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Limiti

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- Matematica e Complementi di Matematica -
LIMITI DI FUNZIONE
Stud. Raffaele D’Orlando
[email protected]
Consegna: 08/01/2023
a.s. 2022-23
Cl. 4^AER A
Trasporti e Logistica Aeronautica - Costruzioni Aeronautiche
ISIS "A. MALIGNANI" – Udine
Abstract_
In questo documento approfondirò l’operatore che consente di studiare il comportamento di una funzione
nell’intorno di un punto, cioè relazionerò il Limite di Funzione. Il testo comincerà con alcune definizioni per
introdurre il limite, proseguirà con i primi cenni storici di questo operatore nel passato e la loro evoluzione
nella storia, e concluderà con gli studiosi, analizzando la disputa tra i due matematici più riconosciuti
all’epoca, nel campo della matematica infinitesimale.
Indice_
I.
II.
III.
IV.
V.
Definizione Formale ………………………………………………………………………………………………………………………1
Storia …………………………………………………………………………………………………………………………………………...3
Evoluzione Storica …………………………………………………………………………………………………………………………4
Studiosi …………………………………………………………………………………………………………………………………………8
Sitografia ………………………………………………………………………………………………………………………………………10
Definizione Formale_
Intorni di un Punto:
ο‚·
Dato un numero reale π‘₯0 , un Intorno Completo di x0 è un qualunque intervallo aperto 𝐼(π‘₯0 )
contenente π‘₯0 :
𝐼(π‘₯0 ) = ]π‘₯0 − 𝛿1 ; π‘₯0 + 𝛿2 [
con δ1, δ2 numeri reali positivi.
ο‚·
Dati un numero reale π‘₯0 e un numero reale positivo δ, un Intorno Circolare o Centrato di x0, di
raggio δ, è l’intervallo aperto 𝐼𝛿 (π‘₯0 ) di centro π‘₯0 e raggio δ:
𝐼𝛿 (π‘₯0 ) = ]π‘₯0 − 𝛿; π‘₯0 + 𝛿[
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ο‚·
ο‚·
Dato un numero reale positivo δ, chiamiamo:
i) Intorno Destro di π‘₯0 l’intervallo 𝐼𝛿+ (π‘₯0 ) = ]π‘₯0 ; π‘₯0 + 𝛿[
ii) Intorno Sinistro di π‘₯0 l’intervallo 𝐼𝛿− (π‘₯0 ) = ]π‘₯0 − 𝛿; π‘₯0 [
Dati i numeri reali a, b con a minore di b chiamiamo:
I.
Intorno di Meno Infinito un qualsiasi intervallo aperto illimitato inferiormente:
𝐼(−∞) = ]−∞; π‘Ž[ = {π‘₯ ∈ ℝ: π‘₯ < π‘Ž}
II.
Intorno di Più Infinito un qualsiasi intervallo aperto illimitato superiormente:
𝐼(+∞) = ]𝑏; +∞[ = {π‘₯ ∈ ℝ: π‘₯ > 𝑏}
Si definisce inoltre Intorno di Infinito l’unione tra un intorno di −∞ e un intorno di +∞, cioè:
𝐼(∞) = 𝐼(−∞) ∪ 𝐼(+∞) = {π‘₯ ∈ ℝ: π‘₯ < π‘Ž ∨ π‘₯ > 𝑏}
Definizione Metrica di Limite Finito per x che tende a π’™πŸŽ :
La funzione 𝑓(π‘₯) ha per limite il numero reale 𝑙, per x che tende a π‘₯0 , quando, comunque si scelga un
numero reale positivo πœ€, si può determinare un intorno completo 𝐼 di π‘₯0 tale che:
|𝑓(π‘₯) − 𝑙| < πœ€
per ogni x appartenente a 𝐼, diverso (al più) da π‘₯0 . Si scrive:
π₯𝐒𝐦 𝒇(𝒙) = 𝒍
𝒙→π’™πŸŽ
In simboli la definizione si può formulare così:
lim 𝑓(π‘₯) = 𝑙 𝑠𝑒 ∀πœ€ > 0∃𝐼(π‘₯0 ): |𝑓(π‘₯) − 𝑙| < πœ€, ∀πœ€ ∈ 𝐼(π‘₯0 ), π‘₯ ≠ π‘₯0
π‘₯→π‘₯0
Definizione Topologica di Limite finito per x che tende a π’™πŸŽ :
La definizione topologica, equivalente a quella metrica, usa il concetto di intorno.
