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Riassunto primi due capitoli de La televisione di Scaglioni Sfardini

Storie della televisione: dalle origini alla convergenza
Anni 30, Sperimentazione tecnologica dei primi ascolti condivisi in luoghi pubblici, via via il
processo di istituzionalizzazione di servizi di broadcasting porta tra la fine degli anni 40 e
l’inizio dei 50 una progressiva “domesticizzazione” del medium. Oltre al “ruolo storico” (diretta su
eventi importanti), la televisione intesa come un’arena collettiva.
In decenni di centralità nel sistema mediale e culturale, ha inciso sulla nostra percezione delle
sfere pubblica e privata, sulla partecipazione, sulla “mediazione” di parti della nostra esperienza
vissuta, dalla politica all’intrattenimento, piegandole e talvolta “vampirizzandole”, dagli anni 50 in
poi.
Per definire una “storia della televisione” partiamo dal capire il fenomeno complesso, riconoscendo
le caratteristiche del mezzo di comunicazione o medium.
La struttura del sistema dei media (De Sola Pool e Ortoleva), suddiviso in comparti, ma allo
stesso tempo caratterizzato da scambi e sovrapposizioni, si divide in quattro aree:
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l’Editoria,
Reti o Vettori,
Hardware e Software
e il Broadcasting.
Dopo una fase sperimentale, che parte con l’inizio delle trasmissioni regolari, la televisione va
strutturandosi come un’industria.
Possiamo definire questo mezzo di comunicazione come un insieme di tecnologie, organizzate
nell’ambito di apparati o imprese, finalizzate a costruire o far circolare un’offerta di contenuti
audiovisivi destinanti a un pubblico. Mezzo che necessita di costruire più storie:
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storia delle tecnologie per la comunicazione (fase della scarsità, vincolata dalla
distribuzione del segnale attraverso onde elettromagnetiche)
storia istituzionale (l’interesse accademico inizia negli anni 60, storie di imprese, che
producono e distribuiscono contenuti televisivi, e delle relazioni che queste hanno con le
istituzioni politiche e con il mercato)
storia estetica (più vicina alle specificità mediali del mezzo, programmi - o testi televisivi con un linguaggio, organizzati in generi che si evolvono nel corso del tempo)
storia del consumo (tv consumata in modo diverso, pubblico oggetto di analisi e ricerca).
Approccio sistemico che consiste in una ricostruzione della relazione fra la componente
tecnologica, politico-economica, estetico-culturale e sociale del fenomeno televisivo.
Riconosciamo la TV come agente di globalizzazione ma anche avente una dimensione nazionale,
come un mezzo di unificazione. Individuiamo una periodizzazione:
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età della scarsità (paleotelevisione, 1954 – 74 in Italia) contrassegnata dalla centralità del
servizio pubblico monopolistico e della capacità della televisione di integrare e
sincronizzare la comunità
età della concorrenza (neotelevisione) caratterizzata dal processo di deregolamentazione,
dalla crescita dell’offerta generalista e della nascita della TV a pagamento
età dell’abbondanza (multitelevisione) progressiva digitalizzazione del mezzo, piattaforme
distributive diversificate e convergenza della televisione con altre aree del sistema die
media.
La paleotelevisione
La scarsità delle frequenze disponibili (per l’emittenza radiofonica) spinse gli Stati fin dagli anni 20
a intervenire nella regolamentazione e nell’assegnazione della banda elettromagnetica o
hertziana, attraverso cui viaggia il segnale del broadcasting.
Negli Stati Uniti vediamo una libertà d’iniziativa privata costruire un sistema pluralistico, regolato
sulla base dell’esigenza di distribuire secondo pubblica utilità, interesse o necessità.
Regolamentazione da parte di un’autorità indipendente, di nomina governativa, la Federal
Communications Commission (FCC), che assegna le frequenze per uso radiofonico (poi televisivo)
a enti privati (stazioni commerciali) che in ambito locale si collegano al network per delle ore della
programmazione.
Periodo dell’introduzione della televisione nei contesti domestici come strumento di
modernizzazione delle società e delle culture. Risultò molto efficace per le sue caratteristiche di
medium istantaneo.
Il modello istituzionale assunto dalla TV di quegli anni seguì quello, già stabilito negli anni 20, per
la radio. Un duplice schema: commerciale e di mercato regolamentato (negli USA) e quello del
public service broadcasting e delle concessionarie pubbliche operanti in regime di monopolio (in
Europa occidentale).
