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storia dell'arte

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ARCHITETTURA BIZANTINA
DISPENSA DI STORIA DELL’ARCHITETTURA I
Anno accademico 2022-23
Roberto Maffione
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1. L'ETA' GIUSTINIANEA
1.1 L'ARCHITETTURA GIUSTINIANEA
Il progetto giustinianeo
L'imperatore Giustiniano restò in carica dal 527 al 565. Il progetto politico che perseguì nei suoi quasi
quarant'anni di regno fu ristabilire l'unità, la potenza politica e la prosperità economica dell'impero
romano. Questo progetto ispirò una serie di azioni convergenti: la riconquista delle regioni occidentali
usurpate dai regni barbarici e il rafforzamento dei confini orientali; il ristabilimento dell'ordine sociale
con la repressione di disordini popolari e opposizioni aristocratiche; il ristabilimento della pace religiosa
imponendo l'ortodossia, anche con la forza; un complessivo riordinamento legislativo.
La visione sottesa a questa azione era una concezione autocratica del potere imperiale, al servizio della
quale fu costituito un efficiente apparato amministrativo e militare fortemente centralizzato.
Il progetto complessivo di Giustiniano parve realizzarsi solo per un breve periodo durante la sua vita, ma
già pochi anni dopo la sua morte instabilità e frammentazione ritornarono a imporsi in un impero
"romano" ormai di fatto sempre meno "universale" e sempre più greco.
• Un vasto programma di costruzioni
Un vastissimo programma di costruzioni di iniziativa imperiale era parte integrante di questo progetto,
con fortificazioni tecnicamente molto evolute, infrastrutture come strade e acquedotti e grandi
monumenti pubblici, a partire dalla ricostruzione delle due maggiori chiese e del palazzo imperiale di
Costantinopoli. Il maggiore storico di Giustiniano, Procopio di Cesarèa, dedicò un intero libro, il De
Aedificiis, alle iniziative architettoniche imperiali.
Le cisterne di Costantinopoli
Oltre a Santa Sofia, Procopio di Cesarèa, per la sola Costantinopoli, enumera trentadue chiese (alcune
delle quali molto grandi, come quelle dei Santi Apostoli, di Sant'Irene e di San Mocio) e opere civili come
ospizi, palazzi, edifici pubblici, porti.
Le uniche opere civili che si sono conservate sono le cisterne, grandi invasi sotterranei coperti da volte a
crociera in mattoni su una fitta griglia ortogonale di colonne in pietra.
A sud-est di Santa Sofia, a poca distanza, esisteva un ampio cortile porticato noto come la Basilica,
destinato ad usi giudiziari, commerciali e culturali, Giustiniano nell’area del cortile fece scavare una
cisterna sotterranea, la «Cisterna Basilica» poi detta dai turchi «Palazzo Sommerso". E' un enorme invaso
rettangolare di 138 x 65 m., sostenuto da ventotto file di dodici colonne alte circa 9 metri disposte secondo
una griglia il cui passo è d poco inferiore ai 5 metri.
La cosiddetta cisterna di Filosseno (poi detta «Mille e una colonna») è più piccola (64 x 56 m.), ma dal
disegno più ardito. Vincolato all’impiego di colonne alte circa 5 metri, per dare alla cisterna una maggiore
altezza, l'architetto collocò due serie di fusti di colonna montati a coppie l'uno sull'altro per mezzo di
tamburi di pietra forniti, sulle facce opposte, di incavi circolari. Ottenne così dei sostegni di un'altezza
complessiva di circa 10 metri.
Lo “scisma architettonico” fra Oriente e Occidente
Fino agli inizi del regno di Giustiniano, la maggior parte delle chiese, in Oriente come in Occidente, salvo
qualche rara eccezione, erano basate su un unico tipo: la basilica.
La situazione muta radicalmente con il VI secolo. Nel campo dell'edilizia religiosa, si consuma in età
giustinianea quello che è stato definito uno "scisma architettonico" tra Oriente e Occidente. E' questo il
momento in cui si può parlare dell'inizio di un'architettura bizantina distinta da quella tardoantica.
• L’abbandono della chiesa di tipo basilicale per quella a pianta centrale
L'Occidente continua a considerare la basilica a tre o cinque navate come l'unica forma appropriata di
chiesa fino a tutto il medioevo. Invece l'architettura religiosa giustinianea adotta un modello diverso,
volgendosi a tipi voltati a pianta centrale, giunti a maturazione nell'architettura del tardo impero, nelle
aule dei palazzi, negli edifici funerari, nelle terme e nei giardini.
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È vero che chiese a pianta centrale erano state costruite, già a partire dal IV secolo. Ma edifici di questo
genere erano rari ed erano destinati a funzioni particolari: come chiese di palazzo o martyria. Ma solo con
gli architetti di Giustiniano in tutti i centri importanti dell'impero e indipendentemente da una funzione
particolare, la pianta centrale diviene la norma per le chiese di qualsiasi importanza e funzione.
Dapprima i costruttori di chiese bizantini, più tardi gli architetti dei Balcani e della Russia, vennero
sviluppando questo tipo con sempre nuove varianti. Cosi fecero anche gli architetti delle moschee
persiane, dell'India settentrionale e della Turchia.
Le motivazioni dello scisma architettonico. Liturgia e simbolismo nella chiesa d'Oriente
La preferenza verso la chiesa a impianto centrale è da ricondurre prioritariamente a considerazioni di
ordine liturgico e simbolico. Ovviamente le esigenze liturgiche e il simbolismo non spiegano direttamente
l'architettura, con le sue forme, ma possono aiutarci a comprendere la costante preferenza nella chiesa
orientale del tipo centrale a cupola rispetto a quello longitudinale basilicale. In effetti una tendenza alla
centralizzazione spaziale la si riscontra già in basiliche come l'Acheropoietos e il San Demetrio di Salonicco.
• Motivazioni di ordine liturgico
In Oriente il complesso rituale della messa, con i celebranti che non rimanevano fissi in una parte della
chiesa, ma la percorrevano con le due Entrate in processione, a partire dagli inizi del V secolo aveva finito
col riservare la navata della basilica essenzialmente al clero, con i fedeli relegati per buona parte delle
funzioni negli spazi sussidiari che correvano intorno alla navata, si trattasse delle navate laterali, dei
matronei o dell'endonartece. Si trattava quindi di una vera azione liturgica che aveva luogo nella navata.
Per tutto il V secolo questa consuetudine liturgica si concretizza nell'espandersi del presbiterio ben
addentro la navata e nell'uso di transenne (plùtei) per isolare la navata e renderla in tutto o in parte
inaccessibile dagli spazi circostanti.
Tuttavia si tratta di un adattamento dell'impianto basilicale longitudinale alle esigenze del rito orientale.
Fu per questo che gli architetti e gli uomini di chiesa di Giustiniano adottarono senza esitazioni la pianta
centrale che faceva convergere in modo naturale tutto verso lo spazio centrale in cui si compiva l'azione
liturgica. Inoltre il sistema a doppio involucro, già adottato in chiese come Santo Stefano rotondo a
Roma, o San Lorenzo a Milano, con il suo spazio centrale circondato da gallerie, consentiva
immediatamente la distinzione fra area dei celebranti e area circostante dei fedeli.
• Motivazioni di ordine simbolico
Il secondo elemento che favorisce la preferenza per l'impianto centrale è di ordine simbolico. La
religiosità del cristianesimo Orientale, più di quella occidentale, è orientava verso una dimensione di
misticismo nell'approccio al divino. L'esperienza religiosa del cristiano, non è pensata tanto come
cammino dell'uomo verso Dio nel corso della sua esistenza terrena (simboleggiato, nella basilica, dall’asse
orizzontale che dall’ingresso porta all’altare) ma come una sorta di rapimento mistico. Così col suo
impianto centralizzato attorno all’asse verticale passante per il centro della cupola e il suo ricchissimo
apparato iconografico di affreschi e mosaici, la chiesa al suo interno appare come un universo mistico,
ordinato secondo le gerarchie celesti. E’ la cupola, che simboleggia il cielo e nella quale è rappresentato il
Cristo l’elemento, Il culmine di questa gerarchia e l’elemento di più forte attrazione che simbolicamente
rapisce il fedele trasportandolo in alto verso il divino.
I modelli antichi della chiesa bizantina
Come abbiamo detto, il tipo a pianta centrale con copertura voltata era presente in diversi ambiti
dell'architettura romana. Esisteva un vasto patrimonio di esperienze in questo campo, dagli edifici
funerari, ai calidari termali, ai padiglioni da giardino.
• Le grandi sale dei palazzi imperiali
Ma l'associazione simbolicamente più diretta è fra la chiesa e alcune grandi sale d’udienza dei palazzi
imperiali, grazie al parallelo, istituito fin dall'età costantiniana, fra il regno terreno dell'imperatore e il
regno dei cieli di Cristo.
Le prove di questa derivazione sono abbastanza consistenti. Il triclinium centrale (a forma di trifoglio, di
cerchio o di ottagono) era un elemento fisso nei palazzi imperiali a cominciare dalla Domus Aurea di
Nerone. Il palazzo di Costantino comprendeva una sala ottagonale; e nel VI secolo ebbe un nuovo centro
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nel Chrysotriklinos ("la sala d'Oro"), un ottagono coperto da una cupola. In terra bizantina possiamo
ricordare, fra le altre, la Rotonda di Tessalonica che, quale che ne fosse la destinazione originaria, faceva
parte del palazzo dell'imperatore Galerio. A Costantinopoli nel palazzo del praepòsitus Antioco (inizio del
V secolo), la sala centrale era un esagono. È interessante osservare che entrambe queste strutture furono
più tardi trasformate in chiese. La Rotonda di Tessalonica in un santuario di dedicazione sconosciuta (ora
San Giorgio), e la seconda nel martyrion di Sant'Eufemia.