Sia 𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ → ℝ una funzione e sia π‘₯0 ∈ ℝ un punto di accumulazione (ogni intorno completo di x0
contiene infiniti punti di A) di A. Si dice che:
lim 𝑓(π‘₯) = 𝑙 ∈ ℝ
π‘₯→π‘₯0
Se, per ogni intorno 𝑉𝛿 (𝑙) esiste un intorno 𝐼𝛿 (π‘₯0 ) tale che:
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π‘₯ ∈ 𝐼𝛿 (π‘₯0 ) ∩ 𝐴 βˆ– {π‘₯0 } ⇒ 𝑓(π‘₯) ∈ 𝑉𝛿 (𝑙)
Questa definizione prende in considerazione molte casistiche, cambiando solamente l’insieme di
appartenenza di π‘₯0 𝑒 𝑙, da insieme dei numeri reali alla retta reale estesa:
Μ… ∧ π‘₯0 ∈ ℝ
Μ… π‘‘π‘œπ‘£π‘’ ℝ
Μ… = ℝ ∪ {−∞; +∞}
lim 𝑓(π‘₯) = 𝑙 ∈ ℝ
π‘₯→π‘₯0
Storia_
Introduzione_
Mentre la massima gloria del Cinquecento fu l’algebra, il Seicento può essere considerato come il secolo,
oltre che della geometria analitica, dell’analisi infinitesimale, cioè del calcolo delle grandezze infinitamente
grandi ed infinitamente piccole. L’Ottocento fu invece il secolo del ripensamento, della revisione logica e
rigorosa di tutto quanto detto e fatto nei secoli precedenti.
Ancora Loro: gli Antichi Greci_
In questo paragrafo parleremo dei primi cenni storici sul concetto di limite e partiremo da uno dei problemi
tipici del calcolo integrale che è quello della quadratura delle curve, o in generale di alcune figure (nacque
nella scuola pitagorica intorno al VI secolo a.C.). In questo tipo di problema si possono ritrovare i
fondamentali preistorici di un “concetto di limite” inteso nel senso positivo del termine: cercare di
avvicinarmi il più possibile pur sapendo che non avrò la soluzione esatta, ma la migliore approssimazione.
A tal riguardo si può ricordare come già Democrito di Abdera (V secolo a.C.) avesse l'idea di questo
concetto di “avvicinamento” estremo, senza poter raggiungere l'uguaglianza completa. In una
testimonianza di Archimede ritroviamo il seguente frammento attribuito appunto a Democrito:
«Due sezioni, eseguite in un cono mediante due piani paralleli fra loro vicinissimi,
non possono risultare fra loro uguali, senza che il cono si muti in un cilindro,
né possono risultare disuguali,
altrimenti il cono presenterebbe rugosità e discontinuità»
- Archimede, VI a.C.Formalmente è il metodo di esaustione, attribuito ad Eudosso di Cnido (vissuto tra V e il IV secolo a.C.), il
procedimento più rigoroso e che più si avvicina al nostro concetto di limite.
Di tale metodo ritroviamo la testimonianza di Euclide, il quale attribuisce direttamente ad Eudosso la
dimostrazione, per esaustione, del fatto che il volume di un cono rotondo è un terzo del volume del cilindro
con la stessa base e la stessa altezza.
Ci sono molte differenze con il concetto di limite vero e proprio, come ad esempio il fatto che il metodo di
esaustione si applica sempre e solo a grandezze geometriche, mai a numeri, e a differenza del processo di
limite come viene usato oggi. Il metodo di esaustione non è un procedimento analitico di ricerca che
conduce ad una scoperta, bensì è solo il mezzo utilizzato per dimostrare in modo rigoroso, per assurdo
(dimostrazione indiretta), un risultato che si suppone già noto.
