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CAP. 13 - CORROSIONE E PROTEZIONE dei MATERIALI METALLICI
13.1 LA CORROSIONE METALLICA: PRINCIPI GENERALI
Un problema grave delle società industriali avanzate è quello della corrosione dei metalli: la
corrosione è l’ossidazione indesiderata di un metallo che accorcia la vita dei prodotti in acciaio,
quali ponti e automobili. La sostituzione delle parti metalliche corrose costa ogni anno miliardi di
euro. Si è soliti distinguere tra due tipi di corrosione: la corrosione a secco o chimica e la corrosione
a umido (ambiente contenente acqua) o elettrochimica. La corrosione a secco (si parla anche di
corrosione a caldo) si produce quando i materiali metallici operano ad alta temperatura in
un'atmosfera gassosa, di natura diversa (cloro, acidi, ossigeno secco ecc...) da quella normale
oppure uguale, ma ad elevata temperatura (vapore d'acqua surriscaldato).
Alcuni metalli con E0 molto negativo resistono meglio alla corrosione di metalli con E0 maggiore:
Al, Zn, Ti, Cr si corrodono meno di Fe. A contatto con l’aria si ricoprono di uno stato di ossido
insolubile, sottile ed aderente, che costituisce una barriera cinetica alla corrosione. Il ferro invece è
un caso emblematico dei danni della corrosione naturale: alla base di tale processo c’è un fenomeno
di ossidazione del metallo, quando per esempio si trova in contatto sia con ossigeno (ossidante), sia
con acqua (umidità, fattore cinetico). Durante tale fenomeno, il ferro si consuma nella zona anodica,
passando da Fe a Fe2+, mentre la ruggine si forma nella zona catodica (si veda la Fig.1), dove
l’ossigeno molecolare si riduce secondo la
O2(g) + 2 H2O(l) +4 e- →4 OH-(aq)
Gli ioni OH- reagiscono con gli ioni Fe2+ dando idrossido di ferro. Si ha la seguente reazione
complessiva: Fe(s) + ½ O2(g) + H2O(l) → Fe(OH)2(s) la cui Kps vale 5,0 x 10-15. Precipita quindi
Fe(OH)2, sottraendo ioni Fe2+ alla soluzione; di conseguenza altri ioni Fe2+ passano in soluzione e si
ha l’inizio del processo di corrosione di Fe, che così arruginisce. La ruggine è costituita da vari
composti del ferro: in effetti l’idrossido di ferro (II) si ossida all’aria dando idrossido di ferro (III),
che poi dà ossidoidrato di Fe (III) ovvero Fe2O3⋅H2O.
1
Figura 1: Il
meccanismo di
formazione della
ruggine in
atmosfera acida.
La reazione catodica in questo caso è O2(g) + 4 H3O+(aq) + 4 e- → 6 H2O(l), il processo globale è:
Il ferro invece ha scarsissima tendenza ad esser ossidato dall’acqua deossigenata a pH=7 (E=-0,41
V), poiché E0 (Fe2+/Fe) vale -0,44 V. Per tale ragione è possibile utilizzare il ferro per le condotte
dell’acqua e conservarlo deareata senza che arrugginisca.
Figura 2: Chiodi di ferro conservati in acqua deossigenata non arrugginiscono perché il potere
ossidante dell’acqua in quanto tale è debole. Quando è presente l’ossigeno per effetto della
dissoluzione dell’aria nell’acqua, l’ossidazione diventa termo dinamicamente spontanea
Per illustrare con un esempio la molteplicità e la complessità delle reazioni che si possono produrre
alla superficie di un metallo che si corrode, si consideri il caso del ferro a contatto con acqua aerata.
I processi anodico e catodico portano rispettivamente alla formazione di ioni Fe2+ e di ioni OH-. Gli
ioni Fe2+ o sono ossidati dall'ossigeno presente a ioni Fe3+ che si separano in forma di idrato ferrico
(meno solubile del ferroso), oppure come idrato ferroso nelle condizioni (alcaline) in cui si supera il
suo prodotto di solubilità. L'idrossido ferroso separato viene ossidato a sua volta a formare
Fe2O3·xH2O, il componente principale della ruggine di colore rossobruno. Se l'ossigeno è presente
nella soluzione in tenore ridotto, si possono avere anche altre reazioni, ad esempio formazione di
magnetite idrata color verde (Fe3O4·H2O) che tende a trasformarsi in magnetite anidra (Fe3O4) di
colore nero. Per successive reazioni con l'ossigeno tale magnetite può dar luogo a FeO·OH e
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quest'ultima, a sua volta, si trasforma in ematite, Fe2O3; la ruggine è spesso formata da diversi strati
costituiti successivamente da FeO, Fe3O4 ed infine all'esterno da Fe2O3 più o meno idratato di color,
appunto, ruggine. Se l'acqua che viene a contatto con il ferro ha una certa durezza, ovvero contiene
carbonati/bicarbonati di calcio e di magnesio (come spesso succede per le acque naturali),
l'alcalinità prodotta nelle zone catodiche può spostare l'equilibrio bicarbonati-carbonati verso questi
ultimi facendoli coprecipitare con i prodotti di corrosione primari e produrre una pellicola
protettiva. Questa coprecipitazione non si verifica ovviamente nel caso di acque demineralizzate
che per questo risultano più corrosive.
Quando l’acqua contiene ioni disciolti è un conduttore molto più efficiente. E’ una delle ragioni per
le quali l’aria ricca di salsedine ed il sale che si usa come prevenzione contro il ghiaccio risultano
tanto dannosi per i metalli esposti. Ad esempio da diversi anni, per il confezionamento del
calcestruzzo, non è possibile utilizzare materie prime contenenti significative concentrazioni di
cloruri, poiché vietato dalle normative. Ciononostante i cloruri rappresentano ancora una frequente
causa di corrosione, perché possono penetrare nelle strutture in calcestruzzo armato quando queste
vengono in contatto con questi ioni (strutture marine o molte strutture stradali su cui si spargono,
nel mesi invernali, sali antigelo). Una volta che hanno raggiunto alla superficie delle armature un
tenore sufficiente, possono distruggere il film di passività (si veda il Paragrafo 13.4) che le
protegge, rendendo quindi possibile l’attacco. La ruggine “deteriora” una significativa parte del PIL
degli US: il 25% circa dell’acciaio prodotto annualmente serve semplicemente per sostituire quello
corroso. Il punto in cui si verifica l’ossidazione deve essere diverso da quello in cui si verifica la
riduzione. Si esami il chiodo ricurvo mostrato a pagina 4: esso è stato sottoposto a deformazione
plastica che inizia in corrispondenza di un difetto, un sito in cui i legami sono in tensione, perché ci
sono atomi fuori posto o siti in cui l’atomo è mancante. In seguito i difetti si propagano man mano
che il materiale viene deformato. Quando i difetti raggiungono le estremità o la superficie del
materiale, i legami stirati fanno sì che gli atomi siano più disponibili all’ossidazione, con
formazione di una serie di ioni Fe2+ in corrispondenza del punto di curvatura del chiodo. Per quanto
riguarda la testa e la punta, si rifletta sul fatto che il metallo è dapprima tirato sotto forma di filo,
grazie alla sua duttilità; successivamente il filo è tagliato in modo tale di avere la terminazione
puntiforme, mentre l’altra estremità è spuntata e appiattita in modo da creare la testa. Il taglio e
l’appiattimento creano dei difetti ed è per questo motivo che l’attacco ossidativo parte dai punti
sottoposti a maggiore stress.