Le due linee dell'architettura religiosa di età giustinianea
• La linea aulica dell’architettura religiosa di Giustiniano
Ma questi modelli di ambiente imperiale possono essere richiamati solo per una delle due linee
dell'architettura religiosa giustinianea, quella che potremmo definire "aulica". È l'architettura di alcuni
edifici di particolare impegno e di committenza imperiale (come Santa Sofia e i Santi Sergio e Bacco a
Costantinopoli) o riconducibili all'ambito di corte (come il San Vitale di Ravenna). Questa linea
corrisponde ad uno degli aspetti della politica di Giustiniano, quello della riaffermazione anche simbolica
dell'impero romano come impero universale.
Ma le audaci soluzioni costruttive e la ricercata concezione delle chiese dei Santi Sergio e Bacco e di Santa
Sofia, con i loro affascinanti effetti di ambiguità e fluidità spaziale, rimasero un fatto confinato a
Costantinopoli e concluso in un periodo relativamente breve.
• I modelli standard
La seconda linea è quella dei modelli "standard" basati su criteri costruttivi chiari e ripetitivi, idonei alla
realizzazione di chiese di ogni dimensione e funzione. Corrisponde al lato pragmatico della personalità e
dell'opera costruttiva di Giustiniano.
Al contrario della linea “aulica”, l'architettura dei tipi "standard", basata su concezioni volumetriche chiare
e su soluzioni costruttive più semplici, si diffuse facilmente e rapidamente, determinando in misura
decisiva il successivo corso dell'architettura bizantina.
Ma in qualche misura le due correnti si intrecciano. In entrambe domina l'idea fondamentale di uno spazio
centralizzato coperto da una cupola, strettamente associata, come abbiamo visto alla liturgia e simbologia
della chiesa cristiana orientale.
1.2. LE "CHIESE STANDARD" DI ETÀ GIUSTINIANEA
• L’impianto centrale costruito sulla geometria del quadrato
La caratteristica distintiva delle "chiese standard" di età giustinianea è la presenza di una unità di base che
può costituire da sola tutto l'edificio oppure essere il nucleo di un impianto più complesso, sempre
contenuto in pianta in una forma semplice di rettangolo poco allungato. Tale unità di base consiste in un
volume "cubico", delimitato da quattro piloni angolari a pianta quadrata collegati da archi e coperto da
una cupola.
Si individua in pianta una croce greca inscritta in un quadrato maggiore, con un grande spazio cubico al
centro sormontato da una cupola e quattro quadrati minori negli spazi residuali fra la croce e il perimetro
esterno. Nel tipo di chiesa "standard" ciascuna unità spaziale è conservata nella propria integrità. Lo
spazio è chiaro e quasi meccanico nella sua struttura additiva.
La pianta centrale costruita in base al quadrato, rispetto a quella circolare o poligonale, oltre ad essere più
facile da costruire, consentiva di innestare facilmente una componente longitudinale nell'impianto
centralizzato, collocando su un asse l'altare e l'ingresso, e su quello ad esso ortogonale gli spazi per i fedeli.
• L’introduzione della cupola su pennacchi
La cupola era considerata un elemento irrinunciabile per il suo alto valore simbolico. In generale
nell'architettura romana la pianta delle volte corrispondeva quasi invariabilmente a quella dei muri che le
sostenevano. Così un ambiente a pianta rettangolare tendeva a ricevere una volta a botte, uno quadrato
una volta a crociera, uno cilindrico una cupola, uno poligonale una volta a spicchi. In questo modo si
stabiliva una chiara continuità tra strutture verticali e orizzontali.
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Invece, per impostare una cupola (una semisfera a base circolare) su un ambiente a pianta quadrata,
occorreva raccordare il quadrato di base con il cerchio di imposta della cupola iscritta in tale quadrato.
Una soluzione potevano essere gli sguinci, elementi lineari a ponte che attraversavano diagonalmente gli
angoli del quadrato di base in modo da sostenere le parti aggettanti della cupola. Gli sguinci potevano
essere realizzati con archi o anche con massicce travi, ma erano rettilinei e quindi, creando un ottagono
iscritto nel quadrato, si limitavano ad approssimare il quadrato alla forma del cerchio.
Il modo più elegante e geometricamente corretto di riempire gli angoli della pianta erano i pennacchi: ogni
pennacchio era una superficie concava che emergeva gradualmente da un angolo del quadrato di base
e, al contrario degli sguinci, si fondeva in sommità con il cerchio di imposta della cupola. I pennacchi
sono geometricamente parte di un'unica ideale superficie emisferica il cui diametro è pari alla diagonale
del quadrato di base. Se si costruiva realmente anche la porzione di questa superficie emisferica emergente
dal quadrato di base, la struttura risultante era la cosiddetta "cupola a vela". Tuttavia in questo caso la
parte percepita effettivamente come cupola era solo quella al di sopra dei pennacchi e così l'effetto visivo
era di una cupola ribassata.
La soluzione che invece rendeva percepibile una completa semisfera sovrapposta al cubo di base, era la
"cupola su pennacchi", ottenuta impostando sui pennacchi una cupola di diametro pari al lato del
quadrato di base. In questo caso l'effetto visivo non era quello di una cupola ribassata, come nella cupola
a vela, ma al contrario quello di una cupola quasi sospesa nell'aria, che toccava solo tangenzialmente il
quadrato di base.
• Precedenti e metodi costruttivi della cupola bizantina su pennacchi
Già presente almeno dal IV secolo in Siria, e nel V secolo a Ravenna nel mausoleo di Galla Placidia,
questa soluzione divenne il marchio di fabbrica dell'architettura bizantina. Essa accentuava il significato
simbolico della cupola, come immagine del regno dei Cieli. Elevare una cupola al di sopra di un ambiente
a pianta quadrata, con l'apparente assenza di dirette strutture verticali di sostegno, non faceva che
accentuarne il senso di trascendenza, facendola apparire come un elemento che levitava nello spazio
sostenuto da una forza misteriosa.
La tecnica costruttiva che si affermò al posto delle tradizionali pesanti volte in calcestruzzo o in pietra,
consisteva in sottili e leggeri gusci di mattoni capaci di coprire facilmente ampi spazi poggiando su
supporti relativamente esili e murature che non erano in calcestruzzo, ma in mattoni allettati su spessi
strati di malta.
Nel considerare esempi di chiese "standard" del VI secolo distinguiamo fra quelle che consistevano in
una sola unità di base (tipo elementare), e quelle che risultavano dalla combinazione di più di tali unità.
Tipo elementare: San Davide a Salonicco
La piccola chiesa di Hosios David (San Davide) a Salonicco (un quadrato di 14,75 metri di lato) mostra
il tipo elementare a croce già pienamente sviluppato nell'ultimo terzo del V secolo.
Il vano centrale è coperto da una cupola su pennacchi. Dei quattro bracci della croce inscritta, quello
orientale, opposto all'ingresso, è sopraelevato di alcuni gradini e destinato all'altare. Tale spazio si
conclude con un'abside semicircolare, l'unico elemento che emerge esternamente dal volume cubico
dell'edificio. I pilastri d'angolo contengono piccoli vani coperti da cupole a vela; i due vani a est, ai lati
dell'altare, terminano con piccole absidi.
Tipo complesso cruciforme: gli impianti modulari dei Santi Apostoli a Costantinopoli e
San Giovanni a Efeso
Nell'architettura chiesastica di età giustinianea, soprattutto successiva al 530, il nucleo cubico sormontato
da una cupola divenne un elemento usuale non solo per i piccoli edifici, ma anche per chiese più grandi
e importanti.
La caratteristica distintiva di tali grandi edifici è il loro carattere di modularità. Non vi era un solo nucleo
a cupola, ma si ottenevano piante complesse per combinazione additiva di più moduli cubici disposti
lungo uno o due assi, formando un impianto a sviluppo longitudinale o cruciforme. E' questo il modello
che sarà ripreso in età romanica in Occidente, in San Marco a Venezia e più tardi nell'architettura della
regione di Perigord in Francia.
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• Piante cruciformi
Come esempi di grandi chiese giustinianee a pianta cruciforme ricordiamo i Santi Apostoli a
Costantinopoli e San Giovanni ad Efeso. In entrambe la croce di pianta è ottenuta mediante la ripetizione
di moduli a cupola poggianti su grossi pilastri in comune fra moduli adiacenti.
La chiesa dei Santi Apostoli ci è nota attraverso la descrizione di Procopio di Cesarèa e alcune
raffigurazioni. Fu costruita da Giustiniano sul sito della chiesa dei Santi Apostoli di Costantino. Fu iniziata
intorno al 536 e consacrata nel 550. Aveva una pianta a croce greca composta da cinque unità a cupola.
Navate laterali e matronei correvano tutto intorno alla grande croce centrale e si aprivano sull'interno
attraverso due ordini di archi su colonne. Sotto la cupola centrale, l'unica che fosse illuminata da finestre
alla base, era situato il presbiterio; le altre cupole erano prive di luci e un po' più basse.
Anche San Giovanni ad Efeso fu fatta costruire da Giustiniano. Completata intorno al 565, ne
sopravvivono solo muri e pilastri fino all'altezza di 5-6 metri. Era a croce latina, con il braccio
longitudinale della croce formato da quattro moduli e quello trasversale da tre moduli. Tutti i moduli era
coperti da una cupola e poggiavano su pilastri in pietra da taglio collegati da arconi. All'esterno dunque
emergevano sei cupole e non cinque come l'Apostoleion. Era preceduta da un nartèce e da un atrio. La
croce centrale era circondata da navate con matronei coperti da volte a botte che si interrompevano solo
in corrispondenza della zona dell'altare che emergente all'esterno con un'abside semicircolare. Un doppio
ordine di arcate su colonne inserite fra i pilastri, separava lo spazio centrale dagli ambienti perimetrali.
