Vi ringrazio per le vostre numerose domande che mi permettono di precisare meglio quanto spiegato la volta scorsa. La maggior parte delle vostre questioni riguardavano un’incomprensione riguardo “il movimento dall’intellegibile al sensibile e dal sensibile all’intellegibile”. Ho voluto pertanto partire da questa domanda per elaborare meglio e più nel dettaglio quanto spiegato la volta scorsa, passando per le varie questioni specifiche che mi sono state poste. Mi auguro di chiarificare meglio questo autore indissociabile da una certa oscurità di linguaggio e dal suggestivo uso di metafore, e continuo a restare a vostra disposizione per ulteriori questioni. Distinzione terminologica Innanzitutto mi permetto di chiarificare la terminologia: più propriamente infatti, il movimento in questione è o di emanazione dall’Uno o di ritorno verso l’Uno. Dire che il movimento è dall’intellegibile al sensibile, o dal sensibile all’intellegibile, non è sbagliato, ma si riferisce solo ad una parte del movimento plotiniano; inoltre rischia di far perdere di vista il punto più innovativo di questo pensiero, che è appunto l’individuazione di questa trascendenza al di là del regno intellegibile delle idee. Mi rendo conto di aver utilizzato con troppa disinvoltura il dittico “intellegibile/sensibile” in sede di spiegazione; era mia intenzione, anche a fine didattico, mettere in luce la continuità con Platone, mi scuso se ho generato invece qualche confusione. L’Uno La speculazione plotiniana prende avvio infatti dalle frontiere ultime della speculazione platonica, quelle che invitano ad andare oltre la molteplicità delle idee intellegibili, verso un principio ultimo ed unico che permette loro di essere, che Platone dà a pensare quando parla del Bene. Quella plotiniana è una radicalizzazione del gesto di astrazione platonico in cui le idee si davano a pensare: così come vedendo diversi alberi, mi rendo conto che nessuna delle loro qualità sensibili può permettermi di riconoscere i diversi alberi come tali, e scopro quindi che ciò che mi permette questo riconoscimento può essere solo una realtà ultrasensibile come l’idea, così le molteplici idee per essere visualizzate per ciò che sono hanno bisogno di un principio a loro trascendente. Questo principio è, per Plotino, l’Uno. Per capire quello di cui si sta parlando può essere utile leggere Enneadi 6,9,1, dove Plotino afferma esplicitamente: “tutti gli esseri sono per l’Uno sia quelli che sono in primo grado (intellegibili), sia quelli che si limitano a partecipare in qualche modo all’essere (sensibili). Che cosa sarebbero infatti, se non fossero uno? Perché ognuno di essi privato della sua unità, non è più quello che è. Per esempio non ci sarebbe esercito, se non fosse uno, non ci sarebbe un coro, un gregge, se non fossero uno”. Dire che l’Uno è principio vuol dire dunque che ogni cosa quindi per essere, deve essere una, individuabile; tanto più è una, tanto più è. Esisterebbe dunque quasi un omonimia tra l’essere e l’essere-Uno, un’omonimia che Plotino sembra quasi rintracciare in un’analisi etimologica: a pagina 123 del vostro manuale, Plotino infatti fa notare come “einai”, “essere”in greco, contenga la parola “en”, cioè “uno”, e come il participio presente “to on” , “gli enti”, presenti una significativa assonanza con “to en”, “l’uno”. L’intera coniugazione del verbo greco einai (on, einai, usia, estìa), contenendo ogni volta dei richiami alla parola “uno”, sembra quasi dare l’immagine del declinarsi dell’essere a partire dall’Uno. In questi termini, l’Uno è nel senso più eminente, in quanto massima unità, massima semplicità. Ma proprio perché è così costituito si pone la domanda della “creazione”: come può l’Uno essere principio del molteplice senza tradire la sua semplicità? Se l’Uno è perfetta unità perché esiste il molteplice? Perché esiste altro da lui? Come ha detto efficacemente il filosofo e specialista di pensiero greco Giovanni Reale: “Perché e come dall’Uno sono derivate altre cose? Perché l’Uno, pago di sé stesso, non è rimasto in sé stesso?” Emanazione e Ipostasi Il movimento per “emanazione” giunge proprio come soluzione a queste problematiche, salvaguardando le istanze specifiche della teologia antica e al tempo stesso rinnovandone le dinamiche. Per spiegare questo movimento, Plotino ricorre abbondantemente ad immagini e metafore. La più famosa che ho cercato di spiegare a lezione è quella della torcia, dove l’Uno sta all’essere come una torcia sta alla luce. Un'altra immagine è quella dell’albero: così come più i rami sono lontani dal tronco tanto più sono numerosi e fragili, allo stesso modo quanto più “ciò