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NEOS
Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie
nella clinica dei disturbi audio-vestibolari
di natura vascolare
AUGUSTO PIETRO CASANI
GIORGIO GUIDETTI
MARCO MANFRIN
ALDO MESSINA
Titolo dell’opera
NEOS
Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica
dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
AUTORI/EDITORS
Augusto Pietro Casani
Dipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa
Giorgio Guidetti
Servizio di Audio-Vestibologia e Rieducazione Vestibolare, Azienda USL di Modena, Ospedale Ramazzini
di Carpi (MO)
Marco Manfrin
Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica - Dipartimento di Scienze Chirurgiche, RianimatorieRiabilitative e dei Trapianti d’Organo, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo” e Università di Pavia
Aldo Messina
Ambulatorio di Otoneurologia - Unità Operativa di Audiologia, A.U.O. Policlinico “Paolo Giaccone” di
Palermo
CO-AUTORI
Niccolò Cerchiai
Dipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa
Paola Lenzi
Dipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa
Antonio Paparelli
Dipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa
ISBN 978-88-8204-162-5
L’opera è stata resa possibile grazie al contributo non condizionante di ALFAWASSERMANN S.p.A.
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o conservata in
un sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma, o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, per
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© 2011 by MEDISERVE S.r.l.
Milano – Napoli
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www.mediserve.it
SOMMARIO
INTRODUZIONE
La vertigine vascolare: razionale diagnostico e terapeutico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
Giorgio Guidetti
CAPITOLO 1
Anatomia del circolo posteriore e correlazioni con il circolo anteriore . . . . . . . . . . . . . . .
9
Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani
CAPITOLO 2
La barriera emato-labirintica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Marco Manfrin
CAPITOLO 3
Fisiologia del microcircolo e dell’endotelio: una nuova finestra sulla patologia vestibolare. . . . 29
Augusto Pietro Casani
CAPITOLO 4
La semeiotica del deficit labirintico su base vascolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
Marco Manfrin
CAPITOLO 5
La sordità centrale: tra Gestalt e Working Memory . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Aldo Messina
CAPITOLO 6
Il rischio della ototossicità farmacologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
Giorgio Guidetti
CAPITOLO 7
Lo stress ossidativo nel danno cocleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
Giorgio Guidetti
CAPITOLO 8
Le scelte terapeutiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
Giorgio Guidetti
APPENDICE
I. Farmaci Vascolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
II. Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA - SPREAD 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
III
Introduzione
LA VERTIGINE VASCOLARE:
RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
Giorgio Guidetti
VERTIGINI E DISEQUILIBRIO:
UNA SINTOMATOLOGIA ETEROGENEA
La vertigine ed i disturbi dell’equilibrio rappresentano una delle più comuni cause di richiesta di
visita medica. Dopo il dolore, la vertigine acuta è
il sintomo (spesso estremamente invalidante) che
più frequentemente determina l’accesso al
Pronto Soccorso e risulta al terzo posto tra i quadri clinici che richiedono l’intervento del neurologo, dopo la patologia cerebro-vascolare e le
cefalee. Essi costituiscono però anche una delle
cause più frequenti di ripetuto consulto ambulatoriale, soprattutto per le forme cronicizzate.
Varie analisi epidemiologiche dimostrano che
la prima valutazione del paziente vertiginoso
spetta nove volte su dieci al medico di Medicina
Generale e, tra gli specialisti, all’otorinolaringoiatra, rispecchiando la maggior frequenza di “vertigini di tipo labirintico”. Il sintomo vertiginoso viene
infatti riferito in circa il 5% delle prestazioni ambulatoriali di base e nel 15-20% delle consultazioni
specialistiche ORL.
Tuttavia, la varia sintomatologia associata e la
diversa percezione soggettiva del fenomeno vertiginoso chiamano spesso in causa anche altri
specialisti, quali il neurologo, il cardiologo, l’angiologo, l’ortopedico, il fisiatra, lo psicoterapeuta
o lo stomatologo. In questo modo si finisce spes-
so per coinvolgere il paziente in un lungo e
dispendioso iter diagnostico che non sempre
porta in tempi accettabili alla giusta diagnosi e
terapia.
Il problema interpretativo nasce in genere da
una scarsa abitudine ad una classificazione corretta di questo tipo di problema.
La vertigine propriamente detta è unicamente la falsa sensazione di movimento (generalmente di tipo rotatorio, a volte traslatorio) dell’ambiente circostante rispetto al proprio corpo
(vertigine oggettiva) o di quest’ultimo rispetto
all’ambiente (vertigine soggettiva). Per altri sintomi, simili ma non identici, occorre utilizzare
altri termini, per non ingenerare pericolosi fraintendimenti.
In realtà, “vertigine”, “disequilibrio”, “instabilità”
, “capogiro”, “sensazione di svenimento o di
mancamento”, “testa leggera o pesante” sono
termini utilizzati dai pazienti indifferentemente per
descrivere tutta la vasta gamma eterogenea di
alterazioni dell’equilibrio, accompagnate o meno
anche da sintomatologia uditiva, neurovegetativa
o neurologica di entità variabile.
L’eterogeneità della sintomatologia dell’equilibrio è giustificata dalle numerose e differenti possibilità di coinvolgimento della complessa rete di
organi e vie nervose interagenti nella funzione dell’equilibrio. L’ equilibrio, il vero sesto senso del-
1
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
l’uomo, è infatti garantito da un “sistema complesso” il cui organo principale è il labirinto vestibolare, ma che integra a livello cerebrale le informazioni provenienti anche dai sensori visivi e propriocettivi, attuando una sofisticata organizzazione neuro-fisiologica di riflessi segmentari e sinergie che coinvolge centri nervosi posti nel midollo
spinale, nel tronco encefalico, nel cervelletto, nel
talamo, nel sistema limbico e nella corteccia
cerebrale per dare vita alla strategia finale di mantenimento di un giusto rapporto uomo/ambiente.
Questo rapporto è infatti il mezzo grazie al
quale l’uomo può mantenere in qualsiasi condizione ambientale un corretto orientamento spazio-temporale, il controllo visivo dell’ambiente,
una corretta postura statica e dinamica, normali
funzioni neurovegetative e la sensazione di
benessere anche psicologico.
Secondo un modello interpretativo di tipo
cibernetico potremmo definire l’equilibrio come
un insieme di sottosistemi sensoriali (visivo, propriocettivo e vestibolare) connessi in un “tutto”,
dove le varie informazioni sensoriali vengono, in
ogni istante, elaborate e trasferite al sistema
muscolare e neurovegetativo per dare vita a
risposte automatiche e volontarie, condizionate
anche dalle esperienze precedenti e dallo stato
emozionale (Tabella 1).
Il corretto funzionamento dell’apparato vestibolare è fondamentale per la funzione e trae origine dai diversi recettori labirintici altamente specializzati nell’analizzare le accelerazioni rotatorie
(creste dei tre canali semicircolari) e lineari (macule dell’utricolo e del sacculo) della testa e del
corpo. I recettori delle creste dei canali semicircolari vengono attivati dal movimento dell’endolinfa,
mentre le macule dell’utricolo e del sacculo dallo
spostamento degli otoliti in relazione alla forza di
gravità. Tali impulsi vengono trasportati attraverso
le porzioni vestibolari dell’ottavo paio dei nervi
cranici fino ai nuclei vestibolari del tronco, al cervelletto e ai centri superiori (talamo, sistema limbico e corteccia cerebrale in toto, ma particolarmente quella destra, soprattutto nella cosiddetta
corteccia vestibolare multisensoriale).
Gli impulsi visivi provenienti dalla retina sono
importanti per valutare la situazione ambientale
e per stabilizzare lo sguardo durante i movimenti degli oggetti circostanti. Gli impulsi provenienti dai propriorecettori articolari e muscolari sono essenziali per analizzare la condizione
posturale.
Tabella 1. Il modello funzionale del sistema dell’equilibrio
STRUTTURA
Sensori Periferici
FUNZIONE
Informazione sensore-specifica
Riconoscimento dei singoli input
Modulazione
Integrazione
Riconoscimento dell’insieme degli input integrati
Sistema Nervoso Centrale
Valutazione dell’esperienza (piacevole, pericolosa, ecc.)
Programmazione delle risposte automatiche e volontarie
Coscienza della situazione
Adattamento alle nuove situazioni
Memorizzazione dell’esperienza
Organi Periferici
2
Effettuazione dei programmi automatici e volontari
LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
La disfunzione di una qualsiasi componente
di questa rete neuronale, sia a livello periferico che centrale, è in grado di provocare un
disturbo dell’equilibrio, che avrà naturalmente
caratteristiche diverse per ciascuna sede di
lesione.
Orientarsi nel labirinto delle ipotesi
diagnostiche
La notevole variabilità dei quadri clinici caratterizzati dall’insorgenza di una sindrome vertiginosa,
sia in acuto che in cronico, rende spesso la tassonomia delle vertigini un autentico “labirinto clinico”.
I disturbi dell’equilibrio possono infatti rappresentare la prima espressione di processi morbosi
molto diversi – sistemici, neurologici, otologici,
osteo-artro-muscolari, visivi, psicopatologici – e
di diversa gravità.
Sintomi abbastanza simili possono inoltre
essere provocati da cause molto diverse e ciò
implica una difficoltà nell’inquadramento diagnostico e, di conseguenza, nella scelta della terapia.
• Le vertigini possono essere acute, di breve
durata e spesso a carattere occasionale,
oppure ricorrenti, croniche, periodiche. La
durata delle manifestazioni acute può variare
da pochi secondi ad intere settimane.
• La vertigine può associarsi a sintomi di tipo
neurovegetativo (senso di nausea, vomito,
tachicardia), oppure di tipo otologico, quali
ipoacusia, acufeni, senso di pienezza o pressione endoauricolare (fullness), oppure può
coesistere con segni neurologici più o meno
focali, quali turbe della coordinazione del movimento o deficit di più nervi cranici, tremori,
dismetria, cefalea.
• Una vertigine può insorgere spontaneamente o
essere scatenata da determinati movimenti o
posizioni del capo o del corpo.
Per l’interpretazione topo-diagnostica risulta
fondamentale la distinzione tra la vera vertigine
rotatoria (legata generalmente ad una patologia
vestibolare periferica) ed i sintomi più aspecifici
di disequilibrio (“dizziness” degli Autori anglosassoni) come la sensazione di sbandamento,
lateropulsione, incertezza o instabilità durante la
marcia, lipotimia, sensazione di “testa vuota” e
di svenimento imminente, oscillopsia, sincopi,
cadute.
In ambito clinico, è di uso comune la suddivisione delle patologie vestibolari propriamente
dette in base alle caratteristiche di insorgenza e di
evoluzione.
Vi sono infatti patologie caratterizzate da crisi
ricorrenti (Malattia di Menière, Vertigini parossistiche posizionali da labirintolitiasi, Fistola labirintica, Deiscenza canalare superiore, Vertigine emicranica), altre con episodio unico acuto
(Neuronite virale, Labirintite otogena, Ictus labirintico, Fratture della rocca petrosa, Ototossicità
da farmaci) anche se talora caratterizzate da
successivi episodi di scompenso. In alcuni casi,
infatti, i meccanismi fisiologici di compenso e di
adattamento centrale alla patologia non sono del
tutto efficaci e si possono avere sintomi cronici e
ricorrenti più aspecifici che ricordano le patologie
centrali.
L’efficacia degli indirizzi terapeutici dipende
molto dalla precisione diagnostica: è, infatti,
l’identificazione dei meccanismi eziopatogenetici della vertigine, che può indirizzare la
scelta di una terapia il più possibile mirata.
La diagnosi eziologica delle vertigini è però
complessa, perché, come già illustrato, complessa è la rete neuronale che sovraintende alla funzione dell’equilibrio, vari sono gli organi interessati e
che possono provocarne una disfunzione e altrettanto numerose sono le possibili cause di patologia di ciascuno di questi elementi del sistema.
3
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
La ricerca di specifici fattori eziopatogenetici
può richiedere uno studio multidisciplinare, che
comporta il coinvolgimento di diverse specialità e
specifiche competenze e l’impiego di esami clinici e strumentali specialistici. Tuttavia, resta fondamentale l’approccio clinico al paziente vertiginoso. Per poter valutare il ruolo delle diverse possibili cause di vertigine ed individuare singoli settori disciplinari di approfondimento, l’attenzione del
medico deve concentrarsi in prima battuta sulla
interpretazione dei sintomi riferiti dai pazienti e dei
segni clinici non strumentali, rilevabili mediante
manovre semeiologiche praticabili al letto del
paziente (bedside examination), nel contesto del
quadro anamnestico e delle disfunzioni evidenziate all’esame clinico.
L’attenzione all’anamnesi, ai sintomi concomitanti e a quelli pregressi diventa ancor più
fondamentale quando si ipotizza un’eziologia
vascolare del disturbo.
Figura 1. Meccanismi patogenetci nelle vertigini vascolari.
4
I meccanismi patogenetici potenzialmente in
grado di provocare danni di tipo vascolare al
sistema nervoso centrale o al labirinto sono da
ricercare tra le numerose possibili cause di alterazione dell’emodinamica della microcircolazione
cerebrale che, compromettendo l’autoregolazione del flusso, non consentono un adeguato
apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti, ed i fattori trombogenetici (Figura 1).
• L’esclusione di altre cause e la documentazione del meccanismo patogenetico specifico
richiedono poi il riscontro dei markers tipici di
ognuna delle eziologie sospettate.
• In tal senso risultano utili anche strumenti diagnostici quali l’eco-color-doppler dei tronchi
sovra-aortici e la diagnostica per immagini,
associata o meno ad angiografia.
La concordanza di elementi è determinante per
giudicare la responsabilità di una lesione vascolare, in quanto, specialmente nelle persone anziane,
coesistono spesso più elementi lesionali.
LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
In caso di sospetto diagnostico ristretto al
solo microcircolo terminale labirintico, l’eziologia vascolare rimane comunque spesso più
un’ipotesi che una certezza “documentabile
visivamente” e la diagnosi viene sostenuta
solo dai dati anamnestici e dai markers bioumorali e neuroradiologici.
Data la complessità del problema, l’esigenza di
una strategia diagnostico-terapeutica o di una vera
e propria linea guida per i disturbi dell’equilibrio di
natura vascolare è avvertita da tempo. Nel 2001
Tirelli e collaboratori sottolineavano l’importanza di
una terapia impostata su base eziologica (risposta
positiva nel 69% dei casi entro il primo mese di
trattamento) e, in un successivo studio retrospettivo del 2004, rilevavano l’assenza di diagnosi eziologica in 1039 su 1975 casi di dizziness, di cui oltre
il 40% sarebbero stati inquadrabili come “vascolari” utilizzando una flow-chart diagnostica ad hoc.
Nel 2005 una Consensus Conference nazionale tenutasi a Modena sui criteri diagnostici della
vertigine vascolare ha sottolineato l’utilità del protocollo diagnostico-terapeutico per le vertigini
vascolari elaborato nell’ambito dello studio
VascVert, indagine retrospettiva condotta su
pazienti con sindrome vertiginosa di verosimile
origine vascolare (Figura 2).
L’esperienza dello studio VascVert ha suggerito
un percorso diagnostico basato sull’identificazione
dei fattori di rischio cardiovascolare (Figura 3) ed
ha evidenziato l’importanza di una terapia causale
non solo ad azione antiaggregante, specialmente
nei pazienti a basso e medio rischio trombotico.
I farmaci eparinoidi (es. Sulodexide) sono risultati infatti particolarmente efficaci grazie ad un
meccanismo d’azione più complesso e che verosimilmente consente di affrontare in modo più
specifico e personalizzato alcuni tra i vari possibili
meccanismi implicati nell’ eziopatogenesi delle
vertigini vascolari.
VascVert: studio epidemiologico policentrico
italiano sulla vertigine vascolare
Nello studio VascVert sono stati coinvolti 46
Centri italiani di Vestibologia, con il coordinamento del Servizio di Vestibologia e
Rieducazione Vestibolare dell’ Azienda USL di
Modena. La casistica considerata, inerente al
periodo luglio 2002-febbraio 2006, è stata di
315 pazienti ambulatoriali con disturbi cronici
dell’equilibrio (44,1% di sesso maschile, 55,9%
di sesso femminile), di età compresa tra i 41 e i
94 anni (età media: 66 anni).
Nell’indagine retrospettiva, condotta su
pazienti con sindrome vertiginosa di verosimile
origine vascolare, sono stati valutati le caratteristiche della vertigine, la sua evoluzione e gli
effetti dei trattamenti adottati: antitrombotico
(sulodexide) e antiaggregante (aspirina, ticlopidina) (Figura 4).
L’eziologia vascolare è stata dedotta da:
1. Rilevazione anamnestica di almeno tre dei
fattori di rischio cardiovascolari selezionati: eventi cerebro-vascolari, patologia
carotidea, cardiopatia ischemica, diabete
mellito, ipertensione arteriosa, arteriopatia
periferica, familiarità per patologia vascolare, fumo, consumo di alcool, obesità,
fibrinogenemia >350 mg/dL, ipertrigliceridemia (>180 mg/dL) ed ipercolesterolemia
(>220 mg/dL).
I fattori di rischio più rappresentati sono stati:
ipertensione arteriosa (71,7%), ipercolesterolemia (64,1%), patologia carotidea (45,7%) e
familiarità per malattie cardiovascolari
(59,7%).
2 Chiara positività per patologia vascolare di
almeno uno dei seguenti esami: ecoDoppler dei vasi sovra-aortici, TC o RM
cerebrale.
5
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 2. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Guidetti, Otolaringol 2005).
6
LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
Figura 3. Prevalenza dei fattori di rischio cerebrovascolari nella popolazione generale e nel campione di pazienti dello studio VascVert
(Guidetti, Otolaringol 2005).
Figura 4. Miglioramento della maggioranza dei parametri clinici nel campione di pazienti dello studio VascVert dopo due mesi di trattamento causale (sia antitrombotico sia antiaggregante). Vertigine e instabilità migliorano in modo statisticamente significativo con
entrambi i trattamenti: * P<0,001 (Guidetti, Otolaringol 2005).
7
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Sono stati valutati gli effetti del trattamento di
due mesi con farmaco antitrombotico (sulodexide) o antiaggregante (aspirina, ticlopidina).
I trattamenti antiaggregante e antitrombotico,
insieme considerati, dopo due mesi di terapia,
hanno determinato (Figura 4):
• riduzione significativa dei casi di vertigine
(dal 90% al 61,1%) e di instabilità (da 88,9%
a 54%);
• ridotta incidenza dei sintomi neurovegetativi
(da 45,7% a 20,6%), cefalea (da 34,6% a
19,7%) e miglioramento nei test di bedside
examination: test di Unterberger (da 17,1% a
7,3%), head shaking test (da 23,5% a 9,5%),
prova indice-naso (da 4,8% a 2,2%), nistagmo spontaneo (da 15,9% a 4,4%).
BIBLIOGRAFIA
– Guidetti G. La terapia della vertigine vascolare nella pratica ambulatoriale: esperienza multicentrica (Studio
–
–
–
–
8
VascVert). Otorinolaringol 2005;55:237-46.
Guidetti G. La vertigine vascolare: elementi anamnestico-clinici di sospetto diagnostico. Otoneurologia 2000
2005;22:3-10.
Guidetti G. La vertigine vascolare: il razionale della diagnosi e della terapia. Otoneurologia 2000 2005;21:356.
Tirelli G, Meneguzzi C. Orientamento clinicodiagnostico sulla vertigine da causa vascolare. Otorinolaringol
2004;54:1-10.
Tirelli G, Zarcone O, Giacomarra V, Bianchi M. La vertigine da causa vascolare: ipotesi patogenetiche e considerazioni terapeutiche. Otorinolaringol 2001;51:61-8.
Capitolo 1
ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E
CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE
Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani
IL CIRCOLO CEREBRALE ARTERIOSO
Le strutture encefaliche nella fossa cranica
anteriore e media vengono irrorate da rami dell’arteria carotide interna (territorio arterioso della carotide), le strutture nella fossa cranica posteriore da
rami dell’arteria vertebrale o dell’arteria basilare che
ha origine dall’unione delle due arterie vertebrali
(territorio arterioso vertebro-basilare) (Figura 1).
Territorio di irrorazione della carotide e territorio arterioso vertebro-basilare sono collegati tra
loro mediante un circolo arterioso, il poligono di
Willis; grazie ad esso in molti casi una parziale
occlusione può essere compensata da un altro
vaso (formazione di anastomosi: importante nel
caso di stenosi delle arterie).
tomica, potendo presentare conformazioni anche
molto diverse da individuo ad individuo.
1. Nel 40% dei casi, il circolo arterioso è formato dalle seguenti arterie: a. comunicante anteriore, a. cerebrale anteriore, a. cerebrale
Poligono di Willis
Le due arterie vertebrali (che nascono dalla
succlavia) giungono all’interno del cranio attraverso il forame magno e si fondono a livello del clivio
per formare l’arteria basilare impari. Da questa originano poi le arterie cerebrali posteriori (Figura 2).
L’arteria cerebrale media costituisce il prolungamento diretto della carotide interna.
Varianti del circolo arterioso cerebrale
I collegamenti vascolari all’interno del circolo
arterioso sono soggetti a notevole variabilità ana-
Figura 1. Diagramma del circolo cerebrale.
9
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
contenuto in esso ed è formato da un sistema di
vescicole e condotti membranosi, tra loro comunicanti.
Arterie
Figura 2. Il poligono di Willis.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
media, a. carotide interna, a. comunicante
posteriore, a. cerebrale posteriore, a. basilare.
L’a. comunicante anteriore è assente nell’1%
dei casi.
Entrambe le aa. cerebrali anteriori hanno origine da un’a. carotide interna (10% dei casi).
L’a. comunicante posteriore è monolaterale,
ipoplastica o addirittura non presente (10%
dei casi).
L’a. comunicante posteriore si presenta bilateralmente, ipoplasica o manca del tutto (10%
dei casi).
L’a. cerebrale posteriore origina monolateralmente dall’a. carotide interna (10% dei casi).
L’a. cerebrale posteriore ha origine bilateralmente dall’a. carotide interna (5% dei casi).
VASCOLARIZZAZIONE
DELL’ORECCHIO INTERNO
L’orecchio interno comprende il labirinto
osseo, una complessa serie di cavità della piramide del temporale e il labirinto membranoso, che è
10
È interessante notare come una struttura così
piccola, come la rocca petrosa, riceva molteplici
rami arteriosi di diversa origine, sia intracranici,
derivanti dalla carotide interna e dall’arteria basilare, sia extracranici, di pertinenza invece della
carotide esterna.
L’arteria basilare deriva dalla confluenza delle
arterie vertebrali (destra e sinistra) che a loro volta
traggono origine dall’arteria succlavia. L’arteria
basilare, nella sua porzione inferiore, dà origine
all’arteria cerebellare inferiore anteriore (AICA),
responsabile principale dell’apporto di sangue al
labirinto membranoso in quanto vaso di origine
dell’arteria uditiva interna (AUI) o arteria labirintica
(Figura 3).
L’origine dell’AUI è stata negli anni ampiamente discussa in letteratura: mentre alcuni Autori
ammettono che essa possa generarsi solo come
ramo dell’arteria cerebellare inferiore anteriore
(AICA) all’interno della cavità cranica, altri ne
ammettono una possibile origine anche come
ramo indipendente direttamente dall’arteria basilare. I dati più recenti sembrano comunque escludere un’origine diretta dall’arteria basilare. In particolare, dagli studi di Mazzoni negli anni ’70
emerge come l’AUI derivi invariabilmente
dall’AICA (o dall’AICA accessoria), la quale (in
alcuni casi una sua collaterale) dopo un decorso
in direzione laterale e dorsale, prima di raggiungere la superficie antero-inferiore dell’emisfero cerebellare, forma un’ansa arteriosa con convessità
rivolta verso l’apertura del meato acustico interno.
Da tale ansa trarrebbero origine l’arteria subarcuata ed appunto l’AUI. Diversi Autori hanno inoltre
affermato che, in una percentuale di casi che può
giungere al 60%, l’arteria uditiva interna possa
ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE
Figura 3. La vascolarizzazione dell’orecchio interno.
presentarsi come una doppia arteria, anche se
pare che un solo ramo raggiunga effettivamente
l’orecchio interno. Nell’evenienza di una doppia
AUI, possiamo distinguerne una principale che
segue il medesimo decorso della variante in
numero singolo, e una secondaria, generalmente
più piccola, con un decorso meno costante
(Figura 4). L’AUI secondaria può non avere rami
collaterali diretti all’orecchio interno ed essere
deputata solo all’irrorazione del condotto; in altri
casi può invece fornire apporto di sangue al labirinto attraverso l’arteria vestibolare posteriore.
Altra arteria del labirinto è l’arteria stilo-mastoidea che si origina per i due terzi degli individui
dall’occipitale (origina dalla parete posteriore
della carotide esterna) o per un terzo degli individui dall’auricolare posteriore (che origina dalla
carotide esterna posteriormente) e vascolarizza i
canali semicircolari.
La vascolarizzazione del labirinto membranoso
non può essere comunque interamente separata
dalla vascolarizzazione del labirinto osseo e da
quella dell’orecchio medio, in quanto esistono dei
rami anastomotici che penetrano nell’endostio.
Durante il suo decorso, l’arteria labirintica
prima fornisce il sangue ai nervi (VIII nervo cranico) e alla dura madre del canale uditivo interno,
poi alle ossa contigue al canale uditivo e alla
Figura 4. Schema dell’AUI nel condotto uditivo interno. L’AUI
principale (IAa I) dà origine alle tre branche arteriose: vestibolare
anteriore (SVa), cocleare comune (Ca) e vestibolo-cocleare
(VCa). La AUI secondaria (IAa II) rifornisce la vestibolo-cocleare.
11
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
regione mediale dell’orecchio interno. All’interno
dell’osso temporale adulto, l’arteria labirintica non
si distribuisce soltanto all’orecchio interno, alla
dura e alle formazioni nervose, ma anche ad una
discreta area dell’osso petroso stesso. Il suo
decorso all’interno del meato acustico interno
ovviamente cambia a seconda se siamo di fronte
alla variante singola o alla variante doppia (il
decorso in questo seconda evenienza è diverso
soltanto per l’arteria secondaria; per la principale
delle due il decorso è assimilabile a quello dell’arteria labirintica in numero singolo). Nei casi in cui
essa è singola, al livello del terzo prossimale del
canale, decorre tra la superficie ventrale dell’VIII
nervo cranico e la parete ventrale del canale, in
prossimità del pavimento. Nel terzo medio incrocia in senso obliquo la faccia ventrale dell’VIII
nervo cranico e si adagia sulla superficie craniale
del medesimo nervo appena prima della sua divisione. A questo punto l’arteria continua il suo
decorso sulla superficie craniale del nervo
cocleare e si divide nei suoi rami intralabirintici
(Figura 5). Nel caso si sia di fronte ad un’arteria
labirintica in variante doppia, ci sono importanti
differenze determinate dalla presenza di un’arte-
1. AICA; 2 AUI; 3. A. cocleare comune; 4. A. vestibolare anteriore; 5. A. cocleare propriamente detta; 6. A. vestibolococleare; 7. Rami cocleari; 8. Rami vestibolari.
Figura 5. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI.
Nel riquadro, capillari della stria vascolare.
12
ria labirintica secondaria. Essa, nata dalla già
menzionata ansa formata dall’AICA, giace prima
sul lato caudale dell’VIII nervo cranico, e.g. tra il
pavimento del condotto ed il nervo vestibolare
inferiore. Continua il suo decorso tra lato caudale
e lato dorsale dell’VIII e successivamente, resasi
mediale, va a giacere ventralmente e caudalmente al nervo sacculare.
Il primo di questi vasi arteriosi a diramarsi
dall’AUI è l’arteria vestibolare anteriore che con
un decorso tortuoso penetra nel canale osseo del
nervo vestibolare superiore, al quale rimane praticamente adesa e tramite il quale raggiunge
l’orecchio interno.
L’arteria vestibolare anteriore (Figura 6) rifornisce di sangue la sezione antero-superiore del
vestibolo, comprendendo l’utricolo con la sua
macula, una porzione extramaculare del sacculo, l’ampolla, la cresta ampollare, le crures
ampollari e i dotti membranosi dei canali semicircolari anteriore e laterale. Le arteriole entrano
nell’ampolla per mezzo di canali ossei distinti
rispetto a quelli delle fibre nervose. Le reti capillari della cresta ampollare e delle pareti dell’ampolla sono formate da diverse arteriole. La rami-
Figura 6. L’arteria vestibolare anteriore (vista dall’alto) con i
suoi rami per l’utricolo (Ua), per l’ampolla del canale semicircolare superiore (SCCa), per l’ampolla del canale semicircolare laterale (LCCa), e per le regioni non ampollari (crus)
dei suddetti canali (SCACa e LCACa).
ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE
ficazione arteriolare stabilisce reti capillari tra
l’epitelio sensitivo e le fibre nervose vicine alla
linea mediana di ciascuna cresta. Ogni canale è
attraversato per la sua lunghezza da una o due
arteriole che sostengono un sistema di capillari
poco connessi tra di loro.
Dopo aver emesso l’arteria vestibolare anteriore, il tronco principale dell’arteria labirintica
prende il nome di arteria cocleare comune; essa
continua il proprio decorso attraverso il triangolo
vestibolo-cocleare e successivamente si divide
per dare origine all’arteria cocleare maggiore e
all’arteria vestibolo-cocleare. La prima è destinata a quasi tutta la coclea ad eccezione di parte
del giro basale irrorato dalla seconda. Nel modiolo i vasi si presentano tortuosi quasi a ricordare le
formazioni glomerurali, immerse in abbondante
tessuto lasso. Questi vasi, pur di discreto calibro,
presentano una parete estremamente sottile,
costituita dallo strato endoteliale cui si sovrappone un sottile mantello connettivale e scarse cellule muscolari lisce.
L’arteria cocleare maggiore si mantiene adesa
alla superficie inferiore del nervo cocleare, assume un decorso a spirale con la stessa direzione
dei giri cocleari. Appena entra nel modiolo fornisce numerose arterie primarie e secondarie
(Figura 7).
Ulteriori arborizzazioni dell’arteria cocleare
danno luogo a due serie di arteriole ad andamento radiale (arteriole radiali esterne e arteriole
radiali interne); la prima serie fornisce la vascolarizzazione alle strutture della parete esterna della
coclea, l’altra fornisce la vascolarizzazione alla
parete interna (Figura 8).
Le arteriole radiali esterne si avvolgono a spirale sulla scala vestibolare nella parte intracocleare e distribuiscono vasi alle pareti della scala
vestibolare. All’entrata dell’apice del legamento
spirale, questi vasi formano quattro reti capillari:
1. vasi a spirale localizzati nella regione del legamento spirale che guarda verso la scala vestibolare (vasi della membrana del Reissner, vasi
della scala vestibolare);
Figura 7. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea.
13
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
2. rete capillare della stria vascolare;
3. vaso della prominenza spirale;
4. vasi all’interno del legamento spirale sul lato
della scala timpanica della cresta basilare.
Questi ultimi vasi posseggono le caratteristiche morfologiche di capillari, ma funzionano
come venule di drenaggio.
Sebbene la rete capillare della stria vascolare
sia una rete anastomotica tortuosa ad andamento spiraliforme, i suoi confini sono relativamente
dritti e paralleli. La rete capillare è accolta all’interno dell’epitelio pluristratificato della stria vascolare; infatti i capillari intraepiteliali sono avvolti dai
prolungamenti discendenti delle cellule scure e
da quelli ascendenti delle cellule intermedie e
basali dell’epitelio della stria vascolare. Di particolare interesse è la rete capillare intraepiteliale della
stria vascolare, in quanto la circolazione del sangue in questo plesso consente un adeguato livello di ossigenazione delle cellule della stria vascolare, permettendo il mantenimento dell’elevato
potenziale elettrico positivo endococleare.
Figura 8. Struttura vascolare della coclea. La freccia indica l’AUI
nel punto di biforcazione nella vestibolare anteriore e nella
cocleare comune. Tratto da: Ars B (ed.). Partition of the Inner
Ear. Kugler Publ. 1998.
14
Il vaso della prominenza spirale generalmente
riceve un ramo da ciascuna arteriola radiale e,
sebbene questo vaso abbia un andamento spirale parallelo alla rete della stria vascolare, non ci
sono interconnessioni tra i due.
Le arteriole radiali interne dell’arteria cocleare
rimangono all’interno del modiolo, fornendo rami
al ganglio spirale nel momento in cui decorrono
alla base della coclea. Penetrano nella lamina
vestibolare della lamina spirale ossea dando origine ai vasi del limbus e a quelli marginali. I vasi marginali costituiscono due gruppi di arcate indipendenti che fungono da canali sia arteriosi che venosi: un gruppo forma i vasi della membrana basilare, mentre l’altro comprende i vasi del bordo timpanico. Occasionalmente un vaso attraversa una
scala o del timpano o del vestibolo.
L’arteria vestibolo-cocleare decorre in prossimità del pavimento del condotto e raggiunge
l’orecchio interno circa a metà del lato mediale
della confluenza tra vestibolo e giro basale della
coclea. A questo punto, una sua divisione a T dà
origine all’arteria vestibolare posteriore (o inferiore) che decorre dorsalmente attraverso la radice
della lamina spirale e il dotto reuniens, proprio al
di sopra dell’apertura del canale semicircolare
posteriore (Figura 9), e al ramo cocleare (arteria
cocleare basale) diretta verso il modiolo.
L’arteria cocleare basale dà origine ai seguenti
rami:
• arterie radiali della scala vestibolare ed arterie
radiali della lamina spirale;
• arteria sacculare per la macula;
• arteria per l’area della finestra rotonda;
• arteria per la porzione ventrale del sacculo
• branche arteriose lungo la parete mediale delvestibolo per l’apporto ematico al sacco endolinfatico e per la regione mediale dell’utricolo;
• arteria che decorre sulla porzione postero-laterale del pavimento del vestibolo per l’apporto ematico al cieco vestibolare della scala media.
ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE
stroma della macula insieme con le fibre nervose
mielinizzate e stabiliscono un’estesa rete capillare al di sotto dell’area delle cellule ciliate.
La distribuzione dei vasi a livello del labirinto
posteriore evidenzia i vasi di maggior calibro in corrispondenza della porzione più distale regioni neurosensoriali (macule dell’utricolo e del sacculo,
ampolle dei canali semicircolari); in un piano superiore si trova una rete costituita da capillari a larghe
Il ramo cocleare dell’arteria vestibolo-cocleare maglie. Immediatamente sotto l’epitelio si trova
vascolarizza un quarto della parte basale della inoltre una rete capillare a maglie strette che ricorcoclea e dell’adiacente modiolo, mentre il ramo da nella sua architettura quella della stria vascolavestibolare posteriore si distribuisce alla macula re. I rapporti tra epitelio sensoriale e rete vasale
del sacculo, alla cresta ampollare e al canale sono molto intimi tanto da far pensare ad una
membranoso del canale posteriore e alle pareti penetrazione diretta di vasi tra gli elementi epiteliali
posteriori dell’utricolo e del sacculo. Le ramifica- stessi. Nella porzione extramaculare è evidenziabizioni arteriolari sono identiche a quelle dell’arteria le una rete a maglie larghe ben diversa nell’aspetvestibolare anteriore. Le arteriole entrano nello to da quella propria della regione maculare.
Anche lungo la superficie dei canali semicircolari si trova un ricco plesso vasale a maglie molto
irregolari (Figura 10), unito
a vasi di discreto calibro
che decorrono lungo la
superficie endostale del
canale osseo mediante
tronchi di vario calibro
sottesi da trabecole connettivali che attraversano
lo spazio perilinfatico.
I capillari a livello delle
varie parti del vestibolo, in
particolare quelle caratterizzate dalla presenza di
cellule scure, che circonL’arteria vestibolare posteriore (IVa) e la relativa vena (IVv) decorrono sulla parete mediadano l’area sensoriale
le del vestibolo. Prima di giungere ad irrorare l’ampolla del canale semicircolare posteriore (PCCa), l’Iva dà rami al sacculo (Sa), alla crus comune (CCa), alla porzione inferiore non
epiteliale, risultano intemaculare dell’utricolo (VUa), alla regione del cieco vestibolare (VCaea) ed alla superficie
ressanti per le interazioni
vestibolare della scala media (VASMa).
che contraggono con le
Figura 9. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI.
cellule circostanti.
L’arteria vestibolare posteriore dà origine a:
• un ramo per la cresta ampollare del canale
semicircolare posteriore;
• un ramo per il braccio semplice del canale
semicircolare laterale;
• un ramo per la crus comune e per la porzione
non ampollare dei canali semircolari superiore
e posteriore.
15
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
lazione del flusso sanguigno in molti organi. Un
recente studio ha dimostrato come l’infusione di
potassio e calcio a livello della parete laterale
della coclea risulti in un restringimento localizzato
dei diametri capillari nel punto di localizzazione
dei periciti.
Figura 10. La rete vascolare di ampolla e canale semicircolare laterale. Tratto da: Scuderi, Del Bo, Arch Ital Otol Rinol
Laringol, 1952.
Vene
Il principale drenaggio venoso della coclea è
costituito dalle vene spirali anteriori e posteriori
(Figura 11). La vena spirale anteriore riceve rami
tributari dalla lamina spirale e dalla scala del vestibolo. La vena spirale posteriore raccoglie il sangue venoso dalla scala del timpano, dalla parete
esterna della scala media e dal ganglio spirale. Ci
sono diversi shunt dalla vena spirale anteriore alla
posteriore. Le due vene si uniscono vicino alla
base della coclea formando la vena comune
modiolare.
L’utricolo, così come l’ampolla dei canali
superiore e laterale, è drenato dalla vena vestibolare anteriore. La vena vestibolare posteriore riceve il sangue dal sacculo, dall’ampolla del canale
Questi capillari hanno un diametro approssimativamente di 8 nm e sono capillari continui con
pochi periciti. Le cellule endoteliali, unite tra di loro
da complessi giunzionali, presentano sulla superficie luminale dei microvilli e molte vescicole di pinocitosi, suggerendo un attivo passaggio di materiale. In prossimità di questi capillari si trovano melanofagi o loro processi
citoplasmatici e melanociti; inoltre, è stata
descritta anche la presenza di linfociti T i
quali, attivati dalla presentazione dell’antigene da parte dei melanofagi, fornirebbero un
possibile sistema di
sorveglianza immunitaria per l’orecchio interno.
I periciti sembrano
svolgere un ruolo
importante nella formazione della rete
vascolare e nella rego- Figura 11. La vascolarizzazione venosa dell’orecchio interno.
16
ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE
posteriore e dalla base della coclea. La vena della
finestra rotonda si unisce con le vene vestibolari
anteriori e posteriori per formare la vena vestibolo-cocleare. Quest’ultima si unisce con la vena
comune modiolare per diventare la vena cocleare
inferiore, la quale attraversa il canale osseo di
Cotugno, ed è localizzata vicino all’acquedotto
cocleare, per svuotarsi nel seno petroso inferiore.
I dotti membranosi sono drenati dai canali che
formano la vena dell’acquedotto vestibolare;
questi canali attraversano l’acquedotto vestibolare o un canalicolo paravestibolare per immettersi
nel seno venoso laterale. La vena uditiva interna
è un vaso che non sempre è presente; quando lo
è, raccoglie il sangue dal giro apicale e medio
della coclea e si immette nel seno petroso inferiore attraverso il canale auditivo interno.
ASPETTI DI ANATOMO-FISIOLOGIA
DEL CIRCOLO COCLEO-VESTIBOLARE
Le arterie intracraniche possiedono una membrana interna elastica ben sviluppata, mentre la
tonaca media di queste arterie è più sottile di
quella delle arterie extracraniche dello stesso calibro ed è priva di fibre elastiche. La tonaca media
delle arterie intracraniche presenta soltanto cellule muscolari con numerose gap junction tra di
loro per facilitare la propagazione degli impulsi di
contrazione. Una delle caratteristiche funzioni
delle arterie intracraniche è l’autoregolazione del
flusso sanguigno, che è definita come mantenimento del flusso costante con variazioni nella
pressione arteriosa media su un ampio range
fisiologico. Questo meccanismo protettivo fa affidamento sul pH locale, sulla pCO2 e sull’innervazione autonoma delle arterie. Numerosi studi
hanno documentato come il flusso sanguigno
cocleare sia sotto il controllo del sistema nervoso
autonomo; in particolare, terminazioni nervose
del simpatico sono state dimostrate lungo l’arteria basilare, l’AICA e l’arteria cocleare maggiore.
Studi su modelli animali hanno dimostrato come
la stimolazione dei gangli del simpatico, del ganglio stellato e della catena cervicale sia in grado di
alterare il flusso sanguigno cocleare in situ. I vasi
che forniscono sangue all’orecchio interno hanno
autoregolazione, ma non quelli dei nervi periferici
spinali. Le arterie uditive interne e i loro rami principali presentano le stesse caratteristiche ultrastrutturali delle arterie intracraniche ed è noto che
queste arterie sono innervate da fibre adrenergiche e colinergiche. Quindi il flusso sanguigno
attraverso l’arteria uditiva interna e i suoi rami
principali può essere soggetto ad autoregolazione nella stessa maniera di quello che passa nelle
altre arterie intracraniche.
Studi recenti in vitro hanno dimostrato la presenza di recettori alfa1-adrenergici a livello dell’arteria cocleare maggiore, responsabili di una
vasocostrizione norepinefrina-mediata. La risposta vasodilatatoria sarebbe invece, almeno
secondo quanto riscontrato in modelli animali,
imputabile ad un’innervazione contenente CGRP,
sostanza P o VIP.
Nell’arteria uditiva interna e nei suoi rami principali sono state trovate occasionalmente cellule
muscolari lisce nello spazio sottoendoteliale o tra
le membrane elastiche interne. Nei campioni di
pazienti anziani, è stato osservata la presenza di
materiale elettrondenso nella membrana elastica
interna. Queste caratteristiche morfologiche sono
compatibili con cambiamenti regressivi associati
con l’età e non possono essere chiaramente differenziati con l’inizio dell’aterosclerosi, che è
caratterizzata da una tonaca intima dallo spessore frammentato ed irregolare con accumulo di
cellule muscolari lisce e depositi di lipidi intracellulari ed extracellulari. Poiché l’aterosclerosi è una
delle principali cause di infarto miocardico e di
trombosi cerebrale, questi cambiamenti morfolo-
17
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
gici della tonaca intima dell’arteria uditiva interna
e dei suoi principali rami possono essere messi in
relazione ai disturbi dell’orecchio interno negli
anziani.
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Capitolo 2
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Marco Manfrin
OMEOSTASI DEI FLUIDI LABIRINTICI E
BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Il mantenimento dell’omeostasi idroelettrolitica dei liquidi labirintici, condizione necessaria per
il corretto funzionamento dell’epitelio sensoriale,
dipende da particolari meccanismi che garantiscono differenti concentrazioni del potassio (K+)
nell’endolinfa e del sodio (Na+) nella perilinfa
(Figura 1). I processi coinvolti sono caratteristici
dell’orecchio interno, legati alla originale configurazione di alcune cellule ben differenziate, presenti sia nel distretto cocleare che in quello labirintico posteriore. Per alcuni aspetti, vi sono analogie morfofunzionali con le cellule dei glomeruli
renali e con i plessi corioidei del sistema nervoso
centrale.
Si definisce come barriera emato-labirintica
il meccanismo di trasporto selettivo di molecole
e ioni che garantiscono il mantenimento dei
1:cellule ciliate interne; 2: cellule ciliate esterne.
Figura 1. Composizione ionica prevalente di endolinfa e perilinfa.
19
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
gradienti chimici di concentrazione a livello ematico, perilinfatico ed endolinfatico (1,2). La funzione della barriera è facilitata dalla presenza di
giunzioni cellulari serrate, dalla scarsità di vescicole pinocitotiche a livello delle cellule endoteliali e dalla formazione di un sottile strato, caricato
negativamente, sulla superficie delle cellule
endoteliali a livello dei capillari (3,4).
La selettività funzionale della barriera ematolabirintica condiziona il passaggio solo di alcune
molecole e non quello di altre; si sviluppa durante la vita embrionaria e può modificarsi nel corso
della vita per opera di svariati meccanismi patogenetici (farmaci, rumore, alterazioni del metabolismo) (5,6).
Infine, i liquidi labirintici possiedono un ruolo
fisiologico duplice:
• il primo è quello di concorrere ad attivare le cellule ciliate cocleo-vestibolari mediante la trasmissione del segnale meccanico;
• il secondo è quello di partecipare al fenomeno
della trasduzione meccano-elettrica, vale a dire
alla trasformazione dello stimolo meccanico in
segnale elettrico (potenziali d’azione) lungo la
via afferente.
LA PERILINFA
Lo spazio compreso tra il labirinto membranoso e la capsula otica è occupato dalla perilinfa,
liquido extracellulare il cui catione principale è il
Na+ (140 mM) e l’anione è il Cl- (120 mM).
Vi sono alcune differenze tra la perilinfa della
scala vestibolare rispetto a quella della scala timpanica, in cui proteine, glucosio e K+ presentano
concentrazioni inferiori.
Si ammette che l’origine della perilinfa possa
essere duplice: da una parte, il plasma ne sarebbe il precursore tramite una rete capillare molto
diffusa nel rivestimento della scala vestibolare;
20
dall’altra, il liquido cefalo-rachidiano che comunica tramite l’acquedotto cocleare con il giro basale della scala timpanica.
È stata ipotizzata anche una secrezione attiva
di perilinfa da parte delle strutture vascoloepiteliali
del legamento spirale, dove Na+/K+-ATPAasi e
anidrasi carbonica sono molto attive.
L’ENDOLINFA
Gli spazi contenuti all’interno del labirinto
membranoso (canale cocleare, dotto reuniente,
sacculo, dotto sacculare, utricolo, dotto utricolare, dotto endolinfatico, canali semicircolari) sono
occupati dal liquido endolinfatico che si caratterizza per:
– elevata concentrazione di K+: diversa nelle differenti specie animali di mammiferi, ha un valore medio di circa 150 mmol/l;
– bassa concentrazione di Na+, pari a circa 1
mmol/l.
Si differenzia da queste sedi il sacco endolinfatico, dotato di caratteristiche diverse per ciò
che concerne la composizione elettrolitica.
• Le caratteristiche chimiche giustificano la presenza di potenziali endolinfatici di riposo che,
analogamente alle concentrazioni ioniche, non
sono uniformi nelle diverse parti dell’orecchio
interno. Infatti, la concentrazione endolinfatica
di K+ diminuisce dalla base verso l’apice della
coclea; il potenziale endolinfatico di riposo è
maggiore nella coclea rispetto al labirinto
posteriore. Tutto ciò esprime meccanismi
metabolici diversi nelle differenti sottosedi del
labirinto membranoso.
• Anche le concentrazioni di altri ioni o di altre
sostanze è diversa nei comparti endolinfa/perilinfa/sangue: infatti, nell’endolinfa vi è una
minor concentrazione di calcio e magnesio, di
proteine e di glucosio rispetto agli altri due.
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
L’endolinfa, inoltre, si dimostra relativamente
iperosmolare rispetto alla perilinfa e al sangue,
anche in questo caso secondo un gradiente di
osmolarità che va dalla base, ove è maggiore,
all’apice, seguendo lo stesso comportamento del
gradiente elettrochimico.
La regolazione dell’equilibrio acido-base dell’endolinfa, che garantisce un pH di 7,4 del tutto
simile alla perilinfa e al sangue, è dovuto all’azione di meccanismi diversi rispetto a quelli coinvolti nel gradiente elettrico e osmolare.
Viene unanimamente riconosciuta come una
“zona franca”, a sé stante dal punto di vista
metabolico, il sacco endolinfatico in cui i rapporti tra le concentrazioni del K+ e del Na+ sono
invertiti rispetto agli altri spazi endolinfatici e in
cui vi è una concentrazione molto elevata di proteine.
LA CORTILINFA E IL LIQUIDO
SOTTOTECTORIALE
A livello cocleare, è possibile individuare due
altri tipi di liquido (cortilinfa e linfa sottotectoriale)
che si trovano a livello extracellulare.
• La cortilinfa si trova nell’organo del Corti (galleria) e ha una composizione chimica simile alla
perilinfa.
• La linfa sottotectoriale si posiziona sotto la
membrana tectoria e al di sopra dello strato
cuticolare delle cellule ciliate e ha composizione del tutto simile all’endolinfa.
LA MICROCIRCOLAZIONE
DELL’ORECCHIO INTERNO
Le fini diramazioni distali infralabirintiche dei
diversi rami dell’arteria uditiva interna, si compendiano in diverse reti di arteriole, quali l’arte-
ria modiolare spirale nella coclea e le arteriole
delle creste ampollari e delle macule nel labirinto posteriore.
Dall’arteria modiolare spirale, che decorre
nel modiolo della coclea, si dipartono arteriole
esterne destinate alle strutture della parete
esterna del canale cocleare (o della scala vestibolare), e arteriole interne destinate ad irrorare il
ganglio spirale e le strutture neurosensoriali
della lamina spirale.
Da un punto di vista strutturale, le arteriole
radiali esterne mostrano all’inizio del loro tragitto
una parete fine e fenestrata, del tutto simile a
quella dei glomeruli renali (7), per poi divenire
spessa per la comparsa di uno strato continuo di
cellule muscolari lisce. In maniera del tutto caratteristica, formano due “circuiti”: uno, definito
“metabolico” o “di lusso”, che è costituito da tre
reti capillari longitudinali dirette verso gli spazi
interstiziali; l’altro, derivativo o “di corto circuito”,
che porta il sangue direttamente, tramite le
metarteriole, alle venule.
Le reti capillari principali comprendono:
rete capillare soprastriatale (della membrana di
Reissner), in rapporto per tutta la sua lunghezza
all’inserzione della membrana di Reissner;
– rete capillare della stria vascolare, in stretto
contatto con le cellule marginali ed intermedie;
– rete capillare della prominenza spirale;
– rete capillare del legamento spirale, in stretto
contatto con le celle basali della stria vascolare.
Le arteriole radiali interne, a loro volta, danno
origine a quattro reti capillari:
– rete capillare del ganglio spirale;
– rete capillare del limbus, che sembra essere
l’unica rete in rapporto diretto con l’endolinfa;
– rete capillare spirale interna o dello strato timpanico, che coinvolgerebbe l’organo del Corti;
– rete capillare della membrana basilare (o spirale
21
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
esterna), situata sulla faccia inferiore della
membrana basilare, al centro della zona arcuata, subito al di sotto del tunnel del Corti.
Analogamente ai capillari cerebrali, i capillari
cocleari hanno un rivestimento endoteliale continuo, formato da cellule unite in maniera serrata
da giunzioni molto chiuse. Solo nel modiolo i
capillari presentano un rivestimento fenestrato,
anche se sono avvolti da uno strato di cellule
connettivali unite da giunzioni serrate; in analogia
ai plessi corioidei, si definisce questa regione del
modiolo come plesso cocleare.
• Le arteriole destinate alle aree sensoriali del
labirinto posteriore non presentano una distribuzione anatomica caratteristica. Esse penetrano nel tessuto di sostegno maculare in
associazione stretta alle fibre nervose mielinizzate e si distribuiscono in una rete capillare posta al di sotto della zona cigliata del neuroepitelio.
• Analogamente, anche l’irrorazione delle aree
recettoriali ampollari non mostra una caratteristica distribuzione se non quella di arteriole
che si portano, con gli elementi nervosi, all’ampolla dei canali semicircolari e qui si distribuiscono in una rete capillare molto lassa.
• Il drenaggio venoso dell’orecchio interno è
garantito dalla vena dell’acquedotto cocleare
che raccoglie il sangue proveniente dalla vena
modiolare comune (formata dalla confluenza
della vena spirale anteriore e posteriore) e
dalla vena vestibolococleare (formata dalla
confluenza della vena vestibolare anteriore,
della vena vestibolare posteriore e dalla vena
della finestra rotonda). Una parte del drenaggio venoso dei canali semicircolari si convoglia nella vena dell’acquedotto vestibolare
che si dirige verso il sacco endolinfatico e
sbocca direttamente nel seno laterale.
22
LA PRODUZIONE DI ENDOLINFA E
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Il precursore dell’endolinfa è, quasi certamente, la perilinfa e non il plasma. L’asserzione nasce
da osservazioni sperimentali ottenute dall’analisi
della cinetica di ioni veicolati nell’endolinfa da
traccianti radioattivi, somministrati per via perilinfatica e per via ematica (Figura 2). Il trasporto
degli ioni nei due compartimenti avviene per meccanismo attivo, poiché l’equilibrio elettrochimico
viene mantenuto costante nonostante la disparità di concentrazione del K+ e del Na+.
Il trasporto del K+ nell’endolinfa, attraverso gli
epiteli, è un meccanismo attivo ad alto dispendio
energetico che garantisce il potenziale endolinfatico (endococleare ed endolabirintico), il cui valore finale è dato dalla somma algebrica di due
potenziali:
– uno di + 120 mV generato dal trasporto attivo
del K+ contro il gradiente elettrochimico, generato dalla Na+/K+-ATPasi localizzata prevalentemente nelle cellule marginali della stria
vascolare della coclea e dalle cellule scure
perimaculari del labirinto posteriore;
– l’altro di - 40 mV dovuto al trasporto passivo
del K+ che tende a fuoriuscire dall’endolinfa, in
cui gioca un ruolo determinante la permeabilità dell’organo del Corti alla diffusione passiva
dello ione.
Nella coclea, l’attività della Na+/K+-ATPasi
decresce dalla base all’apice, parallelamente al
gradiente elettrochimico.
La Na+/K+-ATPasi rende ragione dell’ingresso
del K+ dalla perilinfa nelle cellule marginali o scure
e della fuoriuscita del Na+ dalle cellule alla perilinfa; esistono poi altri due meccanismi responsabili
rispettivamente del passaggio del K+ dalla cellula
all’endolinfa e del Na+ dalla cellula alla perilinfa e
dell’accoppiamento del movimento di ioni Na+ e
K+ con il Cl- (Figura 3).
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Figura 2. Correlazioni tra i liquidi dell'orecchio interno, il liquido cefalo-rachidiano e il sangue implicati nella genesi di endolinfa e perilinfa. Mod. da: Sterkers, J Fr Otorhinolaryngol Audiophonol Chir Maxillofac 1984.
23
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 3. Meccanismo di formazione dell'endolinfa a livello cocleare.
24
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Si rende concreto, quindi, un aspetto di diversità anatomo-funzionale all’interno delle singole
sottosedi del labirinto membranoso: alcune parti
sono coinvolte nella produzione dell’endolinfa
(stria vascolare, regione perimaculare e parte
prossima alla cresta ampollare di ciascun canale);
altre che sono interessate dal riassorbimento dell’endolinfa (sacco endolinfatico) e altre che, infine,
sembrano essere inerti dal punto di vista dell’omeostasi dei liquidi dell’orecchio interno (braccio non ampollare dei canali semicircolari, buona
parte dell’utricolo e del sacculo) (Figura 4).
Nell’ambito del sistema di barriera emato-labirintica occorre tenere distinti due compatimenti:
la barriera emato-perilinfatica e quella ematoendolinfatica. Tutte le informazioni riguardanti i
due sistemi sono ampiamente ottenute da prove
sperimentali e per analogie comportamentali con
i dati relativi alla barriera emato-encefalica.
La lentezza del passaggio di alcune sostanze tra
il plasma e la perilinfa ha fatto ipotizzare la presenza di un sistema di barriera che ha sede nei capillari perilinfatici, dotati di un rivestimento endoteliale
continuo, mantenuto da giunzioni cellulari molto
serrate e con scarsezza di vescicole pinocitotiche.
• La configurazione capillare giustifica le caratteristiche principali della barriera emato-perilinfatica, che sono:
1. – impermeabilità alle macromolecole;
1. – selettività nel trasporto degli elettroliti e di
molecole idrosolubili in funzione del loro
peso molecolare;
1. – presenza di un trasporto facilitato per il Dglucosio.
Figura 4. Composizione ionica di endolinfa, perilinfa e nel sacco endolinfatico.