3
13.2 - CORROSIONE delle STRUTTURE METALLICHE: PRINCIPALI ATTACCHI
13.2.1 Corrosione galvanica
Si consideri una superficie di ferro con una intrusione di rame, ricoperta da un velo di acqua ed
esposta all’aria (Fig. 3). Si crea una pila in cui i due elettrodi Fe e Cu sono cortocircuitati e
l’elettrolita è l’acqua che contiene disciolta aria. Il ferro è un metallo più ossidabile del rame e
pertanto, a parità di tutte le altre circostanze, ioni Fe2+ passano in soluzione in numero assai
maggiore degli ioni Cu2+. Ad ogni ione Fe2+ passato in soluzione, corrispondono due elettroni in
eccesso nel ferro, che migrano verso la zona più positiva della massa metallica, ovvero verso il
rame, dal quale poi vengono ceduti ad una delle specie chimiche riducibili che esistono nella
soluzione ovvero o agli ioni Fe2+ o alle molecole di O2 provenienti dall’aria. Poiché O2 è più
ossidante dello ione Fe2+ sarà l’ossigeno a ridursi secondo la reazione: O2(g) + 2 H2O(l) + 4 e- → 4
OH-(aq). Gli ioni OH- prodotti reagiscono con gli ioni Fe2+, formano un precipitato di Fe(OH)2 (sale
poco solubile) e sottraggono così ioni Fe2+ alla soluzione; di conseguenza altri ioni Fe3+ passano in
soluzione. L’inizio della precipitazione segna l’inizio del processo di corrosione del ferro.
Il rame metallico, più nobile del ferro, accentra gli elettroni liberi presenti, dovuti al passaggio in
soluzione degli ioni Fe2+ e li trasferisce all’O2 , accelerando così il processo di corrosione del ferro.
4
Fig. 3: Schema di corrosione galvanica (dovuta a coppie metalliche)
13.2.2 Corrosione per aerazione differenziale
Se in presenza di aria viene deposta una goccia d’acqua su una superficie di Fe ammesso purissimo,
inizialmente Fe2+ passa in soluzione in modo omogeneo, rilasciando elettroni che riducono
l’ossigeno dell’aria disciolto nell’acqua. Precipita Fe(OH)2 su tutta la superficie e l’ossigeno viene
reintegrato più lentamente nella zona centrale della goccia a causa di uno strato liquido maggiore: si
instaura un Δ di concentrazione tra la zona centrale negativa (sede dell’ossidazione) e le zone
laterali. La zona centrale continua a fornire elettroni alle zone periferiche dove O2 si riduce di
preferenza, mandando in soluzione altri ioni Fe2+ e continuando così a corrodersi.
Esempio: pilone d’acciaio ancorato sul fondo di uno specchio d’acqua
Zona prossima alla superficie O2 a concentrazione maggiore
Zona prossima al fondo O2 a concentrazione minore
⇓
Danni da corrosione per areazione differenziale, maggiori in acque stagnanti (correttezza
scientifica del vecchio proverbio popolare acqua cheta rovina i ponti !) ⇒ si vedano le Figg. 4 e 5
Fig. 4: Meccanismo di
corrosione per aerazione
differenziale
5
Fig. 5: This schematic drawing illustrates the anodic and cathodic regions, their half-reactions, and
the final formation of rust. The cathodic region is near the air-water interface, where the availability
of O2(g) is greatest. The anodic region is at greater depths below the water surface. Fe2+(aq) from the
anodic region migrates to the cathodic region, where rust formation occurs.
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13.3 – APPROFONDIMENTO: LEGGI di FARADAY: CINETICA DELLA CORROSIONE
(DA PIETRO PEDEFERRI)
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2
μm/anno, è lo stesso che la misura in mA/m ( si veda la Tabella 1).
Tabella 1
13.4 - LA PASSIVAZIONE
La corrosione del ferro può essere inibita in diversi modi. Una protezione molto efficace è data dal
fenomeno della passivazione, in cui la superficie del metallo da proteggere è ricoperta da un sottile
strato di ossido di un metallo con potenziale di riduzione molto negativo, per esempio alluminio che
si ossida a dare Al2O3 oppure con Zn che forma ZnO. Tale strato impermeabile protegge il metallo
di interesse dall’ossidazione in profondità e quindi dall’ulteriore attacco.
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Si ricordino i seguenti punti fondamentali per avere passivazione (autoprotezione) dei metalli o di
alcune leghe (acciaio inox) o di superleghe di nichel o di cobalto:
a) l’ossidazione iniziale forma ioni Men+; b) se la corrosione è sufficientemente rapida, la
concentrazione degli ioni Men+ fa superare la Kps dell’idrossido ⇒ c) l’idrossido del metallo
precipita e poi si trasforma in un ossido aderente al metallo e che ostacola l’ulteriore
corrosione. Perciò un metallo facilmente corrodibile possiede E0<<0 e la Kps del composto
formato dagli ioni Men+ deve essere molto piccola. Esempi: Al, Ti, Cr, Zn, Ni, Cd, Zr (anche Sn)
Il fenomeno ha grande importanza: in sua assenza la corrosione di Al, Ti, Cr, Zn sarebbe
così rapida da impedirne l’utilizzo! La passivazione è spontanea ed è quindi una migliore
difesa al contrario della protezione artificiale, poiché si rigenera immediatamente.
Per esempio l’ossido di Cr2O3 è praticamente insolubile negli acidi ed è solo attaccabile per fusione
con alcali, l’ossido TiO2 è insolubile in HCl concentrato, ma si scioglie per prolungato
riscaldamento con H2SO4 e per fusione con Na2O2 o con Na2CO3 dà luogo a metatitanato, TiO32-.