Il metodo di esaustione trova il culmine del suo successo nella straordinaria opera di Archimede di Siracusa
(287 – 212 a.C.): egli riuscì a calcolare aree, volumi, baricentri in modo geniale, spesso utilizzando tecniche
molto simili a quelle di integrazione o degli indivisibili (A titolo esemplificativo, dell'applicazione del metodo
di esaustione, ricordiamo la famosa dimostrazione archimedea della Quadratura della Parabola).
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Viene definito come: “Mistero di Archimede” in che modo, e utilizzando quali metodi, Archimede riuscisse
ad arrivare al risultato cercato prima di procedere a dimostrarlo per assurdo: quello che è certo è che il
metodo di esaustione costituiva nella sua opera il metodo necessario per dare rigore alla dimostrazione del
suo risultato, senza il quale sarebbe rimasto probabilmente empirico ed intuitivo.
Evoluzione Storica_
Il Metodo degli Indivisibili_
Il metodo di esaustione fu poi “evoluto” ad un’idea più sul punto di vista “differenziale” con il metodo degli
indivisibili, negli anni del Rinascimento, in seguito all’importante diffusione della stampa, solo che manca
completamente l’idea del passaggio al limite.
C'è però un concetto che in essi si inizia ad insinuare e che si andrà strettamente ad intrecciare con il futuro
sviluppo del limite, e cioè il tema del continuo: Bonaventura Cavalieri (1598 – 1647) all’interno della sua
opera del 1635, in cui illustra la teoria degli indivisibili, è presente l'idea che il passaggio da un indivisibile
all'altro che deve avvenire in modo continuo.
Il Metodo per i Massimi e per i Minimi_
Prima di passare al vero inizio della definizione del concetto di limite, dobbiamo parlare di un importante
transizione avvenuta nel 1637, quando Cartesio (filosofo e matematico, ideatore del razionalismo “Cogito
Ergo Sum”) pubblicava la sua Géométrie in cui, fra le altre cose, illustrava il suo metodo ideato per trovare
le tangenti alle curve, basato sulla rappresentazione analitica delle stesse. Infatti, esiste una importante
relazione che lega il calcolo della derivata con la ricerca della retta tangente ad una curva in un punto.
Cartesio decide di partire da una categoria di curve esprimibili in una funzione polinomiale, per
determinare la retta tangente di tale curva, prima di tutto cerca la retta normale per poi tracciare la
perpendicolare.
Per fare ciò considera che nel punto, in cui passa la retta tangente, esistono infinite circonferenze tutte
tangenti alla curva. Cartesio individua la circonferenza con centro sull’asse delle ascisse, traccia la normale
passante nel centro e nel punto in considerazione e traccia la retta tangente.
𝑃0 (π‘₯0 ; 𝑦0 )
{
𝐢(𝑣; π‘Ÿ)
π‘Ÿπ‘’π‘‘π‘‘π‘Ž 𝑃0 𝐢 ≡ π‘Ÿπ‘’π‘‘π‘‘π‘Ž π‘›π‘œπ‘Ÿπ‘šπ‘Žπ‘™π‘’
𝑦 = 𝑓(π‘₯)
(π‘₯ − 𝑣)2 + 𝑦 2 = π‘Ÿ 2
Eliminando y si ottiene un’equazione polimoniale 𝑃(π‘₯) = 0 𝑑𝑖 π‘”π‘Ÿπ‘Žπ‘‘π‘œ 2𝑛
πΆπ‘œπ‘›π‘‘π‘–π‘§π‘–π‘œπ‘›π‘’ 𝑑𝑖 π‘‡π‘Žπ‘›π‘”π‘’π‘›π‘§π‘Ž ⟹ 𝑃(π‘₯) = (π‘₯ − π‘₯0 )2 𝑄(π‘₯)
𝐼𝑙 π‘π‘œπ‘™π‘–π‘›π‘œπ‘šπ‘–π‘œ 𝑄(π‘₯) 𝑑𝑒𝑣𝑒 π‘’π‘ π‘ π‘’π‘Ÿπ‘’ 𝑑𝑖 π‘”π‘Ÿπ‘Žπ‘‘π‘œ 2𝑛 − 2
𝑃(π‘₯) = (π‘₯ − π‘₯0 )2 (π‘Ž2𝑛−2 π‘₯ 2𝑛−2 + π‘Ž2𝑛−3 π‘₯ 2𝑛−3 + β‹― + π‘Ž1 π‘₯ + π‘Ž0 )
Svolgendo i calcoli appositi si arriva a questa forma di P(x), dove all’interno sono presenti molte incognite,
tra cui v, cioè l’ascissa del centro della circonferenza da trovare, che, confrontando i coefficienti presenti
con il polinomio di partenza, si può ottenere il valore.
