I. Le lingue romanze
Lingue romanze/neolatine → derivate dal latino a seguito dell'espansione dell'Impero Romano.
Sono in tutto nove:
1 – portoghese
2 – spagnolo
3 – catalano
4 – occitano/provenzale
5 – francese
6 – sardo
7 – italiano
8 – ladino/romanzo alpino/retoromanzo (friulano, ladino, romancio)
9 – romeno
C'era anche il dalmatico, ma il suo ultimo parlante è morto nel 1898.
Per Friedrich Diez sono solo sei: portoghese, spagnolo, francese, provenzale/occitano, italiano,
romeno (valacco).
Procedendo da est verso ovest troviamo cinque famiglie:
1 – balcoromanzo (romeno, dalmatico†)
2 – italoromanzo (italiano, sardo)
3 – retoromanzo (romanzo alpino: fiulano, ladino, romancio); lo statuto di questa famiglia è
stato ipotizzato da Graziadio Isaia Ascoli nel 1873, ma non è accolto da tutti.
4 – galloromanzo (francese, francoprovenzale, occitano)
5 – iberoromanzo (catalano, spagnolo/castigliano, portoghese)
La colonizzazione del Nuovo Mondo crea una Romania nova; la varietà parlata in queste aree è
il creolo. L'attività di commercio con le Americhe portò alla formazione di lingue pidgin, che non
hanno parlanti nativi e vengono utilizzate solo in determinate situazioni. Quando un pidgin viene
usato in tutte le situazioni si parla di creolizzazione, che forma una lingua creola, con svariati
prestiti da altre lingue (dette lessificatrici).
Si distingue anche una Romania submersa, in cui il latino è soppiantato (area germanica).
Greco → unico rivale del latino per motivi di prestigio culturale.
II. Il latino
II.1 – Il latino nelle lingue indoeuropee
Il latino fa parte della famiglia indoeuropea. Nell'Ottocento, August Schleicher sviluppò un
modello dell'albero genealogico per illustrare i rapporti fra le lingue della stessa famiglia, a partire
da una lingua madre.
In Europa ci sono anche lingue non indoeuropee: basco, finlandese, ungherese, estone.
II.2 – Il latino tra le lingue italiche
Le lingue italiche sono arrivate nella penisola italiana intorno al secondo millennio a.C.; oltre al
latino (varietà originariamente parlata solo nel Lazio), ne fanno parte l'osco-umbro, il celtico, il
greco e l'etrusco.
II.3 – Espansione del latino
Il periodo di espansione di Roma cominciò con la sottomissione dell'area centro-meridionale
(272 a.C.) e finì con quella della Dacia (107 d.C). Caduta definitiva dell'Impero d'Occidente → 476.
In questi secoli la lingue evolve a causa di variazioni:
- storiche
- geografiche (il latino non era uguale in tutte le parti dell'Impero, a causa del sostrato)
- stilistiche.
II.4 – Latino classico e latino volgare
Le lingue romanze non derivano dal latino "classico". Ad esempio, LOQUI ("parlare") viene
sostituito con PARABOLARE, lett. "raccontare", ma questo verbo marcato ha esteso le sue funzioni
fino a coprire il significato generico del termine.
Sul piano dei suoni si osserva che due vocali toniche distinte del latino classico, Ē ed Ĭ, in sillabe
che presentano identica configurazione, hanno esito simile.
Alla fine del XVII secolo lo studio di testi tardo-antichi e medievali rivelò un latino diverso da
quello classico; lo studio più importante è Glossarium mediae et infimae Latinitatis di Charles du
Fresne du Cange (1678). Questo latino è chiamato da Hugo Schuchardt Vulgärlatein, "latino
volgare", che ricalca l'espressione sermo vulgaris che Cicerone usa per distinguere lo stile
colloquiale da quello più aulico e urbanus. Secondo Schurchardt si trattava di una variante scorretta
rispetto al latino classico, e l'ungherese Josef Herman lo ha definito una varietà "molto meno curata,
parlata dagli strati sociali poco o nient'affatto influenzati dalla scuola e dalla lingua letteraria". Non
esistono, però, due varietà parallele – latino classico e volgare –, ma un'unica lingua con livelli
diversi, che sono dati da differenze cronologiche, geografiche e stilistiche. Ciò è confermato dai
documenti linguistici.
II.4.1 – Autori classici
Cicerone → lettere Familiares
Plauto → imita lo stile parlato degli strati bassi
Petronio → Satyricon, Cena Trimalchionis
Claudio Terenziano → lettere
II.4.2 – Iscrizioni
Iscrizioni private
Graffiti
Defitionum tavellae (targhette metalliche usate a scopi magici)
II.4.3 – Testi pratici
Vetruvio → trattato di architettura
Mulomedicina Chironis (trattato di veterinaria)
Vegezio → trattato di veterinaria
In genere, i testi pratici presentano uno stile gergale e meno formale.
II.4.4 – Autori cristiani
Lo stile doveva essere meno formale per veicolare immediatamente il messaggio religioso a un
pubblico vasto. Vetus Latina presenta infatti una lingua vicina al parlato dell'epoca. Solo nel IV San
Girolamo e Sant'Agostino useranno un linguaggio e una retorica più complessi, contenenti tuttavia
forme linguistiche ormai evolute e più vicine a quelle romanze.
II.4.5 – Testi post-imperiali
Dopo la caduta dell'Impero d'Occidente la lingua scritta diverge sempre più a seconda delle zone
geografiche, come dimostra il latino di Gregorio di Tours (Historia Francorum); questo perché la
norma classica non viene più insegnata o praticata.
II.4.6 – Grammatiche
Le grammatiche normative o prescrittive criticano spesso forme non classiche.
Appendix Probi → elenco di 227 parole con forma corretta e quella erronea in uso.
III. Influenze esterne
Per l'evoluzione della lingua sono fondamentali le variazioni regionali. L'espansionismo di Roma
ha portato a uno sconvolgimento nelle popolazioni (un gruppo sociale disgregato tende più
facilmente a modificare il proprio parlato) e a un contatto con le lingue indigene.
Sono indizi del sostrato il dileguo di F- iniziale in castigliano (sostrato basco-iberico) o la
spirantizzazione (gorgia) toscana (sostrato etrusco). L'influenza del sostrato si sente maggiormente
nel lessico: i parlanti nativi latini avranno preso in prestito termini locali per designare oggetti legati
alla realtà del posto (come CAMISIA, termine celtico). I sostrati più importanti sono: celtico, iberico
e tracico. Si può parlare anche di adstrato o lingue di contatto, come il greco.
Ulteriore fonte di influenza sul latino furono le invasioni barbariche dal Vsec in poi →
superstrato. Diverse parole di origine germanica, però, sono panromanze e testimoniano il contatto
delle due lingue prima della caduta dell'Impero. Non è però facile dire se una parola germanica,
diffusa nella maggior parte delle lingue romanze, sia entrata in latino prima della caduta dell'Impero
oppure più tardi in una singola lingua da cui poi è passata alle altre.
Fra le lingue romanze, il francese risente maggiormente della presenza germanica e ha numerosi
prestiti lessicali dal francone, per ambiti come l'amministrazione feudale, la guerra, la vita in
campagna, l'abbigliamento e il divertimento, oltre a alcuni nomi astratti e toponimi.
A est della Romania troviamo prestiti slavi. Per il romeno ci sono due teorie:
1 – l'antica Dacia fu occupata dai romani per meno di due secoli: troppo poco per rimanere
romanizzata. L'origine del romeno è quindi da ricercarsi nella lingua dell'Illiria romana, colonizzata
più a lungo;
2 – anche se la Dacia è stata colonia romana per poco, i contatti con i romani precedettero e
seguirono la colonizzazione, per cui le origini del romeno sono da cercare a nord e a sud del
Danubio.