Lo stagno si ricopre di un velo compatto ed aderente di ossidi insolubili (SnO, SnO2) e piuttosto
inerti chimicamente ed è assai usato (poco meno della produzione) per ricoprire metalli poco
resistenti alla corrosione: tale ricopertura è effettuata per immersione del metallo da ricoprire nello
stagno fuso o per deposizione elettrolitica su di esso, come la latta, costituita da lamiera di acciaio
dolce rivestita da un sottile strato di Sn, che ne costituisce circa il 2% in massa. La proprietà di Sn
di resistere alla corrosione scompare se esso è a contatto di soluzione decisamente acide o
decisamente alcaline, nelle quali gli ossidi di stagno, per le proprietà anfotere, sono solubili più o
meno rapidamente: Sn resiste bene alla corrosione in un campo di pH che va da circa 3,5 a 9,5.
In generale ci si riferisce sempre alla proprietà e alla struttura di questi veli compatti ed aderenti di
ossidi superficiali, ma il prodotto insolubile può essere diverso a secondo dell’ambiente. Per
esempio la passivazione di Pb in acido solforico è dovuta alla formazione di solfato di piombo (o di
biossido di piombo se interviene una forza elettromotrice esterna), quella di Fe in acido fosforico
alla formazione di fosfato di ferro, quella di Al in acido nitrico alla formazione di ossido di
alluminio, Al2O3. Quindi l’alluminio non reagisce in soluzione di acidi ossidanti, come HNO3,
perché l’acido stesso mantiene la passivazione (ossidazione) della superficie dell’alluminio e quindi
HNO3 può esser trasportato in contenitori di alluminio. Al è protetto dalla reazione con acqua
nel’intervallo da pH 4,5 a pH 8,5: una volta scomparso il velo protettivo, Al non più passivato
reagisce sviluppando idrogeno. Inoltre tale velo di ossido aderentissimo e sottilissimo non è più
compatto se la superficie di Al viene amalgamata, ovvero bagnata con mercurio. In questo caso
l’alluminio sposta idrogeno dall’acqua, corrodendosi.
In base alla struttura e alle proprietà di questi veli compatti ed aderenti di ossidi superficiali i metalli
che si passivano possono dividersi in tre classi.
Prima classe: il velo di ossido è assai sottile (pochi strati molecolari) ed è un buon conduttore
elettronico; il metallo acquista il comportamento di un metallo nobile ovvero si comporta da
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elettrodo indifferente in un semielemento redox; impiegato come anodo nell’elettrolisi dell’acqua
consente sviluppo di O2 senza subire ulteriore ossidazione; appartengono a questa classe Ni e Cr.
Seconda classe: il velo di ossido è spesso qualche nm; il metallo non si comporta da metallo nobile,
ma da metallo inerte (non può essere impiegato come elettrodo indifferente; se usato come anodo
nell’elettrolisi dell’acqua non dà sviluppo di O2, perché il velo di ossido lo isola elettricamente dalla
soluzione); appartengono a questa classe Al e Zr.
Terza classe: il velo di ossido è un buon conduttore elettronico se sottile e cattivo conduttore se
spesso; appartengono a questa classe Zn e Cd.
A tal proposito è bene sottolineare che la formazione dello strato passivato è un processo
termodinamicamente favorito (ΔG°<0) ed è un processo assai rapido. I metalli che si passivano non
è che non si corrodano: formato lo strato passivante, si corrodono assai lentamente. Si può dire che,
dal punto di vista corrosionistico, i metalli passivati sono cineticamente stabili.
Fig. 6: A sinistra carabinieri con superficie di alluminio anodizzato (formazione sulla superficie di
uno strato di ossido sottile, compatto ed isolante) in vari colori; al centro la sommità del Palazzo
Chrysler a New York ricoperta da acciaio inossidabile; a destra un lampante esempio di corrosione.
Note a margine: Le pellicole protettive si possono formare alla superficie dei metalli in due
modi: 1. per separazione di prodotti di corrosione da soluzioni nelle quali la loro concentrazione
ha raggiunto i limiti di saturazione, oppure 2. per formazione diretta alla superficie metallica in
seguito al suo funzionamento anodico. Il primo meccanismo, che riguarda soprattutto i materiali
metallici a comportamento cinetico-elettrochimico normale o intermedio, dà luogo a pellicole
spesse e più o meno porose in forma cristallograficamente ben definita e, in genere, con scarse
caratteristiche conduttrici: ad esempio su Ag (E0 =0,80 V contro SHE) in soluzioni cloridriche
strati di AgCl; su Cu (E0 =0 ,34 V contro SHE) o bronzo esposti all’atmosfera strati di carbonato
basico di rame (CuCO3·Cu(OH)2 la cosiddetta “patina nobile” caratteristica della Statua della
Libertà o del Pensatore di Rodin). Analogamente su Cu e sue leghe in acqua di mare si forma uno
strato di atacamite (Cu2Cl(OH)3 cloruro basico di rame). Scrive il Vasari nel suo trattato sulla
scultura: “Il bronzo piglia con il tempo per sé medesimo un colore che trae in nero e non in rosso
come quando lo si lavora. Alcuni con l’olio lo fanno venire nero, altri con l’aceto lo fanno verde ed
altri con la vernice li danno il colore di nero tale che ognuno lo conduce come più gli piace”. La
diffusione della patinatura artificiale su larga scala avviene solo nella prima metà del secolo
scorso. Anche se si moltiplicano i trattamenti e le ricette usate e quindi i colori ottenuti, la
patinatura continua ad essere un'arte basata sulla maestria e la creatività di coloro che la
eseguono, più che sul loro sapere tecnico. E infatti spesso sono gli artisti stessi a realizzarla.
E nemmeno successivamente si trasforma in un’operazione in grado di portare a risultati
completamente prevedibili e riproducibili, se uno scultore del calibro di Henry Moore, ancora nel
1967, la definisce un intervento molto eccitante ma dai risultati incerti. Scrive infatti: “Il bronzo
quando è esposto all’aria aperta, in particolar modo se si è in vicinanza del mare, si ricopre nel
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tempo di una bella patina verde. Ma qualche volta non si può aspettare che la natura faccia il suo
corso per cui cerchi di accelerare i tempi trattando il bronzo con acidi vari che producono effetti
diversi. Alcuni rendono nera la superficie, altri rossa. Io, di solito, quando preparo il calco ho un’idea
della finitura del bronzo che voglio scura o chiara e ho un’idea del colore che intendo ottenere.
