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Teodolinda, una regina carismatica

Teodolinda: una Regina
Cattolica a capo dei
Longobardi
by MATTEO RUBBOLI
Ratisbona, 570 dopo Cristo. Nella principale città dei Longobardi in Baviera nasce Teodolinda,
figlia del Duca Garibaldo e della moglie Valdrada. La piccola non può saperlo, ma solo due anni
prima il Re del suo popolo, Alboino, è entrato per la prima volta in Italia, iniziando una serie di
guerre (longobardo-bizantine) che modificheranno in modo indelebile la storia del nostro paese.
Anche i genitori della neonata non possono saperlo, ma la figlia è destinata a diventare una delle
regine più amate del periodo medievale e venerata per secoli come beata in molte zone della
Lombardia.
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Per spiegare la genesi di una Regina è necessario partire dai genitori, quindi facciamo un passo
indietro. Garibaldo I di Baviera (540 – 593) fu il primo duca del territorio tedesco, e sposò Valdrada
(531-…), la cui storia personale è assai più complessa di quella del marito.
La donna era figlia del re longobardo Vacone, il quale la diede giovanissima in sposa a uno dei re
franchi, Teodebaldo, che regnava sull’Austrasia e su altre zone dell’attuale Francia. Teodebaldo
ebbe vita breve (morì nel 555 a vent’anni circa) lasciando la giovane moglie vedova e senza figli.
La donna venne sposata dal prozio del defunto marito, Clotario I (497-561), il quale si prese regno e
moglie senza fare i conti con la chiesa. Divenuto unico re dei franchi, fu obbligato dai sacerdoti,
sicuramente prima del 561, a ripudiare Valdrada la quale, ancora giovane (aveva fra i 25 e i 30 anni)
sposò infine Garibaldo di Baviera. Dopo esser stata regina dei franchi, con ben due consorti diversi,
Valdrada finì quindi per essere contessa dei Longobardi in Baviera.
La donna del casato dei Letingi, ripudiata dai franchi ma apprezzatissima dai longobardi, diede un
notevole prestigio al ducato tedesco, e partorì due (o tre) figli. Una di loro era, appunto, Teodolinda.
Teodolinda, lo “scudo
del popolo”
La giovane ragazza crebbe nel ducato di Baviera nel periodo durante il quale i longobardi
conquistavano l’Italia a macchie, contaminando la cultura romana e dando una spinta decisiva alla
creazione di quel mix di culture che ancor oggi caratterizza il nostro paese. Il regno dei Longobardi
si scontrava infatti da un lato con i Bizantini (o meglio, l’Impero Romano d’Oriente), e dall’altro
con i franchi, a volte alleati dei Bizantini a volte neutrali o più raramente alleati dei Longobardi.
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Sotto, Teodolinda come dipinta nelle Cronache di Norimberga:
Raggiunta l’età da matrimonio (15 anni circa per le ragazze dell’epoca) nel 585 i franchi proposero
a Garibaldo di farla sposare con Childeberto II, Re dei Franchi di Austrasia e nipote di quel Clotario
I che aveva sposato la madre. I franchi tentarono di stringere patti di fratellanza con i Longobardi,
proponendo al nuovo Re, Autari, di sposare la sorella terzogenita di Childeberto II, Clodesinde.
Gli accordi per i due matrimoni non andarono a
buon fine, e i franchi inviarono un’armata in
Baviera
Sotto, Autari come visto nelle cronache di Norimberga:
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Nel frattempo Teodolina era scappata in Italia assieme al fratello, e Autari decise di sposarla.
La giovane principessa si trovò quindi ad essere
regina dei Longobardi dopo aver rischiato di
diventare una regina dei Franchi
Questi ultimi non si arresero alla fine delle trattative matrimoniali, e tentarono l’invasione della
Lombardia, che però fallì. I Longobardi, un popolo per antonomasia guerriero, avevano stabilizzato
i propri domini su vaste zone d’Italia, contrastati soltanto dalla resistenza dei bizantini.