• Piante longitudinali: la "basilica con cupola" di Sant'Irene a Costantinopoli
Come esempio di tipo complesso a sviluppo longitudinale, consideriamo un'altra fondazione giustinianea:
Sant'Irene a Costantinopoli. La chiesa, iniziata nel 532, fu ricostruita nel 740 dopo un terremoto. Della
chiesa di Giustiniano rimane, nelle sue parti essenziali, il pianterreno.
La chiesa consiste sostanzialmente in una sola grande unità cubica con cupola su pennacchi, poggiante
su quattro grossi piloni collegati tra loro da profondi arconi. Ma lo spazio interno è allungato in senso
longitudinale estendendo l’estremità occidentale verso l'ingresso (preceduto da un nartèce), con un tratto
di volta a vela e di quello orientale estendendo l’arcone orientale a formare un avancoro, oltre il quale si
apre un'abside emisferica, sporgente all'esterno con un volume poligonale. Una suggestiva sopravvivenza
del VI secolo è costituita dal synthronon una piccola cavea semicircolare addossata all'abside al perimetro
interno dell’abside e destinata ai celebranti.
Navate laterali con un piano di gallerie sovrapposte erano ricavate all'interno dello spessore dei grandi
piloni e separate dal vano centrale da una parete in cui si aprivano arcate su colonne.
Quindi l'effetto interno dominante non era tanto quello di un impianto centrale, ma piuttosto di uno
longitudinale centralizzato, dominato dalla grande cupola compresa fra le due volte a botte.
1.3. LE "CHIESE AULICHE" DI ETÀ GIUSTINIANEA
LA CHIESA DEI SANTI SERGIO E BACCO
La chiesa dei Santi Sergio e Bacco fu costruita a Costantinopoli fra il 527 e il 536. Precede di così poco
la costruzione di Santa Sofia che si è stati tentati di vederla come una sorta di modello sperimentale per
la grande cattedrale, ma non ci sono prove concrete in tal senso.
• L’impianto a doppio involucro con nucleo ottagonale
La chiesa è uno sviluppo ulteriore del tipo centralizzato a doppio involucro del San Lorenzo di Milano,
e delle grandi sale d'udienza imperiali. Mentre il prototipo milanese era basato sul quadrato, qui la pianta
è un ottagono all'interno di un involucro vagamente quadrato, da cui sporgono il nartece dal lato
d'ingresso e, sul lato opposto, un'abside dal profilo esterno poligonale.
Il nucleo centrale ottagonale è a due piani definito da otto grandi piloni a tutt'altezza posti negli spigoli e
collegati da arconi che ricostituiscono la continuità della forma ottagonale alla base della cupola. Le facce
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dell'ottagono comprese fra i piloni sono rettilinee lungo l'asse d'ingresso e lungo quello ad esso ortogonale
e absidate lungo le diagonali, con il risultato di un'alternanza di superfici piane e concave. Queste superfici
sono definite da diaframmi di colonne. Al piano inferiore, per ogni lato, due colonne sostengono una
trabeazione orizzontale, che fascia interamente l'interno con andamento mistilineo, proseguendo anche
attraverso i piloni, mentre al livello del matroneo due colonne in asse con quelle sottostanti, sostengono
archi. La zona dell'altare, a tutt'altezza, si sviluppa in profondità con un avancoro con volta a botte
seguito dall'abside.
• La cupola a spicchi
Il vano centrale è coperto da una cupola a sedici spicchi, impostata sull'ottagono di base. Quindi non è
una cupola emisferica su pennacchi, ma è più del tipo tradizionale romano con continuità fra geometria
delle strutture verticali e orizzontali. E' una struttura molto raffinata. Consiste in spicchi alternatamente
piani e concavi. Quelli piani sono traforati da finestre in asse con le arcate inferiori, mentre quelli concavi
coincidono con i pilastri angolari dell'ottagono. Il ricordo torna a certe volte a spicchi di Villa Adriana.
• La decorazione
La decorazione dell'interno è elegante e delicata. Al pianterreno, i capitelli "a cesto" sono ricoperti
interamente di giràli d'acanto spinoso, che incorniciano il monogramma di Giustiniano e croci, queste
ultime scalpellate via dai Turchi. I pulvìni ionici nei matronei sono altrettanto eleganti. Particolarmente
ricca è la trabeazione. L'intradosso dell'architrave è a cassettoni, decorato con rosette, quadrati e punte di
diamante. Nel fregio corre la scritta dedicatoria di Giustiniano e Teodora. Questa è l'ultima trabeazione
dal disegno perfettamente classico che vediamo nell'architettura bizantina.
• Trascuratezze in fase di realizzazione
L'ingegnosità del disegno e la raffinatezza dei dettagli (forniti già pronti dalle officine delle cave imperiali
di marmo delle vicine isole del Proconneso), contrastano con trascuratezze evidenti. Nulla è stato tentato
per neutralizzare l'irregolarità del sito. Anche l'ottagono è molto irregolare in pianta perché la parte
orientale è molto più lunga di quella occidentale e le due esedre orientali sono più ampie di quelle opposte.
La spiegazione può essere nel fatto che il progetto sia stato affidato a un capomastro non all'altezza e non
in grado di adattarlo accortamente al sito. L'edificio è costruito con murature di mattoni su spessi letti
di malta, e volte in mattoni come era allora usuale a Costantinopoli.
SANTA SOFIA A COSTANTINOPOLI
• Vicende e Cronologia
Santa Sofia a Costantinopoli fu costruita fra il 532 e il 537 nella prima fase del regno di Giustiniano. La
chiesa, annessa al palazzo imperiale situato sull'acropoli dell'antica Bisanzio greca, occupò il posto della
cattedrale di Santa Sofia, incendiata nel gennaio del 532 durante la rivolta di Nika.
• Motivazioni simboliche e politiche di Giustiniano
o L'incendio fornì a Giustiniano l'occasione di realizzare un'opera che era un vero e proprio
manifesto politico-religioso. La nuova straordinaria cattedrale, di impianto, dimensioni e
ricchezza fino allora mai viste, voleva essere il simbolo di quella rifondazione dell'impero romano,
come impero cristiano universale, che era l'ambizione di Giustiniano.
o Inoltre l'iniziativa rispondeva per Giustiniano anche a finalità politiche contingenti: era un atto di
espiazione e pacificazione dopo la grande sommossa di Nika che aveva investito violentemente
anche l'area dei palazzi imperiali ed era stata repressa giustiziando nell'ippodromo oltre trentamila
rivoltosi; era uno strumento di legittimazione di fronte all'aristocrazia che respingeva la sua
pretesa al trono, per il fatto che suo zio Giustino I, che lo aveva preceduto come imperatore,
aveva raggiunto il potere tramite un colpo di Stato, scavalcando la linea di successione dinastica.
• Gli architetti e la realizzazione
L'intenzione di realizzare qualcosa di straordinario, fuori dal comune, è testimoniata dal fatto che
l'incarico del progetto e della realizzazione dell'opera fu affidato ad Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto.
Costoro era quelli che i contemporanei chiamavano mechanikoi, esperti in dottrine teoriche che potevano
trovare applicazione pratica nelle costruzioni (come la statica, la geometria e la matematica), ma non
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architetti di mestiere. Erano le figure più idonee a immaginare e realizzare un edificio grandioso e insieme
innovativo, ai limiti delle possibilità tecniche dell'epoca. Nessun arkitecton formato nella pratica corrente
avrebbe osato immaginarlo e tantomeno costruirlo, perché era un edificio rischioso oltre che non
convenzionale.
Nel breve tempo di cinque anni i due scienziati furono in grado di portare a termine un'impresa
straordinaria anche in termini logistici: colonne e marmi provenienti da tutte le regioni egee e addirittura
dalla costa atlantica della Francia; i laboratori di marmorari del Proconneso occupati a preparare capitelli,
cornicioni e grandi lastre pavimentali; migliaia di lavoratori «raccolti da tutto il mondo» per lavorare nel
cantiere, nelle fornaci di mattoni e nelle cave. Si racconta che entrando in chiesa il giorno della
consacrazione Giustiniano abbia esclamato: «Salomone, ti ho vinto!».
• Descrizione
L'impianto è del tipo a doppio involucro attorno ad un grande volume cubico coperto da una cupola.
Una sorta di "baldacchino" a pianta quadrata di circa 32 metri di lato è inserito in un involucro
rettangolare tendente al quadrato, i 71 per 77 metri.
Quattro grandi pilastri s'innalzano agli angoli del quadrato centrale. A 21,50 metri da terra da essi si
staccano quattro arconi che definiscono i quattro lati del quadrato. Al di sopra di essi si imposta una
cupola su pennacchi, leggermente ribassata. Nella sua versione originaria, crollata nel 558 a seguito di due
terremoti, era di 6 metri ancora più bassa di quella attuale. La cupola attuale (quella ricostruita dopo il
558) si presenta oggi come una sorta di gigantesca conchiglia sostenuta da quaranta nervature che si
alternano a quaranta piccole finestre alla base. Dunque a differenza di quella del Pantheon, sostenuta da
un tamburo cilindrico, la cupola di Santa Sofia poggia su quattro arconi e quindi lo spazio da essa coperto
può aprirsi sui quattro lati verso ulteriori ambienti.
Agli arconi ad ovest e a est, corrispondenti rispettivamente all'ingresso e all'altare, si appoggiano due
semicupole di rinfianco dello stesso diametro della cupola principale, di cui contribuiscono a sostenerne
la spinta. Ciascuna delle due semicupole poggia a sua volta su tre archi attraverso i quali lo spazio si
espande ulteriormente. In corrispondenza dell'arco centrale un'abside sporge all'esterno preceduta da
una breve volta a botte a cui ne corrisponde una uguale sul lato opposto d'ingresso. In corrispondenza
dei due archi in diagonale si aprono due esedre coperte da semicupole. Quindi il grande spazio centrale
si espande nella direzione est-ovest includendo tre livelli di volte gerarchicamente interconnessi, la cupola,
le due semicupole di rinfianco e le quattro semicupole più piccole di rinfianco a queste.