Quando il getto torna dalla fonderia passo a dare la patina e questa qualche volta viene bene ma
qualche volta tu non riesci a rifare quello che hai già fatto in altre occasioni. È molto eccitante ma
poco riproducibile questa operazione di patinatura del bronzo”1 .Forse è anche per questa ragione
che molti scultori contemporanei preferiscono per i loro bronzi la patinatura che si produce
naturalmente per azione dell'atmosfera.
1
H. Moore, Henry Moore on Sculpture, 140, Philip James, New York, 1967
L’inquinamento da ossidi di zolfo costituisce negli ultimi settanta anni il fattore di maggior
sviluppo della corrosione atmosferica negli ambienti urbani ed industriali. La presenza di SO2 e
SO3 nell’aria è dannosa per il ferro perché essi tendono a reagire con il vapor d’acqua dando
rispettivamente H2SO3 e H2SO4. Lo zolfo è presente in piccola percentuale in quasi tutti i
combustibili naturali e durante il processo di combustione si produce SO2 (SO3 è invece prodotta
in parte dalla combustione e in parte dall’ossidazione di SO2 stimolata dalle radiazioni
ultraviolette), fortemente aggressiva nei confronti dell’acciaio. È evidente che un metallo ideale,
esposto ad un atmosfera idealmente non inquinata, senza l’intervento di polveri e particelle
carboniose, dovrebbe praticamente corrodersi solo a valori di umidità relativa (U.R.) dell’ordine del
100%. Tuttavia l’intervento di fenomeni di microcondensazione superficiale e di adsorbimento di
acqua, degli inquinanti e di particelle estranee, fa cadere a valori assai bassi la cosiddetta umidità
critica, ossia quel tenore di umidità oltre il quale la velocità della corrosione atmosferica aumenta
in modo considerevole. La Figura in basso mostra chiaramente il valore dell’umidità critica (60%)
per la corrosione del ferro in atmosfera contenente 0,1 p.p.m. di SO2.
È possibile descrivere schematicamente il meccanismo con cui avviene il fenomeno della passivazione dei
metalli tramite il grafico di Fig. 7: le coppie di valori E/i diagrammate sono determinate sperimentalmente.
11
Fig. 7: Da E1 a E2 si ha la zona di corrosione; Ep è il potenziale di passivazione: EF è chiamato
potenziale di Flade, oltre il quale si ha la la zona di passivazione.
13.5 OSSIDAZIONE DEI METALLI AD ALTE TEMPERATURE (CORROSIONE CHIMICA)
L’ossidazione dei metalli ad alta temperatura è particolarmente importante nella progettazione
meccanica delle turbine a gas (superleghe di nichel) di motori a reazione e di attrezzature
petrolchimiche operanti ad alte temperature. Alcuni metalli formano un rivestimento di ossido
molto resistente, in grado di proteggere il metallo sottostante da ulteriore corrosione. Altri metalli
formano un rivestimento di ossido che si sfalda, provocando l’esposizione del metallo sottostante ad
ulteriore ossidazione fino al completo degrado dell’intero oggetto. L’esempio più comune è la
ruggine rossa, una miscela di composti tra cui FeO e Fe2O3. Questa situazione si traduce in una
compressione dello stato di ossido. Un modo per valutare lo stato di compressione è valutata
paragonando la densità degli atomi metallici nel metallo elementare con la densità dell’ossido
metallico, valutando il rapporto di Pilling-Bedworth (rapporto P-B) dato da:
Rapporto P-B = volume molare di ossido metallico/atomi metallici per unità di formula chimica
volume molare del metallo
Il valore ottimale del rapporto P-B è compreso tra 1 e 2, corrispondente ad una pellicola di ossido
protettivo e non poroso, in quanto aderisce bene al metallo sottostante. Se tale rapporto fosse
minore di 1, il rivestimento di ossido sarebbe poroso, se fosse maggiore di 2 indicherebbe che lo
strato di ossido è molto compresso e che, con tutta probabilità, si sfalderà. Essendo un fenomeno di
superficie, l’ossidazione dipende dalla morfologia o dalla struttura della superficie stessa, che sono
altresì influenzate dai processi di produzione o di sagomatura. Processi di cottura possono
alleviare/mitigare o in parte eliminare le tensioni del materiale metallico e quindi minimizzare la
corrosione. Le dimensioni reticolari dell’ossido formato devono essere poco diverse (10-15%) da
quelle del metallo, in modo che si realizzi un incastro a scala atomica fra i due reticoli e quindi una
forte adesione fra lo strato di ossido e il metallo base. L’incorporazione di ossigeno nel reticolo di
Fe provoca l’espansione del reticolo stesso, con una tensione dei legami che si instaurano tra gli
12
altri di Fe nello strato di ossido e gli atomi di Fe nel metallo: questa situazione si traduce in una
compressione dello strato ossido, valutata appunto in base al rapporto Pilling-Bedworth.
Inoltre lo strato di ossido dovrebbe avere bassa tensione di vapore, coefficiente di espansione simile
a quello del metallo, bassa conducibilità e elevato punto di fusione.
Fig. 8
13.6 - RIVESTIMENTI INORGANICI
13.6.1 LA FOSFATAZIONE (da PEDEFERRI)
La fosfatazione si effettua immergendo manufatti di acciaio o di acciaio zincato in soluzioni acide
di fosfati metallici che formano alla superficie del metallo uno strato di fosfati: cristallino, poroso e
perfettamente aderente alla base. Questo strato, che di per sé è in grado di svolgere solo una blanda
azione anticorrosiva, è un'ottima ed economica mano di fondo per l'ancoraggio di successivi cicli di
pitturazione oppure per la protezione temporanea di semilavorati. Si ricorre alla fosfatazione
nell'industria automobilistica per la verniciatura delle scocche, ma anche in quella degli
elettrodomestici, delle scaffalature metalliche e così via. Le reazioni che portano alla formazione
dello strato si basano sulla possibilità mostrata dal ferro, dal manganese, dallo zinco di formare
fosfati primari - Me(H2PO4)2 - molto solubili in acqua; secondari - MeHPO4 - scarsamente solubili
e, infine, terziari - Me3(PO4)2 - insolubili anche in soluzione di acido fosforico. Le soluzioni
utilizzate che contengono fosfati primari di ferro, di manganese, di zinco e acido fosforico e hanno
un pH compreso tra 2 - 4, sono in equilibrio idrolitico secondo le seguenti reazioni:
Me(H2PO4)2 → MeHPO4 + H3PO4 e 3MeHPO4 → Me3(PO4)2 + H3PO4
Quando il metallo da fosfatare viene immerso nella soluzione, esso subisce anzitutto un attacco
corrosivo con sviluppo di idrogeno. Nel caso dell'acciaio la reazione è la seguente:
Fe + 2 H3PO4 → Fe(H2PO4)2 + H2
La conseguente riduzione della concentrazione dell'acido sposta alla superficie del metallo
l'equilibrio delle reazioni sopra scritte verso destra, causando la separazione del fosfato.