Importante apporto linguistico è dato anche dalla presenza di arabi nella penisola iberica, che
sbarcarono nel 711 e vi rimasero fino al 1492 (caduta di Granada). Alcuni termini sono dei prestiti
in arabo, sicché si ha talvolta il ritorno di una parola latina tramite l'arabo (es: albaricoque
"albicocco" < lt. PRAECOQUUS "primizia"). La superiorità della cultura araba in campo scientifico e
filosofico ha fatto sì che diverse parole da questi campi siano state prese in prestiti dallo spagnolo e
si siano poi diffuse in tutta Europa.
In Sicilia il contatto con arabi portò prestiti lessicali spesso identici a quelli passati in spagnolo,
ma che si distinguono per l'assenza dell'articolo agglutinato.
Molto più difficile è stabilire quali fattori abbiano influenzato l'evoluzione della fonologia delle
lingue romanze. Possiamo citare la reintroduzione dell'iniziale aspirata /h/ grazie ai Franchi o la
forma impersonale on.
Al contatto con le lingue slave è attribuito generalmente il fatto che il sistema delle consonanti
romene è più ricco di quelle delle lingue occidentali; sul piano morfologico, la tenuta dei casi
grammaticali.
Si deve ricordare anche l'apporto di altre lingue al lessico romanzo in epoche più recenti, come
quello del francese durante il Medioevo, dell'italiano durante il Rinascimento e
dell'anglo-americano più recentemente.
IV. Fonetica
Il lessico è la parte della lingua che si modifica più facilmente e in modo casuale, mentre meno
esposte al cambiamento sono le strutture modifiche, le cui modifiche sono però più importanti.
Analogia → fenomeno attivo a livello della grammatica, che agisce anche sulla struttura fonetica
e fonologica.
Nell'articolare un suono si considera:
1 – luogo di articolazione → organi fonatori coinvolti
2 – modo → come l'aria esce dai polmoni e passa per gli organi fonatori
3 – sonorità → vibrazione o meno delle corde vocali.
Schema delle vocali latine → trapezio vocalico.
Quando l'aria passa attraverso la cavità nasale → vocale nasale.
Descrizione fonetica delle consonanti:
1 – luogo → bilabiali, labiodentali, dentali, palatali, velari, ecc
2 – modo → con ostruzione → occlusivo;
passaggio costante → fricativo;
combinazione delle due modalità → affricato;
passaggio dell'aria ai lati della lingua → laterale;
vibrazione della lingua → vibrante;
l'aria passa per i cavi nasali → nasale.
3 – sonorità → vibrazione delle corde vocali → sonora;
assenza di vibrazione → sorda.
IV.1 – Vocalismo
Il sistema vocalico del latino classico era costituito da cinque vocali, ognuna delle quali poteva
essere lunga o breve e da tre dittonghi (AE, OE, AU). La distinzione di quantità era fonologica: la
vocale lunga e quella breve costituivano due fonemi diversi.
Il fonema è la più piccola unità in cui si può dividere una parola: è privo di significato, ma la sua
sostituzione con un altro fonema può cambiare il significato della parola.
Nell'evoluzione del sistema vocalico dal latino alle lingue romanze, la distinzione di quantità
venne sostituita con una distinzione di qualità/timbro. Ciò implica un cambio nel sistema
fonologico.
Fonetica articolatoria → studia le onde sonore che partono dagli organi fonatori.
Volume acustico → dipende dalla pressione respiratoria impiegata per articolare un suono:
Ă[ = +
Ă] = ++
Ā[ = ++
Ā] = +++
Nel corso dell'evoluzione, però, si assiste ad una tendenza a parificare il volume complessivo della
sillaba, assestandolo sul tipo ++; perciò la distinzione basata sulla lunghezza delle vocali cesserà di
essere funzionale. Nella nuova distinzione qualitativa le vocali lunghe tenderanno ad essere
pronunciate con una qualità chiuda (=meno volume) e le brevi con qualità aperta (=più volume).
IV.1.1 – Vocalismo tonico
1) Perdita di qualità → riduzione delle vocali a cinque:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
e
a
o
u
2) Perdita di quantità + distinzione di qualità:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i ɪ e ɛ
a
ɔ o ʊ u
Questo sistema non sopravvive in nessuna lingua romanza.
3) Il sistema base delle principali lingue romanze occidentali è a sette vocali toniche, in cui vi è
una distinzione di qualità per quanto riguarda le vocali mediane anteriori e posteriori:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
e
ɛ
a
ɔ
o
u
4) Vocalismo balcanico → segue il sistema occidentale per le vocali anteriori e quello sardo per
le posteriori:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i e ɛ
a
o
u
5) Il sistema vocalico del siciliano e dei dialetti di Reggio Calabria e del Salento prevede la
coincidenza delle tre vocali più alte, anteriori e posteriori, in /i/ e /u/:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
ɛ
a
ɔ
u
I tre dittonghi si richiudono:
- OE → Ē → e
- AE → ɛ → segue l'evoluzione normale di /ɛ/
- AU → /ɔ/ (avviene più tardi che non la monottongazione degli altri due dittonghi)
IV.1.2 – Accento
Da un accento tonico-melodico, che prevedeva un innalzamento della voce nella pronuncia della
vocale accentata, si passa ad un accento d'intensità della voce. In latino c'erano regole precise per
la posizione dell'accento in base alla struttura della sillaba e alla lunghezza della parola; l'accento
tonico cadeva:
– sull'unica sillaba della parola nei monosillabi;
– sulla penultima sillaba nei bisillabi;
– nei polisillabi la posizione dell'accento dipendeva dalla lunghezza della penultima sillaba: se
larga, cadeva sulla penultima; se breve, sulla terzultima.
La sillaba dell'accento rimane immutata anche quando cambia il numero delle sillabe di cui è
composta la parola, anche se in alcuni casi l'accento del latino si è spostato in:
- alcuni polisillabi in cui la penultima sillaba è breve e seguita dal nesso consonante + R;
- parole proparossitone in cui la terzultima e la penultima sillabe sono costituite da vocali in iato;
- parole composte che spostano l'accento sulla radice.
IV.1.3 – Dittongazione romanza
Un certo numero delle lingue ha subito un processo di dittongazione principalmente delle vocali
toniche mediane; i risultati sono:
1 – formazione di un dittongo ascendente da /ɛ/ e /ɔ/: Ĕ → ie; Ŏ → uo/ue.
2 – formazione di un dittongo discendente da /e/ e /o/. Alcuni di questi dittonghi si sono
successivamente monottongati: Ĭ, Ē → ei → oi; Ŭ, Ō → ou → eu.
Sono esclusi dal fenomeno il portoghese, l'occitano e il catalano.
In francese e in italiano sono coinvolte solo le sillabe aperte, mentre in spagnolo lo sono anche le
sillabe chiuse. La formazione dei dittonghi ascendenti è più diffusa di quella dei dittonghi
discendenti, sicché si presume che tale dittongazione sia più antica. Il dittongo ascendente è dovuto
alla metafonesi o armonizzazione della vocale tonica con un altro elemento vocalico che segue
normalmente Ī o Ū; il risultato è l'innalzamento della vocale tonica. Questo tipo di dittongazione è
comune anche ai dialetti italiani meridionali.
Da un'originale fase di dittongazione di questo genere il fenomeno si sarebbe esteso anche a quei
contesti in cui non viene esercitata l'influenza della metafonesi, che comincia ad avvenire in
qualsiasi tipo di sillaba.
Un'altra causa della dittongazione potrebbe essere l'allungamento della sillaba tonica aperta: la
vocale si allunga fino a scindersi.
La dittongazione discendente, invece, è dovuta all'allungamento della vocale tonica in sillaba
aperta.
IV.1.4 – Vocalismo atono
Le vocali atone si riducono più di quelle toniche:
1) romanzo occidentale:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
e
a
o
u
2) sardo:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
e
a
o
u
3) balcanoromanzo:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
e
a
u
4) siciliano:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō ŬŪ
i
a
u
Vi è una tendenza a ridurre tutte le vocali posteriori a /u/.