Dopo solo un anno di matrimonio Autari morì
Il 5 settembre del 590 la ventenne Teodolinda si trovò vedova di Autari, morto forse avvelenato,
regina dei Longobardi ma priva di discendenza e di credito per governare da sola. Non è noto come
si arrivò alla scelta del nuovo Re, ma secondo il cronista Paolo Diacono il popolo offrì alla donna la
possibilità di scegliersi un nuovo marito, futuro rex Langobardorum. Nonostante sembri
improbabile una tale libertà concessa a Teodolinda (le parole di Diacono sono da inquadrare più in
senso agiografico che letterario) è significativo pensare a come una tale eventualità fosse addirittura
plausibile in un mondo governato esclusivamente da uomini.
Il secondo marito di Teodolinda fu Agilulfo, duca di Torino, il quale aveva forse architettato
l’avvelenamento di Autari per sposare Teodolinda e diventare Re. La leggenda, trasmessa da Paolo
Diacono, vuole che la regina, ricevuto incarico dal popolo di scegliere un nuovo marito, accolse (o
invitò) Agilulfo in visita presso la corte. Quest’ultimo le baciò la mano in segno di rispetto, ma la
regina replicò:
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Perché mi baci la mano quando hai il diritto di
baciarmi la bocca?
Sotto, Agilulfo come visto nelle cronache di Norimberga:
Il matrimonio fu celebrato nell’Autunno del 590, e nel 591 Agilulfo venne proclamato Re dei
Longobardi da un’assemblea di popolo. Negli anni seguenti il Re e la Regina strinsero accordi con i
Franchi e gli Avari per garantire la pace ai confini del nord Italia, e si concentrarono nel conquistare
i restanti possedimenti ai sovrani dell’Impero Romano d’Oriente.
Sotto, i domini longobardi dopo le conquiste di Agilulfo:
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Teodolinda regnò in un’epoca difficilissima, in cui i rapporti fra Longobardi, Franchi, Avari,
Bizantini e Papato erano tutti retti da un fragilissimo equilibrio, e sovente sfociavano in scontri
armati.
In questo contesto la fede della Regina, Cristiana Cattolica, era in contrasto con la maggioranza dei
popoli, in primo luogo il suo. I Longobardi erano infatti perlopiù Cristiani Ariani o Pagani, e in
continuo conflitto con il Papa (il Re Agilulfo stesso arrivò alle porte di Roma pronto al saccheggio,
rinunciandovi dopo il pagamento di 500 libbre d’oro). Teodolinda fu la principale interlocutrice di
Papa Gregorio Magno, in carica dal 590 al 604, e riuscì a convincere alla tregua le fazioni in campo,
longobardi da una parte e bizantini dall’altra.
Sotto, Papa Gregorio Magno in un’icona:
Teodolinda non solo riuscì a fermare la guerra, ma fu attiva anche sul piano istituzionale per
garantire la restituzione di beni di proprietà della chiesa, per far reinsediare i vescovi nelle diocesi
occupate dai longobardi e nel tentativo di ricomporre la chiesa dallo scisma tricapitolino.
Dal punto di vista statale, Teodolinda fece elevare lo status di Monza a capitale d’estate del Regno
dei Longobardi, iniziando i lavori di costruzione di quello che diverrà il famoso Duomo che oggi
ospita alcuni degli oggetti d’arte gotica più preziosi dell’interno periodo medievale. Fra questi non
si possono non citare le opere realizzate proprio durante il regno di Agilulfo e Teodolinda, fra cui
la Corona Ferrea, leggendariamente forgiata da uno dei chiodi della Croce, o la Croce di Teodolinda
e quella di Agilulfo.
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Sotto, la Croce di Agilulfo:
La Croce di Teodolinda o di Adaloaldo, regalata dal Papa Gregorio Magno alla Regina in occasione
del battesimo cattolico del figlio:
Sotto, l’Evangeliario di Teodolinda Museo e Tesoro del Duomo di Monza:
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Teodolinda fu quindi un faro non solo per il proprio popolo, ma anche il riferimento principale del
Papa e del mondo cristiano cattolico.
Gli anni della Reggenza
e la Pace con l’Impero
Romano d’Oriente
Il regno di Agilulfo fu lungo e prospero, un periodo durante il quale l’Italia crebbe economicamente
in modo sostenuto. Nel 616 il sovrano morì, il primo re dei longobardi a morire di morte naturale in
Italia, e gli succedette il figlio, Adaloaldo, il quale era stato battezzato con rito cattolico nel 603. Il
ragazzo era ancora troppo giovane per governare nel complesso contesto di lotte politiche e
religiose italiane, e la reggenza venne sostenuta da Teodolinda, che fu l’unica sovrana dei
Longobardi per quasi 10 lunghi anni.