25
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
In ordine progressivo di maggior permeabilità
alle diverse sostanze (ioni, molecole), si può stabilire un scala di priorità nel passaggio tra sangue
e perilinfa così schematizzata:
Na+ = K+ = Cl- = D-glucosio > urea > L-glucosio = mannitolo = saccarosio.
La barriera emato-endolinfatica, più che
un’entità specifica anatomica, rappresenta un
meccanismo funzionale che permette il mantenimento dell’omeostasi dell’endolinfa (analogamente ad una barriera emato-perilinfatica) e ne
impedisce l’ingresso di macromolecole. Tale proprietà si acquisisce durante la vita embrionaria e
la funzione di selettività nel passaggio di molecole all’endolinfa è meno efficace nei neonati che
negli adulti (8).
Le strutture anatomiche sede di regolazione
della concentrazione del K+ nell’endolinfa si identificano nella composizione cellulare della membrana di Reissner, della stria vascolare, dell’organo del Corti e nelle “dark cells” variamente distribuite nel labirinto posteriore.
• La membrana del Reissner è formata da due
tipi di cellule: uno, di natura mesoteliale, si
trova sul versante perilinfatico della membrana
ed è caricata negativamente con conseguente
capacità di blocco all’ingresso nell’endolinfa di
anioni come il Cl-; l’altro, di natura epiteliale,
dotato di giunzioni intercellulari serrate, si contraddistingue per la presenza di canali attivati
dallo stiramento della membrana.
• La stria vascolare costituisce l’elemento cardine nella produzione finale dell’endolinfa per la
presenza di giunzioni cellulari serrate tra le cellule marginali e le cellule basali, stabilendo così
un perfetto controllo nell’isolamento dei comparti endolinfatico e perilinfatico. I meccanismi
di trasporto del K+ sono stati ben identificati nei
modelli sperimentali e si identificano fondamentalmente nella presenza di canali di trasporto codificati geneticamente (KCNJ10,
26
SLC12A2, KCNE1, KCNQ1) (9-12). Il potenziale endococleare sarebbe generato dalle cellule
intermedie della stria vascolare tramite i canali
del K+ di tipo KCNJ10.
• Il turnover del K+ si completa con la messa in
evidenza di giunzioni comunicanti intercellulari,
particolarmente evidenti a livello cocleare.
Queste “gap junctions” formano dei veri e propri canali intercellulari consentendo la diffusione di piccole molecole (<1000 Da), di sostanze nutitrizie, di messaggeri chimici e di ioni.
Sono formate da due emicanali uniti (connessoni), costituiti da proteine (connessine) determinate geneticamente. Il K+ viene rilasciato dal
polo basolaterale delle cellule ciliate, dopo
esservi penetrato in risposta alla corrente di
depolarizzazione cellulare per l’accoppiamento
meccano-elettrico; viene captato da cellule
extrasensoriali, come quelle localizzate nel
solco esterno, ma può anche essere trasportato attraverso la rete delle “gap junctions” agli
spazi perilinfatici del lembo spirale e del legamento spirale. Il raggiungimento degli spazi
endolinfatici avverrebbe, quindi, tramite la rete
connettiva e le giunzioni comunicanti, sia attraverso il legamento spirale e la stria vascolare,
sia attraverso le cellule interdentali del lembo
spirale.
LA REGOLAZIONE
DEI TRASPORTI IDROELETTROLITICI
NELL’ORECCHIO INTERNO
Alcuni meccanismi di carattere endocrinologico sono in grado di intervenire nel controllo dell’omeostasi idrosalina dei liquidi dell’orecchio
interno. L’enzima Na+/K+-ATPasi, fondamentale
nella secrezione dell’endolinfa, viene attivato dai
mineralcorticoidi, i cui recettori sono molto rappresentati nelle cellule marginali.
LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA
Il secondo sistema implicato nel determinare il
volume e l’osmolarità dell’endolinfa è il sistema
ADH/Adenilciclasi/AQP-2 grazie al quale, in
seguito a variazioni dell’osmolarità plasmatica o
ad una variazione di volume di essa, l’ormone
antidiuretico è in grado di attivare l’adenilciclasi
che, a sua volta, attiva la codificazione delle
acquaporine (2 soprattutto), consentendo l’as-
sorbimento di acqua secondo un gradiente
osmotico (13,14).
Numerose sono le segnalazioni sperimentali relative ad altri mediatori implicati nella regolazione dei liquidi dell’orecchio interno; tra queste, le prostaglandine, il fattore natriuretico,
il fattore attivante le piastrine, gli estrogeni
(17β-estradiolo).
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27
Capitolo 3
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO
E DELL’ENDOTELIO
Una nuova finestra sulla patologia vestibolare
Augusto Pietro Casani
DISTURBI VESTIBOLARI:
L’IPOTESI VASCOLARE
Un fenomeno ischemico o emorragico che si
verifica nell’ambito del distretto vascolare
Vertebro-Basilare (V-B) può essere responsabile
di un’ampia gamma di quadri clinici, nei quali la
vertigine rappresenta indubbiamente un sintomo estremamente frequente. In effetti una
buona parte delle sindromi vertiginose causate
da un danno a carico delle strutture vestibolari
centrali, così come molte manifestazioni vertiginose dovute ad una lesione della periferia labirintica, possono riconoscere un’eziologia
vascolare.
Tuttavia le manifestazioni vertiginose possono
essere legate anche ad altri fattori patogenetici,
per cui una precisa diagnosi eziologica assume
estrema importanza specialmente nell’ottica di
una corretta scelta terapeutica.
La vertigine vascolare
La definizione di “vertigine vascolare” è attualmente basata su criteri non ben definiti, spesso
non supportati da una analisi documentata dei
markers tipici di questo particolare agente eziologico, tanto che nella maggior parte dei casi essa
appare più una ipotesi che una vera diagnosi di
certezza.
Di fronte ad una qualsiasi forma di patologia
dell’organo stato-cinetico, si pone il problema
clinico di identificare con precisione il fattore
eziologico responsabile della sintomatologia vertiginosa, in particolar modo nell’ambito delle
forme ad insorgenza acuta. Spesso il dilemma si
riduce al dualismo tra origine vascolare e virale.
Quest’ultima è supportata da numerosi studi che
hanno dimostrato l’esistenza di DNA riconducibile al virus dell’Herpes simplex tipo 1 (HSV-1) e di
altri virus neurotropi nei gangli e nei nuclei vestibolari di soggetti affetti da labirintopatia acuta
periferica; è noto che, dopo un episodio di nevrite vestibolare, possiamo assistere ad un recupero funzionale che in alcuni casi può essere del
tutto completo. Analogamente di notevole
importanza sono i dati epidemiologici e anatomo-patologici. Durante i periodi di epidemia
influenzale è possibile notare un significativo
incremento degli episodi di vertigine acuta, tanto
che è stata dimostrato la presenza di infiltrati
compatibili con un’infiammazione virale nelle
ossa temporali di pazienti deceduti, per altri
motivi, che avevano manifestato in tempi recenti
situazioni cliniche compatibili con una nevrite
vestibolare.
Tuttavia, di fronte ad un paziente che presenta un episodio vertiginoso acuto, non possiamo
non considerare l’ipotesi vascolare tenendo pre-
29
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
sente i suoi risvolti, sia in chiave terapeutica che
prognostica. A tal proposito, in assenza di dati
indicativi che possono emergere sia da indagini
di tipo otoneurologico che di imaging, rivestono
un ruolo importante da un lato i dati anamnestici e. dall’altro, i dati clinici; di fronte a soggetti
portatori di rilevanti fattori di rischio cardiovascolari (CV) – diabete, ipertensione, con episodi
pregressi di infarto miocardio acuto o attacco
ischemico transitorio, ecc. (Tabella 1) – non
dobbiamo assolutamente trascurare l’attenta
ricerca del fattore causale della vertigine.
Questa fase dell’approccio diagnostico al
paziente vertiginoso potrà permettere all’otoneurologo non solo l’impostazione di una terapia specifica per la risoluzione del quadro clinico
attuale, ma anche di intervenire cercando di correggere tutte le condizioni di rischio cosiddette
“modificabili”, al fine di impedire il recidivare
della sintomatologia vertiginosa e di evitare
l’evoluzione verso quadri clinici di tipo ischemico che potrebbero coinvolgere il SNC, specialmente nell’ambito del distretto V-B.
Tabella 1. Dati clinici rilevanti per il rischio cardiovascolare.
FATTORI DI RISCHIO DOCUMENTATI E MODIFICABILI
PER LA PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
30
Ipertensione Arteriosa
Malattie cardiache (Fibrillazione Atriale)
Diabete
Dislipidemia
Obesità
Iperomocistinemia
Ipetrofia Ventricolare
Stenosi Carotidea
Fumo
Alcol
Ridotta attività fisica
Accanto a questi elementi clinici, non dobbiamo dimenticare tutta una serie di considerazioni
di natura anatomo-fisiologica che rappresentano
elementi fondamentali per interpretare nella giusta ottica il ruolo dell’apporto vascolare alle strutture vestibolari periferiche e centrali: il SNC ha un
peso pari al 2% del peso corporeo totale ma riceve il 15% della gittata cardiaca, valutabile all’incirca in 750 ml/min. Per questi motivi, il SNC necessita di una grande quantità di metaboliti, in quanto ossida esclusivamente glucosio attraverso il
ciclo di Krebs, non potendo adottare modalità
energetiche di tipo anaerobico. Una riduzione del
flusso ematico cerebrale del 50-60% causa sintomi neurologici prodromici, mentre una sua
interruzione per 8-10 secondi è generalmente
sufficiente per indurre perdita di coscienza. Una
lesione infartuale si produce quando il flusso
decade sotto i 10-12 ml/100 grammi per minuto.
IL MECCANISMO DI AUTOREGOLAZIONE
DEL FLUSSO EMATICO CEREBRALE
Il sistema circolatorio cerebrale assicura l’apporto di ossigeno e metaboliti attraverso una rete
vascolare terminale multi-anastomotica, la cui
regolazione è assicurata da diversi meccanismi
fisiologici che permettono di mantenere un
costante livello di perfusione. Gli elementi più rilevanti per un corretto flusso ematico cerebrale
sono rappresentati dalla funzione cardiaca, in
modo direttamente proporzionale e all’opposto,
in modo inversamente proporzionale, dalle resistenze vascolari periferiche. In particolare, a livello del microcircolo cerebrale, il controllo delle resistenze vascolari è determinato da un meccanismo di autoregolazione che dipende sia dai valori pressori che dalla resistenza vasale al flusso, a
sua volta correlabile al valore di viscosità ematica
in rapporto al diametro del vaso stesso (Figura 1).
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Legenda: CBF, flusso ematico cerebrale (cerebral blood
flow); CVB, volume ematico cerebrale (cerebral blood
volume); CPP, pressione di perfusione cerebtrale (cerebral
perfusion pressure); CVR, resistenza vasale nel microcircolo cerebrale (cerebrovascular resistance).
Figura 1. Schema dell’autoregolazione cerebrale.
L’autoregolazione cerebrale permette di mantenere costante il flusso ematico al parenchima encefalico anche in condizioni circolatorie generali piuttosto precarie, nell’ambito di valori pressori compresi tra 80 e 180 mmHg, in virtù di fenomeni di
vasodilatazione (quando la PA si riduce) o di vasocostrizione (in presenza di elevati valori pressori).
Possiamo distinguere due principali componenti – una statica e l’altra dinamica –dell’autoregolazione cerebrale.
1. La componente statica, relativa agli aggiustamenti di flusso in risposta alle variazioni progressive della pressione di perfusione, consente che il sistema si adatti ai nuovi valori di
PA dopo una progressiva e graduale modificazione (Figura 2).
La componente dinamica dell’autoregolazione cerebrale permette invece una sua rapida
modificazione a seguito di brusche variazioni
della PA.
Il meccanismo di autoregolazione si basa principalmente sui seguenti processi fisiopatologici:
L’autoregolazione mantiene un flusso cerebrale costante
nonostante le variazioni della PA entro un range compreso tra 60 e 140 mmHg. Un abbassamento della PA oltre
il limite inferiore riduce proporzionalmente il flusso,
mentre un suo incremento al di là dei limiti superiori ne
determina un aumento.
Figura 2. Curva Pressione/Flusso relativa alla circolazione
cerebrale.
• Il livello di contrazione della tonaca muscolare
delle arteriole e dei capillari (per azione del pericita): esso varia in modo inversamente proporzionale ai livelli di PA garantendo un costante
livello di flusso ematico anche di fronte ad
ampie variazioni pressorie.
• Le variazioni di p02 e pCO2: è ampiamente
dimostrato che una riduzione dei valori di ossigeno (e parallelamente un incremento dell’anidride carbonica) riduce il tono arteriolare.
• Un meccanismo di tipo chemorecettorale, i cui
recettori sono ben rappresentati sulla faccia
ventrale del ponte e del bulbo. Il tono arteriolare può essere modulato in funzione delle variazioni del pH tissutale: in questo modo una acidosi comporta ad una riduzione del tono arteriorale con incremento del flusso ematico.
• Esiste anche una componente neurogenica di
controllo del tono arteriolare: il neurone può
modulare la velocità di flusso ematico attraverso la liberazione di tutta una serie di sostanze
peptidiche vasoattive (serotonina, dopamina,
31
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
GABA, ecc.) che vanno ad interagire su specifici recettori presenti sulla pareti delle arteriole
con conseguenti variazioni del tono e quindi
delle resistenza.
• Infine, il ruolo dell’ossido nitrico (NO): sintetizzato sia nelle cellule nervose che in quelle dei
vasi sanguigni a partire dalla L-Arginina attraverso un processo enzimatico, ha ricevuto, del
tutto recentemente, una particolare attenzione.
Pur non essendo ancor ben chiaro il suo ruolo,
l’NO esercita una potente azione vasodilatatoria consentendo di mantenere costante il livello di perfusione cerebrale, specie in condizioni
di riposo (Figura 3).
Sembra comunque che l’NO, più che svolgere un’azione diretta rappresenti un fattore di controllo neurogeno in qualità di mediatore finale
dell’effetto vasodilatatore colinergico. Non va
dimenticato tuttavia che l’NO presenta anche
un’azione ossidante in quanto genera radicali
liberi (ROS) che limitano il metabolismo energeti-
co. Infatti di fronte ad un fenomeno ischemico,
all’inizio si verifica un incremento dell’azione di
enzimi quali la NO-sintetasi a partenza dalle cellule vascolari, mentre, se l’ischemia si protrae, si
assiste ad un incremento dell’NO in virtù di una
produzione da parte delle cellule dell’infiammazione. Questo meccanismo riveste un ruolo
determinante anche nell’ambito della circolazione dell’orecchio interno.
Anche il flusso ematico dell’orecchio interno
mostra gli stessi meccanismi di autoregolazione,
indispensabili per il mantenimento di una corretta
omeostasi dell’endolinfa.
FISIOPATOLOGIA DELLA CIRCOLAZIONE
DELL’ORECCHIO INTERNO
L’apporto vascolare al labirinto e alle strutture
vestibolari centrali è di competenza del circolo
vertebro-basilare, la cui portata di 200 ml/min cor-
Legenda: NO, ossido nitrico; eNOS, isoenzima endoteliale della ossido nitrico sintetasi; nNOS, isoenzima neuronale della ossido nitrico sintetasi; EC, cellule endoteliali; SMC, cellule del muscolo liscio; GTP, guanosin-trifosfato; cGMP, guanosin-monofosfato ciclico.
Attraverso recettori citoplasmatici ed enzimi catalizzatori fuoriesce dalla cellula per indurre vasodilatazione ed inibire l’adesione e la
migrazione nello spazio subendoteliale di piastrine e leucociti.
Figura 3. L’ossido nitrico è sintetizzato da L-arginina all’interno delle cellule endoteliali e dei periciti.
32
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
risponde all’incirca al 20% del circolo anteriore.
Per questo il distretto V-B, in rapporto alla quantità di tessuto, ha maggiore necessità di metaboliti
e di un adeguato e costante livello di perfusione.
Di conseguenza il distretto V-B possiede una particolare sensibilità alle diminuzioni di flusso ematico e, poiché questa area cerebrale comprende la
maggior parte delle strutture neurali coinvolte nel
mantenimento dell’equilibrio, si capisce come la
vertigine possa essere considerata il sintomo più
frequente e precoce di insufficiente perfusione
ematica nel territorio normalmente irrorato dal circolo posteriore o vertebro-basilare.
L’insufficienza vertebro-basilare (IVB)
Generalmente un’ischemia nei territori irrorati dall’arteria vertebrale, basilare e dalle cerebrali posteriori viene definita “Insufficienza VertebroBasilare” (IVB), allo scopo di differenziarla da
analoghi fenomeni ischemici riguardanti il
distretto carotideo, le cui manifestazioni cliniche
e il cui approccio terapeutico sono estremamente diversi.
L’IVB riconosce numerosi meccanismi patogenetici, spesso associati tra loro: aterosclerosi, malformazioni congenite o acquisite, insufficienza
emodinamica, compressione estrinseca, traumatismi, dissecazione, vasculite. Tutti questi fenomeni
possono generare un deficit di perfusione di aree
cerebrali diverse che può essere acuto o cronico.
In quest’ultimo caso, interessando soprattutto i
vasi di scambio, l’ischemia si instaura lentamente
nel tempo realizzando un quadro di microangiopatia cerebrale. L’incidenza della patologia del distretto V-B è indubbiamente superiore a quanto riportato nelle casistiche più recenti, se consideriamo
che le indagini autoptiche hanno permesso di
riscontrare una patologia occlusiva della circolazione V-B nel 5-25% dei casi e che tale percentuale
saliva al 25-50% se il paziente aveva mostrato in
vita segni clinici di patologia cerebro-vascolare. La
maggiore incidenza di lesioni ateromasiche interessa l’ostio e il tratto pre-foraminale dell’arteria
vertebrale, mentre rare sono le lesioni nel tratto
cervicale, ove possono prevalere fenomeni compressivi su base spondiloartrosica (Figura 4).
Figura 4. Anatomia dei vasi cerebro-afferenti.
33
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Dobbiamo sottolineare inoltre un dato rilevante: nel distretto V-B esiste una elevata incidenza
di anomalie anatomiche. In particolare le due
arterie vertebrali presentano una asimmetria di
calibro nel 50-80% della popolazione e addirittura nel 20% dei soggetti l’arteria vertebrale è
emodinamicamente insufficiente. Considerando
che sono necessari almeno 2 mm di calibro per
garantire un flusso sufficiente, la presenza, evidenziabile al doppler o con angio-RM, di una
A
A. Proiezione antero-posteriore
ipoplasia di questa arteria rappresenta un indicatore certo di possibile sofferenza da ridotta perfusione delle strutture vestibolari periferiche, così
come delle regioni tronco-cerebellari, specialmente se coesiste un fattore compressivo che, a
questo livello, è frequentemente legato ad una
spondilosi cervicale.
Le immagini angiografiche in figura 5 documentano quadri fisiologici di circolazione vertebro-basilare.
B
B. Proiezione laterale
Si evidenzia l’area di lieve restringimento delle arterie vertebrali al momento della penetrazione intracranica attraverso il forame magno. Il primo ramo dell’arteria vertebrale è la PICA (arteria cerebellare postero-inferiore). AICA è l’arteria cerebellare
antero-inferiore, generalmente di dimensioni minori della PICA. Dalla porzione posteriore dell’arteria basilare nascono numerosi piccoli vasi penetranti. Le frecce indicano le numerose piccole arterie che nascono dall’apice della arteria basilare e
vanno ad irrorare le regioni diencefaliche.
Figura 5. Normale aspetto angiografico della circolazione vertebro-basilare.
34
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
IVB DA DANNO ISCHEMICO
Da un punto di vista fisiopatologico si parla di
ischemia nel momento in cui il flusso ematico ad
un certo volume di tessuto risulta insufficiente ai
suoi fabbisogni metabolici e, quando il difetto di
irrorazione si protrae per oltre 5 minuti, gli organi
sensoriali specifici vanno incontro a degenerazione. Il quadro clinico è quindi condizionato dalla
durata e dalla sede colpita dall’evento ischemico.
Se l’ischemia si prolunga ulteriormente si realizzeranno delle sindromi infartuali (stroke o ictus)
diverse a seconda dell’arteria coinvolta e del territorio leso. Si parla di attacco ischemico transitorio (TIA) se la sintomatologia è completamente
reversibile nell’arco di 24 ore in virtù di una risoluzione parziale o totale del fenomeno di ipoperfusione tissutale. Tuttavia, se i TIA assumono un
carattere subentrante, il rischio imminente di stroke aumenta in modo significativo.
IVB CENTRALE E PERIFERICA. Un’insufficienza
vascolare a carico del distretto V-B può provocare un danno sia a livello centrale, con interessamento di tronco e cervelletto, sia a livello periferico, con interessamento di coclea e vestibolo,
dando quindi luogo ad un quadro sintomatologico ed obiettivo estremamente polimorfo.
Ne consegue che le strutture vestibolari periferiche e centrali possono essere interessate da
un evento ischemico in modo permanente o transitorio, secondario o ad un deficit di flusso su
base emodinamica anche ad albero vascolare
integro, o per una ostruzione tromboembolica di
un ramo arterioso più distale. In quest’ultimo
caso entrano in gioco numerosi fattori patogenetici, quali: aterosclerosi dei grossi vasi, malattia
delle arterie penetranti, traumatismi, malformazioni vascolari congenite o acquisite, compressione
estrinseca, dissecazione, fenomeni di vasculite
autoimmunitaria ecc. (Figura 6).
Figura 6. Modello schematico della cascata di eventi coinvolti
nella trombogenesi.
L’embolia può riconoscere tre punti di origine:
• cardiaca: 90% dei casi a partire da fibrillazione
atriale, malformazioni cardiache, quali: pervietà
del forame ovale, lesioni valvolari;
• arteriosa: per distacco di un trombo da una
sacca aneurismatica o per distacco da una
placca ateromasica;
• venosa: rara, per lo più in soggetti con pervietà del dotto di Botallo.
In una recente casistica, la frequenza dell’embolismo cardiaco come causa di ischemia
V-B è risultata estremamente elevata (37%),
tanto che un’indagine ecocardiografica così
come il monitoraggio del ritmo cardiaco devono
essere considerati momenti diagnostici indispensabili nel paziente con fenomeni ischemici
che coinvolgono il distretto circolatorio cerebrale posteriore.
35
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
L’ostruzione vascolare può dipendere anche
da una trombosi in situ. La figura 7 mostra i siti
più comuni di sviluppo di una lesione aterosclerotica, nell’ambito del distretto V-B.
La stessa placca aterosclerotica, oltre che
promuovere un’occlusione trombotica in situ, con
conseguente ischemia dei territori irrorati da quel
ramo arterioso, può rappresentare la sorgente di
emboli che vanno ad ostruire rami più distali.
Caplan ha introdotto il concetto di malattia dei
piccoli vasi penetranti: le piccole arterie che irrorano il tronco e le regioni talamiche nascono dalle
Legenda: AICA, arteria cerebellare antero-inferiore; ASA,
arteria spinale anteriore; BA, arteria basilare; ECVA, arteria
vertebrale extracranica; ICVA; arteria vertebrale intracranica;
PCA, arteria cerebrale posteriore; PICA, arteria cerebellare
postero-inferiore; SCA, arteria cerebellare superiore; ECVA,
arteria vertebrale extracranica (extracranial vertebral artery).
Figura 7. I siti di predilezione per la formazione di placche aterosclerotiche (a), dissecazione (d) ed embolismo (e).
36
arterie vertebrali, dalla basilare e dall’arteria cerebrale posteriore. Un focolaio aterosclerotico di
queste arterie può bloccare o estendersi fino
all’origine delle arterie penetranti oppure può
indurre la formazione di microateromi al loro interno inducendo fenomeni ischemici di piccole
dimensioni dei territori irrorati. In questi casi il fattore associato di maggiore importanza è l’ipertensione che può determinare un ispessimento
iperialinotico di questi piccoli vasi favorendo ulteriormente il difetto di perfusione.
Una causa importante, specie nei soggetti
giovani, è rappresentata dalla dissecazione arteriosa. Anche se talora ci può essere un fattore
scatenante (es. un trauma), più spesso la dissecazione avviene in modo spontaneo prevalentemente a livello extracranico in corrispondenza
dell’origine dell’arteria vertebrale o del suo passaggio attraverso la regione della VI vertebra cervicale o dell’atlante. Più rare sono le dissecazioni
in ambito intracranico che coinvolgono nella
maggior parte dei casi la stessa arteria vertebrale, meno spesso la basilare.
In base al meccanismo interessato potremo quindi avere:
• Ipoperfusione dell’intero distretto V-B, per cui
vaste e diverse aree possono subire un danno
ischemico da cui può derivare, tra l’altro, un
danno vestibolare associato periferico e centrale.
• Ipoperfusione di aree di minori dimensioni per
un coinvolgimento generalmente tromboembolico di rami arteriosi di minor calibro fino ad
un interessamento del microcircolo da cui deriva una ischemia che coinvolge aree molto più
circoscritte.
I più comuni pattern di occlusione vascolare nell’ambito dei distretti V-B, sono:
• Occlusione di una piccola arteria penetrante:
ad es. un ramo della basilare che causa un
infarto lacunare della regione pontina ventrale.
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
• Stenosi od occlusione di un ramo arterioso circonfenziale: ad es. PICA (arteria cerebellare
postero-inferiore) o AICA (arteria cerebellare
antero-inferiore).
• Stenosi o occlusione di una grande arteria
prossimale con ischemia distale su base emodinamica: ad es. una stenosi della vertebrale
alla sua origine che causa vertigine acuta,
atassia e disartria.
• Occlusione su base embolica di un ramo prossimale per danno locale: ad es. un infarto occipitale secondario ad una placca aterosclerotica ulcerata nell’arteria vertebrale.
• Occlusione su base embolica ad origine cardiogena: ad es. un infarto cerebellare conseguente ad un’embolia secondaria a fibrillazione
atriale.
SINDROMI VERTIGINOSE
DA IVB CENTRALE E PERIFERICA
Nell’area vertebro-basilare l’insufficienza circolatoria si esprime più precocemente a carico dei
distretti irrorati dall’arteria uditiva interna, poiché il
labirinto ha scarse capacità di adattamento e
possiede una vascolarizzazione di tipo terminale.
Per questo motivo, l’insufficienza circolatoria
del distretto V-B rappresenta una causa comune
di vertigine, soprattutto in soggetti di età superiore ai 50 anni; e l’elevata incidenza di questo sintomo, nell’ambito dei sintomi iniziali di IVB, conferma l’importanza dei disturbi del circolo posteriore nella genesi di molte sindromi vertiginose.
Tuttavia risulta molto spesso difficile interpretare e
accertare l’eziologia vascolare di un isolato episodio vertiginoso, quando esso non sia associato
ad altri sintomi di natura neurologica. In effetti
solo la contemporanea presenza di due o più
segni/sintomi è considerata sufficiente per
sospettare l’origine vascolare del problema.
La sintomatologia vertiginosa che ne deriva
può essere presente in forma isolata: in questo
caso risulta generalmente di breve durata (3-5
minuti) a carattere rotatorio e tendenzialmente
ricorrente, in quanto indotta da ipoperfusione
periferica, o associata ad altri sintomi neurologici
e quindi verosimilmente legata ad un interessamento delle strutture vestibolari centrali. Inoltre
questi sintomi (Tabella 2) sono più indicativi di
una sede di lesione che di una eziologia.
Tra le forme centrali assume notevole importanza la sindrome di Wallemberg o Sindrome
laterale del bulbo, causata da una ostruzione
della PICA o, più frequentemente, dell’arteria vertebrale (Figura 8).
Questa sindrome si caratterizza per l’insorgenza di vertigine rotatoria di lunga durata (da 12
ore fino a qualche giorno) con lateropulsione,
nistagmo unidirezionale orizzontale rotatorio,
parestesie periorali, sindrome di Horner e disartria. Nel suddetto quadro clinico, la sintomatologia vertiginosa è indistinguibile da quella di una
nevrite vestibolare, per cui, di fronte ad un
paziente con un quadro clinico caratterizzato da
intensa vertigine rotatoria e nistagmo spontaneo
Tabella 2. Sintomi di Insufficienza Vertebro-Basilare.
• Vertigine
• Disturbi visivi (diplopia, deficit del campo visivo,
allucinazioni, cecità)
• Turbe dell’equilibrio, atassia
• Disturbi della sensibilità e motilità facciale
• Drop Attacks
• Segni cerebellari (incoordinazione)
• Cefalea
• Confusione mentale
• Perdita di conoscenza
• Disartria
• Ipoacusia e acufeni
37
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 8. L’area colorata in rosa mostra la porzione cerebrale (porzione laterale del tegmento del midollo allungato) colpita da ischemia nella sindrome di Wallemberg.
unidirezionale, è fondamentale ricercare la presenza dei segni neurologici (in particolare alterazioni della sensibilità facciale, segni di deficit degli
ultimi nervi cranici, sindrome di Horner), specie se
il paziente ha un’età superiore ai 50 anni ed è
portatore di fattori di rischio CV.
Nel caso di una ostruzione dell’AICA, si sviluppa
una sindrome infartuale nella quale la sintomatologia vertiginosa può essere dovuta sia ad un danno
ischemico delle strutture tronco-cerebellari, che ad
un interessamento periferico audio-vestibolare,
visto che l’arteria uditiva interna deriva per lo più
dall’AICA. Più raramente un quadro clinico simile
può essere la conseguenza di un infarto cerebellare isolato, specialmente del territorio irrorato dalla
PICA, da cui l’importanza di ricercare segni compatibili con una lesione di questo distretto.
Pertanto, di fronte ad un soggetto che presenta il quadro clinico della grande vertigine periferica
in assenza di evidenti segni neurologici, si pone
immediato il quesito riguardante l’eziopatogenesi
del disturbo. In realtà, inquadrare una labirintopatia
acuta periferica nell’ambito di una forma vascolare
risulta molto spesso estremamente complesso,
38
tanto che si ritiene che queste ultime siano meno
frequenti rispetto alle forme di origine ad esempio
virale. La presenza di fattori di rischio CV, l’anamnesi positiva per pregressi episodi ostruttivi su base
vascolare in altri distretti, l’età superiore ai 50 anni,
rappresentano elementi clinici che possono far
supporre l’eziologia vascolare del danno labirintico
acuto monolaterale. Tuttavia è comunemente ritenuto che l’ischemia labirintica, rispetto alla forme di
nevrite vestibolare, rappresenti una causa meno
comune di sintomi vestibolari od uditivi isolati.
Qualora la vertigine abbia un carattere meno
violento e più ricorrente, ci possono essere di
aiuto gli aspetti temporali, di durata, del quadro
clinico, che possono rappresentare una chiave di
lettura importante anche nella diagnosi differenziale. Vertigini episodiche di breve durata (3-5
minuti) e con rapida risoluzione in pazienti con
fattori di rischio CV o con patologie cardiovascolari in atto, hanno generalmente un’eziologia
vascolare; al contrario, come abbiamo già sottolineato, vertigini di durata maggiore e con graduale risoluzione hanno minori possibilità di
avere un’origine ischemica. Questa osservazione
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
deriva da studi che
hanno documentato che
questo tipo di vertigine
può precedere in un elevato numero di casi la
comparsa di uno stroke.
Infatti nel 25% dei
pazienti con una ostruzione dell’arteria basilare
rilevata alla valutazione
autoptica, la vertigine
ricorrente episodica rappresentava il sintomo
iniziale ed unico. Nel
70% dei soggetti che
hanno poi sviluppato TIA
del distretto V-B, la vertiFigura 9. La vascolarizzazione dell’orecchio interno.
gine ricorrente era il sintomo prevalente. In questi soggetti era spesso presente una ridotta restante 20% direttamente dall’arteria basilare –
risposta del labirinto alle prove caloriche, a con- si divide nella arteria vestibolare anteriore (AVA),
ferma dell’interessamento anche periferico del che irrora l’utricolo, la parte superiore del sacculo e i canali semicircolari anteriore e laterale, e
deficit di perfusione.
Tuttavia, in presenza di vertigine isolata è nella cocleare comune, che a sua volta si divide
estremamente difficile stabilire l’eziologia vascola- nell’arteria cocleare principale e nella arteria vestire; in altri termini, esistono forme monosintomati- bolo-cocleare. Quest’ultima attraverso il ramo
che di IVB? In effetti, di fronte ad un deficit vesti- vestibolare posteriore irrora la parte inferiore del
bolare monolaterale associato ad ipoacusia sacculo (che comprende la macula) e il canale
improvvisa ispilaterale, non è possibile escludere semicircolare posteriore (Figura 9).
L’AUI è un’arteria terminale di piccolo calibro
a priori un’origine vascolare legata nel caso specifico ad un’ostruzione dell’arteria uditiva interna. con scarsi collaterali, caratteristica che giustifica la
Anche quando non vi sono manifestazioni udi- particolare suscettibilità delle strutture cocleotive associate, come non considerare un’origine vestibolari all’ischemia. Questa particolare precavascolare della vertigine? Il labirinto posteriore è rietà fisiologica è ancora maggiore per i distretti di
irrorato dall’arteria vestibolare anteriore, vaso di competenza dell’AVA a causa della maggiore esipiccolo calibro privo di circoli collaterali e dal guità del calibro arterioso e per la totale assenza di
ramo vestibolare dell’arteria cocleo-vestibolare.
collaterali; per questo motivo si capisce come
Le due arterie citate derivano dall’arteria uditi- un’alterazione vascolare dell’orecchio interno induva interna (AUI), il cui calibro non supera il decimo ca più facilmente fenomeni vertiginosi piuttosto
di millimetro. L’AUI – che nasce nell’80% dei casi che patologie uditive. Questa peculiare condizione
dall’arteria cerebellare antero-inferiore e nel vascolare della porzione vestibolare dell’orecchio
39
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
interno comporta evidenti conseguenze cliniche
che portano anche a sottolineare il ruolo dei disturbi di circolo nella genesi di molte sindromi vertiginose. Sulla base di indiscutibili osservazioni anatomo-patologiche è possibile giustificare la cosiddetta sindrome di Lindsay-Hemenway (o sindrome
dell’arteria vestibolare anteriore): in questo caso si
verifica un danno a carico dell’orecchio interno su
base vascolare in virtù di una ostruzione selettiva
dell’arteria vestibolare anteriore. Il quadro clinico si
caratterizza pertanto per un episodio acuto di vertigine acuta periferica seguito (indotto dalla lesione
ischemica del canale semicircolare laterale e dell’utricolo) da crisi vertiginose posizionali parossistiche posizionali. L’utricolo degenerato libera una
grande quantità di materiale otolitico che si deposita nel canale semicircolare posteriore che risulta
tuttora funzionante, in quanto irrorato, insieme al
sacculo, non dall’arteria vestibolare anteriore ma
da rami dell’arteria vestibolo cocleare (Figura 10).
IL MICROCIRCOLO
COCLEO-VESTIBOLARE
Partendo da questi presupposti che inducono
a non sottovalutare il ruolo dei problemi circolatori nella genesi di disturbi vestibolari, spesso viene
dimenticato che tutto l’apporto vascolare ai vari
distretti corporei viene finalizzato dal microcircolo.
Il microcircolo rappresenta la parte del sistema
vascolare che porta a compimento il trasporto dei
metaboliti ematici (ossigeno e glucosio) dai grossi vasi fino al tessuto cerebrale, ma la sua funzionalità è indubbiamente la più difficile da indagare,
almeno in vivo.
La struttura della sua parete vascolare ed in
particolare le caratteristiche dell’endotelio rappresentano elementi di fondamentale importanza
nell’autoregolazione del flusso ematico locale; in
altri termini l’endotelio non è un semplice rivesti-
40
L’ostruzione dell’arteria vestibolare anteriore (AVA) causa
una lesione ischemica del canale semicircolare anteriore
(CSA), laterale (CSL) e dell’utricolo, mentre il canale posteriore (CSP) viene risparmiato.
Figura 10 Schema della sindrome di Lindasy-Hemenway.
mento delle strutture vasali ma svolge tutta una
serie di funzioni che lo hanno fatto definire “organo” o “laboratorio” endoteliale (Figura 11).
L’endotelio riveste la superficie luminale della
parete vasale fino a livello dei capillari, che sono
costituiti da solo endotelio. Esso si presenta
come un singolo strato di cellule che riveste la
superficie luminale della parete vasale che è
costituita da cellule muscolari lisce, fibroblasti e
Figura 11. La struttura dell’unità microcircolatoria: arteria, anastomosi arteriolo-venulare, letto capillare e vena.
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
fibre collagene ed elastiche (Figura 12).
Per dare un’idea quantitativa dell’importanza
di questa struttura basti pensare che la massa
globale delle cellule endoteliali corrisponderebbe
a 250 grammi in una persona di 70 kg con una
superficie piana di 1200 m2.
Il capillare è formato quindi da uno strato di
cellule endoteliali allungate secondo l’asse longitudinale del vaso. Le cellule sono unite tra loro da
una sostanza cementante di tipo reticolare.
L’endotelio poggia su una membrana basale con
l’interposizione di fibre collagene (Figura 13).
La membrana basale in alcuni punti si sdoppia
per avvolgere una cellula contrattile detta pericita
(Figura 14) o miocita dotata di attività muscolare
tale da garantire un minimo grado di tonicità della
parete.
Il pericita è una vera e propria cellula muscolare che si trova in uno stato di contrazione tonica e possiede una capacità contrattile spontanea
e ciclica che realizza una continua alternanza tra
vasodilatazione e vasocostrizione con un’azione
conseguente di stimolo al flusso definita “flowmotion”. Questo meccanismo induce le ritmiche
variazioni pressorie che costituiscono la principa-
le fonte di energia cinetica necessaria per superare l’attrito viscoso che si sviluppa tra capillare e
sangue, favorendone lo scorrimento. Inoltre il
pericita sembra possa interferire nel controllo
della replicazione delle cellule endoteliali tanto
che la scomparsa del pericita, come avviene nella
microangiopatia diabetica, può determinare una
grave disfunzione della membrana basale. Periciti
dotati di attività contrattile sono stati dimostrati
Figura 13. Schema di cellula endoteliale di un capillare circondato da periciti. Attraverso i pori endoteliali avviene lo scambio
tra lume vascolare e tessuto circostante, in presenza di membrana basale integra.
Figura 14. Immagine al microscopio elettronico a scansione di
un pericita (in colore fucsia) che circonda un’arteriola.
Figura 12. Le cellule endoteliali presentano il nucleo colorato di
blu. Le giunzioni intercellulari appaiono come linee scure (colorazione con nitrato d’argento).
41
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 15. Immagine di glicocalice arterioso a diversi ingrandimenti.
nei vasi del ligamento spirale cocleare ipotizzando quindi un ruolo importante nella regolazione
del flusso microcircolatorio dell’orecchio interno.
L’endotelio cerebrale presenta aspetti peculiari che sono alla base della cosiddetta barriera
emato-encefalica. La mancanza di fenestrazioni e
la presenza di giunzioni serrate tra le cellule limita
fortemente il trasporto passivo tra sangue e
regione subendoteliale; il passaggio dei metaboliti viene a questo livello regolato da un meccanismo di trasporto attivo che comporta una rilevante spesa energetica ma che assicura una permeabilità selettiva al microcircolo cerebrale.
I capillari sono in grado quindi di regolare il
flusso in funzione del reale fabbisogno di metaboliti ed ossigeno da parte dei tessuti.
L’entità del flusso viene regolata dalla tunica
muscolare del canale (o anastomosi) di SucquetHoyer, dalle meta-arteriole e dagli sfinteri precapillari che indirizzano il flusso ematico sulla
base della necessità attuale. Il sangue passa
direttamente dalle arteriole alle venule tramite il
canale di Sucquet-Hoyer, mantenendo una fisiologica irrorazione di tutti i distretti. Questo flusso
viene tuttavia deviato quando uno specifico
distretto richiede un maggior apporto nutritivo: il
canale di Sucquet-Hoyer si restringe, gli sfinteri
pre-capillari si aprono e il sangue arterioso arriva
in quantità superiore nei capillari di quel distretto.
Il flusso sanguigno sarà più lento tanto più si avvicina alla parete vasale e risulta quasi immobile
42
quando si trova a contatto con lo stato endoteliale. È a questo livello che assume un ruolo di assoluto rilievo la superficie interna del capillare. Essa
è ricoperta da un rivestimento molecolare definito film endoteliale in cui sono presenti monomeri
di fibrina e sostanze atrombogene. Queste due
componenti sono costantemente in rinnovamento grazie ad un perfetto e costante equilibrio tra
formazione di fibrina e fibrinolisi.
Questo film non deve essere considerato
un’interfaccia passiva, ma esso svolge diverse
funzioni:
• garantisce la coesione delle cellule endoteliali;
• influenza la permeabilità capillare;
• influenza la viscosità ematica;
• interviene nei processi di coagulazione e di flogosi.
Tra queste sostanze di fondamentale importanza sono i glicosaminoglicani (GAGs), la cui
caratteristica fondamentale è quella di possedere
cariche elettriche negative (gruppi SO4-) che proteggono la superficie endoteliale dall’adesione di
leucociti e piastrine (Figura 15).
L’integrità di questa barriera assicura, in condizioni fisiologiche, una risposta endoteliale equilibrata attraverso un meccanismo di “signaling” che
potremmo definire come una mediazione esercitata dall’organo endoteliale relativa a tutti i segnali
pressori, chimici ed enzimatici del flusso sanguigno.
Le funzioni dell’endotelio (Figura 16) sono rappresentate da:
• Attività di barriera diretta verso le cellule del
sangue, composti macromolecolari, particelle
libere e nei confronti del trasferimento di substrati metabolici.
• Regolazione dell’emostasi attraverso un equilibrio tra fattori Pro-emostatici (che sottraggono
al circolo fattori attivati della coagulazione) e
Antitrombotici (GAGs) ad azione anticoagulante. I primi localizzano il processo emocoagula-
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Figura 16. In condizioni normali il glicocalice impedisce l’adesione degli elementi corpuscolati alla superficie endoteliale (A); nello
schema (B) sono indicate le altre funzioni espletate dall’endotelio.
tivo sulla superficie endoteliale e sottraggono
al circolo fattori attivati della coagulazione. I
secondi coinvolgono sia molecole simil-epariniche (GAGs, in particolare eparansolfato) della
superficie interna dei capillari e della matrice
extracellulare subendoteliale (eparansolfato,
dermatansolfato e condroitinsolfato) che la
trombomodulina, tutte sostanza ad attività
anticoagulante. Un ulteriore fondamentale elemento di tromboresistenza è fornito dalla carica elettrica negativa dell’endotelio, garantita
dalla solfatazione dei GAGs, che respinge le
piastrine e altri elementi cellulari del sangue,
impedendone l’adesione alla parete vasale.
• Sintesi di costituenti della matrice extracellulare (collageno tipo IV e V, laminina, elastina,
mucopolisaccaridi, fibronectina ecc.): si tratta
di sostanze presenti nella membrana basale
che hanno un ruolo fondamentale per l’adesione tra le cellule endoteliali, tra cellule endoteliali
e substrato nonché tra le stesse proteine della
matrice. Esse favoriscono il rimodellamento
tissutale durante l’embriogenesi, della cicatrizzazione delle ferite e nella rimozione di detriti
circolanti.
• Regolazione del tono vascolare che avviene in
virtù di appositi meccanocettori endoteliali che
inducono la produzione di endotelina (potente
43
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
vasocostrittore), e di EDRF (Endothelium
Relaxing Factor) ad azione vasodilatatoria.
L’endotelio regola dinamicamente il tono
vascolare agendo sui periciti attraverso un’intereferenza sul rapporto tra produzione di NOx
(ossido nitrico) e la rimozione di ROS (radicali
liberi di ossigeno). In condizioni patologiche
tale rapporto (NOx/ROS) diviene negativo.
• Angiogenesi. La formazione di nuovi vasi è
legata alla capacità di sintetizzare i componenti della matrice extracellulare che fa da impalcatura per la crescita del nuovo endotelio.
Questo processo viene modulato da fattori
agonisti e antagonisti specifici (EGF, FGF,
ECGF, IFN, TNF). Piccole lesioni endoteliali
vengono invece riparate per migrazione delle
cellule endoteliali adiacenti.
• Interazione con i meccanismi che regolano la
flogosi e l’immunità. I leucociti interagiscono
normalmente con la parete vascolare durante il
continuo rapporto sangue/tessuti e durante la
genesi della risposta flogistica ed immunitaria.
In condizioni di flogosi dell’endotelio (anche su
base immunitaria) i leucociti aderiscono alla
parete provocando lesioni che vanno dall’aumento della permeabilità alla morte cellulare
con esposizione del subendotelio.
Nell’ambito delle diverse funzioni endoteliali, il glicocalice di GAGs riveste il ruolo predominante in
quanto esso riesce a modulare la risposta della
parete vasale con un meccanismo detto “signaling”.
Il film endoteliale ha uno spessore variabile da
un minimo di 0.5 mm dei capillari ai 4.5 mm del-la
carotide e i GAGs più rappresentati sono
eparina/eparansolfato, dermatansolfato e condroitinsolfato. Il Dermatansolfato in particolare inattiva
la trombina tramite il Cofattore Eparinico II che
possiede potente azione antitrombotica. Il glicocalice contiene anche Glicoproteine (Selectine ed
Integrine) che lo legano alla cellule endoteliali.
In ogni distretto il glicocalice di GAGs regola
l’equilibrio dinamico tra gli stimoli meccanici (es.
pressori), chimici (es. glicemia) e biologici (es.
ormoni) del flusso controllando in ultima analisi la
risposta vascolare comportandosi come un vero
e proprio sensore endoteliale (Figura 17).
Il glicocalice di GAGs è indubbiamente il primo
bersaglio degli insulti derivanti da alcune condizioni patologiche quali ipertensione, diabete, iperlipemia, iperviscosità, stasi e, in generale, tutte le
condizioni che rientrano nei fattori di rischio CV
(Figura 18).
Figura 17. Il glicocalice di GAGs modula la risposta endoteliale in condizioni fisiologiche, in particolare proteggendo la parete vascolare dall’adesione di leucociti e piastrine per la presenza di cariche elettriche negative di superficie (gruppi SO4- dei GAGs).
A. Glicocalice fisiologico. B. Glicocalice patologico.
44
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Figura 19. Immagine schematica di un glicocalice intatto (a
sinistra) e danneggiato (a destra).
Figura 18. Schema delle funzioni protettive del glicocalice ed
effetti patogenetici della disfunzione endotelale a livello di circolazione arteriosa e microvascolare.
Queste condizioni patologiche determinano
un’alterazione della composizione del glicocalice
prevalentemente – e più precocemente – a livello
dei piccoli vasi, in quanto la struttura più resistente delle arterie (laddove il glicocalice ha uno spessore maggiore) rende il processo di danneggiamento più lungo (Figura 19).
La funzione protettiva è presente ovunque vi
sia una superficie endoteliale. Tuttavia il suo
ruolo sarà più rilevante laddove il glicocalice controlla direttamente gli scambi dei fluidi, quindi a
livello del microcircolo. Nei vasi di maggior calibro il principale ruolo del glicocalice è quello di
proteggere l’endotelio dall’adesione piastrinica e
leucocitaria: quindi, in ultima analisi, dall’aterosclerosi vasale.
Pertanto, sotto la spinta dei fattori di rischio
CV, la degradazione fino alla rimozione dei GAGs
della faccia endoluminale può innescare l’attivazione della flogosi endoteliale nell’ambito non
solo dei vasi cerebrali di maggior calibro, ma
anche nel microcircolo, compreso quello cocleovestibolare (Figura 20).
Figura 20. Schema della reazione endoteliale al danno meccanico, chimico e biologico.
45
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Legenda: ALCAM, Activated Leukocytes Cell Adhesion Molecule; ICAM-1, Intercellular Adhesion Molecule-1; VCAM-1, Vascular
Cell Adhesion Molecole-1; IL-1β, interleuchina 1β; TNF, tumor necrosis factor; IFN-γ, interferone-γ.
(a) In condizioni normali le cellule endoteliali esprimono sia ICAM-1 sia VCAM-1 (in misura minore).
(b) A seguito di uno stimolo infiammatorio si verifica una upregolation di ICAM-1 e VCAM-1 che comporta una migrazione transcellulare o pericellulare dei leucociti (freccia nera) e un signaling intracellulare nelle cellule endoteliali (freccia bianca).
(c) Le giunzioni (in verde) tra le cellule endoteliali dei vasi cerebrali sono più dense e le stesse cellule esprimono ALCAM.
(d) Durante il processo infiammatorio, la produzione di ICAM-1 e ALCAM è aumentata. ICAM-1 e ALCAM legano i rispettivi ligandi (LFA-1 e CD6) presenti sui linfociti, che possono così migrare fino a livello sub-endoteliale.
Figura 21. Modello di attivazione di meccanismi pro-trombogeni di adesività piastrinica e leucocitaria, in presenza di danno endoteliale e conseguente degradazione dei GAGs di parete.
La perdita dei GAGs determina la flogosi endoteliale esponendo direttamente le cellule endoteliali al flusso ematico, da cui deriva (anche in virtù dell’esposizione di proteine come Selectine e
Integrine) l’adesione delle piastrine, il rilascio di fattori trombogenetici e la riduzione dell’attività fibrinolitica. L’adesione viene poi esaltata dalla presenza di
molecole quali VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion
Molecole-1, prodotte sia da leucociti che fibroblasti), ICAM-1 (Intercellular Adhesion Molecule-1,
prodotti dalle cellule endoteliali) e ALCAM
(Activated Leukocites Cell Adhesion Molecule)
(Figura 21). Queste ultime sono esclusivamente pre-
46
senti nell’endotelio cerebrale, laddove interagiscono
con le integrine a livello della superficie cellulare.
In tutto questo processo si verifica una significativa perdita delle cariche negative che caratterizzano la superficie dell’endotelio e che impediscono l’adesione degli elementi cellulari del sangue circolante sull’endotelio stesso: questo fenomeno permette il rolling dei leucociti sulle pareti
vasali con adesione all’endotelio anche in ragione
della brusca riduzione dei valori pressori tra area
arteriolare e venulare, indotta dall’incremento
della permeabilità vasale (Figura 22).
Si vengono così a determinare le condizioni
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Figura 22. Fasi del danno endoteliale da rimozione del glicocalice di parete.
favorevoli ad un evento trombotico e all’alterazione della permeabilità vasale, entrambi possibili
responsabili di un fenomeno ischemico (Figura
23). In particolare l’adesione di leucociti piastrine
promuove la cascata di citochine, l’espressione
genica di fattori di crescita (ad es. VEGF, TGH,
HGF) e il rilascio di fattori pro-trombotici. La concomitante alterazione della permeabilità vasale
provoca una riduzione del passaggio di ossigeno
Figura 23. Un grave danno ipossico dell’endotelio provoca
l’esposizione dello spazio suendoteliale (apertura ovale evidenziata dalle frecce) che mostra lamelle elastiche (EL), detriti di
fibre collagene (CO). Si evidenziano anche piastrine (TH) e propaggini della cellula endoteliale (E).
ai tessuti da cui derivano fenomeni di sofferenza
ischemica cellulare che causa l’alterazione della
bilancia NOx/ROS.
Il modello di risposta al danno
Il danno endoteliale e la degradazione dello
strato di GAGs ha conseguenze tissutali e conseguenze emoreologiche (Figura 24).
Conseguenze Tissutali:
• Iperpermeabilità di parete ed infiltrati leucocitari da
cui deriva una diminuzione della perfusione di O2.
• Diminuzione dell’attività contrattile e proliferazione dei periciti per produzione di VEGF
(Vascular Endothelial Growth Factor) con
ispessimento della membrana basale.
• Degradazione della matrice extracellulare per
aumento di metalloproteasi (MMP) che si
accumula negli spazi extracellulari.
Conseguenze Emoreologiche:
• Adesione di piastrine e leucociti e formazione
di aggregati prodromici di fenomeni microtrombotici
• Rilascio di fattori protrombotici (Tissue Factor) e
riduzione di fattori inibenti l’attività della trombina
47
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
a causa del depauperamento di dermatansolfato sulla superficie endoteliale che funge da attivatore del cofattore eparinico II.
• Ridotta attività fibrinolitica e iperviscosità con
conseguenti disordini emoreologici.
• Ridotto flusso ematico (stasi) per inibizione alla
produzione di NOx e prevalenza dei radicali
liberi di ossigeno (Alterazione della bilancia
NOx/ROS). I ROS, sostanze ossidanti definite
anche comunemente radicali liberi, sono gruppi di molecole prodotte a partire dall’ossigeno
molecolare e sono caratterizzati dalla presenza
di elettroni spaiati altamente reattivi in grado di
danneggiare le strutture cellulari e la struttura
di GAGs che protegge il lume endoteliale. La
presenza di un elevato livello di ROS, come
accade in corso di vasculopatia, provoca
numerose conseguenze patologiche, tra cui:
apoptosi, proteolisi incontrollata, azione mutagena sul DNA e perossidazione lipidica.
Le conseguenze di un danno endoteliale si
fanno inoltre risentire a livello sistemico: ovunque
il danno si sia verificato, esso provoca uno stato
di ipercoagulabilità che contribuisce ulteriormente all’insorgenza di un danno ischemico cerebrale. La lesione endoteliale determina una riduzione
locale delle capacità antitrombotica, da cui deriva
un accumulo di piastrine e leucociti. Una buona
parte di questi elementi cellulari passa in circolo
favorendo globalmente una condizione di ipercoagulabilità che aumenta il rischio ischemico
specie nei casi in cui esiste un maggior rischio di
disfunzione endoteliale sistemica, come accade
nei soggetti anziani, negli ipertesi, diabetici e
comunque con fattori di rischio CV (Figura 25).
Il glicocalice di GAGs sulla parete vasale è
oggi considerato una barriera fra la condizione
vascolare fisiologica e quella patologica, tanto
che l’integrazione dei GAGs di parete ripristina il
tono vascolare attraverso la correzione della
48
Figura 24. Conseguenze dell’alterazione endoteliale. 1.
Processi infiammatori da adesione piastrinica e leucocitaria. 2.
Formazione di microtrombi per alterazione dell’attività fibrinolitica e rilascio di fattori protrombotici. 3. Alterazione della perfusione capillare.
bilancia NOx/ROS che risulta invertita a favore dei
ROS nei processi di danno endoteliale.
Lo schema di risposta al danno su base flogistica endoteliale apre a nuove soluzioni terapeutiche che integrano i classici schemi terapeutici
orientati alla correzione dei fattori di rischio CV e
alle singole disfunzioni tissutali (ad es. ischemia)
ed emoreologiche (ad es. trombosi), ponendo la
reintegrazione dei GAGs di parete (glicocalice)
come barriera ai processi flogistici endoteliali che
sostengono la disfunzione endoteliale e i processi ischemici e trombotici connessi, caratterizzati
come qualsiasi processo infiammatorio dalla
capacità di autoalimentarsi al di là della correzione dei fattori di rischio CV che li hanno innescati. In questo senso, il glicocalice oggi è considerato come una vera e propria barriera che divide
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Figura 25. In presenza di un danno endoteliale (A), piastrine e leucociti si accumulano nel sito di lesione; numerosi elementi cellulari attivati possono passare nel circolo sistemico favorendo una condizione di maggiore trombogenecità del sangue. Se l’endotelio è normale
(B), il sangue appare molto meno trombogenico prevenendo una interazione patologica tra le cellule circolanti e l’endotelio stesso.
uno stato vascolare fisiologico da uno patologico. La reintegrazione dei GAGs di parete può
essere pertanto considerata una tappa fondamentale per ristabilire un effetto barriera ai processi flogistici che sostengono la disfunzione
endoteliale e i processi ischemici/trombotici ad
essa connessi. Questi eventi hanno peraltro la
capacità di autoalimentarsi anche laddove si sia
provveduto alla correzione dei fattori di rischio
CV che li hanno innescati. Pertanto la ricostruzione della barriera anionica (con le relative cariche negative) permette di ottenere una funzione
antiinfiammatoria inibendo l’adesione dei leucociti, consente di ripristinare l’attività antitrombotica di parete attraverso l’inibizione dell’adesione
piastrinica ed infine induce la normalizzazione del
tono vascolare che viene alterato nei processi di
danno endoteliale a causa dell’alterazione della
bilancia NOx/ROS.