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Affinché questo accada solo sulla superficie del metallo, il rapporto acido libero/fosfati deve essere
mantenuto nell'intervallo 0,12-0,15: deve risultare sufficientemente basso per consentire la
separazione dei fosfati, ma non tanto basso da provocare la loro separazione all'interno della
soluzione. Lo sviluppo di H2 è lo stadio lento del processo e tende a schermare la superficie del
metallo. Per evitare questi inconvenienti si aggiungono sostanze ossidanti, come nitriti, nitrati,
clorati e perossidi, che ossidano H2 a H2O. La composizione, lo spessore, la morfologia, le
condizioni di ottenimento degli strati vengono fatte variare a seconda delle applicazioni. Uno strato
per l'ancoraggio di pitture può essere costituito dai fosfati dei tre metalli (Fe, Mn, Zn) con un “peso”
di 7,5 g/m2, ovvero con uno spessore maggiore di 100 μm. Spesso alla fosfatazione per immersione
si preferisce quella a spruzzo soprattutto per la preparazione temporanea di semilavorati.
13.6.2 - L'OSSIDAZIONE ANODICA
L'ossidazione anodica è un processo elettrolitico realizzato allo scopo di ispessire il film di ossido
naturalmente presente sull'alluminio e su altri metalli in modo da migliorarne la resistenza alla
corrosione e all'abrasione, le caratteristiche estetiche, oppure al fine di ottenere film di ossido con
caratteristiche elettriche, dielettriche, elettrochimiche, catalitiche speciali.
Ossidazione anodica dell’alluminio. È certamente l’ossidazione anodica più utilizzata, ad esempio
per la protezione dei serramenti di alluminio, detti appunto anodizzati, ma anche come
pretrattamento per ancorare al metallo cicli di verniciatura o pitturazione (soprattutto ora che la
aromatizzazione in alcuni è vietata). Gli stadi del processo di ossidazione anodica dell'alluminio
sono: la preparazione superficiale, 1'anodizzazione (con eventuale trattamento di colorazione) ed
infine la sigillatura. La Tabella 2 riporta le caratteristiche dei tre processi maggiormente impiegati
per l'anodizzazione dell'alluminio per scopi anticorrosivi. Le proprietà dei film di ossido dipendono
dalla composizione del bagno e dalle condizioni operative (temperatura e densità di corrente). Lo
spessore dell'ossido può passare da qualche micron a 30 micron a seconda della durata
dell'ossidazione e delle condizioni in qui questa viene effettuata.
Tabella 2: Caratteristiche dei tre processi maggiormente impiegati per l'anodizzazione
dell'alluminio e proprietà dei film di ossido ottenuti.
Potenziale (V) Densità di corrente (A/dm2)
Acido (% in massa)
T (°C)
Solforico 10-15%
15-24
10-22
1-3
3-50
Cromico 3-10%
30-40
30-50
0,3 -0,4
2-8
Ossalico 3-8%
20-40
30-60
1-3
10-60
Spessore (μm)
La struttura del film di ossido ottenuta con i bagni solforico, cromico o ossalico è schematicamente
illustrata in Fig. 9. A contatto con il metallo si forma uno strato “barriera” sovrastato da uno strato
“poroso”. La struttura dei pori è a nido d'ape. Film adatti per applicazioni anticorrosive si ottengono
in meno di un'ora con potenziali applicati di 20-60 V. In soluzioni diverse da quelle citate in Tab. 2
14
l'ossido si forma con altre caratteristiche. Ad esempio in soluzioni di acido borico o di fosfato di
ammonio si ottengono film di ossido costituiti solo dallo strato barriera. Questi film presentano in
particolare caratteristiche adatte per impieghi nel campo dei condensatori elettrolitici.
Fig. 9: Rappresentazione schematica dello strato barriera e di quello poroso in un film di ossido
prodotto per ossidazione anodica dell'alluminio
Subito dopo l'ossidazione si effettua la sigillatura; operazione che conduce alla eliminazione della
porosità del film. La sigillatura porta infatti all’idratazione dell'ossido di alluminio il quale,
rigonfiandosi, chiude i pori. In passato questo trattamento si effettuava per immersione del pezzo
anodizzato in acqua bollente per circa 5-20 minuti o in bagni di vapore a 150°C.
Oggi si ricorre soprattutto a processi di sigillatura a freddo catalizzati ad esempio da fluoruro di
nichel. Durante l'operazione di sigillatura si possono inserire all'interno dei pori, e quindi del film,
inibitori di corrosione (come cromati o silicati ad esempio) oppure pigmenti inorganici o organici e
così colorare la superficie ossidata. La preparazione preliminare della superficie dell'alluminio deve
eliminare tutti i contaminanti superficiali, in particolare le inclusioni di ferro, che spesso rimangono
dopo i processi di lavorazione meccanica.
La colorazione anodica. Il primo processo di colorazione per
ossidazione anodica è stato effettuato da Leopoldo Nobili (e da
lui chiamato “metallocromia”) pochi anni dopo l’invenzione di
Volta. Oggi è effettuata, oltre che su alluminio, su titanio e sugli
acciai inossidabili e altri metalli ancora. Il rivestimento naturale
di ossido può essere ispessito utilizzando l’oggetto di alluminio
come anodo ed elettrodi di grafite come catodo di un bagno
elettrolitico ad esempio di H2SO4(aq). La semireazione anodica che
avviene durante l’elettrolisi è:
2Al(s) + 9 H2O(l) → Al2O3(s) + 6 H3O+(aq) + 6 e⇐ Anodized aluminum has an electrochemically deposited layer
of porous Al2O3
13.6.3. LA CROMATAZIONE
La cromatazione è stata impiegata per la finitura dell'alluminio, dello zinco, del cadmio e del
magnesio (ma non per quella dell'acciaio), sia come trattamento anticorrosivo sia come
15
pretrattamento sul quale ancorare cicli di pitturazione. Ad esempio il ciclo di protezione delle parti
esterne e interne degli aeromobili è costituito da una cromatazione dell'alluminio seguita da una
mano (top) di pittura. L'azione anticorrosiva della cromatazione è dovuta alla presenza del cromo
esavalente che è un perfetto passivante pronto ad entrare in azione ogniqualvolta lo strato di pittura
viene lesionato. La tossicità del cromo esavalente sta portando alla messa al bando (almeno in
Europa) di questo trattamento. La cromatazione classica consiste nell'immergere per pochi minuti in
una soluzione acida di cromato (di solito di bicromato di sodio Na2Cr2O7) contenente anche altre
specie con funzione depassivante o atte a coprecipitare con il film di cromatazione come cloruri,
fluoruri, in alcuni processi anche fosfati. La composizione del bagno e il suo pH variano a seconda
del materiale metallico che viene trattato. Generalmente lo strato è di colore giallo, ma può
assumere anche altre colorazioni o essere trasparente.