Nel 616 i longobardi d’Italia riuscirono ad affrancarsi dal vassallaggio nei confronti dei franchi, i
quali sino a quel momento avevano riscosso un tributo di “non-belligeranza”, e nei 10 anni
successivi si assistette a una tregua bellica in tutta Italia.
Re Adaloaldo e la fine
della stirpe
All’inizio degli anni ’20 del 600 Adaloaldo acquisì sempre maggior potere, e finì per rimanere
inviso ai duchi longobardi. Il figlio di Teodolinda adottò una politica di non belligeranza, e cercava
una soluzione di pace ai conflitti con Bisanzio. La pace era volta alla cattolicizzazione della
penisola a discapito dell’arianesimo, maggiormente diffuso fra i longobardi, una soluzione mal
digerita dai battaglieri nobili longobardi. Arioaldo, cognato del Re (marito della sorella
Gundeperga), probabilmente tramò per farlo uccidere e divenne il Re dei Longobardi nel 625.
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Teodolinda non riuscì a impedire questa serie di intrighi di corte e morì un anno dopo il figlio. La
sua figura era ormai leggendaria nel popolo del Nord Italia, e fu sepolta nella Basilica di San
Giovanni Battista a Monza. Nel 1308, ormai venerata in diverse zone come beata, la sua salma
venne traslata in un sarcofago nella cappella a lei dedicata dell’attuale Duomo.
Fotografia di Francescogb condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
La vita di Teodolinda, di cui è difficile discernere con precisione le vicende perché tramandata in
chiave agiografico/cattolica, è la protagonista del ciclo di affreschi degli Zavattari, una serie di 45
scene che mostrano alcuni episodi della vita della Regina.
Sotto, il banchetto di Nozze di Teodolinda, ciclo degli Zavattari, Duomo di Monza:
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Sotto, il matrimonio di Teodolinda con Agilulfo:
Della Regina dei Longobardi rimane una fortissima eredità culturale negli edifici e nel culto
cattolico che è tramandato da oltre 14 secoli.
Se non diversamente specificato, le immagini sono di pubblico dominio
MATTEO RUBBOLI
SONO UN EDITORE SPECIALIZZATO NELLA DIFFUSIONE DELLA CULTURA IN FORMATO DIGITALE, FONDATORE DI
VANILLA MAGAZINE. NON PORTO LA CRAVATTA O CAPI FIRMATI, E TENGO I CAPELLI CORTI PER NON DOVERLI
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Cronache di Norimberga
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Cronache di Norimberga
Illustrazione di San Giorgio dalle Cronache
di Norimberga
Autore
Hartmann Schedel
1ª ed. originale
1493
Genere
trattato
Lingua originale
latino
Modifica dati su Wikidata · Manuale
Le Cronache di Norimberga sono un'opera compilatoria di Hartmann Schedel, scritta in lingua
latina nel 1493. Si tratta di una storia illustrata del mondo, la quale segue la narrazione biblica; il libro
contiene inoltre la storia di molte delle grandi città dell'Occidente.
Conosciuto anche come Liber Chronicarum e Die Schedelsche Weltchronik,[1] è uno dei più
importanti libri stampati nel XV secolo, molto celebre per l'integrazione del testo con numerose
illustrazioni. Fu stampato a Norimberga nel 1493 da Anton Koberger e, dopo pochi mesi, fu seguito da
una traduzione tedesca di Georg Alt (il suo nome più conosciuto deriva dalla città dove fu pubblicato).
Alcune copie di lusso furono messe in vendita con le illustrazioni colorate a mano.