Numerose sono le conferme sperimentali
relative al ruolo dei GAGs nei fenomeni di stress
ossidativo: è stato dimostrata la capacità del glicocalice di mobilizzare dalla matrice endoteliale
alcuni enzimi quali la mieloperossidasi, prodotti
dai processi flogistici dell’endotelio che riducono
la biodisponibilità di NO. È stata inoltre documentata una correlazione diretta tra l’iperfibrinogemia e disfunzione endoteliale in soggetti sottoposti ad endoarteriectomia per patologia ischemica CV. L’ipotesi della ricostituzione del glicocalice come target terapeutico nelle patologie
ischemiche CV viene confermata anche dal
riscontro che il Cofattore Eparinico II legandosi al
suo precursore, il dermatansolfato, in corrispondenza dei lesioni vasali quali la rottura di una
placca ateromasica induce il rallentamento fino
al blocco del processo aterotrombotico.
I fenomeni descritti comportano in ultima analisi un insulto ischemico di una porzione variabile di
tessuto cerebrale da cui deriva la perdita distrettuale dei meccanismi di autoregolazione. Tuttavia il
flusso ematico privilegia le aree laddove questi
meccanismi sono mantenuti, realizzandosi un
fenomeno di furto vascolare a carico dei distretti
ischemici il cui deficit di perfusione si aggrava ulteriormente. In questa fase se la noxa patogena
viene rimossa si può verificare una fenomeno di
riperfusione con ripristino dell’autoregolazione e
49
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
regressione della sofferenza neuronale. In molti
casi la riperfusione (la cui realizzazione dipende
dall’entità e dalla durata dell’evento ischemico) si
instaura piuttosto rapidamente non permettendo
quindi l’insorgere di sintomi clinicamente evidenti.
I fattori di rischio cardiovascolare
e i biomarkers
Da quanto è stato finora esposto è possibile
affermare che l’attivazione della flogosi endoteliale sia nei vasi cerebrali di maggior calibro che a
livello del microcircolo è strettamente correlabile
con i fattori di rischio CV. Pertanto lo studio della
loro presenza nel soggetto con patologia vertiginosa rappresenta un momento di fondamentale
importanza non solo ai fini diagnostici ma soprattutto in termini di approccio terapeutico.
Analogamente l’individuazione di biomarkers
specifici indicativi sia del rischio vascolare generico che, più specificatamente, di flogosi endoteliale può essere l’elemento chiave al fine di poter
ipotizzare un fattore eziologico specifico nella
genesi di molti disturbi vertiginosi.
Accanto ai ben noti fattori di rischio (età, ipertensione, fumo, diabete, iperlipemia) dobbiamo
anche prendere in considerazione la presenza di
patologia cardiaca, in particolare i disturbi del
ritmo (fibrillazione atriale) e alcune patologie congenite (pervietà del forame ovale) che determinano un rilevante rischio trombo-embolico a carico
dei distretti V-B.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla
introduzione di un sempre maggior numero di fattori di rischio misurabili con metodi di laboratorio,
la cui effettiva validità ai fini della prevenzione primaria e secondaria della patologia cerebrovascolare su base prevalentemente aterosclerotica necessita in molti casi di una validazione clinica (Tabella 3).
Per valutare gli specifici fattori di rischio ci affidiamo alla valutazione di biomarkers. Per bio-
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Tabella 3. I fattori di rischio cardiovascolari.
CLASSICI FATTORI DI RISCHIO (BEN DIMOSTRATI)
•
•
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•
•
•
•
Età
Sesso
Storia familiare positiva per malattie cardiovascolari
Ipertensione arteriosa sistemica
Abitudine al fumo
Dislipemia
Inattività fisica
Obesità
Diabete
Stati prolungati di stress psico-fisico e/o
particolari tipologie psicologiche
• Condizioni economiche disagiate
• Stato ormonale estrogenico
NUOVI FATTORI DI RISCHIO
(RECENTEMENTE PROPOSTI)
•
•
•
•
Omocisteinemia
Fibrinogenemia
Lipoproteina(a)
Microalbuminuria
Enzima γ-glutamil transferasi (γ-GT)
Angiotensina II
Uricemia
Marcatori della funzione coagulativa e
fibrinolitica (come: d-Dimero e fattore V Leiden)
• Marcatori di infiammazione, come: proteina C reattiva
(CRP), molecole di adesione (VCAMs) e citochine
pro-infiammatorie (come: IL-6 e TNF)
• Agenti infettivi (Citomegalovirus, Herpes simplex virus,
Chlamydia pneumoniae, Helicobacter pylori)
•
•
•
•
marker si intende qualsiasi caratteristica che si
possa oggettivamente misurare e quantificare
come un indicatore di un processo normale o
patologico o anche di una risposta farmacologica ad un intervento terapeutico. Pertanto il termine biomarker può essere riferito sia ad un’inda-
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
gine di laboratorio, sia ad un test funzionale (ad
es. la misurazione della PA) che a tecniche di
imaging (ad es. Doppler dei vasi cerebro afferenti). Nella pratica clinica, più biomarkers vengono
utilizzati insieme: sorge allora il problema di stabilire se essi siano complementari o se invece
aggiungano indipendentemente informazione
diagnostica e prognostica, migliorando in tal
modo il controllo terapeutico del paziente. Per
questo motivo si tende a privilegiare un modello
di rischio globale (Multi-Marker) che comprende
un insieme di biomarcatori, il cui valore globale
può rappresentare una corretta stima per la predizione di rischio CV.
Entrando nel dettaglio dei biomarkers indicativi di rischio CV, questo è un gruppo molto eterogeneo che comprende elementi rilevanti non solo
ai fini diagnostici, ma anche ai fini di prevenzione
primaria e secondaria delle malattie circolatorie in
genere.
L'involucro esterno di una LDL è composto da apolipoproteine (APO)-B (principale componente proteica deputata al
trasporto di colesterolo ai tessuti, che funge da ligando per
i recettori delle LDL situati in numerose cellule dell'organismo) e da due tipi di molecole lipidiche: fosfolipidi e colesterolo non esterificato, nello strato tra involucro proteico
esterno e core, il nucelo interno costituito da trigliceridi e
colesterolo esterificato.
Figura 26. Diagramma della struttura e dei componenti dell’aggregato lipoproeteico di una lipoproteina a bassa densità
(LDL).
Nonostante il gran numero di “nuovi” biomarkers suggeriti, lo studio del profilo lipidico
rappresenta l’indicatore raccomandato anche
dalle recenti linee guida per una valutazione
routinaria del rischio CV. La riduzione del valore
ematico delle lipoproteine a bassa densità (LDL)
(Figura 26) comporta una marcata riduzione
dell’incidenza di eventi clinici correlati a malattie
delle arterie coronariche e cerebrali.
Anche la proteina C reattiva (CRP) rappresenta a questo scopo un buon marker di rischio CV;
la sua azione sembra riconducibile all’attivazione
del complemento. Possiamo allora ipotizzare che
CRP, marker dei processi arteriopatici su base
infiammatoria, possa rappresentare, assieme ai
valori ematici dei lipidi, un buon indicatore nelle
patologie a carico dei piccoli vasi anche a livello
cocleo-vestibolare. Su queste basi, LDL, valori di
PA ed emoglobina glicosilata sono considerati
validi marker di rischio CV dall’Agenzia Europea
del farmaco.
In particolare l’ipertensione arteriosa è associata ad una più elevata mortalità e morbilità per
eventi cerebro-vascolari in virtù di modificazioni
della capacità di autoregolazione del flusso ematico cerebrale (sia per variazioni dell’attività autonomica che per modificazioni strutturali dei vasi
cerebrali che vanno incontro ad un ipertofia
endoluminale ed ispessimento delle arteriole). Per
questo viene consigliato un trattamento della PA
se questa supera almeno in due valutazioni eseguite a distanza di tempo i valori di 160 (per la
sistolica) e 95 per la diastolica.
L’ematocrito è un importante indicatore della
viscosità ematica e anche del contenuto di ossigeno nel sangue ed è noto che un incremento di
patologico di questo parametro può indurre una
riduzione del flusso ematico cerebrale.
Anche il diabete rappresenta un rilevante fattore di danno circolatorio a livello dell’orecchio
interno: in rocche petrose di soggetti diabetici
51
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
insulino-dipendenti, è stata ritrovata una marcata
atrofia della stria vascolare, una riduzione delle
cellule ciliate esterne ed un ispessimento delle
parete vasali delle arteriole della membrana basilare e della stria vascolare.
Recentemente molto interesse ha destato il
possibile ruolo dell’aumento dell’omocisteina nel
plasma nella patogenesi dei disturbi CV.
L’omocisteina è un prodotto intermedio nel
metabolismo della metionina, amminoacido sulfidrilico essenziale derivato dalle proteine alimentari. Studi epidemiologici hanno dimostrato che
un aumento dell’omocisteina plasmatica con
valori superiori a 12 micromoli/litro sono associati ad un aumento del rischio di malattia cerebrale vascolare di circa due volte e mezzo rispetto ai
controlli. Il danno vascolare da iperomocisteinemia è riconducibile ad una azione lesiva diretta
sull’endotelio e un incremento dell’adesività piastrinica. È stata dimostrata anche un’azione sui
fattori di coagulazione riconducibile ad una riduzione dell’attività dell’antitrombina III, attivazione
del fattore VII, ossidazione delle LDL ecc. Il
rischio di ictus è di circa 2.5 volte maggiore in
presenza di iperomocisteinemia.
Accanto a questi markers ormai ben noti ve
ne sono altri che possono dare indicazioni
riguardanti la flogosi endoteliale e la vulnerabilità
della placca ateromasica, attraverso la quantificazione serica dei valori delle molecole di adesione (ICAM-1, VCAM-1, Selectine).
Un loro valore ematico elevato sarebbe
riscontrabile in pazienti con patologia aterosclerotica dei vasi cerebro-afferenti e nelle patologie
del microcircolo. Analogamente sono stati studiati anche markers recettoriali quali il TNF 1-2,
che vengono correlati in modo significativo con
la dimensione delle placche ateromasiche a livello carotideo. Nella lista dei markers di vulnerabilità va menzionata la lipoproteina-a. Sulla base
dell’osservazione che la sua più piccola forma
52
isomorfa, l’apoproteina-a viene scissa da alcune
metalloproteasi il cui ruolo nell’aterogenesi è ben
documentato, si è dimostrata una forte associazione tra elevati livelli di frammenti di apoproteina-a e destabilizzazione della placca aterosclerotica. La fosfolipasi A2 lipoproteina associata
(LP-PLA2) è stata recentemente approvata dalla
FDA come utile biomarker predittivo per il rischio
di stroke.
Tuttavia, in generale, tutti questi fattori presentano comuni caratteristiche fisiopatologiche dato
che sono strettamente associati e correlati ai processi fisiopatologici di formazione ed evoluzione
della placca aterosclerotica. L’attenta analisi di
questo processo permette quindi di discuterli in
modo unitario.
Come abbiamo già rilevato, infiammazione e
trombosi rappresentano i due momenti chiave
nella genesi del processo aterosclerotico: esso
inizia come una lesione endoteliale localizzata
laddove risultano maggiori le forze tangenziali
dovute al flusso e alla pressione del sangue circolante (shear stress). La conseguente alterazione
della funzionalità endoteliale si caratterizza per
l’espressione di molecole di adesione sulla superficie delle cellule endoteliali (VCAM), molecole che
possono passare nel torrente ematico e misurate
nel siero del paziente. Per questo le VCAM (e altre
molecole di adesione, quali la P-selectina, l’interleuchina-6, ecc.) potrebbero essere utilizzate per
monitorare la progressione della lesione endoteliale e per evidenziare lesioni subcliniche. Nella
sede del danno le LDL possono passare la barriera endoteliale per essere ossidate attraverso un
processo che prevede l’intervento di monociti e
linfociti T (Figura 27).
Nella migrazione dei leucociti sono implicate
molecole come selectine e citochine (cosiddette
chemoattractant), mentre i macrofagi, una volta
raggiunta l’intima vasale, possono imbibirsi di
lipidi per poi replicarsi favoriti da alcuni fattori di
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Figura 27. Schema della migrazione dei leucociti dal sangue alla parete arteriosa con successiva liberazione di sostanze citotossiche e radicali liberi dell’ossigeno (ROS).
crescita, tra cui l’interleuchina-3. I linfociti T elaborano citochine infiammatorie come il g interferone e il fattore di necrosi tumorale (TNF).
L’evoluzione della lesione ateromatosa fa sì che
si verifichi un incremento delle cellule muscolari
lisce (stimolate tra gli altri dal fattore di crescita
piastrinico, PDGF) così come la deposizione di
una notevole quantità di matrice extracellulare
come le metalloproteasi della matrice (MMPs) e
l’inibizione della sintesi di collagene. Ciò comporta una progressiva riduzione dello spessore
del cappuccio fibroso della placca che può scoprire il core lipidico che, a sua volta, essendo
ricco di fattore tissutale, predispone all’aggregazione piastrinica e alla successiva trombosi della
placca. Anche l’accumulo di cellule T e macrofagi comporta, attraverso la produzione di citochine pro-infiammatorie, l’ulcerazione della placca
da cui possono derivare microemboli (Figura 28).
Attualmente molte delle sostanze sopra menzionate sono misurate solo in laboratori specializzati, per cui non hanno un ruolo importante nella
pratica clinica.
La trombosi vasale che segue generalmente la
rottura del cappuccio fibroso di una placca atero-
masica instabile rappresenta l’evento principale
per l’instaurarsi di un episodio acuto cerebrale su
base aterosclerotica trombo-embolica. La valutazione di alcuni markers di attivazione del sistema
coagulativo/fibrinolitico (fibrinogeno, D-dimero,
fattore V Leiden, fattore VII, fattore von
Willebrand) potrebbe pertanto essere utile per la
valutazione del rischio in pazienti con patologia
Figura 28. Evoluzione del processo aterosclerotico: dalla placca all’evento cerebrovascolare acuto.
53
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
CV, dato che un aumento di tali indici potrebbe
indicare la progressione della trombosi vasale.
Il D-dimero, prodotto di degradazione della fibrina, ha dimostrato di possedere un elevato livello di
correlazione con i valori plasmatici di CRP, tanto
che può effettivamente essere considerato anche
un marker di infiammazione oltre che di trombosi.
Elevati livelli di D-Dimero, associati ad alti livelli
serici di indici di flogosi (CRP) potrebbero indicare l’esistenza di una marcata instabilità della placca ateromasica predittiva di elevato rischio a
breve di fenomeni ischemici acuti.
Il fattore vonWillebrand è una glicoproteina
che si trova nel plasma, nelle piastrine e nell’endotelio vascolare e rappresenta il principale
determinante dell’adesione delle piastrine all’endotelio danneggiato (Figura 29). Pertanto un
incremento dei livelli plasmatici potrebbe essere
un indice di rischio trombotico.
La microalbuminuria (specie nei pazienti ipertesi e/o diabetici) sembra essere correlata ad una
condizione di elevato rischio CV, con un meccanismo ancora sconosciuto. Un recente studio ha
posto in relazione, nell’anziano, la presenza di
microalbuminuria con patologia dei piccoli vasi
cerebrali, indipendentemente dall’esistenza di
altri biomarkers specifici.
Anche l’emicrania può essere inserita nel
novero dei biomarkers indicativi di rischio CV.
Sono oramai ben noti i rapporti tra la patologia
vestibolare e i disturbi di tipo emicranico tanto
che la diagnosi di Vertigine Emicranica rappresenta un’entità clinica ben definita con un razionale terapeutico ben delineato. Pur non essendo
ancora del tutto conosciuto l’intimo meccanismo
alla base del processo emicranico, la presenza di
alterazioni geniche che comportano anomalie dei
canali del calcio rappresenta la causa di alcune
forme emicraniche (emicrania basilare, emicrania
emiplegica familiare); in effetti un anomalo funzionamento dei canali del calcio rende estremamen-
54
Figura 29. Meccanismo d’azione del fattore vonWillebrand
(vWF).
te instabile l’attività della cellula neurosensoriale e
può indurre disturbi della composizione ionica dei
liquidi dell’orecchio interno provocando così gli
attacchi vertiginoso ricorrenti tipici della vertigine
emicranica. Tuttavia l’emicrania può indurre patologie a carico del sistema dell’equilibrio anche
attraverso un meccanismo puramente vascolare
ischemico tanto che la International Headache
Society inserisce tra le complicanze dell’emicrania la possibile insorgenza di episodi infartuali del
distretto V-B. A titolo di esempio, è ampiamente
documentato che il torcicollo parossistico dell’infanzia è riconducibile ad un’aura senza cefalea
per ischemia del tegmento mesencefalico. Anche
l’emicrania basilare si caratterizza per sintomi che
sono chiaramente la conseguenza di un fattore
ischemico che coinvolge il distretto vertebrobasilare. Infine sono numerose le evidenze cliniche e sperimentali che indicano la maggiore incidenza di patologia vestibolare periferica (vertigine
parossistica posizionale, malattia di Meniere,
cocleo-labirintopatia acuta improvvisa) in soggetti emicranici in virtù di un danno subischemico
ricorrente da vasospasmo dell’orecchio interno
da cui potrebbero derivare fenomeni di danno a
carico del microcircolo con le relative conseguenze sul piano clinico.
Infine la recente esplosione delle procedure di
indagine di tipo genetico ha raggiunto anche il
settore della patologia CV facendo prevedere la
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
futura disponibilità di test indicativi non solo di
malattia CV ma anche di indagini tese ad ottimizzare il trattamento farmacologico attraverso una
terapia personalizzata. L’analisi a livello del genoma comprende molte procedure che consentono
l’identificazione di possibili geni (geni candidati) la
cui alterata funzione potrebbe essere responsabile di particolari forme di malattie cerebro-vascolari, come anche l’analisi di polimorfismi (mutazioni
geniche) che sono associati ad un aumento del
rischio CV. Tuttavia l’utilità clinica dell’analisi di
possibili geni candidati è limitata dal fatto che i più
frequenti disturbi cerebrovascolari riconoscono
un’eziologia multifattoriale; fattori ambientali e
comportamentali interagiscono in maniera dinamica con la funzione di vari geni nel determinare i
meccanismi che portano all’instaurarsi della
malattia. Pertanto di fronte al processo aterosclerotico bisogna utilizzare un approccio genomico
piuttosto che un’analisi genetica basata su un
singolo locus genico. L’intento sarà quello di definire un profilo associato ad un maggior rischio di
patologia CV attraverso l’analisi della funzione
concomitante di più geni (gene clustering,
expression patterns, proteonic fingerprint).
Le analisi genetiche sono utilizzate solo in
ricerche di fisiopatologia e ancora non hanno un
riscontro nella pratica clinica. Solo a scopo
esemplificativo riportiamo l’osservazione che le
mutazioni geniche MTHRF C677T e A1298C
(ubiquitarie nei paesi occidentali con una prevalenza del 27-41%) comportano alterazioni enzimatiche da cui deriva un incremento dei valori
plasmatici di omocisteina da cui deriva un’alterazione della funzione endoteliale. In ambito audiologico tali mutazioni sono state poste in relazione con l’insorgenza di ipoacusia improvvisa. In
un recente studio è stato infatti sottolineato il
ruolo dell’associazione tra fattori pro trombotici
acquisiti e ereditari nella genesi del danno del
microcircolo cocleare. Pertanto, accanto alle
classiche indagini sierologiche, lo studio dell’assetto genotipico relativo alla funzione piastrinica,
protrombinica e del fattore V Leiden, potrebbe
far identificare pazienti a potenziale rischio di sviluppare patologie audiologiche e vestibolari di
origine ischemica.
MICROCIRCOLO E
PATOLOGIA VESTIBOLARE
A livello cocleo-vestibolare le strutture recettoriali sono immerse in un fluido linfatico diviso in
due aree, denominate perilinfa ed endolinfa, in
equilibrio emostatico fra loro e con il network di
capillari terminali del microcircolo cocleo-vestibolare realizzando un peculiare doppio equilibrio
emostatico.
Il dato saliente dell’equilibrio perilinfa-endolinfa
che assicura le funzioni di trasmissione dei
segnali cocleo-vestibolari è rappresentato dal
potenziale sodio-potassio, laddove la perilinfa è il
serbatoio di sodio (150-180 mM) e l’endolinfa
quello di potassio (150-180 mM) (Figure 30, 31).
Tale potenziale è funzione della pressione di
perfusione sanguigna e l’orecchio interno dimostra, in esperimenti condotti in vivo, ampie
capacità di regolazione autonoma in grado di
ripristinare il potenziale Na+/K+ in meno di un
minuto (compenso fisiologico), dopo avere
indotto una variazione repentina della pressione
di perfusione.
Tali capacità di autoregolazione sono largamente superiori a quelle riscontrabili nella microcircolazione cerebrale. Un esempio di questo tipo
di struttura è rappresentato dalla stria vasculare
che garantisce il potenziale endococleare e la
composizione ionica dell’endolinfa (Figura 32).
La stria vascolare è ricca di strutture microvascolari. A contatto con lo spazio endolinfatico si
trova uno strato di cellule marginali, caratterizza-
55
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 30. Composizione ionica dei liquidi dell’orecchio interno.
te da legami intercellulari molto stretti e da numerosi mitocondri (Figura 33).
Subito sotto vi sono capillari e le cellule intermedie. A contatto con il ligamento spirale si trovano numerosi strati di cellule basali piatte. Tra lo
strato di cellule intermedie e quelle basali si trovano delle giunzioni molto aderenti (tight junctions) che si ritiene possono rappresentare una
vera e propria barriera al movimento ionico attraverso gli spazi interstiziali. Inoltre questi stretti
contatti tra cellule basali ed intermedie sono così
Figura 32. La striscia vascolare.
56
Figura 31. I potenziali endococleari.
aderenti da far pensare che queste cellule formino quasi una struttura sinciziale permettendo
addirittura lo scambio di sostanze intracellulari.
Questa barriera viene considerata un vero e proprio sbarramento tra i liquidi dell’orecchio interno e le strutture vascolari. È stato dimostrato
che un incremento della pressione dell’orecchio
interno (derivato dall’incremento dei valori pressori sia endolinfatici che perilinfatici) comporta
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
Legenda: BC, cellule basali; CAP, vasi capillari; IC, cellule
intermedie; MC, cellule marginali.
Figura 33. Ultrastruttura della stria vascolare.
una riduzione del flusso ematico cocleare più
evidente al livello del microcircolo e dei capillari,
allo stesso modo con cui un incremento della
pressione del liquido cerebro-spinale riduce la
perfusione cerebrale.
Anche a questo livello è possibile ipotizzare
che possa verificarsi una patologia del microcircolo basata sul modello precedentemente
descritto da cui deriva una sofferenza delle
strutture neurosensoriali vestibolari ma anche
delle vie vestibolari centrali. La teoria di Risposta
al Danno endoteliale su base flogistica che spiega i processi aterosclerotici e aterotrombotici a
partire dai distretti microcircolatori, è stata di
recente confermata anche a livello della circolazione cerebrale, con l’individuazione di mediatori flogistici a livello dei micro- e macro-vasi in
pazienti con cerebrovasculopatie rispetto a
pazienti sani. L’adesione dei leucociti è considerata cruciale nella patogenesi, lasciando speculare sul valore di terapie anti-adesive e anti-flogi-
stiche vascolari.
Pertanto possiamo ipotizzare che l’origine di
molti disturbi vestibolari in soggetti con fattori di
rischio CV possa riconoscere lo start-up nella flogosi che può innescarsi a livello vascolare, sotto
la spinta dei fattori di rischio cardiovascolari e
trombotici. D’altro canto sono ben conosciute le
disfunzioni dell’equilibrio e dell’udito associate a
fenomeni autoimmunitari. In questi casi si realizza
un danno endoteliale e microcircolatorio su base
flogistica immuno-mediata da cui deriva una
lesione ischemica. In questi casi si realizza una
vasculite ovvero un processo infiammatorio della
parete vasale con alterazioni del flusso e dell’integrità dei vasi (Figura 34).
Esistono numerose evidenze di danno
cocleo-vestibolare in pazienti con questo tipo di
patologia. L’arterite a cellule giganti è la più
comune forma di vasculite dell’anziano che interessa i vasi di medio e grosso calibro. Esiste una
elevata incidenza di VPP in questi pazienti: 20%
contro il 2% della popolazione generale e poichè
le manifestazioni cliniche della GCA sono causate da fenomeni ischemici si può ipotizzare una
causa vascolare alla base della VPP.
Nella crioglobulinemia mista essenziale,
vasculite che interessa i piccoli vasi, è estremamente frequente sia un danno neurosensoriale
all’orecchio interno, sia un danno a livello delle strutture vestibolari con un’alta incidenza
di VPP.
Un altro quadro clinico raro ma estremamente interessante è rappresentato dalla sindrome
di Susac (Figura 35). Si tratta di una patologia
piuttosto rara causata da una encefalopatia
subacuta multifocale associata a sintomi audiovestibolari e oculari dovuta a fenomeni di microangiopatia da vasculite anche se non si hanno
alterazioni sierologiche tipiche.
Altri sintomi associati sono la cefalea, disturbi della memoria comportamentali e cognitivi e
57
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 34. La flogosi (autoimmune) della parete dei vasi provoca i danni endoteliali descritti nel modello di risposta al danno provocando una riduzione del flusso ematico già presente in virtù della riduzione del lume vascolare a causa dell’ispessimento della parete.
l’atassia. La sintomatologia si caratterizza, oltre
che a sintomi oculari (alterazioni segmentali del
campo visivo per ostruzione su base vasculitica
di rami dell’arteria centrale della retina, da una
ipoacusia bilaterale neurosensoriale a rapida
progressione o improvvisa e da vertigini ed
instabilità con segni sia periferici (per ripetuti
microinfarti del labirinto) che centrali. In questo
soggetti la RM mostra aree iperintense in T2 diffuse sia a livello sopra che sotto-tentoriale indotte da microinfarti per trombosi indotta da vascu-
Figura 35. Aspetto tipico della risonanza magnetica nei pazienti con sindrome di Susac: aree iperintense in T2 diffuse sia a
livello corticale che a livello sottocorticale, esito dei microinfarti per trombosi indotta da vasculite dei piccoli vasi.
58
lite dei piccoli vasi (infiltrati perivascolari ma non
necrosi fibrinoide). Questo quadro di imaging,
associato ad anomalie evidenti alla fluoro angiografia, permettono la diagnosi.
Pur essendo una patologia piuttosto rara la
sindrome di Susac offre numerosi spunti fisiopatologici che ci inducono a confermare l’effettiva
esistenza di una patologia vestibolare su base
ischemica per danno specifica del microcircolo
centrale e periferico
Anche dal punto di vista sperimentale possiamo
evidenziare il ruolo fondamentale dell’endotelio
nella normale funzionalità delle strutture deputate al
mantenimento dell’equilibrio. Le cavie con sindrome di Alport, patologia presente anche nell’uomo e
caratterizzata da alterazioni dell’omeostasi labirintica, mostrano un innalzamento dei livelli di MMP 29 (proteasi di degradazione della matrice endoteliale) tipici del rimodellamento vasale osservabile nella
aterosclerosi che segue la flogosi endoteliale.
Un altro studio sperimentale ha dimostrato
che il flusso ematico dell’orecchio interno si riduce in corso di esposizione al rumore, tanto che
nelle cavie esposte al rumore si è riscontrato un
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
aumento del VEGF, espressione del processo flogistico endoteliale.
Queste evidenze sperimentali possono dare
un ulteriore spinta all’affermazione del fatto che
molti danni dell’orecchio interno sia dovuti al
trauma acustico che a sindromi metaboliche, si
esprimono attraverso una flogosi endoteliale.
Una volta documentato sperimentalmente, clinicamente e anatomo-patologicamente che
molte forme vertiginose possono essere di origine vascolare, come possiamo essere certi che in
un determinato paziente l’origine del disturbo vertiginoso sia di origine vascolare?
A questo punto visto che la valutazione otoneurologica non dà informazioni di tipo eziopatogenetico e che gli esami strumentali hanno un significato limitato, il ruolo delle indagini emato-chimiche
diviene essenziale nella diagnosi di vertigine vascolare, anche alla luce delle evidenze relative al
modello endoteliale di risposta al danno.
Sulla base delle evidenze diagnostiche vascolari sono state intraprese numerose indagini volte a
valutare la correlazione fra i fattori di rischio CV e i
disturbi cocleo-vestibolari con risultati che confermano l’ipotesi del coinvolgimento dell’emostasi
emato-labirintica nei processi aterotrombotici alla
base dei disturbi cocleo-vestibolari di origine
vascolare. Un nostro lavoro ha cercato di studiare
il ruolo del D-dimero (parametro emato-chimico
riconducibile ad uno stato di ipercoagulabilità) nella
patologia vertiginosa acuta. È stato effettuato un
confronto tra un gruppo di 45 pazienti con disfunzione vestibolare periferica (APV) e un gruppo di
controllo di 25 pazienti affetti da Sindrome di
Menière. Sono stati misurati, in sede di diagnosi e
dopo sei settimane di wash out farmacologico, i
livelli di D-dimero, riscontrando un aumento degli
stessi nel 51,1% dei pazienti (> 300 ng/ml) rispetto al 16% del gruppo di controllo. Il campione
mostrava inoltre livelli elevati di fibrinogeno (> 400
mg/dl) nel 17,7% dei casi e di lipoproteina a (> 30
mg/dl) nel 42,2%. Un incremento del D-dimero è
espressione di un’alterazione del sistema emostatico (Figura 36).
A. Il livello ematico delle lipoproteine (a) si abbassa durante la fase acuta di una forma vertiginosa periferica, mentre si innalzano gli indici generici di flogosi (CRP, fibronogeno, citochine ecc.)
B. Aumento dei livelli di fibrinogeno, D-dimero, lipoproteine, leucociti nei pz con APV, sia nella fase acuta che nel periodo di
followup, rispetto a pz con malattia di Menière.
Legenda: APV, patologia vertiginosa acuta.
Figura 36. Le alterazioni di alcuni biomarkers emato-chimici (D-dimero, fibrinogeno lipoproteine) danno una indicazione eziopatogenetica, nella diagnostica della vertigine vascolare (Da: Casani et al, Otol Neurotol 2009).
59
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
È stato altresì dimostrato che il livello ematico
delle lipoproteine si abbassa durante la fase
acuta di una forma vertiginosa periferica (Nevrite
Vestibolare) mentre si innalzano gli indici generici
di flogosi (CRP, Fibrinogeno, Citochine ecc.).
In letteratura sono riportati altri studi che
parlano di una possibile correlazione tra
aumentati livelli serici di fibrinogeno e ipoacusia
improvvisa, ma non è stata dimostrata una
significativa differenza per lipidi ematici tra
pazienti con ipoacusia improvvisa e pazienti
con infarto miocardio.
In una recente pubblicazione è stata riportata
una correlazione statisticamente significativa tra
l’iperlipemia e l’ipertensione e la presenza di vertigini di origine vestibolare, mentre l’associazione
con il diabete appare meno significativa.
Riconoscere l’origine vascolare di un quadro
clinico caratterizzato da sintomi audiovestibolari
risulta comunque una sfida piuttosto complessa.
La sfida appare ancor più complessa quando ci
troviamo di fronte ad una vertigine isolata. Come
abbiamo già ampiamente discusso la causa più
comune di IVB è rappresentata dall’aterosclerosi
di uno o più vasi del distretto V-B. cause meno
comuni sono rappresentate dalla sindrome da
furto della succlavia, dissezione arteriosa, tromboangioite obliterante, policitemia o disturbi della
coagulazione, il tutto favorito da meccanismi
compressivi indotti ad esempio da osteofiti
durante i movimenti di iperestensione ed estrema
rotazione del collo (Figura 37).
L’importanza dello studio dei fattori di rischio
CV nella diagnosi di vertigine vascolare è stata
recentemente sottolineata da uno studio retrospettivo eseguito su un elevato numero di pazienti sottoposti ad angio-RM, suddivisi in base alla
normalità delle arterie vertebrali od ad una loro
anomalia (ipoplasia o stenosi). Di questi pazienti
vennero analizzati i fattori di rischio per stroke
(età, sesso, pregresso TIA, ipertensione, diabete,
iperlipemia, fumo) e, a seguito di analisi statistica,
venne evidenziata una correlazione tra la presenza di vertigine episodica isolata e almeno 3 fattori di rischio nel gruppo dei soggetti con anomalia
delle arterie vertebrali. La comparsa della vertigine potrebbe essere legata a transitori episodi
ischemici delle strutture vestibolari periferiche o
Figura 37. Schema riassuntivo dei fattori di rischio per l’insorgenza di una vertigine su base vascolare.
60
FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO
centrali, durante la rotazione od estensione del
collo che va a comprimere l’arteria vertebrale stenotica in pazienti con anomalie bilaterali.
Questa correlazione induce a prendere in considerazione l’utilità di una valutazione neuroradiologica dell’albero vascolare V-B in soggetti affetti
da vertigine isolata (specie se posizionale) o da
dizziness di origine ignota, se sono presenti almeno tre fattori di rischio CV.
Abbiamo visto come in tutti i distretti dell’orecchio interno un danno microcircolatorio possa giustificare una sintomatologia cocleo-vestibolare.
Accertata l’impossibilità di una diagnosi di vertigine
vascolare su base puramente strumentale, la diagnosi si avvale attualmente di elementi clinico-
anamnestici.
Nell’ambito dei dati clinico-anamnestici, al
di là dei comuni fattori di rischio, è importante
valutare attentamente in questi pazienti i fattori di rischio CV, specie quelli evidenziabili con
gli esami ematochimici, con particolare attenzione all’assetto lipidico all’omocisteina e
anche al D-dimero, fibrinogeno e alla proteina
C reattiva.
Se abbiamo delle indicazioni che ci fanno ipotizzare un danno dell’endotelio possiamo intervenire in maniera sicuramente efficace con una
terapia a base di farmaci con attività anti-aterotrombotica (farmaci di parete) tra cui Suledexide
rappresenta quello di maggior rilievo.
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Capitolo 4
LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO
SU BASE VASCOLARE
Marco Manfrin
INTRODUZIONE
Un difetto di vascolarizzazione nelle strutture
dell’orecchio interno è ritenuto responsabile di
numerosi quadri clinici che differiscono a seconda delle modalità d’insorgenza (deficit acuto o
cronico) e delle diverse sedi coinvolte.
La distribuzione distrettuale della circolazione
arteriosa nell’orecchio interno rappresenta il
razionale interpretativo di sintomi e segni clinici,
con rare eccezioni.
Vi sono dei limiti nello stabilire la genesi vascolare di un disturbo cocleo-vestibolare, poiché le
strutture recettoriali sono avvolte da uno spesso
involucro osseo che ne impedisce l’osservazione
diretta o indiretta, anche se in qualche caso l’indagine intensitometrica consente la diagnosi di
emorragia intralabirintica (1) o, in caso di “stroke”
con sintomi uditivi, consente di identificare la
sede dell’alterato flusso ematico (2). La comparsa di disturbi cocleovestibolari in soggetti definibili
“a rischio vascolare” per presenza di fattori generali specifici rappresenta, a tutt’oggi, il criterio clinico maggiormente in uso (3-6).
Gli effetti dell’occlusione arteriosa sull’orecchio interno sono tanto maggiori quanto più vicino al meato acustico interno si trova il punto di
compressione (7), dato supportato anche dal
fatto che, pur considerando l’arteria uditiva inter-
na un ramo terminale dell’arteria cerebellare anteroinferiore (AICA), sono state descritte molte anastomosi tra l’AICA stessa e alcuni rami pontini
dell’arteria basilare (8) in grado di sopperire al
flusso ematico cocleo-vestibolare per occlusioni
più prossimali dell’AICA.
PREMESSE ANATOMICHE
Per quanto vengano descritte varianti anatomiche nell’irrorazione arteriosa delle diverse aree
recettoriali cocleovestibolari, il dato più comune è
quello schematizzato nel diagramma in Figura 1.
Lo schema riportato giustifica la semeiotica
cocleo-vestibolare sia attraverso la valutazione di
eventuali segni spontanei o rivelati, sia attraverso
l’analisi strumentale delle singole aree recettoriali.
CLINICA DEL DEFICIT LABIRINTICO ACUTO
L’esordio improvviso e acuto di un deficit vascolare dell’orecchio interno in genere è monolaterale e
può riguardare tutto l’orecchio interno o solo parte
di esso. Può essere di natura emorragica o infartuale e, in questo caso, può essere sostenuta da
compressioni estrinseche dell’arteria o per patologia intrinseca, come quella tromboembolica.
63
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 1. Semeiotica cocleo-vestibolare.
64
LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE
La premessa anatomica, tuttavia, indica che
l’emergenza dell’arteria uditiva interna si pone ad
angolo retto rispetto al decorso dell’AICA, in tal
modo garantendone una sorta di protezione dall’ingresso di materiale embolico, ma esponendola invece più facilmente, alle lesioni intimali che
possono verificarsi per aumenti pressori endoarteriosi improvvisi (punto di turbolenza): tale aspetto rende più frequente il meccanismo trombotico
rispetto a quello embolico. Si tratta di una situazione clinica d’emergenza/urgenza che richiede
un’attenta valutazione semeiologica fisica e,
spesso, un ausilio radiodiagnostico.
In caso di perdita improvvisa della funzione
cocleo-vestibolare, l’indagine RMN è in grado di
svelare anomalie in circa il 35% dei casi (9), di cui
solo l’1,1% a carico dell’orecchio interno, il 6,5%
nel condotto uditivo interno/angolo ponto-cerebellare, il 3,4% a carico delle vie uditive localizzate nel tronco dell’encefalo e il 22% con positività
indiretta per evidenza di lesioni microangiopatiche diffuse nell’encefalo (Figura 2).
Il sintomo più frequente di carattere vestibolare è la vertigine o, meglio, la grande crisi vertigi-
nosa (10), anche se è possibile la comparsa di
un’instabilità improvvisa, ai limiti dell’atassia.
Acufeni e ipoacusia, sino all’anacusia, corrispondono al danno cocleare con le caratteristiche
proprie delle ipoacusie, parziali o panfrequenziali,
a sede recettoriale. Per definizione, si definisce
come ipoacusia improvvisa la perdita di almeno
20 dB, di tipo neurosensoriale, che si sviluppa in
un periodo di tempo che va da qualche minuto a
ore (Figura 3) (11).
In tabella 1 è riportato un quadro sinottico dei
dati della semeiotica relativa al deficit acuto su
base vascolare cocleo-vestibolare.
• Nella perdita improvvisa della funzione cocleovestibolare monolaterale, il Nistagmo (Ny)
spontaneo e le deviazioni segmentario-toniche
corrispondono alla sindrome deficitaria acuta
periferica di tipo armonico con sintomi e segni
che permangono, con una certa intensità, per
almeno 48-72 ore. La successiva attivazione
dei meccanismi rapidi di compenso e quelli più
tardivi di adattamento consentono il recupero
delle funzioni oculomotorie e vestibolospinali,
anche se nel complesso vi può essere una
Figura 2. Immagine coronale RMN T1-pesata di emorragia intralabirintica sinistra: il segnale iperintenso (freccia) è legato alla presenza di sangue all’interno del labirinto membranoso (9).
Figura 3. Quadro audiometrico di ipoacusia improvvisa sinistra.
65
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Tabella 1. Dati della semeiotica relativa al deficit acuto su base vascolare.
Arteria
Territorio
Semeiotica canalare
Semeiotica otolitica Semeiotica cocleare
Uditiva interna
Orecchio interno
Ny spontaneo
orizzontale-rotatorio,
persistente, stazionario monodirezionale,
pluriposizionale diretto
verso il lato sano
Ocular tilt reaction
verso il lato leso
Verticale visiva soggettiva inclinata
verso il lato leso
VEMPs assenti
Anacusia, acufeni
Vestibolare
anteriore o
superiore
Utricolo
CSL
CSS
Idem
OTR sfumata
VVS patologica
VEMPs presenti
Normoacusia
Ny spontaneo
verticale-rotatorio
verso il basso
OTR sfumata
VVS normale
VEMPs assenti
Ipoacusia
neurosensoriale in
discesa sugli acuti,
acufeni
Assente
Normale
Ipoacusia
neurosensoriale in
salita sui gravi e sui
medi, acufeni
Vestibolococleare Sacculo
CSI
Giro basale della
coclea
Cocleare propria
Giro intermedio
Giro apicale della
coclea
concomitante o preesistente sofferenza su
base vascolare delle strutture neurologiche
che rendono inefficace o parziale il compenso.
• Nella forma da interessamento dell’arteria uditiva interna è possibile che si possa apprezzare la variazione d’intensità e frequenza del Ny
spontaneo secondaria alla modificazione della
posizione del corpo del paziente (Ny monodirezionale ma con rinforzo apogeotropo e inibizione geotropa) per l’impossibilità di contrastare le interazioni otolito-canalari del lato sano da
parte del labirinto lesionato “in toto”. Tale variazione, invece, può non essere presente nelle
forme da interessamento dell’arteria vestibolare anteriore, in cui il Ny spontaneo è del tutto
simile alla forma precedente, ma tende a non
mostrare variazioni posizionali di intensità e frequenza, in quanto viene conservata la funzione
otolitica sacculare del lato patologico. Questo
spiega anche perché il recupero, in questi casi,
sia più rapido con conseguente minore durata
66
di vertigine e Ny. La conservazione della funzione del canale semicircolare superiore rende
possibile la comparsa, più o meno tardiva, di
una vertigine parossistica posizionale da labirintolitiasi interessante il lato colpito (sindrome
di Lindsay-Hemenway) (12).
• Il quadro clinico da interessamento dell’arteria
cocleo-vestibolare appare più complesso in
quanto più sfumato. Può non essere riferita una
vertigine acuta, ma una sensazione di instabilità improvvisa; il Ny spontaneo, quando presente, è di tipo verticale-rotatorio verso il basso per
la prevalenza delle afferenze toniche del canale
semicircolare superiore controlaterale, in un
contesto dove è conservata l’afferenza di tutti
gli altri canali semicircolari di entrambi i lati. Il
dato più caratteristico è l’assenza dei VEMPs e
una curva audiometria in caduta sulle frequenze acute, in genere con una discesa che inizia
dalla frequenza 4 kHz (zona di arrivo della circolazione arteriosa terminale del ramo cocleare
LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE
della vestibolococleare e della cocleare propriamente detta). La reflettività del canale semicircolare laterale è conservata perfettamente
(Figura 4).
Gli eventi acuti nel territorio dell’arteria cocleare propriamente detta generano un’ipoacusia
improvvisa che interessa le frequenze gravi e
medie, a simulare un andamento comunemente
attribuito all’idrope endolinfatica. La differenza tra
le due forme riguarda la diversa suscettibilità delle
cellule ciliate: mentre l’idrope endolinfatica agisce
preferenzialmente su quelle esterne, dando origine ad un’ipoacusia neurosensoriale che non
supera i 60 dB, in caso di ischemia quelle maggiormente coinvolte sono le cellule ciliate interne,
con un tracciato audiometrico che supera i 60 dB
per le frequenze interessate (13,14). Un’altra
caratteristica differenziale è quella della fluttuazione (ricorrenza) dell’ipoacusia nelle forme su base
idropica.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
1. L’evento clinico più comune da distinguere è
la perdita improvvisa della funzione cocleo-vesti-
bolare da causa infettiva (virale) (15-17). In assenza di altre indicazioni, la neurite dell’VIII nervo cranico si differenzia per:
– Criteri epidemiologici: in genere, si tratta di
soggetti relativamente più giovani, anche in età
infantile, senza evidenti fattori di rischio vascolare; si tratta di casi non sporadici, ma con un
certo andamento epidemico nell’ambito di una
popolazione.
– Criteri eziologici: nella forma più frequente, l’infezione da herpes simplex è quella con maggiore evidenza di dati laboratoristici. Segue
quella da herpes zoster che spesso si manifesta con la classica eruzione vescicolosa nella
regione concomeatale (zona di Ramsay-Hunt
che corrisponde all’innervazione sensitiva della
cute dell’orecchio esterno di pertinenza del
nervo facciale dopo l’anastomosi extracranica
con il nervo vago). Sovente è coinvolto anche
il VII nervo cranico nella sua componente
motoria (paralisi, paresi). In termini di frequenza, seguono poi le forme dovute a myxovirus,
paramyxovirus e al virus della parotite. Altre
forme infettive sono più rare: merita di essere
segnalata la neuropatia cocleo-vestibolare nel
contesto della sindrome di Lyme, malattia
Figura 4. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea.
67
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
sistemica da Borrelia burgdorferi che può interessare anche il sistema nervoso sotto forma di
meningoradicolonevrite (periferica o a carico di
più nervi cranici).
– Criteri clinici: nella forma comune, la neurite
da virus interessa più frequentemente il ramo
vestibolare dell’VIII nervo cranico e, di questo,
la branca superiore, per l’esclusività delle anastomosi tra questa parte e il nervo facciale nel
cui ganglio genicolato si indovano i virus erpetici a provenienza delle superfici mucocutanee
facciali. Si tratta, quindi, di una neurite parziale con un quadro del tutto simile a quello da
interessamento dell’arteria vestibolare anteriore. Anche in questo caso è possibile l’insorgenza tardiva di una vertigine parossistica
posizionale da labirintolitiasi del CSP ipsilaterale al lato sede della neurite.
– Criteri audiologici: la perdita uditiva improvvisa
da causa infettiva si caratterizza per una maggiore importanza del danno che in genere è di
grado elevato/profondo (oltre i 90 dB) con
amputazione del tacciato a livello delle frequenze medie e acute e presenza di residui
uditivi dai 250 ai 1000 Hz.
– Criteri terapeutici: è nota l’efficacia di una terapia antinfiammatoria steroidea in associazione
a farmaci antivirali nell’accelerare la guarigione
e favorire il compenso naturale in caso di neurite vestibolare (18), schema terapeutico inefficace in caso di natura vascolare dell’evento
acuto.
2. La diagnosi differenziale, in secondo luogo,
deve essere posta con un primo attacco di
malattia di Menière, in cui la durata della crisi vertiginosa è inferiore (da parecchi minuti a qualche
ora) e l’ipoacusia da idrope cocleare colpisce le
frequenze gravi-medie, difficilmente superando i
60 dB. La ricorrenza degli episodi nel prosieguo
della malattia toglie ogni possibile dubbio diagnostico.
68
3. Un’ipoacusia improvvisa associata a vertigine,
della durata di parecchi giorni, può essere sostenuta da un infarto isolato nel territorio irrorato
dall’AICA a livello del tegmen pontino inferolaterale (19), senza necessariamente associarsi ad altri
sintomi di carattere neurologico da interessamento del tronco encefalico e del cervelletto. Se l’area
infartuale è maggiore, si possono associare paralisi facciale, atassia, disartria, ipoestesia agli arti,
diplopia e sindrome di Horner (sindrome di
Wallemberg).
4. Una crisi vertiginosa acuta importante, senza
sintomi o segni uditivi, può essere data anche da
un’emorragia del lobo cerebellare, in genere nel
territorio del ramo mediale della PICA. La semeiotica nistagmica consente agevolmente di differenziare un evento vascolare acuto a carico del
cervelletto in quanto, pur manifestandosi con un
Ny orizzontale-rotatorio verso il lato sano in
maniera del tutto analoga a quello della perdita
improvvisa della funzione vestibolare, si caratterizza per:
– mancata sostituzione saccadica nel movimento rapido del capo verso il lato leso, sotto fissazione visiva (test di Halmagyi negativo); nel
danno labirintico il test è positivo (saccadici
sostituitivi generati da una struttura neurologica integra);
– indifferenza alla stimolazione simultanea fredda
dei due labirinti; nella forma periferica, il Ny
spontaneo subisce una riduzione in ampiezza
e frequenza, sino all’inversione nella direzione.
CLINICA DEL DEFICIT
LABIRINTICO CRONICO
Non esiste un quadro clinico patognomonico
di un deficit vascolare cronico a carico dell’orecchio interno. Le modalità di espressione sul piano
semeiologico sono aspecifiche e possono essere
LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE
Tabella 2. Caratteristiche semeiologiche cocleovestibolari del deficit vascolare cronico.
Sede
Sintomi
Semeiotica fisica
Semeiotica strumentale
Coclea
Ipoacusia (bilaterale)
Acufeni (+/-)
Negativa
Ipoacusia neurosensoriale
(< 60 dB) con morfologia
variabile (piatta, in discesa,
in salita); recruitment (+/-)
Labirinto Posteriore
Instabilità
Negativa
NyPP da CSP o CSL
Iporeflettività bilaterale
VEMPs (+/-)
condivise con altre alterazioni che riconoscono
meccanismi eziopatogenetici diversi da quello
vascolare.
Le esigenze metaboliche differenti nelle
diverse sedi dell’orecchio interno, espressione
di un “costo” energetico non omogeneo, spiegano una parziale partizione del danno vascolare cronico a livello recettoriale; in ordine decrescente, la maggiore sensibilità all’ischemia cronica riguarda il giro basale della coclea, il sacco
endolinfatico, i giri intermedio e apicale, i canali
semicircolari e, infine, il sistema otolitico. Inoltre,
il danno graduale si manifesta a livello cocleare
soprattutto a carico delle cellule ciliate esterne,
mentre a livello di quello vestibolare a carico
delle cellule ciliate di tipo 1. Uniforme è la sensibilità degli elementi di sostegno in entrambi i
comparti.
Sul piano clinico, le modalità di combinazione
sono diverse e condizionate, specialmente per
l’analisi dei riflessi vestibolari, dal concomitante
interessamento delle strutture tronco-cerebellari,
così come per la funzione uditiva, dalla maggiore
o minore partecipazione delle vie retrococleari
all’espressione sintomatica (acufeni, ipoacusia).
La comorbidità, oltre alle malattie sistemiche
a coinvolgimento vascolare, associata ad un’alterazione permanente del flusso ematico
cocleo-vestibolare annovera anche l’ipoacusia
da rumore (20-23), la presbiacusia (24) e l’idrope endolinfatica (25,26).
In tabella 2 sono riassunte le caratteristiche
semeiologiche cocleovestibolari del deficit vascolare cronico.
• Indubbiamente, una riduzione cronica dell’apporto vascolare alle aree recettoriali comporta una generica riduzione delle funzioni
riflesse vestibolo-oculomotorie e vestibolospinali, per quanto di entità variabile e spesso non tale da evocare movimenti oculari
sostituivi di tipo nei movimenti di rotazione
del capo sotto fissazione (test di Halmagyi).
Se il difetto è generalizzato, non vi è asimmetria svelabile con l’head shaking test: eventuali risposte nistagmiche devono essere
attribuite ad una concomitante disfunzione
tronco-cerebellare. La prevalenza della labirintolitiasi in soggetti “vascolari” si attesta sul
2-11% dei casi: si tratta di forme secondarie
del tutto simili e sovrapponibili alle forme idiopatiche.
• Sul versante cocleare, il pattern audiometrico
più frequente, seppur aspecifico, è quello di
un’ipoacusia neurosensoriale con maggior
coinvolgimento delle frequenze acute, nel
rispetto della compromissione prevalente a
livello del giro basale, e in genere non eccedente i 60 dB (cellule ciliate esterne). Il deficit
cronico dell’AUI può presentarsi con un quadro di ipoacusia percettiva “in discesa” associata a instabilità e iporeflettività vestibolare
(Figura 5).
69
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 5. Ipoacusia neurosensoriale bilaterale “in discesa” come da deficit cronico di vascolarizzazione cocleare.
Se l’entità dell’ipoacusia supera tale limite, è
evidente il contributo di altri fattori patogenetici
che possono interessare la coclea (cellule ciliate
interne) ma anche le vie nervose retro cocleari.
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71
Capitolo 5
LA SORDITÀ CENTRALE
TRA GESTALT E WORKING MEMORY
Aldo Messina
L’UDITO CENTRALE
“Sento ma non capisco le parole, specialmente se parlano più persone contemporaneamente”. Può essere sufficiente questo riferimento
anamnestico per far sorgere il sospetto diagnostico di avere individuato una sordità centrale, particolare quadro patologico conseguente ad una
lesione delle vie uditive nervose centrali poste a
valle della zona nucleare bulbo-protuberenziale
ed estese fino alle aree uditive corticali.
In realtà, come ci avverte Jack Katz, non tutti
gli studiosi concordano su cosa si debba intendere anatomicamente per “udito centrale”.
Secondo Duane e poi Pickles il sistema nervoso
uditivo centrale inizierebbe nel tronco encefalico
laddove finiscono i fasci dell’VIII nervo cranico
(n.c.) (Figura 1).
Legenda: 3. Nucleo n. oculomotore; 4. Nucleo n. trocleare; 5. Nucleo n. trigemino; 6. Nucleo n. abducente; 7. Nucleo n. faciale; 8.
Nucleo n. vestibolo-cocleare; 9 Nucleo n. glossofaringeo; 10 Nucleo n. vago; 11 Nucleo n. accessorio; 12 Nucleo n. ipoglosso.
Figura 1. A. Anatomia del tronco encefalico. B. Sezione sagittale del tronco encefalico, con i principali nuclei dei nervi cranici.
73
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Douglas Noffsinger et al. invece, ritengono
che i nuclei cocleari, essendo funzionali al sistema nervoso periferico, non svolgano alcun ruolo
che possa essere identificato come di tipo centrale. I nuclei precedono la decussatio delle vie
nervose e pertanto non sono in grado di svolgere alcuna analisi comparativa delle informazioni
provenienti dai due lati, funzione che rappresenta il ruolo più importante svolto dal sistema uditivo centrale.
Sistema uditivo centrale:
cenni di anatomofisiologia
Dal punto di vista anatomofisiologico, ricordiamo che il nervo acustico (che ovviamente è bilaterale) raggiunge il tronco encefalico nella giunzione tra ponte e midollo allungato, lateralmente
al nervo vestibolare (Figura 2). In questa sede il
suono viene già esaminato nei parametri di intensità, durata e frequenza.
1. Il ramo uditivo dell’VIII n.c. si divide in un ramo
ascendente rivolto al nucleo cocleare anteroventrale (dotato di tonotopia e capace di analisi in frequenza) ed uno posteriore indirizzato
ai nuclei cocleari postero-ventrale (in grado di
codificazione in frequenza) e dorsale (analisi
qualitativa del suono). Qui i suoi neuroni di
primo ordine, a livello dei tre nuclei cocleari
(dorsale e ventrali: anteriore e posteriore),
entrano in sinapsi con i deutoneuroni, dando
luogo ad un primo relais di rinforzo del messaggio nervoso.
• Dal nucleo cocleare antero-ventrale origina la
stria acustica ventrale che proietta verso la
sostanza reticolare, il complesso olivare superiore e il lemnisco laterale. Dal nucleo posteriore originano la stria intermedia che va al lemnisco controlaterale e al collicolo inferiore e la
stria dorsale che proietta al complesso olivare
superiore, al lemnisco laterale e al collicolo
Legenda: 1. Nervo vestibolare; 2. Nervo cocleare; 3. Nervo intermedio-faciale/Nervo faciale; 4. Ganglio genicolato; 5. Corda
timpanica; 6. Coclea; 7. Canali semicircolari, 8. Martello; 9. Membrana del timpano; 10. Condotto uditivo.
Figura 2. A. Emergenza dei rami vestibolare e cocleare (acustico) dell’VIII nervo cranico, alla giunzione tra ponte e midollo allungato del tronco encefalico. B. Rapporti anatomici del nervo vestibolo-cocleare con le strutture di orecchio medio e orecchio interno.
74
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
inferiore controlaterale. Quindi è nella parte
caudale del tronco encefalico che le vie uditive
attraversano la linea mediana, configurandosi
come “crociate”. Di conseguenza eventuali
deficit uditivi determinati da una lesione in questa precisa sede si evidenziano per lo più bilateralmente.
2. Il secondo relais avviene nel complesso olivare superiore, del quale fa parte il complesso
mediano del corpo trapezoide dove è evidente l’organizzazione tonotopica: anteromedialmente cellule sensibili alle frequenze acute,
dorsolateralmente le cellule deputate ai toni
gravi. Sempre a livello olivare avviene la localizzazione sonora (vedi oltre) relativamente al
parametro di analisi interaurale di tempo del
suono.