L'evoluzione delle vocali atone dipende in larga misura da quella delle vocali toniche. Se le
vocali atone in posizione iniziale si mantengono abbastanza bene, nelle altre posizioni si
indeboliscono e sono poi oggetto di tutta una serie di riduzioni e assimilazioni.
1) Sincope → caduta di una vocale interna immediatamente pre- o postonica, che cade a causa
dell'aumentare d'intensità dell'accento tonico. L'italiano e il romeno tendono a conservare molte più
parole proparossitone; l'importanza della sincope consiste anche nel fatto che ha creato una serie di
nessi consonantici nuovi;
2) La riduzione delle vocali in iato implica anch'essa la perdita di una sillaba nella parola.
Quando le vocali sono di timbro simile vengono ridotte per lo più a una solo elemento; quando
invece le vocali sono troppo diverse, il primo elemento diventa una semivocale → I e E si chiudono
nella semivocale /j/, mentre U nella posteriore /w/.
3) Assimilazione e dissimilazione; esempio di dissimilazione: riduzione AU → A atono quando
la vocale tonica è /u/.
4) In diverse lingue romanze viene introdotta una vocale atona “e”(detta e protetica o prostetica)
prima di nessi consonantici iniziale costituiti da S+consonante.
5) Tra le vocali atone finali viene a mancare la distinzione tra -U e -O.
IV.2 – Consonantismo
Come le vocali, le consonanti sono più forti un posizione iniziale, più deboli in posizione finale,
soggette a cambiamenti per influenza dei suoni circostanti o a causa della caduta di vocali.
L'inventario dei fonemi consonantici latini è più ridotto rispetto a quello romanzo: non ci sono le
fricative sonore /v/ e /z/ e le affricate dentali /ts/, /dz/, palatali /tʃ/, /dʒ/, e le fricative palatali /ʃ/, /ʒ/.
Certi cambiamenti non dipendono dalla posizione del suono nella parola:
1 – Tra le consonanti scomparse → labiovelari kʷ, gʷ (scritte QU, GU);
2 – Scomparsa della fricativa laringale sorda /h/;
3 – Il latino non aveva la fricativa sonora labiodentale /v/: i grafemi u e v rappresentano la vocale
/u/ o la sua variante semivocalica [w];
4 – Riduzione del nesso consonantico NS > S.
IV.2.2 – Consonanti iniziali
Le consonanti iniziali resistono per lo più dal latino alle lingue romanze e rimangono invariante
in questa posizione P, B, T, S, M, N, L, R e molti nessi consonantici quelli quelli costituiti da
consonante+R, mentre S+consonante, in alcune lingue, è preceduto da una e protonica. Le
consonanti che subiscono maggiori variazioni sono le velari, che vengono palatalizzate: il loro
punto di articolazione si sposta dal velo al palato e talvolta più avanti, quando sono seguite da
vocale anteriore. Hanno anche esiti palatali uno j iniziale e la sequenza D+j, che variano da lingua a
lingua da /dʒ, ʒ, j/ fino al dileguo. La palatalizzazione si verifica anche per i nessi consonantici
consonante+L.
IV.2.3 – Consonanti finali
Le consonanti in posizione finale sono le più deboli e dunque le più propense a cadere, per una
difficoltà naturale ad articolarle in modo completo quando non sono seguite da una vocale.
1 – è scomparsa precocemente la -M finale;
2 – è dileguata la -T;
3 – /n, l, r/ scompaiono a causa della riorganizzazione dei casi grammaticali;
4 – si perde la -S; il mantenimento o il dileguo di questo suono è uno dei tratti su cui si basa
un'ideale divisione fra le lingue romanze occidentali e orientali. Il dileguo della -S era già avvenuto
nel latino arcaico ed erano accettabili solo alcuni nessi costituiti da S+consonante (-SC-, -SP-, -ST-,
-SS-). -S sarebbe stata ristabilita nel latino classico, soprattutto a causa della funzione grammaticale,
che nel romanzo orientale viene riempita da una vocale (-e o -i). La perdita della -S è però presente
anche nelle lingue occidentali;
5 – l'evoluzione del sistema fonetico del latino ha fatto sì che sono venute a trovarsi in posizione
finale altre consonanti in seguito alla caduta di vocali finali; tali consonanti sono secondarie e hanno
un'articolazione debole, diventando sorde o dileguando.
IV.2.4 – Altri cambiamenti consonantici
1 – Lenizione: indebolimento delle consonanti intervocaliche.
- occlusive sorde → fricative/dileguo;
- consonante+R → fricativa/dileguo;
- -S- intervocalica → /z/.
Si tratta di un'altra evoluzione che divide le lingue occidentali da quelle orientali; non riguarda
l'italiano centro-meridionale e il romeno. Il fenomeno riguarda anche la riduzione delle consonanti
geminate/doppie; è l'italiano che tende a mantenere meglio le geminate e, anzi, a estenderle anche a
contesti dove in latino non c'erano.
2 – Palatalizzazione. È un fenomeno panromanzo, iniziato già in latino, dove T+j si confondeva
con C(/k/)+j. Il suono che provoca il maggior numero di palatalizzazioni è j.
- N+j → ɲ (VINEA > vigna)
- L+j → ʎ (FOLIA > foglia)
Vengono palatalizzate anche le occlusive /t d k g/ con esiti diversi a seconda delle aree; anche /p
b/ possono avere un esito palatale, così come /m/ e /s/. Quando, poi, /r/ è seguita da j può venire
chiusa la vocale precedente, può causare metatesi o scomparire.
3 – Nessi consonantici che si sono ridotti, come NS > S o CT → esito palatale.
Si deve sempre tener conto della diffusione nel cambio linguistico → la velocità alla quale un
suono cambia non è uguale nel tempo e attraverso le diverse parole.
V. Morfologia
La grammatica è la parte della lingua che cambia più lentamente, ma in modo forse più
significativo che non il lessico e i suoni. La morfologia è lo studio delle forme o della struttura delle
parole, mentre la sintassi dei rapporti fra di loro nella frase.
La morfologia analizza le parole in morfemi, che sono unità più piccole in cui possono essere
divise le parole, rimanendo ancora dotate di significato.
Una prima classificazione tipologica delle lingue si basa sulla morfologia e ne conta tre tipi:
1 – Isolante/analitico → tutte le parole sono invariabili e i rapporti grammaticali sono espressi
mediante l'ordine delle parole. Es. cinese, vietnamita.
2 – Agglutinante → le parole sono costruite da una serie di unità o morfemi, ognuno dei quali ha
un dolo significato grammaticale. Es. turco, finlandese.
3 – Flessivo/sintetico → i rapporti grammaticali sono espressi con la modifica della struttura
della parola, generalmente mediante l'aggiunta di desinenze diverse, ma anche con cambi della
struttura interna. Es. latino, greco, arabo.
L'evoluzione dal latino al romanzo conduce da una lingua per lo più sintetica a una lingua per lo
più analitica. Il latino aveva ereditato il sistema flessivo dalle lingue indoeuropee che erano tutte
flessive nelle loro fasi più antiche, ma rappresenta già una lingua in parte evoluta verso il tipo delle
lingue romanze. Un aspetto piuttosto costante nel cambio linguistico è il passaggio di una lingua
con l'ordine sintattico OV (oggetto-complemento) a una con ordine VO (complemento-oggetto).
Una delle principali forze che opera nel campo morfologico è l'analogia, che tende a evidenziare
come una serie di forme faccia parte di un sistema, tende, cioè, a eliminare apparenti irregolarità.
Il sistema morfologico del latino si articola in un sottoinsieme nominale, verbale e una serie di
parole invariabili (avverbi, preposizioni, congiunzioni).
V.1 – Sistema nominale
Il sistema nominale del latino comprende sostantivi, aggettivi, pronomi e numerali, che erano
declinati per esprimere genere, numero e caso.
In italiano le desinenze esprimono solo le funzioni di genere e/o numero, mentre il francese è più
radicale: distingue spesso il numero e il genere solo con le forme dell'articolo preposto.