Una critica molto interessante a Cartesio fu mossa da un matematico: Pierre de Fermat, il quale pubblicò
una memoria che trae origine dal problema della ricerca dei massimi e minimi per una certa grandezza
variabile, estendendola nel calcolo delle tangenti ad una curva: intuisce la relazione esistente tra
l’equazione matematica e il grafico di una curva, facendo attenzione sull’analisi dell’andamento della curva
nei suoi punti stazionari (punti di massimo e minimo).
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Fermat parte dall’osservazione che intorno ad un punto di massimo o di minimo, l’ordinata di questi punti
differisce pochissimo da quella del punto di massimo.
In un punto di massimo o di minimo: 𝑓(π‘₯) ≈ 𝑓(π‘₯ + 𝐸)
Al ridursi di questo incremento E, si nota che l’ordinata del punto si
avvicina sempre di più al valore M. Fermat nota che la retta
tangente in corrispondenza di un punto di massimo o di minimo
deve essere orizzontale e l’ordinata di un punto vicino ad M, deve
differire di pochissimo da quella del massimo:
𝑓(π‘₯) − 𝑓(π‘₯ + 𝐸) ≈ 0
Dopo di che, Fermat divide per l’incremento E, ponendo E pari a zero:
𝑓(π‘₯) − 𝑓(π‘₯ + 𝐸)
≈0
𝐸
⇒
𝑓(π‘₯) − 𝑓(π‘₯ + 𝐸)
=0
𝐸
La soluzione di questa equazione ci fornirà l’ascissa del punto di massimo.
Integrando questa scoperta con il problema della determinazione della retta tangente, Fermat prende in
considerazione una parabola, con un sistema di riferimento cartesiano avente l’origine coincidente con il
vertice e l’asse delle ascisse coincidente con l’asse della parabola. Poi considera un punto D vicino
all’ascissa del punto A nel quale vogliamo far passare la retta tangente.
La condizione di tangenza si avrà quando la lunghezza del
Μ…Μ…Μ…Μ…’ sarà pari a zero.
segmento 𝐷𝐷
Per la proprietà della parabola:
𝑂𝐡: 𝑂𝐢 = 𝐴𝐡2 : 𝐷 ′ 𝐢 2 > 𝐴𝐡2 : 𝐷𝐢 2
Μ‚ ~𝐷𝐢𝑇
Μ‚
𝐴𝐡𝑇
⇒
𝐴𝐡: 𝐷𝐢 = 𝑇𝐡: 𝑇𝐢
𝑂𝐡: 𝑂𝐢 > 𝑇𝐡2 : 𝑇𝐢 2
Trasformandola in una relazione algebrica (sostituire i segmenti con le lunghezze), lo porta ad una pseudo
equazione:
π‘Ž: (π‘Ž − 𝑒) > 𝑑2 : (𝑑 − 𝑒)2
π‘Ž βˆ™ (𝑑 − 𝑒)2 ≈ (π‘Ž − 𝑒) βˆ™ 𝑑2
−2π‘Žπ‘‘π‘’ + 𝑒 2 ≈ −𝑒𝑑2
Dividendo per l’incremento e:
𝑑2 ≈ 2π‘Žπ‘‘ − 𝑒
Per 𝑒 = 0 π‘‘π‘–π‘£π‘’π‘›π‘‘π‘Ž 𝑙′π‘’π‘žπ‘’π‘Žπ‘§π‘–π‘œπ‘›π‘’
⇒
𝑑 = 2π‘Ž
Quindi la sottotangente, il segmento BT, è esattamente il doppio dell’ascissa del punto di tangenza. Cosa
già nota al tempo di Fermat, ma lui voleva far vedere che il suo metodo è valido.