• Le vie uditive quindi si incrociano quasi immediatamente a livello del tronco cerebrale.
Sussistono però anche dei fasci che, senza
incrociare la via mediana, salgono verso le aree
corticali, ma questo contingente è minimo e
apparentemente poco importante.
• Da questo momento le fibre nervose, riunite
nel lemnisco laterale, attraversano il complesso olivare superiore, mantenendo la distinzione
operata a livello dei nuclei cocleari. A questo
livello il sistema uditivo è in grado di effettuare
una comparazione delle informazioni che provengono dai due lati, prevalentemente finalizzata a consentire la localizzazione del suono
nello spazio. Le notevoli integrazioni con la
sostanza reticolare fanno ritenere che sempre
in questa sede si attivino eventuali reazioni di
allarme.
3. Successivamente lo stimolo nervoso fa relais
a livello dei collicoli inferiori, struttura dotata di
elevata sensibilità alla discriminazione in frequenza e alle differenze interaurali temporali.
La parte postero-laterale svolge funzioni
dipendenti dalla condizione di veglia. Dal col-
licolo le fibre si dirigono ai corpi genicolati
mediali. La porzione parvicellulare del corpo
genicolato mediale è l’unica a ricevere informazioni collicolari; la magnicellulare è invece
connessa al talamo posteriore e quindi al
mondo della sensazione.
4. Successivamente le fibre raggiungono le aree
uditive corticali, passando per la capsula
interna. Dette aree sono localizzate nella zona
superiore del lobo temporale e nel pavimento
del solco laterale, nei due giri traversi, area 41
di Brodmann, uditiva corticale primaria.
Individuata anche un’area 42, secondaria e
associativa. L’area 41 mantiene la tonotopia
cocleare (giri basali per le frequenze alte e giri
apicali per le frequenze basse), mentre l’area
42 presenta tonotopicità invertita.
Una rappresentazione schematica delle vie
sensoriali acustiche è riportata in figura 3.
PERCEZIONE E INTERPRETAZIONE
DEI SEGNALI ACUSTICI
Le aree corticali uditive del lobo temporale
(area 41 e 42 di Brodmann) consentono l’identificazione temporale sonora e la memorizzazione
dei suoni. Le cellule in questa zona sono anche
capaci di sommazione binaurale e si osserva la
dominanza delle afferenze che provengono della
via uditiva prevalente. Oltre alle aree 41 e 42,
probabilmente sono presenti altre aree uditive
corticali, essendo oggi accettata l’ipotesi secondo la quale retina e coclea abbiano rappresentazioni multiple sulla corteccia cerebrale.
Non deve essere sottovalutato il ruolo svolto dal
corpo calloso come documentato da Pandya e
coll. nel 1971. Un deficit in questa sede non sempre determina una sordità, ma in questa evenienza
l’ipoacusia non sempre si presenta controlateralmente al lato leso, ma spesso omolateralmente.
75
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Legenda: 1. Organo del Corti; 2. Ganglio del Corti; 3: Nervo cocleare; 4. Nucleo cocleare dorsale; 5. Nucleo cocleare ventrale; 6. Corpo restiforme; 7. Complesso olivare superiore; 8. Fibre del lemnisco laterale, 9. nucleo del lemnisco laterale; 10.
tubercoli qudrigemini inferiori; 11. Corpi genicolati mediali; 12. Area acustica primaria; 13 e 14. Aree acustiche associative.
Figura 3. Rappresentazione schematica delle vie uditive.
Inoltre i test vocali dicotici, allorquando il
segnale indebolito sia presentato specificatamente all’orecchio sinistro (sembra che il segnale di sinistra venga sopraffatto dal segnale proveniente da destra), determinerebbero risultati
imprevedibili. Ricordiamo che, secondo Alfred
Tomatis, la via uditiva di destra possiede maggiori competenze e specializzazioni specie nel
76
controllo canoro: l’autore ha evidenziato come,
“mascherando” l’orecchio destro, molti cantanti
perdano la capacità di controllo vocale.
LA LOCALIZZAZIONE SONORA. Complessa la funzione di identificazione di lateralità del suono.
Come è noto, l’animale razionale è provvisto di
due vie di ingresso dello stimolo sonoro (destro e
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
sinistro) proprio per consentire l’identificazione di
provenienza di lato destro e sinistro. Non essendo l’uomo (come nessun animale) dotato di padiglioni auricolari sulla volta cranica e sul mento,
l’identificazione del suono quale proveniente dall’alto o dal basso è determinata solo ed esclusivamente dall’apprendimento, dall’esperienza dei
suoni e di conseguenza è funzione acquisita
completamente intorno al dodicesimo mese di
vita. Udendo il rumore di un elicottero, ad esempio, alziamo la testa perché identifichiamo quel
rumore che non può che provenire dall’alto e certamente non dal basso. Qualora l’esperienza non
ci aiuti, saremo maggiormente predisposti a localizzarlo come proveniente dall’alto più che dal
basso.
Ricordiamo brevemente che la localizzazione
di lateralità (destra/sinistra) del suono avviene con
diversa modalità a seconda della sua frequenza.
Considerando nell’adulto la testa con una dimensione di 34 cm, suoni con dimensioni superiori a
34 cm la scavalcheranno ed i suoni che non raggiungeranno tale dimensione, urtando la testa,
verranno riflessi.
Per calcolare la lunghezza d’onda (λ) di un
suono, essendo λ = c/f (dove c’è la velocità del
suono, pari a 340 msec e f la frequenza del suono
in Hz), ne otterremo che i suoni di frequenza elevata risentiranno dell’effetto schermo della testa e
saranno localizzati sull’analisi differenziale dei
parametri differenza di intensità; suoni a frequenza bassa avranno una dimensione tale da scavalcare l’ovoide cranico ma raggiungeranno diversamente l’orecchio destro e sinistro, nei parametri
fase e tempo oltre che intensità (Figura 4). Va precisato che nel lattante la minore circonferenza del
capo, rispetto a quella di un adulto, determina
maggiori difficoltà e tempi lunghi tanto che la
localizzazione di lateralità sarà completa intorno al
5°-6° mese.
La localizzazione sonora intesa come analisi
della differenza di fase, tempo e di intensità prevede, oltre ad una normale funzione delle aree
corticali il contemporaneo coinvolgimento del
nucleo olivare superiore (analisi temporale) e del
collicolo inferiore (analisi d’intensità).
LA PERCEZIONE UDITIVA VERBALE. Le aree uditive
sono topograficamente diverse da quelle verbali.
Figura 4. Localizzazione della sorgente sonora.
77
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Questo avvalora l’osservazione che l’analisi frequenziale della parola non è sufficiente a consentirci di riconoscere e identificare il suono linguistico. Per questa ultima funzione vengono coinvolte,
oltre alle aree uditive, anche le aree associative.
Né si può omettere il ruolo della prevalenza (erroneamente detta “dominanza”) emisferica nell’analisi sonora. Il lobo temporale destro consente
l’analisi acustica di intensità, durata e timbro; il
sinistro identifica il suono verbale. Il riconoscimento dell’intonazione del suono, quale caratteristica
emozionale, è demandato sempre alle aree corticali, parietali e all’opercolo temporale di destra.
Esistono meccanismi di controllo a feedback
della sensazione sonora, compito svolto dalle vie
acustiche centrali discendenti.
Alcune vie dal cortex raggiungono il corpo genicolato e, tramite relais con i nuclei motori dei nervi
cranici del tronco encefalico, attiverebbero molte
risposte mimiche riflesse allo stimolo sonoro.
Ricordiamo inoltre le vie tetto-bulbari e quelle
tetto-spinali a partenza dal collicolo inferiore che
determinano le risposte di orientamento visivo,
della testa, del collo e degli arti allo stimolo
improvviso. In questo contesto si inseriscono
l’anastomosi acustico facciale, responsabile del
riflesso stapediale (solo marginalmente da considerare riflesso da difesa), e il fascio olivo-cocleare a funzione poco nota.
L’analisi spettrale della parola non è esaustiva
per comprendere quale analisi il sistema uditivo
centrale operi sul messaggio verbale. Nel linguaggio parlato, infatti, i suoni si “influenzano” a
vicenda e diventano indistinguibili nella loro analisi in frequenza pura. Non è chiaro come il nostro
apparato uditivo centrale riesce ad identificare e
analizzare il segnale linguistico caratterizzato da
questa continua variazione in frequenza. Come si
riconoscono le “diverse forme” di un suono? Ad
esempio la “b” di bici non è in analisi spettarle
identica alla “b” di bob. Come si identificano
78
come uguali parole dette da oratori diversi e quindi con diversi toni di voce? Inoltre nel linguaggio
parlato molti suoni sono sovrapposti o omessi,
tuttavia il cervello riesce ad identificarli.
Per rispondere a queste domande si suppone
che il SNC operi non esaminando le singole frequenze che compongono il messaggio verbale
ma basandosi su particolari suoi elementi denominati indicatori acustici. Nella vocale, ad esempio, l’indicatore è costituto dalle prime due formanti (vedi oltre).
Per consentire adeguate performance di ascolto del messaggio verbale nelle condizioni di ascolto più difficili (ambienti con rumore di fondo o
sovraffollati), il nostro Sistema Nervoso Centrale
Uditivo è dotato di un numero di fibre nervose
ascendenti superiore a quelle necessarie per percepire la parola in condizioni di comodo ascolto
(ridondanza intrinseca). A ciò si aggiunga che il
messaggio verbale è associato ad un numero di
informazioni superiore a quelle effettivamente
necessarie per consentirne la comprensione
(ridondanza estrinseca). Ad esempio, basta ascoltare “mi sie... su… u... sed...” per comprendere il
messaggio: “mi siedo su una sedia”. Ovviamente,
questo automatismo si verifica solo in chi ha esperienza del messaggio; non, ad esempio, nei bambini piccoli o in chi non conosce la lingua. Inoltre, è
molto più facile identificare una parola nel contesto
di un discorso che “da sola”. Questa premessa è
fondamentale per comprendere il principio su cui si
basano le prove vocali, soprattutto le prove monosillabiche o con frasi distorte o accelerate.
LA SORDITÀ CENTRALE
Quadri clinici
Le sordità centrali raggruppano diversi quadri clinici, quali la sordità corticale, clinicamente
descritta per la prima volta da Wernicke e
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
Friedlander nel 1883, la sordità verbale,
Kussmaul nel 1887 e l’amusia, descritta da
Bernard nel 1889.
Tratto comune ai diversi quadri è rappresentato dalla scarsa discriminazione e inattendibilità
alle risposte a stimoli uditivi, in presenza di un
deficit uditivo tonale liminare, sempre meno conclamato, man mano che la sede del danno sia più
alta, verso le aree corticali. Jerger e Harford
(1960) confermano che la lesione uditiva centrale
non determina evidenti deficit né all’audiometria
tonale liminare né alle prove vocali standard.
La sordità centrale non si associa di per sé a
disturbo dell’eloquio, a meno di contemporanea
presenza di afasia.
Biboulet e Uziel (1992) classificano i quadri clinici
più noti:
• Sordità corticale. Prevalentemente transitoria,
si caratterizza per un deficit di discriminazione
degli stimoli sonori, in presenza di deficit uditivo. Si ritiene essere conseguenza di inibizione
transitoria dei corpi genicolati mediani dal lato
leso.
• Agnosia uditiva. Incapacità ad identificare e
riconoscere il suono verbale, musicale e rumori familiari, conseguente a lesione cerebrale. A
differenza della sordità corticale, non vi è ipoacusia. Si sospetta essere conseguenza di una
lesione delle aree temporali bilateralmente.
• Sordità verbale. Si usa questo termine allorquando la comprensione verbale è compromessa in modo evidentemente più conclamato rispetto alle altre funzioni uditive. Le parole
vengono percepite come rumori, non identificate come lingua originale. È conseguente ad
una lesione dell’area cerebrale di Wernicke.
• Emianacusia. Dovuta a compromissione
monolaterale dell’area uditiva primaria, determina un deficit della comprensione controlaterale al lato leso. Pertanto, se la sede è nella
corteccia temporale di destra, si determinerà
emianacusia sinistra e sarà presente anche
un disturbo del linguaggio. Qualora quest’ultimo venisse recuperato persisterebbe l’emianacusia.
• Amusia. Forma di agnosia uditiva per i suoni
musicali. In realtà il tema delle aree corticali
deputate alla percezione musicale è molto
complesso. Sappiamo che entrano in gioco
entrambi gli emisferi, ma restano da definire
ancora le rispettive competenze che peraltro
potrebbero essere differenti, a seconda che il
soggetto esaminato sia musicofilo o profano.
Eziologia
L’eziologia delle sordità centrali è prevalentemente di tipo vascolare, anche se sono descritti
casi conseguenti a meningite, traumi, neoplasie,
farmaci (litio), chirurgia e malattia demielinizzante.
La sordità centrale può essere conseguenza di
una vecchia patologia periferica, anche da tecnopatia o da farmaci ototossici, che determina una
degenerazione delle fibre uditive centrali, quale
conseguenza della mancata stimolazione nervosa;
Musiek ha dimostrato come nel neurinoma dell’VIII
n.c, si determinino disturbi uditivi di tipo centrale.
Analogamente, le più recenti teorie sulla patogenesi degli acufeni ipotizzano che il disturbo sia
conseguenza della risposta del Sistema Uditivo
Centrale alla patologia periferica, una sorta di riorganizzazione plastica. L’ipotesi sembra essere
confermata dalla persistenza di acufeni dopo
neurectomia.
Hinchcliffe (1962) ha evidenziato che la presbiacusia coinvolge sia il sistema uditivo periferico che quello centrale.
Relativamente all’ipotesi vascolare, dobbiamo
evidenziare che il danno al microcircolo dell’orecchio interno spesso non è indagato dal medico.
Ad esempio, nella fisiopatologia e nel trattamento
delle complicanze del diabete mellito, relativamente ai danni endoteliali da microangiopatia,
79
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
si fa per lo più riferimento al termine istangiopatia,
a sostituire quello più generico di microangiopatia. Le alterazioni istangiche precedono i segni clinici della stasi venosa.
Il termine “microcircolazione” è stato recentemente sostituito con quello di Unità Microcircolatoria (Figura 5) costituita da un microcircolo
arterioso afferente, un microcircolo venulare efferente e dalle anastomosi arterovenose. L’unità
presenta dei Canali Preferenziali, dei ponti arterovenulari con funzione di corto circuito del flusso
(sfinteri e cuscinetti) e si caratterizza per la presenza di una sostanza fondamentale del connettivo che influisce sulla permeabilità arteriolo capillare e presenta alcuni Glicososoaminoglicani
(GAGs), proteine dell’interstizio perivascolare. I
GAGs sono polisaccaridi presenti negli epiteli di
tutti gli organi cavi, anche dell’intestino.
Principale responsabile della regolazione dell’unità microcircolatoria è l’endotelio, organo,
esteso in ognuno di noi per circa 1.200 metri
Figura 5. Unità microcircolatoria.
80
quadri, non più riconosciuto quale semplice
“contenitore” ematico ed assunto al ruolo di
“laboratorio endoteliale”. All’endotelio viene oggi
riconosciuto un ruolo nell’angiogenesi, nella flogosi, nella sintesi di elementi della matrice extracellulare e nell’immunità. Questa spiega la patogenesi di patologie quali la Panarterite Nodosa,
la sindrome di Kawasaki, le vasculiti e le porpore. Il laboratorio endoteliale svolge la propria
azione sui sistemi di coagulazione, fibrinolisi e di
infiammazione. In condizioni normali l’endotelio
svolge contemporaneamente e riesce ad equilibrare la propria azione antitrombotica, dovuta
alla sintesi d numerose molecole tra le quali la
potente prostaciclina e il monossido di azoto
(NO) e quella trombotica, mediata prevalentemente dal PAF (fattore attivante le piastrine,
“Platelet”). Nei soggetti affetti da diabete, vasculiti ed aterosclerosi, tale capacità di mediazione
dell’endotelio risulta compromessa con conseguente arteriopatia.
L’istangiopatia è una patologia caratterizzata
da alterazioni a carico dei vasi sanguigni più piccoli, arteriole e capillari, con conseguente malfunzionamento del microcircolo e sofferenza tissutale che, nel tempo, si esprime con un deficit di funzione.
Sintomatologia
La sintomatologia della sordità centrale è ben
descritta da Musiek:
• Acufeni, spesso localizzati nella linea mediana
del capo.
• Allucinazioni uditive e/o insolite sensazioni uditive.
• Estrema difficoltà a seguire il discorso in
ambiente riverberante o con rumore di fondo.
• Difficoltà a seguire comandi uditivi complessi.
• Difficoltà a localizzare il suono nello spazio.
• Marcata diminuzione nell’apprezzamento della
musica.
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
L’anamnesi non ha perso il proprio valore
(Figura 6). Si consideri che proprio questi sintomi
sono quelli riferiti dai pazienti al medico audiologo
che è spesso il primo specialista ad essere consultato. Inoltre, poiché non sempre i disturbi centrali sono conseguenza di lesioni evidenti alla
neuroradiologia (si pensi ai disturbi biochimici o
alle lesioni minime), il ruolo del medico audiologo
è di primaria importanza nella diagnostica dei
deficit centrali e nella eventuale prevenzione delle
sue complicanze.
I quadri clinici di più frequente riscontro sono
rappresentati a livello del tronco encefalico dalla
sclerosi multipla, dalle lesioni vascolari, dai tumori e dagli stati comatosi.
• Nella sclerosi multipla la sordità non è frequente a meno di una localizzazione a livello
dei nuclei cocleari, corpi trapezoidi o del lemnisco laterale; viceversa, massima attenzione
va posta ai disturbi dell’equilibrio. Talvolta si
evidenzia sordità improvvisa, spesso reversibile, con acufeni e vertigini. La malattia deve
essere sospettata nei soggetti giovani. Sono
di ausilio diagnostico sia i potenziali evocati
che l’esame otoneurologico.
Figura 6. Anamnesi.
• Analogamente, le lesioni vascolari e neoplastiche
determinano sordità solo se localizzate a livello
dei nuclei cocleari. I test clinici documentano
diplacusia, fatica uditiva. Anche in questo caso
risulta utile la batteria diagnostica otoneurologica.
• I potenziali evocati sono anche utilizzati per
seguire le diverse fasi dello stato comatoso.
• Nelle patologie cortico-sottocorticali è ancora
più rara la sordità (se sussiste è bilaterale). Si
documenta sordità verbale e difficoltà nell’esecuzione dei test verbali; i test dicotici sono
patologici controlateralmente; non sempre
indicativi i potenziali evocati uditivi precoci.
• Documentata l’alterazione dei potenziali evocati cognitivi in quadri clinici di demenza, autismo e schizofrenia.
• Grimes e coll. (1985) hanno proposto di utilizzare i test d’ascolto dicotico quale indice della
progressione della malattia di Alzheimer, allorquando coinvolga il lobo temporale.
Esami diagnostici
Quali sono i test clinici di ausilio diagnostico?
VALUTAZIONE AUDIOMETRICA TONALE E VOCALE. Non
è completamente vero che i test tonali non sono
utili a svelare deficit centrali. Basti pensare al test
MLD (Masking Level Difference). La metodica prevede l’invio in cuffia, bilateralmente, di due frequenze gravi cui si aggiunge, sempre bilateralmente, un rumore di minima intensità tale da mascherare i precedenti. Il fine è quello di evidenziare un
disturbo nella percezione della differenza di fase.
Sempre con l’audiometro è possibile eseguire
i test di adattamento, di percezione di loudness e
di durata e studiare il pitch e i battimenti.
Relativamente alla ricerca audiometrica della
diploacusia (distorsione della percezione della frequenza sonora), Ghosh (1990) ha descritto un
caso di diploacusia presente controlateralmente
alla sede della lesione che è stata dimostrata nel
talamo posteriore.
81
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Potremmo eseguire test di facilitazione che
consistono nel dimostrare un miglioramento della
capacità uditiva dopo presentazione di uno stimolo test. Tale fenomeno normalmente presente
non potrà essere dimostrato in condizione di sordità centrale.
Anche il fenomeno della sommazione temporale e relativa funzione di integrazione tempo/intensità evidenziabile con l’audiometria pulsata a toni
brevi (quanti ricordano l’audiometria automatica?)
risulta alterato in presenza di una sordità centrale.
ALTRI TEST. Utile al prosieguo della nostra trattazione menzionare i test tonali (mono- e binaurali) per svelare lesioni di tipo centrale.
Il test d’integrazione binaurale (Chocholle) si
basa sull’osservazione che la soglia differenziale
d’intensità aumenta di circa 1,5 dB, se si presenta controlateralmente un tono costante e di frequenza identica al tono test (5 dB sopra la soglia);
viceversa, diminuisce di circa 0,7 dB se controlateralmente si somministra un tono di differente
frequenza. L’assenza di variazioni è indice di deficit d’integrazione binaurale.
Il test di reazione valuta invece l’intervallo di
tempo tra stimolazione sonora e risposta volontaria di riconoscimento (test monoaurale di
Chocholle).
Test temporo-direzionali (Bosatra e Russolo):
con le prove di udito direzionale (in cuffia, test di
Matzker e in campo libero, test di Nordlund) per
l’esame della zona bassa del tronco, di ordine
temporale (identifica l’ordine di successione degli
stimoli) per lo studio delle zone alte collicolo- e
sottotalamiche, di discriminazione dei pattern
uditivi, per lesioni corticali e sottocorticale.
Test impedenzometrici. Per alcuni anni, si è
utilizzato lo studio dei parametri dinamici (latenza,
ampiezza, velocità di contrazione iniziale) del
riflesso stapediale impedenzometrico, alla ricerca
di lesioni della zona bulbo-protuberenziale.
Otoemissioni acustiche. Forniscono poche
82
indicazioni sul deficit centrale; Collet sta valutando l’ipotesi che le otoemissioni possano essere
messe n relazione alla funzionalità delle vie
discendenti.
Utile lo studio dei potenziali evocati uditivi,
soprattutto per lo studio delle lesioni retrococleari e troncoencefaliche. L’impiego dell’ABR, metodica audiologica maggiormente obiettiva, ha clinicamente limitato l’uso delle tecniche di audiometria vocale, che mantengono però l’utilità di dimostrare una carenza di funzione più che una sede
di lesione.
SIGNIFICATO DEL DEFICIT
DI RIDONDANZA INTRINSECA
L’audiologia deve riconoscere all’audiometria
vocale un ruolo fondamentale nell’identificazione
dei diversi aspetti della sordità centrale. Pertanto,
se è vero che oggi molti test non vengono più
eseguiti, appare utile conoscere i principi neurofisiologici sui quali si fondano.
Si è già fatto cenno precedentemente al concetto di ridondanza intrinseca (neurologica) ed
estrinseca (verbale). Un disturbo delle vie uditive
centrali determina una ridotta funzionalità delle vie
nervose uditive e pertanto risulta deficitario il
meccanismo della ridondanza intrinseca.
Lo stimolo (tono puro) utilizzato in audiometria
tonale liminare, per la sua carenza di armoniche,
per essere percepito impegna un ridotto numero
di fibre nervose uditive centrali: non è quindi sufficiente a mettere in crisi, in “difficoltà”, a saturare
la capacità delle numerose fibre che compongono le vie uditive centrali.
Nella ricerca di un danno centrale pertanto
ricoprono un ruolo prevalente i test di audiometria
vocale che, diversamente dai test con toni puri,
essendo costituiti da suoni più complessi, sono
più idonei a dimostrare il deficit di ridondanza
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
intrinseca e quindi il disturbo di conduzione delle
vie uditive centrali.
Uno stimolo sonoro complesso, quale la
voce, ancor di più se presentata in condizioni di
ascolto difficili, come un ambiente rumoroso (o
comunque con messaggio competitivo), per
essere percepito impegna un maggior numero di
fibre nervose uditive. Un primo e più noto esempio è dato dalle prove monosillabiche di Bocca,
che hanno la funzione di ridurre la ridondanza
estrinseca del messaggio verbale (monosillabiche). I test vocali possono essere somministrati
dopo avere valutato le capacità cognitive dei
soggetti.
Agli inizi della mia esperienza audiologica,
nell’esecuzione del test vocale, notai che alla
somministrazione della parola “gelsi” il paziente
spesso riferiva “geusi”. Ed io, che non capivo,
assegnavo la risposta errata. In un secondo
momento, ho intuito che il paziente riferiva in dialetto siciliano (“geusi”) ciò che sentiva in italiano
(“gelsi”). Probabilmente; in quel caso il deficit
“centrale” era il mio!
Le innumerevoli prove vocali possono essere
classificate a seconda della sede del deficit che si
vuole evidenziare:
1. del tronco encefalico: intrassiali o extrassiali;
2. delle vie uditive centrali, intese, secondo la
classificazione che abbiamo ritenuto più valida, a valle dei nuclei cocleari.
Le prove con frasi accelerate hanno dimostrato maggiore sensibilità per evidenziare disturbi del
tronco encefalico più caudale e a livello della
sostanza nucleo-reticolare, in quanto in tale sede
avviene la codifica del parametro temporale. Le
frasi filtrate evidenziano maggiormente disturbi
corticali. Non sempre c’è corrispondenza esatta
per tale impostazione topografica.
Quello che è certo è che un deficit centrale
può determinare sordità monolaterale (omolaterale) se topograficamente si colloca al di sotto
dell’incrocio delle vie uditive. Nelle lesioni corticali
il deficit è ovviamente sempre controlaterale alla
sede di lesione.
Per evidenziare lesioni al di sopra dell’incrocio
delle vie si utilizzano prove vocali binaurali.
Attendibili le prove di competizione dicotica con
frasi sintetiche (SSI) di Jerger e Speaks, con ulteriore competizione ipsilaterale (ICM) o controlaterale (CCM).
Attualmente, queste prove (vittime dei DRG!)
sono state soppiantate dalle metodiche elettrofisiologiche, e in particolare dai potenziali evocati al
tronco encefalico (BAEPs). Inoltre, con l’avvento
della diagnostica per immagini, nel “dubbio” si
preferisce una metodica più obiettiva e rapida.
L’Audiometria Musicale (Carrè, Biboulet e
Uziel) si fonda sull’importanza della percezione
musicale nei suoi parametri di altezza, ritmo,
durata, sonorità, timbro e di memoria melodica.
PERCEZIONE UDITIVA E
ATTENZIONE SELETTIVA
Come ha evidenziato Oskar Schindler, la
capacità uditiva, fenomeno per il quale lo stimolo
fisico acustico è trasformato in impulso elettriconervoso, è cosa ben diversa dalla percezione uditiva, vero presupposto alla comunicazione umana
che, secondo l’autore, è condizionata da una
scelta di informazioni uditive fra le moltissime
mediate dalla coclea. Mentre la standardizzazione della capacità uditiva è da tempo di uso
comune grazie all’audiometria tonale liminare, lo
stesso non possiamo affermare per la percezione
uditiva che, oltre a non obbedire a leggi fisiche
ma a principi psicoacustici, risulta condizionata
(Schindler, 1980):
• coordinazione uditivo-motoria e sensoriomotoria;
• separazione figura sfondo;
83
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
• costanza timbrica,
• separazione silenzio/sonorità;
• separazione sonorità continue/interrotte.
Particolare rilievo occorre dare al concetto di
figura/sfondo. In realtà, in audiometria vocale utilizzando il test noto come “speech in noise”,
rumore e parole presentate ipsilateralmente, non
si fa altro che studiare l’attenzione selettiva del
soggetto che è l’espressione della sua capacità
di separare la figura (parola) dallo sfondo (rumore). Anche l’effetto “cocktail party” (meglio
descritto in seguito) è conseguenza dell’attenzione selettiva (figura/sfondo).
L’analisi della parola si basa sulla identificazione, sul riconoscimento operato dal nostro sistema nervoso uditivo centrale, di alcune formanti
(principali punti di risonanza ove il picco d’energia
acustica è maggiore) contenute nel messaggio
verbale.
Ad esempio, una vocale possiede in genere
due-tre formanti. Le consonanti “J” e “W” possedendo anche tratti acustici rispettivamente della
“i” e della “u” sono per questo dette semivocali.
Su questo principio si basa la realizzazione
degli MP3 musicali (Motion Picture Expert Group1/2 Audio Layer 3), sistema di compressione
audio in grado di ridurre drasticamente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono,
consentendo comunque all’ascoltatore una percezione fedele del file originale non compresso.
Forma e figura possono essere considerati
omologhi, essendo la forma quell’aspetto dell’informazione sensoriale cui si dà il valore di figura
e che va distinta nettamente da ciò “che non
interessa”, definito come sfondo. Per raggiungere la separazione figura/sfondo occorre prima
procedere alla percezione della forma ed essere
in grado di dare lo stesso valore, la stessa forma
anche a costrutti funzionalmente omologhi ma
che si presentano ai nostri organi di senso in
modo diverso. Ad esempio, noi identifichiamo la
84
parola “bacio” indipendentemente dalla persona
che la pronuncia (ovviamente emettendo frequenze sonore differenti) e pertanto indipendentemente dalle frequenze sonore che la compongono. Tale giudizio percettivo prende il nome di
“costante di forma” ed è un processo che non è
specifico del solo sistema uditivo. Lo studio del
sistema visivo ci rende più semplice il concetto
della costanza di forma. È semplice dimostrare,
ad esempio, come un triangolo venga da noi
identificato come tale, indipendentemente dalle
sue dimensioni o dalla interposizione di altre figure. La nostra mente tende in realtà sempre a
“completare” le immagini visive, dando importanza ad alcune informazioni, spesso solo dei particolari e ricostruisce sulla base di questi “dettagli”
l’intera figura. Analogamente a quanto fa la
mente, nel caso della percezione uditiva, allorquando acquisisce la percezione della parola
basandosi sull’identificazione delle formanti.
È il concetto della “buona forma” dimostrato
con il triangolo di Kanizsa. Tutti riconosciamo
nella figura il triangolo bianco inserito tra i tre
quasi- cerchi rossi, anche se in realtà il triangolo
non è disegnato (Figura 7).
Teoria delle affordance
ed effetto “cocktail party”
Recenti studi (come quello di Rizzolatti e
Sinigaglia del 2006), al momento limitati alla percezione visiva, dimostrano che alcuni neuroni
vengono attivati selettivamente da specifici stimoli tridimensionali, altri da oggetti sferici, altri
ancora da oggetti cubici. L’osservazione ben si
coniuga con l’ipotesi di J. Gibson secondo la
quale la percezione di un oggetto determina la
necessaria identificazione delle sue caratteristiche, che ci consentono di interagire con lo stesso: teoria delle affordance. Ogni oggetto o persona possiede più affordance ed il nostro apparato
visivo si attiva in funzione delle nostre finalità.
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
Figura 7. Il triangolo di Kanizsa è un'illusione ottica descritta per
la prima volta nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa.
Nella figura “vediamo” il profilo illusorio di un triangolo equilatero non disegnato, perché la nostra mente tende a “completare” le
immagini, tenendo conto spesso solo dei particolari.
Ad esempio, nel vedere entrare la nostra
segretaria, potremmo volere raggiungere la finalità di controllare il suo operato e in tal caso le
sue mani costituiranno per noi l’affordance; se
l’obiettivo che desideriamo è quello di conquistarla, guardarle le mani non ci sembrerà utile e
l’affordance potrebbe essere rappresentata dagli
occhi. Il che dimostra che l’apparato visivo
(anche quello uditivo, come nell’effetto “cocktail
party”?) non è un semplice registratore di immagini ma possiede già una prima capacità discriminativi: l ’organo di senso agli ordini del fare.
Tali principi possono essere estesi all’osservazione degli altri sistemi sensoriali.
Inoltre, come ha sottolineato in diverse comunicazioni Stefano Rigo, con il movimento saccadico rapido dei globi oculari, il nostro cervello
sopprime la visione, al fine di evitare che pervengano a livello corticale informazioni di immagini
visive “mosse”. Pertanto, durante il movimento
saccadico il nostro occhio “non vede” ma, al
tempo stesso, il cervello – in base alle informazio-
ni precedentemente ed involontariamente immagazzinate in memoria – “ricostruisce” la scena
dandoci la sensazione di vedere come se fosse
percepita in successione
Considerando che una saccade dura in media
50-100 msec e la pausa di rifissazione non più di
200-400 msec (poi c’è un’altra saccade), su 16
ore di veglia “vediamo” realmente per 12 ore e
restiamo al buio per 4 ore. Il nostro cervello però
immediatamente ricostruisce le 4 ore di “buio
saccadico”, dandoci l’illusione della continuità.
Ecco perché, afferma Rigo, gli arbitri che,
seguendo con movimenti rapidi del capo e degli
occhi la traiettoria (movimento) del pallone, attivano la soppressione visiva saccadica, ricostruiscono una propria immagine della scena e, spesso,
non riconoscono il fuori gioco.
Sempre nel caso della percezione visiva “ricostruita” abbiamo più volte noi stessi osservato
che, scrivendo un testo, anche rileggendolo, non
riconosciamo gli errori fatti. Dobbiamo farlo rileggere ad un amico o, se siamo dei professionisti,
ai correttori di bozze.
Nel campo della percezione uditiva si assiste a
fenomeni analoghi.
Ne è ancora ulteriore esempio il citato effetto
“cocktail Party” (descritto da Cherry nel 1953),
utile per comprendere meglio il rapporto
figura/sfondo che è anche segnale/rumore ed
espressione di attenzione selettiva e automatica.
Ci troviamo ad una festa, un cocktail party,
laddove il vocio di centinaia di invitati produce un
rumore di circa 80-90 dB (legge di Weber e
Fechner). La nostra attenzione relazionale si rivolge verso un partner con il quale desideriamo un
approccio ed al quale rivolgiamo la nostra attenzione comunicativa. I nostri occhi e le relative
fovee, si dirigono verso la sua figura nettamente
separata dallo sfondo degli altri invitati che mettiamo scarsamente a fuoco (separazione
figura/sfondo).
85
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Al contatto comunicativo riusciremo a percepire con chiarezza la sua voce (60-65 dB), pur nel
rumore di fondo (80-90 dB) prodotto dagli altri
invitati del cocktail party. Al tempo stesso, se nel
frangente qualche altro ospite ci chiama per
nome, la percezione dello specifico richiamo cattura la nostra attenzione e la distoglie, indipendentemente dalla nostra volontà, dalla conversazione nella quale eravamo impegnati. In realtà è
vero che la nostra mente ha focalizzato l’attenzione sul partner ma ha anche inconsciamente
memorizzato le altre informazioni utili che costituiscono la scena, consentendoci, ad esempio al
richiamo del nostro nome, di attivare un movimento saccadico rapido, noto come saccadico
guidato dalla memoria (MSG).
Per tornare al tema della sordità centrale,
ricordiamo che l’attenzione selettiva alla base dell’effetto “cocktail party” è compromessa in caso
di disturbo delle vie uditive centrali. Ne è un
esempio l’anziano che, come è noto, non partecipa attivamente dal punto di vista relazionale alle
feste.
GLOBALITÀ DELLA PERCEZIONE,
GESTALT E WORKING MEMORY
La globalità della percezione (fenomeno non
esclusivamente visivo o uditivo) è alla base della
teoria della Gestalt (dal tedesco “forma”), corrente
psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo
in Germania (avendo come principali teorizzatori
Von Ehrenfels e Wertheimer), poi sviluppata da
Fritz Perls nel 1950 negli Stati Uniti. La Gestalt non
considera le componenti elementari della percezione ma l’intero, affermando che “l’insieme è
sempre di più della somma delle singole componenti” (molarismo epistemologico). La percezione
non sarebbe pertanto preceduta solo dalla sensa-
86
zione ma è influenzata dall’organizzazione del
nostro pensiero, dalle passate esperienze, come
dimostrano le esperienze sensoriali, visive e uditive, che abbiamo proposto. La psicoterapia della
Gestalt si caratterizza per il valore positivo dato
all’essere umano e alle sue risorse (Baiocchi). Perls
elabora successivamente il concetto di campo
percettivo proprio in funzione della relazione tra
figura e sfondo: per valutare la “figura” (persona,
oggetto, suono, esperienza) è necessario riferirla
ad un contesto, lo sfondo (Baiocchi).
Elementi che influenzano
la percezione uditiva
I vari modelli proposti per spiegare i meccanismi dell’attenzione selettiva si differenziano per il
fatto che la selezione degli stimoli da elaborare è
precoce o tardiva.
I neurofisiologi nel tentativo di comprendere
cosa determini le nostre capacità attentive,
hanno formulato tre ipotesi :
1. Teoria della capacità corticale, secondo la
quale il nostro cervello ha una propria possibilità di ricevere informazioni, saturando la quale
insorge la disattenzione.
Questa teoria ha fatto a sua volta nascere tre
linee di pensiero:
• Teoria filtro di Broadbendt, 1958. Quando due
stimoli sono presentati contemporaneamente,
essendo unico il canale di elaborazione, solo
uno (“figura”) dei due può superare il filtro sensoriale, sulla base dei parametri intensità e familiarità o se presentato nell’orecchio dominante,
mentre l’altro (“sfondo”), rimane immagazzinato
nel buffer sensoriale (Working Memory - W.M.).
Non spiega l’effetto cocktail party.
• Teoria del filtro attenuato di Treisman, 1960.
Tutti gli stimoli superano il filtro e quelli poco
importanti non vengono bloccati ma attenuati
e questi comunque influenzano il processo di
selezione.
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
• Teoria della pertinenza di Norman, 1960. Tutti
gli stimoli vengono esaminati ma, nella fase
finale, solo quelli pertinenti con ciò che stiamo
facendo viene selezionato.
3. Teoria dell’interferenza strutturale: il sovraccarico crea competizione tra processi cognitivi
ad identico meccanismo. È la struttura non la
mente ad essere limitata.
4. Teoria mista tra le due precedenti.
Deutsch e Deutsch (1963) ipotizzano invece
che entrambe le informazioni, sia quella rilevante
(“figura”) che quella irrilevante (“sfondo”), siano elaborate completamente e che la differenza si trovi
non nell’elaborazione del materiale, ma nel tipo di
risposta prodotta dal soggetto. In altre parole, il filtro si troverebbe non più a livello della ricezione
delle informazioni, ma a livello della risposta.
Che ne sarà delle informazioni alle quali non
prestiamo attenzione e che pertanto riteniamo
irrilevanti?
Secondo Broadbent, 1958, tesi della selezione precoce, esse vengono poco elaborate ;
secondo Norman, 1968,tesi della selezione tardiva, viceversa, vengono elaborate e memorizzate;
secondo Johnston e Heinz, 1978, tesi della selezione multimodale, a seconda dei casi possono o
meno arrivare alla codifica inconsapevole.
Relativamente allo stimolo uditivo l’elaborazione è in gran parte inconscia, ma la velocità di elaborazione è talmente elevata che gran parte degli
stimoli vengono esclusi quando sono già ad uno
stadio avanzato di elaborazione e di minima consapevolezza. Ovviamente “passano” le informazioni più importanti e per lo più inconsapevolmente “cestiniamo” molte altre informazioni. Le informazioni non coscienti probabilmente vengono
immagazzinate a livello di memoria implicita che
non richiede il recupero conscio o intenzionale
dell’esperienza, come documentato da Schacter
nel 1987, Eichenbaum, Mathews e Cohen nel
1989, Reber, Knowlton e Squire nel 1996.
Diverso il concetto di memoria esplicita rivelata
- illustrato da Schacter nel 1987 - quando la performance in un compito richiede il recupero conscio delle precedenti esperienze.
Attivato il meccanismo dell’attenzione selettiva
nei confronti di uno stimolo sonoro, come quello
descritto nell’effetto cocktail party, questa potrà
essere distolta ed indirizzata verso un nuovo stimolo se il nuovo input sonoro possiederà determinati caratteri d’intensità, durata e specifici contenuti emozionali e significati.
Anche la percezione timbrica (numero di
armoniche prodotte e qualità del suono), che
nello schema proposto da Schindler (vedi paragrafo su percezione uditiva e attenzione selettiva)
è elemento essenziale della percezione uditiva,
sembra riconoscere un meccanismo gestaltico.
Riferendosi all’importanza del timbro nella percezione uditiva, A. Carré ha osservato che, proponendo a bambini con sordità preverbale, ad esempio, la frequenza “La 4” emessa da un pianoforte e
successivamente la stessa nota emessa da un violino, pur essendo i due suoni di identica frequenza
(La 4), durata, intensità (misurata con fonometro),
sia nelle condizioni di orecchio nudo che con protesi e cuffie, il bambino talvolta percepiva, addirittura con fastidio, il violino ma non percepiva neanche minimamente il suono del pianoforte. Se ne
deve dedurre che il solo timbro può modificare la
percezione di un suono, ma soprattutto che ognuno di noi costruisce un proprio modo di “udire”
legato anche al timbro ottimale.
Per tornare all’ipotesi di Schindler dobbiamo
esaminare un altro parametro utile alla percezione uditiva: i rapporti tra suono e movimento.
Quest’ultimo fenomeno richiama alle esperienze
di udito sacculare ed alle teorie del neurofisiologo
Todd sull’importanza di quest’organo dell’orecchio interno nel mediare i rapporti tra suono e
movimento.
87
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
La percezione uditiva, infine, risulterebbe
“influenzata” da altre informazioni sensoriali: la
coordinazione sensorio-motoria e visuo-motoria
(occhio-mano) e assume pertanto una connotazione di globalità che, in modo figurato, ci induce
ad affermare che in un’orchestra apprezziamo la
sinfonia e non le note o il singolo strumento (teoria gestaltica).
COMPONENTI PERCETTIVE E
MNESTICHE DELL’ASCOLTO:
MEMORIA E SORDITÀ CENTRALE
Musiek, come abbiamo già ricordato nel paragrafo relativo alla sintomatologia, individua quale
segno di sordità centrale la difficoltà ad seguire
comandi uditivi complessi. La programmazione di
comandi richiama il concetto neurofisiologico di
memoria.
In neuroscienze la memoria è definita come la
capacità del nostro Sistema Nervoso Centrale di
immagazzinare informazioni, dati. Le fasi principali nell’elaborazione della memoria sono:
• l’elaborazione delle informazioni ricevute;
• l’immagazzinamento di queste;
• il recupero delle informazioni immagazzinate.
Per la nostra trattazione è utile applicare la
seguente classificazione dei vari tipi di memoria e
identificarne le sedi neurologiche coinvolte
(Tabella 1).
In questa sede interessa evidenziare che la
working memory o memoria di lavoro, potrebbe
entrare in campo prevalentemente nei meccanismi di integrazione temporale. Si è detto che il
sistema uditivo possiede delle strutture in grado
di elaborare le componenti temporali dello stimolo e far sì che lo stimolo precedente venga immagazzinato, memorizzato, per un periodo sufficiente a poterlo “lavorare” e sovrapporlo al successivo (Working Memory). Il fenomeno è analogo
88
Tabella 1. Vari tipi di memoria e relative sedi neurologiche.
AREE CEREBRALI
(Gestalt)MEMORIA
a quanto avviene nel sistema
visivo, ladCOINVOLTE
Memoria Spaziale
Memoria Emozionale
Memoria Identificativa
Working Memory
(memoria di lavoro)
Capacità motorie
Sensoriale
(visiva, uditiva, tattile)
Ippocampo
Paraippocampo
Subiculum
Cortex Aree Temporali
Area 47
Parietale Posteriore
Amigdala
Ippocampo
Ippocampo
Corteccia Prefrontale
Corpo striato
Cervelletto
Diverse localizzazioni
corticali
dove la memoria iconica consente di immagazzinare il dato per circa 250 millisecondi, principio
sul quale, come è noto, si basa la cinematografia.
Si è già riferito che l’identificazione del messaggio verbale non deriva dall’analisi di tutte le
componenti frequenziali della parola ma dall’identificazione di alcune formanti (Gestalt) e pertanto
anche l’ascolto diviene un fenomeno sensoriale
globale, gestaltico.
Dobbiamo distinguere l’atto dell’udire, che
impegna l’orecchio interno, dall’atto del sentire,
che coinvolge udito e corpo (specie sistema propriocettivo) ed infine dall’ascoltare, esperienza
multisensoriale che attiva tutto il sistema nervoso
centrale, specialmente le vie corticali e i centri di
memoria.
L’’ascolto, la cui funzione deficitaria determina
i sintomi della sordità centrale, è un fenomeno
c:condizionato da:
• l’integrazione di processi percettivi (Gestalt) e
mnestici (Working Memory);
• la rappresentazione interna secondo il nostro
vissuto sonoro (memoria emozionale, identificativa, sensitiva);
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
• la rappresentazione motoria: gesto, postura,
caratteri sovrasegmentari (ritmo, pausa, intonazione), della parola (memoria motoria);
• l’integrazione tra processi percettivi e mnestici
ed il nostro vissuto sonoro.
Pertanto, per consentirci l’ascolto (ma lo stesso vale per altre funzioni sensoriali) il nostro sistema nervoso centrale non può operare in modo
lineare di successione di eventi ma dovrà realizzare dei processi di feedback, dei circuiti riverberanti; deve possedere, quindi, un buon equilibrio
tra passato e futuro.
In conclusione, fintantoché l’analisi del parametro uditivo è di tipo fisico (analisi in frequenza o
intensità) la percezione fa riferimento all’impiego
del solo recettore uditivo (analisi intramodale), ma
laddove si proceda a fenomeni di integrazione e
di sintesi simultanea globale per interpretare lo
stimolo, occorre far riferimento a sistemi plurisensoriali al confine tra percezione e conoscenza.
INTERPRETAZIONE GESTALTICA
DEGLI ACUFENI
L’applicazione della teoria gestaltica alla fisiologia del sistema nervoso centrale uditivo può
aiutarci anche a comprendere meglio il fenomeno
degli acufeni, conseguenza di una riorganizzazione plastica conseguente ad un deficit uditivo periferico più o meno documentabile con l’ausilio dell’audiometria tonale liminare. Il danno cocleare
scatenerebbe l’invio di informazioni discontinue
alle vie uditive centrali ed in particolare, alle vie
lemniscali. Gli studi di Norena e Eggerrmont
riportati da Santarelli dimostrano come la riorganizzazione precoce dell’assetto neurale corticale
conseguente al disturbato input periferico, scateni una, diremmo noi, gestaltica “copertura”, ricostruzione dell’informazione, in tutto analoga a
quella descritta nell’esperienza del triangolo di
Kanisza. In definitiva, le aree corticali uditive compenserebbero il deficit immaginando un suono
che non c’è: l’acufene.
DEFICIT UDITIVO CENTRALE:
PROSPETTIVE DI RICERCA E TERAPIA
Si è fatto cenno all’importanza che oggi ricopre la medicina per immagini che ha quasi soppiantato la ricerca clinica audiologica. In particolare grande importanza per l’analisi di fattori coinvolti nei processi neurologici si dà alla PET (tomografia ad emissione di positroni), all’FMRI (visualizzazione funzionale per immagini con risonanza
magnetica nucleare) e alla MEG (magnetoencefalografia). La PET ci consente di individuare quale
parte del cervello si attivi per svolgere una certa
azione, ma non ci fornisce alcuna informazione
su quanto l’area attivata sia importante per la funzione studiata. Recentemente si è utilizzata la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, eccitando in modo prolungato un’area e determinando adattamento e ipofunzione.
Un rilevante contributo è dato dallo studio degli
algoritmi matematici di mappaggio topografico ad
alta densità spaziale degli ERP (potenziali eventi
correlati), nuovo traguardo della psicofisiologia
cognitiva, che hanno permesso di raggiungere
buoni risultati in modo meno invasivo. L’aspetto
più attuale di questi studi è quello relativo alla preattenzione che precede lo stato di cognizione. Lo
stadio di pre-attenzione è un’attività involtaria,
inconscia, che lascia una memoria sensoriale,
working memory visuo-spaziale (distinta dalla working memory fonologico/linguistica) e successivamente una memoria di fissazione (registrazione,
immagazzinamento, recupero a distanza di tempo)
in grado di influenzare lo stato decisionale.
Pertanto la pre-attenzione e le aspettative influenzano l’analisi degli stimoli sensoriali.
89
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Gli studi sulla pre-attenzione hanno permesso
all’audiologia clinica di raggiungere nuovi traguardi, come nel caso della Mismatch Negativity
(MMN). Tale metodica, oggi di sempre più frequente riscontro, può essere applicata anche nei
neonati. Inviando un treno di impulsi cui si frappongono degli stimoli standard, si possono sviluppare tracce di memoria. L’esame inizia con la
stimolazione ripetuta (circa l’80-90% del numero
totale dei suoni) di un suono e di un altro che
viene presentato meno frequentemente (10-20%
del numero totale), per questo definito “deviante”.
Gli stimoli sono proposti a treni d’impulsi della
durata di 5-10 minuti tanto da consentire al
paziente anche di muoversi liberamente. Si evoca
così una componente dei potenziali “evento correlati” che rappresenta una misura oggettiva dei
processi cognitivi e che è probabilmente generata a livello della corteccia uditiva primaria del lobo
temporale.
La teoria della sordità centrale come condizionata dalla Working Memory, sembra essere
confermata dagli studi di Doris-Eva Bamiou et al.
Il pax6 è un gene che codifica una trascrizione
regolare, che è essenziale per la morfogenesi del
cervello. La mutazione eterozigote del gene pax
6 è associata ad aniridia e anomalie della scissura interemisferica cerebrale negli esseri umani.
Gli autori descrivono il caso di un ragazzo di 12
anni di età, con una mutazione del gene Pax6. I
genitori si mostravano preoccupati per la sue
capacità uditive benché l’esame audiometrico
tonale liminare più volte eseguito non avesse evidenziato alcuna patologia. Risultavano però
patologici i test dicotici di audiometria vocale
suggestivi per patologia centrale. In particolare,
però, le prove di lingua e di valutazione età correlati hanno rivelato una ridotta memoria verbale
di lavoro. I risultati dei test sono stati interpretati
come patognomonici di una ridotta memoria uditiva e sensoriale in linea con i risultati riportati in
90
adulti cui era stata riscontrata una mutazione
Pax 6. Questo è stato il primo studio sulla relazione della patologia centrale uditiva e verbale
con deficit della memoria di lavoro in un bambino con una mutazione.
Dal punto di vista terapeutico, se è ben evidente che la funzione dei recettori uditivi periferici può essere migliorata con sussidi chirurgici
o protesici, analoga considerazione non può
esser fatta per i disturbi centrali, per i quali
occorre un intervento globale. Occorre limitare i
danni affrontando la patologia di base che, ribadiamo, è prevalentemente di natura vascolare.
Inoltre, è necessario migliorare la ridondanza
estrinseca, applicando un sussidio protesico di
ultima generazione e, per quanto possibile, la
ridondanza intrinseca con interventi riabilitativi
basati proprio sui processi di memoria a breve
e lungo termine.
La terapia medica trova indicazione nelle
forme di origine vascolare (Guidetti). In particolare utili farmaci antitrombotici (antagonisti vitamina
K, eparinoidi e antiaggreganti piastrinici) e farmaci con azione sul SNC (nootropi e antivertiginosi,
se sussiste questo sintomo).
La terapia rieducativa, trattandosi per lo più
di persone adulte, è mirata prevalentemente a
limitare i danni e a rispondere alle necessità della
persona. Per far questo occorrerebbe assumere
dall’esperienza del mondo della scuola il concetto di progetto educativo individualizzato e di
profilo dinamico funzionale. La diagnosi funzionale non si limita alla diagnosi clinica ma necessita di valutazione delle competenze della persona, predispone ad un progetto riabilitativo
individualizzato che valuti in itinere i risultati ottenuti. Il progetto riabilitativo deve preliminarmente operare sulla working memory, sottoponendo
sequenze sonore secondo un ordine prestabilito, migliorare l’attenzione selettiva, attivare
sistemi di stimolazione multisensoriale.
LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY
CONCLUSIONI:
L’IMPORTANZA DEL TEMPO
I processi d’integrazione della nostra mente,
deficitari nelle sordità centrali, sono basati sulla
sincronizzazione di attività neurali in regioni corticali separate. Se l’attività avviene in regioni cerebrali anatomicamente separate, ma entro la
medesima finestra temporale, è possibile che le
attività vengano collegate dal nostro sistema centrale, sviluppando dei processi di memoria.
Memoria “a breve termine” che, se non rinforzata
entro un certo tempo, si perde e memoria “a
lungo termine” che determinata modificazioni fisi-
che del sistema nervoso, con sintesi di nuove
proteine e conseguente modificazione strutturali.
L’apertura di un sistema di memoria rispetto
all’altro dipende dal tempo e sempre il tempo
influenza la permanenza o meno di un’informazione. Non è facile capire come il tempo operi il
collegamento. So però che Aristotele nel De
Memoria affermava che “La memoria non è né
sensazione né concetto ma la consapevolezza di
queste ultime quando interviene il tempo… cosicché solo gli animali che percepiscono il tempo
possono ricordare”. Ed inizio a chiedermi come i
soggetti con sofferenza centrale percepiscano il
tempo.
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NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
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93
Capitolo 6
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ
FARMACOLOGICA
Giorgio Guidetti
PRINCIPI ATTIVI OTOTOSSICI E DISTURBI
AUDIO-VESTIBOLARI
L’ototossicità è una possibile causa di disturbi
audio-vestibolari e dipende dall’effetto tossico di
diversi farmaci e tossine a livello dell’orecchio
interno (in particolare delle cellule ciliate della
coclea e del vestibolo) o del nervo acustico.
La recentissima riclassificazione dei farmaci
ototossici, pubblicata dalla Società Italiana di
Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale
nel 2010, comprende ben 635 farmaci distinti in
base al grado di ototossicità in 4 classi:
• Ototossici – Farmaci in grado di indurre disturbi uditivi e vertigini.
• Acufenogeni (non propriamente ototossici).
• Vertiginogeni (non propriamente ototossici).
• Farmaci associati a disturbi dell’udito (non ototossici).
Una sottoclassificazione (a,b,c,d,e) riguarda
invece la frequenza di reazioni avverse (ADr) registrate dal SSN.
Il danno ototossico è accompagnato principalmente da un corredo sintomatologico uditivo
(acufeni, ipoacusia o iperacusia) a causa della
maggiore sensibilità dell’organo del Corti, ma si
osservano anche casi di vertigine.
I sintomi possono manifestarsi isolatamente
o in associazione e svilupparsi all’improvviso o
in tempi lunghi, risultando reversibili o meno.
Nelle forme più gravi si può arrivare alla sordità
completa.
Si ipotizza che esista una predisposizione
genetica al danno ototossico ed esistono
evidenti differenze di sensibilità tra le specie
animali.
• Quest’ultimo aspetto è molto importante nella
valutazione degli effetti ototossici reali sull’uomo fatti a partire da modelli animali. Si è visto
ad esempio che il cis-platino ha dosi pro-Kg
ototossiche simili fra cavia e uomo, mentre per
la gentamicina il modello animale risulta essere
molto più resistente agli effetti ototossici di
quello umano.
Un altro aspetto da tenere in alta considerazione nella pratica clinica è l’eliminazione renale di
quasi tutti i farmaci ototossici, che si traduce in
un abbassamento della soglia di tossicità nei
soggetti con insufficienza renale.
• È utile ricordare in proposito che i tessuti dell’orecchio interno e quelli renali sono immunologicamente, biochimicamente e funzionalmente correlati, tanto da suggerire una possibile correlazione fra gli effetti sul trasporto di
sodio/potassio nel rene e quelli sulla omeostasi ionica dell’orecchio interno da parte dei farmaci. In molti casi i danni sono progressivi nel
tempo.
95
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
È logico che i soggetti con ipoacusia o danni
labirintici preesistenti o con possibili problemi
nell’eliminazione dei farmaci, come ad esempio gli anziani, non andrebbero trattati con
farmaci potenzialmente ototossici se sono
disponibili altre molecole efficaci.
Anche la contemporanea abituale esposizione al rumore va presa in considerazione poiché
risulta ulteriormente peggiorativa, a causa della
maggiore produzione di radicali liberi.
Importanza della valutazione preliminare del
paziente da trattare con farmaci a rischio
Prima di intraprendere una terapia con farmaci potenzialmente ototossici è molto importante
fare un esame audiometrico preliminare e ricercare i segni di un’eventuale vestibolopatia.
