino una scarsa tollerabilità gastrica (gastriti, erosioni gastriche e/o vomito). Non è stato osservato alcun effetto carcinogenico in seguito a somministrazione di clopidogrel nel topo per 78 settimane e nel ratto per 104 settimane fino alla dose di 77 mg/kg/die (il che rappresenta almeno 25 volte l’esposizione che si verifica alla dose clinica di 75 mg/die nell’uomo). Clopidogrel saggiato in una serie di studi di genotossicità in vitro e in vivo, non ha mostrato alcuna attività genotossica. Clopidogrel non ha mostrato alcun effetto sulla fertilità in ratti maschi e femmine e non ha mostrato alcun effetto teratogeno né nel ratto né nel coniglio. Quando somministrato in ratti che allattavano clopidogrel ha causato un leggero ritardo nello sviluppo della prole. Studi farmacocinetici specifici condotti con clopidogrel marcato hanno permesso di osservare che il composto principale e i suoi metaboliti sono escreti nel latte. Conseguentemente non può essere escluso un effetto diretto (lieve tossicità) o indiretto (scarsa palatabilità). Incompatibilità Non pertinente. DIPIRIDAMOLO Indicazioni terapeutiche Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie; cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio; cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica. Patologia, a livello cardiaco, cerebrale e renale da aumentata aggregabilità piastrinica. Posologia e modo di somministrazione Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie Dose iniziale: 150-300 mg al dì, per via orale. Dose di mantenimento: 75-150 mg al dì Cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio: 2 cicli annuali di 6 settimane con 75 mg al dì, per via orale. Cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica: 50-75 mg al dì, per via orale, per almeno 4 settimane. Patologia a livello cardiaco, cerebrale e renale, da aumentata aggregabilità piastrinica: 300-400 mg al dì in dosi refratte. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Dosi eccessive possono provocare vasodilatazione periferica. Usare con cautela in pazienti ipotesi. In pazienti con insufficienza coronarica grave, la somministrazione rapida endovenosa di alte dosi di dipiridamolo (0,5 mg o più per kg di peso corporeo in 4 minuti), può causare fenomeni ischemici coronarici e aritmie ipercinetiche. Tali effetti possono essere risolti con una iniezione endovenosa lenta (10 minuti) di aminofillina. Le compresse rivestite devono essere ingerite a stomaco vuoto, un’ora prima dei pasti. Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini Interazioni La somministrazione contemporanea di preparati teofillinici può ridurre l’effetto terapeutico. Gravidanza ed allattamento Non presenta alcuna particolare controindicazione in gravidanza. Comunque, come per tutti gli altri farmaci, si consiglia cautela, particolarmente nei primi tre mesi di gestazione. Non è stata accertata una sicurezza assoluta di impiego in allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Durante la terapia non esistono controindicazioni alla guida ed all’uso di macchinari che richiedono particolare attenzione. Effetti indesiderati Scarsi e transitori possono occasionalmente verificarsi cefalee, vertigini, nausea, lievi disturbi gastroenterici, eruzioni cutanee. Solo nel caso che le reazioni secondarie siano persistenti e non tollerate nel paziente si prospetta l’opportunità della interruzione del trattamento. Sovradosaggio Non sono noti incidenti da sovradosaggio con dipiridamolo. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il dipiridamolo è dotato di una spiccata attività antiaggregante piastrinica, e quindi antitrombotica, da attribuirsi da una parte all’azione inibente la fosfodiesterasi piastrinica e dall’altra all’azione stimolante la produzione di prostaciclina (PGI2 ) da parte dell’endotelio vasale. Il dipiridamolo, alle dosi terapeutiche consigliate, determina un aumento del flusso coronarico e contemporaneamente migliora l’ossigenazione ed il metabolismo della cellula miocardica senza praticamente influire sulla pressione arteriosa e sulla frequenza cardiaca. Il preparato, inoltre, favorisce la formazione di un efficiente circolo collaterale intercoronarico. Il trattamento con dipiridamolo migliora dunque le condizioni di lavoro e di rendimento del cuore specie nei pazienti con irrorazione coronarica insufficiente. Proprietà farmacocinetiche Il dipiridamolo viene eliminato dall’organismo dopo biotrasformazione epatica in monoglucuronide, che è soggetto, quasi esclusivamente, ad escrezione per via biliare e fecale in presenza di un parziale circolo enteroepatico. Solo minime quantità vengono eliminate per via renale. Dati preclinici di sicurezza Le prove di tossicità acuta, subacuta e cronica del dipiridamolo eseguite sui più comuni animali da esperimento quali ratto, cane e coniglio per ambedue le vie di somministrazione orale ed endovenosa, seppure saggiate a concentrazioni del farmaco assai superiori a quelle consigliate per l’uso terapeutico, non hanno evidenziato effetti tossici importanti. La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via orale nei ratti, è risultata superiore a 6000 mg/kg. La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via endovenosa nel cane, è risultata: 60 mg/kg nel maschio; 82,5 mg/kg nella femmina. Il dipiridamolo non ha effetti teratogeni, né influenza negativamente la fertilità e lo sviluppo fetale, né sono stati evidenziati fenomeni di carcinogenesi. Incompatibilità Per particolarità fisico-chimiche, le fiale possono essere diluite solo con soluzione glucosate o clorurosodiche. EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE Indicazioni terapeutiche Profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica.- Trattamento delle patologie venose ad eziologia trombotica. Posologia e modo di somministrazione va somministrato per via sottocutanea. Nella profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica lo schema posologico da seguire è il seguente:In chirurgia generale:Una iniezione per via sottocutanea di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa) 2 ore prima dell’intervento. Successivamente ogni 24 ore per almeno 7 giorni. Non sono necessari controlli emocoagulativi. Nei pazienti ad alto rischio tromboembolico ed in chirurgia ortopedica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) 12 ore prima e 12 ore dopo l’intervento, quindi una iniezione quotidiana nei successivi giorni del decorso post-operatorio. La durata del trattamento è di almeno 10 giorni. Nella terapia delle trombosi venose profonde (TVP), il trattamento sottocutaneo può essere preceduto da 3-5 giorni di terapia per via endovenosa in infusione lenta. Trombosi Venosa Profonda:Due iniezioni/die per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa): la terapia va protratta per almeno 7-10 giorni. Questa terapia può essere preceduta da 3-5 giorni di terapia con 12.800 U.I. aXa per via endovenosa in infusione lenta. Dopo la fase acuta, la terapia può essere protratta con 0,6 ml (6.400 U.I. aXa) per via s.c./die, oppure con 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) per via s.c./die per altri 10-20 giorni. Sindrome post-flebitica, insufficienza venosa cronica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 30 giorni. Tromboflebite acuta superficiale, varicoflebite:Una iniezione per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 20 giorni. Tecnica di iniezione. L’iniezione deve essere praticata nel tessuto sottocutaneo dei quadranti supero-esterni dei glutei, alternando il lato destro ed il lato sinistro, o nella cintura addominale anterolaterale e posterolaterale. L’ago deve essere introdotto interamente, perpendicolarmente e non tangenzialmente, nello spessore di una plica cutanea realizzata tra il pollice e l’indice dell’operatore. La plica deve essere mantenuta per tutta la durata dell’iniezione. Controindicazioni Generalmente controindicato in gravidanza e nell’allattamento. Anamnesi positiva per trombocitopenia con eparina. Manifestazioni o tendenze emorragiche legate a disturbi dell’emostasi, ad eccezione delle coagulopatie da consumo non legate all’eparina. Lesioni organiche a rischio di sanguinamento (ulcera peptica, retinopatie, sindrome emorragica). Endocardite infettiva acuta (ad eccezione di quelle relative a protesi meccaniche). Accidenti cerebrovascolari emorragici. Allergia al farmaco. Nefropatie e pancreopatie gravi, ipertensione arteriosa grave, traumi cranioencefalici gravi, periodo post-operatorio. Periodo di attività terapeutica delle antivitamine K. Controindicazioni relative: associazione con ticlopidina, con salicilati o FANS, con antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.). Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Non va somministrato per via intramuscolare. Monitoraggio biologico: praticare una conta piastrinica prima del trattamento e di seguito due volte la settimana; se si prevede un trattamento prolungato, questo schema di monitoraggio deve essere rispettato almeno per il primo mese; in seguito il monitoraggio potrà essere più distanziato. In caso di precedenti di trombocitopenia conseguenti a trattamento con un’altra eparina, è indispensabile porre particolare attenzione allo stato clinico e deve essere effettuata giornalmente la conta piastrinica. In caso di insorgenza di trombocitopenia con eparina classica, cioè non frazionata, la sostituzione con un’eparina a basso peso molecolare è una possibile soluzione. In questo caso è necessaria una sorveglianza quotidiana del numero delle piastrine ed il trattamento dovrà essere interrotto appena possibile; infatti sono state riportate osservazioni del mantenimento della trombocitopenia iniziale anche con eparina a basso peso molecolare. Il test di aggregazione piastrinica in vitro hanno un valore solo orientativo. Si consiglia di prendere contatto con una equipe specializzata. Trattamento: da usare con precauzione in caso di insufficienza epatica, insufficienza renale, ipertensione arteriosa, anamnesi di ulcera gastrointestinale o di tutte le altre lesioni organiche suscettibili di sanguinamento, o di malattie vascolari della corioretina. Da usare con precauzione nel periodo post-operatorio a seguito di chirurgia cerebrale o del midollo spinale. Le eparine a basso peso molecolare differiscono, per il metodo impiegato nella produzione, nel peso molecolare e nella attività specifica. Si raccomanda pertanto di non passare da un marchio all’altro durante il trattamento. Tenere il medicinale fuori della portata dei bambini. Interazioni Associazioni sconsigliate: - Acido acetilsalicilico ed altri salicilati (per via generale). Aumento del rischio di emorragia (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da salicilati). Utilizzare altre sostanze per un effetto antalgico od antipiretico. - FANS (per via generale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da farmaci antinfiammatori non steroidei). Se non è possibile evitare l’associazione, istituire un’attenta sorveglianza clinica e biologica. - Ticlopidina. Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica da ticlopidina). È sconsigliata l’associazione a forti dosi di eparina. L’associazione a basse dosi di eparina (eparinoterapia preventiva) richiede un’attenta sorveglianza clinica e biologica. - Antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Associazioni che necessitano di precauzioni d’uso: - Anticoagulanti orali. Potenziamento dell’azione anticoagulante. L’eparina falsa il dosaggio del tasso di protrombina. Al momento della sostituzione dell’eparina con gli anticoagulanti orali: a) rinforzare la sorveglianza clinica; b) per controllare l’effetto degli anticoagulanti orali effettuare il prelievo prima della somministrazione di eparina, nel caso questa sia discontinua o, di preferenza, utilizzare un reattivo non sensibile all’eparina. - Glucocorticoidi (per via generale). Aggravamento del rischio emorragico proprio della terapia con glucocorticoidi (mucosa gastrica, fragilità vascolare), a dosi elevate o in trattamento prolungato (superiore a dieci giorni). L’associazione deve essere giustificata; potenziare la sorveglianza clinica. - Destrano (per via parenterale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Adattare la posologia dell’eparina in modo da non superare una ipocoagulabilità superiore a 1,5 volte il valore di riferimento, durante l’associazione e dopo la sospensione di destrano. In caso di somministrazione contemporanea di acido ascorbico, antistaminici, digitale, penicillina e.v., tetracicline o fenotiazine si può avere una inibizione dell’attività del farmaco. Gravidanza e allattamento Il rischio di effetti dannosi a carico del feto e/o del lattante a seguito di assunzione/somministrazione di eparina non è escluso, pertanto l’uso in gravidanza e/o nell’allattamento è da N E O S A P P E N D I C E I 143 N E O S A P P E N D I C E I 144 riservare, a giudizio del medico, ai casi di assoluta necessità. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine L’uso clinico protratto anche per molti mesi non ha mai influenzato lo stato di vigilanza in tal senso. Effetti indesiderati Manifestazioni emorragiche di entità limitata e prevalentemente legate a preesistenti fattori di rischio, quali lesioni organiche con tendenza emorragica, oppure ad effetti iatrogeni (vedi “Controindicazioni” e “Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione”). Rari casi di trombocitopenia, a volte gravi. Rari casi di necrosi cutanea, generalmente localizzata nel punto di iniezione, osservati sia con le eparine classiche che con quelle a basso peso molecolare. Questi fenomeni sono preceduti dalla comparsa di porpora o di placche eritematose, infiltrate e doloranti, con o senza sintomi generali. In questi casi è necessario sospendere immediatamente il trattamento. Eccezionalmente lievi ematomi nel punto di iniezione. Rare manifestazioni di allergia cutanea o generale. Aumento delle transaminasi. Sovradosaggio La particolare confezione in cui viene presentato il prodotto rende improbabile il sovradosaggio; tuttavia nel caso esso si verifichi accidentalmente, possono manifestarsi effetti legati all’attività anticoagulante (sanguinamento), normalmente non presenti alle dosi terapeutiche. Questi effetti possono essere neutralizzati mediante la somministrazione e.v. di solfato di protamina. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Gruppo farmacoterapeutico: Antitrombotici eparinici - Classe ATC B01AB07. Meccanismo d’azione/effetti farmacodinamici: è un farmaco antitrombotico dotato di azione rapida e prolungata, attivo nella terapia della malattia tromboembolica., diversamente dall’eparina, possiede la proprietà di dissociare l’attività antitrombotica da quella anticoagulante. Infatti il rapporto fra l’attività antitrombotica, misurata dal dosaggio del fattore X attivato, e l’attività anticoagulante, rappresentata dai valori di aPTT e TT, risulta, sempre nei confronti dell’eparina, superiore a 4; tale rapporto può essere considerato indice terapeutico o di sicurezza. A differenza dell’eparina, non possiede attività pro-aggregante piastrinica. Proprietà farmacocinetiche dopo somministrazione sottocutanea, presenta il picco plasmatico di massima attività anti-Xa mediamente alla 3a ora ed una emivita plasmatica di circa 6 ore; l’attività anti-Xa persiste nel plasma circa 20 ore dopo unica somministrazione, tali caratteristiche rendono possibile la monosomministrazione giornaliera. Si distribuisce prevalentemente nel sangue, ove esercita la propria azione, ed è probabilmente soggetto al fenomeno della scomparsa per uptake endoteliale e/o transendoteliale come l’eparina. Ha un metabolismo epatico e renale e viene escreto per via urinaria. Dati preclinici di sicurezza È praticamente priva di tossicità acuta e cronica, di attività mutagena e non interferisce, in modelli sperimentali, con la funzione riproduttiva e lo sviluppo embrionale. Incompatibilità Le sostanze di uso comune incompatibili, per esempio le associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di Ca, sali di ammonio quaternari, cloramfenicolo, tetraciclina e tutti gli aminoglicosidi. FLUNARIZINA Indicazioni terapeutiche Trattamento profilattico dell’emicrania con frequenti e gravi attacchi limitatamente ai pazienti che non hanno risposto ad altre terapie e/o nei quali tali terapie siano state causa di gravi effetti collaterali. Posologia e modo di somministrazione Terapia di attacco: nei pazienti di età inferiore a 65 anni, il trattamento va iniziato alla dose di 10 mg al giorno da assumere al momento di coricarsi; nei pazienti di età superiore a 65 anni tale dosaggio va ridotto a 5 mg. Se durante tale fase del trattamento compaiono depressione, segni extrapiramidali o altri gravi effetti collaterali, il trattamento deve essere interrotto. Se dopo due mesi non si osservano significativi miglioramenti, i pazienti debbono essere considerati refrattari alla terapia e la somministrazione del farmaco deve essere interrotta. Terapia di mantenimento: se il paziente risponde in maniera soddisfacente e se si ritiene necessaria una terapia di mantenimento, la dose giornaliera deve essere ridotta e somministrata a giorni alterni ovvero per 5 giorni consecutivi con interruzione di due giorni ogni settimana. Anche se il trattamento profilattico risulta efficace e ben tollerato esso deve essere interrotto dopo sei mesi e può essere ripreso solo in caso di recidiva. Controindicazioni Il prodotto è controindicato in pazienti con affezioni depressive in atto o pregresse, con preesistenti sintomi di malattia di Parkinson o altri disturbi extrapiramidali. (vedere Effetti indesiderati). Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Nei casi in cui l’astenia aumenta progressivamente, la terapia deve essere interrotta. Si raccomanda di non superare le dosi consigliate. I pazienti debbono essere controllati ad intervalli regolari, specie durante la terapia di mantenimento, per ricercare i primi segni extrapiramidali o depressivi in modo da interrompere tempestivamente il trattamento. Tale controllo deve essere particolarmente attento nei pazienti anziani. L’eventuale perdita di efficacia del farmaco durante la fase di mantenimento richiede la sospensione della terapia (per la durata del trattamento vedere Posologia e modo di somministrazione). Vedere anche Effetti indesiderati. Interazioni La concomitante assunzione di ipnotici o di ansiolitici e altri psicofarmaci, può causare una eccessiva sedazione. Per lo stesso motivo è sconsigliabile assumere bevande alcooliche durante la terapia. Gravidanza e allattamento Gravidanza: Non essendone stata stabilita la sicurezza d’impiego, si sconsiglia l’uso della flunarizina in gravidanza. Allattamento: Non essendo disponibili dati sull’escrezione della flunarizina nel latte materno, si sconsiglia l’uso del farmaco durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Il prodotto, specie nella fase iniziale della terapia, può dar luogo a sonnolenza; estrema cautela deve essere adottata durante operazioni che richiedono una perfetta integrità dello stato di vigilanza (guida di autoveicoli, macchinari pericolosi ecc.). Effetti indesiderati I più comuni effetti collaterali sono la sonnolenza e/o astenia (20%), che sono di norma transitori, aumento di peso e/o aumento dell’appetito (11%). Nel trattamento a lungo termine sono stati segnalati i seguenti gravi effetti collaterali: - depressione, per la quale sono risultate maggiormente a rischio le donne con precedenti di malattia depressiva (vedere Controindicazioni). - sintomi extrapiramidali, quali bradicinesia, rigidità, acatisia, discinesie orofacciali, tremori, per i quali risultano particolarmente a rischio i soggetti anziani. Con minore frequenza sono stati segnalati nausea, gastralgia, insonnia, ansietà, galattorrea, secchezza delle fauci, dolori muscolari ed eruzioni cutanee. Sovradosaggio Sulla base delle caratteristiche farmacologiche del farmaco, in caso di sovradosaggio è probabile la comparsa di sedazione e astenia. Nei casi segnalati di sovradosaggio acuto (fino a 600 mg in una sola assunzione) sono stati osservati sedazione, agitazione e tachicardia. In caso di intossicazione acuta non esiste un antidoto specifico; possono essere impiegati la somministrazione di carbone attivo, la lavanda gastrica e l’induzione del vomito, nonchè terapie sintomatiche di supporto. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Altri farmaci del sistema nervoso, preparati antivertigine, codice ATC: N07CA03 La flunarizina è un derivato bifluorurato della cinnarizina con proprietà antistaminiche e depressive sul SNC. La flunarizina è un calcioantagonista della classe IV del WHO; essa non ha effetti sulla contrattilità e sulla conduzione cardiaca. La flunarizina possiede inoltre un’azione di tipo neurolettico che potrebbe essere la causa di certi effetti collaterali sul sistema nervoso centrale. Proprietà farmacocinetiche In volontari sani, in seguito ad assunzione orale di una dose singola di flunarizina il picco plasmatico viene raggiunto dopo 2.4 ore. Durante il trattamento cronico, per somministrazione di una dose giornaliera di 10 mg, le concentrazioni plasmatiche aumentano gradualmente, fino al raggiungimento della concentrazione stazionaria intorno alla 5ª - 6ª settimana di assunzione del farmaco: allo steady-state i livelli plasmatici restano pressochè costanti in un range compreso fra 39 e 115 ng/ml. I parametri farmacocinetici della flunarizina sono caratterizzati da un ampio volume di distribuzione (volume apparente di distribuzione = 43,2 l/kg in volontari sani) e dall’elevata distribuzione tissutale. Infatti dai risultati delle sperimentazioni animali, è emerso che le concentrazioni del farmaco in vari tessuti sono molto più elevate dei corrispondenti livelli plasmatici, soprattutto nel tessuto adiposo e nei muscoli scheletrici. Circa lo 0,8% di flunarizina è presente nel plasma allo stato libero, poichè si lega per il 90% alle proteine plasmatiche e per il 9% agli eritrociti. Soltanto un’aliquota trascurabile del farmaco è escreta immodificata con le urine. Dopo un esteso metabolismo epatico (dealchilazione - N-ossidativa, idrossilazione aromatica e glucoronidazione), la flunarizina ed i suoi metaboliti sono escreti con le feci attraverso la bile. Nell’uomo l’emivita di eliminazione terminale media è di circa 18 gg. Dati preclinici di sicurezza Tossicità Per somministrazione acuta DL50 topo Swiss, per os: 815 mg/kg DL50 topo Swiss, per ip: 174 mg/kg DL50 ratto S.D., per os: 312 mg/kg DL50 ratto S.D., per ip: 353 mg/kg Per somministrazione prolungata Ratto S.D., per os (18 mesi) diminuzione di peso a 80 mg/kg/die Cane Beagle, per os (12 mesi) nessuna alterazione a 20 mg/kg/die Tossicità fetale Assente (ratte S.D., coniglie N.Z.). La flunarizina non presenta analogia chimica con composti riconosciuti come cancerogeni e cocancerogeni; nelle prove di somministrazione prolungata (ratto e cane) non si sono avute manifestazioni istologiche o rilevate attività biochimiche sospette. Incompatibilità Non sono state segnalate incompatibilità con altri farmaci. INDOBUFENE Indicazioni terapeutiche Trattamento antiaggregante nelle condizioni patologiche in cui la iperattività o l’attivazione piastrinica possono avere un ruolo determinante nella patogenesi del trombo, come per esempio: vasculopatie ischemiche cardiache e cerebrali, arteriopatie periferiche su base aterosclerotica, trombosi venose, dislipidemie e diabete. Prevenzione dell’attivazione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi). Posologia e modo di somministrazione La posologia giornaliera è generalmente compresa tra 200 e 400 mg sia per via orale che parenterale in due somministrazioni. La dose minore (200 mg/die) è particolarmente indicata per i trattamenti a lungo termine. Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventuale riduzione dei dosaggi sopraindicati. Nei pazienti anziani oltre i 65 anni, la dose consigliata è compresa tra 100 e 200 mg/die. Nel trattamento per via orale è consigliata l’assunzione del farmaco dopo i pasti. Nella prevenzione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi) la dose di indobufene dipende dalle condizioni del paziente; a giudizio del medico possono essere somministrati 100 mg per os (o per via parenterale) prima di ogni seduta dialitica. Il prodotto iniettabile può essere somministrato sia per via endovenosa che intramuscolare. Controindicazioni Malattie emorragiche congenite od acquisite, ulcera o qualunque altra lesione in atto dell’apparato gastro- enterico. Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto o di altri prodotti appartenenti alla stessa classe chimica. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Lesioni pregresse dell’apparato gastroenterico così come la contemporanea somministrazione di altri farmaci antiaggreganti o analgesici-antiinfiammatori non steroidei richiedono molta cautela nell’uso del prodotto. In pazientidiabetici in trattamento con ipoglicemizzanti orali è opportuno un più frequente controllo dei valori di glicemia. Nei soggetti con insufficienza renale è opportuna una riduzione delle dosi in rapporto al grado di funzionalità renale. A titolo indicativo si suggerisce il seguente schema: CLEARANCE DELLA CREATININA: > 80 ml/min : 100-200 mg due volte al giorno; 40-80 ml/min : 100 mg/die - 100 mg due volte al giorno; < 40 ml/min : 100 mg a giorni alterni - 100 mg/die. La somministrazione dei farmaci nel paziente anziano richiede cautela anche in considerazione della progressiva riduzione della funzionalità renale con l’età. La posologia consigliata per pazienti anziani (oltre i 65 anni) tiene conto di questo fattore. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Nell’eventuale comparsa di disturbi gastrici (ad esempio pirosi, dolore epigastrico) si consiglia la riduzione della dose o l’interruzione temporanea del trattamento. Nel trattamento per via orale è consigliata l’assunzione del farmaco dopo i pasti. Interazioni Nel corso della sperimentazione clinica non sono stati segnalati segni o sintomi che possano fare sospettare interazioni con altri farmaci e altre interazioni, anche nel corso di trattamenti prolungati a 6 e 12 mesi. Gravidanza e allattamento Anche se la sperimentazione nell’animale non ha evidenziato danni fetali si sconsiglia l’uso del farmaco in gravidanza accertata o presunta e durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine. Effetti indesiderati In corso di trattamento sono stati segnalati casi di disturbi gastrici, meteorismo, stipsi, reazioni allergiche cutanee, sanguinamento gengivale, epistassi e, raramente, casi di sanguinamento gastro- intestinale con melena, ulcera peptica ed ematuria. L’eventuale comparsa di reazioni allergiche quali eruzioni orticarioidi, esige l’interruzione del trattamento. Sovradosaggio In caso di reazione tossica da iperdosaggio, gli interventi di emergenza dovranno essere rivolti a contrastare i sintomi che si possono presentare. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche L’indobufene ha un effetto antiaggregante piastrinico dovuto a inibizione della reazione di liberazione di costituenti piastrinici (ADP, serotonina, fattore piastrinico 4, beta-tromboglobulina, ecc.). Ricerche in animali da esperimento (cavia, ratto, coniglio) e nell’uomo hanno dimostrato che indobufene non interferisce con i parametri plasmatici della emocoagulazione ed il prolungamento del tempo di sanguinamento è modesto e rapidamente reversibile con la sospensione del trattamento. Esperimenti condotti in babbuini geneticamente predisposti alla trombosi hanno dimostrato che l’indobufene normalizza la funzionalità piastrinica alterata. Per quanto riguarda il meccanismo d’azione ricerche in vitro e in vivo hanno documentato che indobufene interviene sulla funzionalità piastrinica agendo sul metabolismo dell’acido arachidonico. Esperimenti nell’uomo hanno dimostrato che il farmaco a dosi terapeutiche agisce selettivamente sulla ciclossigenasi piastrinica bloccando la sintesi di trombossano senza alterare i livelli ematici di prostaciclina. Dopo somministrazione orale o parenterale il farmaco manifesta prontamente la sua azione antiaggregante che raggiunge i valori massimi dopo 2.4 ore e si mantiene fino a 12.24 ore, secondo le dosi e le tecniche utilizzate. Proprietà farmacocinetiche Indobufene è rapidamente assorbito per via orale ed i livelli plasmatici massimi si osservano dopo circa 2 ore dalla somministrazione. L’emivita del composto è di circa 8 ore con un volume apparente di distribuzione di 15 litri. L’indobufene è legato per il 99% alle proteine plasmatiche e l’eliminazione avviene prevalentemente per via renale (75%) sotto forma di prodotto coniugato (glucorunato) e in piccola parte come composto inalterato. one fisiologica salina. Incompatibilità Non sono stati evidenziati casi d’incompatibilità. N E O S A P P E N D I C E I 145 N E O S A P P E N D I C E I 146 NICERGOLINA Indicazioni terapeutiche Turbe metabolico-vascolari cerebrali acute e croniche da arteriosclerosi, trombosi ed embolia cerebrale, ischemia cerebrale transitoria. Posologia e modo di somministrazione 60 mg al giorno in due somministrazioni per via orale ad intervalli regolari; le compresse solubili vanno assunte dopo essere state disciolte in mezzo bicchiere d’acqua. Controindicazioni Ipersensibilità alla nicergolina. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In generale alle dosi terapeutiche non modifica la pressione arteriosa: nei soggetti ipertesi può indurre graduale diminuzione dei valori pressori. In pazienti iperuricemici o con anamnesi di gotta e/o in trattamento con farmaci che possono interferire con il metabolismo e l’escrezione dell’acido urico, il farmaco va somministrato con cautela. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Interazioni La nicergolina può potenziare l’effetto dei farmaci antiipertensivi. Gravidanza e allattamento Benché negli studi tossicologici la nicergolina non abbia dimostrato alcuna attività teratogena, nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del Medico. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine. Effetti indesiderati In rari casi sono stati rilevati effetti collaterali clinicamente non gravi, quali ipotensione e vertigini, disturbi gastrici, senso di calore, rossore cutaneo, sonnolenza, insonnia. Sovradosaggio Non sono stati descritti in letteratura casi di sovradosaggio. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La nicergolina ha dimostrato di migliorare le condizioni metabolico-emodinamiche del distretto cerebrale. La nicergolina è dotata inoltre di attività antiaggregante piastrinica e svolge favorevoli effetti emoreologici. Proprietà farmacocinetiche Quando somministrata per via orale la nicergolina è rapidamente assorbita. L’eliminazione, sotto forma di metaboliti, avviene principalmente per via urinaria e solo in minima quantità con le feci. Dati preclinici di sicurezza Le prove tossicologiche in varie specie animali hanno dimostrato che la nicergolina risulta dotata di ottima tollerabilità (DL50 per os: 726 mg/kg nel topo, 2872 mg/kg nel ratto). La nicergolina inoltre è priva di tossicità embriofetale e di effetto teratogeno. Incompatibilità Non sono stati evidenziati casi di incompatibilità. NIMODIPINA Indicazioni terapeutiche Prevenzione e terapia di deficit neurologici ischemici anche correlati a vasospasmo cerebrale. Posologia e modo di somministrazione Salvo diversa prescrizione medica, la dose giornaliera raccomandata è di 30 mg x 3 volte. In caso di gravi alterazioni della funzionalità renale ed epatica, eventuali effetti collaterali, come l’abbassamento della pressione arteriosa, possono essere più pronunciati; in questi casi, se necessario, la dose dovrebbe essere ridotta. Nella profilassi e nel trattamento dei deficit neurologici ischemici conseguenti a vasospasmo cerebrale indotto da emorragia subaracnoidea, terminata la terapia parenterale, si raccomanda di proseguire la somministrazione di nimodipina per via orale per circa 7 giorni. Va assunto lontano dai pasti. L’intervallo tra le singole somministrazioni non dovrebbe essere inferiore alle 4 ore. Controindicazioni Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento e nei casi di ipersensibilità individuale accertata verso il medicamento. Il farmaco non deve, inoltre, essere somministrato a pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa (ad esempio cirrosi epatica). Una precedente terapia cronica con fenobarbital, fenitoina o carbamazepina riduce in maniera marcata la biodisponibilità della nimodipina somministrata per os. Pertanto, la terapia concomitante con questi farmaci e nimodipina per via orale non è raccomandata. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In pazienti molto anziani affetti da più patologie, in pazienti con funzionalità cardiovascolare o renale gravemente compromessa (filtrazione glomerulare < 20 ml/min), la necessità di un trattamento dovrebbe essere considerata con cautela ed il paziente regolarmente controllato. Deve essere utilizzato con cautela nei pazienti gravemente ipotesi (pressione arteriosa sistolica < 100 mmHg). Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini. Interazioni In pazienti ipertesi sotto trattamento con preparati antiipertensivi, può diminuire i valori pressori. Per questo motivo, all’inizio della terapia, il medico curante dovrebbe decidere in merito ad un eventuale aggiustamento della terapia antiipertensiva concomitante. La somministrazione contemporanea di cimetidina o acido valproico può condurre ad un aumento della concentrazione plasmatica di nimodipina. Non sono attualmente disponibili dati relativi all’impiego contemporaneo di nimodipina e neurolettici od antidepressivi. Esperienze con il calcio-antagonista nifedipina lasciano ritenere che la rifampicina acceleri il metabolismo della nifedipina attraverso un processo di induzione enzimatica. Non deve quindi essere usato contemporaneamente a rifampicina, in quanto l’associazione potrebbe comportare un mancato raggiungimento dei livelli plasmatici terapeutici di nimodipina. Il succo di pompelmo inibisce il metabolismo ossidativo delle diidropiridine. L’assunzione contemporanea di succo di pompelmo e nimodipina non è quindi raccomandata, perché può aumentare la concentrazione plasmatica di quest’ultima. In uno studio sulla scimmia la simultanea somministrazione endovenosa del farmaco anti-HIV zidovudina e di nimodipina in bolo ha indotto un incremento significativo della AUC per la zidovudina con una significativa riduzione del suo volume di distribuzione e della clearance. Gravidanza ed allattamento Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine In linea di principio la capacità di guidare e di impiego di macchinari può essere compromessa in relazione alla possibile comparsa di vertigini. Effetti indesiderati Prevalentemente all’inizio del trattamento, si possono verificare le seguenti manifestazioni concomitanti: cefalea, disturbi gastrointestinali, nausea, vertigini, astenia, arrossamento cutaneo, edema periferico, senso di calore; tachicardia ed ipotensione (specialmente qualora i valori pressori iniziali risultino elevati); quest’ultima condizione dovrebbe essere tenuta presente da parte del medico curante in relazione alle terapie concomitanti. In pochi pazienti possono comparire sintomi di iperattività del sistema nervoso centrale, quali insonnia, aumento dell’agitazione motoria, eccitazione, aggressività, sudorazione. In casi isolati possono comparire ipercinesia, depressione, trombocitopenia. In pochi casi, in pazienti trattati in seguito ad emorragia subaracnoidea, si è verificato ileo paralitico. In rari casi si possono verificare, durante il trattamento di pazienti con pronta risposta terapeutica, dolori in sede toracica. Sovradosaggio Sintomi da intossicazione che devono essere considerati a seguito di sovradosaggio acuto sono: arrossamento del viso, cefalea; marcata ipotensione, tachicardia o bradicardia; disturbi gastrointestinali e nausea. Trattamento: sospendere immediatamente la somministrazione del farmaco. Quale misura di emergenza potrebbe essere considerata la lavanda gastrica con aggiunta di carbone vegetale. In caso di ipotensione grave dovrebbe essere somministrata dopamina o noradrenalina per via endovenosa. Diversamente la terapia deve essere diretta ad eliminare i sintomi principali, in quanto non si conosce alcun antidoto specifico. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La nimodipina protegge i neuroni e stabilizza la loro funzione, promuove il flusso ematico cerebrale ed aumenta la tolleranza all’ischemia attraverso interazioni con i recettori neuronali e cerebrovascolari legati ai canali del calcio. Altri studi hanno dimostrato che ciò non conduce a fenomeni di furto. È stato dimostrato clinicamente che la nimodipina migliora i disturbi della memoria e della concentrazione nei pazienti con funzione cerebrale compromessa. Altri tipici sintomi vengono anche favorevolmente influenzati come è stato dimostrato mediante la valutazione dell’impressione clinica globale, la valutazione dei disturbi individuali, l’osservazione del comportamento e le prove psicometriche. Proprietà farmacocinetiche Il principio attivo nimodipina, somministrato per via orale, è praticamente assorbito in modo completo. La sostanza attiva immodificata ed i suoi primi metaboliti, dopo il primo passaggio, sono rilevati nel plasma già 10-15 minuti dopo l’assunzione della compressa. A seguito di somministrazione di dosi orali multiple (3 x 30 mg/die), le concentrazioni plasmatiche di picco (Cmax) risultano nell’anziano pari a 7,3-43,2 ng/ml e vengono raggiunte dopo 0,6-1,6 h (tmax). Singole dosi di 30 mg e 60 mg in soggetti giovani raggiungono rispettivamente delle concentrazioni plasmatiche di picco medie pari a 16 ± 8 ng/ml e 31 ± 12 ng/ml. La concentrazione plasmatica di picco e l’area sotto la curva della concentrazione/tempo aumentano proporzionalmente alla dose fino alla massima dose studiata (90 mg). Concentrazioni plasmatiche medie allo stato stazionario di 17,6-26,6 ng/ml, si raggiungono dopo infusione e.v. continua di 0,03 ng/kg/h. Dopo bolo e.v. le concentrazioni plasmatiche di nimodipina declinano in maniera bifasica con emivita di 5-10 minuti e circa 60 minuti. Il volume di distribuzione calcolato (Vss nel modello a due compartimenti) per la somministrazione e.v. risulta di 0,9-1,6 l/kg di peso corporeo. La clearance sistemica totale è di 0,6-1,9 l/h/kg. La nimodipina si lega alle proteine plasmatiche per il 97-99%. Nell’animale da esperimento trattato con nimodipina marcata 14 C la radioattività supera la barriera placentare. È verosimile una distribuzione analoga anche nella donna per quanto manchino evidenze sperimentali in questo senso. Nel ratto, la nimodipina e/o i suoi metaboliti compaiono nel latte ad una concentrazione molto più alta che nel plasma materno. Nella donna, il farmaco immodificato compare nel latte a concentrazioni dello stesso ordine di grandezza che nel plasma materno. Dopo somministrazione orale ed endovenosa la nimodipina può essere dosata nel fluido cerebrospinale a concentrazioni pari a circa lo 0,5% di quelle rilevate nel plasma. Queste corrispondono circa alle concentrazioni di principio attivo libero nel plasma. Il metabolismo della nimodipina avviene principalmente mediante deidrogenazione dell’anello diidropiridinico e rottura ossidativa dell’estere, la quale rappresenta con l’idrossilazione dei gruppi metilici 2 e 6 e la glucuronidazione, le ulteriori importanti tappe metaboliche. I tre metaboliti primari che compaiono nel plasma possiedono un’attività residua terapeuticamente non significativa o nulla. Sono sconosciuti gli effetti di induzione ed inibizione sugli enzimi epatici. Nell’uomo i metaboliti vengono escreti per circa il 50% attraverso l’emuntorio renale, e per il 30% con la bile. Le cinetiche di eliminazione sono lineari. L’emivita della nimodipina si colloca tra 1,1 e 1,7 ore. L’emivita terminale di 5-10 ore non è rilevante al fine di stabilire l’intervallo tra i dosaggi. A seguito del rilevante metabolismo di primo passaggio (circa 85-95%), la biodisponibilità assoluta risulta del 5-15%. Dati preclinici di sicurezza La nimodipina è un calcio antagonista appartenente al gruppo delle 1,4-diidropiridine. Grazie alla sua elevata lipofilia la nimodipina supera facilmente la barriera encefalica. Negli studi sull’animale la nimodipina si lega con elevata affinità e selettività ai canali del Ca++ di tipo L bloccando, in questo modo, l’afflusso intracellulare del calcio attraverso la membrana. Negli stati patologici associati ad un aumento dell’afflusso intracitoplasmatico del calcio nelle cellule nervose, ad esempio in corso di ischemia cerebrale, si ritiene che la nimodipina migliori la stabilità e la capacità funzionale di questi elementi cellulari. Il blocco selettivo dei canali del calcio in alcune aree encefaliche, come l’ippocampo e la corteccia, può forse spiegare l’effetto positivo della nimodipina sull’apprendimento e sui deficit mnemonici osservati in diversi modelli animali. Lo stesso meccanismo molecolare è probabilmente alla base dell’effetto vasodilatatorio a livello cerebrale e di promozione del flusso ematico della nimodipina osservato negli animali e nell’uomo. I sintomi di avvelenamento acuto dopo somministrazione orale sono stati osservati soltanto nel topo e nel ratto e sono rappresentati da lieve cianosi, grave riduzione della motilità e dispnea. Dopo somministrazione e.v., questi segni di avvelenamento associati a convulsioni tonico-cloniche, sono stati osservati in tutte le specie studiate. Gli studi condotti nel cane alla dose orale di 10 mg/kg per un periodo di 13 settimane, hanno indotto calo del peso corporeo, diminuzione di ematocrito, emoglobina ed eritrociti; incremento della frequenza cardiaca ed alterazioni della pressione arteriosa. La tollerabilità sistemica della nimodipina è stata studiata nel cane in uno studio della durata di un anno con dosaggi fino a 6,25 mg/kg/die. Dosi fino a 2,5 mg/kg sono state ben tollerate; 6,25 mg/kg hanno indotto delle modeste anche se transitorie alterazioni elettrocardiografiche come risultato di modificazioni del flusso ematico miocardico senza la comparsa di modificazioni istopatologiche a carico del cuore o di altri organi. Dosaggi orali fino a circa 90 mg/kg/die per due anni sono stati ben tollerati dal topo. Tossicologia della riproduzione Dosaggi fino a 30 mg/kg/die non hanno modificato la fertilità del ratto maschio e femmina né quella delle successive generazioni. La somministrazione di 10 mg/kg/die a ratte gravide non ha messo in evidenza effetti dannosi mentre dosaggi di 30 mg/kg/die e più hanno inibito la crescita inducendo un ridotto peso fetale e, a 100 mg/kg/die, hanno indotto un incremento delle morti embrionali intrauterine. Gli studi di embriotossicità condotti nel coniglio con dosaggi orali fino a 10 mg/kg/die non hanno messo in evidenza alcun effetto teratogeno od embriotossico. Al fine di valutare lo sviluppo perinatale e post-natale sono stati condotti degli studi nel ratto con dosi fino a 30 mg/kg/die. In uno studio con 10 mg/kg/die e più si è osservato un incremento sia della mortalità perinatale che post-natale ed un ritardato sviluppo fisico. Tali risultati non sono stati confermati in studi successivi. Non sono disponibili dati nella donna sull’uso in corso di gravidanza ed allattamento. In uno studio a vita sul ratto trattato per 2 anni con dosaggi fino 1800 parti per milione (circa 90 mg/kg/die) nel mangime non si è evidenziato alcun potenziale oncogenico. Analoghi risultati sono stati ottenuti nel topo trattato per 21 mesi in uno studio a lungo termine con 500 mg/kg/die per os. La nimodipina è stata validata in numerosi studi di mutagenesi che non hanno messo in evidenza effetti mutageni di rilievo di induzione genica e di mutazioni cromosomiche. Incompatibilità Nessuna nota. N E O S A P P E N D I C E I 147 N E O S A P P E N D I C E I 148 PENTOSSIFILLINA Indicazioni terapeutiche Disturbi dell’irrorazione periferica su base aterosclerotica (claudicatio intermittens, dolori a riposo), diabetica (angiopatia diabetica) e flogistica (endoangioite obliterante). Disturbi trofici (sindrome post-trombotica, ulcus cruris, gangrena e congelamenti) ed angioneuropatie (acrocianosi e morbo di Raynaud). Sequele da alterata irrorazione cerebrale, oculare ed auricolare. Posologia e modo di somministrazione In genere la posologia è di 600-1200 mg/die. Le compresse vanno ingerite dopo i pasti e senza masticare. La somministrazione regolare ed il trattamento protratto sono determinanti per il successo terapeutico. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il prodotto. Infarto miocardico recente. Emorragie gravi. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso La posologia va opportunamente adeguata nei pazienti ipotesi o con labilità circolatoria ed in caso di compromissione della funzionalità renale (ad esempio: con clearance delle creatinina < 10 ml/minuto la posologia va ridotta del 50-70%). Se durante il trattamento si manifesta emorragia della retina, la somministrazione va sospesa. Interazioni In corso di trattamento è necessario adeguare la posologia degli eventuali farmaci antiipertensivi somministrati contemporaneamente allo scopo di evitare sinergismo d’azione. Nei diabetici è opportuno tenere presente la possibilità, sebbene rara, di ridurre il fabbisogno insulinico o la posologia degli ipoglicemizzanti orali durante la terapia. Gravidanza e allattamento Sebbene in esperimenti su animali non sia stata evidenziata alcuna indicazione di possibili effetti teratogeni del preparato, tuttavia, come per tutti i farmaci, si raccomanda di non usare durante la gravidanza. Nelle donne in età fertile un’eventuale gravidanza deve essere sempre esclusa prima dell’inizio del trattamento e durante il trattamento stesso deve essere assicurata un’efficace copertura anticoncezionale. Nelle pazienti che allattano occorre decidere se rinunciare a nutrire al seno il lattante ed iniziare il trattamento o, viceversa, proseguire l’allattamento evitando la somministrazione del medicinale. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Non sono state segnalate interferenze sulla capacità di guidare veicoli e usare macchinari. Effetti indesiderati Possono manifestarsi disturbi gastroenterici (oppressione gastrica, nausea, vomito, diarrea), cefalea o vertigini che in genere scompaiono con la riduzione della posologia; in singoli casi, tuttavia, potrebbe rendersi necessario sospendere il trattamento. Eccezionalmente sono state osservate reazioni di ipersensibilità, quali manifestazioni cutanee (prurito, esantema, orticaria) od edema angioneurotico, comunque rapidamente reversibili con la sospensione del trattamento. Molto raramente e soprattutto dopo dosi elevate di pentossifillina, sono stati segnalati flush cutaneo, tachicardia, angina pectoris ed ipotensione, che hanno richiesto la riduzione della posologia o la sospensione del trattamento. Pur non essendo stato dimostrato un rapporto causale con l’impiego della pentossifillina, sono stati segnalati casi molto rari di emorragia (cutanea o delle mucose) in pazienti trattati con la specialità con e senza anticoagulanti od antiaggreganti piastrinici. Sono stati segnalati anche rari casi di trombocitopenia. Sovradosaggio In caso di intossicazione possono comparire vampate di calore, perdita di coscienza, vomito a tipo fondo di caffè, areflessia e convulsioni tonico-cloniche. Oltre a misure generali per il trattamento dell’intossicazione deve essere dedicata particolare attenzione al controllo dei valori pressori. In caso di forte diminuzione della pressione arteriosa occorre infondere plasma-expander (attenzione ai segni di edema). Tenere libere le vie respiratorie. Diazepam in caso di convulsioni. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La pentossifillina è caratterizzata dalla capacità di modificare le proprietà reologiche del sangue; normalizza infatti le condizioni di perfusione riducendo la viscosità ematica e ripristinando la dinamica degli scambi metabolici a livello della microcircolazione. La sua azione si esplica mediante l’aumento della flessibilità dei globuli rossi, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica, il miglioramento dell’attività fibrinolitica e l’inibizione dell’attivazione leucocitaria. Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione giornaliera di 2 compresse da 600 mg si sono osservati livelli ematici, allo steady-state, di 65 ng/ml per la pentossifillina e di 239 ng/ml per il metabolita M1. Il metabolita M1, [1-(5-idrossiesil)-3,7 dimetilxantina] è terapeuticamente attivo ed ha profilo d’azione sovrapponibile a quello della pentossifillina; il suo picco ematico supera di oltre 2,5 volte quello della molecola immodificata. I livelli ematici di pentossifillina e del metabolita attivo M1 sono risultati terapeuticamente attivi per 8-12 ore. La somministrazione di più compresse nell’arco della giornata, non determina accumulo tissutale del farmaco, poiché l’eliminazione renale dei metaboliti pentossifillinici aumenta proporzionalmente alla dose somministrata. Dati preclinici di sicurezza La DL50 (mg/kg) della pentossifillina per os è di 1.385 nel topo, di 1.772 nel ratto e superiore a 320 nel cane. I controlli ematochimici, effettuati dopo trattamento protratto per 1 anno con dosi di 100,320 e 1000 mg/kg/die nel ratto e di 100,320 e 400 mg/kg/die nel cane, non dimostrano alcuna deviazione dalla norma. Solo con le dosi più alte (320 e 400 mg/kg/die) nel cane si osservano alterazioni del comportamento (incoordinazione, salivazione e modificazione del temperamento). Incompatibilità Non sono note incompatibilità chimico-fisiche. PIRACETAM Indicazioni terapeutiche Sindromi mentali da insufficienza cerebrale; disturbi del rendimento mentale dell’anziano. A dosaggi più elevati: sindrome psicoorganica senile; trattamento dei disturbi da disassuefazione degli alcoolisti. Posologia e modo di somministrazione 2400 - 6000 mg al di per os o per via endovenosa. In caso di grave compromissione cerebrale il dosaggio può essere raddoppiato. Per la elevata biodisponibilità della sostanza gli effetti terapeutici del piracetam somministrato per via orale e per via parenterale sono sovrapponibili. Per tale motivo, nei pazienti in terapia protratta e con eventuali problemi di somministrazione endovenosa, può essere consigliata l’assunzione per via orale. La durata e la posologia devono comunque essere adattate dal medico curante a seconda dei casi. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In presenza di insufficienza renale il prodotto va somministrato con cautela a dosaggi ridotti. Interazioni Non sono note interazioni con altri farmaci di comune impiego. Gravidanza e allattamento Il prodotto non è controindicato durante la gravidanza e l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Il piracetam non interferisce sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine. Effetti indesiderati In taluni rari casi nei quali si dovesse osservare un eccesso di reattività del paziente all’azione del prodotto, sarà sufficiente una riduzione della posologia. Sovradosaggio Non sono noti casi di sovradosaggio. Nel dubbio si consiglia la sospensione del trattamento. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Piracetam è un farmaco ad azione elettiva a livello telencefalico. Esso agisce sulle cellule nervose determinando importanti modificazioni metaboliche, soprattutto a livello dell’acido adenosintrifosforico i cui tassi di produzione e di utilizzazione risultano considerevolmente aumentati per azione del farmaco. Tale aumento porta ad un migliorato metabolismo cerebrale nel suo complesso (sintesi dei fosfolipidi, delle proteine, ecc.) con conseguente miglioramento delle condizioni circolatorie e di ossigenazione locali. L’attività di Piracetam è stata saggiata con successo nel bambino in età scolare nel trattamento di varie situazioni comportamentali alterate in grado di influenzare il comportamento scolastico. Proprietà farmacocinetiche Il piracetam è rapidamente assorbito per via orale con picco ematico dopo 1 ora circa dalla somministrazione. Il piracetam è eliminato in forma non metabolizzata specialmente per via urinaria. Soltanto l’1-2% si ritrova nelle feci. Il tempo di emivita nell’uomo è di 4 ore e 30 minuti. Dati preclinici di sicurezza Le prove cliniche non hanno potuto mettere in evidenza effetti tossici anche a posologie elevate. DL50 per os è > 10 g/kg in diverse specie animali. Tossicità cronica: molti g/kg/die somministrati per os per molti mesi sono privi di effetti tossici in diverse specie animali. Incompatibilità Non sono state evidenziate fino ad oggi incompatibilità fisico-chimiche con altri farmaci. SULFINPIRAZONE Indicazioni terapeutiche Stati tromboembolici legati ad un alterato comportamento dei parametri piastrinici che danno luogo al trombosi venosa ricorrente, tromboembolia nei pazienti portatori di protesi cardiache o vascolari, trombosi a livello degli shunts artero-venosi, trombosi coronarica (infarto miocardico), trombosi cerebrale. Posologia e modo di somministrazione In genere sono sufficienti 600-800 mg di sulfinpirazone suddivisi, a giudizio del Medico nelle 24 ore. In caso di infarto miocardico, il trattamento non dovrebbe essere iniziato prima di 2 settimane dall’evento acuto. Si dovrebbe iniziare con un dosaggio di 200 mg al giorno da aumentare gradualmente a 800 mg al giorno (dosaggio di mantenimento) nel corso di una settimana. Dovrebbe essere assunto preferibilmente durante i pasti o con un po’ di latte. È consigliabile mantenere un appropriato apporto di fluidi, specialmente durante i primi giorni di trattamento, e in aggiunta, se necessario, si deve prescrivere un agente alcalinizzante delle urine. Controindicazioni Attacchi acuti di gotta (il trattamento non dovrebbe essere iniziato durante un attacco acuto di gotta). Ulcera gastroduodenale (in atto o anamnestica). Ipersensibilità già nota al sulfinpirazone o ad altri derivati pirazolici (fenilbutazone, ecc.). Il sulfinpirazone è controindicato in pazienti nei quali attacchi di asma, orticaria, o rinite acuta vengono precipitati dall’acido acetilsalicilico o da altri farmaci con attività inibente la sintesi delle prostaglandine. Lesioni parenchimali gravi del fegato o dei reni (anche all’anamnesi). Porfiria. Discrasie ematiche (anche all’anamnesi). Diatesi emorragica (per es. disturbi nella coagulazione del sangue). Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Il trattamento dovrebbe essere iniziato aumentando con cautela il dosaggio in pazienti con gastrite cronica, livelli plasmatici elevati di acido urico e/o nefrolitiasi o coliche renali, in atto o all’anamnesi, in pazienti in trattamento contemporaneo con diuretici, o anche nei casi in cui il trattamento viene ripreso dopo una interruzione. Come in tutti i casi di terapia a lungo termine con uricosurici, i test sulla funzionalità renale dovrebbero essere fatti regolarmente, specialmente se il paziente ha una preesistente insufficienza renale. Dal momento che può causare ritenzione di sali e acqua, è richiesta cautela per quei pazienti con conclamata o latente insufficienza cardiaca. Nei casi in cui si verificano reazioni allergiche della cute, dovrebbe essere sospeso. Come per tutti i derivati del pirazolone, i pazienti dovrebbero essere tenuti sotto stretta sorveglianza medica, e si raccomanda che un esame emocromocitometrico venga fatto regolarmente, interrompendo il trattamento in caso di riduzione degli elementi cellulari ematici. Essendo un potente agente uricosurico, specialmente all’inizio del trattamento, può portare a calcolosi urinaria e a coliche renali; quindi è consigliabile un adeguato apporto di fluidi e l’alcalinizzazione dell’urina con bicarbonato di sodio. Il sulfinpirazone, in soggetti con iperuricemia o gotta, può, specie all’inizio della terapia precipitare un attacco acuto di artrite. Dal momento che il sulfinpirazone può potenziare l’effetto degli anticoagulanti orali, il dosaggio di questi deve essere riaggiustato, in base al tempo di protrombina, quando si incomincia o si interrompe il trattamento. A questo scopo, il tempo di protrombina dovrebbe essere controllato ogni giorno per alcuni giorni. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Interazioni Interazioni farmacocinetiche -Anticoagulanti orali (specialmente i derivati della cumarina come l’acenocumarolo od il warfarin): l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici ritarda il metabolismo degli anticoagulanti e potenzia il loro effetto, e come risultato può aumentare il rischio di emorragia. -Sulfonilurea (per es. tolbutamide): lo spiazzamento della sulfonilurea dai legami con le proteine plasmatiche, come l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici, ritarda il loro metabolismo, prolungando così le loro concentrazioni plasmatiche, con il risultato che il loro effetto ipocalcemico può essere potenziato. -Antidiabetici orali: intensifica l’azione degli antidiabetici orali. Tale possibilità va tenuta presente in modo da adattare la posologia alle necessità del paziente (sulla base dei controlli della glicemia). -Sulfonamidi: lo spiazzamento delle sulfonamidi dai loro legami con le proteine plasmatiche può portare ad un aumento delle loro concentrazioni plasmatiche. -Penicilline (per es. penicillina G): l’inibizione della secrezione tubulare può aumentare le concentrazioni plasmatiche delle penicilline. -Teofillina: l’attivazione degli enzimi microsomiali epatici e la conseguente accelerazione del metabolismo, diminuisce la concentrazione plasmatica della teofillina. -Fenitoina: lo spiazzamento della fenitoina dai legami con le proteine plasmatiche e l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici rallenta il metabolismo della fenitoina, prolungando così la sua emivita aumentandone la concentrazione plasmatica. Interazioni farmacodinamiche -Salicilati: a causa dell’antagonismo tra salicilati e sulfinpirazone, l’effetto uricosurico di quest’ultimo è diminuito; questa diminuzione può portare a ritenzione di acido urico e ad esacerbazione della gotta. Il sulfinpirazone può anche inibire la secrezione tubulare dei salicilati, e di conseguenza la loro concentrazione nel plasma può aumentare. -Sostanze che agiscono sull’emostasi: tali sostanze, per es. farmaci antireumatici non steroidei, possono esercitare un effetto sinergico sul sistema di coagulazione del sangue e così aumentare il rischio di emorragia. N E O S A P P E N D I C E I 149 N E O S A P P E N D I C E I 150 Gravidanza ed allattamento L’esperienza finora acquisita con l’uso dell’Enturen in gravidanza non è sufficiente a garantire la sicurezza d’impiego. L’uso dovrebbe quindi essere evitato durante la gravidanza salvo i casi in cui non esista una alternativa più sicura. Non è noto se il principio attivo e/o i suoi metaboliti passino nel latte materno. Per ragioni di sicurezza le madri che allattano dovrebbero evitare di assumere il farmaco. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Nessuno noto. Effetti indesiderati Tratto gastrointestinale: frequentemente disturbi lievi e transitori del tratto gastrointestinale, come nausea, vomito, diarrea, dolore epigastrico; in casi isolati sanguinamento gastrointestinale e ulcere. Apparato urogenitale: raramente insufficienza renale acuta (per lo più reversibile), specialmente in caso di dosaggi iniziali alti; in casi isolati ritenzione idrosalina. Cute: raramente reazioni allergiche (per es. esantema da farmaco, orticaria, eruzioni cutanee, che impongono l’interruzione del trattamento). Sangue: in casi isolati leucopenia, anemia, trombocitopenia, agranulocitosi, anemia aplastica. Fegato : in casi isolati: disfunzione epatica (incremento delle transaminasi e della fosfatasi alcalina), ittero ed epatite. Sovradosaggio Non esiste un antidoto specifico. Sintomi: nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, ipotensione, aritmie cardiache, iperventilazione, disordini respiratori, riduzione dello stato di coscienza, coma, attacchi epilettici, oliguria o anuria, insufficienza renale acuta, coliche renali, ittero. Trattamento: rimozione e/o inattivazione del farmaco: induzione di vomito e/o lavanda gastrica; carbone attivo; catartico salino, se si pensa che sia il caso. Una diuresi forzata non è di alcuna utilità. Trattamento della sintomatologia specifica -Prestare attenzione alle funzioni vitali del paziente (livello di coscienza, funzionalità cardiovascolare, respiratoria, epatica e renale); se necessario fornire misure di supporto. -Per combattere l’insufficienza respiratoria: intubazione endotracheale e ventilazione artificiale. -Per combattere l’acidosi metabolica: bicarbonato di sodio in dosi appropriate. -In caso di insufficienza renale prolungata: emodialisi. -Nel caso di colica renale acuta dovuta ad escrezione elevata di acido urico o di cristallizzazione di urati intraluminale nei tubuli distali e nei dotti collettori, la solubilità dell’acido urico può essere migliorata alcalinizzando l’urina (fino ad un pH 7 o superiore) somministrando bicarbonato di sodio e/o un inibitore dell’anidrasi carbonica come l’acetazolamide, e somministrando fluidi e un potente diuretico, per es. furosemide o mannitolo, per aumentare il volume delle urine. -Per rimuovere il sulfinpirazone assorbito e i suoi metaboliti, si può ricorrere all’emoperfusione, anche se non sono ancora disponibili dati sulla sua efficacia. -Tenere presente la possibilità di emorragia gastrointestinale; prendere appropriate misure per una precoce diagnosi di tali emorragie, in modo da poter fornire adeguato trattamento se ce ne fosse la necessità. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il sulfinpirazone inibisce il riassorbimento tubulare dell’acido urico, la cui escrezione renale viene quindi aumentata. L’effetto uricosurico del sulfinpirazone, somministrato per via orale si prolunga fino a 10 ore. Non possiede significative proprietà antinfiammatorie o analgesiche. Il sulfinpirazone influenza le interazioni fra le piastrine del sangue ed i vasi sanguigni in diversi modi: riduce l’adesività e l’aggregazione delle piastrine in vari modelli in vivo, ex vivo, e in vitro ed inibisce la reazione di rilascio delle piastrine in certe malattie vascolari (per es. arteriosclerosi). Probabilmente è importante in questo contesto la capacità del sulfinpirazone di interferire con la sintesi delle prostaglandine da parte delle piastrine. Nell’uomo, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica permane oltre il periodo di circolazione del sulfinpirazone nel plasma; questa attività prolungata può essere ascritta al metabolita del sulfinpirazone escreto lentamente. In certe malattie vascolari e difetti reumatici delle valvole cardiache (stenosi mitralica) il sulfinpirazone allunga, riportandolo alla normalità, il tempo di sopravvivenza delle piastrine. Proprietà farmacocinetiche Dopo la somministrazione orale, la sostanza attiva è assorbita rapidamente e quasi completamente (> 85%). In seguito ad una singola dose orale di 400 mg di sulfinpirazone, dopo 12 ore si verificano dei picchi plasmatici di 26-42 mg/ml. Il sulfinpirazone ha un’emivita di 2-4 ore. In seguito a somministrazioni ripetute di sulfinpirazone, a dosi di 400 mg 2 volte al giorno per 23 giorni, si è osservata una significativa diminuzione dei valori AUC e un aumento della clearance del farmaco a paragone di valori osservati dopo una dose singola. Dopo una dose multipla di 400 mg 2 volte al giorno, la concentrazione media dello stato stazionario del sulfinpirazone è di 5,1 mg/ml, che corrisponde solo alla metà del valore calcolato dopo una dose singola (9,6 mg/ml). La ragione di questo sta in un aumento della clearance totale causata dal fatto che il farmaco induce il suo proprio metabolismo. Il sulfinpirazone è metabolizzato per riduzione a solfuro e per ossidazione a solfone e a composti ossidrilati. Il metabolita solfuro inibisce l’aggregazione delle piastrine in vitro circa 12 volte più efficacemente dello stesso sulfinpirazone. A paragone col sulfinpirazone, le concentrazioni del metabolita solfuro sono basse. I picchi delle concentrazioni di solfuro sono raggiunti dopo circa 19 ore dalla somministrazione di una singola dose di sulfinpirazone, e l’emivita di eliminazione del metabolita solfuro dal plasma ammonta a più di 12 ore. Il sulfinpirazone induce il metabolismo degli enzimi microsomiali del fegato. Il volume di distribuzione del sulfinpirazone dopo somministrazione orale è di 20 ± 5,7 litri o 0,35 litri/kg. Il sulfinpirazone viene legato alle proteine plasmatiche fino al 98,8%. La quantità di sulfinpirazone escreto con le urine e le feci è equivalente a circa il 95% della dose assunta. Della porzione escreta nelle urine, circa il 40% è inalterato, il rimanente consiste in metaboliti non coniugati o glicuronizzati. Nei pazienti anziani non avvengono cambiamenti significativi nella farmacocinetica del sulfinpirazone. L’insufficienza renale non porta ad accumulo del sulfinpirazone nel plasma. In pazienti con una clearance di creatinina <10 ml/min, le concentrazioni plasmatiche del sulfinpirazone non differiscono significativamente da quelle dei soggetti sani. Dati preclinici di sicurezza I risultati degli esperimenti sugli animali indicano che non è mutageno, né carcinogeno o teratogeno. Incompatibilità Nessuna nota. SULODEXIDE Indicazioni terapeutiche Ulcere venose croniche. Posologia e modo di somministrazione Orientativamente si consiglia di iniziare la terapia con le fiale e, dopo 15-20 giorni, proseguire con le capsule per 30-40 giorni. Il ciclo terapeutico completo va ripetuto almeno due volte l’anno. A giudizio del medico, la posologia può essere variata in quantità e frequenza. Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti, verso l’eparina e gli eparinoidi. Diatesi e malattie emorragiche. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso non presenta particolari precauzioni d’uso. Comunque, nei casi in cui sia anche in atto un trattamento con anticoagulanti, è consigliabile controllare periodicamente i parametri emocoagulativi. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Interazioni Essendo Sulodexide una molecola eparino-simile può aumentare gli effetti anticoagulanti dell’eparina stessa e degli anticoagulanti orali se somministrato contemporaneamente. Gravidanza e allattamento Per motivi cautelativi, se ne sconsiglia l’uso in gravidanza, anche se gli studi di tossicità fetale non hanno messo in evidenza effetti embrio-feto-tossici. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine non influisce o influisce in modo trascurabile sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. Effetti indesiderati Segnalati occasionalmente: disturbi dell’apparato gastroenterico con nausea, vomito ed epigastralgie, dolore, bruciore ed ematoma in sede di iniezione. Inoltre, in rari casi, si può avere sensibilizzazione con manifestazioni cutanee o in sedi diverse. Sovradosaggio L’incidente emorragico è l’unico effetto ottenibile da un sovradosaggio. In caso di emorragia occorre iniettare, come si usa nelle “emorragie epariniche”, solfato di Protamina all’1% (3 ml i.v. = 30 mg). PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Sulodexide è classificato tra i farmaci antitrombotici eparinici - Codice ATC: B01AB11. Meccanismo d’azione: Numerosi studi clinici condotti somministrando il prodotto per via parenterale ed orale, dimostrano che l’attività antitrombotica del Sulodexide è dovuta all’inibizione dose-dipendente di alcuni fattori coagulativi tra cui, in primo luogo, il fattore X attivato, mentre l’interferenza con la trombina, restando a livelli poco significativi, evita in genere le conseguenze di una azione anticoagulante. L’azione antitrombotica è sostenuta anche dall’inibizione della adesività piastrinica e dall’attivazione del sistema fibrinolitico circolante e di parete. Il Sulodexide, inoltre, normalizza i parametri viscosimetrici che di solito si ritrovano alterati in pazienti con patologie vascolari a rischio trombotico: tale attività si esercita principalmente mediante la riduzione dei valori di fibrinogeno. Il profilo farmacologico sin qui descritto per Sulodexide, è completato dalla normalizzazione dei valori lipidici alterati, ottenuta mediante attivazione della lipoproteinlipasi. Effetti farmacodinamici: studi volti ad evidenziare eventuali altri effetti, oltre a quelli sopra descritti, che sono alla base dell’efficacia terapeutica, hanno permesso di confermare che la somministrazione non mostra effetti anticoagulanti. Proprietà farmacocinetiche Sulodexide presenta un assorbimento attraverso la barriera gastrointestinale dimostrabile in base agli effetti farmacodinamici dopo somministrazione per via orale, intraduodenale, intraileale e rettale nel ratto di Sulodexide marcato con fluoresceina. Sono state dimostrate le correlazioni dose-effetto e dose-tempo nel ratto e nel coniglio previa somministrazione per le vie sopraelencate. La sostanza marcata si accumula inizialmente nelle cellule dell’intestino per poi essere liberata dal polo sierico nel circolo sistemico. La concentrazione della sostanza radioattiva aumenta nel tempo significativamente a livello di cervello, rene, cuore, fegato, polmone, testicolo, plasma. Prove farmacologiche eseguite nell’uomo con somministrazioni i.m. e i.v. hanno dimostrato relazioni lineari dose-effetto. Il metabolismo è risultato principalmente epatico e l’escrezione principalmente urinaria. L’assorbimento dopo somministrazione orale nell’uomo, studiato con il prodotto marcato, ha evidenziato che un primo picco ematico si determina alle 2 ore ed un secondo picco tra la quarta e la sesta ora, dopo di che il farmaco non è più determinabile nel plasma e ricompare verso la dodicesima ora, rimanendo quindi costante fin verso la quarantottesima ora. Questo costante valore ematico riscontrato dopo la dodicesima ora è probabilmente dovuto al lento rilascio del farmaco da parte degli organi di captazione ed in particolare dell’endotelio dei vasi. Escrezione urinaria: utilizzando il prodotto marcato, si è registrata una escrezione urinaria media del 55,23% della radioattività somministrata, nell’arco delle prime 96 ore. Tale eliminazione mostra un picco attorno alle 12 ore, con un valore medio urinario, nell’intervallo 0-24 ore, del 17,6% della dose somministrata; un secondo picco attorno alla 36ma ora, con eliminazione urinaria tra le 24.48 ore del 22% della dose; un terzo picco attorno alla 78ma ora con un’eliminazione di circa il 14,9% nel periodo 48.96 ore. Dopo 96 ore non è più rilevabile la radioattività nei campioni raccolti. Escrezione fecale: la radioattività totale recuperata nelle feci è del 23% nelle prime 48 ore, dopo di che non è più rilevabile la sostanza marcata. b) caratteristiche di particolare interesse per il paziente L’attività terapeutica è stata sempre valutata in pazienti affetti da patologie vascolari con rischio trombotico, sia sul versante arterioso che venoso. Il farmaco ha dimostrato particolare efficacia in pazienti anziani ed in pazienti diabetici. Dati preclinici di sicurezza - Tossicità acuta: somministrato nel topo e nel ratto, non provoca alcuna sintomatologia tossica sino alle dosi di 240 mg/kg per os; la DL50 nel topo è di >9000 mg/kg/os e 1980 mg/kg/i.p.; nel ratto la DL50 è sempre >9000 mg/kg/os e 2385 mg/kg/i.p.. - Tossicità subacuta: somministrato per 21 giorni os alla dose di 