che è” è lontano dall’uno tanto più è mutevole, multiplo e mortale. In queste immagini è interessante notare l’assoluta immobilità dell’Uno: esso non compie nessuna attività per dare luogo all’essere, rimanendone trascendente, ma al contempo tutto “emana” da lui. Così come la luce è solo un effetto involontario della fiamma, così” ciò che è” è solo un derivato dell’Uno. Benché il linguaggio tragga spesso in inganno, è opportuno precisare che questa “emanazione” non va in alcun modo confusa con il concetto di “creazione”. Sia ricordato infatti che quest’ultima appartiene ad un contesto totalmente differente che è quello giudeo-cristiano, e prevede una “volontà creatrice” e una libertà divina di creare o no inconciliabile con l’intera cosmologia antica. In questo senso quindi l’Uno nemmeno si rivolge verso ciò che produce: per emanare l’essere l’Uno non “fa” nulla ma rivolto unicamente a sé stesso, saturo di sé stesso “trabocca” all’infuori di sé. L’Uno dunque emana l’essere proprio come una brocca d’acqua troppo piena lascia traboccare fuori di sé il suo contenuto. Il “traboccato”, il risultato cioè di questa emanazione, prende il nome tecnico di “ipostasi”. sensibile Dall’Uno all’Intelletto, dall’Intelletto all’Anima: verso il Questa effusione dell’essere, questo movimento di emanazione dall’Uno, proprio perché si muove come una rarefazione, si dà per gradi: tanto più infatti una cosa è lontana dall’Uno, tanto più perde unità e si moltiplica, come i rami di un albero nell’esempio di prima. Tra l’Uno e la materia ci sono quindi diversi livelli, diversi gradi di essere, prodotti dall’Uno come cerchi concentrici. Il primo livello di questi è l’Intelletto; l’Uno, saturo di sé stesso, “trabocca” all’infuori di sé, dando luogo all’Intelletto, cioè all’intellegibile o alle idee di platonica memoria. Sia notato en passant che è proprio qui che si compie lo scarto di cui si è parlato all’inizio: a differenza di Platone o Aristotele, l’intellegibile non è la realtà che detiene il primato ontologico, ma è il risultato di un principio ancor più trascendente e primordiale come mai era stato pensato finora nel pensiero antico. A sua volta, l’Intelletto, essendo ad immagine dell’Uno da cui deriva, si comporta come ciò da cui proviene e trabocca anch’esso d’essere, dando luogo al terzo grado di realtà che è l’Anima. Con questo termine Plotino vuole intendere il soffio vitale che rende dinamica la materia, che per l'appunto anima la natura. L’Anima è però l’ultima delle ipostasi immateriali dell’Uno, L’Anima plotiniana, essendo il terzo grado di emanazione dell’Uno, è meno simile al suo principio di come poteva esserlo l’Intelletto: essa da una parte è simile all’Uno per la sua immaterialità e atemporalità, dall’altra, essendo l’ultimo cerchio di emanazione e confinando con la materia, possiede l’ambiguo statuto di Una-emolteplice e divisa-e-indivisa. L’Anima da una parte si moltiplica e infonde la vita al sensibile, dall’altra resta una e separata dal sensibile. A tal proposito, riporto integralmente un passaggio della “Storia della filosofia” del già citato Giovanni Reale che, spiegando l’Anima in Plotino dice così: “Spieghiamo meglio questo punto, assai importante. L’Anima, producendo il sensibile ed entrando in commercio con il sensibile (vedremo meglio più avanti in che modo ciò debba intendersi), pur non essendo originariamente e primieramente divisibile, diventa divisibile nei corpi. Ciò significa che, quando i corpi vengono divisi, accade che venga divisa anche l’Anima che è in essi: non, però, alla maniera in cui vengono divisi i corpi, bensì accidentalmente, e quindi restando nella sua interezza in ciascuna delle parti, senza deflettere dall’unità del suo essere. Il diventare divisibile dell’Anima, insomma, non significa il suo frantumarsi in parti staccate successive l’una all’altra, come avviene per i corpi, ma l’entrare intera in tutte le parti del corpo diviso, dato che essa non ha grandezza; sicché, al limite, la divisibilità resta prerogativa dei corpi, mentre dell’anima resta la capacità di entrare indivisa tutta in tutte le parti. Si può dire che l’Anima è divisa-e-indivisa, una-e-molteplice, in quanto è il principio che produce, regge e governa il mondo sensibile: con la sua unità molteplice e divisa essa elargisce la vita a tutte le cose, e con la sua unità indivisibile le riunisce e le governa. L’Anima è tutta dappertutto e ovunque identica. L’Anima è, così, uno e-molti, ossia unità-e-pluralità, mentre il Principio primo è esclusivamente Uno, il Nous è uno-molti, e i corpi sono esclusivamente molti.” L’Anima quindi, nel suo rarefarsi, infonde