I sostantivi latini si dividevano in cinque declinazioni, con imperfezioni e asimmetrie nel
sistema, che si è per questo notevolmente ridotto (riduzione dei casi a uno solo).
V.2.1 – Sostantivi
1 – Riduzione delle declinazioni. La IV e la V declinazione in latino erano improduttive: non
generavano parole nuove e tendevano a scomparire. Le parole delle V, principalmente femminili,
finirono nella I, mentre quelle della IV nella II.
Alcune parole della V sono state assimilate nella III. Es. FIDES > FIDEM > fede
Alcune parole delle IV, di genere femminile, sono state assimilate dalla I e dotate della desinenza
-A. Es. NURUS > NURA > nuora. Un'eccezione è la parola MANUS: formalmente della IV, passata
alla II declinazione, è rimasta dovunque femminile.
2 – Cambi di genere. Alcune parole hanno cambiato di genere per rendere più evidenti le
corrispondenze fra forma e genere, come i nomi degli alberi (F → M), al contrario dei concetti
astratti in -OR (M → F).
3 – Perdita del neutro. Il neutro era divenuto solo una categoria grammaticale e non
corrispondeva a nessuna realtà esterna, perciò i sostantivi neutri sono passati al maschile. Il cambio
di declinazione è dovuto alla somiglianza formale di un gruppo di neutri della III terminanti in -US
con i maschili della II.
L'eliminazione del neutro non fu così rapida e diede luogo ad alcune situazioni complesse, come
la sopravvivenza dei neutri plurali in -A. Questi doppioni (es. legno/legna) possono avere significati
diversi, soprattutto nelle lingue occidentali, mentre in quelle orientali si sono mantenuti i neutri
plurali con significato plurale.
In romeno il neutro è una categoria ancora viva.
4 – Riduzione dei casi. Vi sono diversi fattori a causare questo fenomeno:
- cambio fonetico: la perdita di -M finale rende identiche alcune le forme di nominativo e
accusativo singolare della I e quelle di accusativo e ablativo singolare nella III. La perdita della
quantità vocalica rende indistinte le forme al nominativo e all'ablativo, mentre la confusione del
timbro vocalico non permette di distinguere l'accusativo e il dativo/ablativo singolare e nominativo
singolare e accusativo plurale nella II.
- dal punto di vista morfologico, c'è una tendenza a rimodellare, per analogia, sul tipo con tema
in -i i nominativi singolari della II che appartenevano alla classe degli imparisillabi.
Il caso che sopravvive nelle lingue romanze è l'accusativo, ed è per questo che si citano le forme
dell'accusativo come base delle parole romanze.
L'uso del caso era ridondante e alla fine bastava la preposizione per indicare la funzione della
parola nella frase; l'eliminazione dei casi si completò solo tra il V-VII secolo. Il mantenimento di un
sistema bi-casuale resiste nel galloromanzo resiste fino al Trecento e ha il caso retto (soggetto della
frase) e il caso obliquo (altre funzioni). La declinazione dei sostantivi, dunque, si articola in tre
classi per i maschili e in altre tre per i femminili, che si distinguono per la presenza o assenza di una
-S finale al singolare retto.
La prima classe maschile deriva dai sostantivi della II latina; la seconda classe maschile da quei
sostantivi maschili della II e III che non avevano la desinenza in -S, ma in -ER al nominativo
singolare. La terza, infine, deriva dagli imparisillabi latini con o senza accento mobile. I sostantivi
femminili della prima classe derivano dai femminili della I e della III senza la desinenza in -S al
nominativo singolare; la seconda classe deriva dagli altri sostantivi femminili della III, compresi gli
imparisillabi, mentre la terza classe dai rimanenti imparisillabi latini.
Va notata la sopravvivenza in romeno di una forma genitivo/dativo. In questa lingua i casi sono
sopravvissuti più che in altre lingue romanze soprattutto per il contatto con le lingue slave.
Nelle altre lingue romanze vanno notate alcune forme fossilizzate degli antichi casi latini, primi
ormai della loro funzione originale:
- nomi di luogo francesi di origine celtica, accomunati da una -S finale, che derivano dall'antico
ablativo plurale;
- nomi dei giorni della settimana, che derivano da forme genitive. Es. LUNAE DIEM > lunedì;
- forme del genitivo e dativo rimaste nel sistema dei pronomi anche se con funzione diversa da
quella originale. Es. ILLORUM > loro.
V.2.2 – Aggettivi
Riduzione a due classi: una con desinenze diverse per maschile e femminile (es. BONUS, -A >
buono, -a), l'altra che non distingue formalmente tra maschile e femminile (es. GRANDIS > grande).
V.2.3 – Comparativo e superlativo
Per il comparativo in latino si aggiungeva il suffisso -IOR o si usava una perifrasi con l'avverbio
MAGIS + forma semplice dell'aggettivo; quest'ultima forma ha preso il sopravvento e MAGIS è
affiancato da PLUS.
Una serie di parole conserva le forme sintetiche latine (es. MELIOREM > migliore), così come si
sono conservate alcune forme sintetiche del neutro con funzione avverbiale (es. MELIUS > meglio).
Alcune altre forme resistono, ma con significato diverso (es. SENIOR “più anziano” > sire).
In latino per il superlativo si aggiungeva il suffisso -ISSIMUS, che aveva significato relativo e
assoluto; questa forma viene sostituita da una perifrasi:
- relativo → aggiunta dell'articolo determinativo al comparativo;
- assoluto → aggiunta di un avverbio all'aggettivo.
Alcune forme di superlativo sintetico sopravvivono come fossilizzate. (es. PROXIMUM > prossimo).
V.2.4 – Avverbi
In latino non vi era un singolo modo di formare l'avverbio sulla base dell'aggettivo, ma si poteva:
1 – aggiungere -E agli aggettivi di prima classe;
2 – aggiungere -ITER a quelli della seconda;
3 – usare l'aggettivo all'accusativo singolare del neutro con funzione avverbiale;
4 – aggiungere -S.
La riduzione generale delle forme flesse nel sistema nominale ha significato la perdita di queste
forme dell'avverbio, ad eccezione dell'accusativo singolare neutro.
In latino era anche possibile esprimere l'avverbio con un perifrasi: MODUS all'ablativo con
l'aggettivo che si concordava con questo (es. LENTO MODO). La parola MODUS aveva lo svantaggio
di essere atona e la tendenza a sostituire i suffissi atoni con quelli tonici ha fatto prevalere MENTE:
il suo significato spostava il punto di vista dal modo in cui si eseguiva un'azione all'atteggiamento
di colui che la eseguiva. In questo caso, però, le lingue romanze sono passate di nuovo a una forma
sintetica da una analitica (caso di grammaticalizzazione).
V.2.5 – Numerali
Numerali latini → quattro categorie:
{
1 – cardinali;
2 – ordinali;
3 – distributivi (uno per volta, due per volta, ecc);
4 – avverbi numerali, che esprimono quante volte avveniva un'azione.
Alcuni numerali ordinali e distributivi latini sono stati continuati nelle lingue romanze, ma con
significato diverso (es. QUADRAGESIMA > quaresima).
Aggettivi
V.2.6 – Pronomi
L'evoluzione dei pronomi si è rivelata per alcuni versi più conservatrice che non quella dei
sostantivi e ha mantenuto l'accusativo e talvolta il genitivo-dativo. I pronomi hanno conosciuto due
tipi di evoluzione a seconda dell'accento che portavano nella frase.
Le parole con tonicità secondaria, infatti, nel corso della loro evoluzione sono state trattate come
atone, e le loro vocali toniche si svilupparono come atone, o potevano subire una riduzione del
numero delle sillabe.
Il sistema dei pronomi romanzi riproduce abbastanza bene quello latino: dimostrativi, anaforici,
personali, possessivi, interrogativi, relativi, indefiniti. Si differenziano per caso, ma non sempre
per genere e numero. Alcune forme sono scomparse; i più rimaneggiati sono stati i dimostrativi e gli
anaforici.
