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FILOSOFÌA E SCIENZA 5. EINSTEIN & POPPER

FILOSOFÌA E SCIENZA 4. EINSTEIN E POPPER: QUALE RAPPORTO TRA TEORÌA ED ESPERIENZA?
Albert Einstein (1879-1955), lo scienziato che ha rivoluzionato la fisica del Novecento, ha avuto un grande impatto anche sulla
storia della filosofìa per almeno tre ordini di considerazioni:
1. le nostre concezioni di spazio, tempo e materia sono state modificate dal suo pensiero, determinando il superamento della
meccanica di Newton, sostituita dalla teorìa della relatività speciale;
2. stante la problematicità e la storicità delle stesse teorìe scientifiche, E. s’è anche posto domande in àmbito metodologico,
domandandosi se tali teorìe debbano reputarsi vere, verosimili o solo meri strumenti, anticipando ed ispirando Popper;
3. a notorietà acquisita, specie dopo la II guerra mondiale, divenne protagonista anche del dibattito etico-politico mondiale.
I contatti fra Einstein e Popper. Einstein e Popper si incontrarono in più occasioni nel corso della loro vita. La prima volta fu nel 1919,
l’anno che decretò il successo mondiale della relatività generale. In quello stesso anno, Einstein tenne una conferenza a Vienna a cui
Popper, che all’epoca era poco più che adolescente, ebbe modo di assistere, restandone, come scriverà più avanti, letteralmente
sbalordito. Popper fu impressionato dal fatto che fosse venuta alla ribalta una teorìa della gravitazione migliore di quella di Newton e
soprattutto perché Einstein aveva spiegato che la sua teorìa avrebbe potuto essere a sua volta confutata. In una intervista radiofonica che
rilascerà alla BBC negli anni Sessanta, Popper riconoscerà apertamente la grande influenza di Einstein sul suo pensiero, arrivando ad
affermare di non aver fatto altro, nella sua filosofia, che rendere espliciti alcuni punti che sono impliciti nell’opera di Einstein.
Come lavora lo scienziato: Einstein contro Bacone
Possiamo intercettare qualcosa di più preciso del pensiero
di Einstein se leggiamo il testo integrale dell'articolo
Induzione e deduzione in fisica, apparso su un giornale
tedesco, il "Berliner Tageblatt", il giorno di Natale del 1919.
Già nell’inverno 1919‐1920, il giovane Popper, cominciò a
lavorare intorno a queste idee, che poi sarebbero state
rese pubbliche nella sua soffertamente elaborata opera
principale, la Logica della scoperta scientifica, (1934)
poi letta da Einstein.
«L’immagine più semplice che ci si può formare dell’origine di una «Einstein tenne una conferenza a Vienna alla quale io fui presente;
scienza empirica è quella che si basa sul metodo induttivo. Fatti
singoli vengono scelti e raggruppati in modo da lasciare emergere
con chiarezza la relazione legiforme che li connette. Tramite il
raggruppamento di queste regolarità è possibile conseguire
ulteriormente regolarità più generali, fino a configurare ‒in
considerazione dell’insieme disponibile dei singoli fatti‒ un sistema
più o meno unitario, tale che la mente che guarda le cose a partire
dalle generalizzazioni raggiunte per ultimo potrebbe, a ritroso, per
via puramente logica, pervenire di nuovo ai singoli fatti particolari.
Un pur rapido sguardo allo sviluppo effettivo della scienza mostra
che i grandi progressi della conoscenza scientifica solo in piccola
parte si sono avuti in questo modo. Infatti, se il ricercatore si
avvicinasse alle cose senza una qualche idea preconcetta, come
potrebbe egli mai afferrare dal mezzo di una enorme quantità della
più complicata esperienza fatti i quali sono semplicemente sufficienti
a rendere palesi relazioni legiformi? Galilei non avrebbe mai potuto
trovare la legge della caduta libera dei gravi senza l’idea preconcetta
stando alla quale, sebbene i rapporti che noi di fatto troviamo, sono
complicati dall’azione della resistenza dell’aria, nondimeno noi
consideriamo cadute di gravi nelle quali tale resistenza gioca un
ruolo sostanzialmente nullo.
I progressi veramente grandi della conoscenza della natura si sono
avuti seguendo una via quasi diametralmente opposta a quella
dell’induzione. Una concezione intuitiva dell’essenziale di un
grosso complesso di cose porta il ricercatore alla proposta di un
principio (Grundgesetz) ipotetico o di più principi di tal genere. Dal
principio (sistema di assiomi) egli deduce per via puramente logicodeduttiva le conseguenze in maniera più completa possibile.