Indice
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1Contenuto
2Note
3Bibliografia
4Altri progetti
5Collegamenti esterni
IL MONASTERO DI BOBBIO
L’abbazia di Bobbio è strettamente legata al nome del suo fondatore, il monaco irlandese
Colombano, una delle più autorevoli figure nella storia della Chiesa e della cultura
altomedioevale. Il nucleo originario dell’abbazia, donato a Colombano insieme al vasto
territorio circostante dai re longobardi Agilulfo e Teodolinda, fu la piccola chiesa di San
Pietro, eretta verso la fine del IV sec. dal vescovo di Piacenza, Savino, nella parte alta di
Bobbio, dove oggi domina il castello. Dopo un solo anno di permanenza a Bobbio, che gli
fu sufficiente per mettere le radici di uno dei più prestigiosi centri di cultura d’Europa,
Colombano morì il 23 novembre del 615. I suoi successori ne raccolsero l’eredità
ampliando le dimensioni del cenobio e la sua portata religiosa, sociale e culturale. Nel IX
sec. l'abate Agilulfo decise di trasferire l’intero complesso monastico nella posizione
attuale, per ampliarlo e soddisfare le tante richieste di aspiranti monaci provenienti da tutta
Europa.
Nel 1014 l'abate Pietroaldo trasformò il monastero in sede vescovile, Bobbio divenne città
e Pietroaldo il primo vescovo-abate. Ben presto però le due cariche vennero separate e nel
corso del XII secolo si susseguirono aspre lotte tra il Vescovado e l'Abbazia per la
supremazia sul monastero, che si risolsero nel 1207 con il processo di Cremona e con
l’atto di sottomissione dell'abate al vescovo; quest’ultimo fatto accentuò notevolmente la
crisi del monastero. Nel 1448, un gruppo di monaci benedettini, provenienti dalla Chiesa
di Santa Giustina di Padova, vennero incaricati dal Papa Niccolò V di riportare il
monastero bobbiese allo splendore altomedioevale. Essi ricostruirono la Basilica e il
monastero sopra a quelli protoromanici, terminando i lavori nel 1530. Nel 1801, quando
Bobbio venne annessa alla Francia, il monastero fu soppresso e si procedette alla vendita
all'asta di tutti i suoi beni. Oggi i suoi locali ospitano il Museo dell'Abbazia, il Museo della
Città e la Scuola Media Statale.
LA LEGGENDA DI SAN COLOMBANO
San Colombano nacque in Irlanda intorno al 540 nella cittadina di Navan nel Leinster.
Venne educato fin da bambino allo studio del latino e dei testi sacri. Prese i voti molto
presto al monastero di Bangor sotto il severo abate Comgall, dedito a pesanti penitenze
corporali. Ma San Colombano sentiva una profonda necessità di evangelizzazione e
appena ne ebbe la possibilità partì immediatamente con l'obiettivo di diffondere i
Vangeli nel mondo. Sbarcò sulle coste dell'Armorica e poi in Francia verso il regno di
Austrasia alle corti dei re merovingi. Fondò qui tre monasteri, Luxeuil, Fontaine e
Annegray, che seguirono la cosiddetta "regola colombiana", che a differenza di quella
benedettina non era dedita solo al lavoro dei campi e alla preghiera, ma anche
all'istruzione e all'assimilazione della conoscenza. Purtroppo ci fu un forte contrasto con
l'episcopato francese che lo accusò di travisare troppo la tradizione verso un suo
personale culto celtico-irlandese, che aveva un diverso calcolo delle festività e della
Pasqua. La stessa regina Brunechilde lo volle rimpatriare nella sua terra d'origine. San
Colomano però riuscì a fuggire direttamente dalla scorta che lo stava per imbarcare e si
diresse lungo la valle del Reno. Fondò clandestinamente altri monasteri, Remiremont,
Jumièges, Noirmoutier, Saint-Omer. Si espanse lungo il Lago di Costanza, giungendo
fino in Italiam dove si diresse al cospetto di Papa Bonifacio IV.
Ma fu a Milano che trovò un'autentica approvazione direttamente dal re longobardo
ariano Agilulfo e da sua moglie la regina Teodolinda, che lo accolsero a braccia aperte.
Questi gli chiesero un aiuto sulla questione tricapitolina, ovvero su un avvicinamento tra
il popolo longobardo e la chiesa vaticana. L'alleanza ebbe successo e come ricompensa
gli venne regalato un ampio suolo per costituire un centro di vita monastica a Bobbio. La
stessa regina Teodolinda salì sul Monte Penice con San Colombano per mostrargli il
territorio e fargli promettere di dedicare lì in cima, una chiesetta dedicata alla Madonna.