Al di là delle critiche cartesiane, il metodo di Fermat presenta un errore concettuale molto più profondo:
nel momento in cui egli pone e = 0 tutte le espressioni perdono di significato. Se consideriamo però col
senno di poi l’espressione del massimo, e leggiamo quell’incremento “e”, non come una quantità che a un
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certo punto, diventa esattamente nulla, ma come un intorno di A, cioè come un valore che può essere
infinitamente piccolo (ovvero tendente a zero). Quest’espressione diventa esattamente quella che
utilizziamo per calcolare i punti stazionari di una funzione: ovviamente noi aggiungiamo il passaggio al
limite facendo tendere “e” a 0.
La Scoperta di Leibniz_
L’ attenzione su quanto accade nel ‘600 alla storia della matematica: dopo i secoli del Medioevo in cui non
si è dato alcuno spazio alla ricerca matematica, dopo la riscoperta e lo studio dei testi del passato, dopo i
primi tentativi di andare oltre alle conoscenze antiche per risolvere i grandi ed annosi problemi delle
quadrature e delle tangenti, ecco che si presenta l’idea che dà vita ad una nuova matematica, l’analisi
infinitesimale e con essa il nostro concetto di limite (anche se non se ne farà menzione esplicita ancora per
almeno un secolo).
Nel 1684, sugli Acta Eruditorum di Lipsia, Gottfried Wilhelm Leibniz pubblica una memoria che nel titolo
ricalca in qualche modo quella di Fermat: “Nuovo metodo per i massimi e i minimi, del pari per le tangenti,
che non utilizza quantità fratte o irrazionali, e un tipo specifico di calcolo per essi”. Alla base dello studio
leibniziano troviamo quello che egli chiama triangolo caratteristico, che costruisce come segue e del quale
scrive:
«Tutto riposa su un triangolo rettangolo, dai lati infinitamente piccoli, che io di solito chiamo caratteristico,
a similitudine del quale vengono costruiti altri triangoli, dai lati assegnabili, secondo le proprietà delle
figure.»
- Leibniz, 1684 “Ora un segmento, preso ad arbitrio, sia detto dx”
A partire da questo segmento costruisce un triangolo
simile a quello creato dalla tangente con la curva e
l’asse delle ascisse, cioè ABC, quindi si ha
semplicemente:
𝑑 ∢ 𝑦 = 𝑑π‘₯ ∢ 𝑑𝑦
𝑑=
𝑦𝑑π‘₯
𝑑𝑦
In seguito, Leibniz, fa due posizioni:
ο‚·
ο‚·
Sia “a” una quantità data costante, sarà π‘‘π‘Ž = 0 𝑒 𝑑(π‘Žπ‘₯) = π‘Žπ‘‘π‘₯
Se abbiamo 𝑦 = 𝑣, sarà 𝑑𝑦 = 𝑑𝑣
A questo punto Leibniz va a dare le regole del suo calcolo, che sono esattamente le nostre regole di
derivazione (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, potenza e radice) e afferma:
«… Grazie alla conoscenza di questo, per così dire, Algoritmo, di tale calcolo, che chiamo differenziale, tutte
le altre equazioni possono essere trovate con il calcolo comune e possono ottenersi i massimi e i minimi
come pure le tangenti …»
- Leibniz, 1684 Leibniz introdusse una nuova operazione di calcolo matematico: la differenziazione, applicata ad una
relazione tra variabili, permette di trovare una nuova relazione tra quantità differenziali (egli stesso le
chiama le minime differenze, essendo molto piccole), che, come nel suo caso, gli permettono di calcolare la
sottotangente t. Leibniz ci ha offerto una formalizzazione algebrica di infinitesimi mediante una simbologia
valida e intuitiva.