È inoltre fondamentale (criteri di riferimento
dell’American
Speech-Language-Hearing
Association - ASHA) il monitoraggio audiometrico e l’applicazione di test specifici come
le emissioni otoacustiche (TEOAEs e DPOAEs)
che vengono considerate oggi l’esame gold
standard clinico per il controllo dell’ototossicità.
Questo tipo di esame consente in pochi
minuti lo studio della funzione cocleare per le
frequenze acute e di evidenziare l’eventuale
effetto ototossico già nelle fasi precoci del trattamento, anche quando ancora non si è evidenziato un deficit uditivo.
La disfunzione cocleare può variare da un leggero aumento della soglia uditiva, rilevabile solo
mediante l’audiometria, fino alla sordità. La perdita uditiva può essere accompagnata da tinnito
transitorio o permanente.
Per stabilire una diagnosi di sordità farmacoindotta è necessario riscontrare all’esame
96
audiometrico un aumento della soglia dei toni
puri maggiore di 15 dB in una o piu frequenze. Tuttavia, in assenza di audiogrammi effettuati prima e dopo il trattamento, è difficile
sostenere una eziologia farmacologica.
Le contestazioni medico-legali per danni iatrogeni da ototossicità restano rare e si segnalano
solo casi gravi (quali la perdita uditiva grave con
interessamento di molte frequenze) con problemi
di comunicazione, ma questo dato va letto in un
contesto epidemiologico di acufeni e ipoacusie in
rapida evoluzione, anche in fasce di età non
geriatriche.
• L’ipoacusia è uno dei disturbi sensoriali più
comuni, che colpisce ad esempio negli USA,
più di 36 milioni di persone e prevale non solo
tra gli anziani, ma riguarda circa un terzo delle
popolazione 40-50enne (American Survey NHANES). Inoltre negli adulti di 48 anni, l’incidenza a 5 anni di sviluppare perdita di udito è
del 21%. L’improvvisa perdita d’udito neurosensoriale solitamente è unilaterale e può
essere associata a tinnito e vertigini. Nella
maggior parte dei casi l’origine non è definita e
vengono ipotizzate cause infettive, vascolari,
immunitarie ed ototossiche.
• L’acufene colpisce circa il 10% della popolazione almeno in un momento della vita. Esso
può essere temporaneo o di lunga durata.
Approssimativamente il 5% degli adulti è colpito da acufene di tipo grave e persistente, tanto
da condizionare lo stile di vita, e la sua prevalenza aumenta con l’età.
Il meccanismo fisiopatologico dell’acufene
non è ancora stato completamente chiarito e
le ipotesi più consistenti lo presentano come
il risultato di un’attività neurale aberrante in
qualche sede lungo l’asse uditivo, mentre le
cause scatenanti riguardano principalmente i
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
traumi acustici, i fattori vascolari e infettivi, e le
forme appunto di ototossicità.
• Ad eccezione del caso di alcune molecole
come gli aminoglicosidici, in genere il danno
della funzione cocleare si manifesta clinicamente molto prima di quello vestibolare, anche
se quest’ultimo è grave o bilaterale. I deficit
vestibolari lenti e progressivi possono infatti
passare inosservati, limitandosi a fugaci vertigini o modesta instabilità, a causa dei meccanismi centrali di adattamento e compenso.
• Una corretta bedside examination del paziente, alla ricerca dei segni specifici di disfunzione
vestibolare quali il nistagmo spontaneo, di
posizione o da head shaking o l’head trust
test, consente comunque di identificare l’insorgenza del danno.
L’individuazione di segni precoci di ototossicità permette l’attuazione di provvedimenti
quali l’adeguamento della posologia, la
sospensione o la sostituzione del farmaco.
storica basata sull’impiego al bisogno e per brevi
periodi dell’ASA come semplice antinfiammatorio,
impieghi che ponevano l’accento solo sul sovradosaggio e su forme di ototossicità reversibili, rafforzando l’ipotesi che a basso dosaggio il rischio
per l’orecchio interno fosse pressoché nullo.
Sono ben conosciuti diversi effetti collaterali
dell’ASA come l’intolleranza gastrica, sino alla
potenziale gastrolesività, l’accelerazione del ritmo
cardiaco, le difficoltà respiratorie, le reazioni cutanee, l’ipoacusia e gli acufeni (Figura 2).
In particolare l’ototossicità dei salicilati, associata ad ipoacusia ed acufeni, è nota in clinica da oltre un secolo, ma è sempre stata
considerata reversibile e correlata al solo
sovradosaggio, per via dell’impiego prevalente nella popolazione generale per periodi
brevi negli stati influenzali, ovvero in forma
cronica su nicchie di pazienti problematici
come in reumatologia.
IL CASO DELL'ACIDO ACETILSALICILICO
Fra i farmaci classificati come ototossici
(Classe 1) vi è l’acido acetilsalicilico (ASA), in tutte
le formulazioni e dosaggi (Figura 1). L’ASA è una
delle molecole di più frequente riscontro nella
pratica clinica (vedi Appendice I – Farmaci
Vascolari) per l’impiego massiccio nella prevenzione cardiovascolare come antiaggregante piastrinico, in reumatologia come FANS e nelle cefalee come antiemicranico.
Negli ultimi 20-30 anni, l’esteso impiego di
questa molecola nella popolazione generale, in
forma cronica (a vita) in campo cardiovascolare,
sta portando alla luce aspetti della ototossicità di
questo farmaco, inattesi secondo l’esperienza
Figura 1. Struttura molecolare dell'acido acetilsalicilico (ASA) o
aspirina.
97
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
A. Perdita neurosensoriale assoluta, come riportato dai 16 riferimenti indicati nel box in alto. Per ottenere dati comparabili, le
perdite sono state considerate, per quanto possibile, sulle frequenze medie. Linea continua: regressione lineare.
B. Intensità dell’acufene in relazione al livello plasmatico di salicilato per i sei studi citati nel box in alto. I punti isolati rappresentano i valori soggettivi più bassi alla comparsa dell’acufene. Per
due studi, i punti dell’acufene incipiente sono stati collocati a 10
dB. I punti collegati rappresentano i valori medi di crescita del
volume (confrontato con il suono esterno: simboli pieni; scala
soggettiva: simboli aperti) in rapporto all’incremento del livello
plasmatico di salicilato.
Figura 3. Livelli di ipoacusia e acufene in funzione dei livelli di concentrazione plasmatica di ASA (Cazals, Prog Neurobiol 2000).
• Altri documentano però che tale azione protettiva non esiste e che, anzi, l’ASA è persino in
grado di esacerbare temporaneamente la perdita uditiva da rumore e che ad alte dosi ha
un’azione pro-ossidativa e facilitante la morte
cellulare (Vedi Capitolo 7 “Lo stress ossidativo
nel danno cocleare”).
Un giudizio più chiaro e verosimilmente definitivo emerge ora dall’indagine Health Professionals
Follow-up Study pubblicata nel 2010 sull’American
Journal of Medicine. Si tratta di un monitoraggio
condotto dal Curhan e collaboratori per 20 anni
(baseline 1986) su 26.917 soggetti utilizzatori di
FANS. Si è evidenziata una correlazione significativa fra le abitudini d’impiego dell’ASA e altri FANS
ed il rischio di sviluppare ipoacusia rispetto alla
popolazione generale, soprattutto nella fascia di età
40-50 anni.
Il maggiore rischio di ipoacusia neurosensoriale associato all’ASA ed agli altri FANS è
dovuto in parte al dosaggio (Tabella 1) e in
parte alla durata della terapia (Tabella 2), con
un rischio maggiore nei soggetti fra i 40 ed i 60
anni (Tabella 3).
99
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Tabella 1. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattato
per età e multivariato) associato ad uso di analgesici
(Curhan et al. Am J Med 2010).
Tabella 3. Stratificazione per età del Rischio Relativo (IC
95%) di ipoacusia (adattato per età e multivariato*) associato ad uso di analgesici (Curhan et al. Am J Med 2010).
Analge Ca si AnniPersona
sici
Analgesico Età <50 anni
Rischio
Rischio
Relativo
Relativo
adattato per età multivariato*
Aspirina
<2/sett 1.769 213.831
2+/sett 1.711 154.412
1,0
1,0
1,13 (1,06-1,21) 1,12 (1,04-1,20)
FANS
<2/sett 2.852 320.467
2+/sett 636 48.612
1,0
1,0
1,38 (1,27-1,50) 1,21 (1,11-1,33)
Pa ra c e t a molo
<2/sett 3.214 347.362
2+/sett 274 21.717
1,0
1,0
1,32 (1,17-1,50) 1m22 (1,07-1,39)
FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei
*Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza.
Tabella 2. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattato
per età e multivariato) associato alla durata dell’assunzione
dell’analgesico (Curhan et al. Am J Med 2010).
Rischio
Risc hio
Durata Ca si AnniPersona
Relativo
Re la t ivo
dell’uso
adattato per età mult iva ria t o*
(anni)
Aspirina
0
1-4
5-8
>8
1.042
1.122
687
637
156.188
1,0
108.177 1,35 (1,24-1,46)
56.431 1,34 (1,22-1,48)
48.282 1,26 (1,14-1,40)
1,0
1,28 (1,17-1,40)
1,30 (1,17-1,44)
1,17 (1,04-1.31)
2.409 284.706
1,0
721 59.774 1,30 (1,20-1,42)
358 24.600 1,41 (1,26-1,57)
1,0
1,23 (1,12-1,34)
1,33 (1,18-1,49)
FANS
0
1-4
>4
Pa ra c e t a molo
0
1-4 >4
2.897 320.893
1,0
420 36.348 1,23 (1,11-1,36)
171 511.838 1,39 (1,19-1,62)
1,0
1,19 (1,07-1,32)
1,33 (1,14-1,56)
FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei
*Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza.
100
Età 50-59 anni Età 60+ anni
Aspirina
Adattato
per età 1,32 (1,02-1,69 1,36 (1,20-1,54) 1,03 (0,94-1,12)
Multivariato 1,33 (1,03-1,72) 1,33 (1,17-1,50) 1,02 (0,93-1,11)
FANS
Adattato
per età 1,59 (1,14-2,23) 1,35 (1,15-1,58) 1,17 (1,04-1,31)
Multivariato 161 (1,15-2,26) 1,32 (1,13-1,55) 1,16 (1,03-1,30)
Paracetamolo
Adattato
per età 1,91 (1,29-2,82) 1,37 (1,09-1,73) 1,17 (0,99-1,37)
Multivariato 1,99 (1,34-2,95) 1,38 (1,09-1,74) 1,16 (0,99-1,37)
FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei *Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione,
diabete, professione e razza.
I meccanismi della ototossicità dell’ASA
I processi biochimici responsabili degli effetti
tossici dell’ASA sono ancora oggi materia di
ricerca. Tuttavia, varie alterazioni metaboliche
sono state individuate per i salicilati (Tabella 4).
Sono invece poche le indagini biochimiche
condotte sino ad oggi specificamente per gli effetti ototossici come quella di Cazals del 2000. Nei
modelli animali, la somministrazione acuta di alte
dosi di salicilato provoca un momentaneo deficit
uditivo, sino a 40-50 dB, con riduzione dei prodotti di distorsione (Distortion Product Otoacoustic
Emissions, DPOAE) nelle otoemissioni, con interessamento soprattutto dell’amplificazione cocleare. I DPOAE sono generati nella coclea in risposta
a determinate frequenze tonali e livelli di pressione
sonora e sono un indice oggettivo del normale funzionamento delle cellule ciliate esterne.
La perdita temporanea della sensibilità
cocleare indotta dai salicilati parrebbe dipendere
dunque da una disfunzione reversibile delle cellule ciliate esterne (Figura 4).
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
Tabella 4. Principali alterazioni metaboliche legate alla ototossicità.
• Inibizione della sintesi delle prostaglandine, della NADPH
sintetasi, della fosfolipasi C, della colesterolesterasi e della
ATPasi.
• Interazione con antigeni e anticorpi.
• Passaggio nelle membrane.
• Uncoupling della fosforilazione ossidativa.
• Iperglicemia.
• Attivazione del heat shock transcription factor.
• Interazione con i radicali liberi.
LEGENDA: SV: Stria Vascularis; BM: Membrana Basale; AN:
Nervo Acustico (VIII n.c.)
Figura 4. Sistema delle cellule ciliate esterne (OHC) e interne
(IHC).
In particolare pare interessata la capacità di
questa classe di molecole di legare competitivamente la prestina, che, come documentato dal
gruppo di Zheng, Dallos e collaboratori, è il motore proteico che garantisce il movimento delle cellule ciliate.
La prestina è presente nelle hair cells di tutti i
mammiferi (Figura 5) e serve per amplificare le
onde sonore.
Le persone che possiedono un gene mutato
per la formazione di questa proteina non riescono ad udire suoni ad alta frequenza ed è stata
scoperta una correlazione tra la mutazione di
questo gene e la capacità di orientarsi grazie a
sonar.
I cambiamenti conformazionali di questa proteina sono causati da spostamenti di anioni intracellulari indotti dalle variazioni del campo elettrico
della membrana (Figura 6).
L’interferenza con la prestina produrrebbe:
l’eliminazione reversibile della elettromoticità delle
cellule ciliate esterne (OHC); la perdita temporanea dei DPOAE; la perdita temporanea dell’amplificazione cellulare.
Figura 5. Grazie al biosonar (ecolocalizzazione) i delfini identificano e stimano la distanza degli oggetti, utilizzano gli echi dei
suoni emessi nell'ambiente, per l'orientamento e la ricerca del
cibo.
101
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 6. La prestina è implicata nei meccanismi di attivazione delle cellule ciliate, a causa dei cambiamenti indotti nella proteina dalle
variazioni del campo elettrico della membrana.
La somministrazione prolungata di elevati
dosaggi di salicilati pare invece comportare: un
aumento dell’ampiezza dei DPOAE; un aumento
della elettromotricità delle cellule ciliate esterne;
un aumento della produzione di prestina.
Un recente studio sperimentale di Chen e
collaboratori ha chiarito meglio questo apparente paradosso in un articolo dal titolo “Troppo
di una cosa buona: il trattamento a lungo termine con i salicilati rafforza le funzioni delle cellu-
102
le ciliate esterne, ma altera l’attività neurale uditiva”.
È stato infatti osservato che: l’ampiezza dei
DPOAE cala nelle prime 24h per poi aumentare
nuovamente e stabilizzarsi; l’ampiezza dei CAP
(Compound Action Potential) si riduce in modo
permanente; l’ampiezza delle risposte evocate
uditive tronco-encefaliche (ABR: Auditory
Brainstem Response) si riduce in modo permanente (Figura 7).
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
L’applicazione di salicilati a colture cellulari
organotipiche cocleari immature e postnatali ha
inoltre documentato cambiamenti morfologici
cellulari e dell’espressione dei geni coinvolti nell’apoptosi dopo 3, 6 e 12 ore dal trattamento.
In particolare sono evidenti danni nelle cellule
del ganglio spirale, con una significativa e progressiva riduzione della dimensione somatica del
ganglio, un’apoptosi capsasi-dipendente e un
cambiamento dell’espressione della famiglia dei
Tumor Necrosis Factors (Figura 8).
Lo studio dell’attività tinnitogena dell’ASA nell’animale, mediante l’acoustic startle reflex, o
alarm reflex con risposta motoria emozionale
condizionata ha consentito a Kizawa e collaboratori di identificare ulteriori meccanismi di interazione della molecola con la funzione uditiva.
Secondo i risultati dello studio pubblicato da
Neuroscience nel 2010, nell’animale da esperimento la lesione dei nuclei cocleari abolisce questo riflesso, mentre la stimolazione elettrica lo
evoca.
Nell’uomo questo riflesso pare collegato all’attività della sostanza reticolare tronco-encefalica e
alle vie reticolo-spinali.
A. Ampiezze ABR come funzione di un livello di stimolazione a
12 kHz.
B. Ampiezze ABR ad un livello di stimolazione di 100 dB (SPL)
come funzione di frequenza
Figura 7. Gli effetti permanenti del trattamento cronico con salicilato sugli ABR in un gruppo di ratti SD giovani adulti (n=6)
(Mod. da Chen et al, Hear Res 2010).
La riduzione permanente dell’ampiezza dei
CAP suggerisce che un trattamento a lungo
termine con i salicilati possa danneggiare il
soma e gli assoni dei neuroni del ganglio spirale della coclea.
Figura 8. Media della dimensione somatica del ganglio spirale
dei neuroni cocleari (± SEM) in controlli e colture di neuroni
gangliari trattate con 1, 3 e 5 mM di salicilati per 48 ore (Mod.
da Wei et al, Neuroscience 2010).
103
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
L’iniezione di dosi elevate di salicilato, come
dimostrato nel 209 da Sun e collaboratori,
induce un aumento della risposta acustica
d’allarme nell’animale, per aumento della sensibilità del sistema uditivo centrale, presumibilmente da inibizione della down-regulation
GABA-mediata, che verosimilmente può essere il correlato comportamentale dell’iperacusia
che spesso accompagna il tinnito e la perdita
d’udito.
Nello studio del 2010 di Kizawa e collabora-
tori sui ratti, due ore dopo l’iniezione di salicilato (400 mg/kg) gli animali sono in grado di
avvertire un acufene (risposta falso-positivo)
equivalente a quello indotto da 60 dB SPL e 16
kHz (Figura 9).
Poiché questa condizione è soppressa in
modo significativo dalla capsazepina, la sovraregolazione uditiva centrale pare provocata in
particolare dall’attivazione del TRPV1 nella via
uditiva del ratto, soprattutto nel ganglio spirale
(Figura 10).
A. La percentuale di risposte corrette al suono (% punteggio di “fuga attiva”) misurato prima (giorno 0), durante (giorno 1-3), e
dopo le iniezioni di salina o di salicilato (400 mg/kg) (giorno 4). La percentuale di punteggio di “fuga attiva” è rimasta stabile (80%)
in entrambi i gruppi durante il periodo sperimentale.
B. Numero di risposte anormali durante i periodi asintomatici (falsi positivi). Le iniezioni di salicilato hanno indotto in maniera significativa un aumento del numero di falsi positivi al terzo giorno (giorno 3) (* P<0.005). È stata riscontrata una completa guarigione
nel momento in cui è stato sospeso il trattamento al quarto giorno (giorno 4).
Figura 9. Punteggio di “fuga attiva” (A) e falsi positivi (B) nei ratti trattati con salicilato (Mod. da Kizawa et al., Neuroscience 2010).
104
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
Figura 10. La superfamiglia dei Transient Receptor Potential (TRP) è implicata nei processi nocicettivi a livello periferico e centrale.
L’aumento dell’attività TRPV1 nel ganglio spirale, con la relativa ipersensibilità neuronale, è
correlabile alla diminuzione della cicloossigenasi provocata dall’ASA.
L’inibizione della cicloossigenasi e l’alterazione del
metabolismio dell’acido arachidonico ad opera
dell’ASA è inoltre capace di attivare i recettori cocleari NMDA che non sono normalmente implicati nella
trasmissione del messaggio acustico, favorendo
ulteriormente la disreattività neuronale (Figura 11).
Esistono due tipi di cicloossigenasi: COX 1 e
COX 2 (Figura 12). L’ASA li inibisce entrambi.
La COX 1 è presente nelle piastrine e, venendo acetilata, non può essere risintetizzata.
La COX 2 si trova principalmente nelle cellule
endoteliali e, essendo queste ultime provviste di
nucleo, la risintesi è possibile.
L’ASA inibisce la formazione di trombossani
da parte della COX-1 mentre la sintesi di prostaglandine e prostacicline si ristabilisce abbastanza
rapidamente, spostando la bilancia trombotica
verso l’antiaggregazione piastrinica.
L’inibizione della COX1 è un effetto indesiderato dell’ASA e di altri FANS e riduce la trasformazione dell’acido arachidonico in prostaglandine e
la sintesi di trombossani (Figura 13).
Nell’apparato uditivo il metabolismo dell’acido arachidonico è sicuramente importante e
una sua alterazione, come ad esempio nel trauma acustico, è in grado di provocare danni.
L’espressione dei recettori COX-1 scende infatti
dopo esposizione a 70-90 dB SPL nella maggior parte delle cellule dell’organo del Corti,
mentre aumentano nelle fibre nervose nella lamina spirale ossea.
105
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
A. Recettore NMDA: 1) Membrana cellulare, 2) canale bloccato dal Mg, 3) sito di legame del Mg che blocca il recettore, 4) composti allucinogeni che legano il sito 5, 5) sito di legame per Zn2+, 6) sito di legame per agonisti ed antagonisti, 7) sito di glicosilazione, 8) siti di legame del protone, 9) sito di legame della glicina, 10) sito di legame delle poliammine, 11) spazio extracellulare, 12)
spazio intracellulare.
B. Modello tridimensionale dell’enzima ciclossigenasi (COX o prostaglandina-endoperossido sintasi, (in alto ) e diagramma della
reazione catalizzata (in basso)
C. L'aspirina blocca il legame dell'acido arachidonico nel sito attivo della cicloossigenasi, inibendo la trasmissione di stimoli dolorifici e la risposta infiammatoria.
Figura 11. Recettore NMDA, cicloossigenasi e acido arachidonico sono implicati nella disregolazione uditiva indotta dall'ASA.
106
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
Figura 12. A. La scoperta dell’esistenza della ciclossigenasi indotta (COX2) isoforma della ciclossigenasi costitutiva (COX1) ha dato
impulso allo studio dei farmaci antinfiammatori, per la soppressione selettiva degli effetti collaterali indesiderati. B, C. COX 1 e COX2
inibite dall’ASA.
107
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 13. Molti farmaci antinfiammatori e antidolorifici inibiscono una delle vie dell’acido arachidonico, la cui metabolizzazione produce mediatori infiammatori.
Contemporaneamente si reduce la 5Lipossigenasi, parimenti inplicata nei processi di
trasformazione dell’acido arachidonico, soprattutto nel terzo anello dell’organo del Corti, nel secondo e nel terzo del ganglio spirale e in tutti quelli
della stria vascularis (vedi Box “Ruolo della stria
vascolare nella fisiologia dei fluidi endolinfatici).
108
L’alterazione dei processi biochimici relativi
all’acico arachidonico, alle prostaglandine e ai
trombossani implica quindi naturalmente
anche un’interferenza sui meccanismi di
regolazione vascolare.
IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA
RUOLO DELLA STRIA VASCOLARE NELLA FISIOLOGIA DEI FLUIDI ENDOLINFATICI
La stria vascolare è l’epitelio riccamente vascolarizzato che
riveste la parete laterale del dotto cocleare, delimitato sugli altri
due lati dall’organo del Corti (che è immerso nell’endolinfa e,
mediante le cellule ciliate, traduce gli stimoli sensoriali meccanici – suono – in segnali elettrici) e dalla membrana di Reissner.
Queste strutture concorrono in modo indipendente e coordinato all’omeostasi dell’endolinfa della scala media, che ha concentrazione alta di K+ e potenziale positivo.
L’organizzazione cellulare della stria vascolare, con tre tipi di
cellule in serie – basali, intermedie e marginali – potrebbe essere responsabile della genesi del potenziale endococleare.
Probabilmente, il potenziale positivo all’interno della scala
media è generato da un epitelio di cellule basali e intermedie che
si trovano al di sotto delle cellule marginali. È stato stabilito con
certezza che la stria vascolare è responsabile della secrezione di K+ nell’endolinfa. Anche i trasportatori implicati nel trasporto di K+ sono stati per la maggior parte identificati e localizzati nelle diverse cellule che formano la stria vascolare. Le
cellule marginali, che ricoprono il bordo del canale endolinfatico, giocano un ruolo chiave negli scambi ionici e nella formazione del potenziale dell’endolinfa. Il potassio secreto nell’endolinfa dalla stria vascolare entra nelle cellule ciliate attraverso i canali meccano-sensitivi apicali dello ione K+, e lascia probabilmente le cellule ciliate esterne attraverso i canali
KCNQ4. Il potassio è poi riutilizzato nella stria vascolare attraverso le cellule di sostegno e i fibrociti del legamento spirale
per un altro giro di secrezione.
I progressi compiuti dalla ricerca sperimentale nella caratterizzazione molecolare dei sistemi di trasporto idroelettrolitici implicati nella fisiologia dei fluidi dell’orecchio interno hanno permesso di comprendere meglio alcune patologie, particolarmente nel campo delle sordità genetiche e della malattia di Menière. In futuro, queste conoscenze dovrebbero permettere lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici a ipoacusia, vertigini e altre disfunzioni audio-vestibolari legate ad anomalie di
questi trasporti.
Le prostaglandine (PGs) maggiormente prodotte dalle strutture vascolari nell’orecchio interno
sono la PGI2, PGF2α, PGE2, PGI2α, che si ritrovano nella perilinfa. Come documentato in uno
studio del 1985 da Escoubet e collaboratori, l’iniezione di 350 mg/kg di ASA per via intraperitoneale
reduce per 3 giorni la sintesi di PGs nella perilinfa.
La PGH2 viene trasformata enzimaticamente
in tre prodotti:
• il Trombossano A2, che si trova soprattutto
nelle piastrine, è piuttosto instabile e provoca
aggregazione piastrinica e vasocostrizione;
• la Prostaciclina o PGI2, che si trova prevalentemente nella parete dei vasi, ha effetti opposti
a quelli del Trombossano A2, inibisce l’aggregazione piastrinica e agisce da vasodilatatore;
• le prostaglandine PGD2, PGE2, PGF2 , che si
riscontrano in varie zone dell’organismo e rappresentano i metaboliti più stabili, esercitano
diverse azioni sul tono e sulla permeabilità
vascolare.
Nel ratto alti dosaggi di ASA sembrano poter
prevenire la disintegrazione delle cellule ciliate
vestibolari dopo trombosi selettiva dell’arteria
cerebellare antero-inferiore, ma lo studio laser
Doppler ha dimostrato che il flusso ematico
cocleare in realtà viene ridotto del 10-20% a
seconda delle dosi iniettate e vi è un aumento
significativo della soglia del CAP per le frequenze
superiori ai 4KHz.
Verosimilmente entrano appunto in gioco
anche in questo caso i meccanismi relativi alle
prostaglandine.
109
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Sia negli animali da esperimento che nell’uomo i recettori dei prostanoidi infatti sono distribuiti in abbondanza nella coclea, nel legamento spirale, nella stria vasculari, nel ganglio spirale e nell’organo del Corti.
L’analisi al microscopio rivela una distribuzione
omogenea dei recettori COX-1 in quasi tutte le
cellule dell’organo del Corti ad esclusione dei
pilastri. I recettori COX-2 sono presenti in tutti i
tipi di cellule della coclea, con una maggiore
distribuzione nelle cellule di Hensen e in quelle di
Deiters, che parrebbero avere anche un importante ruolo metabolico, nonchè sulla lamina cuticulare delle cellule ciliate esterne e sulla membrana reticolare in genere. I recettori COX-1 e COX2 sono rappresentati omogeanemente anche nel
ganglio spirale.
La coclea inoltre ha un’innervazione autonoma, ristretta al modiolo, di tipo noradrenergico ed
un test in vivo su cavie trattate con salicilati ad
alto dosaggio ha dimostrato che l’ipoacusia rilevata è correlata anche ad un aumento di norepi-
nefrina, epinefrina, dopamina e di alcuni metaboliti come l’acido 5-hydroxyindole-3-acetico e
l’acido omovanilico nella perilinfa.
In conclusione: l’ASA somministrato ad alte
dosi, sia sperimentalmente sugli animali che
nell’uomo, è in grado di provocare con vari
meccanismi una sofferenze del sistema uditivo a più livelli, dall’organo del Corti sino ai
centri di integrazione delle informazioni uditive, generalmenre accompagnato da acufeni.
Più raramente è stata indagata la componente vestibolare ma i dati sperimentali ed il coinvolgimento dei meccanismi circolatori suggeriscono che un suo coinvolgimento è altamente probabile.
Il recente follow-up ventennale di pazienti con
uso cronico di ASA ai dosaggi clinicamente più
attuali rivela che l’ototossicità è purtroppo irreversibile ed è più evidente nei soggetti al di sotto dei
60 anni.
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Capitolo 7
LO STRESS OSSIDATIVO
NEL DANNO COCLEARE
Giorgio Guidetti
IL DEFICIT UDITIVO NEUROSENSORIALE
Si considerano ipoacusie neurosensoriali
improvvise o acute (Sudden SensoriNeural
Hearing Loss) quei quadri patologici caratterizzati da una perdita repentina della funzione uditiva,
solitamente localizzata ad un solo orecchio e dall’evoluzione variabile. Infatti, la perdita uditiva si
manifesta nel volgere di qualche secondo fino ad
alcune ore, o al massimo tre giorni.
L’inquadramento clinico si basa innanzitutto
sui dati anamnestici forniti dal paziente sulla comparsa di una ipoacusia unilaterale manifestatasi
nel volgere di minuti o di poche ore, al massimo
tre giorni. L’ipoacusia può essere accompagnata
da altri segni di sofferenza cocleo-vestibolare,
associandosi spesso ad acufeni, fullness, vertigine o instabilità.
All’origine del deficit uditivo neurosensoriale c’è
generalmente un malfunzionamento della coclea,
dovuto al danneggiamento delle cellule ciliate uditive dell’organo di Corti, oppure un danno del nervo
uditivo o delle vie nervose centrali. Le cellule ciliate
danneggiate non sono in grado di trasformare il
segnale acustico in impulsi nervosi. Più cellule sono
danneggiate, più grave sarà la sordità (Figura 1).
Figura 1. A. L'attivazione delle cellule ciliate in scariche di potenziali d'azione è modulata da una serie di complessi meccanismi ionici e neurosecretori. IHC: cellule ciliate interne; OHC: cellule ciliate esterne. B. Le cellule ciliate danneggiate non sono in grado di trasformare il segnale acustico in impulsi nervosi.
115
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Sulla base della entità della perdita uditiva, le
ipoacusie neurosensoriali si definiscono di grado
lieve (perdita uditiva da 20 a 40 dB), medio (da 41
a 70 dB), grave (da 71 a 90 dB), profondo (>90
dB). L’entità del danno può delinearsi immediatamente nella sua massima entità, oppure manifestarsi come un peggioramento progressivo.
L’evoluzione naturale della patologia è variabile, perché il deficit può rimanere inalterato oppure può verificarsi una remissione spontanea, parziale o (più raramente) completa.
La più frequente tra le ipoacusie neurosensoriali ad evoluzione cronica è la presbiacusia,
nella quale il deficit uditivo è dovuto all’invecchiamento e progressiva diminuzione delle cellule uditive. Altre sordità neurosensoriali sono di
natura ereditaria, metabolica, vascolare, traumatica, da stress per esposizione eccessiva a
rumori, infettiva o iatrogena da farmaci ototossici. Cause possibili di ipoacusie neurosensoriali
da danno delle vie nervose sono la sclerosi mul-
tipla e la neurofibromatosi. Nel caso di una ipoacusia neurosensoriale puramente monolaterale
va sempre escluso il neurinoma del nervo acustico, comunque a bassa prevalenza (circa 1
ogni 100.000 abitanti).
L’ACUFENE
L’acufene o tinnito, caratterizzato dalla percezione di suono in assenza di stimoli esterni, è
stato riscontrato in circa il 10% della popolazione
almeno in un momento della loro vita (Figura 2).
Esso può essere temporaneo o di lunga durata;
approssimativamente il 5% degli adulti è colpito
da acufene grave e persistente, tanto da condizionare lo stile di vita. Infatti, sebbene molti riescano ad adattarsi positivamente a questa situazione, altri vivono questa esperienza come una
condizione invalidante. La prevalenza del tinnito
aumenta con l’età.
Figura 2. Nel 78% delle persone che soffrono di acufene l’intensità del “suono fantasma” è minore o uguale a 10dB, mentre nel
44,5% dei casi è compreso tra 1 e 5 dB. Ma la reazione organica che un medesimo tipo di acufene produce tramite il sistema limbico e il sistema nervoso autonomo (fastidio o senso di allarme vs. adattamento) è strettamente soggettiva.
116
LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE
Nonostante vi siano molte teorie che riguardano la fisiopatologia dell’acufene, il meccanismo
preciso resta ancora da spiegare. La più consistente di queste è l’ipotesi che rappresenti il risultato di un’attività neurale aberrante in qualche
sede lungo l’asse uditivo e di abnormi meccanismi centrali di risposta a questa condizione, con
coinvolgimento anche di network limbici ed emozionali. La terapia standard degli acufeni rimane
incerta, nonostante il gran numero di interventi
terapeutici e studi che vengono proposti come
efficaci.
Recenti evidenze del coinvolgimento dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS) nelle patologie dell’orecchio interno e delle vie periferiche e centrali
potrebbero suggerire un approccio terapeutico
all’acufene anche con agenti antiossidanti.
DANNO COCLEARE
DA STRESS OSSIDATIVO
I ROS (Reacting Oxygen Species) o specie
reattive dell’ossigeno sono radicali liberi che vengono prodotti dall’organismo in condizioni fisiologiche e patologiche. Normalmente la loro presenza è controllata da meccanismi intercellulari attraverso enzimi endogeni antiossidanti come la
Superossidodismutasi (SOD).
Uno squilibrio causato da sovrapproduzione
di ROS o deplezione di antiossidanti provoca
un’azione citotossica sulle cellule.
Nell’orecchio interno è stata ampiamente
documentata l’ipotesi che i processi di necrosi e
apoptosi delle cellule ciliate nelle ipoacusie siano
ROS-mediati.
Tale ipotesi si basa su prove sperimentali su
animali e prende origine da due considerazioni:
• I ROS vengono prodotti soprattutto nelle catene mitocondriali che forniscono energia alle
cellule e le cellule ciliate (hair cells) della coclea
sono note per essere un sistema esigente per
il consumo di energia e ossigeno.
• I ROS possono attivare i processi di necrosi
e/o apoptosi cellulare danneggiando la membrana lipidica, le proteine ed il DNA cellulare.
Nei modelli animali sono stati descritti diversi
casi di danno cocleare, tra cui quello legato alla
esposizione al rumore e ai farmaci ototossici (ad
es. aminoglicosidi e cisplatino).
Gli effetti degli aminoglicosidi (ad es. gentamicina) nell’orecchio interno comprendono il blocco
dei canali di: calcio, magnesio, potassio e sodio;
inoltre gli aminoglicosidi permeano nell’endolinfa
interferendo con i canali non selettivi delle cellule
ciliate (Figura 3).
Questi effetti provocano un aumento dei livelli di
calcio intracellulare e la produzione di livelli tossici
di ROS che conducono a diversi gradi di apoptosi
delle hair cells, a seconda del tipo di esposizione,
acuta o cronica, con bassi o elevati dosaggi.
Questi processi apoptotici possono perdurare
fino a 4 settimane dopo la cessazione della somministrazione del farmaco.
Le indagini sullo stress ossidativo si sono concentrate in particolare sul ruolo dei ROS nelle
ipoacusie reversibili, irreversibili ed in quelle
croniche progressive, raccogliendo evidenze
sempre più importanti del peso che la perossidazione lipidica e l’apoptosi cellulare sembrano
avere nel danno funzionale delle strutture labirintiche.
Due markers dello stress ossidativo e della
perossidazione lipidica cellulare, rispettivamente i
coniugati glutatione-proteine e l’8-isoprostano,
sono stati studiati in associazione al danno
prodotto in diverse aree dell’orecchio interno
(perdita di hair cells), dopo esposizione a trauma
acustico o in condizioni di deterioramento cronico fisiologico. L’esposizione al rumore pare
indurre stress ossidativo, riduzione del flusso
sanguigno cocleare, rigonfiamento neuronale,
117
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 3. La gentamicina, come altri antibiotici aminoglicosidici, permeando nell’endolinfa, induce un aumento dei livelli di calcio
intracellulare e la produzione di livelli tossici di ROS, responsabili di diversi gradi di apoptosi delle cellule ciliate.
necrosi e apoptosi cellulare nell’organo del Corti.
I lipidi sono uno dei principali componenti delle
membrane biologiche; la perossidazione lipidica
comporta deterioramento ossidativo dei lipidi e
danni per le proteine incorporate nelle membrane
cellulari.
La perossidazione lipidica è avviata dai radicali
OH, e una singola reazione iniziale è in grado di
innescare una reazione a catena che genera
molteplici perossidi radicali.
Alcuni studi indicano come lo stress ossidativo aumenti considerevolmente con l’età, mentre
le difese antiossidanti (AIF e SOD2) si abbassano.
L’area più sensibile allo stress ossidativo pare
essere l’organo del Corti, con alterazioni anche
118
irreversibili, mentre la stria vascularis risulterebbe
più resistente con alterazioni spesso reversibili.
Uno studio pubblicato recentemente dalla
Scuola di Ferrara ha fornito la prima prova della
produzione di superossido, una specie reattiva
dell’ossigeno (ROS) in pazienti con ipoacusia
neurosensoriale profonda (60-80 db). Ciorba e
collaboratori hanno studiato 142 pazienti ipoacusici (65 maschi e 77 femmine – età compresa fra
2 mesi e 70 anni), dai quali sono stati raccolti 98
campioni validi di perilinfa da pazienti sottoposti
ad inserimento di un impianto cocleare, osservando come controllo 7 campioni ottenuti da
pazienti affetti da otosclerosi, con leakage spontaneo post-stapedotomia (Figura 4).
LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE
LEGENDA: XA/XO (Xantina/Xantina-Ossidasi, sistema enzimaticogeneratore di ROS); SDS-PAGE = Sodium Dodecyl Sulphate PolyAcrylamide Gel Electrophoresis (elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecil solfato, tecnica analitica
che permette l'analisi di estratti proteici).
Figura 4. Test eseguiti sui campioni validi di perilinfa ottenuti dall’orecchio interno dei soggetti inclusi nello studio. (Mod. da: Ciorba
et al. Acta Otolaryngol 2010).
lIn tutti i pazienti esaminati, a prescindere dall’età e dal grado di ipoacusia, si sono riscontrati
livelli di superossido da 50 a 200 volte superiori ai
campioni del gruppo di controllo (Tabella 1).
Tabella 1. Produzione di radicali superossido misurati come
livello di citocromo-riduttasi nella perilinfa di orecchio interno
umano. Mod. da: Ciorba et al. Acta Otolaryngol 2010
Età (anni)
Superossido
(μm/mg proteina)
0-10
15.87 + 7.96
11-30
60.67 + 27.92
>30
21.06 + 14.67
Controlli
0.36 0.13
I ROS sembrano coinvolti anche nei casi di
ipoacusia genetica (es. Sindrome di Pendred),
nella presbiacusia, nella Malattia di Menière e nel
trauma acustico, in cui un ruolo essenziale parrebbe svolto appunto dalla riduzione del flusso
sanguigno e dalla formazione di ROS nella
coclea, con uno sviluppo significativo a distanza
di 7-10 giorni dall’esposizione al rumore. In effetti parrebbe che gli antiossidanti (i cosiddetti
“spazzini” dei radicali liberi), somministrati entro
tre giorni dal trauma acustico, siano in grado di
ridurre la formazione di radicali liberi e l’apoptosi
delle cellule sensoriali.
L’evento finale scatenante il danno cocleare è
infatti comunque sempre l’ipossia, con la relativa
sofferenza cellulare da stress ischemico/ossidativo,
119
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
e pare dunque razionale una scelta terapeutica
mirata sia alla riparazione del danno endoteliale
del microcircolo dell’orecchio interno che alla inibizione dei radicali liberi per ridurre quanto più
possibile il danno cellulare.
La terapia orale antiossidante in pazienti pare
trovare indicazione come trattamento supplementare anche nell’acufene idiopatico in quanto
sembra ridurre il disagio soggettivo e l’intensità
del tinnito.
Presso la Clinica Otorinolaringoiatrica di
Padova, Savastano e collaboratori hanno condotto uno studio clinico, in cui sono stati esaminati 31 pazienti con acufene unilaterale idiopatico trattati con antiossidanti per 18 settimane. Si
sono valutati i disturbi soggettivi con scala analogica visiva (VAS) ed il dosaggio dei ROS nel
siero 48 ore prima e dopo il trattamento medico.
Il cocktail antiossidante impiegato prevedeva un
mix di fosfolipidi e vitamine (Vit. C, Vit. E). Il trattamento ha mostrato un abbattimento dei livelli
di ROS corrispondente ad un miglioramento del
tinnito.
Attualmente sono in fase di studio numerose
molecole otoprotettive con attività antiossidanti.
L’Acido Alfa Lipoico (ALA) e la Superossidodismutasi (SOD) hanno già dimostrato efficacia clinica
sullo stress ossidativo dei pazienti diabetici.
Studi sperimentali hanno dimostrato che un
deficit di SOD amplifica il depauperamento fisiologico delle hair cells e il danno alla coclea, che si
mostra particolarmente vulnerabile in queste condizioni.
Le strategie di up-regulation della SOD hanno
già mostrato effetti positivi nel limitare il danno
cellulare e la perdita uditiva in condizioni di danneggiamento cellulare da ischemia, trauma acustico e sostanze ototossiche.
La combinazione di enzimi sinergici nel neutralizzare lo stress ossidativo prodotto in seguito
ad un trauma acustico potrebbe essere una strada molto promettente per ottenere risultati di
valore clinico, come nel caso della superossidodismutasi insieme al Glutatione (GSH) catalizzato
dall’acido alfa lipoico (ALA), dove l’enzima SOD
converte i radicali dell’ossigeno (ROS) in idrogeno
perossido (H2O2) e il glutatione converte quest’ultimo in acqua disponibile per la cellula, neutralizzando così il potenziale patogenetico dello stress
ossidativo.
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121
Capitolo 8
LE SCELTE TERAPEUTICHE
Giorgio Guidetti
LA SCELTA DEL FARMACO
PER I DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARI
DI NATURA VASCOLARE
Abbiamo a disposizione numerosi farmaci per la terapia delle patologie vascolari (Tabella 1).
Ognuno di essi ha caratteristiche particolari
che lo rendono più indicato per un tipo di eziopatogenesi piuttosto che per altri e che lo possono rendere controindicato in particolari condizioni fisio-patologiche (vedi Appendice I:
Farmaci vascolari).
È dunque evidente che la scelta della molecola da suggerire rappresenta la fase finale
dell’iter e deve prendere in particolare considerazione le caratteristiche generali del
paziente, anche perché spesso si tratta di
terapie croniche, in cui quindi il rischio di
eventi indesiderati è maggiore.
Le indicazioni delle linee guida SPREAD
Nella scelta del farmaco occorre inoltre tenere presente che la sesta edizione delle Linee
Guida SPREAD su TIA e ICTUS pubblicata nel
2010, alla voce “TIA - Inquadramento ClinicoDiagnostico”, determina una svolta epocale nel-
l’appropriatezza della prevenzione secondaria
del TIA, alla luce della nuova definizione proposta
dall’American Heart Association (AHA), basata
sulle indicazioni dell’OMS (vedi Appendice II –
Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA SPREAD 2010).
Le Linee Guida SPREAD danno infatti le
seguente raccomandazione:
Non è indicato considerare TIA, sulla base
della definizione dell’OMS (improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit
focale cerebrale o visivo, attribuibile ad insufficiente apporto di sangue, di durata inferiore
alle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigini, l’amnesia globale transitoria, i drop attack,
l’astenia generalizzata, lo stato confusionale,
e l’incontinenza sfinterica quando presenti
isolatamente.
La nuova definizione AHA del Transient
Ischemic Attack (TIA). In base all’evidenza fornita
dalle moderne tecniche di neuroimaging,
l’AHA/ASA Scientific Statement 2009 ha proposto una nuova definizione di TIA: “Episodio di
disfunzione neurologica causato da ischemia
focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina
senza infarto acuto”.
123
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Tabella 1. I farmaci in uso più comunemente nelle patologie otoneurologiche di natura vascolare.
VASODILATATORI
Papaverina
Piricarbato
Ciclandelato
Xantinolo nicotinato
Naftidrofurile
Raubasina
ANTITROMBOTICI
Eparina sodica
Acido acetilsalicilico (ASA)
Warfarin
Eparina calcica
Lisina acetilsalicilato
Acenocumarolo
Bemiparina
Dipiridamolo
Reviparina sodica
Ticlopidina
Lepirudina
Dalteparina sodica
Tirofiban
Antitrombina III
Nadroparina calcica
Sulfinpirpazone
Parnaparina sodica
Indobufene
Streptochinasi
Picotamide
Urochinasi
Sulodexide
Eptifibatide
Alteplasi
Eparansolfato
Clopidogrel
Reteplasi
Glicuronilglicosaminoglicano
Abciximab
Mesoglicano
Cloricromene
Tenecteplase
Sulfomucopolisaccaride
Iloprost
Proteina C plasmatica
Pentosano polisolfato sodico
Triflusal
Drotrecogin
Danaparoid
Epoprostenolo
Defibrotide
FARMACI AD AZIONE COMPLESSA
Nicergolina
Amlodipina
Buflomedil
Diltiazem cloridrato
Diidroergocriptina
Felodipina
Diidroergotossina
Isradipina
Piribedil
Lacidipina
Betaistina
Ginkgo biloba
Vincamina
Lercanidipina cloridrato
Pentossifillina
Nicardipina cloridrato
Piracetam
Nifedipina
Nisoldipina
Verapamil cloridrato
Nimodipina
Cinnarizina
Flunarizina
124
Citicolina
LE SCELTE TERAPEUTICHE
Questo significa che le nuove Linee Guida non
pongono indicazione di prevenzione secondaria
laddove non vi sia un vero TIA secondo la nuova
definizione.
Poiché la sintomatologia audio-vestibolare
non è più vincolante per porre diagnosi di TIA
quale primo episodio isolato, per l’audio-vestibologo si apre l’opportunità di essere il primo
attore nella scelta consapevole della terapia
causale più adatta secondo il rapporto
rischio/beneficio, per i pazienti con disturbi otoneurologici di origine vascolare, tenendo conto
oggi anche del potenziale ototossico dei farmaci prescelti.
In questa ottica risultano particolarmente interessanti i cosiddetti “farmaci di parete”.
I FARMACI DI PARETE
NELLA TERAPIA MEDICA
DELLE VERTIGINI DI NATURA VASCOLARE
La caratteristica emodinamica peculiare della
microcircolazione cerebrale è l’autoregolazione
del flusso che, in base a due principali componenti (una statica e l’altra dinamica), si traduce
nel controllo delle resistenze vascolari intracraniche.
Anche il flusso ematico dell’orecchio interno
mostra gli stessi meccanismi di autoregolazione,
indispensabili per il mantenimento di una corretta
omeostasi dell’endolinfa.
Un elemento fondamentale nell’autoregolazione del microcircolo è rappresentato dalla
parete vascolare e, in particolare, dall’endotelio,
che si presenta come un singolo strato di cellule di rivestimento della superficie luminale della
parete vasale, costituita da cellule muscolari
lisce, fibroblasti e fibre collagene ed elastiche
(Vedi Box “Il glicocalice endoteliale”).
I fattori di rischio vascolari sono in grado di
provocare una vertigine in quanto ipertensione,
ipotensione, diabete, dislipidemia, basso shear
stress di parete del flusso e processi aterotrombotici conducono ad una scorretta risposta
endoteliale che, in ultima analisi, si traduce in un
processo ischemico a carico delle strutture
cocleo-vestibolari (Tabella 2).
Tabella 2. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costituzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da:
Noble et al, QJM 2008).
Aree di shear stress insufficiente
• Stimolo del flusso insufficiente per la produzione di NO
Iperglicemia
• Azzeramento della risposta allo shear stress
• Danno endoteliale
Diabete
• Danno endoteliale
Iperlipidemia
• Danno endoteliale
• Riduzione della resistenza capillare
• Adesione dei leucociti
I fattori di rischio vascolari provocano danni a
livello della struttura del glicocalice, con conseguente iperpermeabilità, perdita di produzione del
monossido d’azoto (NO) a livello endoteliale, contestuale riduzione della vasodilatazione capillare e
formazione di microtrombi (Figura 1, Tabella 3).
La produzione di NO è fondamentale per
l’emodinamica dei distretti vascolari e la sua
regolazione sembra essere legata alle proteine
che fluttuano all’interno del glicocalice e trasmettono alla parete i segnali meccanici (pressione), chimici (es. glicemia) e biologici (es. enzimi) che circolano nel flusso ematico, garantendo
una fine modulazione che adegua, momento
per momento, la risposta vascolare alle esigenze metaboliche.
125
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
IL GLICOCALICE ENDOTELIALE
Glicocalice: Struttura funzionale dell’endotelio
Il ruolo dell’endotelio
non è relegabile a quello di
Il glicocalice di GAGs, nel lume endoteliale, è una
interfaccia passiva tra conrete organizzata a carica negativa che assicura:
tenente (parete vasale) e
contenuto (sangue), poiché
• La permeabilità selettiva.
le cellule endoteliali espli• La barriera antitrombotica contro l'adesione
cano molteplici e complesdi leucociti e piastrine (microtrombi).
se funzioni che giustificano
• La funzione di signaling dei
la definizione di “organo
segnalipressori/chimici/enzimatici che modula la risposta vascolare.
endoteliale” o “laboratorio
endoteliale” per questa
struttura. L’endotelio, infatti, rende la superficie endoluminale atrombogenica
(non attiva la coagulazione;
non consente l’adesione
delle piastrine); svolge attività antitrombotica, fibrinolitica, antinfiammatoria,
vasomotoria; modula la
regolazione piastrinica e gli
scambi sangue-tessuti nel microcircolo. L’endotelio riveste un ruolo centrale in processi biologici essenziali, quali aggregazione piastrinica, coagulazione, attivazione leucocitaria (quindi interazione con i meccanismi che regolano la flogosi),
e microregolazione del flusso ematico. In condizioni di danno dell’endotelio, i leucociti aderiscono alla parete, provocando lesioni che vanno dall’aumento della permeabilità alla morte cellulare con esposizione del subendotelio.
Sistema capillare, tessuto pericapillare, arteriole e venule costituiscono il microcircolo. La maggior parte delle cellule endoteliali si trovano nei capillari, vasi formati da uno strato di cellule endoteliali allungate secondo l’asse longitudinale del vaso, unite tra loro da una sostanza cementante di tipo reticolare. L’endotelio poggia su una membrana basale con
l’interposizione di fibre collagene. La superficie endoluminale è tappezzata da un rivestimento molecolare a diretto contatto con le cellule endoteliali, definito film endoteliale, in cui sono presenti glicosaminoglicani (GAGs) – polisaccaridi
naturali presenti nei vasi nel coat endoteliale, nelle membrane basali e nella sostanza interstiziale e che contribuiscono
all’atrombogenicità dell’endotelio – e monomeri di fibrina in continuo rinnovamento, grazie ad un equilibrio costante tra
fibrino-formazione e fibrinolisi.
La capacità autoregolatoria del microcircolo è compromessa dai meccanismi di risposta al danno dell’endotelio, sensibile (soprattutto nei distretti microcircolatori) agli stimoli ischemici di carattere aterotrombotico e/o emodinamico che degradano lo strato di GAGs del glicocalice della parete vasale, con conseguenze tissutali ed emoreologiche.
La complessa organizzazione di elementi di emodinamica, di gradienti di concentrazione, elettrochimici e di pressione oncotica, che caratterizza la circolazione nei capillari, è in funzione del reale bisogno di scambi gassosi e nutritivi tra
sangue e tessuti. Il flusso sanguigno è più lento, quanto più ci si avvicina alla parete vasale e risulta quasi immobile a
contatto con lo strato endoteliale (flusso laminare). Il film endoteliale rappresenta dunque un’interfaccia tra la zona quasi
immobile del flusso sanguigno e l’endotelio.
Il glicocalice di GAGs riesce a modulare la risposta della parete vasale con un meccanismo detto “signaling”, con lo
scambio di informazioni flusso-parete. Si tratta di un elemento centrale nella stabilità fisiologica del microcircolo: tono
vascolare, permeabilità e bilancia emostatica vengono regolati dai GAGs a seconda degli stimoli (ad es. pressori).
Un aspetto fondamentale del funzionamento del glicocalice di GAGs è rappresentato dalla carica negativa, cioè dai
gruppi solfato (SO4--), che respingono le piastrine e i leucociti e inibiscono l’adesione di questi mediatori infiammatori e
trombogenici, garantendo le condizioni fisiologiche della parete vascolare.
126
LE SCELTE TERAPEUTICHE
Figura 1. Effetti dei fattori aterosclerotici sul glicocalice endoteliale e le sue funzioni (Mod. da: Noble et al, QJM 2008).
Tabella 3. Alterazione del glicocalice di GAGs nel microcircolo cocleo-vestibolare)
Disfunzione endoteliale
Area cocleo-vestibolare
Meccanismo fisiopatologico
Fisiopatologia vascolare
Alterazione equilibrio
Alterazione funzione Hair Cells Perdita funzione
perilinfa/endolinfa (Na+/K+)
(Na+/K+ dipendente)
Cocleo-Vestibolare
Microcircolo
Disfunzione endoteliale
Disfunzione microcircolo
Cocleo-Vestibolare
- Adesione leucociti
- Iperpermeabilità
- Adesione piastrine
- Microtrombi
-iProduzione NO
- iTono vascolare
Disfunzione endoteliale
Disfunzione microcircolo
- Microtrombi
(es. Arteria uditiva interna)
- Ischemia
Iperpermeabilità
Infiammazione
Microcircolo cerebrale
Trombogenesi
Microcircolo
Tono vascolare ( NO)
Cocleo-Vestibolare
127
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Un aspetto particolare è quello della ipotensione, che può essere legata alla stasi, dunque ad
un problema del circolo venoso, che come l’iperviscosità e l’iperlipemia creano alterazioni del glicocalice, delle cellule endoteliali e, a cascata, un
aumento della adesione piastrinica e dei leucociti alla parete vascolare, alterazioni di permeabilità
e microtrombi che hanno come esito finale il processo ischemico.
• Esistono due forme di eparina: le eparine ad
alto peso molecolare (eparina calcica –
30.000 Dalton) ed eparine a basso peso
molecolare (EBPM) (3-6.000 Dalton). La differenziazione in base al peso molecolare delle
eparine si traduce in clinica nell’utilizzo delle
EBPM per via iniettiva, come anticoagulanti in
fase acuta, e dei glicosaminoglicani (es.
Sulodexide), per via iniettiva e/o orale, come
antitrombotici di parete.
I farmaci di parete: anticoagulanti fisiologici
La principale differenza nel meccanismo
d’azione fra anticoagulanti (EBPM) e antitrombotici di parete (GAGs) consiste nel
fatto che i primi inibiscono selettivamente il
Fattore Xa, importante nella fase acuta di
embolizzazione (distacco dalla parete
vascolare) del trombo formato, mentre i
secondi inibiscono anche gli altri fattori della
cascata coagulativa, fondamentali nella formazione del trombo sulla parete vascolare
danneggiata.
L’organismo possiede anticoagulanti fisiologici –
le eparine e i glicosaminoglicani (GAGs) – che
sono definiti “farmaci di parete” perché permettono di mantenere l’integrità dell’endotelio attraverso un’azione che si esplica con: riduzione di
adesione di piastrine e di leucociti al lume endoteliale; inibizione dell’attivazione piastrinica; inibizione dell’accrescimento del trombo; lisi di un
trombo già costituito; hanno inoltre un’attività
pro-fibrinolitica (Tabella 4).
Tabella 4. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costituzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da:
Noble et al, QJM 2008).
FARMACI DI PARETE: EPARINE A BASSO PESO
MOLECOLARE (EBPM) e GLICOSAMINOGLICANI (GAGs)
• Conferiscono atrombogenicità al lume vasale (ridotta
adesione di piastrine e leucociti)
• Inibiscono la formazione del trombo (inibizione dell’attivazione piastrinica)
• Inibiscono l’accrescimento del trombo (inibizione del
Cof Eparinico II)
• Favoriscono la lisi di un trombo già costituito (attività
anti-Xa)
• Stimolano la fibrinolisi (azione emoreologica su tPA e
PAI)
128
Le EBPM hanno il pentasaccaride, strettamente specifico per il fattore Xa, e un numero
inferiore a 13 di unità di saccaridiche.