1 – Dimostrativi/deittici/indicativi → indicano il posto in cui si trova una persona o una cosa
rispetto al soggetto che parla, mentre anaforici/determinativi → richiamano e precisano qualcosa
di già menzionato nella frase, oppure anticipano e determinano qualcosa che segue.
Il latino distingueva i dimostrativi a seconda dei tre gradi di lontananza dal soggetto parlante:
- HIC, HAEC, HOC “questo” → vicino a chi parla;
- ISTE, ISTA ISTUD “codesto” → vicino a chi ascolta;
- ILLE, ILLA, ILLUD “quello” → lontano da chi parla e da chi ascolta.
La serie degli anaforici era invece:
- IS, EA, ID “esso, ciò”;
- IDEM, EADEM, IDEM “medesimo”;
- IPSE, IPSA, IPSUM “stesso, proprio lui”.
Le due serie vengono rimaneggiate: le forme brevi tendono ad essere erose dal cambio fonetico e
sostituite con quelle più lunghe. IS viene sostituito da ILLE o, in alcune aree, da IPSE, mentre IDEM
viene sostituito da IPSE e HIC da ISTE. Solo il neutro HIC sopravvive nelle particelle affermative del
galloromanzo (HOC > oc). Con solo tre forme (ISTE, ILLE, IPSE) si perdono i tre gradi dei
dimostrativi. Tali pronomi si trovano anche nella forma rafforzata dalla particella ECCE.
In quelle lingue che mantengono durante il Medioevo una declinazione bicasuale, va notata la
presenza di forme distinte per il caso retto e il caso obliquo, nonché forme derivate dal
genitivo-dativo con funzione di dativo (complemento indiretto).
Un tratto costante è l'interferenza con le forme del pronome del relativo CUI, che genera un
analogico ISTUI/ILLUI, che sta alla base delle forme in -ui.
I tre gradi di distanza sono limitate principalmente alle lingue iberiche.
2 – Articolo. L'articolo determinativo non esiste in latino, ma è presente in tutte le lingue
romanze; l'articolo è estraneo a tutte le lingue indoeuropee tranne il greco. La sua formazione in
latino tardo e nelle lingue romanze sembra anche parallela alla sua comparsa nelle lingue
germaniche e risale probabilmente al VI secolo.
Nel Medioevo (cfr. Itinerarium Egeriae) aumenta notevolmente l'uso dell'aggettivo dimostrativo
ILLE o anaforico IPSE per richiamare un elemento già noto; è ILLE a fornire le basi per l'articolo
determinativo. L'evoluzione dell'articolo riflette la sua posizione quasi esclusivamente proclitica e
atona, per cui vi è la tendenza a perdere una sillaba. Si tenga anche conto che le forme di ILLE sono
state influenzate da quelle del relativo QUI e CUI. La forma originale dell'articolo era lo.
Solo il romeno presenta la posizione enclitica dell'articolo.
L'articolo indeterminativo, in tutte le lingue romanze, deriva dal numero cardinale UNIS, -A.
3 – Pronomi personali. I pronomi personali latini si distinguono per la persona, come il verbo,
ma non per il genere. La loro presenza in latino non è necessaria, come anche nelle lingue romanze
(tranne il francese). Si mantiene il nominativo e l'accusativo. Per il complemento oggetto, però, si
distingue tra forme atone, impiegate con il verbo, e forme toniche, impiegate con una preposizione.
EGO > EO > io
ME > me
MIHI > mi
TE > te
TIBI > ti
Per il plurale, solo il romeno conserva le forme del dativo.
La distinzione fra forme toniche e atone viene mantenuta in italiano e in romeno.
In latino il pronome personale poteva anche essere unito e posposto ad altri elementi, tra cui la
preposizione CUM+ablativo. Alcune lingue romanze condividono queste forme.
4 – Riflessivo. Il latino non aveva un pronome di terza persona, ma c'era un pronome riflessivo
(SE), cioè riferito alla persona che faceva da soggetto del verbo quando il verbo era alla terza
persona. La costruzione con questo pronome ricopre anche la funzione passiva.
5 – Terza persona. Per la funzione di pronome personale di terza persona il latino impiegava il
pronome anaforico IS, oppure il dimostrativo ILLE. Gli esiti romanzi sono numero e diversi fra loro;
in linea di massima le forme toniche mantengono l'accento sulla prima sillaba di ILLE, ecc., mentre
quelle atone lo spostano sulla seconda con la conseguente perdita della prima sillaba. L'italiano egli
e il francese il vanno spiegati con l'influenza del relativo QUI su ILLE > ILLI; le forme del dativo lui
< ILLUI, lei < ILLAEI, mentre loro, lor, leur < ILLORUM.
La sostituzione del pronome soggetto con delle forme che erano originariamente impiegate per
esprimere un complemento sembra denotare la continua tendenza a sostituire le forme del
nominativo latino con quelle dell'accusativo.
6 – Avverbi pronominali. Alcuni avverbi acquistano anche funzione pronominale, come INDE
“da qui” e IBI “lì” e rimediano alla mancanza di casi come il genitivo o il locativo.
7 – Pronomi possessivi. I pronomi (e gli aggettivi) possessivi latini sono marcati per la persona
e per il numero e si accordano con l'oggetto posseduto; si declinano come gli aggettivi di prima
classe; si noti che SUUS era un riflessivo, impiegato sia al singolare che al plurale e che per altri casi
di terza persona il latino ricorreva al genitivo dei pronomi anaforici o dimostrativi: EIUS, EORUM,
ILLORUM, ecc. Nel corso dell'evoluzione, SUUS è diventato il pronome singolare di terza persona e
si introdotta una forma di plurale basata sul genitivo plurale del dimostrativo ILLORUM > loro.
L'evoluzione, poi, comporta sia la creazione di forme analogiche che sviluppi tonici e atoni:
- evoluzione tonica delle forme latine: it. mio, tuo, suo, nostro, vostro;
- evoluzione tonica ma comprendente forme analogiche per i pronomi singolari modellate su
MEUM: *TEUM, *SEUM, ecc.: fr. mien, tien, sien, notre, votre;
- serie atona con forme contratte per il singolare del tipo *MUM, *TUM, *SUM, NOSTRUM,
VOSTRUM: fr. mon, ton, son, notre, vostre.
Si noti che il francese è l'unica lingua che mantiene le due serie di pronomi, toniche e atone,
derivate da una base latina, mentre il romeno ha una sola serie in cui combina forme toniche e
atone.
8 – Pronomi relativi e interrogativi. Tali pronomi erano pressoché identici nel latino classico,
fattore che portò a una totale confusione: la coincidenza del singolare nominativo QUI con il plurale
nominativo QUI, ad esempio, ha portato all'eliminazione del plurale. I relativi e gli interrogativi
delle lingue romanze si basano sulle tre seguenti forme: QUI (esito tonico), QUEM e QUID (sia
tonico che atono). Del sistema latino sopravvivono anche il genitivo CUIUS e il dativo CUI. I
derivati dall'aggettivo interrogativo QUALIS si diffondono in romeno, dove QUI è scomparso,m
mentre altrove QUALIS sopravvive come interrogativo, esteso anche alla funzione relativa.
9 – Indefiniti. Un certo numero di termini in latino, come nelle lingue romanze, appartengono al
sistema nominale con la funzione di pronomi e aggettivi, detti indefiniti. L'evoluzione di questi
termini appartiene all'ambito delle scelte lessicali ed è diversa a seconda delle aree.
V.3 – Sistema verbale
Il sistema verbale latino si conserva più intatto di quello nominale: non c'è la stessa tendenza a
eliminare le desinenze e a sostituirle con altre particelle. Solo il francese deve far ricordo a una
“particella preverbale”, ovvero ad un pronome personale che sostituisce le desinenze verbali.