Il film di cromatazione è amorfo, sottile (lo spessore è qualche frazione di micron) e con
caratteristiche semiconduttrici. Si ritiene che il meccanismo di formazione del film implichi,
inizialmente, la dissoluzione del substrato superficiale (metallo o ossido), quindi la parziale
riduzione del cromo esavalente e la contemporanea separazione sulla superficie del metallo di un
film costituito da cromato cromo Cr2(CrO4)3, in presenza o meno di ossidi del metallo trattato e di
altre specie presenti nel bagno (come i fosfati).
13.7 - LA PROTEZIONE CATODICA
Un altro modo per evitare la corrosione di Fe è l’utilizzo di un anodo sacrificale, soprattutto quando
risulterebbe costosa la ricopertura di tutta la struttura. Si tratta di un pezzo di metallo, ad esempio
Mg, che si ossida più facilmente di Fe: tale metallo viene posto in contatto elettrico con il ferro e si
ossiderà preferenzialmente al posto del ferro che risulta perciò protetto. In realtà gli elettroni che
determinano la protezione catodica possono essere forniti o da (1) un accoppiamento galvanico con
un metallo meno nobile di quello che deve essere protetto e che si comporta come anodo sacrificale
(come da Figg. 10 e 11a) o da (2) un generatore esterno di corrente continua (come da Fig. 11b).
Un oleodotto di ferro è protetto dall’ossidazione finché c’è magnesio collegato elettricamente. Lo
stesso tipo di protezione si applica alle piattaforme petrolifere, navi o serbatoi di carburante. Negli
Stati Uniti si producono annualmente 12 milioni di libbre di magnesio (a quanti kg corrispondono?),
utilizzate come anodo sacrificale o galvanico. Gli anodi di magnesio, che si corrodono al posto del
metallo che deve essere protetto, sono particolarmente adatti per la protezione catodica dell'acciaio
nei terreni, grazie al loro potenziale notevolmente più basso di quello del ferro e all'elevata densità
di corrente che possono erogare. Per la protezione catodica dell'acciaio in acqua di mare vengono
invece comunemente utilizzati anodi di zinco (strutture a contatto con acqua di mare) e di alluminio
(strutture immerse nel fondale marino). In ambedue i tipi di protezione è il blocco metallico di
protezione che subisce processi ossidativi (ovvero si corrode): nel caso (1) perché costituisce il polo
negativo di una pila, nel caso (2) perché esso costituisce il polo positivo di un'elettrolisi.
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Fig. 10: Protezione catodica del ferro con un metallo meno nobile.
Fig. 11
LETTURA
Gli anodi galvanici sono impiegati negli ambienti aventi elevata conduttanza, ad
esempio in acqua di mare e in qualche caso possono essere convenienti quando sono
richieste piccole correnti anche negli ambienti con bassa conduttanza, come nei terreni e
nella prevenzione catodica del cemento armato. Quando l'anodo lavora, ovvero eroga
corrente, si consuma a seguito della sua semireazione: M(s) → Mn+(aq) + ne-, dove M è il
generico materiale anodico e n è la carica degli ioni prodotti.
La massa di metallo che passa in soluzione è ricavabile in base alle leggi di Faraday ed è
perciò proporzionale, attraverso il suo equivalente elettrochimico, alla carica che eroga.
Per ogni materiale anodico è quindi definibile il consumo teorico, ovvero la massa che
passa in soluzione per unità di carica prodotta. Di solito il consumo teorico si esprime in
kg/A·anno. Si distingue tra consumo teorico, calcolato in base alla legge di Faraday e
consumo pratico; il secondo incorpora la massa di materiale anodico che passa in
soluzione per autocorrosione, per effetti di microcoppie locali. Il rendimento dell'anodo o
capacità di corrente è pari a circa il 95% per zinco e alluminio e non è mai superiore al
50% per il magnesio. Si definisce capacità teorica la grandezza inversa del consumo
teorico; essa esprime la carica che un metallo è in grado di erogare per unità di massa. In
genere si misura in Ah/kg. Anche qui si definisce una capacità pratica legata a quella
teorica dal rendimento dell'anodo. La relazione che lega la capacità teorica al consumo
teorico è la seguente: consumo (kg/A·anno) x capacità teorica (A·h/kg)=8760.
In Tabella 3 sono riportati le proprietà fisiche ed elettrochimiche di magnesio, zinco e
alluminio, i consumi e le capacità:
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A parità di configurazione geometrica e di materiale metallico, l'erogazione di corrente
dipende dalla resistenza del circuito elettrico e in particolare dalla resistività
dell'ambiente. In Tabella 4 sono indicati i tipi di anodo da impiegare in funzione della
resistività dell'ambiente:
Quando è possibile, ovvero in pratica solo nei terreni, si cerca di variare le caratteristiche
ambientali nelle immediate vicinanze dell'anodo mediante un letto di posa, in modo da
creare le condizioni migliori per un buon funzionamento.
In particolare, il letto di posa permette il raggiungimento di un potenziale più negativo e
più stabile, poiché diminuisce le sovratensioni e impedisce l'insorgenza dei fenomeni di
passivazione (ad esempio gli anodi di zinco si possono passivare in presenza di solfuri,
quelli di ferro in presenza di fosfati, quelli di alluminio in tutti gli ambienti che non
contengono cloruri). Il letto di posa inoltre aumenta l'efficienza degli anodi perché ne
limita l'autoscarica e ne favorisce una dissoluzione uniforme. In particolari applicazioni
la scelta del materiale anodico è dettata da criteri di sicurezza. Ad esempio il magnesio e
in misura minore l'alluminio possono provocare scintille (metalli piroforici) per urto con
una superficie di acciaio arrugginita (reazione con la ruggine) con rischio di deflagrazioni
se sono presenti vapori di idrocarburi. Per questo motivo, all'interno di petroliere o di
navi cisterna adibite al trasporto di prodotti infiammabili, solo l'impiego di anodi di zinco
è consentito senza limitazioni, mentre quello di anodi di magnesio è sempre escluso e per
l’alluminio bisogna osservare particolari direttive. Dal punto di vista economico le leghe
di alluminio sono quelle più convenienti; infatti il costo per produrre la stessa carica,
tenendo conto del consumo pratico e del costo medio per unità di massa, è posto 100 per
Al, 300 per Zn e 750 per Mg.