Come riportato nell’ottava edizione delle linee
guida ACCP sulla terapia antitrombotica e trombolutica, tutti i GAGs a basso e medio peso
molecolare (3-9.000 Dalton), a differenza della
Eparina calcica, hanno un’attività limitata sul
Fattore IIa (antiaggregante), determinante per il
rischio emorragico delle eparine.
Tali caratteristiche rendono, da un punto di
vista pratico (sicurezza e maneggevolezza), le
EBPM e gli Antitrombotici di Parete (es.
Sulodexide)
rispettivamente
utili
nel
Tromboembolismo Arterioso (TEA) e nel trattamento/prevenzione delle microtrombosi a carico
dei sistemi microcircolatori.
LE SCELTE TERAPEUTICHE
Nuove prospettive terapeutiche
dell’associazione GAGs/Eparina
Eparine e glicosaminoglicani giocano un ruolo
fondamentale nel mantenimento dell’integrità
della funzione endoteliale. L’associazione
GAGs/eparina inibisce la flogosi endoteliale e
l’adesione delle piastrine andando a rivestire il glicocalice e creando una barriera di cariche negative che respingono i leucociti (ricchi di cariche
negative) grazie ai gruppi SO4--.
• Sulodexide è un’associazione tra eparina e glicosaminoglicani.
• È costituito per l’80% da eparina a basso e
medio peso molecolare (6-8.000 Dalton) e per
il 20% da dermatansolfato (antitrombotico
fisiologico) (Vedi Box “Sulodexide: profilo farmacologico”).
• Presenta attività farmacologiche che sono da
ricondurre all’attività di entrambe le componenti che lo costituiscono: eparina (80%) e
dermatansolfato (20%) (Figura 2).
• Alla frazione eparinica (80%) spetta l’azione antitrombotica di parete che Sulodexide esplica
mediante l’inibizione sui fattori IIIa e Xa, e l’inibizione dell’adesione piastrinica all’endotelio, attraverso la ricostituzione del glicocalice di parete.
• Alla frazione dermatanica spetta un’azione
antitrombotica dovuta all’inibizione specifica
del Cofattore II dell’eparina, determinante nel
deposito di trombina al trombo in formazione
adeso alla parete endoluminale e importante
anche nel rilascio di un fattore pro-trombotico
come il Tissue Factor (TF).
• La componente dermatanica presenta anche
una potente azione fibrinolitica perché
aumenta la liberazione dell’attivatore tissutale
del plasminogeno (tPA) e riduce la liberazione
dell’inibitore del plasminogeno attivato (PAI),
che insieme costituiscono la bilancia fibrinolitica fisiologica.
• L’azione più importante, evidenziata con gli studi
più recenti, riguarda l’inibizione dei processi
Figura 2. Attività farmacologiche del Sulodexide riconducibili alle componenti: eparina (80%) e dermatansolfato (20%).
129
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
infiammatori a carico della parete vascolare, che
sono quasi sempre alla base dei processi ischemici (iperpermeabilità e riduzione del tono
vascolare) e trombotici (adesione piastrinica e
cascata coagulativa).
• Un effetto indiretto, ma di fondamentale importanza riguarda l’azione antiaggregante per la
riduzione dell’aggregazione piastrinica mediata
dai leucociti.
• Infine è da sottolineare che una delle prime
azioni scoperte per questo farmaco di origine
biologica riguarda l’attività di normalizzazione
dei valori lipidici, per aumento della liberazione
delle lipoproteinlipasi, dal quale deriva l’unità di
misura ULS (Unità Lipasemiche Sistemiche).
La figura 3 riassume l’attività antitrombotica
del Sulodexide, dovuta sia alla componente eparinica che dermatanica, e l’attività fibrinolitica
dovuta alla componente dermatanica.
Figura 3. Attività antitrombotica-profibrinolitica del Sulodexide.
130
Una prova dell’azione antiflogistica di parete
(ridotta adesione dei leucociti alla parete vascolare) del Sulodexide riguarda l’inibizione dei
valori di proteina C-reattiva (PCR) in circolo,
cioè di un marker specifico di rischio cardiovascolare. Uno studio del 2005 nel ha valutato la
capacità del Sulodexide di inibire il valore di
PCR, dimostrando una riduzione della sua produzione e del suo deposito a livello dell’endotelio. Analoga inibizione avviene per le frazioni di
complemento che costituiscono il MAC, per cui
si riduce l’attivazione del complemento e il suo
deposito a livello delle cellule endoteliali.
Sulodexide si è dimostrato inoltre efficace
anche nella riduzione della percentuale di zona
infartuata suscettibile a riperfusione cardiaca,
indicando un’altra possibile indicazione nella
riduzione del rischio di riperfusione in seguito
ad ischemia.
LE SCELTE TERAPEUTICHE
Altri studi recenti hanno inoltre dimostrato
un’azione favorevole del Sulodexide nelle microangiopatie diabetiche, per la capacità di ridurre la
proteinuria, riconosciuta a livello internazionale
(Società di Diabetologia e Ipertensione) come
importantissimo biomarker del rischio cardiovascolare per tutti i letti vascolari e non più solo per
quello renale. La proteinuria rappresenta la quantità di albumina che passa dal microcircolo alle
urine ed è un indice affidabile della permeabilità
endoteliale. Nei soggetti microalbuminurici (30300 μg/dl) e macro-albuminurici (>300 μg/dl) l’eccesso di albumina che passa nelle urine indica
una iperpermeabilità microcircolatoria.
Per i soggetti diabetici e/o ipertesi l’aumento
della proteinuria è un marker del danno endoteliale su tutti i letti vascolari, compreso quello sovraortico cerebrale, che muove il Rischio CV di even-
ti acuti, TIA ed Ictus compresi da 2 a 8 (odd ratio)
rispetto ai pazienti ipertesi e/o diabetici con normoalbuminuria.
Da un punto di vista farmacocinetico,
Sulodexide presenta due picchi ematici, segno
che viene captato da organi di deposito come
l’endotelio e viene lentamente rilasciato. Presenta
infatti un volume di distribuzione di 71 lt, elevato
quindi, tipico dei farmaci che vengono accumulati negli organi di deposito; l’escrezione è prevalentemente urinaria. Da sottolineare inoltre la
scarsità degli effetti collaterali soprattutto in termini di un basso rischio di sanguinamento.
Sulodexide ha dunque la capacità di salvaguardia dell’endotelio e del glicocalice che lo
rendono particolarmente utile nella terapia causale nei disturbi audio-vestibolari di origine
vascolare.
131
NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare
Figura 4. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Mod. da: Guidetti, Otolaringol
2005).
132
LE SCELTE TERAPEUTICHE
PROPOSTE CONCLUSIVE
Considerando che i disturbi vascolari otoneurologici possono sottendere meccanismi
patogenetici diversi e che i i fattori di rischio
cardiovascolari rappresentano un buon marker
per la loro identificazione (studio VascVert), è
possibile oggi proporre una flow-chart di orientamento terapeutico (Figura 4; vedi
“Introduzione. La vertigine vascolare: razionale
diagnostico e terapeutico”) che preveda:
L’identificazione di una verosimile eziologia vascolare qualora siano state escluse
altre cause, siano stati identificati almeno 3
fattori di rischio e vi sia almeno 1 esame
strumentale vascolare (TC, RM, esame
Doppler) positivo.
La scelta di un farmaco antiaggregante (es.
ASA/ticlopidina) prevalentemente nel caso di
interessamento trombotico di un vaso cerebrale maggiore, con relativa sintomatologia e,
comunque, possibilmente solo nel caso di una
prevenzione secondaria, cioè successiva ad un
chiaro episodio identificabile come TIA.
La scelta di un farmaco di parete negli altri
casi di interessamento trombotico e/o emoreologico del microcircolo dell’orecchio interno o
cerebrale (Small Vessel Disease), salvo particolari meccanismi patogenetici evidenziati che
richiedano specifici trattamenti.
Evitare possibilmente l’uso di ASA in prevenzione primaria qualora i sintomi preponderanti evidenzino una sofferenza a carico del
labirinto e della funzione uditiva.
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APPENDICE
I - FARMACI VASCOLARI
ACIDO ACETILSALICILICO (ASA) A BASSE DOSI
Indicazioni terapeutiche
Prevenzione della trombosi coronarica dopo infarto del miocardio, in pazienti con angina pectoris instabile, angina stabile cronica ed in pazienti con fattori di rischio multipli (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità, diabete mellito e familiarità per cardiopatia ischemica). Profilassi degli eventi ischemici occlusivi in pazienti con attacchi ischemici transitori (TIA) e dopo ictus cerebrale. Prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, e nell’angioplastica coronarica percutaneatransluminale (PTCA).
Prevenzione della trombosi durante circolazione extracorporea, nei pazienti in emodialisi e nella sindrome di Kawasaki.
Posologia e modo di somministrazione
Se non diversamente prescritto, si raccomanda la posologia di 1 compressa (in genere 100 mg) al giorno, in un’unica somministrazione. È consigliabile ingerire il farmaco con un’abbondante quantità di liquido (½ - 1 bicchiere di acqua), preferibilmente dopo i pasti.
Controindicazioni
Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico, ai salicilati e agli altri componenti del prodotto, tendenza accertata alle emorragie, gastropatie (es.: ulcere gastriche e/o duodenali), asma, insufficienza renale. Ultimi 3 mesi di gravidanza.
Non va utilizzato nei bambini e nei ragazzi di età inferiore a 16 anni, in corso di affezioni virali, come ad esempio varicella o influenza, a causa del rischio di sindrome di Reye.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Va usata con cautela e sotto controllo medico nei pazienti sottoposti a terapia concomitante con anticoagulanti (ad es. derivati cumarinici o eparina); nei pazienti con carenza di glucosio-6 fosfato deidrogenasi; nei pazienti asmatici o quelli sensibili ai salicilati, ad altri farmaci antiinfiammatori/antireumatici o ad altre sostanze allergeniche; nei pazienti con disturbi
gastrici o duodenali cronici o ricorrenti o con funzionalità renale compromessa. Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
La somministrazione, soprattutto se protratta, può intensificare i seguenti effetti: l’azione degli anticoagulanti (ad es.: derivati cumarinici ed eparina); il rischio di emorragia gastrointestinale in caso di trattamento concomitante con corticosteroidi; gli effetti desiderati ed indesiderati di tutti gli analgesici ed antireumatici non steroidei; l’azione dei farmaci ipoglicemizzanti (sulfaniluree); gli effetti avversi del metotrexate. Precauzione deve essere osservata per sostanze quali spironolattone, furosemide e antigottosi uricosurici, la cui attività viene invece ridotta dall’acido acetilsalicilico. Pertanto, salvo diversa prescrizione medica, non deve essere utilizzato contemporaneamente ai preparati suddetti.
Gravidanza e allattamento
L’impiego in gravidanza per lunghi periodi deve avvenire soltanto dietro prescrizione medica, poiché l’acido acetilsalicilico può provocare fenomeni emorragici nel feto e nella madre,
ritardi di parto e, nel nascituro, precoce chiusura del dotto di Botallo. Durante gli ultimi tre mesi ed in particolare nelle ultime settimane di gravidanza, sarebbe comunque opportuno
evitare l’uso di acido acetilsalicilico. In caso di uso regolare di dosaggi elevati durante l’allattamento, si deve prendere in considerazione la possibilità di uno svezzamento precoce.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Nessuno.
Effetti indesiderati
Disturbi gastrointestinali, per lo più in pazienti sensibili. In pazienti predisposti ed in casi sporadici possono verificarsi episodi emorragici gastrointestinali. In casi rari possono verificarsi reazioni di ipersensibilità (dispnea, disturbi otovestibolari (ronzii), reazioni cutanee) e, rarissimamente, riduzione del numero delle piastrine (trombocitopenia) e ritardo di parto.
Sovradosaggio
Alle normali dosi terapeutiche l’intossicazione è estremamente rara e si verifica quasi sempre dopo sovradosaggio accidentale. Nelle intossicazioni più lievi compaiono senso di vertigine e tinnito. Nelle intossicazioni di grado medio, i sintomi locali d’intossicazione come nausea, vomito, disturbi gastrici, vertigini e tinnito risultano più evidenti (questi sintomi non
sono causati da irritazione locale dello stomaco, ma dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale). A sovradosaggi più elevati si osservano stati confusionali, torpore, collassi, convulsioni, depressione respiratoria, anuria e, occasionalmente, emorragie. L’iniziale iperventilazione centrale provoca un aumento della espirazione di CO2 con aumento del pH sanguigno; in seguito all’escrezione compensatoria di bicarbonati, l’urina diventa alcalina; in questo modo la riserva alcalina viene ridotta provocando alcalosi respiratoria. I sintomi clinici
sono rappresentati da iperpnea grave e dispnea senza cianosi, accompagnata da sudorazione profusa. Quando l’intossicazione progredisce, la crescente paralisi respiratoria provoca acidosi respiratoria. Il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa con aumento della produzione di CO2 può, infine, provocare acidosi metabolica.
Trattamento dei sovradosaggi
In caso di sovradosaggio acuto, provvedere a lavanda gastrica; l’assorbimento è spesso ritardato in seguito a pilorospasmo e conseguentemente la lavanda gastrica è comunque un
provvedimento indicato anche qualche tempo dopo l’ingestione. Nei bambini e per casi di media gravità si è dimostrata molto efficace una dose di 100 ml di una sospensione di carbone animale (20 g/100 ml) in una soluzione di sorbitolo al 70%. Monitoraggio costante dell’equilibrio acido-base e del bilancio elettrolitico. In base alla situazione metabolica, infondere bicarbonato di sodio o citrato di sodio, o una soluzione di lattato di sodio.
Ciò corregge la condizione acido-base, aumenta la riserva alcalina e favorisce l’escrezione di acido salicilico aumentando il pH urinario.
Avvertenza - In seguito ad un’eccessiva assunzione di sostanze alcaline, si può verificare arresto respiratorio. Per combattere la disidratazione e favorire l’escrezione di salicilati, si devono somministrare dei liquidi. Vitamina K, possibilmente sedativi.
Terapie particolari - Terapia diuretica, tampone tris, emodialisi, ventilazione controllata con rilassamento muscolare artificiale.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
L’inibizione della aggregazione piastrinica rappresenta un aspetto decisivo dell’intervento farmacologico per la profilassi ed il trattamento delle patologie cardiovascolari causate da processi tromboembolici. L’acido acetilsalicilico inibisce l’aggregazione delle piastrine mediante blocco dell’attività ciclo-ossigenasica della PGG/H sintetasi piastrinica, enzima che catalizza la conversione dell’acido arachidonico in trombossano A2 (TXA2). A livello molecolare il meccanismo d’azione è rappresentato dal processo irreversibile di acetilazione dell’ossidrile dell’aminoacido serina in posizione 529 della catena polipeptidica dell’enzima. La risultante inibizione del TXA2 è permanente poiché le piastrine, anucleate, non hanno la possibilità di nuova sintesi proteica. Le basse dosi di acido acetilsalicilico sono in grado di modificare in modo permanente la risposta agli stimoli aggreganti delle piastrine circolanti nei
vasi sanguigni mesenterici pre-epatici, prima che il principio attivo venga in larga parte idrolizzato dalle esterasi presenti a livello dei mitocondri e del reticolo sarcoplasmatico epatico.
La produzione extra-piastrinica di eicosanoidi (es. la sintesi vascolare della prostaciclina - antagonista fisiologico del TXA2 - e la produzione di PGE2 da parte della mucosa gastrica),
risulta risparmiata dalla diversa velocità di ripristino dell’attività ciclo-ossigenasica di questi tipi cellulari (entro poche ore, in funzione della sintesi de novo dell’enzima) rispetto alle
piastrine, nelle quali la sintesi dell’enzima è funzione del turnover piastrinico.
Proprietà farmacocinetiche
L’acido acetilsalicilico viene degradato ad opera di esterasi aspecifiche presenti in molti tessuti. L’emivita plasmatica è di circa 15 minuti.
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Dati preclinici di sicurezza
Livelli di salicilati nel plasma superiori a 200 mg/l possono provocare tinnito, senso di vertigini e cefalea. Livelli plasmatici di salicilati di 300-400 mg/l possono dar luogo a nausea e
vomito. Intossicazioni medio-gravi (iperventilazione centrale, alcalosi respiratoria ed acidosi metabolica) possono essere probabili per concentrazioni che superano i 400-500 mg/l.
Tuttavia, la concentrazione plasmatica di salicilati consente una valutazione del grado d’intossicazione solo se è stata assunta un’unica dose tossica ed è noto il momento dell’ingestione. Nel sovradosaggio cronico, la concentrazione plasmatica misurata spesso è scarsamente correlata con il grado di gravità clinica della intossicazione.
Incompatibilità
Non note.
BETAISTINA
Indicazioni terapeutiche
Stati patologici sostenuti da deficit microcircolatorio a livello del labirinto: vertigini, sindrome di Menière e stati vertiginosi ad essa correlati.
Posologia e modo di somministrazione
8-48 mg/die, preferibilmente ai pasti.
Controindicazioni
Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco. Ulcera peptica in fase attiva. Feocromocitoma.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Non somministrare in età pediatrica. In pazienti con anamnesi di ulcera peptica, al fine di non indurre esacerbazione della forma patologica e in soggetti affetti da asma bronchiale, va
somministrato sotto controllo medico.
Interazioni
Non somministrare contemporaneamente ad antistaminici.
Gravidanza ed allattamento
Nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato soltanto in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo medico.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
L’impiego nell’arco della giornata non risulta interferire sullo stato di vigilanza del soggetto.
Effetti indesiderati
Occasionalmente nausea, cefalea e manifestazioni idiosincrasiche.
Sovradosaggio
In caso di eventuale sovradosaggio si consiglia lavanda gastrica e dovranno essere attuate le misure generali del caso. Non esiste uno specifico antidoto per betaistina dicloridrato.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Betaistina dicloridrato è un prodotto di sintesi originale attivo a livello di microcircolazione d’organo che contribuisce a ristabilire il flusso microcircolatorio. Tale azione è stata evidenziata anche a livello del labirinto. Non sono state per altro evidenziate: alterazioni della permeabilità capillare, né modificazioni della pressione arteriosa, né influenze sulla muscolatura
liscia e sulla secrezione acida gastrica. Betaistina dicloridrato è un farmaco istamino simile, che agisce quindi come l’istamina sugli sfinteri precapillari aumentando il flusso microcircolatorio precapillare. Studi sugli animali hanno dimostrato che la betaistina dicloridrato agisce in maniera qualitativamente simile all’istamina, però, diversamente da questa è somministrabile per via orale ed è scevra degli effetti collaterali dell’istamina.
Proprietà farmacocinetiche
Nell’uomo il prodotto è assorbito rapidamente per somministrazione orale e raggiunge il picco ematico entro la terza ora. La maggior parte della dose somministrata per via orale è
escreta con le urine in forma di metabolita: acido 2-piridil acetico e l’eliminazione è pressoché completa nelle 24 ore.
Dati preclinici di sicurezza
Le prove di tossicità acuta e cronica hanno dimostrato che il farmaco è ben tollerato; la DL50 nel ratto è 2,67 g/kg. Inoltre, la betaistina dicloridrato non è teratogena né fetotossica.
Incompatibilità
Non sono note incompatibilità chimico-fisiche di betaistina verso altri composti.
BUFLOMEDIL
Indicazioni terapeutiche
Manifestazioni di insufficienza cerebrovascolare: vertigine, tinnito, deterioramento mentale, alterazioni della personalità, labilità di memoria e della capacità di concentrazione, disorientamento spazio-temporale, sequele della apoplessia cerebrale e degli interventi di neurochirurgia. Insufficienza circolatoria arteriosa degli arti, sindrome e malattia di Raynaud, morbo
di Buerger, eritrocianosi, claudicazione intermittente.
Posologia e modo di somministrazione
La posologia consigliata è 300-600 mg al giorno in dosi suddivise.
Controindicazioni
Se ne sconsiglia la somministrazione nei casi di nota o sospetta idiosincrasia al farmaco.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Il prodotto può causare sonnolenza e vertigini, si consiglia pertanto prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.). Il farmaco non presenta rischi di assuefazione o di farmaco-dipendenza.
Interazioni
Non si conoscono finora interazioni con altri farmaci.
Gravidanza e allattamento
L’uso è sconsigliato durante i primi tre mesi di gravidanza e durante l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Si consiglia prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.)
Effetti indesiderati
Il prodotto è di norma ben tollerato sia per trattamenti brevi che prolungati. Occasionalmente si sono riscontrati disturbi gastrointestinali (gastralgie, pirosi e nausea), cefalea, vertigini,
sonnolenza, insonnia, vampate di rossore e prurito. Sono stati segnalati, a seguito dell’uso del prodotto, alcuni casi di tachicardia, fibrillazione atriale, aumento della creatininemia,
aumento del flusso mestruale, ipertensione, aumento della diuresi, epistassi, psoriasi.
Sovradosaggio
L’iperdosaggio si manifesta con tachicardia e ipotensione. Interventi d’urgenza: Misure di sostegno. In caso di eccitazione cerebrale si consiglia l’uso di benzodiazepine.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Le esperienze farmacologiche hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato aumenta il flusso ematico senza provocare variazioni delle costanti emodinamiche, quali la pressione arte-
riosa. Meccanismi d’azione: Si ritiene che il buflomedil cloridrato esplichi differenti azioni: - calcio antagonista simile a livello delle fibrocellule muscolari lisce presenti negli sfinteri
arteriolari precapillari che impedisce perciò lo spasmo delle arteriole e dei vasi periferici più piccoli - inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da collagene, ADP, adrenalina,
migliorando il flusso ematico a livello microcircolatorio - migliora la deformabilità della membrana eritrocitaria quando questa tende ad irrigidirsi in condizioni di acidosi tissutale riduce il consumo dell’O2 tissutale senza che si instaurino fenomeni di ipossia o anossia cellulare e senza influenzare negativamente il meccanismo di respirazione cellulare - inibisce l’attivazione alfa adrenergica ostacolando la contrazione delle fibrocellule della muscolatura liscia arteriolare causata dalla noradrenalina. Il Buflomedil inoltre non modifica le costanti emodinamiche nè la pressione arteriosa nè i parametri ematologici e non interferisce con il metabolismo dei glucidi, lipidi e protidi. I lavori clinici internazionali hanno dimostrato
l’efficacia del buflomedil cloridrato nelle affezioni vascolari periferiche su base arteriosclerotica, nelle arteriti, nella tromboangioite obliterante, nella sindrome di Raynaud, nei sintomi
di insufficienza vascolare periferica, claudicatio intermittens, crampi e dolori diurni e notturni, freddo agli arti, ulcere cutanee e disturbi trofici della cute. È stato inoltre dimostrato un
aumento del flusso ematico cerebrale con riduzione della sintomatologia in pazienti trattati con buflomedil cloridrato.
Proprietà farmacocinetiche
La somministrazione per via orale di 100 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 55.60% del farmaco è escreto per via urinaria ed il 30% per via fecale entro 48
ore. La somministrazione per via endovenosa di 50 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 62,5% del farmaco è eliminato per via renale ed il 13,5% per via fecale entro 24 ore dopo la somministrazione.
Dati preclinici di sicurezza
Le esperienze condotte in femmine gravide di varie specie animali, a differenti dosi di farmaco, hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato non provoca effetti embriotossici o teratogeni. Le prove tossicologiche su topi e su ratti di sesso maschile e femminile hanno dimostrato una buona tollerabilità del farmaco sia in relazione alla tossicità acuta, che subacuta, a
breve ed a lungo termine. La DL50 nel topo per via intraperitoneale è stata pari a circa 74 mg/kg, nel ratto per via orale circa 600 mg/kg e nel coniglio per via endovenosa circa 25
mg/kg.
Incompatibilità
Non sono note finora incompatibilità con altri farmaci.
CLOPIDOGREL
Indicazioni terapeutiche
Clopidogrel è indicato nella prevenzione di eventi di origine aterotrombotica in:
Pazienti affetti da infarto miocardico (da pochi giorni fino a meno di 35), ictus ischemico (da 7 giorni fino a meno di 6 mesi) o arteriopatia obliterante periferica comprovata
Pazienti affetti da sindrome coronarica acuta: - sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q), inclusi pazienti sottoposti a posizionamento di stent in seguito a intervento coronarico percutaneo, in associazione con acido acetilsalicilico (ASA). - sindrome coronarica acuta con innalzamento del
tratto ST in associazione con ASA nei pazienti in terapia farmacologica candidati alla terapia trombolitica.
Posologia e modo di somministrazione
Negli adulti ed anziani Clopidogrel va somministrato in dose giornaliera singola di 75 mg durante o lontano dai pasti.
Nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta:
- sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q): il trattamento con clopidogrel deve essere iniziato con una singola dose di carico di 300 mg e quindi continuato con 75 mg una volta al giorno (in associazione ad acido acetilsalicilico (ASA) 75 mg-325 mg al giorno). Dato che dosi superiori di ASA
sono state correlate con un più alto rischio di sanguinamento, si consiglia che la dose di ASA non sia superiore a 100 mg. La durata ottimale del trattamento non è stata formalmente
stabilita. I dati degli studi clinici sostengono l’uso fino a 12 mesi e il beneficio massimo è stato osservato a 3 mesi.
- infarto miocardico acuto con innalzamento del tratto ST: clopidogrel deve essere somministrato in dose singola giornaliera di 75 mg iniziando con una dose di carico in associazione ad ASA, con o senza trombolitici.
Nei pazienti di età superiore ai 75 anni clopidogrel deve essere iniziato senza dose di carico. La terapia combinata deve essere iniziata il prima possibile dal momento della comparsa
dei sintomi e continuata per almeno 4 settimane.
Il beneficio dell’associazione di clopidogrel con ASA oltre le quattro settimane non è stato studiato in questo contesto
Non c’è esperienza sull’uso nei bambini.
Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti del medicinale, insufficienza epatica grave, sanguinamento patologico in atto come ad es. in presenza di ulcera peptica, o di emorragia intracranica, allattamento
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
A causa del rischio di sanguinamento e di effetti indesiderati di tipo ematologico, l’esecuzione di un esame emocromocitometrico e/o di altri esami appropriati, deve subito essere presa
in considerazione ogni volta si presentino sintomi clinici che suggeriscono sanguinamento durante il trattamento. Così come per altri farmaci antiaggreganti piastrinici, clopidogrel deve
essere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia o altre condizioni patologiche e nei pazienti in trattamento con ASA, farmaci antinfiammatori non steroidei compresi gli inibitori della COX-2, eparina o inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. I pazienti devono essere accuratamente seguiti per
individuare ogni segno di sanguinamento, compreso il sanguinamento occulto, in particolare durante le prime settimane di trattamento e/o dopo procedure cardiache invasive o interventi chirurgici.
La somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti. Se un paziente deve sottoporsi ad
intervento chirurgico elettivo per il quale un’attività antiaggregante piastrinica non è necessaria, occorre interrompere l’uso di clopidogrel 7 giorni prima dell’intervento.
Clopidogrel prolunga il tempo di sanguinamento e va usato con cautela in pazienti che presentino lesioni a tendenza emorragica (particolarmente gastrointestinali e intraoculari). I
pazienti devono essere avvertiti che l’uso di clopidogrel (da solo o in associazione con ASA) potrebbe prolungare un eventuale sanguinamento e che devono informare il medico di ogni
emorragia anomala (localizzazione o durata) che si possa manifestare.
Prima di essere sottoposti ad eventuale intervento chirurgico e prima di assumere un nuovo farmaco i pazienti devono avvisare il medico ed il dentista che sono in trattamento con clopidogrel. Molto raramente, in seguito all’uso di clopidogrel, talvolta dopo una breve esposizione, è stata segnalata porpora trombotica trombocitopenica (PTT).
Questa è caratterizzata da trombocitopenia e anemia emolitica microangiopatica associata o a problemi neurologici, disfunzione renale o a febbre. La PTT è una condizione potenzialmente fatale che richiede un trattamento immediato compresa la plasmaferesi. Per la mancanza di dati, clopidogrel non può essere consigliato nell’ictus ischemico acuto (verificatosi da
meno di 7 giorni). L’esperienza terapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con insufficienza renale. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in questi pazienti. L’esperienza
terapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con moderata disfunzione epatica che possono avere una diatesi emorragica. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in questi pazienti. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, con deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumere il medicinale.
Interazioni
Warfarin: la somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti.
Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa: clopidogrel deve essere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia o
altre condizioni patologiche e che ricevono in concomitanza inibitori della glicoproteina IIb/IIIa.
Acido acetilsalicilico (ASA): ASA non modifica l’inibizione, mediata da clopidogrel, dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta; clopidogrel però potenzia l’effetto di ASA sull’aggregazione piastrinica indotta dal collagene. Tuttavia, la somministrazione contemporanea di 500 mg di ASA due volte die per un giorno, non ha ulteriormente prolungato in modo significativo
il tempo di sanguinamento indotto da clopidogrel. Tra clopidogrel e acido acetilsalicilico è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento.
Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela. Tuttavia, clopidogrel e ASA sono stati somministrati insieme per periodi fino a 1 anno.
Eparina: in uno studio clinico condotto su soggetti sani, in seguito a somministrazione di clopidogrel non si è resa necessaria nessuna modifica della dose di eparina nè è stato altera-
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to l’effetto dell’eparina sulla coagulazione. La somministrazione contemporanea di eparina non ha avuto alcun effetto sull’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da clopidogrel.
Tra clopidogrel e eparina è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento. Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela.
Trombolitici: la sicurezza della somministrazione contemporanea di clopidogrel, farmaci trombolitici fibrino o non-fibrino specifici ed eparine è stata studiata in pazienti con infarto miocardico acuto. L’incidenza di sanguinamento clinicamente significativo era simile a quella osservata quando farmaci trombolitici ed eparina erano somministrati insieme con ASA.
Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS): in uno studio clinico condotto su volontari sani, la somministrazione contemporanea di clopidogrel e naproxene ha determinato un
aumento del sanguinamento gastrointestinale occulto. Tuttavia per la mancanza di studi di interazione con altri FANS, attualmente non risulta chiaro se esiste un aumento di rischio di
sanguinamento gastrointestinale con tutti i FANS. Di conseguenza, la somministrazione contemporanea di FANS compresi gli inibitori della COX-2 e clopidogrel va eseguita con cautela.
Altre terapie concomitanti: parecchi altri studi clinici sono stati condotti con clopidogrel ed altre terapie concomitanti per studiare potenziali interazioni di tipo farmacodinamico e farmacocinetico. Non si sono osservate interazioni farmacodinamiche di rilievo quando clopidogrel veniva somministrato con atenololo o nifedipina da soli o in associazione. Inoltre, l’attività farmacodinamica di clopidogrel non era influenzata in modo significativo dalla somministrazione contemporanea di fenobarbital, cimetidina o estrogeni. La farmacocinetica della
digossina e della teofillina non era modificata dalla somministrazione contemporanea di clopidogrel. Gli antiacidi non alteravano l’assorbimento di clopidogrel. I dati provenienti da studi
su microsomi epatici umani hanno evidenziato che il metabolita carbossilico acido di clopidogrel potrebbe inibire l’attività del Citocromo P450 2C9. Ciò potrebbe potenzialmente portare ad un aumento dei livelli plasmatici di farmaci quali la fenitoina, la tolbutamide e i FANS, che sono metabolizzati dal Citocromo P450 2C9.
I dati dello studio CAPRIE indicano che fenitoina e tolbutamide possono essere somministrati contemporaneamente a clopidogrel con sicurezza. Oltre alle informazioni descritte sopra
sulle specifiche interazioni con farmaci, non sono stati condotti studi di interazione con clopidogrel e alcuni farmaci comunemente somministrati ai pazienti affetti da patologia aterotrombotica. Tuttavia, i pazienti inclusi negli studi clinici con clopidogrel hanno ricevuto diverse terapie concomitanti inclusi diuretici, beta bloccanti, ACE inibitori, calcio antagonisti,
ipocolesterolemizzanti, vasodilatatori coronarici, antidiabetici (inclusa insulina), antiepilettici, terapia ormonale sostitutiva e antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa senza evidenza di interazioni negative clinicamente significative.
Gravidanza e allattamento
Poichè non sono disponibili dati clinici relativi all’esposizione a clopidogrel in gravidanza, come misura precauzionale è preferibile non usare clopidogrel durante la gravidanza. Gli studi
su animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti su gravidanza, sviluppo embrionale/fetale, parto o sviluppo post-natale. Studi su ratti hanno dimostrato che clopidogrel e/o i
suoi metaboliti vengono escreti nel latte. Non è noto se questo medicinale sia escreto nel latte umano.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Clopidogrel non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.
Effetti indesiderati
Esperienza relativa agli studi clinici. La sicurezza di clopidogrel è stata valutata in più di 42.000 pazienti, di cui oltre 9.000 trattati per 1 anno o più. Gli effetti avversi clinicamente rilevanti osservati negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT sono discussi di seguito.
Nello studio CAPRIE clopidogrel alla dose di 75 mg/die, confrontato con ASA 325 mg/die, si è dimostrato ben tollerato. La tollerabilità globale di clopidogrel in questo studio è risultata simile a quella di ASA indipendentemente dall’età, sesso e razza dei pazienti.
Disturbi emorragici - Nello studio CAPRIE tanto nei pazienti trattati con clopidogrel che in quelli trattati con ASA, l’incidenza complessiva di ogni tipo di sanguinamento è stata del 9,3%.
L’incidenza dei casi gravi è stata 1,4% per clopidogrel e 1,6% per ASA. Nei pazienti trattati con clopidogrel il sanguinamento gastrointestinale si è verificato con una percentuale di
2,0% e ha richiesto l’ospedalizzazione nello 0,7%. Nei pazienti trattati con ASA le percentuali corrispondenti sono state rispettivamente 2,7% e 1,1%. L’incidenza degli altri sanguinamenti è stata più alta nei pazienti trattati con clopidogrel in confronto ad ASA (7,3% vs. 6,5%). Tuttavia, l’incidenza degli eventi gravi è stata simile in entrambi i gruppi di trattamento
(0,6% vs. 0,4%). Gli eventi più frequentemente riportati in entrambi i gruppi di trattamento sono stati: porpora/ecchimosi/ematoma e epistassi. Altri eventi riportati meno frequentemente sono stati ematoma, ematuria e sanguinamento oculare (soprattutto congiuntivale). L’incidenza di sanguinamento intracranico è stata dello 0,4% per clopidogrel in confronto allo
0,5% per ASA. Nello studio CURE la somministrazione di clopidogrel + ASA in confronto con placebo + ASA non è stata associata ad un aumento statisticamente significativo di sanguinamenti che abbiano messo in pericolo la vita (incidenza del 2,2% vs. 1,8%) o sanguinamenti fatali (0,2% vs. 0,2%), ma il rischio di sanguinamenti maggiori, minori o di altro tipo
è stato significativamente superiore con clopidogrel + ASA: sanguinamenti maggiori che non abbiano messo in pericolo la vita (1,6% clopidogrel + ASA vs 1,0% placebo + ASA) principalmente gastrointestinali e al sito di accesso arterioso, e sanguinamenti minori (5,1% clopidogrel + ASA vs 2,4% placebo + ASA). L’incidenza di emorragia intracranica è stata dello
0,1% in entrambi i gruppi. L’incidenza di sanguinamenti maggiori per clopidogrel + ASA è risultata correlata al dosaggio di ASA (<100 mg: 2,6%; 100-200 mg: 3,5%; >200 mg: 4,9%)
così come quella per placebo + ASA (<100 mg: 2,0%; 100-200 mg: 2,3%; >200 mg: 4,0%). Il rischio di sanguinamento (con rischio per la vita, maggiore, minore o di altro tipo) diminuiva durante lo svolgimento dello studio: 0-1 mese [clopidogrel: 599/6259 (9,6%); placebo: 413/6303 (6,6%)], 1.3 mesi [clopidogrel: 276/6123 (4,5%); placebo: 144/6168 (2,3%)],
3.6 mesi [clopidogrel: 228/6037 (3,8%); placebo: 99/6048 (1,6%)], 6.9 mesi [clopidogrel: 162/5005 (3,2%); placebo: 74/4972 (1,5%)], 9.12 mesi [clopidogrel: 73/3841 (1,9%); placebo: 40/3844 (1,0%)]. Non si è verificato eccesso di sanguinamenti maggiori nei 7 giorni successivi ad intervento di bypass coronarico nei pazienti che hanno interrotto la terapia per
più di 5 giorni prima dell’intervento (4,4% clopidogrel + ASA vs. 5,3% placebo + ASA). Nei pazienti invece che sono rimasti in terapia nei 5 giorni precedenti l’intervento di bypass,
l’incidenza è stata del 9,6% per clopidogrel + ASA e del 6,3% per placebo + ASA.
Nello studio CLARITY, si è verificato un aumento complessivo di sanguinamenti nel gruppo trattato con clopidogrel + ASA (17,4%) rispetto al gruppo placebo + ASA (12,9%). L’incidenza
di sanguinamenti maggiori è risultata simile nei gruppi (1,3% verso 1,1% per il gruppo clopidogrel + ASA ed il gruppo placebo + ASA, rispettivamente). Questo risultato è stato coerente nei sottogruppi di pazienti definiti sulla base delle caratteristiche al basale e per tipo di terapia fibrinolitica o eparinica. L’incidenza di sanguinamenti fatali (0,8% verso 0,6% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) e di emorragie intracraniche (0,5% verso 0,7% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) è risultata
bassa e simile nei due gruppi. Nello studio COMMIT, il tasso complessivo di sanguinamenti maggiori non cerebrali o di sanguinamenti cerebrali è risultato basso e simile nei due gruppi (0,6% verso 0,5% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA).
Disturbi ematologici - Nello studio CAPRIE neutropenia grave (<0,45x109/l) è stata osservata in 4 pazienti (0,04 %) trattati con clopidogrel e in 2 pazienti (0,02 %) trattati con ASA. In
due dei 9.599 pazienti trattati con clopidogrel e in nessuno dei 9.586 pazienti trattati con ASA la conta dei neutrofili è risultata uguale a zero. Un caso di anemia aplastica si è verificato nel gruppo trattato con clopidogrel. L’incidenza di trombocitopenia grave (<80x109/l) è stata dello 0,2% in clopidogrel e dello 0,1% in ASA. Negli studi CURE e CLARITY, il numero
di pazienti con trombocitopenia o neutropenia è stato simile nei due gruppi.
Altre reazioni avverse da farmaco clinicamente rilevanti osservate negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT con un’incidenza >0,1% così come tutte le reazioni avverse serie e rilevanti sono elencate di seguito in accordo alla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La loro frequenza è definita utilizzando le seguenti convenzioni: comune (>1/100,
<1/10); non comune (>1/1.000, <1/100); raro (>1/10.000, <1/1.000). All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità.
Alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico: - non comune: cefalea, capogiro e parestesia - raro: vertigine. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale: - comune: diarrea, dolore addominale, dispepsia - non comune: ulcera gastica e ulcera duodenale, gastrite, vomito, nausea, costipazione, flatulenza. Alterazioni delle piastrine, emorragici e della coagulazione: - non comune: aumento del tempo di sanguinamento e diminuzione delle piastrine Alterazioni della cute e degli annessi - non comune: rash e prurito. Alterazioni dei globuli bianchi e del sistema reticolo-endoteliale: - non comune: leucopenia, diminuzione dei neutrofili ed eosinofilia Esperienza post-marketing Il sanguinamento è la reazione più comunemente
segnalata nell’esperienza post-marketing ed è stato segnalato principalmente durante il primo mese di trattamento. Sanguinamento: sono stati segnalati alcuni casi ad esito fatale (in
particolare emorragia intracranica, gastrointestinale e retroperitoneale); sono stati segnalati casi gravi di sanguinamento cutaneo (porpora), muscoloscheletrico (emartro, ematoma), dell’occhio (congiuntivale, oculare, retinico), epistassi, sanguinamento del tratto respiratorio (emottisi, emorragia polmonare), ematuria e emorragia di ferita chirurgica; casi di emorragia
grave sono stati segnalati in pazienti che assumevano clopidogrel in concomitanza ad acido acetilsalicilico o clopidogrel con acido acetilsalicilico ed eparina.
Oltre all’esperienza relativa agli studi clinici, sono state segnalate in maniera spontanea le seguenti reazioni avverse. Nell’ambito della classificazione sistemica organica (classificazione MedDRA), sono state classificate in gruppi in base alla frequenza. “Molto raro” corrisponde a <1/10.000. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Alterazioni del sangue e del sistema linfatico: - molto raro: porpora trombotica trombocitopenica (PTT) (1/200.000 pazienti esposti), trombocitopenia grave (conta piastrinica 30 x 109 /l), agranulocitosi, granulocitopenia, anemia aplastica/pancitopenia, anemia. Alterazioni del sistema immunitario: - molto raro: reazioni anafilattoidi, malattia da siero. Disturbi psichiatrici: - molto raro: confusione, allucinazioni. Alterazioni del sistema nervoso: - molto raro: alterazioni del gusto. Alterazioni del sistema
vascolare: - molto raro: vasculite, ipotensione Alterazioni dell’apparato respiratorio, del torace e del mediastino: - molto raro: broncospasmo, polmonite interstiziale. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale: - molto raro: pancreatite, colite (compresa colite ulcerativa o linfocitica), stomatite. Alterazioni del sistema epatobiliare: - molto raro: insufficienza epatica acuta, epatite. Alterazioni della cute e del tessuto sottocutaneo: - molto raro: angioedema, dermatite bollosa (eritema multiforme, sindrome di Stevens Johnson, necrolisi epidermica tossica), rash eritematoso, orticaria, eczema e lichen planus. Alterazioni dell’apparato muscoloscheletrico, tessuto connettivo e tessuto osseo: - molto raro: artralgia, artrite, mialgia Alterazioni renali e delle vie urinarie: - molto raro: glomerulonefrite. Disordini generali e alterazioni del sito di somministrazione: - molto raro: febbre Indagini diagnostiche:
- molto raro: test di funzionalità epatica anormale, aumento della creatininemia.
Sovradosaggio
Il sovradosaggio di clopidogrel può portare ad un prolungamento del tempo di sanguinamento e a conseguenti complicazioni emorragiche. Nel caso in cui si osservino dei sanguinamenti, si dovrà prendere in considerazione una appropriata terapia. Non sono noti antidoti all’attività farmacologica di clopidogrel. Quando fosse richiesta una rapida correzione del prolungamento del tempo di sanguinamento, una trasfusione di piastrine può invertire gli effetti di clopidogrel.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: antiaggreganti piastrinici, esclusa l’eparina, Codice ATC: B01AC/04. Clopidogrel inibisce selettivamente il legame dell’adenosina-difosfato (ADP) al suo recettore piastrinico, e di conseguenza inibisce l’attivazione del complesso GPIIb-IIIa mediata dall’ADP, pertanto l’aggregazione piastrinica risulta inibita. È necessaria la biotrasformazione di clopidogrel per indurre inibizione dell’aggregazione piastrinica. Clopidogrel inibisce anche l’aggregazione piastrinica indotta da altri agonisti bloccando l’amplificazione dell’attivazione piastrinica esercitata dal rilascio di ADP. Clopidogrel agisce modificando irreversibilmente il recettore piastrinico per l’ADP. Di conseguenza, le piastrine esposte a clopidogrel sono influenzate per
il resto della loro vita ed il recupero della funzione piastrinica normale avviene ad una velocità proporzionale al ricambio piastrinico. Dosi ripetute di 75 mg al giorno hanno prodotto una
notevole inibizione dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta già dal primo giorno; l’inibizione è aumentata progressivamente fino a stabilizzarsi tra il terzo ed il settimo giorno. In questa
condizione di “steady-state” il livello medio di inibizione osservato con una dose di 75 mg al giorno era compreso tra 40-60%. L’aggregazione piastrinica ed il tempo di sanguinamento sono
tornati gradualmente ai valori di base in genere entro 5 giorni dall’interruzione del trattamento. La sicurezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 4 studi in doppio-cieco che hanno
coinvolto più di 80.000 pazienti: lo studio CAPRIE, di confronto tra clopidogrel e ASA, e gli studi CURE, CLARITY e COMMIT di confronto tra clopidogrel e placebo, entrambi somministrati in associazione con ASA ed altre terapie standard. Infarto miocardico recente (IM), ictus recente o arteriopatia obliterante periferica documentata Lo studio CAPRIE è stato condotto su
19.185 pazienti con aterotrombosi manifestatasi con recente infarto miocardico ( 35 giorni), recente ictus ischemico (tra 7 giorni e 6 mesi), o arteriopatia obliterante periferica comprovata
(AOP). I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel 75 mg/die oppure con ASA 325 mg/die, e osservati per un periodo da l a 3 anni. Nel sottogruppo con infarto miocardico la maggior parte dei pazienti è stata trattata con ASA per i primissimi giorni seguenti l’infarto miocardico acuto. Clopidogrel ha ridotto significativamente l’incidenza di nuovi eventi
ischemici (“end point” combinato di infarto miocardico, ictus ischemico e morte vascolare) rispetto ad ASA. Nell’analisi “intention to treat”, 939 eventi sono stati osservati nel gruppo clopidogrel e 1.020 eventi con ASA, (riduzione del rischio relativo (RRR) 8,7%, [IC 95%: da 0,2 a 16,4 ]; p = 0,045), che corrisponde, per ogni 1.000 pazienti trattati per 2 anni, a 10 ulteriori
pazienti [IC: da 0 a 20] ai quali sono stati evitati nuovi eventi ischemici. L’analisi della mortalità totale quale endpoint secondario non ha mostrato nessuna differenza significativa tra clopidogrel (5,8%) e ASA (6,0%). Nell’analisi dei sottogruppi eseguita per patologia qualificante (infarto miocardico, ictus ischemico ed arteriopatia obliterante periferica) il beneficio è apparso
essere più consistente (raggiungendo la significatività statistica a p = 0,003) nei pazienti arruolati per arteriopatia obliterante periferica (in special modo per quelli con precedenti di infarto
miocardico) (RRR = 23,7%; IC: da 8,9 a 36,2) e meno consistente (non significativamente diverso da ASA) nei pazienti con ictus (RRR = 7,3%; IC: da - 5,7 a 18,7). Nei pazienti arruolati
nello studio sulla sola base di un recente infarto miocardico, clopidogrel è stato numericamente inferiore, ma non statisticamente diverso da ASA (RRR = - 4,0%; IC: da - 22,5 a 11,7). Inoltre
una analisi dei sottogruppi per età ha indicato che il beneficio di clopidogrel nei pazienti oltre 75 anni è stato inferiore a quello osservato nei pazienti di età 75 anni. Dato che lo studio
CAPRIE non è stato dimensionato per valutare l’efficacia nei singoli sottogruppi, non risulta chiaro se le differenze nella riduzione del rischio relativo per le varie patologie qualificanti siano
reali oppure siano dovute al caso. Sindrome coronarica acuta Lo studio CURE è stato condotto su 12.562 pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina
instabile o infarto miocardico senza onde Q), che avevano presentato l’inizio del loro più recente episodio di dolore toracico o sintomi coerenti con ischemia nelle 24 ore precedenti. I pazienti dovevano presentare o modificazioni ECG compatibili con nuova ischemia o elevazione degli enzimi cardiaci o della troponina I o T almeno 2 volte il limite superiore della norma. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel (dose di carico 300 mg seguita da 75 mg/die, N=”6”259) o con placebo (N=”6”303), entrambi somministrati in associazione con
ASA (75.325 mg una volta al giorno) e altre terapie standard. I pazienti sono stati trattati fino ad un anno.
Nello studio CURE, 823 pazienti (6,6%) hanno ricevuto una terapia concomitante di antagonisti dei recettori GPIIb/IIIa. Eparina è stata somministrata in più del 90% dei pazienti e la
relativa percentuale di sanguinamento tra clopidogrel e placebo non è stata significativamente influenzata dalla terapia concomitante con eparina. Il numero di pazienti che ha manifestato l’endpoint primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, o ictus) è stato di 582 (9,3%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 719 (11,4%) nel gruppo trattato con placebo, con una riduzione del rischio relativo del 20% (IC 95% da 10% a 28%; p=0,00009) per il gruppo clopidogrel (17% di riduzione del rischio relativo quando i pazienti sono stati trattati in modo conservativo, 29% quando sono stati sottoposti a PTCA con o senza stent e 10% quando sono stati sottoposti a CABG) Sono stati prevenuti nuovi eventi cardiovascolari
(endpoint primario) con una riduzione del rischio relativo del 22% (IC: da 8,6 a 33,4), 32% (IC: da 12,8 a 46,4), 4% (IC: da -26,9 a 26,7), 6% (IC: da -33,5 a 34,3) e 14% (IC: da 31,6 a 44,2), durante gli intervalli dello studio 0-1, 1.3, 3.6, 6.9 e 9.12 mesi, rispettivamente. Pertanto, oltre a 3 mesi di trattamento, il beneficio osservato nel gruppo clopidogrel + ASA
non era ulteriormente aumentato mentre il rischio di emorragia persisteva. L’uso di clopidogrel nel CURE era associato con una diminuzione della necessità di un trattamento trombolitico (RRR = 43,3%; IC: da 24,3% a 57,5%) e inibitori di GPIIb/IIIa (RRR = 18,2%; IC: 6,5%, 28,3%). Il numero di pazienti cha ha manifestato l’endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria) è stato di 1.035 (16,5%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 1.187 (18,8%) nel gruppo trattato con placebo, con una riduzione del rischio relativo del 14% (IC 95% da 6% a 21%, p=0,0005) per il gruppo trattato con clopidogrel. Questo beneficio è stato principalmente determinato da una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza dell’infarto miocardico [287 (4,6%) nel gruppo trattato con clopidogrel e 363 (5,8%) nel gruppo trattato con placebo]. Non si è osservato nessun
effetto sulla percentuale di riospedalizzazione per angina instabile. I risultati ottenuti nelle popolazioni con caratteristiche differenti (per es. angina instabile o infarto miocardico senza
onde Q, livelli di rischio basso o alto, diabete, necessità di rivascolarizzazione, età, sesso, ecc.) si sono rivelati coerenti con i risultati dell’analisi primaria. In particolare, in un’analisi a
posteriori in 2.172 pazienti (17% della popolazione totale dello studio CURE) che erano stati sottoposti a posizionamento di stent (Stent-CURE), i dati hanno mostrato una significativa RRR del 26,2% a favore di clopidogrel rispetto a placebo per l’endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus) ed una significativa RRR del 23,9% per il secondo endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria). Inoltre, il profilo di sicurezza di clopidogrel in questo sottogruppo di pazienti non ha
evidenziato particolari problemi. Pertanto, i risultati ottenuti da questo sottogruppo sono in linea con i risultati complessivi dello studio. Il beneficio osservato con clopidogrel si è dimostrato indipendente dall’utilizzo di altre terapie cardiovascolari in acuto e a lungo termine (come eparina/EBPM, antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa, farmaci ipolipemizzanti, beta bloccanti, e ACE inibitori). L’efficacia di clopidogrel è risultata indipendente dalla dose di ASA (75.325 mg una volta al giorno). Nei pazienti con IM con innalzamento del tratto ST, la sicurezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 2 studi, CLARITY e COMMIT, randomizzati, in doppio-cieco,controllati con placebo. Lo studio CLARITY ha arruolato 3.491 pazienti che si presentavano entro 12 ore dall’esordio di un IM con innalzamento del tratto ST ed erano candidati alla terapia trombolitica. I pazienti hanno ricevuto clopidogrel (dose di carico di 300 mg, seguita da 75 mg/die, n=1752) oppure placebo (n=1739), entrambi in associazione con ASA (dose di carico da 150 a 325 mg, seguita da 75.162 mg/die), un farmaco
fibrinolitico e, laddove necessario, eparina. I pazienti sono stati osservati per 30 giorni. L’endpoint primario era rappresentato dalla comparsa di uno dei seguenti eventi: occlusione dell’arteria correlata all’infarto, riscontrabile all’angiografia pre-dimissione, oppure la morte, oppure una recidiva di IM prima dela coronarografia. Per i pazienti che non sono stati sottoposti a coronarografia, l’endpoint primario era rappresentato da morte o recidiva di IM entro il giorno 8 oppure entro la dimissione dall’ospedale. La popolazione dei pazienti includeva
il 19,7% di donne e il 29,2% di pazienti di età ≥ 65 anni. Globalmente il 99,7% dei pazienti hanno ricevuto fibrinolitici (fibrino specifici : 68,7%, non fibrino specifici: 31,1%), l’89,5%
eparina, il 78,7% beta bloccanti, il 54,7% ACE inibitori e il 63% statine. L’incidenza dell’endpoint primario è stata del quindici percento (15,0%) nei pazienti del gruppo trattato con clopidogrel e del 21,7% nei pazienti del gruppo placebo, con una riduzione assoluta del 6,7% ed una riduzione del rischio del 36 % a favore di clopidogrel (95% CI: 24, 47%; p<0,001),
principalmente correlata ad una riduzione delle occlusioni delle arterie correlate all’infarto. Tale beneficio è stato coerente in tutti i sottogruppi prespecificati inclusi i sottogruppi per età
e sesso, localizzazione dell’infarto e tipo di fibrinolitico o eparina utilizzati. Lo studio COMMIT con disegno fattoriale 2x2 ha arruolato 45.852 pazienti che si presentavano entro le 24
ore dall’inizio dei sintomi di sospetto IM, con il supporto di anomalie all’ECG (ad es. innalzamento del tratto ST, abbassamento del tratto ST oppure blocco di branca sinistro). I pazienti hanno ricevuto clopidogrel (75 mg/die, n=”2”2,961) oppure placebo (n=”2”2,891), in associazione con ASA (162 mg/die), per 28 giorni o fino alla dimissione dall’ospedale. Gli
endpoints co-primari erano morte da qualsiasi causa e la prima comparsa di re-infarto, ictus o morte. La popolazione ha incluso il 27,8% di donne, il 58,4% di pazienti di età ≥ 60 anni
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(26% ≥ 70 anni) e il 54,5% di pazienti ha ricevuto fibrinolitici. Clopidogrel ha ridotto in modo significativo del 7% (p = 0,029) il rischio relativo di morte da qualsiasi causa, e del 9%
(p = 0,002) il rischio relativo della combinazione di re-infarto, ictus o morte, con una riduzione assoluta dello 0,5% e dello 0,9%, rispettivamente. Tale beneficio è stato coerente per
età, sesso e utilizzo o meno di fibrinolitici ed è stato osservato già nelle prime 24 ore.
Proprietà farmacocinetiche
Dopo dosi orali ripetute di 75 mg/die, clopidogrel viene rapidamente assorbito. Tuttavia, le concentrazioni plasmatiche del farmaco come tale sono molto basse e al di sotto del limite
quantificabile (0,00025 mg/l) oltre le due ore dopo la somministrazione. L’assorbimento è almeno del 50% sulla base dell’escrezione urinaria dei metaboliti di clopidogrel. Clopidogrel
è metabolizzato principalmente dal fegato ed il suo maggior metabolita, inattivo, è il derivato carbossilico acido che rappresenta circa 1’85% del prodotto circolante nel plasma. Il picco
plasmatico di questo metabolita (circa 3 mg/l dopo dosi orali ripetute di 75 mg) si manifesta circa un’ora dopo la somministrazione.