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Egli allargò la sua scoperta anche al problema delle quadrature: ottenne una particolare trasformazione di
quadrature come applicazione del triangolo caratteristico, ovvero quello dato dai lati “differenziali” dx e dy,
cui diede il nome di “trasmutazione”. Nasce così il simbolo di integrale ∫ che sta per l’iniziale di somma,
proprio per indicare la somma dei rettangoli infinitesimi inscritti nella curva che si sta quadrando.
Concludiamo pertanto osservando che Leibniz, esplicitamente, non ha fatto nulla per il nostro concetto di
limite, eppure possiamo dire che è da lui che inizia ufficialmente la ricerca matematica relativa all’analisi
infinitesimale, che poggia essenzialmente, proprio sul concetto di limite.
Primo Tentativo di Definizione: Encyclopédie_
A tal proposito ricordiamo la più grande opera intellettuale del Settecento, idea e frutto di quella cultura
illuminista che si era diffusa in tutta Europa, ed in particolare in Francia: l'Enciclopedia, redatta da una
foltissima schiera di intellettuali dell'epoca. D'Alembert, fisico e matematico, seguì ovviamente la parte
scientifica, e ne scrisse numerose voci, fra queste ritroviamo quella di “limite”.
Nella voce relativa al limite, ritroviamo la prima dichiarazione della sua importanza all'interno del nuovo
calcolo differenziale, oltre che un primo tentativo di sua definizione, anche se ancora vincolato all'idea del
limite di una successione e soprattutto ancora legato ad un linguaggio e un registro di tipo verbale. Scrive
D’Alembert alla voce “limite”:
«La teoria dei limiti è la base della vera metafisica del calcolo differenziale. […] A dire il vero, il limite non
coincide mai, o non diventa mai uguale alla quantità di cui è limite, ma questa vi si avvicina sempre di più e
può differirne poco quanto si vuole.»
- D’Alembert, 1751 Molto interessante è anche ciò che ritroviamo alla voce “differenziale”, in quanto anche questa viene
definita utilizzando il limite, proprio come siamo soliti fare noi, scrive infatti:
«la differenziazione di un’equazione consiste sempre nel trovare il limite del rapporto di due differenze finite
di due variabili che compaiono nell’equazione»
- D’Alembert, 1751 La grande opera di Cauchy_
La grande opera di Cauchy fu pubblicata nel 1821 nel suo Cours d'Analyse “per maggiore utilità degli
studenti”, essendo infatti questo la trascrizione delle lezioni del suo corso di analisi del primo anno, fu un
punto essenziale nella storia in quanto è lui che fonda definitivamente ed apertamente l'analisi
infinitesimale sulla teoria dei limiti.
Cauchy non dice solo di avvicinarsi ad un certo valore, ma dà l'indicazione di come occorre avvicinarsi, non
lascia quindi l'idea ad un livello intuitivo e personale, perché specifica che ci si può avvicinare tanto da
poter rendere sempre più piccola la differenza, inoltre va poi a specificare che cos’è il limite, ovvero la
grandezza alla quale ci stiamo avvicinando mantenendo la nostra differenza via via più piccola, quindi mai
nulla, e quindi il valore limite in realtà non si potrà mai raggiungere:
«Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvicinano indefinitamente a un valore
fissato, in modo da finire per differirne di tanto poco quanto si vorrà, quest'ultimo è chiamato il limite di
tutti gli altri.
Così, per esempio, un numero irrazionale è il limite delle diverse frazioni che ne forniscono valori sempre più
approssimati. In geometria, la superficie di un cerchio è il limite verso il quale convergono le superfici dei
poligoni inscritti, mentre il numero dei loro lati cresce sempre di più.»
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- Cauchy, 1821 Molto interessante è il fatto che il primo esempio fornito per mostrare i limiti da Leibniz, siano esattamente
i numeri reali: questa sarà l'idea che condurrà Dedekind a definire i numeri reali proprio servendosi del
concetto di continuità e di limite.