Gli arconi a nord e a sud sono invece chiusi da grandi pareti-diaframma che separano le "navate laterali"
e le sovrapposte gallerie (o matronei) dallo spazio centrale. Le volte di tali ambienti laterali (a padiglione
al piano delle navate laterali, cupole su pennacchi al piano superiore) poggiano su colonne e pilastri e
sono collegate ai pilastri e ai muri principali del nucleo centrale da volte a crociera e a botte.
• Il carattere dell’impianto
Appare coerente con la visione autocratica del potere di Giustiniano il fatto di aver adottato non la
precedente e tradizionale tipologia basilicale, ma una tipologia che ricordava le grandi sale delle udienze
dei palazzi imperiali, stabilendo un'associazione diretta fra il potere di Cristo e il potere imperiale. La
pianta mostra il logico sviluppo delle possibilità spaziali inerenti al sistema a doppio involucro (o a
baldacchino), con un effetto di espansione e grandiosità dell'interno generato dalla combinazione del
grande volume cubico centrale con gli ambienti che lo circondano come uno strato spaziale luminoso.
Ma sulla centralità dell'impianto di base si innesta una forte dimensione longitudinale già annunciata dalla
sequenza assiale, atrio-esonartece-endonartece che precede l'aula, secondo la canonica organizzazione
delle chiese paleocristiane dell'area egea. Lo spazio centrale si espande verso est e verso ovest, nella
direzione che va dall'ingresso all'altare, mentre è separato dagli spazi perimetrali sui lati nord e sud da
scenografiche pareti-diaframma composte da due ordini sovrapposti di arcate su colonne sormontate dal
claristorio, secondo la sequenza verticale che si osserva nelle basiliche paleocristiane di tipo egeo.
• Il sistema strutturale
Dal punto di vista strutturale Santa Sofia fu un'opera sperimentale e audace nella concezione, ma
realizzata con tecniche costruttive che appartenevano alla tradizione delle aree greche dell'impero già da
tempo.
La chiesa non è costruita nel massiccio e pesante opus caementicium romano. I quatttropilastri principali
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sono in grandi blocchi di pietra calcarea locale. L'involucro esterno, la cui funzione strutturale era
secondaria, era relativamente sottile (di uno spessore di 80 cm.), ma anche qui si usarono blocchi di pietra
fino a un'altezza di circa 7 metri; per il resto i muri, in tutto il loro spessore, furono realizzati con sottili
mattoni affondati in letti di malta alti sino a 7 centimetri, attraversati da filari di pietra, secondo un uso
comune nell'edilizia di Costantinopoli. Anche il sistema costruttivo delle volte apparteneva alle
consuetudini della parte orientale dell'impero. Erano volte particolarmente sottili e leggere fatte di un
solo strato di mattoni disposti di taglio.
Il modello statico di base adottato dai progettisti è quello di un corpo centrale a cupola contraffortato da
strutture voltate minori, secondo una progressione gerarchica a più livelli che all'interno produce un
effetto spaziale di espansione, mentre all'esterno l'effetto di un'accumulazione "piramidale" di volumi
minori attorno a quello centrale. Il principio troverà applicazione nella successiva architettura bizantina
"standard", ma qui, a complicare le cose, intervengono la straordinaria dimensione della cupola "sospesa
nell'aria" a grande altezza su quattro arconi e la volontà di innestare su tale impianto una chiara
direzionalità longitudinale.
• Il problema strutturale della cupola
Gli architetti bizantini avevano esperienza come costruttori di cupole su pennacchi, ma una cupola di
oltre 30 metri di diametro, che per di più non poggiava su muri pieni ma su quattro arconi, era un'impresa
mai tentata prima. Era difficile farsi in anticipo un'idea precisa delle spinte che avrebbe esercitato e,
durante la costruzione, si verificarono problemi legati a deformazioni per spinte eccessive o assestamenti
delle strutture verticali di sostegno.
Ad est e ad ovest le semicupole esercitavano una controspinta che tendeva a equilibrare la cupola in quella
direzione, ma sui lati nord e sud, chiusi dalle pareti-diaframma, a cupola non aveva strutture di
contraffortamento, cioè capaci di creare controspinte. Gli arconi laterali, per quanto straordinariamente
profondi, erano spinti verso l'esterno dalle spinte della cupola e le dislocazioni risultanti la deformavano
indebolivano. Mentre, secondo il progetto, la sua base avrebbe dovuto essere un cerchio perfetto, in realtà
essa era una ellissi, più larga di circa due metri da nord a sud a causa proprio dell'inclinazione dei muri
laterali. Per contrastare questi spostamenti, verificatisi in corso d’opera, le due coppie di setti murari,
addossate a nord e a sud al nucleo centrale, furono innalzate al di sopra dei tetti delle navate laterali, in
modo da accrescerne la stabilità.
La prima cupola durò soltanto vent'anni. Incrinata dalla serie di terremoti che colpirono Costantinopoli
fra il 553 e il 557, nel 558 crollò. Furono rinforzati gli arconi a nord e a sud e si ricostruì la cupola di 67 metri più alta. Questa è sostanzialmente ancora la cupola attuale.
•
Decorazione e arredi
Pilastri e pareti sono rivestiti in lastre di marmo fino al piano comune di imposta delle cupole, con un
disegno a bande orizzontali e riquadri di marmi policromi che fascia interamente e unifica l'interno del
grande vano centrale, seguendone il contorno mistilineo. Le colonne di navate e matronei sono in
marmo verde di Tessaglia e furono realizzate appositamente. Le uniche colonne di spoglio sono quelle
in porfido egiziano nelle due esedre ai lati dell'abside. Il pavimento è in marmo grigio.
Con la conquista turca di Costantinopoli nel 1453 i mosaici con figure, comunque tutti di epoca
successiva a Giustiniano, furono coperti con una tinta gialla; quattro enormi scudi, con versetti del
Corano, furono appesi ai pilastri che fiancheggiano l'abside e l'entrata.
L'ordine principale presenta un capitello dal profilo troncoconico avvolto da foglie di acanto intagliate,
con volute appena accennate. Le basi formano un blocco unico con il plinto. Non sono presenti pulvini
fra capitelli e archi. Una trina di racemi copre i pennacchi delle arcate.
Cupole e semicupole, volte e intradossi degli archi splendevano di mosaici di cui sopravvivono pochi
frammenti con racemi d'oro in campo azzurro-verde o croci purpuree su un fondo oro e argento.
Mancavano mosaici figurativi. La cupola originaria, era decorata da un semplice mosaico d'oro, mentre
la cupola ricostruita presentava una grande croce.
Nell'abside c'era un synthronon di sette scalini per il clero. Da qui un passaggio delimitato da un parapetto
di marmo, conduceva all'ambone monumentale situato sull'asse longitudinale della chiesa e accessibile
tramite due scale laterali. Questi elementi erano rivestiti di argento; lampade d'oro pendevano negli
intercolunni e dinanzi all'abside.
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• Le irregolarità nei particolari
Un occhio abituato alla correttezza classica nelle relazioni fra le parti e nelle proporzioni, può restare
sconcertato da certe irregolarità di Santa Sofia.
o Nelle pareti diaframma alle quattro colonne allineate al pian terreno corrispondono sei colonne
al livello della galleria; e nelle nicchie ci sono due colonne in basso e sei in alto; cosicché il ritmo
dell'ordine superiore non corrisponde a quello dell'ordine inferiore, una soluzione poco corretta
anche dal punto di vista strutturale.
o Nel nartece le cinque porte esterne, tranne quella centrale, non sono allineate perfettamente con
le porte interne, e gli archi traversi che partono dalle lesene del muro esterno non sono in
relazione con le articolazioni del muro interno.
Entro i limiti, molto ampi, del disegno generale, le variazioni sono infinite, arrivando talvolta alla pura e
semplice trascuratezza. Ma non è nella coerenza e razionalità dei rapporti strutturali fra gli elementi
linguistici da ricercare il valore e l'intenzione originale di quest'architettura.
•
Santa Sofia e il Pantheon. Trascendenza e immanenza del divino
Le qualità di Santa Sofia emergono con chiarezza quando la si confronti con il Pantheon, la sua
controparte romana.
L'interno del Pantheon appare come uno spazio semplice e razionale, comprensibile e quasi tangibile
nella sua sferica solidità. Il grande oculo lo illumina con un fascio di luce che si muove nel corso della
durata del giorno. Il cassettonato della cupola ne estende illusionisticamente il percepibile spessore.
Questo interno è un'immagine del cosmo nella sua perfetta compiutezza. Lo spazio, la luce, il colore sono
le qualità di un corpo materiale che viene affermato e percepito nella sua consistenza e realtà.
In Santa Sofia, attraverso l'architettura, non si cerca di rappresentare la perfezione del cosmo, ma di
alludere alla trascendenza del divino, come mistero inafferrabile. Non si afferma l'assoluta corporeità, ma
si mira ad un effetto di smaterializzazione e spiritualizzazione dell'architettura, attraverso effetti di spazio,
luce e colore. Le qualità dello spazio architettonico contribuiscono al suo significato simbolico. Prevale il
senso dell’immateriale e dell’indefinito e non del corporeo e chiaramente definito.
o Innanzitutto la complessa struttura spaziale a doppio involucro con la sua trasparenza, complicata
dall'innesto di un asse longitudinale, fa sì che le unità spaziali non siano chiaramente afferrabili
ma fluiscano l'una nell'altra. La complessa struttura delle volte è evasiva, distante, inaccessibile.