Il sistema verbale delle lingue romanze non è meno articolato di quello latino; un importante
fattore nell'evoluzione del sistema è l'analogia, che tende a rafforzare i rapporti nel sistema contro
l'azione del cambio fonetico. Per analogia sarà possibile:
- creare verbi nuovi “regolari” spesso sulla base del supino (es. CANTUM > cantare);
- riformare un intero tempo per eliminare delle irregolarità.
Molti tempi, però, che erano regolari in latino non solo sono più nelle lingue romanze,
soprattutto per quei tempo (indicativo presente e perfetto) in cui l'accento cade sul tema in alcune
voci e sulla desinenza nelle altre, il che porta a un'evoluzione diversa della vocale del tema quando
è tonica rispetto a quando è atona. In questi casi non sempre l'analogia è intervenuta per
regolarizzare la coniugazione.
V.3.1 – Il verbo latino
Il verbo latino, come quello romanzo, è coniugato: ricorre a desinenze diverse e a volte anche a
temi diversi per esprimere le varie funzioni delle voci verbali. Il verbo latino è marcato da:
- persona (prima, seconda, terza)
- numero (singolare, plurale)
- tempo (presente, passato, futuro)
- aspetto (perfettivo, imperfettivo)
- modo (indicativo, congiuntivo, imperativo)
- voce (attiva, passiva, deponente).
La categoria che viene esclusa dalla descrizione romanza è l'aspetto, ovvero l'insieme di diversi
modi di concepire lo svolgimento dell'azione espressa dal verbo (durata, compiutezza, ripetitività,
ecc.); spesso l'aspetto viene confuso con il tempo, che ha avuto il sopravvento distintivo.
Manca nelle lingue romanze la voce deponente, in cui l'azione espressa dal verbo coinvolge
principalmente il suo soggetto; i verbi deponenti avevano forma passiva ma significato attivo.
Il verbo latino si divide tradizionalmente in quattro coniugazioni in base alla vocale caratteristica
del tema: I (-ARE), II (-ĒRE), III (-ĔRE), IV (-IRE). Conta tre tempi principali: imperfettivo, perfettivo
e supino.
Su questi tre temi si formano tutti i tempi e le altre forme non finite (imperativi, infiniti, participi,
gerundi) derivate dal verbo.
Sul tema dell'imperfettivo si formano il presente, l'imperfetto e il futuro. Su questo tema si
formano anche l'infinito presente, il gerundio e il participio presente, forme non finite del verbo (le
uniche ad essere sopravvissute nelle lingue romanze).
Sul tema del perfettivo si formano il perfetto, il piuccheperfetto e il futuro anteriore.
Sul tema del supino (ottenuto togliendo la desinenza -UM) si forma il participio passato, i
congiuntivi e i passivi. Manca un congiuntivo futuro che richiede una perifrastica.
V.3.2 – Coniugazioni
Le quattro coniugazioni del latino sono conservate in italiano, francese, catalano, occitano e
romano, mentre lo spagnolo e il portoghese confondono la II e la III.
Le quattro forme distinte di infinito, però, non corrispondono a altrettanti tipi di desinenze
diverse: il catalano ha cinque coniugazioni, così come il romeno, mentre i tipi possono
generalmente aumentare grazie all'inserimento di un infisso incoativo.
In tutte le lingue le coniugazioni più produttive, cioè quelle in cui si collocano i verbi di nuova
creazione, sono la prima e la quarta; il latino aveva due modi principali per creare nuovi verbi:
partire dalla base del supino o aggiungere suffissi (-IARE, -ICARE, -IZIARE/-IDIARE > -eggiare).
I verbi appartenenti alla IV furono aumentati grazie al passaggio in questa classe di verbi della III
con desinenze in -IO, nonché di alcuni della II. Alcune eccezioni a questi passaggi nelle classi più
produttive sono i verbi irregolari POSSE e VELLE.
V.3.3 – Sopravvivenza di forme
Alcune forme verbali latine sono sopravvissute, con regolari cambi fonetici e alcuni cambiamenti
analogici, nella funzione originale.
1 – Indicativo presente. La resistenza maggiore riguarda l'indicativo presente, probabilmente
perché è il tempo impiegato più frequentemente; si riscontrano comunque alcuni cambiamenti
dovuti all'analogia. L'effetto del cambio fonetico coinvolge le voci con l'accento sul tema rispetto a
quelle con l'accento sulla desinenza e causa l'apofonia (alternanza vocalica nel tema).
Nella realtà sono le forme dell'infinito che continuano quelle latine, mentre, per quanto riguarda
le desinenze, ci è una tendenza alla riduzione. Dal punto di vista delle desinenze vengono a
coincidere la II e la III coniugazione in italiano e in catalano.
In alcune voci vi è una neutralizzazione delle desinenze: si è, cioè, diffusa una singola forma che
è diventata caratteristica della persona in tutte le coniugazioni.
2 – Congiuntivo presente. Nei registri stilistici meno formali, il modo congiuntivo tende ad
essere omesso e sostituito dall'indicativo. È il caso delle moderne lingue romanze, ma anche del
latino parlato; tale tendenza ha prevalso in romeno.
Il congiuntivo presente si conserva, ma si riduce a due sole serie di desinenze: con vocale
tematica -E- e con vocale tematica -A-; è soggetto ad apofonia nel tema dovuta al normale cambio
fonetico.
3 – Indicativo imperfetto. L'imperfetto latino si caratterizzava per l'infisso -B- tra la vocale
tematica e la desinenza (-ABAM, -EBAM, -IEBAM). Queste tre forme sono conservate nell'italiano
standard e, con la perdita di -B-, nel romeno, mentre il francese ha ridotto le desinenze a un tipo
solo derivato da -EBAM. Sopravvive anche in tutte le lingue romanze la forma irregolare
dell'imperfetto del verbo “essere”: ERAM.
4 – Indicativo perfetto. Un altra distinzione del sistema distingue i verbi in forti (al perfetto
l'accento cade sulla radice alla 1a, 3a e 6a persona) e deboli (l'accento cade sempre sulla desinenza).
I verbi caratterizzati dall'infisso /-u-/ sono deboli, quelli uscenti in -I, -SI e -UI sono forti.
a) Perfetti deboli. Le forme della II coniugazione, con vocale tematica -E-:-EVI scomparvero,
lasciando solo i due tipi, -AVI, -IVI, con dileguo dell'infisso > -AI, -II.
La perdita del tipo debole della II coniugazione fu compensata in due modi:
- creazione di un perfetto debole le cui desinenze si basano sul perfetto con raddoppiamento del
verbo DO DARE DEDI e i suoi composti;
- spostare l'accento sulla desinenza dei perfetti forti in -UI, trasformandoli in un nuovo tipo
debole.
b) Perfetti forti. I più resistenti sono quelli in -UI e -SI; l'evoluzione della prima forma dà
risultati diversi a seconda delle aree (ad esempio, in italiano standard la /u/ si è assimilata alla
consonante precedente o è caduta: SAPUI > seppi).
I perfetti forti sopravvivono anche in romeno, estendendosi anche a verbi che non avevano
questo tipo di perfetto.
5 – Participio passato. I participi passati sopravvivono e conoscono anche un'estensione delle
loro funzioni grazie alla formazione dei nuovi passivi e dei passati composti. In latino erano per lo
più la I, II e IV coniugazione ad avere il tipo debole; la III quello forte. Sono quindi aumentate le
forme deboli a scapito di quelle forti e si è in contemporanea creato un participio passato debole
-UTUS.
V.3.4 – Cambio di funzione
Alcune forme verbali latine sopravvivono, ma subendo un cambio di funzione; questo riguarda
in primo luogo il congiuntivo piuccheperfetto, che assume le funzioni del congiuntivo imperfetto
nelle lingue occidentali e dell'indicativo piuccheperfetto in romeno. Questo tempo deve la sua
fortuna all'infisso -SS- che non si è confuso con altre desinenze; inoltre, la creazione di tempi
passati perifrastici rendeva ridondante la forma sintetica del congiuntivo piuccheperfetto.