Fine della Storia: Weierstrass e la Definizione Rigorosa_
Nel 1861, Weierstrass presenta per la prima volta, durante le sue lezioni, la definizione di continuità in
termini ε-δ, praticamente identica a quella che diamo noi oggi passando però dal concetto di limite, dato
che la esprime esplicitamente in termini di differenze minori di quantità arbitrariamente piccole:
«Se è possibile determinare un valore δ tale che per ogni valore di h, minore in valore assoluto di δ,
𝑓(π‘₯ + β„Ž) − 𝑓(π‘₯) sia minore di una quantità ε arbitrariamente piccola, allora si dirà che si è fatto
corrispondere a una variazione infinitamente piccola della variabile una variazione infinitamente piccola
della funzione.»
- Weierstrass, 1861 E così nel 1872, possiamo ritrovare per la prima volta la nostra definizione di limite in termini ε-δ
formalizzata in termini di disuguaglianze:
«Se, data una grandezza qualsiasi ε, esiste una πœ‚0 tale che per 0 < πœ‚ < πœ‚0 , la differenza 𝑓(π‘₯0 ± πœ‚) − 𝐿 è
minore di ε in valore assoluto, allora L è il limite di 𝑓(π‘₯) per π‘₯ = π‘₯0 .”
- Weierstrass, 1861 -
Studiosi_
Il Dibattito: Leibniz vs Newton_
Grande interesse storico è spesso dato al lungo dibattito che segna la priorità della nascita del calcolo, e se
l’attribuzione di essa sia da assegnare al calcolo differenziale di Leibniz sopra esposto piuttosto che quello
delle flussioni illustrato nella grande opera di Newton.
Le prime scoperte di Newton (noto anche per la diatriba contro Robert Hooke, all’interno della Royal
Society, sui moti orbitali dei pianeti), che risalgono ai primi mesi del 1665, furono il risultato della sua abilità
di esprimere funzioni in termini di serie infinite.
«E qualsiasi cosa l’analisi comune [ossia l’algebra] esegua per mezzo di equazioni con un numero finito di
termini (purché lo si possa fare), questo metodo può sempre eseguire la stessa cosa per mezzo di equazioni
infinite. Così non ho esitato a dare ad esso lo stesso nome di “analisi”.»
- Newton, 1665 –
Newton possedeva una visione cinematica per la geometria, infatti, per lui le linee non sono composte da
un insieme di singoli punti fermi, ma ogni curva è generata da un moto continuo nel tempo. Da lui si
possono apprendere due concetti fondamentali:
ο‚·
ο‚·
Fluente: ciò che si genera nel tempo (la curva, lunghezze, aree, volumi, distanze, temperature).
Flussione: la velocità del moto, con cui variano grandezze capaci di variare con continuità, cioè la
sua derivata.
«Le linee sono descritte e generate non da un’apposizione di parti, ma dal movimento continuo dei punti, le
superfici dal movimento delle linee, i solidi dal movimento delle superfici. Queste generazioni hanno il loro
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posto nella natura, si compiono quotidianamente nel movimento dei corpi e si manifestano apertamente ai
nostri occhi.»
- Newton, 1665 Il problema che si era posto di risolvere Newton era lo studio dei moti dei corpi, siccome la velocità di un
corpo varia istante per istante. Era importante calcolarla per aiutare la navigazione o per migliorare le
tecniche militari.
Per calcolare la velocità istantanea, newton presenta il metodo delle flussioni: introduce il termine fluente,
per le grandezze variabili nel tempo, indicandole con x, y, z, e la velocità con cui queste grandezze variano,
chiamandola flussione e la indica con π‘₯Μ‡ , 𝑦̇ , 𝑧̇ .
Il prodotto di quest’ultimi termini con l’intervallo di tempo infinitamente piccolo “o” (l’istante), viene a
rappresentare l’incremento del valore della grandezza (il momento), quindi π‘œπ‘₯Μ‡ , π‘œπ‘¦Μ‡ , π‘œπ‘§Μ‡ . Dopo un’istante
possiamo scrivere: π‘₯ ⟹ π‘₯ + π‘œπ‘₯,Μ‡ 𝑦 ⟹ 𝑦 + π‘œπ‘¦,Μ‡ 𝑧 ⟹ 𝑧 + π‘œπ‘§Μ‡ .