Queste conseguenze estraibili dal principio, spesso tramite sviluppi
e calcoli noiosi, vengono poi messe a confronto con le esperienze e
forniscono cosi un criterio per la giustificazione del principio
ammesso. Il principio (assiomi) e le conseguenze formano insieme
quella che si dice una teorìa. Ogni persona colta sa che i più grandi
progressi della conoscenza della natura ‒per esempio, la teorìa
della gravitazione di Newton, la termodinamica, la teorìa cinetica dei
gas, l’elettrodinamica moderna ecc.‒ hanno tutti avuto origine per
questa via, e che il loro fondamento è di natura ipotetica. Il
ricercatore parte dunque sempre dai fatti, il cui nesso costituisce lo
scopo dei suoi sforzi. Ma egli non perviene al suo sistema teorico
per via metodica, induttiva; egli, piuttosto, si avvicina ai fatti tramite
una scelta intuitiva tra teorie pensabili basate su assiomi.
Una teoria può ben venir riconosciuta come sbagliata, qualora si
avesse un errore logico nelle sue deduzioni o può venir riconosciuta
come inadeguata allorché un fatto non si accorda con una delle sue
conseguenze. Ma mai può venir dimostrata la verità di una
ma ricordo solo che ero sbalordito. Questa cosa andava
assolutamente oltre la mia comprensione. Io ero cresciuto in
un'atmosfera in cui la meccanica di Newton e l'elettrodinamica di
Maxwell erano accettate fianco a fianco come verità indubitabili.
Perfino Mach, nella sua Scienza della meccanica, in cui egli aveva
criticato la teorìa newtoniana dello spazio assoluto e del tempo
assoluto, aveva tuttavia mantenuto le leggi di Newton - inclusa la
legge dell'inerzia, della quale aveva dato una nuova e affascinante
interpretazione. E quantunque prendesse in considerazione la
possibilità di una teorìa non-newtoniana, pensava che prima di
poterla avviare si sarebbero dovute attendere nuove esperienze, che
sarebbero potute giungere, forse, da nuove conoscenze fisiche o
astronomiche sulle regioni dello spazio in cui sono presenti
movimenti più veloci e più complessi di quelli che si possono avere
nel nostro sistema solare. Nemmeno la meccanica hertziana
deviava, eccetto che nella sua presentazione, da quella di Newton.»
[K.R. Popper, La ricerca non ha fine. Un'autobiografìa intellettuale, 1974]
Possiamo dire che la nostra conoscenza si accresce man mano che
procediamo da vecchi problemi a nuovi problemi per mezzo di
congetture e di confutazioni, per mezzo della confutazione delle
nostre teorie, o, più generalmente, delle nostre aspettazioni.
Suppongo che qualcuno di voi ammetterà che di solito partiamo da
problemi; ma può darsi che pensiate ancora che il nostro problema
deve per forza essere il risultato di osservazioni e di esperimenti,
perché, prima di ricevere le impressioni attraverso i nostri sensi, la
nostra mente è una tabula rasa, una lavagna vuota, un foglio bianco;
perché non c'è nulla, nel nostro intelletto, che non vi sia entrato
attraverso i sensi.
Ma quello che sto combattendo è proprio questa venerabile idea. Io
asserisco che ogni animale è nato con molte aspettazioni,
solitamente inconsce, o, in altre parole, che è dotato fin dalla nascita
di qualcosa che corrisponde da vicino alle ipotesi, e così alla
conoscenza ipotetica. E asserisco che abbiamo sempre una
conoscenza innata –innata in questo senso– da cui partire, anche se
può ben darsi che di questa conoscenza innata non possiamo fidarci
affatto. Questa conoscenza innata, queste aspettative innate, se
disilluse, creeranno i nostri primi problemi, e l'accrescimento della
conoscenza, che ne segue, si può descrivere come un
accrescimento che consiste interamente nelle correzioni e nelle
modificazioni della conoscenza precedente.