Caratteristiche tv nell’età della scarsità
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Offerta limitata, segnale via etere (in Italia arriva il Secondo Programma nel 1961)
Regolamentazione, modello americano vs modello europeo
Tv deve essere soggetta a un indirizzo politico-culturale
Finanziamenti, da una parte la racconta del canone (licence free), dall’altra la pubblicità
Il concetto di servizio pubblico non è unitario, monolitico, atemporale: è una linea guida dalla
missione educativa. La formulazione dell’idea di servizio pubblico si deve maggiormente a Lord
John Reith, primo direttore generale della BBC (British Broadcasting Corporation), fondata nel
1922. Reith parla di TV pedagogica, declinata nell’imperativo “insegnare, informare e divertire”.
Italia, governo Mussolini, il ministero delle comunicazioni stipula l’Unione radiofonica Italiana (URI)
nel 1924 che nel 1927 si trasformerà in EIAR (ente italiano per le audizioni radiofoniche). Nel ’44,
sulle ceneri dell’EIAR, viene fondata la RAI.
La Rai, soggetta al governo repubblicano a guida democristiana inizierà le sperimentazioni per le
trasmissioni televisive nel ’53, per poi avviare una regolare programmazione il 3 Gennaio 1954. In
Italia le classi dirigenti di quegli anni cercano di farne uno strumento di crescita culturale della
nazione.
Tra “programmi-scuola” e adattamenti di grandi classici della letteratura italiana, il gioco a
premi (di derivazione americana) costituisce il genere più popolare della televisione delle origini
[Lascia o raddoppia? (1956) introduce la valletta e la forte caratterizzazione del
concorrente/personaggio, grazie all’interazione con Mike Buongiorno]. La programmazione si
compone anche del genere didascalico, che si giova dell’apporto di importanti studiosi,
soprattutto nell’ambito dei “programmi culturali”.
Il ‘problema della pubblicità’, tema ricorrente nei servizi pubblici europei negli anni 50: nel modello
del public service broadcasting si percepisce una forte contraddizione fra la missione culturale e
gli interessi commerciali (pubblicità).
Nel ’54 la Gran Bretagna è il primo paese a creare un secondo canale (di servizio pubblico)
finanziato dalla pubblicità (1TV). La BBC resta un servizio pubblico, finanziato da un canone, privo
di pubblicità.
Italia, approccio morbido a una modernizzazione: la pubblicità viene inclusa entro una formula sui
generis come Carosello (1957-77), rapporto con il potere politico: controllo del genere
dell’informazione e tema del pluralismo (o “lottizzazione”). Problema sentito tra la metà degli anni
60 e la riforma della RAI del ’75, il servizio pubblico passa dal controllo governativo
(democristiano) a uno allargato alle forze politiche dell’arco costituzionale.
La Neotelevisione
Chiamata età della disponibilità o della concorrenza, periodo di importanti trasformazioni culturali e
sociali, passaggio da una società centrata sui consumi primari ad una più ‘consumistica’.
La tecnologia sembra rendere disponibili nuove opportunità per incontrare le nuove richieste, la
diffusione dei canali di distribuzione come il cavo o il satellite (in USA già negli anni 70, in
Europa più tardi) e la politica che, dagli anni 70, introduce una progressiva apertura alla
deregolamentazione del settore.
L’età della concorrenza vede emergere da una parte il progressivo allargamento dell’offerta
televisiva (sia in termini di canali che di tempi di trasmissione) e di possibilità di consumo
(arrivano le TV commerciali e nuove forme di pay TV, via cavo o satellite) dall’altra parte una crisi
dei servizi pubblici, costretti a ridefinire il proprio ruolo (ad eccezione della Gran Bretagna).
La TV è diventata multicanale, questo ha avuto potenti effetti sul servizio pubblico, sui sistemi di
finanziamento, sulle culture:
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sulla programmazione e i suoi costi: la maggior competizione ha aumentato costi ed ore
di trasmissione e produzione, aumentando di valore alcuni tipi di contenuti come lo sport e i
film
sull’importazione e il commercio dei programmi: viene favorito un mercato
internazionale di programmi finiti - finished - e format (leader nell’esportazione, gli Stati
Uniti)
sulla qualità e la varietà dell’offerta: competizione e obbiettivi d’ascolto producono una
marginalizzazione di generi culturali o “di minoranza”, una tv che tende alla
massimizzazione dei profitti con conseguenze sulla qualità e sulla varietà dei programmi
sulla qualità dell’informazione: mercato concorrenziale, battaglia per massimizzare gli
ascolti, tabloidizzazione delle news e nascita dell’infotainment negli anni 80 e 90
sul servizio pubblico: crisi dei servizi pubblici, perdita di ascolti e quote di mercato e dei
ricavi
sulla proprietà dei media: moltiplicazione e pluralizzazione della proprietà delle istituzioni
televisive e mediali, forma di mercato oligopolistica che assume la connotazione di duopolio
sulla geografia televisiva: emerge una nuova attenzione nei confronti dei circuiti locali,
nascita di canali regionali legati ai servizi pubblici e alle emittenti legate al territorio
sulle politiche di regolamentazione: il problema di intervenire con norme adeguate ai
nuovi contesti, in Italia a fare da garante è l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
(AGCOM) istituita nel 1997
sul consumo di televisione: cresce il consumo e cambia la sua qualità, in questa seconda
età la fruizione diventa più individuale e meno fedele, tema crescente della
personalizzazione del consumo
Da strumento di unificazione, educazione, modernizzazione, per il decollo della società dei
consumi fino al mezzo televisivo come grande contenitore, sempre più orientato all’intrattenimento.