Viene a crearsi un insieme che pur essendo razionalmente e simmetricamente organizzato, appare
misterioso: lo sguardo del visitatore è continuamente trascinato da uno spazio all'altro, di cui non
riesce ad accertare esattamente l'estensione e la forma.
o Il rivestimento continuo delle pareti a fasce di marmi policromi e gli splendenti mosaici delle
cupole non mettono mai in evidenza lo spessore corporeo delle strutture, ma lo splendore delle
superfici. La grande cupola fluttua a grande altezza come una lontana, simbolica visione della
perfezione irraggiungibile in questa vita - come scrisse Procopio "una cupola d'oro sospesa al paradiso".
o Infine la luce non entra da un'unica apertura, ma sembra quasi filtrare attraverso l'intera struttura
con un continuo e quasi mistico effetto di controluce. Entra misteriosamente dalle navate laterali
e dalle gallerie, e nel grande spazio centrale miriadi di lame di luce, che provengono ritmicamente
da varie altezze, servono meno a definire lo spazio che ad accrescere il senso di mistero.
• Il significato simbolico degli elementi
La cupola di Hagia Sophia è il centro simbolico della chiesa. Il nucleo centrale di Hagia Sophia può essere
letto, senza alcuna forzatura, come una immagine dell’universo animato dallo spirito di Dio: il cubo
inferiore il mondo terrestre e la cupola il regno dei cieli. Per questo la cupola è il centro simbolico di Santa
Sofia.
Una simile interpretazione simbolica in termini sia teologici che cosmologici era del tutto normale nel VI
secolo. Un inno scritto in Siria solo cinquant'anni dopo la costruzione di Santa Sofia descrive la cattedrale
di Edessa in termini molto simili. Per quanto piccola, dice il poeta, somiglia all'universo. La sua cupola
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librata in alto è paragonata al Cielo dei Cieli, dove Dio risiede, e i suoi quattro archi rappresentano le
quattro direzioni del mondo. I pilastri sono come le montagne della terra; le tre finestre nell'abside
simboleggiano la Trinità, i nove gradini che portano al presbiterio rappresentano i nove cori degli angeli.
In breve, conclude il poeta, l'edificio rappresenta cielo e terra, gli apostoli, i profeti i martiri e, in definitiva,
la divinità.
• L'esterno
L'esterno di Santa Sofia nel trattamento è ordinario quanto l'interno è straordinario e, in termini di masse,
non è che la mera proiezione dell'interno, il suo "negativo". Così come all'interno domina un senso di
espansione spaziale, all'esterno domina l'effetto di masse che si aggregano in progressione gerarchica
piramidale attorno all'elemento centrale. In età turca furono aggiunti i quattro minareti che hanno tolto
alla cupola il ruolo di culmine dello sviluppo piramidale dei volumi esterni. Ne consegue che l'esterno di
Santa Sofia non appare come una struttura risultante dalla composizione di elementi chiaramente
identificabili nella loro autonomia (come nel Partenone o anche nel Pantheon) ma un profilo complesso
che non si comprende se non in funzione dell'interno.
Anche dal punto di vista dei materiali la gerarchia fra interno ed esterno è evidente. L'esterno è nudo e
pesante e privo di enfasi, e lo è sempre stato, con i suoi massicci volumi di mattoni intonacati, privi di
elementi decorativi, sormontati da cupole rivestite di tegole di piombo grigio spento.
Già nel VI secolo la chiesa era circondata da edifici sussidiari, come succede nelle altre cattedrali
paleobizantine. La facciata meridionale era nascosta dal palazzo del Patriarca, un vasto complesso di
edifici che dovevano raggiungere un'altezza considerevole, se comunicavano direttamente con il piano
dei matronei della cattedrale. Anche la facciata a nord non era libera, come si può ancora vedere da alcuni
archi in rovina che dovevano unire la cattedrale ad altri edifici. Cappelle e annessi si addossavano contro
il lato orientale. L'unico fronte da cui si potesse avere una visione libera della facciata era quello
occidentale, preceduto da un atrio colonnato di circa 60x40 metri, con una fontana al centro. Solo su
questo fronte la facciata era rivestita in lastre marmo (del Proconneso).
•
Conclusioni
Santa Sofia è un unicum. Non esiste un altro edificio bizantino che sia grande neppure la metà di questo;
ed è una misura del declino tecnico e finanziario dei secoli successivi, il fatto che la costruzione di Santa
Sofia apparisse a questi come una sorta di miracolo architettonico, condotto a termine soltanto grazie
all'intervento divino.
SAN VITALE A RAVENNA
• Unicità di San Vitale
In Occidente esiste solo una chiesa che ricordi da vicino la tipologia dei Santi Sergio e Bacco: si tratta di
San Vitale a Ravenna, realizzata negli anni incerti di passaggio dal dominio ostrogoto a quello bizantino.
Anche dopo la fondazione dell'Esarcato d'Italia, San Vitale rimase un'eccezione e il tipo basilicale in Italia,
Ravenna compresa, restò la norma.
• Vicende e cronologia
San Vitale fu fondata verso il 526, sotto il vescovo Ecclesius, in periodo ostrogoto. A quanto sappiamo,
era un martyrium, che ne sostituiva uno precedente del V secolo. Non si sa quanta parte della costruzione
sia stata compiuta prima della riconquista bizantina del 540. Comunque la chiesa fu dedicata dal vescovo
Massimiano nel 547.
Il committente fu una figura enigmatica, l'argentarius (banchiere) Giuliano, che finanziò la costruzione di
diverse altre chiese di Ravenna, fra cui Sant'Apollinare in Classe. Di lui sappiamo soltanto che era di
lingua greca, ma per la vastità della sua committenza edilizia, alcuni studiosi hanno visto in lui una sorta
di emissario di Giustiniano a Ravenna. La presenza dei ritratti imperiali nel presbiterio dimostra
comunque la sua vicinanza all'ambiente imperiale.
• L’impianto
San Vitale, come la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, ha un impianto a doppio involucro, con nucleo
centrale ottagonale coperto a cupola, circondato da un deambulatorio sormontato da un matroneo.
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Il nucleo ottagonale interno a tutt'altezza è definito nei vertici da otto pilastri a cuneo, orientati
radialmente e collegati in alto da archi, che inquadrano schermi colonnari absidati su due ordini
sovrapposti, che espandono spazialmente l’ottagono centrale in ogni direzione. I capitelli troncopiramidali con un elegante traforo, sormontati da un elemento di raccordo con l'arcata (il pulvino) sono
un elemento tipicamente bizantino che si incontra anche nelle basiliche paleocristiane di Ravenna.
Rispetto alla chiesa dei Santi Sergio e Bacco le proporzioni sono più slanciate e la cupola non è l'elemento
che appare come spazialmente e visivamente dominante. La cupola a San Vitale poggia su un alto
tamburo suddiviso in due zone: prima una cornice di nicchie poco profonde sopra gli angoli dell'ottagono,
poi, sopra e fra le nicchie, otto ampie finestre; la cupola comincia a curvarsi verso l'interno solo al di
sopra delle finestre.
Solo l'arcata in corrispondenza dell'altare è completamente aperta. Attraverso di essa la zona presbiteriale
si prolunga interrompendo il deambulatorio e sporgendo dal volume esterno dell'edificio con un'abside
dal profilo esterno poligonale. A San Vitale, come nei Santi Sergio e Bacco e a Santa Sofia, nell'impianto
centrale si innesta dunque una dimensione longitudinale che si conclude nella zona del presbiterio. Ma
anche qui a dominare è la centralità dell'impianto. Lo dimostra anche la disposizione obliqua del nartece
con il duplice ingresso e quindi senza la presenza di un accesso assiale che consenta a chi entra di
individuare immediatamente una direzione privilegiata.
Anche l'involucro esterno è ottagonale; così gli spazi perimetrali sono composti da una sequenza di
moduli uguali a pianta trapezoidale, invece della forma imprecisa e irregolare che hanno nei Santi Sergio
e Bacco. Non c'erano volte, ma solai in legno sul deambulatorio e a copertura dei matronei, semplificando
cosi la costruzione; le volte attuali sono un intervento più tardo.
• Qualità spaziali
Dovunque prevalgono le viste in diagonale. La ricca interconnessione fra lo spazio principale e quelli
secondari, la luce morbida, la forma ubiqua dell’arco che riverbera, prolifera e si espande - tutto questo
contribuisce a conferire un carattere aulico e non prosaico alla struttura. All'alternanza di spazi luminosi
o in ombra nella parte bassa, corrispondono, nella parte superiore, mosaici scintillanti, per lo più nei
colori verde, bianco, azzurro e oro, che guidano l'occhio fino a Cristo, al vertice della volta del presbiterio.
• I mosaici dell’abside
Su un lato dell'abside è raffigurato Giustiniano vestito della porpora imperiale, con un diadema e un
nimbo come quello dei santi cristiani. Reca una patèna in mano come simbolo della sua partecipazione al
sacramento della Eucarestia. E’ fiancheggiato da funzionari e oldati da un lato e dall'altro dal vescovo
Massimiano e altri religiosi. Il messaggio è chiaro: egli governa come imperatore romano e come capo
della chiesa. Sul lato opposto è raffigurata l'imperatrice Teodora che porta un calice d'oro, preceduta da
dignitari civili e seguita da dame di corte. Cristo è raffigurato nel catino absidale, seduto in trono su un
globo fiancheggiato dagli Arcangeli Michele e Gabriele, mentre porge la corona di gloria a San Vitale e il
vescovo Ecclesius gli offre il nuovo edificio.