L'indicativo piuccheperfetto sopravvive in alcune aree con funzione diversa, mentre in
portoghese sopravvive l'indicativo futuro anteriore, fuso con il congiuntivo perfetto. Solo il
portoghese, infine, conserva l'infinito personale, un infinito con forme flesse.
V.3.5 – Scomparsa di forme
Alcune forme latine scompaiono del tutto, come, appunto, il congiuntivo perfetto, l'indicativo
piuccheperfetto, il participio futuro, l'infinito perfetto e l'infinito passivo. Oltre a questo scompaiono
anche:
1 – i verbi deponenti, che vengono provvisti di desinenze attive o vengono sostituiti da una
nuova formazione sulla base del supino;
2 – tutte le forme sintetiche del passivo;
3 – il futuro, tempo debole. Da un lato, non c'era una serie di desinenze distinte per il futuro,
dall'altro vi fu la formazione di omonimi a causa del cambio fonetico; inoltre, poteva essere
espresso con il presente più un avverbio di tempo (es: domani vado).
V.3.6 – Forme nuove
1 – Futuro “romanzo”. Si è compensato per la mancanza del futuro in due modi:
- presente accompagnato da un avverbio temporale;
- espressione perifrastica composta da un verbo, che implica dovere o intenzione, all'indicativo
presente, più infinito → CANTARE HABEO > *CANTARE AIO > canterò; le conseguenti
desinenze sono uguali per tutte le coniugazioni.
2 – Condizionale. Questa nuova forma verbale segue un modello perifrastico simile al futuro,
basato però sull'infinito + HABERE al passato e si impiega in proposizioni ipotetiche, con
significato condizionale → CANTARE HABEBAM > fr. chanterais; in italiano standard ha
prevalso invece un condizionale formato dall'infinito+passato remoto di HABERE → CANTARE
HABUI > canterei.
3 – Passato perifrastico (prossimo/composto). Formato da HABERE + participio passato.
L'origine di questa forma risiede in forme come HABEO EPISTULAM SCRIPTAM. L'espressione
viene grammaticalizzata e il verbo HABERE perde il suo significato pieno, assumendo il ruolo di
ausiliare; la funzione del verbo viene assunta dal participio, che regge il complemento oggetto →
HABEO SCRIPTAM EPISTULAM, così l'ausiliare esprime la persona, il numero, il modo e il
tempo, mentre il participio esprime l'aspetto perfettivo. Su questa base si generano nuove forme
come il trapassato prossimo o i temps surcomposés del francese.
Per i verbi intransitivi, come i verbi di movimento, dove è il soggetto del verbo a essere
coinvolto nell'azione, si è ricorso a un ausiliare il suo soggetto è paziente, cioè subisce l'azione.
In nessun caso si è giunti, però, a una forma sintetica.
4 – Perfetto perifrastico. In catalano il perfetto sintetico derivante dal latino è sostituito da una
perifrasi basata su anar “andare” al presente + l'infinito del verbo. Nella lingua più antica, perl, sono
anche frequenti i casi in cui anar + infinito viene impiegato come presente, e questo spesso in testi
narrativi, dove il presente narrativo funzione come un passato.
5 – Passivo perifrastico. Le forme sintetiche del passivo sono scomparse e sono state sostituite da
una perifrasi composta dal verbo “essere” + participio passato.
L'idea della perfettività e di passato era espressa dal participio, sicché il verbo ausiliare era al
presente, il diffondersi del passato prossimo, però, in cui p l'ausiliare a indicare il tempo, ha fatto sì
che anche questo passivi fossero reinterpretati in base al tempo dell'ausiliare. La perifrasi con
“essere”, dunque, forma la base del passivo in tutte le lingue romanze eccetto il romeno.
V.3.7 – Verbi irregolari
Il latino aveva diversi verbi irregolari, come anche le lingue romanze, ma non sono
necessariamente gli stessi verbi; ad esempio, HABERE era regolare in latino, mentre “avere” non lo
è nelle lingue romanze, mentre SUM/“essere” era ed è rimasto irregolare. Il verbo “andare”, invece,
è sopravvissuto come IRE solo in parte e qui si è fatto ricorso a VADERE (“camminare
velocemente”) e ad un verbo ancora sconosciuto per regolarizzare la coniugazione.
V.4 – Parole indeclinabili
Sono quelle che hanno una funzione grammaticale, ma che non hanno parti flessive: avverbi,
preposizioni e congiunzioni.
V.4.1 – Preposizioni
Le preposizioni sono state importanti nella riduzione del sistema dei casi in quanto sostituiscono
spesso le funzioni delle desinenze flessionali: DE sostituisce il genitivo, AD e IN l'ablativo. Tra le
più comuni sopravvissute ci sono: CONTRA, INTER/INTRA, SUPER/SUPRA, CUM, APUD. PER
e PRO possono essere mantenuti o eliminarsi a vicenda.
Altre preposizioni sono state impiegate come avverbi (POS[T] “dietro, dopo” > poi), mentre
qualche avverbio ha assunto la funzione di preposizione (SU[R]SUM “in su” > su).
V.4.2 – Congiunzioni
Sono meno resistenti delle preposizioni: la lingua si è conservata principalmente attraverso il
parlato, che non impiega tante forme diverse di congiunzioni, preferendo la paratassi all'ipotassi. Si
ricordino la congiunzione copulativa (ET), negativa (NEC/NEQUE), disgiuntiva (AUT),
avversativa (MAGIS o PER HOC > però), temporale (QUANDO) e condizionale (SE). La
congiunzione più diffusa è però *QUE > che polivalente.
VI. Sintassi
VI.1 – Generalità
Vi sono infinite possibilità per ordinare le parti di una frase ed è perciò difficile tentare di dar
conto di tutte le possibilità sintattiche delle diverse lingue romanze e dei loro rapporti con il latino.
L'evoluzione della sintassi romanza è piuttosto omogenea e le apparenti differenze sono spesso
da attribuirsi all'influenza della grammatica normativa degli standard moderni.
In assenza delle desinenze casuali i mezzi per stabilire i rapporti tra le parole in una frase sono
due: le preposizioni e l'ordine delle parole. In latino quest'ultimo era piuttosto libero, mentre nelle
lingue romanze è più fisso. Ad esempio, il sintagma nominale delle lingue romanze prevede
l'ordine: determinante – aggettivo – sostantivo – aggettivo; e si preferisce far precedere il soggetto
al verbo e far seguire il complemento (ordine SVO). Alcune lingue romanze (spagnolo e
portoghese), comunque, utilizzano in alcune circostanze una particella, detta accusativo
preposizionale o accusativo personale, per indicare l'oggetto della frase.
Il cambiamento più importante rispetto al latino è quello della posizione del verbo rispetto al
complemento oggetto e al soggetto: in una lingua con ordine OV (ordine sintattico a sinistra →
latino) i determinanti precedono i determinati, mentre in una lingua con ordine VO (ordine a destra
→ lingue romanze) i determinanti seguono i determinati.
VI.2 – Ordine della frase
1 – Verbo e complemento. Nelle lingue romanze il complemento oggetto segue il verbo
nell'ordine non marcato della frase.
2 – Verbo e avverbio. In latino l'avverbio precede il verbo (HUMILITER SERVIRE), mentre
nelle lingue romanze avviene il contrario (servire umilmente).
3 – Posposizioni e preposizioni. I sostantivi nelle lingue OV precedono suffissi e desinenze: è la
desinenza di caso a sostituire il determinato; nelle lingue romanze, invece, le desinenze dei casi
sono sostituite da preposizioni, che spostano il determinante (sostantivo) a destra (MATRIS → di
madre). Ma il latino ricorre anche a preposizioni per esprimere alcune funzioni sintattiche.
Il verbo è un altro esempio di come le lingue romanze non siano ancora interamente analitiche e
mantengano delle desinenze verbali, che sono posposizioni come quelle casuali, e dunque esempi di
un ordine a sinistra (come in latino).