Italia 1975, il parlamento approva la riforma della Rai e istituisce la Terza Rete con mandato
regionale, l’anno dopo la Corte costituzionale dichiara legittime le trasmissioni locali di iniziativa
privata, da qui e per tutti gli anni 80 periodo di incertezza legislativa.
Emittenti televisive locali e commerciali che nascono ed operano in un vuoto giuridico (Rusconi,
Rizzoli), fra i più importanti Silvio Berlusconi.
Attivo nei media dal ’78, con l’acquisto del “Giornale” di Montanelli, dà vita a TeleMilano58 (che
opera inizialmente come rete via cavo a Milano 2) e nel ’79 fonda Rete Italia per la produzione e
compravendita di programmi televisivi. Nel ’80 crea Publitalia, la concessionaria pubblicitaria del
gruppo e costituisce rapidamente un network nazionale. Diversi editori provano la stessa strada
ma già nel 1984 si rivela vincitore nella battaglia dell’etere: acquista le reti concorrenti dà vita a un
impero (con 3 reti nazionali) speculare al servizio pubblico.
La situazione di vuoto legislativo perdura fino al 1990, anno dell’approvazione della legge Mammì.
La Multitelevisione
Età caratterizzata dalla digitalizzazione del mezzo e della sempre più convergenza tra
televisione e comparti mediali. Henry Jenkins conia l’espressione cultura convergente,
considerando i media come ambienti in cui siamo immersi, dove avviene un mutamento culturale
in senso ampio.
La tecnologia si trasforma negli anni Duemila con il passaggio universale al digitale terrestre (in
Europa conclusosi nel 2012). Oltre al DTT le imprese televisive possono contare anche sul
satellite, sull’IPTV e sulla TV mobile come pure sul web e attraverso i servizi di streaming online
(OTT).
Il broadcaster deve considerare nuove strade per fidelizzare i propri spettatori e rafforzare i propri
brand, poiché la fruizione si fa fluida e volatile. Contesto formato dall’arrivo di nuovi competitors, di
origine non solamente televisiva.
Il programma ha fulcro nella sua messa in onda ma vive di altre estensioni, prodotte dagli stessi
spettatori, e temporalità (franchise). Il pubblico è protagonista della cultura convergente, la TV
diventa guardabile e commentabile anche sul web.
L’offerta televisiva è cresciuta e il consumo è andato progressivamente frammentandosi, le
sette reti generaliste (tre RAI, tre Mediaset e La7) hanno tuttora quote di mercato superiori al 60%.
Il sistema si è aperto ai nuovi editori nazionali e internazionali (Discovery Italia, Sky Italia) ma resta
condizionata dalla dominanza di Rai e Mediaset.
Anche se alcune tendenze possono essere iscritte a fattori sovrannazionali, la dimensione
nazionale resta l’orizzonte sul quale costruire l’interpretazione storica del fenomeno e mezzo
televisivo.
Economia del broadcasting: la filiera e il mercato
L’impresa televisiva è quel soggetto che dispone di risorse economiche e competenze specifiche
tali da poter acquistare prodotti televisivi (o commissionarne la realizzazione) e assemblarli. Essa
persegue obiettivi aziendali, determinati dal proprio modello di business e la sua azione deve
attenersi a una serie di regole.
L’economia della televisione coinvolge le imprese televisive, il pubblico e lo Stato.
Tre modelli di business:
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Il servizio pubblico segue delle linee guida date dallo Stato ed è orientato al beneficio degli
spettatori. Il cliente dell’impresa è lo Stato e i suoi finanziamenti arrivano principalmente dal
canone;
L’impresa privata commerciale è finanziata dalle inserzioni pubblicitarie, l’obiettivo è
vendere agli inserzionisti degli slot di programmazione, configurandosi come il cliente di
questo modello televisivo;
L’impresa a pagamento si finanzia attraverso il pubblico, solitamente nella forma di un
abbonamento, e il suo cliente è lo spettatore (concetto di escludibilità). L’impresa consente
l’accesso attraverso strumenti come la criptazione del segnale, set-top-box, smart card,
ecc.