• Esterno
All'esterno il volume dell'alto tiburio ottagonale (che include al suo interno la cupola) emerge rispetto al
volume concentrico più basso corrispondente al deambulatorio, interrotto dall'innesto del presbiterio con
i piccoli spazi annessi. Questa uniforme centralità era esaltata dalla posizione diagonale del lungo nartece,
tangente ad uno spigolo, piuttosto che parallelo ad uno dei lati, in modo da sottolineare il volume di
rotazione dell’ottagono piuttosto che innestare in esso una direzione privilegiata.
• Aspetti costruttivi
La concezione di San Vitale è bizantina; così pure sono bizantini gli elementi marmorei, in particolare le
colonne con i capitelli e le basi ottagonali in marmo del Proconneso importati dalle officine del mare di
Marmara. Alcuni di questi elementi portano il marchio dei muratori greci.
Anche l'opera muraria è stata prodotta secondo la tecnica bizantina: qui, come in altri edifici del VI secolo
a Ravenna, troviamo mattoni sottili e lunghi secondo l'uso di Costantinopoli ma realizzati in loco come
per tutti gli edifici finanziati da Giuliano a Ravenna. Sono messi in opera separati da abbondante malta,
cioè con proporzioni fra mattoni a malta tipiche dell'architettura bizantina e inverse a quelle allora
prevalenti a Milano e nell'Italia settentrionale.
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La volta ottagonale non è però realizzata in mattoni come a Costantinopoli, ma è costruita secondo la
tecnica locale dei tubi fittili infilati l'uno nell'altro e disposti ad anelli orizzontali, come nel battistero degli
Ortodossi. Questa cupola, più leggera di quelle di Costantinopoli, generava spinte laterali minori e
consentì di evitare la costruzione di contrafforti.
2. ARCHITETTURA RELIGIOSA DOPO GIUSTINIANO
2.1. LA CHIESA A CROCE GRECA CON CUPOLA
Il tipo di chiesa più comune nel periodo compreso fra il VII secolo e la metà del IX secolo (i "secoli bui"
del medioevo bizantino) fu la cosiddetta "chiesa a croce greca con cupola" detta anche "chiesa a deambulatorio".
SI tratta in sostanza della prosecuzione dell’architettura religiosa “standard” di età giustinianea.
Il nucleo centrale a tutt'altezza è un quadrato con agli angoli quattro massicci piloni quadrati che possono
essere pieni oppure cavi con piccoli ambienti interni. I piloni sono collegati da volte a botte corrispondenti
ai quattro bracci di una croce greca. Una cupola su pennacchi parte dagli apici delle volte a botte ed è
racchiusa esternamente in un basso tamburo forato da poche finestre.
Attorno a questo nucleo centrale si organizzano tutti gli altri spazi della chiesa. Sul lato orientale si
aggiunge il cosiddetto "triplice sacrario": il presbiterio, in continuità con il braccio orientale della croce e
concluso da un'abside esternamente poligonale; ai suoi lati due ambienti minori detti pastoforia : a nord la
prothesis, destinata alla preparazione delle specie eucaristiche del pane e del vino; a sud, il diaconicon
destinato alla custodia di libri, arredi e vesti liturgiche. Questi due ambienti si concludono in absidi minori
che all'esterno fiancheggiano quella centrale del presbiterio.
A nord e a sud, il nucleo centrale è fiancheggiato da navate con matronei e sul lato ovest è preceduto da
un nartece, anch'esso sormontato da un matroneo. Le navate laterali e il nartece al pianterreno, come
pure i matronei al livello superiore, comunicano tra di loro, e si aprono attraverso arcate su colonne sul
nucleo centrale costituendo, per cosi dire, un deambulatorio su due piani dal quale i fedeli partecipano al
rito che si svolge al centro, al di sotto della cupola. Solo il nartece risulta in certi casi separato da un muro
in cui si apre un'unica porta.
• Esempi
Si tratta di un impianto molto semplice e compatto, di cui restano pochi esempi. Uno, andato distrutto,
era la chiesa della Dormizione (ossia "della morte di Maria") a Nicea (Iznik nell'attuale Turchia).
Uno ancora esistente è la chiesa di Santa Sofia a Salonicco. E', rispetto alle altre chiese bizantine di quel
periodo, in genere di piccole dimensioni, una chiesa grande (l'esterno misura 35x43 m.), probabilmente
una commissione imperiale costruita per celebrare la vittoria del 783 sugli slavi che minacciavano la
Grecia. La struttura muraria è molto massiccia, la cupola è incassata in un tamburo quadrato. Colonne e
capitelli sono materiali di spoglio, navate laterali e gallerie hanno strutture orizzontali in legno.
2.2. LA RINASCENZA MEDIO-BIZANTINA
• La rinascenza dell’impero nel IX secolo e l’architettura medio-bizantina
Attorno alla metà del IX secolo per l'impero bizantino, dopo oltre due secoli di profonda crisi, cominciò
una fase di rinascita politica, economica e culturale. Il concetto di rinnovamento torna spesso negli scritti
dell'epoca. Ma non è inteso come innovazione quanto piuttosto come ristabilimento della grande
tradizione passata. Il prestigio dell'impero bizantino presso i popoli di quello che era stato l'impero
romano raggiunge il suo culmine. Per i Bizantini, che infatti denominavano sè stessi "romani",
l'imperatore di Bisanzio era sempre rimasto l'unico vero imperatore, e il suo impero, anche se sempre
meno esteso e potente, rimaneva l'impero romano.
L'architettura delle chiese dalla metà del IX fino al XII secolo è quanto mai feconda nella capitale e in
tutto l'impero. Si affermano nuovi tipi e si sviluppa uno stile architettonico complesso e raffinato, detto
"medio-bizantino". Non erano chiese grandi e anzi erano spesso piccole, in quanto le città principali
avevano già grandi chiese costruite nei secoli precedenti e perchè inoltre le nuove chiese erano
normalmente costruite per piccole comunità monastiche.
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Ciò per il fatto che dopo la fine delle lotte iconoclaste, mentre il clero secolare si trovò impoverito, i
monasteri, usciti vincitori dal conflitto, affermarono la loro autonomia trovando una generosa
committenza in ricche famiglie con cui si stabiliva un rapporto privilegiato. Un numero crescente di
monasteri furono edificati nelle città e a Costantinopoli in primo luogo. In questo modo i cittadini
influenti potevano godere della comodità e del prestigio di avere i loro propri monasteri nella capitale,
mentre i terreni che ne assicuravano il mantenimento dei monaci erano situati nei sobborghi o anche in
province lontane. Fuori Costantinopoli, in un impero in buona parte rurale, i monasteri, vere imprese
agricole, erano invece un punto di riferimento per le popolazioni rurali.
I due tipi di chiesa più innovativi introdotti nella fase medio-bizantina furono quello a ottagono e quello
a quinconce (detto anche "a croce greca inscritta" o "a quattro colonne"). Ma fu di gran lunga
quest'ultimo a dominare l'architettura ecclesiastica bizantina fino alla fine del Medioevo.
Il tipo ottagonale
La definizione di “tipo ottagonale” non deve trarre in inganno. Il volume centrale è sempre cubico, su
pianta quadrata. La forma di ottagono è raggiunta solo in alto, alla base della cupola. Il tipo ottagonale si
distingue in chiesa con cupola e chiesa con croce greca.
• La chiesa ottagonale con cupola
Il tipo di chiesa ottagonale con cupola è giunto sino a noi solo in pochi esemplari, ad esempio la Nea
Moni dell'isola di Chio, una fondazione imperiale costruita da architetti costantinopolitani fra il 1042 e il
1056. Consiste in un grande spazio cubico a cui si addossano ad est il triplice sacrario e ad ovest un
endonartece preceduto da un esonartece. Lo spazio centrale non poggia su pilastri, ma su muri continui
e quindi mancano i bracci della croce e gli spazi circostanti sussidiari. Se l'impianto complessivo è
spazialmente più semplice rispetto agli altri tipi con nucleo centrale a croce, una certa macchinosità
caratterizza il congegno geometrico-strutturale.
Lesene, cornicioni e pannelli marmorei decorano le pareti dividendole in due ordini, ognuno dei quali
comprende tre campate: stretta, larga, stretta. Al di sopra del secondo ordine, piccole semicupole rialzate
("trombe emisferiche") si sviluppano agli angoli, mentre archi poco profondi s'innalzano lungo l'asse
principale al di sopra delle campate più larghe formando un ottagono di lati disuguali inscritto nel
quadrato maggiore. Infine otto pennacchi negli angoli, tra gli archi e le trombe d'angolo, creano un cerchio
su cui s'imposta un tamburo sovrastato da una cupola emisferica. La cupola è proporzionalmente molto
grande perché copre praticamente tutta l'ampiezza dello spazio centrale.
• La chiesa ottagonale con croce greca
Il tipo con ottagono a croce greca è più riuscito. Gli esemplari che ci rimangono sono limitati all'area
continentale della Grecia. Può essere ben illustrato da due chiese, il Katholikon del monastero di Osios
Lukas nella Focide, e il Katholikon del monastero di Daphni presso Atene, entrambe dell'XI secolo.
Il nucleo centrale è anche qui costituito da un volume cubico (di 9 metri di lato), sovrastato da una cupola
emisferica. Il quadrato centrale è sostenuto, ai quattro angoli, da pilastri a L collegati da arconi che, come
i bracci di una croce, si spingono dal centro verso le pareti perimetrali dell'edificio. Ogni braccio è coperto
da una volta a botte, e misura metà dell'ampiezza del quadrato centrale; il braccio verso est si conclude
con un'abside. In alto, quattro trombe d'angolo, una per ciascuno dei pilastri a L, si collegano agli archi
dei bracci della croce componendo un ideale ottagono regolare alla base della cupola.
Questo nucleo centrale è racchiuso in pianta entro un rettangolo più grande. Lo spazio compreso fra il
nucleo interno e il perimetro esterno è occupato da una cintura di vani sussidiari, coperti da volte a
crociera o da cupole. Sul lato orientale il presbiterio con cupola fiancheggiato dalla prothesis e dal diaconicon,.