Clopidogrel è un profarmaco. Il metabolita attivo, un derivato tiolico, è formato dall’ossidazione di clopidogrel in 2.oxo-clopidogrel e successiva idrolisi. Il passaggio ossidativo è regolato
principalmente dagli isoenzimi 2B6 e 3A4 del Citocromo P450 e in misura inferiore dagli isoenzimi 1A1, 1A2 e 2C19. Il metabolita tiolico attivo che è stato isolato in vitro, si lega rapidamente ed irreversibilmente ai recettori piastrinici, con conseguente inibizione dell’aggregazione piastrinica. Questo metabolita non è stato rilevato nel plasma. La cinetica del principale metabolita circolante è lineare (le concentrazioni plasmatiche aumentano in proporzione alla dose) nell’intervallo di dosi 50-150 mg di clopidogrel. In vitro, clopidogrel ed il suo principale metabolita si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche umane (98% e 94%, rispettivamente). Il legame non è saturabile in vitro entro un ampio intervallo di concentrazioni. Nell’uomo
dopo una dose orale di clopidogrel marcato con 14C, circa il 50% viene escreto nelle urine e circa il 46% nelle feci entro 120 ore dalla somministrazione. L’emivita di eliminazione del principale metabolita circolante è di otto ore sia dopo somministrazione di dose singola che ripetuta. Dopo dosi giornaliere ripetute di 75 mg/die di clopidogrel i livelli plasmatici del principale metabolita circolante sono più bassi in soggetti con grave disfunzione renale (clearance della creatinina da 5 a 15 ml/min) rispetto a soggetti con moderata disfunzione (clearance della
creatinina da 30 a 60 ml/min) e ai livelli plasmatici osservati in altri studi condotti in volontari sani. Sebbene l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da ADP fosse più bassa (25%)
di quella osservata in soggetti sani, il prolungamento del tempo di sanguinamento era simile a quello osservato in soggetti sani che avevano ricevuto 75 mg/die di clopidogrel. In aggiunta
la tollerabilità clinica è stata buona in tutti i pazienti. La farmacocinetica e la farmacodinamica di clopidogrel sono state valutate in uno studio di dose singola e ripetuta sia in soggetti sani
che in pazienti con cirrosi (classe Child-Pugh A o B). La dose giornaliera di 75 mg per 10 giorni di clopidogrel è risultata sicura e ben tollerata. Il Cmax di clopidogrel nei pazienti cirrotici,
tanto dopo dose singola che allo steady state, è stato di molte volte più elevato rispetto a quello nei soggetti normali. Tuttavia, sia i livelli plasmatici del principale metabolita circolante sia
l’effetto di clopidogrel sulla aggregazione piastrinica indotta da ADP e sul tempo di sanguinamento sono risultati paragonabili in questi gruppi.
Dati preclinici di sicurezza
Nel corso di studi non-clinici condotti nel ratto e nel babbuino, la modificazione dei parametri epatici è stato l’effetto più frequentemente osservato. Ciò si è verificato per dosi superiori di almeno 25 volte alla dose clinica corrispondente, di 75 mg/die, somministrata nell’uomo, ed era conseguenza di un effetto sugli enzimi metabolici epatici. Nessun effetto di clopidogrel sugli enzimi metabolici epatici è stato osservato nell’uomo alle dosi terapeutiche. A dosi molto elevate, è stata riportata nel ratto e nel babbuino una scarsa tollerabilità gastrica
(gastriti, erosioni gastriche e/o vomito). Non è stato osservato alcun effetto carcinogenico in seguito a somministrazione di clopidogrel nel topo per 78 settimane e nel ratto per 104 settimane fino alla dose di 77 mg/kg/die (il che rappresenta almeno 25 volte l’esposizione che si verifica alla dose clinica di 75 mg/die nell’uomo). Clopidogrel saggiato in una serie di
studi di genotossicità in vitro e in vivo, non ha mostrato alcuna attività genotossica. Clopidogrel non ha mostrato alcun effetto sulla fertilità in ratti maschi e femmine e non ha mostrato alcun effetto teratogeno né nel ratto né nel coniglio.
Quando somministrato in ratti che allattavano clopidogrel ha causato un leggero ritardo nello sviluppo della prole.
Studi farmacocinetici specifici condotti con clopidogrel marcato hanno permesso di osservare che il composto principale e i suoi metaboliti sono escreti nel latte. Conseguentemente
non può essere escluso un effetto diretto (lieve tossicità) o indiretto (scarsa palatabilità).
Incompatibilità
Non pertinente.
DIPIRIDAMOLO
Indicazioni terapeutiche
Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie; cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio; cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica.
Patologia, a livello cardiaco, cerebrale e renale da aumentata aggregabilità piastrinica.
Posologia e modo di somministrazione
Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie
Dose iniziale: 150-300 mg al dì, per via orale.
Dose di mantenimento: 75-150 mg al dì
Cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio: 2 cicli annuali di 6 settimane con 75 mg al dì, per via orale.
Cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica: 50-75 mg al dì, per via orale, per almeno 4 settimane.
Patologia a livello cardiaco, cerebrale e renale, da aumentata aggregabilità piastrinica: 300-400 mg al dì in dosi refratte.
Controindicazioni
Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Dosi eccessive possono provocare vasodilatazione periferica. Usare con cautela in pazienti ipotesi.
In pazienti con insufficienza coronarica grave, la somministrazione rapida endovenosa di alte dosi di dipiridamolo (0,5 mg o più per kg di peso corporeo in 4 minuti), può causare fenomeni ischemici coronarici e aritmie ipercinetiche.
Tali effetti possono essere risolti con una iniezione endovenosa lenta (10 minuti) di aminofillina.
Le compresse rivestite devono essere ingerite a stomaco vuoto, un’ora prima dei pasti.
Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini
Interazioni
La somministrazione contemporanea di preparati teofillinici può ridurre l’effetto terapeutico.
Gravidanza ed allattamento
Non presenta alcuna particolare controindicazione in gravidanza.
Comunque, come per tutti gli altri farmaci, si consiglia cautela, particolarmente nei primi tre mesi di gestazione.
Non è stata accertata una sicurezza assoluta di impiego in allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Durante la terapia non esistono controindicazioni alla guida ed all’uso di macchinari che richiedono particolare attenzione.
Effetti indesiderati
Scarsi e transitori possono occasionalmente verificarsi cefalee, vertigini, nausea, lievi disturbi gastroenterici, eruzioni cutanee. Solo nel caso che le reazioni secondarie siano persistenti e non tollerate nel paziente si prospetta l’opportunità della interruzione del trattamento.
Sovradosaggio
Non sono noti incidenti da sovradosaggio con dipiridamolo.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Il dipiridamolo è dotato di una spiccata attività antiaggregante piastrinica, e quindi antitrombotica, da attribuirsi da una parte all’azione inibente la fosfodiesterasi piastrinica e dall’altra
all’azione stimolante la produzione di prostaciclina (PGI2 ) da parte dell’endotelio vasale.
Il dipiridamolo, alle dosi terapeutiche consigliate, determina un aumento del flusso coronarico e contemporaneamente migliora l’ossigenazione ed il metabolismo della cellula miocardica senza praticamente influire sulla pressione arteriosa e sulla frequenza cardiaca.
Il preparato, inoltre, favorisce la formazione di un efficiente circolo collaterale intercoronarico.
Il trattamento con dipiridamolo migliora dunque le condizioni di lavoro e di rendimento del cuore specie nei pazienti con irrorazione coronarica insufficiente.
Proprietà farmacocinetiche
Il dipiridamolo viene eliminato dall’organismo dopo biotrasformazione epatica in monoglucuronide, che è soggetto, quasi esclusivamente, ad escrezione per via biliare e fecale in presenza di un parziale circolo enteroepatico.
Solo minime quantità vengono eliminate per via renale.
Dati preclinici di sicurezza
Le prove di tossicità acuta, subacuta e cronica del dipiridamolo eseguite sui più comuni animali da esperimento quali ratto, cane e coniglio per ambedue le vie di somministrazione
orale ed endovenosa, seppure saggiate a concentrazioni del farmaco assai superiori a quelle consigliate per l’uso terapeutico, non hanno evidenziato effetti tossici importanti.
La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via orale nei ratti, è risultata superiore a 6000 mg/kg.
La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via endovenosa nel cane, è risultata: 60 mg/kg nel maschio; 82,5 mg/kg nella femmina.
Il dipiridamolo non ha effetti teratogeni, né influenza negativamente la fertilità e lo sviluppo fetale, né sono stati evidenziati fenomeni di carcinogenesi.
Incompatibilità
Per particolarità fisico-chimiche, le fiale possono essere diluite solo con soluzione glucosate o clorurosodiche.
EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE
Indicazioni terapeutiche
Profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica.- Trattamento delle patologie venose ad eziologia trombotica.
Posologia e modo di somministrazione
va somministrato per via sottocutanea. Nella profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica lo schema posologico da seguire è il
seguente:In chirurgia generale:Una iniezione per via sottocutanea di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa) 2 ore prima dell’intervento.
Successivamente ogni 24 ore per almeno 7 giorni.
Non sono necessari controlli emocoagulativi. Nei pazienti ad alto rischio tromboembolico ed in chirurgia ortopedica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) 12 ore
prima e 12 ore dopo l’intervento, quindi una iniezione quotidiana nei successivi giorni del decorso post-operatorio. La durata del trattamento è di almeno 10 giorni. Nella terapia delle
trombosi venose profonde (TVP), il trattamento sottocutaneo può essere preceduto da 3-5 giorni di terapia per via endovenosa in infusione lenta. Trombosi Venosa Profonda:Due iniezioni/die per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa): la terapia va protratta per almeno 7-10 giorni. Questa terapia può essere preceduta da 3-5 giorni di terapia con 12.800 U.I. aXa
per via endovenosa in infusione lenta. Dopo la fase acuta, la terapia può essere protratta con 0,6 ml (6.400 U.I. aXa) per via s.c./die, oppure con 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) per via s.c./die
per altri 10-20 giorni. Sindrome post-flebitica, insufficienza venosa cronica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml
(3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 30 giorni. Tromboflebite acuta superficiale, varicoflebite:Una iniezione per via sottocutanea
di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 20 giorni.
Tecnica di iniezione. L’iniezione deve essere praticata nel tessuto sottocutaneo dei quadranti supero-esterni dei glutei, alternando il lato destro ed il lato sinistro, o nella cintura addominale anterolaterale e posterolaterale. L’ago deve essere introdotto interamente, perpendicolarmente e non tangenzialmente, nello spessore di una plica cutanea realizzata tra il pollice
e l’indice dell’operatore. La plica deve essere mantenuta per tutta la durata dell’iniezione.
Controindicazioni
Generalmente controindicato in gravidanza e nell’allattamento. Anamnesi positiva per trombocitopenia con eparina. Manifestazioni o tendenze emorragiche legate a disturbi dell’emostasi, ad eccezione delle coagulopatie da consumo non legate all’eparina. Lesioni organiche a rischio di sanguinamento (ulcera peptica, retinopatie, sindrome emorragica). Endocardite
infettiva acuta (ad eccezione di quelle relative a protesi meccaniche). Accidenti cerebrovascolari emorragici. Allergia al farmaco. Nefropatie e pancreopatie gravi, ipertensione arteriosa
grave, traumi cranioencefalici gravi, periodo post-operatorio. Periodo di attività terapeutica delle antivitamine K. Controindicazioni relative: associazione con ticlopidina, con salicilati o
FANS, con antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.).
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Non va somministrato per via intramuscolare. Monitoraggio biologico: praticare una conta piastrinica prima del trattamento e di seguito due volte la settimana; se si prevede un trattamento prolungato, questo schema di monitoraggio deve essere rispettato almeno per il primo mese; in seguito il monitoraggio potrà essere più distanziato. In caso di precedenti di trombocitopenia conseguenti a trattamento con un’altra eparina, è indispensabile porre particolare attenzione allo stato clinico e deve essere effettuata giornalmente la conta piastrinica. In
caso di insorgenza di trombocitopenia con eparina classica, cioè non frazionata, la sostituzione con un’eparina a basso peso molecolare è una possibile soluzione. In questo caso è
necessaria una sorveglianza quotidiana del numero delle piastrine ed il trattamento dovrà essere interrotto appena possibile; infatti sono state riportate osservazioni del mantenimento
della trombocitopenia iniziale anche con eparina a basso peso molecolare. Il test di aggregazione piastrinica in vitro hanno un valore solo orientativo. Si consiglia di prendere contatto
con una equipe specializzata. Trattamento: da usare con precauzione in caso di insufficienza epatica, insufficienza renale, ipertensione arteriosa, anamnesi di ulcera gastrointestinale o
di tutte le altre lesioni organiche suscettibili di sanguinamento, o di malattie vascolari della corioretina. Da usare con precauzione nel periodo post-operatorio a seguito di chirurgia cerebrale o del midollo spinale. Le eparine a basso peso molecolare differiscono, per il metodo impiegato nella produzione, nel peso molecolare e nella attività specifica. Si raccomanda
pertanto di non passare da un marchio all’altro durante il trattamento. Tenere il medicinale fuori della portata dei bambini.
Interazioni
Associazioni sconsigliate:
- Acido acetilsalicilico ed altri salicilati (per via generale). Aumento del rischio di emorragia (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da salicilati). Utilizzare altre sostanze per un effetto antalgico od antipiretico.
- FANS (per via generale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da farmaci antinfiammatori non steroidei). Se non è possibile evitare l’associazione, istituire un’attenta sorveglianza clinica e biologica.
- Ticlopidina. Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica da ticlopidina). È sconsigliata l’associazione a forti dosi di eparina. L’associazione a basse dosi di
eparina (eparinoterapia preventiva) richiede un’attenta sorveglianza clinica e biologica.
- Antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica).
Associazioni che necessitano di precauzioni d’uso: - Anticoagulanti orali. Potenziamento dell’azione anticoagulante.
L’eparina falsa il dosaggio del tasso di protrombina. Al momento della sostituzione dell’eparina con gli anticoagulanti orali: a) rinforzare la sorveglianza clinica; b) per controllare l’effetto
degli anticoagulanti orali effettuare il prelievo prima della somministrazione di eparina, nel caso questa sia discontinua o, di preferenza, utilizzare un reattivo non sensibile all’eparina.
- Glucocorticoidi (per via generale). Aggravamento del rischio emorragico proprio della terapia con glucocorticoidi (mucosa gastrica, fragilità vascolare), a dosi elevate o in trattamento prolungato (superiore a dieci giorni). L’associazione deve essere giustificata; potenziare la sorveglianza clinica.
- Destrano (per via parenterale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Adattare la posologia dell’eparina in modo da non superare una ipocoagulabilità superiore a 1,5 volte il valore di riferimento, durante l’associazione e dopo la sospensione di destrano. In caso di somministrazione contemporanea di acido ascorbico, antistaminici, digitale, penicillina e.v., tetracicline o fenotiazine si può avere una inibizione dell’attività del farmaco.
Gravidanza e allattamento
Il rischio di effetti dannosi a carico del feto e/o del lattante a seguito di assunzione/somministrazione di eparina non è escluso, pertanto l’uso in gravidanza e/o nell’allattamento è da
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riservare, a giudizio del medico, ai casi di assoluta necessità.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
L’uso clinico protratto anche per molti mesi non ha mai influenzato lo stato di vigilanza in tal senso.
Effetti indesiderati
Manifestazioni emorragiche di entità limitata e prevalentemente legate a preesistenti fattori di rischio, quali lesioni organiche con tendenza emorragica, oppure ad effetti iatrogeni (vedi
“Controindicazioni” e “Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione”). Rari casi di trombocitopenia, a volte gravi. Rari casi di necrosi cutanea, generalmente localizzata nel
punto di iniezione, osservati sia con le eparine classiche che con quelle a basso peso molecolare. Questi fenomeni sono preceduti dalla comparsa di porpora o di placche eritematose,
infiltrate e doloranti, con o senza sintomi generali.
In questi casi è necessario sospendere immediatamente il trattamento. Eccezionalmente lievi ematomi nel punto di iniezione. Rare manifestazioni di allergia cutanea o generale. Aumento
delle transaminasi.
Sovradosaggio
La particolare confezione in cui viene presentato il prodotto rende improbabile il sovradosaggio; tuttavia nel caso esso si verifichi accidentalmente, possono manifestarsi effetti legati
all’attività anticoagulante (sanguinamento), normalmente non presenti alle dosi terapeutiche. Questi effetti possono essere neutralizzati mediante la somministrazione e.v. di solfato di
protamina.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Gruppo farmacoterapeutico: Antitrombotici eparinici - Classe ATC B01AB07. Meccanismo d’azione/effetti farmacodinamici: è un farmaco antitrombotico dotato di azione rapida e prolungata, attivo nella terapia della malattia tromboembolica., diversamente dall’eparina, possiede la proprietà di dissociare l’attività antitrombotica da quella anticoagulante. Infatti il rapporto fra l’attività antitrombotica, misurata dal dosaggio del fattore X attivato, e l’attività anticoagulante, rappresentata dai valori di aPTT e TT, risulta, sempre nei confronti dell’eparina,
superiore a 4; tale rapporto può essere considerato indice terapeutico o di sicurezza. A differenza dell’eparina, non possiede attività pro-aggregante piastrinica.
Proprietà farmacocinetiche
dopo somministrazione sottocutanea, presenta il picco plasmatico di massima attività anti-Xa mediamente alla 3a ora ed una emivita plasmatica di circa 6 ore; l’attività anti-Xa persiste
nel plasma circa 20 ore dopo unica somministrazione, tali caratteristiche rendono possibile la monosomministrazione giornaliera. Si distribuisce prevalentemente nel sangue, ove esercita la propria azione, ed è probabilmente soggetto al fenomeno della scomparsa per uptake endoteliale e/o transendoteliale come l’eparina. Ha un metabolismo epatico e renale e viene
escreto per via urinaria.
Dati preclinici di sicurezza
È praticamente priva di tossicità acuta e cronica, di attività mutagena e non interferisce, in modelli sperimentali, con la funzione riproduttiva e lo sviluppo embrionale.
Incompatibilità
Le sostanze di uso comune incompatibili, per esempio le associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato
di Ca, sali di ammonio quaternari, cloramfenicolo, tetraciclina e tutti gli aminoglicosidi.
FLUNARIZINA
Indicazioni terapeutiche
Trattamento profilattico dell’emicrania con frequenti e gravi attacchi limitatamente ai pazienti che non hanno risposto ad altre terapie e/o nei quali tali terapie siano state causa di gravi
effetti collaterali.
Posologia e modo di somministrazione
Terapia di attacco: nei pazienti di età inferiore a 65 anni, il trattamento va iniziato alla dose di 10 mg al giorno da assumere al momento di coricarsi; nei pazienti di età superiore a 65
anni tale dosaggio va ridotto a 5 mg. Se durante tale fase del trattamento compaiono depressione, segni extrapiramidali o altri gravi effetti collaterali, il trattamento deve essere interrotto. Se dopo due mesi non si osservano significativi miglioramenti, i pazienti debbono essere considerati refrattari alla terapia e la somministrazione del farmaco deve essere interrotta.
Terapia di mantenimento: se il paziente risponde in maniera soddisfacente e se si ritiene necessaria una terapia di mantenimento, la dose giornaliera deve essere ridotta e somministrata a giorni alterni ovvero per 5 giorni consecutivi con interruzione di due giorni ogni settimana. Anche se il trattamento profilattico risulta efficace e ben tollerato esso deve essere interrotto dopo sei mesi e può essere ripreso solo in caso di recidiva.
Controindicazioni
Il prodotto è controindicato in pazienti con affezioni depressive in atto o pregresse, con preesistenti sintomi di malattia di Parkinson o altri disturbi extrapiramidali. (vedere Effetti indesiderati).
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Nei casi in cui l’astenia aumenta progressivamente, la terapia deve essere interrotta. Si raccomanda di non superare le dosi consigliate.
I pazienti debbono essere controllati ad intervalli regolari, specie durante la terapia di mantenimento, per ricercare i primi segni extrapiramidali o depressivi in modo da interrompere
tempestivamente il trattamento. Tale controllo deve essere particolarmente attento nei pazienti anziani. L’eventuale perdita di efficacia del farmaco durante la fase di mantenimento richiede la sospensione della terapia (per la durata del trattamento vedere Posologia e modo di somministrazione). Vedere anche Effetti indesiderati.
Interazioni
La concomitante assunzione di ipnotici o di ansiolitici e altri psicofarmaci, può causare una eccessiva sedazione. Per lo stesso motivo è sconsigliabile assumere bevande alcooliche
durante la terapia.
Gravidanza e allattamento
Gravidanza: Non essendone stata stabilita la sicurezza d’impiego, si sconsiglia l’uso della flunarizina in gravidanza. Allattamento: Non essendo disponibili dati sull’escrezione della flunarizina nel latte materno, si sconsiglia l’uso del farmaco durante l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Il prodotto, specie nella fase iniziale della terapia, può dar luogo a sonnolenza; estrema cautela deve essere adottata durante operazioni che richiedono una perfetta integrità dello stato
di vigilanza (guida di autoveicoli, macchinari pericolosi ecc.).
Effetti indesiderati
I più comuni effetti collaterali sono la sonnolenza e/o astenia (20%), che sono di norma transitori, aumento di peso e/o aumento dell’appetito (11%). Nel trattamento a lungo termine
sono stati segnalati i seguenti gravi effetti collaterali: - depressione, per la quale sono risultate maggiormente a rischio le donne con precedenti di malattia depressiva (vedere
Controindicazioni). - sintomi extrapiramidali, quali bradicinesia, rigidità, acatisia, discinesie orofacciali, tremori, per i quali risultano particolarmente a rischio i soggetti anziani. Con
minore frequenza sono stati segnalati nausea, gastralgia, insonnia, ansietà, galattorrea, secchezza delle fauci, dolori muscolari ed eruzioni cutanee.
Sovradosaggio
Sulla base delle caratteristiche farmacologiche del farmaco, in caso di sovradosaggio è probabile la comparsa di sedazione e astenia.
Nei casi segnalati di sovradosaggio acuto (fino a 600 mg in una sola assunzione) sono stati osservati sedazione, agitazione e tachicardia. In caso di intossicazione acuta non esiste un
antidoto specifico; possono essere impiegati la somministrazione di carbone attivo, la lavanda gastrica e l’induzione del vomito, nonchè terapie sintomatiche di supporto.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: Altri farmaci del sistema nervoso, preparati antivertigine, codice ATC: N07CA03 La flunarizina è un derivato bifluorurato della cinnarizina con proprietà
antistaminiche e depressive sul SNC. La flunarizina è un calcioantagonista della classe IV del WHO; essa non ha effetti sulla contrattilità e sulla conduzione cardiaca. La flunarizina possiede inoltre un’azione di tipo neurolettico che potrebbe essere la causa di certi effetti collaterali sul sistema nervoso centrale.
Proprietà farmacocinetiche
In volontari sani, in seguito ad assunzione orale di una dose singola di flunarizina il picco plasmatico viene raggiunto dopo 2.4 ore.
Durante il trattamento cronico, per somministrazione di una dose giornaliera di 10 mg, le concentrazioni plasmatiche aumentano gradualmente, fino al raggiungimento della
concentrazione stazionaria intorno alla 5ª - 6ª settimana di assunzione del farmaco: allo steady-state i livelli plasmatici restano pressochè costanti in un range compreso fra
39 e 115 ng/ml. I parametri farmacocinetici della flunarizina sono caratterizzati da un ampio volume di distribuzione (volume apparente di distribuzione = 43,2 l/kg in volontari sani) e dall’elevata distribuzione tissutale. Infatti dai risultati delle sperimentazioni animali, è emerso che le concentrazioni del farmaco in vari tessuti sono molto più elevate dei corrispondenti livelli plasmatici, soprattutto nel tessuto adiposo e nei muscoli scheletrici. Circa lo 0,8% di flunarizina è presente nel plasma allo stato libero, poichè
si lega per il 90% alle proteine plasmatiche e per il 9% agli eritrociti. Soltanto un’aliquota trascurabile del farmaco è escreta immodificata con le urine. Dopo un esteso metabolismo epatico (dealchilazione - N-ossidativa, idrossilazione aromatica e glucoronidazione), la flunarizina ed i suoi metaboliti sono escreti con le feci attraverso la bile.
Nell’uomo l’emivita di eliminazione terminale media è di circa 18 gg.
Dati preclinici di sicurezza
Tossicità Per somministrazione acuta DL50 topo Swiss, per os: 815 mg/kg DL50 topo Swiss, per ip: 174 mg/kg DL50 ratto S.D., per os: 312 mg/kg DL50 ratto S.D., per ip:
353 mg/kg Per somministrazione prolungata Ratto S.D., per os (18 mesi) diminuzione di peso a 80 mg/kg/die Cane Beagle, per os (12 mesi) nessuna alterazione a 20
mg/kg/die Tossicità fetale Assente (ratte S.D., coniglie N.Z.). La flunarizina non presenta analogia chimica con composti riconosciuti come cancerogeni e cocancerogeni; nelle
prove di somministrazione prolungata (ratto e cane) non si sono avute manifestazioni istologiche o rilevate attività biochimiche sospette.
Incompatibilità
Non sono state segnalate incompatibilità con altri farmaci.
INDOBUFENE
Indicazioni terapeutiche
Trattamento antiaggregante nelle condizioni patologiche in cui la iperattività o l’attivazione piastrinica possono avere un ruolo determinante nella patogenesi del trombo, come
per esempio: vasculopatie ischemiche cardiache e cerebrali, arteriopatie periferiche su base aterosclerotica, trombosi venose, dislipidemie e diabete.
Prevenzione dell’attivazione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi).
Posologia e modo di somministrazione
La posologia giornaliera è generalmente compresa tra 200 e 400 mg sia per via orale che parenterale in due somministrazioni. La dose minore (200 mg/die) è particolarmente indicata per i trattamenti a lungo termine. Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventuale
riduzione dei dosaggi sopraindicati. Nei pazienti anziani oltre i 65 anni, la dose consigliata è compresa tra 100 e 200 mg/die. Nel trattamento per via orale è consigliata l’assunzione del farmaco dopo i pasti. Nella prevenzione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi) la dose di indobufene dipende dalle condizioni del
paziente; a giudizio del medico possono essere somministrati 100 mg per os (o per via parenterale) prima di ogni seduta dialitica. Il prodotto iniettabile può essere somministrato sia per via endovenosa che intramuscolare.
Controindicazioni
Malattie emorragiche congenite od acquisite, ulcera o qualunque altra lesione in atto dell’apparato gastro- enterico.
Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto o di altri prodotti appartenenti alla stessa classe chimica.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Lesioni pregresse dell’apparato gastroenterico così come la contemporanea somministrazione di altri farmaci antiaggreganti o analgesici-antiinfiammatori non steroidei richiedono molta cautela nell’uso del prodotto.
In pazientidiabetici in trattamento con ipoglicemizzanti orali è opportuno un più frequente controllo dei valori di glicemia.
Nei soggetti con insufficienza renale è opportuna una riduzione delle dosi in rapporto al grado di funzionalità renale.
A titolo indicativo si suggerisce il seguente schema: CLEARANCE DELLA CREATININA: > 80 ml/min : 100-200 mg due volte al giorno; 40-80 ml/min : 100 mg/die - 100 mg
due volte al giorno; < 40 ml/min : 100 mg a giorni alterni - 100 mg/die.
La somministrazione dei farmaci nel paziente anziano richiede cautela anche in considerazione della progressiva riduzione della funzionalità renale con l’età.
La posologia consigliata per pazienti anziani (oltre i 65 anni) tiene conto di questo fattore. Tenere fuori dalla portata dei bambini.
Nell’eventuale comparsa di disturbi gastrici (ad esempio pirosi, dolore epigastrico) si consiglia la riduzione della dose o l’interruzione temporanea del trattamento.
Nel trattamento per via orale è consigliata l’assunzione del farmaco dopo i pasti.
Interazioni
Nel corso della sperimentazione clinica non sono stati segnalati segni o sintomi che possano fare sospettare interazioni con altri farmaci e altre interazioni, anche nel corso
di trattamenti prolungati a 6 e 12 mesi.
Gravidanza e allattamento
Anche se la sperimentazione nell’animale non ha evidenziato danni fetali si sconsiglia l’uso del farmaco in gravidanza accertata o presunta e durante l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine.
Effetti indesiderati
In corso di trattamento sono stati segnalati casi di disturbi gastrici, meteorismo, stipsi, reazioni allergiche cutanee, sanguinamento gengivale, epistassi e, raramente, casi di sanguinamento gastro- intestinale con melena, ulcera peptica ed ematuria. L’eventuale comparsa di reazioni allergiche quali eruzioni orticarioidi, esige l’interruzione del trattamento.
Sovradosaggio
In caso di reazione tossica da iperdosaggio, gli interventi di emergenza dovranno essere rivolti a contrastare i sintomi che si possono presentare.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
L’indobufene ha un effetto antiaggregante piastrinico dovuto a inibizione della reazione di liberazione di costituenti piastrinici (ADP, serotonina, fattore piastrinico 4, beta-tromboglobulina, ecc.). Ricerche in animali da esperimento (cavia, ratto, coniglio) e nell’uomo hanno dimostrato che indobufene non interferisce con i parametri plasmatici della
emocoagulazione ed il prolungamento del tempo di sanguinamento è modesto e rapidamente reversibile con la sospensione del trattamento. Esperimenti condotti in babbuini geneticamente predisposti alla trombosi hanno dimostrato che l’indobufene normalizza la funzionalità piastrinica alterata. Per quanto riguarda il meccanismo d’azione ricerche in vitro e in vivo hanno documentato che indobufene interviene sulla funzionalità piastrinica agendo sul metabolismo dell’acido arachidonico. Esperimenti nell’uomo hanno
dimostrato che il farmaco a dosi terapeutiche agisce selettivamente sulla ciclossigenasi piastrinica bloccando la sintesi di trombossano senza alterare i livelli ematici di prostaciclina. Dopo somministrazione orale o parenterale il farmaco manifesta prontamente la sua azione antiaggregante che raggiunge i valori massimi dopo 2.4 ore e si mantiene fino a 12.24 ore, secondo le dosi e le tecniche utilizzate.
Proprietà farmacocinetiche
Indobufene è rapidamente assorbito per via orale ed i livelli plasmatici massimi si osservano dopo circa 2 ore dalla somministrazione.
L’emivita del composto è di circa 8 ore con un volume apparente di distribuzione di 15 litri. L’indobufene è legato per il 99% alle proteine plasmatiche e l’eliminazione avviene prevalentemente per via renale (75%) sotto forma di prodotto coniugato (glucorunato) e in piccola parte come composto inalterato. one fisiologica salina.
Incompatibilità
Non sono stati evidenziati casi d’incompatibilità.
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NICERGOLINA
Indicazioni terapeutiche
Turbe metabolico-vascolari cerebrali acute e croniche da arteriosclerosi, trombosi ed embolia cerebrale, ischemia cerebrale transitoria.
Posologia e modo di somministrazione
60 mg al giorno in due somministrazioni per via orale ad intervalli regolari; le compresse solubili vanno assunte dopo essere state disciolte in mezzo bicchiere d’acqua.
Controindicazioni
Ipersensibilità alla nicergolina.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
In generale alle dosi terapeutiche non modifica la pressione arteriosa: nei soggetti ipertesi può indurre graduale diminuzione dei valori pressori.
In pazienti iperuricemici o con anamnesi di gotta e/o in trattamento con farmaci che possono interferire con il metabolismo e l’escrezione dell’acido urico, il farmaco va somministrato
con cautela. Tenere fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
La nicergolina può potenziare l’effetto dei farmaci antiipertensivi.
Gravidanza e allattamento
Benché negli studi tossicologici la nicergolina non abbia dimostrato alcuna attività teratogena, nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del Medico.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine.
Effetti indesiderati
In rari casi sono stati rilevati effetti collaterali clinicamente non gravi, quali ipotensione e vertigini, disturbi gastrici, senso di calore, rossore cutaneo, sonnolenza, insonnia.
Sovradosaggio
Non sono stati descritti in letteratura casi di sovradosaggio.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
La nicergolina ha dimostrato di migliorare le condizioni metabolico-emodinamiche del distretto cerebrale. La nicergolina è dotata inoltre di attività antiaggregante piastrinica e svolge
favorevoli effetti emoreologici.
Proprietà farmacocinetiche
Quando somministrata per via orale la nicergolina è rapidamente assorbita. L’eliminazione, sotto forma di metaboliti, avviene principalmente per via urinaria e solo in minima quantità
con le feci.
Dati preclinici di sicurezza
Le prove tossicologiche in varie specie animali hanno dimostrato che la nicergolina risulta dotata di ottima tollerabilità (DL50 per os: 726 mg/kg nel topo, 2872 mg/kg nel ratto). La
nicergolina inoltre è priva di tossicità embriofetale e di effetto teratogeno.
Incompatibilità
Non sono stati evidenziati casi di incompatibilità.
NIMODIPINA
Indicazioni terapeutiche
Prevenzione e terapia di deficit neurologici ischemici anche correlati a vasospasmo cerebrale.
Posologia e modo di somministrazione
Salvo diversa prescrizione medica, la dose giornaliera raccomandata è di 30 mg x 3 volte.
In caso di gravi alterazioni della funzionalità renale ed epatica, eventuali effetti collaterali, come l’abbassamento della pressione arteriosa, possono essere più pronunciati; in questi casi,
se necessario, la dose dovrebbe essere ridotta.
Nella profilassi e nel trattamento dei deficit neurologici ischemici conseguenti a vasospasmo cerebrale indotto da emorragia subaracnoidea, terminata la terapia parenterale, si raccomanda di proseguire la somministrazione di nimodipina per via orale per circa 7 giorni.
Va assunto lontano dai pasti.
L’intervallo tra le singole somministrazioni non dovrebbe essere inferiore alle 4 ore.
Controindicazioni
Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento e nei casi di ipersensibilità individuale accertata verso il medicamento.
Il farmaco non deve, inoltre, essere somministrato a pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa (ad esempio cirrosi epatica).
Una precedente terapia cronica con fenobarbital, fenitoina o carbamazepina riduce in maniera marcata la biodisponibilità della nimodipina somministrata per os. Pertanto, la terapia concomitante con questi farmaci e nimodipina per via orale non è raccomandata.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
In pazienti molto anziani affetti da più patologie, in pazienti con funzionalità cardiovascolare o renale gravemente compromessa (filtrazione glomerulare < 20 ml/min), la necessità di un
trattamento dovrebbe essere considerata con cautela ed il paziente regolarmente controllato.
Deve essere utilizzato con cautela nei pazienti gravemente ipotesi (pressione arteriosa sistolica < 100 mmHg).
Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
In pazienti ipertesi sotto trattamento con preparati antiipertensivi, può diminuire i valori pressori. Per questo motivo, all’inizio della terapia, il medico curante dovrebbe decidere in merito ad un eventuale aggiustamento della terapia antiipertensiva concomitante.
La somministrazione contemporanea di cimetidina o acido valproico può condurre ad un aumento della concentrazione plasmatica di nimodipina.
Non sono attualmente disponibili dati relativi all’impiego contemporaneo di nimodipina e neurolettici od antidepressivi.
Esperienze con il calcio-antagonista nifedipina lasciano ritenere che la rifampicina acceleri il metabolismo della nifedipina attraverso un processo di induzione enzimatica. Non deve
quindi essere usato contemporaneamente a rifampicina, in quanto l’associazione potrebbe comportare un mancato raggiungimento dei livelli plasmatici terapeutici di nimodipina.
Il succo di pompelmo inibisce il metabolismo ossidativo delle diidropiridine. L’assunzione contemporanea di succo di pompelmo e nimodipina non è quindi raccomandata, perché può
aumentare la concentrazione plasmatica di quest’ultima.
In uno studio sulla scimmia la simultanea somministrazione endovenosa del farmaco anti-HIV zidovudina e di nimodipina in bolo ha indotto un incremento significativo della AUC per
la zidovudina con una significativa riduzione del suo volume di distribuzione e della clearance.
Gravidanza ed allattamento
Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
In linea di principio la capacità di guidare e di impiego di macchinari può essere compromessa in relazione alla possibile comparsa di vertigini.
Effetti indesiderati
Prevalentemente all’inizio del trattamento, si possono verificare le seguenti manifestazioni concomitanti: cefalea, disturbi gastrointestinali, nausea, vertigini, astenia, arrossamento cutaneo, edema periferico, senso di calore; tachicardia ed ipotensione (specialmente qualora i valori pressori iniziali risultino elevati); quest’ultima condizione dovrebbe essere tenuta presente da parte del medico curante in relazione alle terapie concomitanti.
In pochi pazienti possono comparire sintomi di iperattività del sistema nervoso centrale, quali insonnia, aumento dell’agitazione motoria, eccitazione, aggressività, sudorazione. In casi
isolati possono comparire ipercinesia, depressione, trombocitopenia.
In pochi casi, in pazienti trattati in seguito ad emorragia subaracnoidea, si è verificato ileo paralitico.
In rari casi si possono verificare, durante il trattamento di pazienti con pronta risposta terapeutica, dolori in sede toracica.
Sovradosaggio
Sintomi da intossicazione che devono essere considerati a seguito di sovradosaggio acuto sono: arrossamento del viso, cefalea; marcata ipotensione, tachicardia o bradicardia; disturbi gastrointestinali e nausea.
Trattamento: sospendere immediatamente la somministrazione del farmaco.
Quale misura di emergenza potrebbe essere considerata la lavanda gastrica con aggiunta di carbone vegetale. In caso di ipotensione grave dovrebbe essere somministrata dopamina o
noradrenalina per via endovenosa. Diversamente la terapia deve essere diretta ad eliminare i sintomi principali, in quanto non si conosce alcun antidoto specifico.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
La nimodipina protegge i neuroni e stabilizza la loro funzione, promuove il flusso ematico cerebrale ed aumenta la tolleranza all’ischemia attraverso interazioni con i recettori neuronali e cerebrovascolari legati ai canali del calcio. Altri studi hanno dimostrato che ciò non conduce a fenomeni di furto.
È stato dimostrato clinicamente che la nimodipina migliora i disturbi della memoria e della concentrazione nei pazienti con funzione cerebrale compromessa.
Altri tipici sintomi vengono anche favorevolmente influenzati come è stato dimostrato mediante la valutazione dell’impressione clinica globale, la valutazione dei disturbi individuali,
l’osservazione del comportamento e le prove psicometriche.
Proprietà farmacocinetiche
Il principio attivo nimodipina, somministrato per via orale, è praticamente assorbito in modo completo.
La sostanza attiva immodificata ed i suoi primi metaboliti, dopo il primo passaggio, sono rilevati nel plasma già 10-15 minuti dopo l’assunzione della compressa.
A seguito di somministrazione di dosi orali multiple (3 x 30 mg/die), le concentrazioni plasmatiche di picco (Cmax) risultano nell’anziano pari a 7,3-43,2 ng/ml e vengono raggiunte dopo
0,6-1,6 h (tmax).
Singole dosi di 30 mg e 60 mg in soggetti giovani raggiungono rispettivamente delle concentrazioni plasmatiche di picco medie pari a 16 ± 8 ng/ml e 31 ± 12 ng/ml.
La concentrazione plasmatica di picco e l’area sotto la curva della concentrazione/tempo aumentano proporzionalmente alla dose fino alla massima dose studiata (90 mg).
Concentrazioni plasmatiche medie allo stato stazionario di 17,6-26,6 ng/ml, si raggiungono dopo infusione e.v. continua di 0,03 ng/kg/h. Dopo bolo e.v. le concentrazioni plasmatiche
di nimodipina declinano in maniera bifasica con emivita di 5-10 minuti e circa 60 minuti. Il volume di distribuzione calcolato (Vss nel modello a due compartimenti) per la somministrazione e.v. risulta di 0,9-1,6 l/kg di peso corporeo. La clearance sistemica totale è di 0,6-1,9 l/h/kg.
La nimodipina si lega alle proteine plasmatiche per il 97-99%.
Nell’animale da esperimento trattato con nimodipina marcata 14 C la radioattività supera la barriera placentare.
È verosimile una distribuzione analoga anche nella donna per quanto manchino evidenze sperimentali in questo senso.
Nel ratto, la nimodipina e/o i suoi metaboliti compaiono nel latte ad una concentrazione molto più alta che nel plasma materno. Nella donna, il farmaco immodificato compare nel latte
a concentrazioni dello stesso ordine di grandezza che nel plasma materno.
Dopo somministrazione orale ed endovenosa la nimodipina può essere dosata nel fluido cerebrospinale a concentrazioni pari a circa lo 0,5% di quelle rilevate nel plasma.
Queste corrispondono circa alle concentrazioni di principio attivo libero nel plasma.
Il metabolismo della nimodipina avviene principalmente mediante deidrogenazione dell’anello diidropiridinico e rottura ossidativa dell’estere, la quale rappresenta con l’idrossilazione
dei gruppi metilici 2 e 6 e la glucuronidazione, le ulteriori importanti tappe metaboliche.
I tre metaboliti primari che compaiono nel plasma possiedono un’attività residua terapeuticamente non significativa o nulla.
Sono sconosciuti gli effetti di induzione ed inibizione sugli enzimi epatici. Nell’uomo i metaboliti vengono escreti per circa il 50% attraverso l’emuntorio renale, e per il 30% con la bile.
Le cinetiche di eliminazione sono lineari. L’emivita della nimodipina si colloca tra 1,1 e 1,7 ore. L’emivita terminale di 5-10 ore non è rilevante al fine di stabilire l’intervallo tra i dosaggi.
A seguito del rilevante metabolismo di primo passaggio (circa 85-95%), la biodisponibilità assoluta risulta del 5-15%.
Dati preclinici di sicurezza
La nimodipina è un calcio antagonista appartenente al gruppo delle 1,4-diidropiridine.
Grazie alla sua elevata lipofilia la nimodipina supera facilmente la barriera encefalica. Negli studi sull’animale la nimodipina si lega con elevata affinità e selettività ai canali del Ca++ di
tipo L bloccando, in questo modo, l’afflusso intracellulare del calcio attraverso la membrana.
Negli stati patologici associati ad un aumento dell’afflusso intracitoplasmatico del calcio nelle cellule nervose, ad esempio in corso di ischemia cerebrale, si ritiene che la nimodipina
migliori la stabilità e la capacità funzionale di questi elementi cellulari.
Il blocco selettivo dei canali del calcio in alcune aree encefaliche, come l’ippocampo e la corteccia, può forse spiegare l’effetto positivo della nimodipina sull’apprendimento e sui deficit mnemonici osservati in diversi modelli animali. Lo stesso meccanismo molecolare è probabilmente alla base dell’effetto vasodilatatorio a livello cerebrale e di promozione del flusso ematico della nimodipina osservato negli animali e nell’uomo.
I sintomi di avvelenamento acuto dopo somministrazione orale sono stati osservati soltanto nel topo e nel ratto e sono rappresentati da lieve cianosi, grave riduzione della motilità e dispnea.
Dopo somministrazione e.v., questi segni di avvelenamento associati a convulsioni tonico-cloniche, sono stati osservati in tutte le specie studiate.
Gli studi condotti nel cane alla dose orale di 10 mg/kg per un periodo di 13 settimane, hanno indotto calo del peso corporeo, diminuzione di ematocrito, emoglobina ed eritrociti; incremento della frequenza cardiaca ed alterazioni della pressione arteriosa.
La tollerabilità sistemica della nimodipina è stata studiata nel cane in uno studio della durata di un anno con dosaggi fino a 6,25 mg/kg/die.
Dosi fino a 2,5 mg/kg sono state ben tollerate; 6,25 mg/kg hanno indotto delle modeste anche se transitorie alterazioni elettrocardiografiche come risultato di modificazioni del flusso
ematico miocardico senza la comparsa di modificazioni istopatologiche a carico del cuore o di altri organi.
Dosaggi orali fino a circa 90 mg/kg/die per due anni sono stati ben tollerati dal topo. Tossicologia della riproduzione
Dosaggi fino a 30 mg/kg/die non hanno modificato la fertilità del ratto maschio e femmina né quella delle successive generazioni.
La somministrazione di 10 mg/kg/die a ratte gravide non ha messo in evidenza effetti dannosi mentre dosaggi di 30 mg/kg/die e più hanno inibito la crescita inducendo un ridotto peso
fetale e, a 100 mg/kg/die, hanno indotto un incremento delle morti embrionali intrauterine.
Gli studi di embriotossicità condotti nel coniglio con dosaggi orali fino a 10 mg/kg/die non hanno messo in evidenza alcun effetto teratogeno od embriotossico.
Al fine di valutare lo sviluppo perinatale e post-natale sono stati condotti degli studi nel ratto con dosi fino a 30 mg/kg/die.
In uno studio con 10 mg/kg/die e più si è osservato un incremento sia della mortalità perinatale che post-natale ed un ritardato sviluppo fisico. Tali risultati non sono stati confermati
in studi successivi. Non sono disponibili dati nella donna sull’uso in corso di gravidanza ed allattamento.
In uno studio a vita sul ratto trattato per 2 anni con dosaggi fino 1800 parti per milione (circa 90 mg/kg/die) nel mangime non si è evidenziato alcun potenziale oncogenico.
Analoghi risultati sono stati ottenuti nel topo trattato per 21 mesi in uno studio a lungo termine con 500 mg/kg/die per os.
La nimodipina è stata validata in numerosi studi di mutagenesi che non hanno messo in evidenza effetti mutageni di rilievo di induzione genica e di mutazioni cromosomiche.
Incompatibilità
Nessuna nota.
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PENTOSSIFILLINA
Indicazioni terapeutiche
Disturbi dell’irrorazione periferica su base aterosclerotica (claudicatio intermittens, dolori a riposo), diabetica (angiopatia diabetica) e flogistica (endoangioite obliterante). Disturbi trofici (sindrome post-trombotica, ulcus cruris, gangrena e congelamenti) ed angioneuropatie (acrocianosi e morbo di Raynaud). Sequele da alterata irrorazione cerebrale, oculare ed auricolare.
Posologia e modo di somministrazione
In genere la posologia è di 600-1200 mg/die. Le compresse vanno ingerite dopo i pasti e senza masticare. La somministrazione regolare ed il trattamento protratto sono determinanti
per il successo terapeutico.
Controindicazioni
Ipersensibilità individuale accertata verso il prodotto.
Infarto miocardico recente.
Emorragie gravi.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
La posologia va opportunamente adeguata nei pazienti ipotesi o con labilità circolatoria ed in caso di compromissione della funzionalità renale (ad esempio: con clearance delle creatinina < 10 ml/minuto la posologia va ridotta del 50-70%). Se durante il trattamento si manifesta emorragia della retina, la somministrazione va sospesa.
Interazioni
In corso di trattamento è necessario adeguare la posologia degli eventuali farmaci antiipertensivi somministrati contemporaneamente allo scopo di evitare sinergismo d’azione. Nei diabetici è opportuno tenere presente la possibilità, sebbene rara, di ridurre il fabbisogno insulinico o la posologia degli ipoglicemizzanti orali durante la terapia.
Gravidanza e allattamento
Sebbene in esperimenti su animali non sia stata evidenziata alcuna indicazione di possibili effetti teratogeni del preparato, tuttavia, come per tutti i farmaci, si raccomanda di non usare
durante la gravidanza. Nelle donne in età fertile un’eventuale gravidanza deve essere sempre esclusa prima dell’inizio del trattamento e durante il trattamento stesso deve essere assicurata un’efficace copertura anticoncezionale. Nelle pazienti che allattano occorre decidere se rinunciare a nutrire al seno il lattante ed iniziare il trattamento o, viceversa, proseguire l’allattamento evitando la somministrazione del medicinale.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Non sono state segnalate interferenze sulla capacità di guidare veicoli e usare macchinari.
Effetti indesiderati
Possono manifestarsi disturbi gastroenterici (oppressione gastrica, nausea, vomito, diarrea), cefalea o vertigini che in genere scompaiono con la riduzione della posologia; in singoli
casi, tuttavia, potrebbe rendersi necessario sospendere il trattamento. Eccezionalmente sono state osservate reazioni di ipersensibilità, quali manifestazioni cutanee (prurito, esantema,
orticaria) od edema angioneurotico, comunque rapidamente reversibili con la sospensione del trattamento. Molto raramente e soprattutto dopo dosi elevate di pentossifillina, sono stati
segnalati flush cutaneo, tachicardia, angina pectoris ed ipotensione, che hanno richiesto la riduzione della posologia o la sospensione del trattamento. Pur non essendo stato dimostrato un rapporto causale con l’impiego della pentossifillina, sono stati segnalati casi molto rari di emorragia (cutanea o delle mucose) in pazienti trattati con la specialità con e senza anticoagulanti od antiaggreganti piastrinici. Sono stati segnalati anche rari casi di trombocitopenia.
Sovradosaggio
In caso di intossicazione possono comparire vampate di calore, perdita di coscienza, vomito a tipo fondo di caffè, areflessia e convulsioni tonico-cloniche. Oltre a misure generali per
il trattamento dell’intossicazione deve essere dedicata particolare attenzione al controllo dei valori pressori. In caso di forte diminuzione della pressione arteriosa occorre infondere plasma-expander (attenzione ai segni di edema). Tenere libere le vie respiratorie.
Diazepam in caso di convulsioni.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
La pentossifillina è caratterizzata dalla capacità di modificare le proprietà reologiche del sangue; normalizza infatti le condizioni di perfusione riducendo la viscosità ematica e ripristinando la dinamica degli scambi metabolici a livello della microcircolazione. La sua azione si esplica mediante l’aumento della flessibilità dei globuli rossi, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica, il miglioramento dell’attività fibrinolitica e l’inibizione dell’attivazione leucocitaria.
Proprietà farmacocinetiche
Dopo somministrazione giornaliera di 2 compresse da 600 mg si sono osservati livelli ematici, allo steady-state, di 65 ng/ml per la pentossifillina e di 239 ng/ml per il metabolita M1. Il
metabolita M1, [1-(5-idrossiesil)-3,7 dimetilxantina] è terapeuticamente attivo ed ha profilo d’azione sovrapponibile a quello della pentossifillina; il suo picco ematico supera di oltre 2,5
volte quello della molecola immodificata. I livelli ematici di pentossifillina e del metabolita attivo M1 sono risultati terapeuticamente attivi per 8-12 ore. La somministrazione di più compresse nell’arco della giornata, non determina accumulo tissutale del farmaco, poiché l’eliminazione renale dei metaboliti pentossifillinici aumenta proporzionalmente alla dose somministrata.
Dati preclinici di sicurezza
La DL50 (mg/kg) della pentossifillina per os è di 1.385 nel topo, di 1.772 nel ratto e superiore a 320 nel cane. I controlli ematochimici, effettuati dopo trattamento protratto per 1 anno
con dosi di 100,320 e 1000 mg/kg/die nel ratto e di 100,320 e 400 mg/kg/die nel cane, non dimostrano alcuna deviazione dalla norma. Solo con le dosi più alte (320 e 400 mg/kg/die)
nel cane si osservano alterazioni del comportamento (incoordinazione, salivazione e modificazione del temperamento).
Incompatibilità
Non sono note incompatibilità chimico-fisiche.
PIRACETAM
Indicazioni terapeutiche
Sindromi mentali da insufficienza cerebrale; disturbi del rendimento mentale dell’anziano. A dosaggi più elevati: sindrome psicoorganica senile; trattamento dei disturbi da disassuefazione degli alcoolisti.
Posologia e modo di somministrazione
2400 - 6000 mg al di per os o per via endovenosa.
In caso di grave compromissione cerebrale il dosaggio può essere raddoppiato. Per la elevata biodisponibilità della sostanza gli effetti terapeutici del piracetam somministrato per via
orale e per via parenterale sono sovrapponibili. Per tale motivo, nei pazienti in terapia protratta e con eventuali problemi di somministrazione endovenosa, può essere consigliata l’assunzione per via orale.
La durata e la posologia devono comunque essere adattate dal medico curante a seconda dei casi.
Controindicazioni
Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
In presenza di insufficienza renale il prodotto va somministrato con cautela a dosaggi ridotti.
Interazioni
Non sono note interazioni con altri farmaci di comune impiego.
Gravidanza e allattamento
Il prodotto non è controindicato durante la gravidanza e l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Il piracetam non interferisce sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine.
Effetti indesiderati
In taluni rari casi nei quali si dovesse osservare un eccesso di reattività del paziente all’azione del prodotto, sarà sufficiente una riduzione della posologia.
Sovradosaggio
Non sono noti casi di sovradosaggio. Nel dubbio si consiglia la sospensione del trattamento.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Piracetam è un farmaco ad azione elettiva a livello telencefalico.
Esso agisce sulle cellule nervose determinando importanti modificazioni metaboliche, soprattutto a livello dell’acido adenosintrifosforico i cui tassi di produzione e di utilizzazione risultano considerevolmente aumentati per azione del farmaco.
Tale aumento porta ad un migliorato metabolismo cerebrale nel suo complesso (sintesi dei fosfolipidi, delle proteine, ecc.) con conseguente miglioramento delle condizioni circolatorie e di ossigenazione locali. L’attività di Piracetam è stata saggiata con successo nel bambino in età scolare nel trattamento di varie situazioni comportamentali alterate in grado di
influenzare il comportamento scolastico.
Proprietà farmacocinetiche
Il piracetam è rapidamente assorbito per via orale con picco ematico dopo 1 ora circa dalla somministrazione. Il piracetam è eliminato in forma non metabolizzata specialmente per via
urinaria. Soltanto l’1-2% si ritrova nelle feci. Il tempo di emivita nell’uomo è di 4 ore e 30 minuti.
Dati preclinici di sicurezza
Le prove cliniche non hanno potuto mettere in evidenza effetti tossici anche a posologie elevate.
DL50 per os è > 10 g/kg in diverse specie animali.
Tossicità cronica: molti g/kg/die somministrati per os per molti mesi sono privi di effetti tossici in diverse specie animali.
Incompatibilità
Non sono state evidenziate fino ad oggi incompatibilità fisico-chimiche con altri farmaci.
SULFINPIRAZONE
Indicazioni terapeutiche
Stati tromboembolici legati ad un alterato comportamento dei parametri piastrinici che danno luogo al trombosi venosa ricorrente, tromboembolia nei pazienti portatori di protesi cardiache o vascolari, trombosi a livello degli shunts artero-venosi, trombosi coronarica (infarto miocardico), trombosi cerebrale.
Posologia e modo di somministrazione
In genere sono sufficienti 600-800 mg di sulfinpirazone suddivisi, a giudizio del Medico nelle 24 ore. In caso di infarto miocardico, il trattamento non dovrebbe essere iniziato prima di
2 settimane dall’evento acuto.
Si dovrebbe iniziare con un dosaggio di 200 mg al giorno da aumentare gradualmente a 800 mg al giorno (dosaggio di mantenimento) nel corso di una settimana.
Dovrebbe essere assunto preferibilmente durante i pasti o con un po’ di latte. È consigliabile mantenere un appropriato apporto di fluidi, specialmente durante i primi giorni di trattamento, e in aggiunta, se necessario, si deve prescrivere un agente alcalinizzante delle urine.
Controindicazioni
Attacchi acuti di gotta (il trattamento non dovrebbe essere iniziato durante un attacco acuto di gotta). Ulcera gastroduodenale (in atto o anamnestica). Ipersensibilità già nota al sulfinpirazone o ad altri derivati pirazolici (fenilbutazone, ecc.). Il sulfinpirazone è controindicato in pazienti nei quali attacchi di asma, orticaria, o rinite acuta vengono precipitati dall’acido
acetilsalicilico o da altri farmaci con attività inibente la sintesi delle prostaglandine. Lesioni parenchimali gravi del fegato o dei reni (anche all’anamnesi). Porfiria. Discrasie ematiche
(anche all’anamnesi). Diatesi emorragica (per es. disturbi nella coagulazione del sangue).
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
Il trattamento dovrebbe essere iniziato aumentando con cautela il dosaggio in pazienti con gastrite cronica, livelli plasmatici elevati di acido urico e/o nefrolitiasi o coliche renali, in atto
o all’anamnesi, in pazienti in trattamento contemporaneo con diuretici, o anche nei casi in cui il trattamento viene ripreso dopo una interruzione.
Come in tutti i casi di terapia a lungo termine con uricosurici, i test sulla funzionalità renale dovrebbero essere fatti regolarmente, specialmente se il paziente ha una preesistente insufficienza renale.
Dal momento che può causare ritenzione di sali e acqua, è richiesta cautela per quei pazienti con conclamata o latente insufficienza cardiaca.
Nei casi in cui si verificano reazioni allergiche della cute, dovrebbe essere sospeso.
Come per tutti i derivati del pirazolone, i pazienti dovrebbero essere tenuti sotto stretta sorveglianza medica, e si raccomanda che un esame emocromocitometrico venga fatto regolarmente, interrompendo il trattamento in caso di riduzione degli elementi cellulari ematici.
Essendo un potente agente uricosurico, specialmente all’inizio del trattamento, può portare a calcolosi urinaria e a coliche renali; quindi è consigliabile un adeguato apporto di fluidi e
l’alcalinizzazione dell’urina con bicarbonato di sodio.