Le imprese sono in competizione per la conquista dell’attenzione e del tempo libero del pubblico,
tuttavia operano su mercati diversi, perché aventi differenti fonti di finanziamento, di target e di
offerta. Nella realtà però questi tre modelli sono più sfumati ed è comune avere un finanziamento
misto.
La Rai è finanziata dal canone (circa 70%) e dalla pubblicità (circa 30%), le offerte televisive a
pagamento di Sky e Mediaset suddividono i ricavi in inserzioni pubblicitarie (circa 10%) e
abbonamenti (circa 90%).
Se analizziamo i ricavi delle imprese televisive senza distinguere in base al modello di business,
nel 2015 troviamo Sky (32,5%), Mediaset (28,4%) e Rai (27,8%), seguiti da Discovery (2,3%) e
Cairo Communication (1,5%) e altre imprese minori (7,4%).
Se distinguiamo per tipologia di attività, nell’ambito della televisione in chiaro emerge che l’83% dei
ricavi complessivi è del duopolio (48% Rai e 35% Mediaset), mentre nella tv a pagamento Sky
detiene il 76%, seguito da Fininvest (19%).
In entrambi i casi il mercato italiano è fortemente concentrato.
Il canone è un’imposta universale che denota due criticità: la prima è che è vissuta come un
sopruso da parte di chi non usufruisce (o ne fa un uso limitato), la seconda è che, dal punto di vista
dell’impresa, il canone è una forma di finanziamento inadeguata, in quanto rigida.
Le imprese televisive non sono libere di incrementare spazi pubblicitari in quanto sono soggette a
limiti, imposti dalla direttiva europea detta “Televisione senza frontiere”, per la prima volta nel 1989.
Anche la pubblicità presenta delle criticità: gli investimenti pubblicitari sono influenzati
dall’economia; oltretutto anche la pubblicità, come il canone, non è in grado di fornire alle imprese
televisive risorse necessarie.
Nel 2012 lo spegnimento del segnale analogico (switch-off) ha portato un aumento del numero di
canali televisivi e a una conseguente frammentazione degli ascolti. Da una parte gli inserzionisti
hanno difficoltà, dall’altra Internet fornisce vantaggi: la pubblicità online ha costi inferiori e permette
di raggiungere un target più preciso.
Nuovi strumenti di promozione pubblicitaria hanno permesso agli inserzionisti di entrare dentro il
contenuto: il product placement (inserimento di marchi o loghi all’interno della narrazione
audiovisiva o del programma) e il branded entertainment (creazione diretta di contenuti mediali
da parte di aziende che producono beni di consumo).
Dagli anni Duemila la fonte di finanziamento del pagamento diretto supera la pubblicità (non in
Italia).
Arriva una crisi delle tradizionali fonti di finanziamento televisivo che spinge verso modelli di
business alternativi, fase di cambiamento: si intensifica la crisi economica e si abbandona il
segnale analogico.
La digitalizzazione ha portato diverse piattaforme di distribuzione del segnale (digitale terrestre,
satellitare, IPTV, forme di TV mobile).
Le imprese che forniscono servizi di video on demand (VOD) si finanziano in molti casi con
abbonamenti (SVOD) il cui costo è inferiore rispetto alle pay TV, ciò è dovuto al fatto che questi
operatori, gli Over-the-Top (OTT) sono soggetti che trasmettono i propri contenuti sfruttando la rete
e non hanno infrastrutture fisiche (Netflix). Alcuni servizi di VOD consentono di acquistare i soli
prodotti che si intende consumare (Transaction Video-on-Demand, TVOD).
L’offerta on demand è più economica, ricca, flessibile e personalizzata rispetto a quella free e pay.
Questo tipo di offerte consente pratiche di consumo innovative, come il binge watching, ovvero la
visione non condizionata dagli intervalli di tempi posti dal broadcaster.
I Limiti del VOD sono gli ostacoli tecnici (scarsa diffusione della banda larga) e quelli legati alle
abitudini e alle competenze degli individui (il consumo tramite Internet prevede un pubblico più
attivo). Nonostante questi ostacoli, i servizi on demand sono in espansione (Sky Go e Infinity).
Gli operatori attivi sul mercato italiano stanno iniziando a polarizzarsi: da una parte soggetti che
operano avendo come orizzonte il mercato domestico, dall’altra quelli che operano in una
prospettiva internazionale e che sono chiamati a coniugare esigenze locali e tendenze globali.