10 mg/kg nel cane, non ha dato luogo a fenomeni di intolleranza, a variazioni dei parametri ematochimici ed a modificazioni anatomo-patologiche dei principali organi. - Tossicità cronica: somministrato per os per 180 giorni alla dose di 20 mg/kg nel ratto e nel cane, non ha presentato al termine del trattamento alcuna variazione di rilievo del quadro ematologico, dei parametri urinari e fecali e dei parametri istologici a carico dei principali organi. - Tossicità fetale: alle prove di tossicità fetale nel ratto e nel coniglio (25 mg/kg per os) è risultato privo di effetti embrio-feto-tossici. - Mutagenesi: risulta sprovvisto di attività mutagena nei seguenti test: Ames; sintesi riparativa non programmata di DNA in linfociti umani (UDS); non disgiunzione in Aspergillus; crossing over in Aspergillus; soppressori di metionina in Aspergillus. Incompatibilità Sulodexide, essendo un polisaccaride acido, se somministrato in associazioni estemporanee può reagire complessandosi con tutte le sostanze basiche. Le sostanze in uso comune incompatibili nelle associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di calcio, sali di ammonio quaternario, cloramfenicolo, tetracicline, streptomicina. TICLOPIDINA Indicazioni terapeutiche La ticlopidina è indicata nella prevenzione secondaria di eventi ischemici occlusivi cerebro e cardiovascolari in pazienti a rischio trombotico (arteriopatia obliterante periferica, pregresso infarto del miocardio, pregressi attacchi ischemici transitori ricorrenti, ictus cerebrale ischemico, angina instabile). In pazienti con pregresso infarto miocardico e con pregressi attacchi ischemici transitori l’uso della ticlopidina dovrebbe essere riservato a quei pazienti che non tollerano l’acido acetilsalicilico (ASA) o nei quali l’ASA è risultato inefficace. La ticlopidina è inoltre indicata: nella prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, nella circolazione extra-corporea, nella emodialisi e nella trombosi della vena centrale della retina. Condizioni d’impiego: i Medici sono invitati ad usare il prodotto solo nei casi relativi alla patologia sopra indicata eseguendo i controlli indicati nelle “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso” e rispettando attentamente le controindicazioni. Posologia e modo di somministrazione La posologia consigliata per la terapia a lungo termine è di 1 o 2 compresse al giorno, da assumersi durante i pasti. Controindicazioni Ipersensibilità verso la ticlopidina o verso gli eccipienti. Il farmaco è controindicato nei soggetti che presentino od abbiano presentato leucopenia, piastrinopenia od agranulocitosi. Diatesi emorragiche (pregresse o in atto) ed emopatie che comportano un allungamento del tempo di sanguinamento. Lesioni organiche suscettibili di sanguinamento (ulcere dell’apparato gastrointestinale, varici esofagee, ecc.). Accidenti vascolari cerebrali emorragici in fase acuta. N E O S A P P E N D I C E I 151 N E O S A P P E N D I C E I 152 Epatopatie gravi. In qualche caso è stata segnalata durante il trattamento con ticlopidina, la comparsa di leucopenia od agranulocitosi, talvolta anche ad esito irreversibile; pertanto il farmaco deve essere impiegato solo nei casi in cui esso è insostituibile. Va categoricamente escluso l’impiego della ticlopidina nella prevenzione primaria nei soggetti clinicamente sani. Deve essere evitata l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso È necessario prima di iniziare la terapia ed ogni 15 giorni durante i primi tre mesi di trattamento, effettuare un controllo quindicinale della crasi ematica, con particolare riguardo alla conta dei globuli bianchi e delle piastrine. Prima di un intervento chirurgico di elezione sospendere il trattamento per una settimana (tranne nei casi in cui non sia espressamente richiesta una attività antitrombotica) in considerazione del rischio emorragico indotto dal farmaco: dopo la sospensione della terapia è consigliabile valutare l’eventuale persistenza dell’effetto sull’emostasi (tempo di sanguinamento) prima di procedere all’intervento. In caso di estrazione dentaria, informare il Medico del trattamento in corso. Poiché la ticlopidina induce un allungamento del tempo di sanguinamento, la sua associazione con antinfiammatori non steroidei (ac. acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (eparina, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata. Qualora durante il trattamento insorgano faringite, ulcerazioni della mucosa buccale, angina, febbre, sanguinamenti od ematomi, deve essere immediatamente sospesa l’assunzione del farmaco ed informato il Medico curante; l’eventuale ripresa della terapia è subordinata all’esito di un controllo urgente della crasi ematica e alla valutazione clinica. Tenere fuori dalla portata dei bambini Interazioni L’ associazione con antinfiammatori non steroidei (acido acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (eparina, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata. Deve essere evitata inoltre l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici. Gravidanza ed allattamento È sconsigliato l’uso del prodotto in gravidanza e durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine La sostanza non interferisce sulle capacità di guidare e sull’uso di macchine. Effetti indesiderati Sono stati osservati, in corso di trattamento con ticlopidina: -Manifestazioni emorragiche. -Turbe della crasi ematica: leucopenia, piastrinopenia, agranulocitosi, aplasia midollare (particolarmente gravi nei soggetti anziani). -Disturbi gastrointestinali (nausea, gastralgie, diarrea). -Aumento delle transaminasi e, raramente, ittero colestatico (è pertanto consigliabile eseguire durante il trattamento periodici controlli della funzionalità epatica). -Eruzioni cutanee su base allergica, reversibili con l’interruzione del trattamento. -Vertigini. -Porpora trombotica, trombocitopenica. Sovradosaggio A tutt’oggi non sono stati segnalati casi di sovradosaggio del farmaco. In caso di assunzione accidentale di dosi elevate del prodotto è consigliabile la messa in atto delle misure terapeutiche urgenti indicate per le intossicazioni accidentali. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La ticlopidina appartiene alla classe delle tienopiridine ed è dotata di peculiare attività antitrombotica, in quanto diminuisce l’adesività piastrinica, inibisce l’aggregazione piastrinica (indotta da ADP, collagene, trombina ed endoperossidi), stimola la disaggregazione piastrinica, diminuisce l’iperaggregabilità eritrocitaria indotta da protamina solfato, migliora la capacità degli eritrociti di modificare la propria forma (filtrabilità). Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione di una dose unica di ticlopidina per via orale (250 o 500 mg) la massima concentrazione plasmatica del principio attivo è raggiunta alla 2a ora ed il farmaco viene quasi completamente eliminato dal torrente circolatorio otto ore dopo la somministrazione. Alle dosi terapeutiche l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta dalla ticlopidina diviene significativa dopo 24-48 ore dall’inizio del trattamento; l’effetto massimo viene raggiunto in 5ª - 6ª giornata e scompare 5-6 giorni dopo la sospensione della terapia. La somministrazione nell’animale da esperimento (ratto) di ticlopidina marcata con 14 C per via orale a dosi di 25 mg/kg ha evidenziato che il prodotto viene eliminato per circa il 70% attraverso la via biliare e per il 30% attraverso l’emuntorio renale. Dati preclinici di sicurezza La valutazione della tossicità della ticlopidina è stata eseguita sul ratto e sul topo. Le vie di somministrazione impiegate sono state quella orale e quella endovenosa per il ratto e quella orale e intraperitoneale per il topo. La DL50 nel ratto è stata rispettivamente 1400 ± 220 mg/kg per via orale e 60,6 ± 8,6 mg/kg per via venosa. La DL50 nel topo è risultata rispettivamente 630 ± 87 mg/kg per via orale e 123 ± 37 mg/kg per via intraperitoneale. nio biossido, polietilenglicole 8000. Incompatibilità Non sono note incompatibilità. WARFARIN SODICO Indicazioni terapeutiche Profilassi e terapia dell’embolia polmonare, della trombosi venosa profonda, della tromboembolia arteriosa associata a fibrillazione atriale cronica, a protesi valvolari cardiache meccaniche o biologiche, a trombosi murale intracardiaca, a infarto miocardico acuto. Profilassi del reinfarto. Posologia e modo di somministrazione Dose iniziale La dose deve essere individualizzata secondo la risposta del paziente al farmaco, come indicato dal monitoraggio giornaliero del tempo di protrombina (PT) ed espresso secondo il Rapporto Internazionale Normalizzato (INR). Una dose di carico elevata può aumentare il rischio di emorragia e di altre complicazioni, non offre una protezione più rapida contro la formazione dei trombi e non viene quindi raccomandata. Si raccomandano dosi iniziali basse nei pazienti anziani, debilitati o che possono avere un INR maggiore di quello previsto. Si raccomanda di iniziare la terapia usando dosi da 2.5 a 5 mg al giorno con aggiustamenti del dosaggio basati sulle determinazioni dell’INR. Dose di mantenimento La maggior parte dei pazienti viene mantenuta a dosaggi da 2,5 a 10 mg al giorno con risultati soddisfacenti. La dose individuale e gli intervalli di somministrazione devono essere determinati in base ai valori di INR del paziente. La durata della terapia è individuale; in genere, la terapia anticoagulante deve essere continuata finché è superato il rischio di trombosi ed embolia. A scopo informativo di seguito sono riportati i range terapeutici dell’INR raccomandati per ogni indicazione (vedere anche Nuova Guida alla Terapia con Anticoagulanti Orali della Federazione Centri Sorveglianza Anticoagulanti 1997). Indicazioni Range terapeutici Durata (INR) Trattamento e prevenzione secondaria dell’embolia polmonare: In assenza di rischio tromboembolico persistente 2.3 3.6 mesi In presenza di condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Trattamento e prevenzione secondaria della trombosi venosa profonda: In assenza di rischio tromboembolico persistente 2.3 3.6 mesi In presenzadi condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Prevenzione della trombosi venosa profonda 1.5.2.5 7.10 giorni Per pazienti ad alto rischio, ad esempio in chirurgia ortopedica, come seconda scelta in alternativa all’eparina a basso peso molecolare Tromboembolia arteriosa 3.4.5* indefinita Fibrillazione atriale cronica direcente insorgenza da sottoporre a cardioversione 2.3 almeno 2 sett. prima dopo cardioversione Protesi valvolari: almeno 3 sett. la meccaniche 3.4.5* indefinita biologiche 2.3 3 mesi Trombosi murale intracardiaca 2.3 fino a scomparsa della trombosi Infarto miocardico Prevenzione del rischio tromboembolico 2.3 3 mesi Prevenzione del reinfarto 3.4.5* almeno 3 anni Essendo a disposizione dati limitati, nei pazienti con valvole cardiache biologiche, si raccomanda la terapia con warfarin (INR 2.3) per 12 settimane a partire dall’inserimento della valvola. Una terapia a più lungo termine deve essere presa in considerazione per i pazienti con fattori di rischio aggiuntivi, quali fibrillazione atriale o pregressa tromboembolia . * Salvo diversa indicazione medica, nella maggior parte dei pazienti, sembra che un INR maggiore di 4.0 non dia benefici terapeutici ulteriori e che sia associato ad un rischio di sanguinamento più elevato. In caso di INR maggiore di 5 il paziente deve immediatamente sospendere l’assunzione di warfarin e consultare un medico. Uso in pediatria Non sono disponibili informazioni sufficienti provenienti da studi clinici controllati sull’uso nei bambini. Uso negli anziani Sono raccomandate dosi iniziali basse nei pazienti anziani e/o pazienti debilitati. Dato che intercorre un intervallo di circa 12.18 ore fra la somministrazione della dose iniziale ed il prolungamento terapeutico del tempo di protrombina e un ritardo di 36.72 ore per il raggiungimento dell’effetto anticoagulante globale, in situazioni di emergenza (es. embolia polmonare), somministrare inizialmente insieme eparina sodica . Controindicazioni Ipersensibilità al warfarin o ad ogni altro componente. L’effetto anticoagulante del farmaco è controindicato in qualunque condizione fisica, localizzata o generale, o in qualsiasi circostanza personale per cui il rischio di emorragia possa essere maggiore del beneficio clinico atteso, come nelle seguenti situazioni. Gravidanza: è controindicato nelle donne in gravidanza o che potrebbero iniziare una gravidanza poiché il farmaco attraversa la barriera placentare e può causare emorragie fatali del feto in utero. Sono stati anche riportati casi di malformazioni congenite in bambini le cui madri erano state trattate con warfarin durante la gravidanza (vedere “Gravidanza e Allattamento”). Tendenze emorragiche e discrasie ematiche. Intervento chirurgico recente o previsto al: sistema nervoso centrale, occhio, chirurgia traumatica associata a grandi ferite esposte. Tendenze emorragiche associate ad ulcerazioni attive o sanguinamento in atto da: tratto gastrointestinale, genito-urinario e respiratorio; emorragia cerebrovascolare; aneurisma cerebrale, aneurisma dissecante dell’aorta; pericardite, effusione pericardica; endocarditi batteriche. Minaccia d’aborto, eclampsia e preeclampsia. Strutture di laboratorio inadeguate. Pazienti anziani senza adeguato supporto, alcolismo, psicosi, o altre forme di mancanza di collaborazione da parte del paziente. Puntura lomabare ed altre procedure diagnostiche o terapeutiche che possono causare sanguinamento. Erba di San Giovanni (Hypericum Perforatum): preparazioni a base di Hypericum perforatum non devono essere assunte in contemporanea con warfarin a causa del rischio di decremento dei livelli plasmatici e di diminuzione dell’efficacia terapeutica di warfarin (vedere 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione). Miscellanea: anestesia lombare o regionale maggiore, ipertensione maligna, deficit di proteina C, poliartrite. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso . Poiché il dosaggio deve essere attentamente individualizzato si veda la sezione “Posologia”. I rischi più gravi associati alla terapia anticoagulante con warfarin sodico sono emorragie nei tessuti o organi e, meno frequentemente (0.1%), necrosi e/o cancrena cutanea e di altri tessuti. Il rischio di emorragia è correlato all’intensità e alla durata della terapia anticoagulante. In alcuni casi è stato riportato che emorragia e necrosi hanno provocato la morte o invalidità permanente. La necrosi sembra essere associata a trombosi locale e generalmente appare pochi giorni dopo l’inizio della terapia anticoagulante. In casi di grave necrosi è stata necessaria la rimozione chirurgica o l’amputazione dei tessuti coinvolti, dell’arto, della mammella o del pene. Deve essere effettuata una diagnosi attenta per determinare se la necrosi possa essere causata da una patologia preesistente, non diagnosticata. Se si sospetta che warfarin sia la causa della necrosi, la terapia deve essere interrotta e si può prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Sebbene siano stati provati vari trattamenti per la necrosi, nessuno si è dimostrato uniformemente efficace. Questi ed altri rischi associati alla terapia anticoagulante devono essere valutati rispetto al rischio di trombosi o di embolizzazione in pazienti non trattati. Tenere sempre presente che il trattamento di ciascun paziente è una questione altamente individualizzata. Molti fattori, quali assunzione di altri farmaci e di Vitamina K attraverso la dieta, possono avere un effetto. Il dosaggio deve essere controllato attraverso determinazioni periodiche del tempo di protrombina (PT)/ Rapporto Internazionale Normalizzato (INR) o altri test di coagulazione idonei. La determinazione della coagulazione del sangue intero e del tempo di sanguinamento non sono misure efficaci per il controllo della terapia. L’eparina prolunga il tempo di protrombina. Prestare molta attenzione quando è somministrato a pazienti con fattori di predisposizione che possano aumentare il rischio di emorragia, necrosi e/o cancrena. La terapia anticoagulante può aumentare il rilascio di placche ateromatose emboliche e quindi innalzare il rischio di complicazioni dovute a microembolizzazione colesterinica, compresa la sindrome delle dita porporine. Quando si presentano questi fenomeni, si consiglia di interrompere la terapia. Gli ateroemboli sistemici e i microemboli colesterinici si possono manifestare con una serie di segni e sintomi fra cui: sindrome delle dita porporine, livedo reticularis, rash cutaneo, cancrena, dolore intenso e improvviso alle gambe, ai piedi o alle dita dei piedi; ulcere ai piedi; mialgia, cancrena del pene; dolore addominale, dolore alla schiena o al fianco; ematuria; insufficienza renale; ipertensione; ischemia cerebrale; infarto del midollo spinale; pancreatite; sintomi che simulano poliarterite o ogni altra conseguenza della compromissione vascolare dovuta ad occlusione embolica. Gli organi viscerali più comunemente coinvolti sono i reni, seguiti da pancreas, milza e fegato. Alcuni casi hanno portato fino a necrosi o morte. La sindrome delle dita porporine è una complicazione della terapia anticoagulante orale caratterizzata da un colore scuro, violaceo o chiazzato delle dita dei piedi; generalmente si manifesta 3.10 settimane, o più, dopo l’inizio della terapia con warfarin o composti analoghi. Le caratteristiche primarie di questa sindrome sono: colore violaceo della superficie plantare e laterale delle dita dei piedi, tale colorazione si attenua con una moderata pressione, mentre si intensifica con il sollevamento delle gambe; dolore e sensibilità delle dita; intensificazione e diminuzione della colorazione nel tempo. Benché venga riportato che la sindrome delle dita porporine sia reversibile, ci sono stati casi che hanno portato a cancrena o necrosi, per i quali può essere stato necessario intervenire con asportazione chirurgica delle parti lese o anche con amputazione. Trombocitopeniaeparino-indotta: deve essere usato con cautela nei pazienti con trombocitopenia eparino-indotta e trombosi venosa profonda, in cui si sono verificati casi di ischemia venosa agli arti, necrosi e cancrena, quando il trattamento con eparina è stato interrotto e la terapia con warfarin iniziata o continuata. In alcuni pazienti le conseguenze hanno portato ad amputazione delle parti lese e/o a morte (Warkentin et al, 1997). Un forte innalzamento (>50 secondi) del tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) con un PT/INR nell’intervallo desiderato è stato identificato come un indice di aumentato rischio di emorragia postoperatoria. La decisione di somministrare farmaci anticoagulanti nelle seguenti situazioni deve essere presa valutando il rapporto rischio/beneficio della terapia anticoagulante. Moderata insufficienza epatica o renale. Malattie infettive o disturbi nella flora intestinale: dissenteria, terapia antibiotica. Trauma che può portare ad emorragie interne. Operazioni chirurgiche o traumi risultanti in ampie ferite esposte. Cateteri fissi. Ipertensione grave o moderata. Deficit noto o sospetto di proteina C: deficienze ereditarie o acquisite di proteina C o del suo cofattore, proteina S, sono state associate a necrosi tessutale dopo somministrazione di warfarin. Non tutti i pazienti in queste condizioni sviluppano necrosi, così come si può avere necrosi in pazienti senza questi deficit. La resistenza ereditaria alla proteina C attivata è stata descritta in molti pazienti con disturbi tromboembolici venosi, ma non è stata ancora definita come fattore di rischio per la necrosi tessutale. Il rischio associato a queste condizioni, sia per trombosi ricorrente sia per reazioni avverse, è di difficile valutazione perché non sembra essere lo stesso per tutti. La decisione sulle analisi da effettuarsi e la terapia da intraprendere deve essere presa su base individuale. È stato riportato che una terapia anticoagulante concomitante con eparina per 5.7 giorni, durante l’inizio della terapia, può minimizzare l’incidenza di necrosi tessutale. La terapia con warfarin deve essere sospesa quando c’è un sospetto che possa essere causa di sviluppo di necrosi e si deve prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Miscellanea: policitemia vera, vasculite e diabete grave. Sono state riportate lievi e gravi reazioni allergiche, di ipersensibilità e anafilattoidi. In pazienti con resistenza al warfarin, acquisita o ereditaria, si sono avute risposte diminuite alla terapia. Altri pazienti hanno avuto una risposta terapeutica esagerata. Pazienti con insufficienza cardiaca congestizia possono mostrare un PT/INR maggiore del previsto, quindi sono necessari più frequenti controlli di laboratorio e dosi ridotte. L’uso concomitante di anticoagulanti e streptochinasi o urachinasi non è consigliato e può essere pericoloso. L’erba di San Giovanni (hypericum perforatum) può diminuire l’effetto. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Interazioni È essenziale che vengano effettuati controlli periodici del PT/INR o di altri adeguati test di coagulazione. Numerosi fattori esogeni ed endogeni, da soli o in combinazione, inclusi viaggi, variazioni delladieta, fattori ambientali, stato fisico e assunzione di altri medicinali, possono influenzare la risposta del paziente agli anticoagulanti. Solitamente è buona norma controllare la risposta del paziente con ulteriori determinazioni del PT/INR nel periodo immediatamente successivo alla dimissione dall’ospedale e ogni qualvolta vengano assunti, sospesi o presi irregolarmente altri medicinali. I medicinali possono interagire attraverso meccanismi farmacodinamici o farmacocinetici. I meccanismi farmacodinamici alla base dell’interazioni farmacologiche sono: sinergismo (disordini dell’emostasi, sintesi ridotta dei fattori della coagulazione); antagonismo competitivo (vitamina K); disfunzioni nel controllo fisiologico del metabolismo della vitamina K (resi- N E O S A P P E N D I C E I 153 N E O S A P P E N D I C E I 154 stenza ereditaria). I meccanismi farmacocinetici alla base dell’interazione farmacologiche sono prevalentemente dovuti a induzio e enzimatica, inibizione enzimatica e legame ridotto alle proteine plasmatiche. È importante notare che alcuni farmaci possono interagire con più di un meccanismo. Devono essere tenuti sotto controllo anche i pazienti che assumono medicinali per cui non è stata dimostrata alcuna interazione con i farmaci appartenenti alla famiglia delle cumarine. Pazienti a rischio: è un farmaco con indice terapeutico ristretto, e deve essere usato con cautela in pazienti anziani o debilitati o in ogni condizione o situazione fisica che aumenti il rischio di emorragia. Gravidanza e allattamento È controindicato in gravidanza. In donne esposte a warfarin durante il primo trimestre della gravidanza sono state riportate embriopatie caratterizzate da ipoplasia nasale con o senza epifisi appuntite (crondrodisplasia puntata). Sono state riportate anche anomalie del sistema nervoso centrale fra cui displasia della linea mediana dorsale, caratterizzata da agenesi del corpo calloso; malformazione di Dandy-Walker e atrofia cerebellare della linea mediana. È stata osservata displasia della linea mediana ventrale, caratterizzata da atrofia ottica e anormalità dell’occhio. L’esposizione al warfarin durante il secondo e il terzo trimestre è stata associata a ritardo mentale, cecità, e altre anomalie del sistema nervoso centrale. Anche se raramente, con esposizione in utero al warfarin sono state riportate anomalie delle vie urinarie come monorene, asplenia, anenecefalia, spina bifida, paralisi dei nervi cranici, idrocefalo, difetti cardiaci e malattie cardiache congenite, polidattilia, deformità delle dita dei piedi, ernia diaframmatica, leucoma della cornea, palatoschisi, cheiloschisi, schizoencefalie, microencefalia. È noto che possono verificarsi aborto spontaneo e mortalità fetale, inoltre un più alto rischio di mortalità fetale è associato con l’uso di warfarin. Sono stati anche riportati neonati sottopeso e ritardi nella crescita. Le donne in età fertile, che sono candidate alla terapia anticoagulante, devono essere attentamente esaminate e deve essere effettuata una valutazione ragionevole delle indicazioni insieme alla paziente. Se una paziente inizia una gravidanza mentre sta prendendo questo farmaco, deve essere avvertita del potenziale rischio per il feto e, alla luce di questi rischi, può essere considerata la possibilità di un’interruzione di gravidanza. È presente nel latte materno in forma non attiva. I bambini allattati al seno da madri trattate non hanno avuto cambiamenti nei tempi di protrombina (PT). Gli effetti sui neonati prematuri non sono stati valutati. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Nessuno Effetti indesiderati . Fra i potenziali effetti collaterali si includono: · Emorragia fatale o non fatale in qualsiasi tessuto od organo. Questa è una conseguenza dell’effetto anticoagulante. I segni, i sintomi e la gravità variano in relazione alla posizione, al grado e all’estensione del sanguinamento. Le complicazioni emorragiche si possono presentare come paralisi; parestesia; mal di testa, dolore al petto, all’addome, alle articolazione, dolore muscolare o di altro tipo; vertigini, fiato corto, difficoltà nel respirare o nell’ingoiare; gonfiore insolito; debolezza; ipotensione o shock non spiegabile. Perciò in ogni paziente, in trattamento con anticoagulanti, con un disturbo per cui non ci sia una diagnosi ovvia, bisogna considerare la possibilità di un’emorragia. Il sanguinamento durante terapia anticoagulante non sempre è correlato con i valori di PT/INR (vedere “Sovradosaggio”). Il sanguinamento che avviene quando il PT/INR è all’interno dell’intervallo terapeutico giustifica un’indagine diagnostica, poiché può mascherare una precedente lesione non sospettata, es. tumore, ulcera, ecc. · Necrosi cutanea o di altri tessuti (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni d’uso”). · Effetti collaterali che si sono presentati raramente sono: ipersensibilità / reazioni allergiche, microembolizzazione colesterinica sistemica, sindrome della dita porporine, epatite, danno epatico colestatico, ittero, innalzamento degli enzimi epatici, vasculite, edema, febbre, rash, dermatite, incluse eruzioni bollose, orticaria, dolore addominale inclusi crampi, flatulenza/meteorismo, faticabilità, letargia, malessere, astenia, nausea, vomito, diarrea, dolore, mal di testa, vertigini, alterazione del gusto, prurito, alopecia, intolleranza al freddo e parestesia con sensazione di freddo e brividi. Raramente, in seguito ad uso prolungato, sono stati riportati casi di calcificazione tracheale e tracheobronchiale di cui non è noto il significato clinico. Il priapismo è stato associato all’uso di anticoagulanti, comunque non è stata stabilita una connessione causale. Sovradosaggio Segni e sintomi: sanguinamento anormale sospetto o manifesto (es. presenza di sangue nelle feci o nell’urina, ematuria, flusso mestruale eccessivo, melena, petecchie, predisposizione ai lividi, o sanguinamento persistente da ferite superficiali) è un segno precoce di un’anticoagulazione ad un livello di non soddisfacente sicurezza. Trattamento: l’eccessiva anticoagulazione, con o senza sanguinamento, può essere controllata interrompendo la terapia e, se necessario, somministrando vitamina K1 per via parenterale od orale. Un uso siffatto della vitamina K1 riduce la risposta ad una seguente terapia. In seguito della rapida inversione di un PT/INR elevato, i pazienti possono tornare allo stato trombotico di prima del trattamento. La ripresa della somministrazione inverte l’effetto della vitamina K, e, con attenti aggiustamenti del dosaggio, si può raggiungere nuovamente un PT/INR terapeutico. Se è indicata un’anticoagulazione rapida, per la terapia di inizio può essere preferibile l’eparina. Se un piccolo sanguinamento progredisce verso uno più esteso, somministrare da 5 a 25 mg (raramente fino a 50 mg) di vitamina K1 per via parenterale. In situazioni di emergenza dovute a grave emorragia, i fattori della coagulazioni possono essere riportati ai livelli normali, somministrando da 200 a 500 ml di sangue fresco intero o plasma fresco congelato, oppure somministrando la preparazione commerciale a base del complesso del fattore IX. L’uso di questi emoderivati è associato a rischio di epatite e di altre malattie virali; inoltre il fattore IX è associato a un aumentato rischio di trombosi. Perciò queste preparazione devono essere usate solo in caso di sanguinamento esteso, dovuto ad un sovradosaggio, che metta in pericolo la vita del paziente. Le preparazioni a base di fattore IX purificato non devono essere usate perché non aumentano i livelli di protrombina e dei fattore VII e X, che sono depressi, insieme al fattore IX, come risultato del trattamento. In caso di una cospicua perdita di sangue, si possono somministrare eritrociti ammassati. In pazienti anziani o con malattie cardiache, le trasfusioni di sangue o di plasma devono essere attentamente monitorate per evitare che precipitino un’embolia polmonare. PROPRIETÀ ARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il warfarin sodico è il sale sodico della 3.