4 – Ausiliari. Le lingue romanze confermano la tendenza ad anteporre il verbo ausiliare
(determinato) al verbo principale (determinante); uniche eccezioni sono il futuro e il condizionale,
che presentano un ordine a sinistra (CANTARE HABEO > canterò).
5 – Comparativi. In romanzo i comparativi si formano mediante un avverbio di qualità che
precede l'aggettivo, mentre in latino c'era una desinenza apposita (pulcher-ior → più bello).
6 – Sostantivo e aggettivo. L'aggettivo, nelle lingue romanze, può precedere o seguire il
sostantivo; l'ordine normale è sostantivo (determinato) + aggettivo (determinante), mentre il latino
accadeva il contrario. Allo stesso modo, il genitivo che determina un sostantivo in latino lo precede
(PAULI MATER), mentre lo segue nelle lingue romanze (la madre di Paolo).
7 – Frasi relative. In latino le subordinate sono introdotte da relativo, che si trova a destra del
determinato, come nelle lingue romanze.
8 – Congiunzioni. In un ordine OV la congiunzione, in una coordinate, si dovrebbe trovare dopo
l'elemento congiuntivo, ma l'ordine più comune in latino è quello con la congiunzione che precede
l'elemento congiunto, come nelle lingue romanze.
9 – Articolo. La posizione normale per l'articolo nelle lingue VO è a desta del sostantivo e non a
sinistra (come invece accade nelle lingue romanze): l'articolo, da dimostrativo, assume la funzione
di marcatore del sostantivo e occupa la posizione di un prefisso.
VI. 3 – Pronomi personali atoni
In latino il pronome era impiegato per lo più per richiamare qualcosa di già menzionato e perciò
si trovava verso l'inizio della frase; le lingue romanze si distinguono dal latino per aver sviluppato
una doppia serie di pronomi, tonici e atoni, detti anche clitici. Questi tengono a precedere le forme
finite del verbo (proclitici) o a seguire le forme infinite del verbo e l'imperativo (enclitici).
Nelle fasi più antiche del romanzo la posizione dei clitici era determinata da quello del verbo
senza distinzione tra forme finite o infinite. La posizione del verbo non è stata determinante e si è
arrivati alla situazione moderna dove la proclisi è più frequente perché i clitici obliqui stanno
diventando, anch'essi, degli elementi prefissi al verbo.
VI.4 – Posizione del soggetto
La posizione del soggetto in romanzo è importante anche perché da esso dipende
l'identificazione del soggetto rispetto all'oggetto. L'ordine più normale in romanzo è SVO, mentre il
latino è SOV. Gli elementi che prendono la prima posizione sono tematizzanti e sono percepiti come
i più importanti; di solito è il soggetto, anche se si hanno esempi di altri tematizzanti.
VI.5 – L'interrogazione
Per l'interrogazione in latino era normale l'inversione del verbo e del soggetto, così come anche
nelle lingue romanze; ma si può ricorrere anche a un morfema interrogativo e all'intonazione.
VI.6 – La negazione
Le lingue romanze esprimono la negazione sostanzialmente come in latino e con l'impiego dello
stesso termine NON, anche se in francese la negazione presenta sia un'evoluzione toniche che
atona.
VII. Lessico
VII.1 – La costituzione del lessico
Il lessico è la parte della lingua che cambia più facilmente e in modo meno sistematico.
Motivi:
- un cambio a livello del lessico avviene quando un concetto può essere espresso in modo
migliore con un'altra parola rispetto a quella impiegata prima;
- si ricorre a una parola nuova quando quella vecchia cade in disuso.
Mezzi:
- cambio semantico → utilizzare un termine già presente nella lingua, allargandone o
restringendone il significato;
- prestito linguistico;
- calco → traduzione di un'espressione straniera;
- ricorso a perifrasi e suffissi per modificare il significato di una parola esistente come formare
un verbo nuovo da un sostantivo o da un aggettivo.
VII.2 – Parole latine
Il nucleo di base del lessico romanzo è quello latino, a sua volta ereditato da quello indoeuropeo.
Una parte del lessico romanzo, però, è costituito da parole “volgari”, che appartengono a registri
stilistici meno formali: in generale, il termine marcato ha subito un'estensione di significato.
Talvolta la sostituzione di un termine non marcato avviene non perché è caduto in disuso, ma
perché a sua volta ha subito un cambio di significato. Il cambio semantico può essere occasionato
da una modifica nelle istituzioni.
Non sempre la stessa scelta lessicale avviene allo stesso modo in tutte le aree. Si tende, infatti, a
dare credito alla teoria delle onde → un cambio che avviene in un determinato punto sarà sentito in
un'area intorno a quel centro, finché la sua influenza diventerà sempre più debole e alla fine cesserà.
Molte innovazioni a livello del lessico sono centrate su Roma e non si fanno sentire nelle aree
lontane da questa città: la periferia, ad esempio, conserva la parola del latino classico ME(N)SA,
mentre il centro si ha l'innovazione TABULA “tavola di legno”.
Il motivo dell'abbandono di un termine a favore di un altro può essere provocato da cambi
fonetici che hanno eroso i suoni della parola o l'hanno resa simile a un'altra. Una cospicuo parte del
lessico di origine latina nelle lingue romanze non fa parte del fondo comune risalente al latino
parlato durante l'Impero, ma è il frutto di prestiti che sono avvenuti per tutto l'arco della storia di
questa lingua; tali termini sono le parole colte.
VII.3 – Parole non latine
Alcuni prestiti sono molto antichi (come grecismi, celtismi o germanismi), mentre altri sono più
locali o più recenti e riflettono la realtà etnica e linguistica delle diverse aree colonizzate da Roma,
nonché il tipo e l'etnia delle invasioni barbariche a seguito della caduta dell'Impero. Più
recentemente, nelle lingue romanze sono entrati numerosi prestiti di altre famiglie linguistiche
(anglicismi).
VII.4 – Creazione di parole
Si possono creare parole nuove sulla base del lessico esistente ricorrendo a prefissi, suffissi e
parole composte.
VII.4.1 – Prefissi
I prefissi latini corrispondono per lo più alle preposizioni e aggiungevano alla parola qualcosa
del loro significato, anche se, a lungo andare, questo rapporto si è perso. Più spesso sono i verbi a
ricevere un prefisso (es. FLARE “soffiare”, SUBFLARE > soffiare, CUMFLARE > gonfiare).
L'evoluzione fonetica spesso nasconde il prefisso originale. Non sempre, però, tutte le aree adottano
lo stesso prefisso, oppure non lo adottano affatto.
VII.4.2 – Suffissi
I suffissi possono avere due funzioni:
- creare parole nuove per derivazione;
- indicare affettività, cioè esprimere l'atteggiamento di chi parla, come nel caso dei diminutivi
(che di frequente perdono il significato diminutivo per creare semplicemente delle parole nuove; es.
“fioretto”).
È possibile che alcune aree ne aggiungano uno ad alcune parole e altre no, e non sembra chje ci
siano sempre regole particolari per spiegare tali scelte. Si nota, però, che vengono di solito preferiti
i suffissi tonici a quelli atoni (-CELLUM invece di -CULUM). I suffissi servono anche a creare
verbi nuovi sulla base di sostantivi o di participi passati, con l'aggiunta (per lo più) di -ARE, anche
se non sono infrequenti -IRE, -ICARE, -IZIARE (di origine greca) o -IDIARE.
VII.4.3 – Parole composte
Sono formate da due sostantivi, da aggettivo+sostantivo, sostantivo+aggettivo o
verbo+sostantivo. Alcune delle parole composte hanno una storia continua dal latino al romanzo
(es. giorni della settimana → LUNAE DIEM > lunedì). Si noti che le parole composte derivate dal
latino rispettano l'ordine sintattico OV (es. CARNEM LEVARE > carnevale); sono composte anche
molte preposizioni romanze (es. AB ANTE > avanti; PRO AD > sp. port. para).