Le protezione con correnti impresse viene utilizzata soprattutto nel caso di strutture
interrate, ma anche per serbatoi d'acqua, tubazioni, grandi condensatori o scambiatori di
calore, dissalatori, o grandi navi o strutture in cemento armato. Nei sistemi a corrente
impressa, la corrente è fornita da un generatore esterno di corrente continua, mediante
un dispersore che è in grado di erogare corrente nell’ambiente.
Materiali anodici. Lo scambio di corrente tra dispersore e ambiente avviene attraverso
una reazione anodica, che dipende dal materiale anodico e dall’ambiente. Ad esempio,
nel caso di anodi di acciaio al carbonio, la reazione anodica è quella di dissoluzione del
ferro, con consumo dell'anodo; per gli anodi cosiddetti insolubili, ad esempio il titanio
platinato, grafite, ecc..., le reazioni possono essere di sviluppo di ossigeno o di sviluppo di
cloro a seconda dell'ambiente e della densità di corrente di erogazione. In Tabella 5 sono
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riportate le composizioni commerciali, i consumi e le condizioni di lavoro dei principali
materiali anodici.
Tabella 5: Principali anodi insolubili.
Tensione di alimentazione. Poiché è impiegato un generatore di corrente, la
progettazione deve innanzitutto prevedere il calcolo della minima tensione di
alimentazione, la quale, da considerazioni elettriche ed elettrochimiche, è pari alla
cosiddetta tensione di cella, data da: Emin = ψ* + I Rtot, dove I è la corrente totale di
protezione che circola nel circuito elettrico ed è un dato di progetto, Rtot è la resistenza
totale del circuito (calcolata o imposta), ψ* rappresenta la somma dei contributi
termodinamici e cinetici delle reazioni elettrodiche (vedere Figura 12). Quest'ultimo
termine rappresenta il tributo che è necessario pagare perché possa essere realizzata la
protezione, prima ancora di considerare le cadute ohmiche nel circuito elettrico: esso è
trascurabile, se si usano anodi solubili di ferro, vale 2-3 V nel caso di anodi inerti.
Tipi di dispersori. In acqua di mare e all'interno delle apparecchiature, gli anodi sono
impiegati senza alcun letto di posa ovvero esponendo il materiale anodico direttamente
all'ambiente. Gli anodi possono avere forme diverse a seconda delle esigenze particolari,
soprattutto per le apparecchiature. In questi casi il disegno della struttura anodica è
condizionata, oltre che dalle esigenze di erogazione di corrente, da considerazioni di tipo
meccanico, ad esempio il tipo di fissaggio alla struttura.
Fig.12: Schema elettrico equivalente di funzionamento del sistema a corrente impressa
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Le applicazioni più comuni della protezione catodica riguardano strutture poste negli
ambienti naturali. Gli anodi galvanici sono impiegati negli ambienti aventi elevata
conduttività, ad esempio in acqua di mare e in qualche caso possono essere convenienti
quando sono richieste piccole correnti anche negli ambienti con bassa conduttività, come
nei terreni e nella prevenzione catodica del cemento armato. I sistemi a corrente impressa
sono necessari negli ambienti resistivi, come i terreni e il calcestruzzo e sono preferiti per
la protezione di strutture estese, quando è richiesto un limitato numero di anodi. Un
notevole vantaggio è dato dal fatto che il sistema presenta una grande flessibilità di
esercizio, potendo variare e regolare la corrente erogata. Vantaggi e limiti delle due
applicazioni sono riassunti in Tabella 6.
Tabella 6: Vantaggi e limiti dei due metodi di protezione catodica.
NOTE a) Il letto di posa è di solito costituito da una miscela di gesso, bentonite e solfato
di sodio, nel rapporto (in massa) di 70:20:10. Il gesso (CaSO4) ha soprattutto la funzione
di mantenere attivo l'anodo e di consentirne un consumo uniforme, la bentonite (un
fillosilicato, Al2O3 − 4SiO2 − 4H2O), di assorbire l'umidità del terreno circostante e di
conservarne una buona percentuale anche nei periodi di siccità; il solfato di sodio
(Na2SO4) di diminuire la resistività.
b) Nei terreni, invece, il dimensionamento del dispersore è determinato in primo luogo
dall'esigenza di ottenere una bassa resistenza anodica, in genere inferiore a 2 Ω, anche in
relazione ai limiti imposti, per ragioni di sicurezza, alla tensione di alimentazione, che di
norma non deve superare il valore di 50 V. Per conseguire questo obiettivo, si ricorre
all'impiego di letti di posa (backfill), costituiti da polvere di carbone, allo scopo di
aumentare le effettive dimensioni del dispersore e quindi diminuirne la resistenza. Nel
medesimo dispersore possono essere collocati uno o più anodi, sulla base di due
requisiti: la durata e la resistenza.
c) Si ricordi inoltre che la misura del potenziale di un metallo in un ambiente è sempre
riferita ad un elettrodo di riferimento, il cui tipo deve essere indicato espressamente. In
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elettrochimica i potenziali sono di norma espressi rispetto all’elettrodo a idrogeno,
abbreviato con SHE (standard hydrogen electrode) o NHE (normal ); in laboratorio uno
degli elettrodi più comuni è il calomelano, SCE (saturated calomel electrode), mentre per
misure di potenziale su strutture reali sono impiegati l’elettrodo Cu/CuSO4 saturo (CSE,
copper sulphate electrode) nei terreni, l’elettrodo Zn/acqua di mare (ZN) e quello
Ag/AgCl/acqua di mare (AAC) in acqua di mare.