dinamismo vitale al sensibile: questo suo rarefarsi permette a Plotino di parlare di Anima in tre gradi, secondo la sua lontananza o vicinanza dal sensibile. Il primo grado, a contatto con l’Intelletto è l’Anima generale, il secondo l’Anima del mondo, il terzo le anime particolari. Le anime particolari sono quelle di ogni singolo “animale”, il principio che tiene unito il corpo nel movimento. L’Anima del mondo è invece un concetto che Plotino riprende da Platone, il quale illustrava nel Timeo il seguente ragionamento; se ogni vivente ha un principio che lo rende unito nel movimento e questo principio è l’anima, così anche l’insieme dei viventi avrà un principio che presiede alla loro globale unità, e questo principio è l’Anima del mondo. L’Anima Universale, è infine il grado dell’anima più prossimo all’intelletto e più lontano dal sensibile (tralascio volutamente un’analisi approfondita di quest’ultima, in quanto non considero abbiate bisogno per il vostro corso di conoscerne la natura specifica, mi basta per ora sappiate che c’è e come si articola con il resto). Dopo l’Anima arriviamo infine al sensibile, lo stadio terminale dell’essere, dove la progressiva emanazione dell’Uno si esaurisce. Riprendendo l’immagine della torcia potremmo dire che l’Uno sta alla fiamma come il sensibile sta all’oscurità. Il sensibile è quanto di più lontano dall’Uno, e pertanto è molteplice, cangiante, frammentario, temporale, mortale. Se l’Uno è Bene (il che ricordiamo è diverso dal dire che “è buono” in quanto l’Uno è trascendente ad ogni determinazione, come spiegato nel testo a pagina 124 del vostro manuale) allora di converso il sensibile sarà Male. Così termina il movimento centrifugo dell’Uno, la processione discendente dall’Uno al sensibile e così abbiamo infine osservato come, tramite un’emanazione (Uno-Intelletto-Anima) dall’Uno derivi il molteplice. L’ascesi Plotiniana Il pensiero di Plotino però trova una delle sue principali direttrici nel movimento inverso: egli vuole fornire agli uomini una strada per elevarsi dal mondo mortale e instabile della materia in cui sono immersi, all’immortale contemplazione dell’Essere eterno. La prospettiva di Plotino è sempre quella allora di fornire strumenti con cui risalire dalla materia alla contemplazione dell’Uno, ripercorrendo all’inverso tutto il percorso spiegato fino ad ora. In questo senso si da anche tutto il recupero di esperienze extra-filosofiche che il vostro manuale propone nei primi due capitoletti sull’autore: tramite l’esperienza dell’eros e della musica possiamo elevarci oltre realtà sensibile proprio attraverso la realtà sensibile. È interessante notare come se da una parte Plotino vede nel sensibile il grado più infimo di ciò che è, dall’altra ne intraveda ancora la traccia del trascendente da cui deriva e quindi occasione di elevazione. Nonostante più o meno fondate ipotesi abbiano voluto avvicinare Plotino a spiritualità orientali, la meditazione che il Nostro propone non è quella del monaco buddista: egli non propone un allontanarsi dalle esperienze mondane ma una loro contemplazione approfondita, fino a coglierne il segno del principio immortale da cui derivano. Se eros e musica elevano dal sensibile all’intellegibile, sono cioè occasione di cogliere l’unità extra-sensibile che presiede al sensibile, per la dialettica si tratterà di cogliere l’unità che presiede all’intellegibile. Se l’intellegibile è l’insieme delle idee, la dialettica sarà allora quell’arte che studia la connessione tra le idee, la maniera in cui si possono o non si possono articolare tra loro, la loro gerarchia. Conoscendo il modo in cui si uniscono le idee, la dialettica permette di conoscere le idee con la stessa immediatezza con cui noi “quaggiù” abbiamo evidenza del sensibile. Questa conoscenza dell’articolazione delle idee si da attraverso la “conoscenza dei principi dell’anima” di cui è fatta menzione a pagina 114 del vostro manuale: “la proposizione affermativa e la negativa e la regola che dice che se si nega il conseguente si pone il suo contrario ed altre regole simili”. Ciò di cui la dialettica si occupa non è quindi un’idea o un’altra in particolare, ma le regole con cui esse si associano, che sono al di sopra del contenuto di ogni idea. Qui Plotino sembra quasi anticipare i logici formali del XX secolo, che intenderanno mostrare come la validità logica di un ragionamento è assolutamente indifferente al suo contenuto. Tramite la dialettica ogni anima puo dunque fare un ulteriore passo dall’Intelletto verso la riunificazione con l’Uno, unico obiettivo dell’intera proposta filosofica Plotiniana. Martino Abbruzzese 19/03/2021