Il sulfinpirazone, in soggetti con iperuricemia o gotta, può, specie all’inizio della terapia precipitare un attacco acuto di artrite. Dal momento che il sulfinpirazone può potenziare l’effetto degli anticoagulanti orali, il dosaggio di questi deve essere riaggiustato, in base al tempo di protrombina, quando si incomincia o si interrompe il trattamento.
A questo scopo, il tempo di protrombina dovrebbe essere controllato ogni giorno per alcuni giorni.
Tenere fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
Interazioni farmacocinetiche
-Anticoagulanti orali (specialmente i derivati della cumarina come l’acenocumarolo od il warfarin): l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici ritarda il metabolismo degli anticoagulanti e potenzia il loro effetto, e come risultato può aumentare il rischio di emorragia.
-Sulfonilurea (per es. tolbutamide): lo spiazzamento della sulfonilurea dai legami con le proteine plasmatiche, come l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici, ritarda il loro metabolismo, prolungando così le loro concentrazioni plasmatiche, con il risultato che il loro effetto ipocalcemico può essere potenziato.
-Antidiabetici orali: intensifica l’azione degli antidiabetici orali.
Tale possibilità va tenuta presente in modo da adattare la posologia alle necessità del paziente (sulla base dei controlli della glicemia).
-Sulfonamidi: lo spiazzamento delle sulfonamidi dai loro legami con le proteine plasmatiche può portare ad un aumento delle loro concentrazioni plasmatiche.
-Penicilline (per es. penicillina G): l’inibizione della secrezione tubulare può aumentare le concentrazioni plasmatiche delle penicilline.
-Teofillina: l’attivazione degli enzimi microsomiali epatici e la conseguente accelerazione del metabolismo, diminuisce la concentrazione plasmatica della teofillina.
-Fenitoina: lo spiazzamento della fenitoina dai legami con le proteine plasmatiche e l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici rallenta il metabolismo della fenitoina, prolungando
così la sua emivita aumentandone la concentrazione plasmatica.
Interazioni farmacodinamiche
-Salicilati: a causa dell’antagonismo tra salicilati e sulfinpirazone, l’effetto uricosurico di quest’ultimo è diminuito; questa diminuzione può portare a ritenzione di acido urico e ad esacerbazione della gotta. Il sulfinpirazone può anche inibire la secrezione tubulare dei salicilati, e di conseguenza la loro concentrazione nel plasma può aumentare.
-Sostanze che agiscono sull’emostasi: tali sostanze, per es. farmaci antireumatici non steroidei, possono esercitare un effetto sinergico sul sistema di coagulazione del sangue e così
aumentare il rischio di emorragia.
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Gravidanza ed allattamento
L’esperienza finora acquisita con l’uso dell’Enturen in gravidanza non è sufficiente a garantire la sicurezza d’impiego.
L’uso dovrebbe quindi essere evitato durante la gravidanza salvo i casi in cui non esista una alternativa più sicura. Non è noto se il principio attivo e/o i suoi metaboliti passino nel latte
materno. Per ragioni di sicurezza le madri che allattano dovrebbero evitare di assumere il farmaco.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Nessuno noto.
Effetti indesiderati
Tratto gastrointestinale: frequentemente disturbi lievi e transitori del tratto gastrointestinale, come nausea, vomito, diarrea, dolore epigastrico; in casi isolati sanguinamento gastrointestinale e ulcere.
Apparato urogenitale: raramente insufficienza renale acuta (per lo più reversibile), specialmente in caso di dosaggi iniziali alti; in casi isolati ritenzione idrosalina.
Cute: raramente reazioni allergiche (per es. esantema da farmaco, orticaria, eruzioni cutanee, che impongono l’interruzione del trattamento).
Sangue: in casi isolati leucopenia, anemia, trombocitopenia, agranulocitosi, anemia aplastica.
Fegato : in casi isolati: disfunzione epatica (incremento delle transaminasi e della fosfatasi alcalina), ittero ed epatite.
Sovradosaggio
Non esiste un antidoto specifico.
Sintomi: nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, ipotensione, aritmie cardiache, iperventilazione, disordini respiratori, riduzione dello stato di coscienza, coma, attacchi epilettici,
oliguria o anuria, insufficienza renale acuta, coliche renali, ittero.
Trattamento: rimozione e/o inattivazione del farmaco: induzione di vomito e/o lavanda gastrica; carbone attivo; catartico salino, se si pensa che sia il caso.
Una diuresi forzata non è di alcuna utilità.
Trattamento della sintomatologia specifica
-Prestare attenzione alle funzioni vitali del paziente (livello di coscienza, funzionalità cardiovascolare, respiratoria, epatica e renale); se necessario fornire misure di supporto.
-Per combattere l’insufficienza respiratoria: intubazione endotracheale e ventilazione artificiale.
-Per combattere l’acidosi metabolica: bicarbonato di sodio in dosi appropriate.
-In caso di insufficienza renale prolungata: emodialisi.
-Nel caso di colica renale acuta dovuta ad escrezione elevata di acido urico o di cristallizzazione di urati intraluminale nei tubuli distali e nei dotti collettori, la solubilità dell’acido urico
può essere migliorata alcalinizzando l’urina (fino ad un pH 7 o superiore) somministrando bicarbonato di sodio e/o un inibitore dell’anidrasi carbonica come l’acetazolamide, e somministrando fluidi e un potente diuretico, per es. furosemide o mannitolo, per aumentare il volume delle urine.
-Per rimuovere il sulfinpirazone assorbito e i suoi metaboliti, si può ricorrere all’emoperfusione, anche se non sono ancora disponibili dati sulla sua efficacia.
-Tenere presente la possibilità di emorragia gastrointestinale; prendere appropriate misure per una precoce diagnosi di tali emorragie, in modo da poter fornire adeguato trattamento se
ce ne fosse la necessità.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Il sulfinpirazone inibisce il riassorbimento tubulare dell’acido urico, la cui escrezione renale viene quindi aumentata.
L’effetto uricosurico del sulfinpirazone, somministrato per via orale si prolunga fino a 10 ore. Non possiede significative proprietà antinfiammatorie o analgesiche.
Il sulfinpirazone influenza le interazioni fra le piastrine del sangue ed i vasi sanguigni in diversi modi: riduce l’adesività e l’aggregazione delle piastrine in vari modelli in vivo, ex vivo,
e in vitro ed inibisce la reazione di rilascio delle piastrine in certe malattie vascolari (per es. arteriosclerosi).
Probabilmente è importante in questo contesto la capacità del sulfinpirazone di interferire con la sintesi delle prostaglandine da parte delle piastrine. Nell’uomo, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica permane oltre il periodo di circolazione del sulfinpirazone nel plasma; questa attività prolungata può essere ascritta al metabolita del sulfinpirazone escreto lentamente.
In certe malattie vascolari e difetti reumatici delle valvole cardiache (stenosi mitralica) il sulfinpirazone allunga, riportandolo alla normalità, il tempo di sopravvivenza delle piastrine.
Proprietà farmacocinetiche
Dopo la somministrazione orale, la sostanza attiva è assorbita rapidamente e quasi completamente (> 85%). In seguito ad una singola dose orale di 400 mg di sulfinpirazone, dopo 12 ore si verificano dei picchi plasmatici di 26-42 mg/ml. Il sulfinpirazone ha un’emivita di 2-4 ore.
In seguito a somministrazioni ripetute di sulfinpirazone, a dosi di 400 mg 2 volte al giorno per 23 giorni, si è osservata una significativa diminuzione dei valori AUC e un aumento della
clearance del farmaco a paragone di valori osservati dopo una dose singola. Dopo una dose multipla di 400 mg 2 volte al giorno, la concentrazione media dello stato stazionario del
sulfinpirazone è di 5,1 mg/ml, che corrisponde solo alla metà del valore calcolato dopo una dose singola (9,6 mg/ml).
La ragione di questo sta in un aumento della clearance totale causata dal fatto che il farmaco induce il suo proprio metabolismo.
Il sulfinpirazone è metabolizzato per riduzione a solfuro e per ossidazione a solfone e a composti ossidrilati.
Il metabolita solfuro inibisce l’aggregazione delle piastrine in vitro circa 12 volte più efficacemente dello stesso sulfinpirazone. A paragone col sulfinpirazone, le concentrazioni del metabolita solfuro sono basse. I picchi delle concentrazioni di solfuro sono raggiunti dopo circa 19 ore dalla somministrazione di una singola dose di sulfinpirazone, e l’emivita di eliminazione del metabolita solfuro dal plasma ammonta a più di 12 ore. Il sulfinpirazone induce il metabolismo degli enzimi microsomiali del fegato.
Il volume di distribuzione del sulfinpirazone dopo somministrazione orale è di 20 ± 5,7 litri o 0,35 litri/kg.
Il sulfinpirazone viene legato alle proteine plasmatiche fino al 98,8%.
La quantità di sulfinpirazone escreto con le urine e le feci è equivalente a circa il 95% della dose assunta. Della porzione escreta nelle urine, circa il 40% è inalterato, il rimanente consiste in metaboliti non coniugati o glicuronizzati. Nei pazienti anziani non avvengono cambiamenti significativi nella farmacocinetica del sulfinpirazone.
L’insufficienza renale non porta ad accumulo del sulfinpirazone nel plasma. In pazienti con una clearance di creatinina <10 ml/min, le concentrazioni plasmatiche del sulfinpirazone non
differiscono significativamente da quelle dei soggetti sani.
Dati preclinici di sicurezza
I risultati degli esperimenti sugli animali indicano che non è mutageno, né carcinogeno o teratogeno.
Incompatibilità
Nessuna nota.
SULODEXIDE
Indicazioni terapeutiche
Ulcere venose croniche.
Posologia e modo di somministrazione
Orientativamente si consiglia di iniziare la terapia con le fiale e, dopo 15-20 giorni, proseguire con le capsule per 30-40 giorni. Il ciclo terapeutico completo va ripetuto almeno due
volte l’anno. A giudizio del medico, la posologia può essere variata in quantità e frequenza.
Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti, verso l’eparina e gli eparinoidi. Diatesi e malattie emorragiche.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
non presenta particolari precauzioni d’uso. Comunque, nei casi in cui sia anche in atto un trattamento con anticoagulanti, è consigliabile controllare periodicamente i parametri emocoagulativi. Tenere fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
Essendo Sulodexide una molecola eparino-simile può aumentare gli effetti anticoagulanti dell’eparina stessa e degli anticoagulanti orali se somministrato contemporaneamente.
Gravidanza e allattamento
Per motivi cautelativi, se ne sconsiglia l’uso in gravidanza, anche se gli studi di tossicità fetale non hanno messo in evidenza effetti embrio-feto-tossici.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
non influisce o influisce in modo trascurabile sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.
Effetti indesiderati
Segnalati occasionalmente: disturbi dell’apparato gastroenterico con nausea, vomito ed epigastralgie, dolore, bruciore ed ematoma in sede di iniezione. Inoltre, in rari casi, si può avere
sensibilizzazione con manifestazioni cutanee o in sedi diverse.
Sovradosaggio
L’incidente emorragico è l’unico effetto ottenibile da un sovradosaggio. In caso di emorragia occorre iniettare, come si usa nelle “emorragie epariniche”, solfato di Protamina all’1% (3
ml i.v. = 30 mg).
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: Sulodexide è classificato tra i farmaci antitrombotici eparinici - Codice ATC: B01AB11.
Meccanismo d’azione: Numerosi studi clinici condotti somministrando il prodotto per via parenterale ed orale, dimostrano che l’attività antitrombotica del Sulodexide è dovuta all’inibizione dose-dipendente di alcuni fattori coagulativi tra cui, in primo luogo, il fattore X attivato, mentre l’interferenza con la trombina, restando a livelli poco significativi, evita in genere
le conseguenze di una azione anticoagulante. L’azione antitrombotica è sostenuta anche dall’inibizione della adesività piastrinica e dall’attivazione del sistema fibrinolitico circolante e di
parete. Il Sulodexide, inoltre, normalizza i parametri viscosimetrici che di solito si ritrovano alterati in pazienti con patologie vascolari a rischio trombotico: tale attività si esercita principalmente mediante la riduzione dei valori di fibrinogeno. Il profilo farmacologico sin qui descritto per Sulodexide, è completato dalla normalizzazione dei valori lipidici alterati, ottenuta mediante attivazione della lipoproteinlipasi. Effetti farmacodinamici: studi volti ad evidenziare eventuali altri effetti, oltre a quelli sopra descritti, che sono alla base dell’efficacia terapeutica, hanno permesso di confermare che la somministrazione non mostra effetti anticoagulanti.
Proprietà farmacocinetiche
Sulodexide presenta un assorbimento attraverso la barriera gastrointestinale dimostrabile in base agli effetti farmacodinamici dopo somministrazione per via orale, intraduodenale, intraileale e rettale nel ratto di Sulodexide marcato con fluoresceina.
Sono state dimostrate le correlazioni dose-effetto e dose-tempo nel ratto e nel coniglio previa somministrazione per le vie sopraelencate.
La sostanza marcata si accumula inizialmente nelle cellule dell’intestino per poi essere liberata dal polo sierico nel circolo sistemico.
La concentrazione della sostanza radioattiva aumenta nel tempo significativamente a livello di cervello, rene, cuore, fegato, polmone, testicolo, plasma.
Prove farmacologiche eseguite nell’uomo con somministrazioni i.m. e i.v. hanno dimostrato relazioni lineari dose-effetto.
Il metabolismo è risultato principalmente epatico e l’escrezione principalmente urinaria. L’assorbimento dopo somministrazione orale nell’uomo, studiato con il prodotto marcato, ha evidenziato che un primo picco ematico si determina alle 2 ore ed un secondo picco tra la quarta e la sesta ora, dopo di che il farmaco non è più determinabile nel plasma e ricompare
verso la dodicesima ora, rimanendo quindi costante fin verso la quarantottesima ora. Questo costante valore ematico riscontrato dopo la dodicesima ora è probabilmente dovuto al lento
rilascio del farmaco da parte degli organi di captazione ed in particolare dell’endotelio dei vasi. Escrezione urinaria: utilizzando il prodotto marcato, si è registrata una escrezione urinaria media del 55,23% della radioattività somministrata, nell’arco delle prime 96 ore. Tale eliminazione mostra un picco attorno alle 12 ore, con un valore medio urinario, nell’intervallo
0-24 ore, del 17,6% della dose somministrata; un secondo picco attorno alla 36ma ora, con eliminazione urinaria tra le 24.48 ore del 22% della dose; un terzo picco attorno alla 78ma
ora con un’eliminazione di circa il 14,9% nel periodo 48.96 ore.
Dopo 96 ore non è più rilevabile la radioattività nei campioni raccolti. Escrezione fecale: la radioattività totale recuperata nelle feci è del 23% nelle prime 48 ore, dopo di che non è più
rilevabile la sostanza marcata. b) caratteristiche di particolare interesse per il paziente L’attività terapeutica è stata sempre valutata in pazienti affetti da patologie vascolari con rischio
trombotico, sia sul versante arterioso che venoso. Il farmaco ha dimostrato particolare efficacia in pazienti anziani ed in pazienti diabetici.
Dati preclinici di sicurezza
- Tossicità acuta: somministrato nel topo e nel ratto, non provoca alcuna sintomatologia tossica sino alle dosi di 240 mg/kg per os; la DL50 nel topo è di >9000 mg/kg/os e 1980
mg/kg/i.p.; nel ratto la DL50 è sempre >9000 mg/kg/os e 2385 mg/kg/i.p..
- Tossicità subacuta: somministrato per 21 giorni os alla dose di 10 mg/kg nel cane, non ha dato luogo a fenomeni di intolleranza, a variazioni dei parametri ematochimici ed a modificazioni anatomo-patologiche dei principali organi.
- Tossicità cronica: somministrato per os per 180 giorni alla dose di 20 mg/kg nel ratto e nel cane, non ha presentato al termine del trattamento alcuna variazione di rilievo del quadro
ematologico, dei parametri urinari e fecali e dei parametri istologici a carico dei principali organi.
- Tossicità fetale: alle prove di tossicità fetale nel ratto e nel coniglio (25 mg/kg per os) è risultato privo di effetti embrio-feto-tossici.
- Mutagenesi: risulta sprovvisto di attività mutagena nei seguenti test: Ames; sintesi riparativa non programmata di DNA in linfociti umani (UDS); non disgiunzione in Aspergillus; crossing over in Aspergillus; soppressori di metionina in Aspergillus.
Incompatibilità
Sulodexide, essendo un polisaccaride acido, se somministrato in associazioni estemporanee può reagire complessandosi con tutte le sostanze basiche.
Le sostanze in uso comune incompatibili nelle associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di calcio,
sali di ammonio quaternario, cloramfenicolo, tetracicline, streptomicina.
TICLOPIDINA
Indicazioni terapeutiche
La ticlopidina è indicata nella prevenzione secondaria di eventi ischemici occlusivi cerebro e cardiovascolari in pazienti a rischio trombotico (arteriopatia obliterante periferica, pregresso infarto del miocardio, pregressi attacchi ischemici transitori ricorrenti, ictus cerebrale ischemico, angina instabile).
In pazienti con pregresso infarto miocardico e con pregressi attacchi ischemici transitori l’uso della ticlopidina dovrebbe essere riservato a quei pazienti che non tollerano l’acido acetilsalicilico (ASA) o nei quali l’ASA è risultato inefficace.
La ticlopidina è inoltre indicata: nella prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, nella circolazione extra-corporea, nella emodialisi e nella trombosi della vena centrale della retina.
Condizioni d’impiego: i Medici sono invitati ad usare il prodotto solo nei casi relativi alla patologia sopra indicata eseguendo i controlli indicati nelle “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso” e rispettando attentamente le controindicazioni.
Posologia e modo di somministrazione
La posologia consigliata per la terapia a lungo termine è di 1 o 2 compresse al giorno, da assumersi durante i pasti.
Controindicazioni
Ipersensibilità verso la ticlopidina o verso gli eccipienti.
Il farmaco è controindicato nei soggetti che presentino od abbiano presentato leucopenia, piastrinopenia od agranulocitosi.
Diatesi emorragiche (pregresse o in atto) ed emopatie che comportano un allungamento del tempo di sanguinamento.
Lesioni organiche suscettibili di sanguinamento (ulcere dell’apparato gastrointestinale, varici esofagee, ecc.).
Accidenti vascolari cerebrali emorragici in fase acuta.
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Epatopatie gravi.
In qualche caso è stata segnalata durante il trattamento con ticlopidina, la comparsa di leucopenia od agranulocitosi, talvolta anche ad esito irreversibile; pertanto il farmaco deve essere impiegato solo nei casi in cui esso è insostituibile. Va categoricamente escluso l’impiego della ticlopidina nella prevenzione primaria nei soggetti clinicamente sani. Deve essere evitata l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
È necessario prima di iniziare la terapia ed ogni 15 giorni durante i primi tre mesi di trattamento, effettuare un controllo quindicinale della crasi ematica, con particolare riguardo alla
conta dei globuli bianchi e delle piastrine.
Prima di un intervento chirurgico di elezione sospendere il trattamento per una settimana (tranne nei casi in cui non sia espressamente richiesta una attività antitrombotica) in considerazione del rischio emorragico indotto dal farmaco: dopo la sospensione della terapia è consigliabile valutare l’eventuale persistenza dell’effetto sull’emostasi (tempo di sanguinamento) prima di procedere all’intervento.
In caso di estrazione dentaria, informare il Medico del trattamento in corso.
Poiché la ticlopidina induce un allungamento del tempo di sanguinamento, la sua associazione con antinfiammatori non steroidei (ac. acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (eparina, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata.
Qualora durante il trattamento insorgano faringite, ulcerazioni della mucosa buccale, angina, febbre, sanguinamenti od ematomi, deve essere immediatamente sospesa l’assunzione del
farmaco ed informato il Medico curante; l’eventuale ripresa della terapia è subordinata all’esito di un controllo urgente della crasi ematica e alla valutazione clinica.
Tenere fuori dalla portata dei bambini
Interazioni
L’ associazione con antinfiammatori non steroidei (acido acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (eparina, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata.
Deve essere evitata inoltre l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici.
Gravidanza ed allattamento
È sconsigliato l’uso del prodotto in gravidanza e durante l’allattamento.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
La sostanza non interferisce sulle capacità di guidare e sull’uso di macchine.
Effetti indesiderati
Sono stati osservati, in corso di trattamento con ticlopidina:
-Manifestazioni emorragiche.
-Turbe della crasi ematica: leucopenia, piastrinopenia, agranulocitosi, aplasia midollare (particolarmente gravi nei soggetti anziani).
-Disturbi gastrointestinali (nausea, gastralgie, diarrea).
-Aumento delle transaminasi e, raramente, ittero colestatico (è pertanto consigliabile eseguire durante il trattamento periodici controlli della funzionalità epatica).
-Eruzioni cutanee su base allergica, reversibili con l’interruzione del trattamento.
-Vertigini.
-Porpora trombotica, trombocitopenica.
Sovradosaggio
A tutt’oggi non sono stati segnalati casi di sovradosaggio del farmaco. In caso di assunzione accidentale di dosi elevate del prodotto è consigliabile la messa in atto delle misure terapeutiche urgenti indicate per le intossicazioni accidentali.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
La ticlopidina appartiene alla classe delle tienopiridine ed è dotata di peculiare attività antitrombotica, in quanto diminuisce l’adesività piastrinica, inibisce l’aggregazione piastrinica
(indotta da ADP, collagene, trombina ed endoperossidi), stimola la disaggregazione piastrinica, diminuisce l’iperaggregabilità eritrocitaria indotta da protamina solfato, migliora la capacità degli eritrociti di modificare la propria forma (filtrabilità).
Proprietà farmacocinetiche
Dopo somministrazione di una dose unica di ticlopidina per via orale (250 o 500 mg) la massima concentrazione plasmatica del principio attivo è raggiunta alla 2a ora ed il farmaco
viene quasi completamente eliminato dal torrente circolatorio otto ore dopo la somministrazione.
Alle dosi terapeutiche l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta dalla ticlopidina diviene significativa dopo 24-48 ore dall’inizio del trattamento; l’effetto massimo viene raggiunto in 5ª - 6ª giornata e scompare 5-6 giorni dopo la sospensione della terapia.
La somministrazione nell’animale da esperimento (ratto) di ticlopidina marcata con 14 C per via orale a dosi di 25 mg/kg ha evidenziato che il prodotto viene eliminato per circa il 70%
attraverso la via biliare e per il 30% attraverso l’emuntorio renale.
Dati preclinici di sicurezza
La valutazione della tossicità della ticlopidina è stata eseguita sul ratto e sul topo. Le vie di somministrazione impiegate sono state quella orale e quella endovenosa per il ratto e quella orale e intraperitoneale per il topo. La DL50 nel ratto è stata rispettivamente 1400 ± 220 mg/kg per via orale e 60,6 ± 8,6 mg/kg per via venosa. La DL50 nel topo è risultata rispettivamente 630 ± 87 mg/kg per via orale e 123 ± 37 mg/kg per via intraperitoneale.
nio biossido, polietilenglicole 8000.
Incompatibilità
Non sono note incompatibilità.
WARFARIN SODICO
Indicazioni terapeutiche
Profilassi e terapia dell’embolia polmonare, della trombosi venosa profonda, della tromboembolia arteriosa associata a fibrillazione atriale cronica, a protesi valvolari cardiache meccaniche o biologiche, a trombosi murale intracardiaca, a infarto miocardico acuto. Profilassi del reinfarto.
Posologia e modo di somministrazione Dose iniziale La dose deve essere individualizzata secondo la risposta del paziente al farmaco, come indicato dal monitoraggio giornaliero del tempo di protrombina (PT) ed espresso
secondo il Rapporto Internazionale Normalizzato (INR).
Una dose di carico elevata può aumentare il rischio di emorragia e di altre complicazioni, non offre una protezione più rapida contro la formazione dei trombi e non viene quindi raccomandata. Si raccomandano dosi iniziali basse nei pazienti anziani, debilitati o che possono avere un INR maggiore di quello previsto.
Si raccomanda di iniziare la terapia usando dosi da 2.5 a 5 mg al giorno con aggiustamenti del dosaggio basati sulle determinazioni dell’INR. Dose di mantenimento La maggior parte
dei pazienti viene mantenuta a dosaggi da 2,5 a 10 mg al giorno con risultati soddisfacenti. La dose individuale e gli intervalli di somministrazione devono essere determinati in base
ai valori di INR del paziente. La durata della terapia è individuale; in genere, la terapia anticoagulante deve essere continuata finché è superato il rischio di trombosi ed embolia. A scopo
informativo di seguito sono riportati i range terapeutici dell’INR raccomandati per ogni indicazione (vedere anche Nuova Guida alla Terapia con Anticoagulanti Orali della Federazione
Centri Sorveglianza Anticoagulanti 1997). Indicazioni Range terapeutici Durata (INR) Trattamento e prevenzione secondaria dell’embolia polmonare: In assenza di rischio tromboembolico persistente 2.3 3.6 mesi In presenza di condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Trattamento e prevenzione secondaria della trombosi venosa
profonda: In assenza di rischio tromboembolico persistente 2.3 3.6 mesi In presenzadi condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Prevenzione della
trombosi venosa profonda 1.5.2.5 7.10 giorni Per pazienti ad alto rischio, ad esempio in chirurgia ortopedica, come seconda scelta in alternativa all’eparina a basso peso molecolare
Tromboembolia arteriosa 3.4.5* indefinita Fibrillazione atriale cronica direcente insorgenza da sottoporre a cardioversione 2.3 almeno 2 sett. prima dopo cardioversione Protesi valvolari: almeno 3 sett. la meccaniche 3.4.5* indefinita biologiche 2.3 3 mesi Trombosi murale intracardiaca 2.3 fino a scomparsa della trombosi Infarto miocardico Prevenzione del rischio
tromboembolico 2.3 3 mesi Prevenzione del reinfarto 3.4.5* almeno 3 anni Essendo a disposizione dati limitati, nei pazienti con valvole cardiache biologiche, si raccomanda la terapia
con warfarin (INR 2.3) per 12 settimane a partire dall’inserimento della valvola. Una terapia a più lungo termine deve essere presa in considerazione per i pazienti con fattori di rischio
aggiuntivi, quali fibrillazione atriale o pregressa tromboembolia . * Salvo diversa indicazione medica, nella maggior parte dei pazienti, sembra che un INR maggiore di 4.0 non dia benefici terapeutici ulteriori e che sia associato ad un rischio di sanguinamento più elevato. In caso di INR maggiore di 5 il paziente deve immediatamente sospendere l’assunzione di warfarin e consultare un medico. Uso in pediatria Non sono disponibili informazioni sufficienti provenienti da studi clinici controllati sull’uso nei bambini. Uso negli anziani Sono raccomandate dosi iniziali basse nei pazienti anziani e/o pazienti debilitati. Dato che intercorre un intervallo di circa 12.18 ore fra la somministrazione della dose iniziale ed il prolungamento terapeutico del tempo di protrombina e un ritardo di 36.72 ore per il raggiungimento dell’effetto anticoagulante globale, in situazioni di emergenza (es. embolia polmonare), somministrare inizialmente insieme eparina sodica .
Controindicazioni
Ipersensibilità al warfarin o ad ogni altro componente. L’effetto anticoagulante del farmaco è controindicato in qualunque condizione fisica, localizzata o generale, o in qualsiasi circostanza personale per cui il rischio di emorragia possa essere maggiore del beneficio clinico atteso, come nelle seguenti situazioni. Gravidanza: è controindicato nelle donne in gravidanza o che potrebbero iniziare una gravidanza poiché il farmaco attraversa la barriera placentare e può causare emorragie fatali del feto in utero. Sono stati anche riportati casi di malformazioni congenite in bambini le cui madri erano state trattate con warfarin durante la gravidanza (vedere “Gravidanza e Allattamento”). Tendenze emorragiche e discrasie ematiche.
Intervento chirurgico recente o previsto al: sistema nervoso centrale, occhio, chirurgia traumatica associata a grandi ferite esposte. Tendenze emorragiche associate ad ulcerazioni attive o sanguinamento in atto da: tratto gastrointestinale, genito-urinario e respiratorio; emorragia cerebrovascolare; aneurisma cerebrale, aneurisma dissecante dell’aorta; pericardite, effusione pericardica; endocarditi batteriche. Minaccia d’aborto, eclampsia e preeclampsia. Strutture di laboratorio inadeguate. Pazienti anziani senza adeguato supporto, alcolismo, psicosi, o altre forme di mancanza di collaborazione da parte del paziente. Puntura lomabare ed altre procedure diagnostiche o terapeutiche che possono causare sanguinamento. Erba di San
Giovanni (Hypericum Perforatum): preparazioni a base di Hypericum perforatum non devono essere assunte in contemporanea con warfarin a causa del rischio di decremento dei livelli plasmatici e di diminuzione dell’efficacia terapeutica di warfarin (vedere 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione). Miscellanea: anestesia lombare o regionale
maggiore, ipertensione maligna, deficit di proteina C, poliartrite.
Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso .
Poiché il dosaggio deve essere attentamente individualizzato si veda la sezione “Posologia”. I rischi più gravi associati alla terapia anticoagulante con warfarin sodico sono emorragie
nei tessuti o organi e, meno frequentemente (0.1%), necrosi e/o cancrena cutanea e di altri tessuti. Il rischio di emorragia è correlato all’intensità e alla durata della terapia anticoagulante. In alcuni casi è stato riportato che emorragia e necrosi hanno provocato la morte o invalidità permanente. La necrosi sembra essere associata a trombosi locale e generalmente
appare pochi giorni dopo l’inizio della terapia anticoagulante.
In casi di grave necrosi è stata necessaria la rimozione chirurgica o l’amputazione dei tessuti coinvolti, dell’arto, della mammella o del pene.
Deve essere effettuata una diagnosi attenta per determinare se la necrosi possa essere causata da una patologia preesistente, non diagnosticata. Se si sospetta che warfarin sia la causa
della necrosi, la terapia deve essere interrotta e si può prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Sebbene siano stati provati vari trattamenti per la necrosi, nessuno si è dimostrato uniformemente efficace.
Questi ed altri rischi associati alla terapia anticoagulante devono essere valutati rispetto al rischio di trombosi o di embolizzazione in pazienti non trattati. Tenere sempre presente che il
trattamento di ciascun paziente è una questione altamente individualizzata. Molti fattori, quali assunzione di altri farmaci e di Vitamina K attraverso la dieta, possono avere un effetto. Il
dosaggio deve essere controllato attraverso determinazioni periodiche del tempo di protrombina (PT)/ Rapporto Internazionale Normalizzato (INR) o altri test di coagulazione idonei. La
determinazione della coagulazione del sangue intero e del tempo di sanguinamento non sono misure efficaci per il controllo della terapia.
L’eparina prolunga il tempo di protrombina.
Prestare molta attenzione quando è somministrato a pazienti con fattori di predisposizione che possano aumentare il rischio di emorragia, necrosi e/o cancrena. La terapia anticoagulante può aumentare il rilascio di placche ateromatose emboliche e quindi innalzare il rischio di complicazioni dovute a microembolizzazione colesterinica, compresa la sindrome delle
dita porporine. Quando si presentano questi fenomeni, si consiglia di interrompere la terapia. Gli ateroemboli sistemici e i microemboli colesterinici si possono manifestare con una
serie di segni e sintomi fra cui: sindrome delle dita porporine, livedo reticularis, rash cutaneo, cancrena, dolore intenso e improvviso alle gambe, ai piedi o alle dita dei piedi; ulcere ai
piedi; mialgia, cancrena del pene; dolore addominale, dolore alla schiena o al fianco; ematuria; insufficienza renale; ipertensione; ischemia cerebrale; infarto del midollo spinale; pancreatite; sintomi che simulano poliarterite o ogni altra conseguenza della compromissione vascolare dovuta ad occlusione embolica. Gli organi viscerali più comunemente coinvolti sono
i reni, seguiti da pancreas, milza e fegato. Alcuni casi hanno portato fino a necrosi o morte. La sindrome delle dita porporine è una complicazione della terapia anticoagulante orale
caratterizzata da un colore scuro, violaceo o chiazzato delle dita dei piedi; generalmente si manifesta 3.10 settimane, o più, dopo l’inizio della terapia con warfarin o composti analoghi.
Le caratteristiche primarie di questa sindrome sono: colore violaceo della superficie plantare e laterale delle dita dei piedi, tale colorazione si attenua con una moderata pressione, mentre si intensifica con il sollevamento delle gambe; dolore e sensibilità delle dita; intensificazione e diminuzione della colorazione nel tempo. Benché venga riportato che la sindrome delle
dita porporine sia reversibile, ci sono stati casi che hanno portato a cancrena o necrosi, per i quali può essere stato necessario intervenire con asportazione chirurgica delle parti lese
o anche con amputazione. Trombocitopeniaeparino-indotta: deve essere usato con cautela nei pazienti con trombocitopenia eparino-indotta e trombosi venosa profonda, in cui si sono
verificati casi di ischemia venosa agli arti, necrosi e cancrena, quando il trattamento con eparina è stato interrotto e la terapia con warfarin iniziata o continuata. In alcuni pazienti le conseguenze hanno portato ad amputazione delle parti lese e/o a morte (Warkentin et al, 1997). Un forte innalzamento (>50 secondi) del tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT)
con un PT/INR nell’intervallo desiderato è stato identificato come un indice di aumentato rischio di emorragia postoperatoria. La decisione di somministrare farmaci anticoagulanti nelle
seguenti situazioni deve essere presa valutando il rapporto rischio/beneficio della terapia anticoagulante. Moderata insufficienza epatica o renale. Malattie infettive o disturbi nella flora
intestinale: dissenteria, terapia antibiotica. Trauma che può portare ad emorragie interne. Operazioni chirurgiche o traumi risultanti in ampie ferite esposte. Cateteri fissi. Ipertensione
grave o moderata. Deficit noto o sospetto di proteina C: deficienze ereditarie o acquisite di proteina C o del suo cofattore, proteina S, sono state associate a necrosi tessutale dopo somministrazione di warfarin.
Non tutti i pazienti in queste condizioni sviluppano necrosi, così come si può avere necrosi in pazienti senza questi deficit.
La resistenza ereditaria alla proteina C attivata è stata descritta in molti pazienti con disturbi tromboembolici venosi, ma non è stata ancora definita come fattore di rischio per la necrosi tessutale. Il rischio associato a queste condizioni, sia per trombosi ricorrente sia per reazioni avverse, è di difficile valutazione perché non sembra essere lo stesso per tutti.
La decisione sulle analisi da effettuarsi e la terapia da intraprendere deve essere presa su base individuale. È stato riportato che una terapia anticoagulante concomitante con eparina per
5.7 giorni, durante l’inizio della terapia, può minimizzare l’incidenza di necrosi tessutale. La terapia con warfarin deve essere sospesa quando c’è un sospetto che possa essere causa di
sviluppo di necrosi e si deve prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Miscellanea: policitemia vera, vasculite e diabete grave. Sono state riportate lievi e gravi
reazioni allergiche, di ipersensibilità e anafilattoidi. In pazienti con resistenza al warfarin, acquisita o ereditaria, si sono avute risposte diminuite alla terapia.
Altri pazienti hanno avuto una risposta terapeutica esagerata. Pazienti con insufficienza cardiaca congestizia possono mostrare un PT/INR maggiore del previsto, quindi sono necessari più frequenti controlli di laboratorio e dosi ridotte. L’uso concomitante di anticoagulanti e streptochinasi o urachinasi non è consigliato e può essere pericoloso. L’erba di San Giovanni
(hypericum perforatum) può diminuire l’effetto.
Tenere fuori dalla portata dei bambini.
Interazioni
È essenziale che vengano effettuati controlli periodici del PT/INR o di altri adeguati test di coagulazione. Numerosi fattori esogeni ed endogeni, da soli o in combinazione, inclusi viaggi, variazioni delladieta, fattori ambientali, stato fisico e assunzione di altri medicinali, possono influenzare la risposta del paziente agli anticoagulanti.
Solitamente è buona norma controllare la risposta del paziente con ulteriori determinazioni del PT/INR nel periodo immediatamente successivo alla dimissione dall’ospedale e ogni qualvolta vengano assunti, sospesi o presi irregolarmente altri medicinali.
I medicinali possono interagire attraverso meccanismi farmacodinamici o farmacocinetici. I meccanismi farmacodinamici alla base dell’interazioni farmacologiche sono: sinergismo
(disordini dell’emostasi, sintesi ridotta dei fattori della coagulazione); antagonismo competitivo (vitamina K); disfunzioni nel controllo fisiologico del metabolismo della vitamina K (resi-
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stenza ereditaria). I meccanismi farmacocinetici alla base dell’interazione farmacologiche sono prevalentemente dovuti a induzio e enzimatica, inibizione enzimatica e legame ridotto alle
proteine plasmatiche. È importante notare che alcuni farmaci possono interagire con più di un meccanismo.
Devono essere tenuti sotto controllo anche i pazienti che assumono medicinali per cui non è stata dimostrata alcuna interazione con i farmaci appartenenti alla famiglia delle cumarine.
Pazienti a rischio: è un farmaco con indice terapeutico ristretto, e deve essere usato con cautela in pazienti anziani o debilitati o in ogni condizione o situazione fisica che aumenti il
rischio di emorragia.
Gravidanza e allattamento
È controindicato in gravidanza.
In donne esposte a warfarin durante il primo trimestre della gravidanza sono state riportate embriopatie caratterizzate da ipoplasia nasale con o senza epifisi appuntite (crondrodisplasia puntata). Sono state riportate anche anomalie del sistema nervoso centrale fra cui displasia della linea mediana dorsale, caratterizzata da agenesi del corpo calloso; malformazione
di Dandy-Walker e atrofia cerebellare della linea mediana. È stata osservata displasia della linea mediana ventrale, caratterizzata da atrofia ottica e anormalità dell’occhio. L’esposizione
al warfarin durante il secondo e il terzo trimestre è stata associata a ritardo mentale, cecità, e altre anomalie del sistema nervoso centrale.
Anche se raramente, con esposizione in utero al warfarin sono state riportate anomalie delle vie urinarie come monorene, asplenia, anenecefalia, spina bifida, paralisi dei nervi cranici,
idrocefalo, difetti cardiaci e malattie cardiache congenite, polidattilia, deformità delle dita dei piedi, ernia diaframmatica, leucoma della cornea, palatoschisi, cheiloschisi, schizoencefalie, microencefalia. È noto che possono verificarsi aborto spontaneo e mortalità fetale, inoltre un più alto rischio di mortalità fetale è associato con l’uso di warfarin.
Sono stati anche riportati neonati sottopeso e ritardi nella crescita. Le donne in età fertile, che sono candidate alla terapia anticoagulante, devono essere attentamente esaminate e deve
essere effettuata una valutazione ragionevole delle indicazioni insieme alla paziente. Se una paziente inizia una gravidanza mentre sta prendendo questo farmaco, deve essere avvertita
del potenziale rischio per il feto e, alla luce di questi rischi, può essere considerata la possibilità di un’interruzione di gravidanza. È presente nel latte materno in forma non attiva.
I bambini allattati al seno da madri trattate non hanno avuto cambiamenti nei tempi di protrombina (PT). Gli effetti sui neonati prematuri non sono stati valutati.
Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine
Nessuno
Effetti indesiderati .
Fra i potenziali effetti collaterali si includono: · Emorragia fatale o non fatale in qualsiasi tessuto od organo. Questa è una conseguenza dell’effetto anticoagulante.
I segni, i sintomi e la gravità variano in relazione alla posizione, al grado e all’estensione del sanguinamento. Le complicazioni emorragiche si possono presentare come paralisi; parestesia; mal
di testa, dolore al petto, all’addome, alle articolazione, dolore muscolare o di altro tipo; vertigini, fiato corto, difficoltà nel respirare o nell’ingoiare; gonfiore insolito; debolezza; ipotensione o shock
non spiegabile. Perciò in ogni paziente, in trattamento con anticoagulanti, con un disturbo per cui non ci sia una diagnosi ovvia, bisogna considerare la possibilità di un’emorragia.
Il sanguinamento durante terapia anticoagulante non sempre è correlato con i valori di PT/INR (vedere “Sovradosaggio”). Il sanguinamento che avviene quando il PT/INR è all’interno
dell’intervallo terapeutico giustifica un’indagine diagnostica, poiché può mascherare una precedente lesione non sospettata, es. tumore, ulcera, ecc.
· Necrosi cutanea o di altri tessuti (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni d’uso”).
· Effetti collaterali che si sono presentati raramente sono: ipersensibilità / reazioni allergiche, microembolizzazione colesterinica sistemica, sindrome della dita porporine, epatite, danno
epatico colestatico, ittero, innalzamento degli enzimi epatici, vasculite, edema, febbre, rash, dermatite, incluse eruzioni bollose, orticaria, dolore addominale inclusi crampi,
flatulenza/meteorismo, faticabilità, letargia, malessere, astenia, nausea, vomito, diarrea, dolore, mal di testa, vertigini, alterazione del gusto, prurito, alopecia, intolleranza al freddo e
parestesia con sensazione di freddo e brividi. Raramente, in seguito ad uso prolungato, sono stati riportati casi di calcificazione tracheale e tracheobronchiale di cui non è noto il significato clinico. Il priapismo è stato associato all’uso di anticoagulanti, comunque non è stata stabilita una connessione causale.
Sovradosaggio
Segni e sintomi: sanguinamento anormale sospetto o manifesto (es. presenza di sangue nelle feci o nell’urina, ematuria, flusso mestruale eccessivo, melena, petecchie, predisposizione ai lividi, o sanguinamento persistente da ferite superficiali) è un segno precoce di un’anticoagulazione ad un livello di non soddisfacente sicurezza. Trattamento: l’eccessiva anticoagulazione, con o senza sanguinamento, può essere controllata interrompendo la terapia e, se necessario, somministrando vitamina K1 per via parenterale od orale.
Un uso siffatto della vitamina K1 riduce la risposta ad una seguente terapia.
In seguito della rapida inversione di un PT/INR elevato, i pazienti possono tornare allo stato trombotico di prima del trattamento.
La ripresa della somministrazione inverte l’effetto della vitamina K, e, con attenti aggiustamenti del dosaggio, si può raggiungere nuovamente un PT/INR terapeutico.
Se è indicata un’anticoagulazione rapida, per la terapia di inizio può essere preferibile l’eparina. Se un piccolo sanguinamento progredisce verso uno più esteso, somministrare da 5 a 25 mg
(raramente fino a 50 mg) di vitamina K1 per via parenterale.
In situazioni di emergenza dovute a grave emorragia, i fattori della coagulazioni possono essere riportati ai livelli normali, somministrando da 200 a 500 ml di sangue fresco intero o
plasma fresco congelato, oppure somministrando la preparazione commerciale a base del complesso del fattore IX. L’uso di questi emoderivati è associato a rischio di epatite e di altre
malattie virali; inoltre il fattore IX è associato a un aumentato rischio di trombosi.
Perciò queste preparazione devono essere usate solo in caso di sanguinamento esteso, dovuto ad un sovradosaggio, che metta in pericolo la vita del paziente. Le preparazioni a base
di fattore IX purificato non devono essere usate perché non aumentano i livelli di protrombina e dei fattore VII e X, che sono depressi, insieme al fattore IX, come risultato del trattamento. In caso di una cospicua perdita di sangue, si possono somministrare eritrociti ammassati. In pazienti anziani o con malattie cardiache, le trasfusioni di sangue o di plasma devono
essere attentamente monitorate per evitare che precipitino un’embolia polmonare.
PROPRIETÀ ARMACOLOGICHE
Proprietà farmacodinamiche
Il warfarin sodico è il sale sodico della 3.(- acetonilbenzil)-4. idrossicumarina e appartiene al gruppo degli anticoagulanti indiretti di tipo dicumarolico. Gli anticoagulanti cumarinici
agiscono inibendo la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti, che comprendono i Fattori II, VII, IX e X e le proteine anticoagulanti C e S.
Le emivite sono: Fattore II 60 ore; Fattore VII 4.6 ore; Fattore IX 24 ore; Fattore X 48.72 ore; Proteina C 8 ore e Proteina S 30 ore.
L’effetto risultante in vivo è una depressione sequenziale dell’attività dei Fattore VII, IX, X e II. La vitamina K è un fattore essenziale per la sintesi post-ribosomiale dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti.
La vitamina K promuove la biosintesi di residui di acido g-carbossiglutammico, essenziali per l’attività biologica delle proteine.
Si pensa che il warfarin interferisca con la sintesi dei fattori della coagulazione inibendo la rigenerazione dell’epossido della vitamina K1.
Il grado di depressione dipende dal dosaggio somministrato.
Dosi terapeutiche di warfarin diminuiscono la quantità totale della forma attiva di ciascun fattore della coagulazione vitamina K dipendente dal 30 al 50%. L’effetto anticoagulante generalmente appare nelle 24 ore dopo la somministrazione del farmaco, ma l’effetto anticoagulante di picco può presentarsi anche dopo 72.96 ore.
La durata di azione di una singola dose di warfarin racemico è di 2.5 giorni.
Il farmaco non ha effetto diretto su trombosi stabilizzate, né reverte il danno ischemico; tuttavia, quando si è avuta una trombosi, l’obiettivo del trattamento anticoagulante è di prevenire l’ulteriore estensione e le relative complicanze, che possono portare a conseguenze gravi, anche fatali.
Proprietà farmacocinetiche
Dopo somministrazione orale, l’assorbimento è sostanzialmente completo e si raggiungono le massime concentrazioni plasmatiche entro 1.9 ore.
Approssimativamente il 97% si lega all’albumina presente nel plasma.
Di solito induce ipoprotrombinemia entro 36.72 ore e la sua durata d’azione può persistere per 4.5 giorni, producendo in tal modo una curva di risposta regolare e di lunga durata. Fino
al 92% della dose somministrata per via orale è ritrovata nelle urine, principalmente sotto forma di metaboliti.
Dati preclinici di sicurezza
DL50 (mg/kg): topo p.o.= 700; i.v.= 160 ratto p.o.= 8,7; i.v.= 25
Incompatibilità
Nessuna
II. INQUADRAMENTO
CLINICO-DIAGNOSTICO
DEL TIA (SPREAD 2010)
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CLINICO
L’importanza della diagnosi patogenetica di TIA o ictus è strettamente connessa alla possibilità di fare prevenzione secondaria e stabilire la prognosi. La diagnosi integra dati clinici e
strumentali.
RACCOMANDAZIONE (Grado C)
Non è indicato considerare TIA, sulla base della definizione dell’OMS (improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, attribuibile ad insufficiente
apporto di sangue, di durata inferiore alle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigini, l’amnesia globale transitoria, i drop attack, l’astenia generalizzata, lo stato confusionale, e l’incontinenza sfinterica quando presenti isolatamente.
In base all’evidenza fornita dalle moderne tecniche di neuroimaging è stato proposta una nuova definizione di TIA (AHA, Stroke 2009; 40:2276-2293): “episodio di disfunzione neurologica causato da ischemia focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina senza infarto acuto”.
RACCOMANDAZIONE (Grado C)
Le diagnosi di TIA e di ictus sono diagnosi cliniche. In entrambi i casi una TC o una RM sono indicate per la diagnosi differenziale con altre patologie che possono mimare il TIA o l’ictus.
L’emorragia subaracnoidea spontanea è dovuta nell’85% dei casi a rottura di un aneurisma arterioso.
RACCOMANDAZIONE (Grado C)
Per una diagnosi differenziale tra ictus ischemico ed ictus emorragico, è indicato effettuare, nel più breve tempo possibile, una TC o una RM dell’encefalo, anche per le implicazioni terapeutiche.
La trombosi dei seni può essere causa di infarti cerebrali venosi. La presentazione clinica della trombosi dei seni non è caratteristica e può simulare quella di altre patologie, fra cui l’ictus arterioso.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Il monitoraggio ECG delle 24 ore secondo Holter è indicato solo nei pazienti con TIA o ictus ischemico in cui si sospetti la presenza di aritmie accessuali potenziale causa di cardioembolia o qualora non sia emersa una causa definita di tali eventi.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
L’ecocardiografia transtoracica è indicata solo in caso di sospetto clinico-anamnestico di malattia cardiaca.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Nel TIA o nell’ictus, in cui si sospetti un’origine cardioembolica, l’ecocardiografia transesofagea è indicata solo nei pazienti <45 anni e qualora non vi siano cause evidenti dell’evento
ischemico, o evidenze strumentali di malattia dei vasi cerebrali, o fattori di rischio maggiori.
La TC, esame di rapida esecuzione e di costi ridotti, è in grado di identificare la presenza di segni precoci di ischemia, che rispecchiano il territorio di distribuzione dell’arteria interessata dall’occlusione. La TC è inoltre in grado di evidenziare l’eventuale presenza di infarcimento emorragico della lesione ischemica, soprattutto in fase subacuta.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Nei pazienti anche con un solo TIA o ictus in anamnesi, la tomografia computerizzata cerebrale è indicata per documentare la presenza di una o più lesioni, la loro natura ischemica od
emorragica, la tipologia, la sede, le dimensioni, e la sede, oltre alla congruità con la sintomatologia clinica.
La RM con tecnica DWI è in grado di documentare il danno ischemico recente (“core”) già a distanza di pochi minuti dall’evento ischemico. La RM con tecnica PWI è utile nella valutazione della penombra ischemica. La RM convenzionale si utilizza per il monitoraggio della lesione ischemica, soprattutto nelle fasi subacuta e cronica.
La leucoaraiosi non è un reperto specifico, anche se viene più frequentemente osservata in pazienti con fattori di rischio per malattie cerebrovascolari, in particolare l’ipertensione.
La RM può evidenziare la presenza di infarti silenti che rappresentano un marker di rischio per ictus.
Nei pazienti con pregressi TIA e/o ictus la RM presenta vantaggi rispetto alla TC, soprattutto nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni e localizzate in fossa cranica posteriore.
L’angio-RM documenta con sufficiente accuratezza la pervietà o meno dei vasi intra ed extra cranici.
L’esame angiografico trova maggiori indicazioni nei pazienti in età pediatrica o giovanile con ischemia cerebrale per la prevalenza in questi casi di una eziologia arteritica intracranica
rispetto alla eziologia aterosclerotica epiaortica.
Un infarto venoso deve essere sospettato in caso di una lesione ischemica che non ricopra un territorio di distribuzione arteriosa e che eventualmente presenti nel suo contesto materiale ematico, spesso associata a mancanza del classico segnale di vuoto a carico di un seno durale. In tali casi è indicata un’angio-RM venosa.
Nei pazienti con pregressa emorragia intraparenchimale l’accumulo di emosiderina rimane un marcatore indelebile allaRM, in grado di documentare l’avvenuto sanguinamento, la sua
sede e la sua estensione.
Lo studio angiografico nei pazienti con sospetta vasculite intracranica o con sospetta patologia non aterosclerotica di tronchi epiaortici (dissecazione, malformazioni vascolari, varianti
anatomiche) sembra consentire una migliore accuratezza diagnostica rispetto alle altre tecniche non invasive.
N
E
O
S
A
P
P
E
N
D
I
C
E
II
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
L’angiografia del circolo intracranico rappresenta il gold standard per lo studio della patologia aneurismatica cerebrale responsabile di emorragia sub-aracnoidea. È indicata in tutti i
pazienti con emorragia sub-aracnoidea candidati a un intervento chirurgico od endovascolare.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
L’EEG è indicato nei pazienti con presentazione a tipo TIA o ictus, quando si sospetti la natura epilettica del disturbo focale in esame.
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N
E
O
S
A
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D
I
C
E
II
RACCOMANDAZIONE (Grado B)
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei soggetti con TIA o ictus recente per un migliore inquadramento eziopatogenetico.
Lo studio di una stenosi carotidea ai fini della valutazione chirurgica o di terapia endovascolare deve essere affidata in prima istanza a metodiche non invasive (ecotomografia carotidea, angio-RM, angio-TC). Lo studio angiografico può essere indicato in caso di discordanza tra i risultati forniti dalle metodiche non invasive, quando esista il sospetto di una prevalente patologia aterosclerotica a carico delle principali arterie intracraniche ed in particolare del circolo vertebro-basilare (esame velocitometrico Doppler transcranico, angio-RM), quando esami angio-RM o angio-TC risultino viziati da artefatti o siano di difficile esecuzione.
RACCOMANDAZIONE (Grado B)
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nella valutazione della stenosi carotidea ai fini della scelta terapeutica in senso chirurgico quale indagine conclusiva e quindi sostitutiva dell’angiografia, dopo averne verificato l’accuratezza, eventualmente completata con i dati di altre tecniche non invasive di neuroimmagine (angio-RM; angio-TC).
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti che devono subire un intervento di chirurgia cardiovascolare maggiore quale studio preliminare per la valutazione del rischio di eventi ischemici cerebrali in rapporto alla presenza di stenosi carotidee.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti operati di tromboendoarteriectomia carotidea entro i primi tre mesi dall’intervento, a nove mesi ed in seguito
annualmente, per la valutazione della recidiva di stenosi.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici in soggetti asintomatici è indicato:
• quando vi sia un reperto di soffio sui vasi epiaortici di genesi non cardiaca;
• in soggetti appartenenti a popolazioni con elevata probabilità di stenosi carotidea arteriopatici con claudicatio intermittens, coronaropatici documentati, soggetti di età superiore ai
65 anni con fattori di rischio aterotrombotico multipli).
La stenosi arteriosclerotica delle arterie intracraniche è uno dei maggiori fattori di rischio e causali di ictus ischemico, anche nelle popolazioni occidentali. È possibile uno screening
ultrasonografico con Doppler transcranico o con eco-color Doppler transcranico di tale condizione con sufficiente accuratezza almeno nella patologia del circolo anteriore.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti con TIA o ictus recente per la documentazione di stenosi dei vasi intracranici, di processi di ricanalizzazione, di circoli collaterali intracranici, della riserva cerebrovascolare e di placche embolizzanti.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti candidati alla endoarteriectomia carotidea per la valutazione preoperatoria ed il monitoraggio intraoperatorio.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con sospetto shunt cardiaco destro-sinistro come sostitutivo dell’ecocardiografia transesofagea per l’identificazione di tale
condizione.
RACCOMANDAZIONE (Grado B)
Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con emorragia subaracnoidea per la valutazione di eventuali fenomeni di vasospasmo.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
La coronarografia è indicata nei pazienti candidati all’endoarteriectomia carotidea con evidenza clinica o strumentale non invasiva di coronaropatia ad alto rischio.
RACCOMANDAZIONE (Grado D)
Nei pazienti candidati ad endoarteriectomia carotidea con associata grave coronaropatia è indicato far precedere la rivascolarizzazione coronarica, pur potendo i due interventi anche
essere effettuati simultaneamente
NOTA - Metodologia delle Evidenze e del grado di raccomandazione seguito dalle Linee Guida SPREAD 2010
Tipo di evidenza disponibile
1++ metanalisi di alta qualità e senza disomogeneità statistica; revisioni sistematiche di RCT ciascuno con limiti fiduciali ristretti, RCT con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta
molto piccoli;
1+ metanalisi ben fatte senza disomogeneità statistica o con disomogeneità clinicamente non rilevanti, revisioni sistematiche di RCT, RCT con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli;
2++ revisioni sistematiche di alta qualità di studi caso-controllo o coorte; studi caso-controllo o coorte di alta qualità con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta molto piccoli;
2+ studi caso-controllo o coorte di buona qualità con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli;
3 studi non analitici (case reports, serie di casi)
4 opinione di esperti
Forza delle raccomandazioni
A almeno una metanalisi, revisione sistematica, o RCT classificato di livello 1++ condotto direttamente sulla popolazione bersaglio; oppure revisione sistematica di RCT o un insieme
di evidenze costituito principalmente da studi classificati di livello 1+, consistenti tra loro, e applicabile direttamente alla popolazione bersaglio.
B un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2++, coerenti tra loro, e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 1++ o 1+.
C un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2+, coerenti tra loro e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 2++
D evidenza di livello 3 o 4; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 2+; oppure evidenza da studi classificati come – (meno), indipendentemente dal livello.
Riferimenti bibiografici
http://www.spread.it/files/SPREAD_6_2010_sintesi.pdf
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