Lo sguardo verso la cupola.
Frequentavo la scuola elementare, correva l’anno 1938, e, verso la fine della Messa della scuola,
prima di incamminarmi verso la passerella, mi fermavo fra i banchi ad osservare le persone che
si muovevano lungo le impalcature che ingabbiavano la cupola, su, su fino alla lanterna.
Cercavo di immaginare ciò che stava succedendo fra quei legni incrociati. Una risposta mi venne
dal sacrista, Angelo Barbò, mio cugino, che, un pomeriggio, in una pausa delle prove dei
chierichetti del piccolo clero, mi chiese di accompagnarlo sull’impalcatura.
Ero finalmente ammesso a guardare da vicino i muratori, gli stuccatori e il pittore Galizzi, che
affrescava gli spicchi della cupola. Da quella posizione privilegiata le figure delle Vergini erano
enormi, gigantesche, così i putti e le scritte dei cartigli.
Ancora oggi, quando rivolgo lo sguardo verso la cupola rivivo quell’emozione. Mi sento partecipe
di quel restauro.
Così rivivo l’intervento del pittore Vanni Rossi, che ha affrescato, negli anni cinquanta, il catino
dell’abside.
I cartoni preparatori dell’opera, il Rossi li aveva disegnati nella sala parrocchiale, che si trovava
dove oggi è collocata la farmacia, di fronte alla parrocchiale.
Nel salone, dove si tenevano le riunioni dei giovani di Azione Cattolica, erano appesi grandi fogli
bianchi sui quali, a poco a poco, comparivano i particolari dell’affresco. Mi fecero impressione le
figure dei demoni che, aggrovigliati cadevano nell’inferno.
Grandiosa la figura della Vergine e degli altri personaggi che popolano l’affresco. Personaggi noti
fra i quali Angelo Barbò, il sacrista, che mi aveva condotto sotto la cupola.
Più interessanti dei miei, sono i ricordi di don Vincenzo Rosa che, nato nel 1750, così racconta
nelle sue “Memorie”.
“Nella primavera del 1752 si era in Palazzolo cominciato a fabbricare quella grandiosa chiesa
parrocchiale.
La fabbricazione di quel gran tempio è durata circa sedici anni, cioè pressoché tutto il tempo
della mia stessa crescita. Così questa fabbrica ed io crescevamo corrispondentemente. Io me
nericordo quando i muri non erano alti che qualche uomo; e di molti mi ricordo di averne veduto
scavare i fondamenti, precisamente dei due grandi pilastri primi e che sostengono la cupola. Mio
zio Lodovico mi vi conduceva di spesso, essendo non lontana la nostra casa; e mi portava sin
sopra i ponti dei muratori.
In tutto quel sito dove ora è la detta chiesa, v’erano molte case, le quali si atterravano e vi era
una chiesetta di Santa Maria Maddalena. In quella chiesetta si faceva la Dottrina cristiana delle
fanciulle; e le mie zie materne mi vi portavano seco loro, e mi ricordo quando si cominciò a
traforare i muri di questa chiesetta e che i ragazzi venivano a guardare nella Dottrina per quei
trafori.
Mi ricordo com’era fatta presso a poco quella chiesetta, come aveva l’altare, una nicchia laterale
con una grossa statua in stucco inginocchiata della Maddalena, come n’era fatta la porta e sopra
quella una pittura della Maddalena portata dagli angeli; e quando l’una e l’altra furono
demolite”.
Francesco Ghidotti
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