Dunque capovolgo la situazione nei confronti di quelli che pensano
che l'osservazione deve precedere le aspettazioni e i problemi e
asserisco addirittura che, per ragioni logiche, l’aspettazione non può
precedere tutti i problemi, anche se, ovviamente, qualche volta
teorìa. E ciò perché mai si sa se anche nel futuro non si scoprirà
nessuna esperienza che contraddica le sue conseguenze; e sono
sempre pensabili altri sistemi di pensiero, in grado di connettere gli
stessi fatti dati. Se sono a disposizione due teorìe, entrambe
compatibili con il materiale fattuale dato, allora non esiste nessun
altro criterio per preferire l’una all’altra che lo sguardo intuitivo del
ricercatore. È così che si capisce come acuti ricercatori i quali
dominano teorie o fatti possono tuttavia essere appassionati
sostenitori di teorìe opposte.
In questa agitata epoca io sottopongo al lettore le presenti brevi,
oggettive, considerazioni, giacché io sono dell’avviso che per mezzo
della silenziosa dedizione a scopi eterni, comuni a tutte le culture
umane, si può oggi essere più attivamente utili al risanamento
politico che attraverso le trattazioni e le professioni politiche.
[A. Einstein, Induktion und Deduction in der Physik, «Berliner Tageblatt», 1919]
«Quali sono le conclusioni generali che possono trarsi dallo sviluppo
della fisica, così come l’abbiamo delineato in un sommario schizzo,
riassumente soltanto le idee più fondamentali? La scienza non è una
raccolta di leggi, un catalogo di fatti senza nesso. È una creazione
dell’intelletto umano, con le sue libere invenzioni d'idee e di concetti.
Le teorie fisiche tentano di costruire una rappresentazione della
realtà e di determinarne i legami con il vasto mondo delle
impressioni sensibili. Pertanto le nostre costruzioni mentali si
giustificano soltanto se le teorie costituiscono realmente un legame
di tal fatta e secondo come lo costituiscono. […] La fisica ebbe
realmente principio con le invenzioni di massa, di forza e di sistema
inerziale. Tali concetti sono tutte libere invenzioni. Essi condussero
alla formulazione del punto di vista meccanicistico. Per il fisico
dell'inizio del diciannovesimo secolo, la realtà del nostro mondo
esteriore consisteva in particelle ed in forze semplici, agenti sulle
stesse e dipendenti soltanto dalla distanza. Egli cercò di conservare,
quanto più a lungo possibile, la persuasione che riuscirebbe a
spiegare tutti gli eventi della natura mediante questi fondamentali
concetti della realtà. Ma prima le difficoltà inerenti alla deviazione
dell’ago magnetico, poi quelle connesse alla struttura dell'etere ed
altre ancora, condussero alla creazione di una realtà più sottile, con
l’importante invenzione del campo elettromagnetico. Occorreva una
coraggiosa immaginazione scientifica per riconoscere appieno che
l'essenziale per l'ordinamento e la comprensione degli eventi può
essere non già il comportamento dei corpi, bensì il comportamento
di qualcosa interposto fra di essi, vale a dire il campo. Sviluppi
posteriori demolirono i vecchi concetti, creandone dei nuovi. Il tempo
assoluto ed il sistema di coordinate inerziali vennero soppiantati
dalla teoria della relatività. Lo sfondo di tutti gli eventi non fu più
costituito da due continui, quello unidimensionale del tempo e quello
tridimensionale dello spazio, bensì dal continuo spazio-temporale a
quattro dimensioni (altra libera invenzione) con nuove proprietà di
trasformazione. Il sistema di coordinate inerziale divenne superfluo.
Si riconobbe che qualsiasi sistema di coordinate è egualmente
appropriato per la descrizione degli eventi naturali. La teoria dei
quanti creò a sua volta nuovi ed essenziali aspetti della nostra
realtà. La discontinuità rimpiazzò la continuità. Alle leggi governanti
gli individui subentrarono leggi di probabilità. La realtà creata dalla
fisica moderna è invero assai lontana dalla realtà dei primi giorni. Ma
gli scopi di ogni teoria fisica rimangono sempre gli stessi. Con l'aiuto
delle teorie fisiche cerchiamo di aprirci un varco attraverso il
groviglio dei fatti osservati, di ordinare e d’intendere il mondo delle
nostre impressioni sensibili. Aneliamo a che i fatti osservati
discendano logicamente dalla nostra concezione della realtà. Senza
la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile
raggiungere la realtà, senza convinzione nell'intima armonia del
nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. Questa convinzione è,
e sempre sarà, il motivo essenziale della ricerca scientifica. In tutti i
nostri sforzi, in ogni drammatico contrasto fra vecchie e nuove
interpretazioni riconosciamo l’eterno anelo d'intendere, nonché
l’irremovibile convinzione nell’armonia del nostro mondo,
convinzione ognor più rafforzata dai crescenti ostacoli che si
oppongono alla comprensione.»