L'effetto spaziale d'insieme è straordinariamente suggestivo nel suo complesso gioco di elementi alti e
bassi, di nucleo centrale e spazi sussidiari, di zone di luce chiara, di penombra e di oscurità.
Il tipo a quinconce
• Impianto tipo
Si riferivano al tipo a quinconce, gli studiosi che hanno affermato che il principale contributo del periodo
medio-bizantino consistette nell'elaborazione di un tipo di chiesa che era a suo modo perfetta.
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Come nella chiesa a croce greca con cupola, lo schema geometrico di base è sempre quello di una croce
greca inscritta in un quadrato suddiviso in nove parti con il centro della croce coperto da una cupola e i
quattro bracci coperti da volte a botte. Ma la differenza è che ora lo spazio centrale a cupola non poggia
su quattro piloni (pieni o con vani interni) che occupano interamente i quadrati minori d'angolo residuali
fra i bracci della croce, ma poggia su colonne o pilastri che lasciano liberi gli angoli per quattro ambienti
quadrati coperti da volte a crociera, a botte o da cupole. Queste campate quadrate, insieme con il grande
quadrato centrale, formano i cinque apici di un quinconce. Tale articolazione planimetrica si proietta anche
nei volumi esterni con uno schema a cinque cupole, con quella maggiore centrale circondata da quattro
cupole minori (o anche solo tamburi di finte cupole) agli angoli. Al quadrato a quinconce si aggiungono
sul lato est i volumi del triplice sacrario con le tre absidi poligonali sporgenti e, sul lato ovest quello del
nartece. Il presbiterio è perfettamente integrato nello schema d'insieme, separato da una parete decorata
da icone (iconostasi) verso lo spazio centrale e che comunica lateralmente direttamente con i pastophoria
(ossia i due ambienti laterali del diaconicon e della prothesis).
• I vantaggi rispetto allo schema della chiesa a croce greca con cupola
A prescindere da aggiunte o varianti, la pianta a quinconce diviene quella accettata quasi universalmente
nell'architettura bizantina dal X secolo alla caduta di Costantinopoli, alla metà del XVI secolo. In Russia
e nei Balcani sopravvive ben oltre questa data. Il motivo è nel fatto che si tratta di un impianto
estremamente razionale e compatto che rappresenta un passo in avanti rispetto al tipo a croce greca con
cupola.
o La liberazione dello spazio dei piloni consente di ottenere all'interno di una pianta a croce greca,
anche la continuità di un deambulatorio perimetrale, senza la necessità di aggiungere un anello di
ambienti ulteriori;
o inoltre consente di introdurre nell'impianto centrale una sorta di orientamento a tre navate
parallele che si concludono nel presbiterio centrale e, ai suoi lati, nella prothesis e nel diaconicon;
o infine consente di unificare e inglobare nello spazio interno della chiesa gli ambienti del triplice
sacrario, in sintonia con la codificazione finale della liturgia bizantina.
• La liturgia e lo spazio della chiesa a quinconce
In essa si canonizza il rituale dei due ingressi: il Piccolo ingresso, quando il Vangelo, all'inizio della liturgia
della parola, è portato dal diaconicon all'altare, e il Grande ingresso, quando vengono portate le specie
eucaristiche dalla prothesis all'altare, all'inizio della liturgia eucaristica. Entrambe sono processioni che
seguono un percorso circolare e non rettilineo, dalla prothesis e dal diaconicon dentro e intorno all'area
centrale coperta dalla cupola (naos); i celebranti passano con gli oggetti sacri dinanzi alla congregazione
dei fedeli e poi spariscono nel presbiterio (bema) per la celebrazione. Con la comunità dei fedeli confinata
nelle navate laterali e nel nartèce, lo spazio centrale sotto la cupola, diviene una sorta di anticamera del
santuario, un palcoscenico, per cosi dire, visibile ai fedeli, ma accessibile solo al clero. Su questo
palcoscenico sovrastato dalla cupola, Cristo si rivela al popolo in duplice forma: sotto le specie
dell'eucarestia recate dal celebrante, che passano dinanzi ai fedeli durante il Grande ingresso, trasformandosi
nel suo corpo e nel suo sangue durante la Comunione; come la Rivelazione, la Parola, nel Piccolo ingresso.
• Il primo esempio: la Nea Ecclesia a Costantinopoli
Si ritiene che l'impianto a quinconce sia stato introdotto nella Nea Ecclesia (Chiesa Nuova), costruita
dall'imperatore Basilio I nell'area del palazzo imperiale di Costantinopoli e consacrata nell'881. Questa
chiesa andò distrutta alla fine del XV secolo, cosicché la conosciamo soltanto dalle descrizioni medievali.
Era coperta da cinque cupole. Tre absidi poligonali sporgevano verso est e un nartece era addossato al
lato ovest, preceduto da un atrio con due fontane. A nord e a sud c'erano portici coperti da volte a botte.
Internamente la chiesa era rivestita di marmi e mosaici, con arredi in oro e argento.
• La chiesa del Myrelaion a Costantinopoli
La chiesa monastica del Myrelaion a Costantinopoli, attigua alla residenza del Grande Ammiraglio Romano
Lecapeno, incoronato imperatore nel 919 e costruita intorno al 920, incarna bene il tipo a quinconce nel
sofisticato stile della capitale. Ne rimane soltanto l'involucro. Sorgeva su un'alta sottostruttura simile nella
pianta alla chiesa sovrastante: probabilmente questa impostazione aveva lo scopo di portare la chiesa allo
stesso livello dell'adiacente residenza del Lecapeno. La chiesa era piccola, costruita interamente in
mattoni. Oggi la cosa più notevole dell'edificio sono gli esterni. I muri laterali del nartece sono
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leggermente curvi verso l'esterno, mentre sei lesene rotonde su ciascuno dei lati lunghi rispondono
all'articolazione interna.
• La chiesa della Theotokos nel monastero di San Luca
Nella seconda metà del X secolo il tipo a quinconce fu importato dalla capitale in Grecia, dove l'esempio
più notevole è la chiesa della Theotokos nel monastero di San Luca (Osios Lukas) nella Focide. L'interno è
una pianta a quinconce su colonne. All'esterno vediamo per la prima volta delle caratteristiche che
saranno poi tipiche della Grecia bizantina. I semplici volumi sono animati da ricche textures, realizzate
con la tecnica del "cloisonné", secondo la quale le pietre, disposte in filari singoli, sono ciascuna
incorniciata da mattoni, tanto orizzontalmente che verticalmente. Dentellature corrono orizzontalmente
e incorniciano anche gli archi delle finestre. Anche più esotici sono i motivi ispirati ai caratteri cufici
(antica scrittura araba), introdotti in abbondanza sulle pareti. Infine, la cupola è incassata esternamente
in lastre di marmo a rilievo. E' un'immagine ariosa che contrasta nel suo carattere con le austere chiese
armene e con gli esterni plasticamente elaborati di Costantinopoli.
• Santa Maria dei Calderai
Santa Maria dei Calderai (Panagia ton Chalkeon) a Salonicco, risale al 1028. Era anche questa,
probabilmente, una chiesa monastica. La pianta è del normale tipo a quinconce su quattro colonne. Il
piano superiore del nartece ha due campate a cupola, mentre non ci sono cupole agli angoli del quinconce.
Poiché le due cupole del nartece sorgono piuttosto in alto, si dovette alzare corrispondentemente la
cupola centrale, inserendo un tamburo più alto del normale, con due ordini di finestre. La costruzione,
come nel Myrelaion, è interamente di mattoni, e anche qui troviamo lesene rotonde, le quali però, invece
di partire da terra, incominciano al di sopra del cornicione, mentre in basso sono rettangolari: si ha così
una netta divisione in due piani. Viene anche chiaramente sottolineata la distinzione fra il quadrato della
chiesa e il nartece. Introducendo una tendenza che diventa generale nell'XI secolo, le facciate presentano
un arretramento di piani in corrispondenza delle aperture e degli archi ciechi creando un effetto plastico.
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NOTE SULL'ARCHITETTURA MEDIO-BIZANTINA
• Tradizione classica "disseccata"
Nelle chiese medio-bizantine la ricerca della chiara articolazione delle parti richiama concetti
dell'architettura classica. Entro semplici volumetrie cubiche vengono create geometrie interne di elevata
complessità perfettamente centralizzate e integrate, ma lo spazio interno è frammentato e in un certo
senso meccanico nelle sue articolazioni. Il carattere indefinito, l'effetto di espansione, il "respiro" spaziale
dell'architettura giustinianea della linea "aulica", così come si vedono in Santa Sofia, sono scomparsi. E'
stato giustamente osservato che l'arte bizantina conserva e trasmette la tradizione classica in forma
disseccata. Se confrontiamo Santa Sofia con il Katholikon del monastero di Nea Moni a Chio, abbiamo
l'impressione che la seconda sia effettivamente una versione "disidratata" della prima.
• Spazio concentrato e trasfigurato: integrazione fra gerarchia spaziale, simbolismo e apparato iconografico
L'architettura medio-bizantina fu fondamentalmente un'architettura degli interni. Lo spazio interno era
centripeto, strutturato gerarchicamente: partendo dalla cupola scendeva alle volte, e alle pareti verticali,
come in una progressiva e simbolica discesa dal cielo alla terra. L'edificio era inteso come un'immagine
del cosmo, con la cupola rappresenta il cielo, mentre le parti inferiori formano la zona "terrestre". Quanto
più in alto un'immagine è sistemata nello schema architettonico, tanto più dev'essere considerata sacra.
Alle parti alte, cupole e volte sono anche riservati i preziosi e luminosi mosaici.