«… ebbi l’illuminazione per questo mio metodo dal modo di Fermat di tracciare le tangenti, ma io lo resi
generale applicandolo ad equazioni astratte.»
- Newton, 1665 Nel tempo o:
ο‚·
ο‚·
P (x, y) fluisce in P’ (π‘₯ + π‘œπ‘₯,Μ‡ 𝑦 + π‘œπ‘¦Μ‡ )
P’ è molto vicino alla retta tangente
π‘šπ‘‘ =
π‘œπ‘¦Μ‡ 𝑦̇
=
π‘œπ‘₯Μ‡ π‘₯Μ‡
Il coefficiente angolare della retta tangente è il rapporto tra le
due flussioni nelle due variabili.
La grande idea di Leibniz, e che differenzia il suo metodo da quello flussionale di Newton, che si riferiva
soltanto a quantità variabili in funzione del tempo, è quella di evidenziare nella notazione differenziale
anche la variabile indipendente, e procedere così con l'attuare un processo di algebrizzazione del calcolo
infinitesimale: in questo modo Leibnitz riesce, almeno nell'applicazione pratica, a superare le difficoltà sulla
concezione dell'infinitesimo attuale e sulla composizione del continuo.
Ricapitolando i momenti salienti della disputa tra i due matematici, viene proposta una tabella:
Data:
1665
1672 – 1675
1676
1684
1699
1704
1712
Accaduto:
Newton teorizza il metodo delle flussioni
Leibniz trova i fondamentali del calcolo differenziale
Scambio epistolare tra Leibniz e Newton (scambio di idee)
Leibniz pubblica la “Nova Methods”
Inizio accuse di plagio contro Leibniz in Inghilterra
Leibniz si appella alla Royal Society
La Royal Society attribuisce la paternità del calcolo differenziale a Newton (Newton era il
presidente della Royal Society)
Ormai è assodato che i due grandi matematici giunsero a conclusioni simili seguendo vie diverse, e
soprattutto autonome e indipendenti l'una dall'altra. La teoria di Newton nasce da questioni di ragioni più
di tipo fisico che di tipo matematico. Inoltre, Newton, risolve tutto utilizzando gli sviluppi in serie, pertanto,
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il suo metodo è già chiuso e finito in sé stesso: questo per lui era la sua grande forza, mentre invece si rivelò
la sua debolezza, perché il lasciare aperte nuove strade per la ricerca differenziale e integrale sarà proprio
la forza del metodo leibniziano, che ne permise la diffusione e la continua ricerca.
Sitografia_
ο‚·
ο‚·
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ο‚·
ο‚·
ο‚·
ο‚·
ο‚·
Youtube, Elia Bombardelli:
https://www.youtube.com/watch?v=nnpUvWEQpE&list=PL_77hf8CPxpGM8SnU_l6Zb0jEg8gIFqaP&index=3
Youmath:
https://www.youmath.it/lezioni/analisi-matematica/limiti-continuita-e-asintoti/64-il-concetto-dilimite-da-scrivere.html
Wikipedia:
I.
https://it.wikipedia.org/wiki/Limite_di_una_funzione
II.
https://en.wikipedia.org/wiki/Limit_of_a_function#Motivation
Libro Zanichelli: “Matematica.verde 4A” (pag. 818 ÷ 843)
Via Lattea: https://www.vialattea.net/esperti/mat/lim.html
Ivano Coccorullo:
https://www.ivanococcorullo.it/download/matematica/il_limite_notevole_senxsux.pdf
Università di Bologna: https://core.ac.uk/download/pdf/31155918.pdf
RaiScuola:
https://www.raiplay.it/video/2021/10/Elisa-Scirocchi-e-Paola-De-Paolis--f4da0bb6-4db1-41e7acd6-3f9e88ccda91.html
Serie e Flussioni di Newton:
http://dm.unife.it/storia/serie.htm#:~:text=Nel%201665%20Newton%20cominci%C3%B2%20anche
,%2C%20volumi%2C%20distanze%2C%20temperature.
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