Tabella 6: Principali elettrodi di riferimento
d) La misura del potenziale di un materiale metallo esposto ad un ambiente, di norma
costituito da una soluzione acquosa o da un mezzo poroso dove sia presente acqua, è
una misura di corrosione molto comune e importante; ad esempio nella protezione
catodica la misura del potenziale è il metodo per controllare lo stato di protezione di una
struttura metallica: la Figura 13 (a) mostra il caso di una condotta interrata. Nel settore
del calcestruzzo la misura viene applicata per la diagnosi dello stato di corrosione delle
armature secondo il metodo detto della mappatura del potenziale. La Figura 13(b) illustra
il circuito di misura, effettuata con l’elettrodo rame - solfato di rame saturo: l’armatura,
di norma in acciaio, è il metallo oggetto della misura; il calcestruzzo l’elettrolita in cui il
metallo è immerso; la soluzione di solfato di rame e l’elemento in rame costituiscono
l’elettrodo di riferimento; quest’ultimo viene posto sulla superficie di calcestruzzo,
appoggiato ad una spugna umida che assicura il contatto elettrolitico tra cemento e setto
poroso, in legno o ceramica, dell’elettrodo. Il potenziale di un metallo in un dato
ambiente, in condizioni di corrosione spontanea, viene detto potenziale di corrosione e
indicato con il simbolo Ecor.
Fig. 13: Applicazioni della misura del potenziale: di una condotta interrata (a); delle
armature nel calcestruzzo (b).
21
PROTEZIONE CONTRO LA CORROSIONE: UN BREVE COMPENDIO
Curiosità finali: 1) La scoperta dell'acciaio inossidabile si deve all'inglese Harry Brearly:
nel 1913, sperimentando acciai per canne di armi da fuoco, scoprì che un provino di acciaio,
con il 13-14% di cromo e con un tenore di carbonio relativamente alto che aveva preparato,
non arrugginiva quando era esposto all'atmosfera. Successivamente questa proprietà venne
spiegata con la passivazione del cromo, che forma sulla superficie una pellicola di ossido
estremamente sottile, continua e stabile; per questo l'acciaio inox resiste alla corrosione sia in
ambiente umido sia asciutto. Non solo: gli acciai inox offrono anche molte proprietà secondarie
che li rendono materiali di grande versatilità. I successivi progressi della metallurgia fra gli
anni '40 e '60 hanno ampliato il loro sviluppo e le loro applicazioni. Tuttora vengono
perfezionati e adattati alle richieste dei vari settori industriali, come il petrolifero/petrolchimico,
minerario, energetico, nucleare ed alimentare (http://www.corrosion-doctors.org/Site-Map.htm).
2) Se per proteggere un metallo (ad esempio ferro), si scegliesse di ricoprirlo con un velo
di un altro metallo più nobile (ad esempio rame), sarebbe necessario porre molta cura nel fatto
che tale strato protettivo sia assolutamente continuo; infatti basta una piccolissima
discontinuità (ad esempio un graffio che scopra il metallo sottostante) per formare una pila in
cortocircuito che dà inizio alla corrosione che si estende poi in profondità. Al contrario, se il
metallo da proteggere, ad esempio Fe, viene ricoperto con un metallo meno nobile, ad esempio
Zn, nel caso di rottura dello strato protettivo è questo a corrodersi preferenzialmente,
rallentando così la corrosione del ferro.
3) Nel processo di corrosione per contatto, in qualche caso può verificarsi un’inversione di
polarità della coppia per cui il materiale inizialmente si comporta da catodo e viceversa. Un
esempio classico è quello della coppia Zn-Fe in acque naturali a temperatura elevata; lo zinco,
metallo meno nobile e inizialmente anodico rispetto al ferro, a seguito della formazione di un
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film passivante stabile di ossido di zinco dotato di conducibilità elettronica, assumerà nel
tempo un comportamento catodico rispetto al ferro.
4) La corrosione per correnti disperse. Spesso nei terreni nascono gradienti di potenziale
per cui circolano correnti (dette disperse o vaganti). Le cause più frequenti di questi gradienti
sono impianti di trazione a corrente continua, quali ferrovie, tram e metropolitane. In questi
sistemi, parte della corrente di ritorno alla sottostazione di alimentazione, invece di fluire
attraverso le rotaie, passa nel terreno e quindi rientra alla sottostazione attraverso strutture
metalliche presenti nel terreno (di solito tubazioni). Su queste strutture si creano delle zone
protette (catodiche) dove la corrente entra nella struttura metallica e delle zone di corrosione
(anodiche) dove la corrente l'abbandona per tornare, attraverso il terreno, alla sottostazione.
Fig. 14: Corrosione da correnti disperse indotte da impianto ferroviario.
5) Marcel Pourbaix (Myshega (Russia), 16 settembre 1904 – Uccle (Belgio), 28 Settembre
1998) è stato un insigne elettrochimico (i famosi diagrammi Potenziale versus pH), nonché
pianista russo. Pourbaix (nel suo volume "Lectures on Electrochemical Corrosion"
Plenum Press, New York, 1973) per mostrare come il comportamento del ferro (o dell'acciaio
basso legato) vari quando all'acqua distillata si aggiungano piccole quantità di specie diverse
porta gli esempi seguenti.
1. In acqua distillata (o demineralizzata) il ferro si corrode con formazione della tipica ruggine
marrone;
2. l'aggiunta di 1g/L di cloruro sodio fa aumentare la velocità di corrosione;
3. se al posto del cloruro sodico si aggiunge 1g/L cloruro ferrico questa aumenta ancor più;
4. l'aggiunta di 2 g/L di acido solforico provocano corrosione con sviluppo di idrogeno e il ferro
passa in soluzione;
5. l'aggiunta di 2g/L di bisolfito di sodio rallenta la corrosione e fa depositare sulla superficie del
ferro un film nero di magnetite;
6. l'aggiunta di 1g/L di soda caustica blocca la corrosione e mantiene la superficie del ferro con il
suo colore naturale;
7. l'aggiunta 1g/L di cromato (ad esempio di sodio) provoca lo stesso effetto,
8. ma, se oltre al cromato, si aggiunge 1g/L di cloruro di sodio si ha un intenso attacco localizzato ad
alcuni punti della superficie;
9. l'aggiunta di 0,2 g/L di permanganato riduce la velocità di corrosione;
10. l'aggiunta di 2 g/L di permanganato la blocca; l'aggiunta 0,3 g/L di acqua ossigenata riduce la
velocità corrosione;
11. l'aggiunta di 3 g/L di acqua ossigenata l'annulla;
12. l'aggiunta di sali di calcio o di magnesio in modo da dare all'acqua la stessa composizione
dell'acqua del rubinetto -se preferite prendete direttamente l'acqua dal rubinetto - il ferro si corrode
con formazione di ruggine se l'acqua è stagnante, non si corrode è mantenuta in agitazione.
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