(- acetonilbenzil)-4. idrossicumarina e appartiene al gruppo degli anticoagulanti indiretti di tipo dicumarolico. Gli anticoagulanti cumarinici agiscono inibendo la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti, che comprendono i Fattori II, VII, IX e X e le proteine anticoagulanti C e S. Le emivite sono: Fattore II 60 ore; Fattore VII 4.6 ore; Fattore IX 24 ore; Fattore X 48.72 ore; Proteina C 8 ore e Proteina S 30 ore. L’effetto risultante in vivo è una depressione sequenziale dell’attività dei Fattore VII, IX, X e II. La vitamina K è un fattore essenziale per la sintesi post-ribosomiale dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti. La vitamina K promuove la biosintesi di residui di acido g-carbossiglutammico, essenziali per l’attività biologica delle proteine. Si pensa che il warfarin interferisca con la sintesi dei fattori della coagulazione inibendo la rigenerazione dell’epossido della vitamina K1. Il grado di depressione dipende dal dosaggio somministrato. Dosi terapeutiche di warfarin diminuiscono la quantità totale della forma attiva di ciascun fattore della coagulazione vitamina K dipendente dal 30 al 50%. L’effetto anticoagulante generalmente appare nelle 24 ore dopo la somministrazione del farmaco, ma l’effetto anticoagulante di picco può presentarsi anche dopo 72.96 ore. La durata di azione di una singola dose di warfarin racemico è di 2.5 giorni. Il farmaco non ha effetto diretto su trombosi stabilizzate, né reverte il danno ischemico; tuttavia, quando si è avuta una trombosi, l’obiettivo del trattamento anticoagulante è di prevenire l’ulteriore estensione e le relative complicanze, che possono portare a conseguenze gravi, anche fatali. Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione orale, l’assorbimento è sostanzialmente completo e si raggiungono le massime concentrazioni plasmatiche entro 1.9 ore. Approssimativamente il 97% si lega all’albumina presente nel plasma. Di solito induce ipoprotrombinemia entro 36.72 ore e la sua durata d’azione può persistere per 4.5 giorni, producendo in tal modo una curva di risposta regolare e di lunga durata. Fino al 92% della dose somministrata per via orale è ritrovata nelle urine, principalmente sotto forma di metaboliti. Dati preclinici di sicurezza DL50 (mg/kg): topo p.o.= 700; i.v.= 160 ratto p.o.= 8,7; i.v.= 25 Incompatibilità Nessuna II. INQUADRAMENTO CLINICO-DIAGNOSTICO DEL TIA (SPREAD 2010) INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CLINICO L’importanza della diagnosi patogenetica di TIA o ictus è strettamente connessa alla possibilità di fare prevenzione secondaria e stabilire la prognosi. La diagnosi integra dati clinici e strumentali. RACCOMANDAZIONE (Grado C) Non è indicato considerare TIA, sulla base della definizione dell’OMS (improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, attribuibile ad insufficiente apporto di sangue, di durata inferiore alle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigini, l’amnesia globale transitoria, i drop attack, l’astenia generalizzata, lo stato confusionale, e l’incontinenza sfinterica quando presenti isolatamente. In base all’evidenza fornita dalle moderne tecniche di neuroimaging è stato proposta una nuova definizione di TIA (AHA, Stroke 2009; 40:2276-2293): “episodio di disfunzione neurologica causato da ischemia focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina senza infarto acuto”. RACCOMANDAZIONE (Grado C) Le diagnosi di TIA e di ictus sono diagnosi cliniche. In entrambi i casi una TC o una RM sono indicate per la diagnosi differenziale con altre patologie che possono mimare il TIA o l’ictus. L’emorragia subaracnoidea spontanea è dovuta nell’85% dei casi a rottura di un aneurisma arterioso. RACCOMANDAZIONE (Grado C) Per una diagnosi differenziale tra ictus ischemico ed ictus emorragico, è indicato effettuare, nel più breve tempo possibile, una TC o una RM dell’encefalo, anche per le implicazioni terapeutiche. La trombosi dei seni può essere causa di infarti cerebrali venosi. La presentazione clinica della trombosi dei seni non è caratteristica e può simulare quella di altre patologie, fra cui l’ictus arterioso. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Il monitoraggio ECG delle 24 ore secondo Holter è indicato solo nei pazienti con TIA o ictus ischemico in cui si sospetti la presenza di aritmie accessuali potenziale causa di cardioembolia o qualora non sia emersa una causa definita di tali eventi. RACCOMANDAZIONE (Grado D) L’ecocardiografia transtoracica è indicata solo in caso di sospetto clinico-anamnestico di malattia cardiaca. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Nel TIA o nell’ictus, in cui si sospetti un’origine cardioembolica, l’ecocardiografia transesofagea è indicata solo nei pazienti <45 anni e qualora non vi siano cause evidenti dell’evento ischemico, o evidenze strumentali di malattia dei vasi cerebrali, o fattori di rischio maggiori. La TC, esame di rapida esecuzione e di costi ridotti, è in grado di identificare la presenza di segni precoci di ischemia, che rispecchiano il territorio di distribuzione dell’arteria interessata dall’occlusione. La TC è inoltre in grado di evidenziare l’eventuale presenza di infarcimento emorragico della lesione ischemica, soprattutto in fase subacuta. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Nei pazienti anche con un solo TIA o ictus in anamnesi, la tomografia computerizzata cerebrale è indicata per documentare la presenza di una o più lesioni, la loro natura ischemica od emorragica, la tipologia, la sede, le dimensioni, e la sede, oltre alla congruità con la sintomatologia clinica. La RM con tecnica DWI è in grado di documentare il danno ischemico recente (“core”) già a distanza di pochi minuti dall’evento ischemico. La RM con tecnica PWI è utile nella valutazione della penombra ischemica. La RM convenzionale si utilizza per il monitoraggio della lesione ischemica, soprattutto nelle fasi subacuta e cronica. La leucoaraiosi non è un reperto specifico, anche se viene più frequentemente osservata in pazienti con fattori di rischio per malattie cerebrovascolari, in particolare l’ipertensione. La RM può evidenziare la presenza di infarti silenti che rappresentano un marker di rischio per ictus. Nei pazienti con pregressi TIA e/o ictus la RM presenta vantaggi rispetto alla TC, soprattutto nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni e localizzate in fossa cranica posteriore. L’angio-RM documenta con sufficiente accuratezza la pervietà o meno dei vasi intra ed extra cranici. L’esame angiografico trova maggiori indicazioni nei pazienti in età pediatrica o giovanile con ischemia cerebrale per la prevalenza in questi casi di una eziologia arteritica intracranica rispetto alla eziologia aterosclerotica epiaortica. Un infarto venoso deve essere sospettato in caso di una lesione ischemica che non ricopra un territorio di distribuzione arteriosa e che eventualmente presenti nel suo contesto materiale ematico, spesso associata a mancanza del classico segnale di vuoto a carico di un seno durale. In tali casi è indicata un’angio-RM venosa. Nei pazienti con pregressa emorragia intraparenchimale l’accumulo di emosiderina rimane un marcatore indelebile allaRM, in grado di documentare l’avvenuto sanguinamento, la sua sede e la sua estensione. Lo studio angiografico nei pazienti con sospetta vasculite intracranica o con sospetta patologia non aterosclerotica di tronchi epiaortici (dissecazione, malformazioni vascolari, varianti anatomiche) sembra consentire una migliore accuratezza diagnostica rispetto alle altre tecniche non invasive. N E O S A P P E N D I C E II RACCOMANDAZIONE (Grado D) L’angiografia del circolo intracranico rappresenta il gold standard per lo studio della patologia aneurismatica cerebrale responsabile di emorragia sub-aracnoidea. È indicata in tutti i pazienti con emorragia sub-aracnoidea candidati a un intervento chirurgico od endovascolare. RACCOMANDAZIONE (Grado D) L’EEG è indicato nei pazienti con presentazione a tipo TIA o ictus, quando si sospetti la natura epilettica del disturbo focale in esame. 155 N E O S A P P E N D I C E II RACCOMANDAZIONE (Grado B) Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei soggetti con TIA o ictus recente per un migliore inquadramento eziopatogenetico. Lo studio di una stenosi carotidea ai fini della valutazione chirurgica o di terapia endovascolare deve essere affidata in prima istanza a metodiche non invasive (ecotomografia carotidea, angio-RM, angio-TC). Lo studio angiografico può essere indicato in caso di discordanza tra i risultati forniti dalle metodiche non invasive, quando esista il sospetto di una prevalente patologia aterosclerotica a carico delle principali arterie intracraniche ed in particolare del circolo vertebro-basilare (esame velocitometrico Doppler transcranico, angio-RM), quando esami angio-RM o angio-TC risultino viziati da artefatti o siano di difficile esecuzione. RACCOMANDAZIONE (Grado B) Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nella valutazione della stenosi carotidea ai fini della scelta terapeutica in senso chirurgico quale indagine conclusiva e quindi sostitutiva dell’angiografia, dopo averne verificato l’accuratezza, eventualmente completata con i dati di altre tecniche non invasive di neuroimmagine (angio-RM; angio-TC). RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti che devono subire un intervento di chirurgia cardiovascolare maggiore quale studio preliminare per la valutazione del rischio di eventi ischemici cerebrali in rapporto alla presenza di stenosi carotidee. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti operati di tromboendoarteriectomia carotidea entro i primi tre mesi dall’intervento, a nove mesi ed in seguito annualmente, per la valutazione della recidiva di stenosi. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici in soggetti asintomatici è indicato: • quando vi sia un reperto di soffio sui vasi epiaortici di genesi non cardiaca; • in soggetti appartenenti a popolazioni con elevata probabilità di stenosi carotidea arteriopatici con claudicatio intermittens, coronaropatici documentati, soggetti di età superiore ai 65 anni con fattori di rischio aterotrombotico multipli). La stenosi arteriosclerotica delle arterie intracraniche è uno dei maggiori fattori di rischio e causali di ictus ischemico, anche nelle popolazioni occidentali. È possibile uno screening ultrasonografico con Doppler transcranico o con eco-color Doppler transcranico di tale condizione con sufficiente accuratezza almeno nella patologia del circolo anteriore. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti con TIA o ictus recente per la documentazione di stenosi dei vasi intracranici, di processi di ricanalizzazione, di circoli collaterali intracranici, della riserva cerebrovascolare e di placche embolizzanti. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti candidati alla endoarteriectomia carotidea per la valutazione preoperatoria ed il monitoraggio intraoperatorio. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con sospetto shunt cardiaco destro-sinistro come sostitutivo dell’ecocardiografia transesofagea per l’identificazione di tale condizione. RACCOMANDAZIONE (Grado B) Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con emorragia subaracnoidea per la valutazione di eventuali fenomeni di vasospasmo. RACCOMANDAZIONE (Grado D) La coronarografia è indicata nei pazienti candidati all’endoarteriectomia carotidea con evidenza clinica o strumentale non invasiva di coronaropatia ad alto rischio. RACCOMANDAZIONE (Grado D) Nei pazienti candidati ad endoarteriectomia carotidea con associata grave coronaropatia è indicato far precedere la rivascolarizzazione coronarica, pur potendo i due interventi anche essere effettuati simultaneamente NOTA - Metodologia delle Evidenze e del grado di raccomandazione seguito dalle Linee Guida SPREAD 2010 Tipo di evidenza disponibile 1++ metanalisi di alta qualità e senza disomogeneità statistica; revisioni sistematiche di RCT ciascuno con limiti fiduciali ristretti, RCT con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta molto piccoli; 1+ metanalisi ben fatte senza disomogeneità statistica o con disomogeneità clinicamente non rilevanti, revisioni sistematiche di RCT, RCT con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli; 2++ revisioni sistematiche di alta qualità di studi caso-controllo o coorte; studi caso-controllo o coorte di alta qualità con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta molto piccoli; 2+ studi caso-controllo o coorte di buona qualità con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli; 3 studi non analitici (case reports, serie di casi) 4 opinione di esperti Forza delle raccomandazioni A almeno una metanalisi, revisione sistematica, o RCT classificato di livello 1++ condotto direttamente sulla popolazione bersaglio; oppure revisione sistematica di RCT o un insieme di evidenze costituito principalmente da studi classificati di livello 1+, consistenti tra loro, e applicabile direttamente alla popolazione bersaglio. B un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2++, coerenti tra loro, e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 1++ o 1+. C un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2+, coerenti tra loro e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 2++ D evidenza di livello 3 o 4; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 2+; oppure evidenza da studi classificati come – (meno), indipendentemente dal livello. Riferimenti bibiografici http://www.spread.it/files/SPREAD_6_2010_sintesi.pdf 156