[Albert Einstein, Leopold Infeld, L’evoluzione della fisica, 1938]
precederà alcuni problemi: ad esempio, quei problemi che sorgono
da un'osservazione che ha disilluso alcune delle nostre aspettazioni
o che ha confutato alcune delle nostre teorie.
Ora, questo fatto –il fatto cioè che l'osservazione non può precedere
tutti i problemi– si può illustrare con un semplice esperimento, che io
desidero eseguire, col vostro permesso, prendendo voi stessi come
cavie. Il mio esperimento consiste nel chiedervi di osservare, qui ed
ora. Spero che voi tutti stiate cooperando, ed osserviate! Ma temo
che qualcuno di voi, invece di osservare, provi il forte impulso a
chiedermi: “Che cosa vuoi che osservi?”.
Se questa è la vostra risposta, allora il mio esperimento è riuscito.
Infatti, quello che sto tentando di mettere in chiaro è che, allo scopo
di osservare, dobbiamo avere in mente una questione ben definita,
che possiamo essere in grado di decidere mediante l'osservazione.
Charles Darwin lo sapeva, quando scrisse: “Com'è strano che
nessuno veda che ogni osservazione non può non essere pro o
contro qualche teorìa...”.
Come ho detto prima, non posso sperare di convincervi della verità
della mia tesi, secondo cui l'osservazione viene dopo l'aspettazione
o l'ipotesi. Ma spero di essere stato capace di mostrarvi che può
esistere un'alternativa alla venerabile dottrina secondo cui la
conoscenza – e specialmente la conoscenza scientifica – parte
dall'osservazione.
[K.R. Popper, Problemi, scopi, e responsabilità della scienza in Scienza e filosofìa, 1963]
"1. Tutta la conoscenza scientifica è ipotetica o congetturale. 2.
L'accrescimento della conoscenza, e specialmente della conoscenza
scientifica, consiste nell'imparare dagli errori che abbiamo
commesso. 3. Quello che possiamo chiamare il metodo della
scienza consiste nell'imparare sistematicamente dai nostri errori; in
primo luogo, osando commetterli -cioè proponendo arditamente
teorie nuove- e, in secondo luogo, andando sistematicamente alla
ricerca degli errori che abbiamo commesso: andandone alla ricerca,
cioè, mediante la discussione critica e l'esame critico delle nostre
teorie. 4. Tra gli argomenti più importanti usati in questa discussione
critica ci sono gli argomenti tratti dai controlli sperimentali. [...] 10. La
parte fondamentale che nella scienza hanno le teorie, o ipotesi, o
congetture, fa sì che sia importante distinguere tra teorie
controllabili, o falsificabili, e teorie non controllabili o non falsificabili.
11. Solo una teoria che asserisca o implichi che certi eventi
concepibili non accadranno nel fatto, è controllabile. Il controllo
consiste nel tentare di fare accadere, con tutti i mezzi di cui
possiamo disporre, precisamente quegli eventi di cui la teoria dice
che non possono accadere. 12. Così si può dire che ogni teoria che
possa essere sottoposta a controlli vieta che certi eventi accadano.
Una teoria parla della realtà empirica solo nella misura in cui le pone
dei limiti. [...] 14. Nessuna teoria può dirci qualcosa intorno al mondo
empirico, a meno che non sia in linea di principio in grado di entrare
in collisione con il mondo empirico; e ciò significa, esattamente, che
dev'essere confutabile."
[K.R. Popper, Problemi, scopi, e responsabilità della scienza in Scienza e filosofìa, 1963]
Popper intende così il metodo scientifico dopo Einstein:
«La mia concezione del metodo della scienza è semplicemente
questa: esso sistemizza il metodo prescientifico dell'imparare dai
nostri errori: lo sistemizza grazie allo strumento che si chiama
discussione critica.
Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere
dicendo che esso consiste di questi tre passi:
1) inciampiamo in qualche problema;
2) tentiamo di risolverlo, ad esempio proponendo qualche nuova
teoria;
3) impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono
resi presenti dalla discussione critica dei nostri tentativi di
risoluzione.
O, per dirla in tre parole: problemi-teorie-critiche.»
[K.R. Popper, Problemi, scopi, e responsabilità della scienza in Scienza e filosofìa, 1963]