In coerenza con questi significati simbolici, evolse un uno schema iconografico canonico di mosaici e
affreschi che riproponeva la gerarchia dell'universo cristiano. La cupola principale presenta i temi più
elevati della gerarchia celeste: il Cristo Pantocrator oppure, in certi casi, la discesa dello Spirito Santo, o
ancora l'Ascensione. Da questa zona celeste, i temi scendono a soggetti subordinati anche se ancora
elevati. I pennacchi e le lunette sono occupati da scene della vita di Cristo e della sua Passione, secondo
il ciclo delle grandi festività. I muri e le volte a botte delle navate laterali presentano le figure dei testimoni,
cioè apostoli, martiri, profeti e patriarchi; il giudizio universale è rappresentato sulla controfacciata
d'ingresso sulla parete e la Vergine nell'abside del presbiterio.
Il programma iconografico che si vede nelle grandi decorazioni di Osios Lukas, di Dafni, di Nea Moni e di
Santa Sofia a Kiev (primo impianto nell'XI secolo), era inscindibilmente integrato in questa architettura:
non avrebbe potuto adattarsi facilmente a un impianto diverso e non sarebbe stato leggibile in
un'architettura di grandi dimensioni, nella quale si sarebbe perso il senso della relazione gerarchica fra le
varie figure. Quindi non olo la struttura gerarchica e centralizzata dello spazio, ma anche le piccole
dimensioni, il tono raccolto sono concetti essenziali dell'architettura medio e tardobizantina. Una
decorazione ricchissima, destinata a suggestionare profondamente il visitatore, veniva a stiparsi nello
spazio ridotto di queste chiese: rivestimenti marmorei. mosaici o pitture parietali; icone e reliquiari in
oro, smalto e vetro. L'ideale era quello della chiesa come spazio fisico trasfigurato in uno spazio spirituale.
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Note conclusive sulla prima architettura cristiana paleocristiana e
bizantina
• Il tipo di chiesa basilicale e gli altri tipi dell’architettura paleocristina
L'architettura cristiana nasce nella prima metà del IV secolo con le basiliche costantiniane. Anche grazie
al sempre più stretto legame con il potere politico, questa nuova architettura si diffonde in tutte le aree
dell'impero romano, con differenze locali ma, fino all'età giustinianea (inizi del VI secolo),
sostanzialmente unitaria nell'adesione al tipo della basilica a sviluppo longitudinale per la chiesa
congregazionale (cioè destinata elle normali celebrazioni comunitarie). Parallelamente si definiscono gli
altri tipi edilizi associati alle funzioni del battesimo (battistero a pianta ottagonale) e della
commemorazione dei defunti e dei santi (martyrion a pianta centrale e basilica funeraria a forma di circo).
Sappiamo che l'adozione del tipo basilicale fu in buona parte una scelta pragmatica compiuta all'interno
dei tipi edilizi tardoantichi, ma questo tipo dell'architettura civile romana si trasforma in funzione delle
esigenze liturgiche e simboliche del cristianesimo.
• Due vie possibili
Per cercare di comprendere il senso complessivo di tale trasformazione, è utile un parallelo fra religione
greca e religione cristiana. Quella greco-romana è una religione dell'immanenza, mentre quella cristiana è
una religione della trascendenza. La religione greco-romana è civica mentre quella cristiana è una religione
della salvezza individuale. La religione greco-romana celebra i suoi sacrifici all'aperto davanti ai templi,
mentre quella cristiana li celebra all'interno delle sue chiese.
La svalutazione/superamento del mondo materiale che caratterizza la religiosità cristiana si può manifestare in
architettura in due modi opposti.
o L’indifferenza alle qualità dello spazio fisico
Il primo modo è l'assenza di elaborazione formale, ossia una sostanziale indifferenza al
contesto fisico in cui il culto ha luogo (come avveniva nei tituli e poi nella cosiddetta chiesa-fienile
degli ordini mendicanti medievali), indifferenza motivata dal fatto che l'ecclesia non è in primo
luogo uno spazio fisico, ma la comunità vivente dei fedeli.
o Esprimere la trascendenza attraverso le qualità dello spazio
Il secondo modo è il tentativo di esprimere nella più materiale e pragmatica delle arti, quale è
l'architettura, qualità immateriali e spirituali, esaltando il ruolo della edificio chiesastico come
porta di accesso al trascendente. La prima architettura cristiana, e l’architettura bizantina
percorrono questa seconda strada.
• Esprimere la trascendenza
Priorità dell’interno sull’esterno
Priorità assoluta è attribuita alla elaborazione dello spazio interno. L'interno della chiesa sta all'esterno
come nell'uomo l'anima sta al corpo. La prima architettura cristiana è quella bizantina sono tutte
concentrate sull'interno, mentre l'esterno è trattato in modo piuttosto "ordinario" e puramente
funzionale. Si accetta tranquillamente che altri edifici con funzioni diverse si addossino alla chiesa. Entrare
nella chiesa deve dare il senso di compiere un salto, accedere ad un'altra dimensione. La chiesa cristiana
vuole essere a tutti gli effetti una "eterotopia", ossia l'irruzione nello spazio materiale di uno spazio "altro".
Smaterializzazione
All'interno si ricerca una sorta di "smaterializzazione" dell'architettura. Piuttosto che evidenziare le qualità
direttamente legate alla consistenza materiale e corporea dell'edificio, come la forma plastica e strutturale,
il peso della costruzione e la tessitura dell'apparecchio murario, si cerca di produrre l'effetto di uno spazio
immateriale fatto solo di qualità ottiche: luce e colore. Il mezzo fondamentale è trattare la parete come
una superficie priva di spessore e plasticità, rivestita in ogni sua parte di marmi, pitture o mosaici
trasformando quindi la struttura muraria in un involucro splendente e capace di aprire squarci su una
dimensione ultraterrena con le rappresentazioni ieratiche e i suoi fondi in oro.
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L’uso della luce
Tutto concorre a trasmettere un contenuto simbolico. La luce esalta le qualità ottiche delle superfici, ma
allo stesso tempo è di per sé l'elemento simbolicamente più vicino al concetto di divino. Nelle chiese ad
impianto basilicale o a cupola centrale la progressione fra le navate laterali in penombra e la navata
centrale ampiamente illuminata convergente sull'abside, esalta il senso della conversione come passaggio
dall'oscurità alla luce. Nelle chiese "a doppio involucro" come Santa Sofia a Costantinopoli, con la
molteplicità di fonti di luce, spesso nascoste, prevale la ricerca di una luce "misteriosa" che allude alla
trascendenza inafferrabile del divino.
• Architettura e liturgia
Per quanto riguarda il senso dell'organizzazione spaziale, questo non può essere compreso appieno senza
considerare la liturgia. L'architettura cristiana prende da questo punto di vista due strade distinte.
Fondamentalmente questa differenza è riconducibile a due tipi di religiosità: quella occidentale, ancorata
al tema dell'esistenza del cristiano nel mondo; quella orientale in cui prevale il senso mistico
dell'esperienza religiosa come trascendimento del mondo. A ciascuno di questi modi corrisponde il
prevalere di un diverso concetto spaziale: quello di percorso e quello di centro. A questa distinzione
corrisponde quella fra l'Occidente che resta fedele all'impianto longitudinale e l'Oriente che adotta, dal
VI secolo in poi, quello centralizzato.
o Nelle chiese basilicali d'Occidente la celebrazione avviene nell'area del presbiterio, sul fondo dello
spazio longitudinale della navata, riservata in buona parte ai fedeli. Nella basilica longitudinale
predomina il grande tema della vita umana intesa come cammino di redenzione. La disposizione
assiale della basilica dall'atrio alla navata, come successione di soglie per accedere ad aree sempre
più prossime al divino e riservate ad una cerchia sempre più ristretta, non fa che incarnare questo
concetto del cammino verso Cristo come forma di rigenerazione dell'individuo. In questo
contesto le colonne della basilica paleocristiana sono essenzialmente un elemento che
ritmicamente serve a materializzare e scandire tale percorso.
o Nelle chiese bizantine non solo il presbiterio ma anche lo spazio centrale, al di sotto della cupola,
è destinato ai celebranti. Ciò che organizza lo spazio fisico e liturgico è lo spazio centrale sul
quale converge l'intera chiesa e attorno al quale si dispongono i fedeli. Il centro, sotto la cupola,
è il luogo in cui il divino si mostra nel "piccolo ingresso" e nel "grande ingresso", i due momenti
cruciali della celebrazione. Se c'è un movimento è un movimento centripeto e insieme un
movimento verticale di elevazione verso il cielo.
• Il tema fondamentale della ricerca di una sintesi fra longitudinalità e centralità
Ma a ben guardare, la pianta della maggior parte delle chiese cristiane tende verso una combinazione o
una sintesi di longitudinalità e di centralizzazione. Il tema del conflitto/integrazione fra longitudinalità e
centralità resterà presente in tutta l'architettura cristiana.
Nella chiesa bizantina, fin dall'inizio, sull'impianto centrale si innesta sempre un asse longitudinale che va
dall'ingresso all'altare e che in pianta corrisponde all'introduzione del nartèce sul lato occidentale e del
triplo santuario sul lato opposto.
Ma anche nella chiesa di tipo basilicale si porrà la necessità di introdurre nell'impianto longitudinale una
componente di centralizzazione dello spazio. Possiamo ricordare l'introduzione di un transetto nelle
grandi basiliche di San Pietro e di San Paolo a Roma e l'inserimento di un martyrion sul fondo di un corpo
basilicale, come nelle basiliche dei luoghi santi della Palestina. La chiesa a croce latina, con il cosiddetto
“transetto regolare” centralizzata sulla crociera, a partire dell'età carolingia, sintetizzerà in modo efficace
per l'Occidente cristiano il tema del percorso longitudinale con quello del centro.
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