Nel 615 si ritirò nell'eremo da lui fondato di S. Michele in Curiasca a Coli, dove morì a
75 anni il 23 novembre dello stesso anno. Le sue spoglie riposano nella cripta della
Chiesa di San Colombano a Bobbio.
Lo scisma dei Tre Capitoli
Lo scisma dei Tre Capitoli (scisma tricapitolino)
Per ingraziarsi i monofisiti che godevano di vasti appoggi a corte – tra i quali la stessa imperatrice Teodora,
Giustiniano - non potendo rigettare gli atti del concilio di Calcedonia (451) che aveva condannato come
eretica la tesi monofisita – con un editto imperiale emanato nel 545 condannò come eretici la persona e tutti
gli scritti del teologo antiocheno Teodoro di Mopsuestia (morto intorno al 428), gli scritti di Teodoreto di Cirro
(morto nel 457) contro il patriarca di Alessandria Cirillo e una lettera di Iba di Edessa (morto nel 457) a difesa
dello stesso Teodoro.
Questi scritti, raccolti appunto in tre capitoli, erano considerati di tendenza nestoriana poiché negavano
valore al termine “Theotokos” e sembravano eccessivi nella difesa della duplice natura del Cristo. Teodoreto
e Iba avevano però successivamente condannato l'eresia nestoriana (1) e per questo Giustiniano evitò di
condannarli in toto come eretici.
Nel 553 Giustiniano convocò il concilio di Costantinopoli II in modo che l'assemblea dei vescovi recepisse
l'editto e desse alla condanna dei tre teologi un valore ancora maggiore. Gran parte dei patriarchi e vescovi
orientali accettò la cosa senza grandi reazioni. Più difficile fu ottenere l'assenso del papa romano, Vigilio
(537-555), che venne trasferito a forza a Costantinopoli, fu imprigionato, e dopo vari tentennamenti firmò la
condanna dei Tre Capitoli (8 dicembre 553).
Molti vescovi dell'Italia settentrionale, della Gallia e del Norico, non accettarono l'imposizione del concilio
voluto da Giustiniano e non si considerarono più in comunione con gli altri vescovi che avevano accettato
supinamente la cosa e con il papa avviando lo scisma.
Il loro dissenso si acuì ulteriormente sotto papa Pelagio I (556 - 561), il quale, dopo vari tentativi di
chiarimento e persuasione, nel 559 invitò Narsete a ridurre lo scisma con la forza. Il luogotenente di
Giustiniano per la restaurata provincia italica rifiutò però di obbedire alla richiesta del papa.
Nel 568 i Longobardi iniziarono l'invasione dell'Italia settentrionale. Nello stesso anno Paolino I , patriarca
della chiesa di Aquileia – tricapitolina e dichiaratasi gerarchicamente indipendente – trasferì la sua sede ad
Aquileia nova (Grado) rimasta sotto controllo bizantino.
Nel 586, l'esarca Smeragdo fece tradurre con la forza a Ravenna il patriarca Severo (586-606) e lo costrinse
a sottomettersi alla volontà del papa.
Lo scisma aveva però un grande seguito popolare e, rientrato ad Aquileia nova, Severo convocò nel 590 un
sinodo a Marano lagunare in cui dichiarò che l'abiura ai Tre Capitoli, a Ravenna, gli era stata strappata con
la forza e che intendeva perseverare nella posizione tricapitolina in separazione da Roma.
Cuniperto I
raffigurato al dritto di un tremisse coniato dalla zecca di Pavia (692-693)
I fatti che condussero alla conclusione dello scisma furono determinati dalle lotte di potere tra i clan
longobardi. Nella definitiva battaglia di Coronate (oggi Cornate d'Adda), avvenuta nel 689, il re longobardo
Cuniperto (688-700), cattolico, sbaragliò il duca Alachis, ariano, che capeggiava un fronte d'insorti dell'Italia
nord-orientale longobarda, tra i quali c'erano anche molti aderenti allo scisma tricapitolino. Con la vittoria di
Coronate, l'elemento cattolico si impose definitivamente non solo sui Longobardi che si professavano ariani,
ma anche sui dissidenti, che ancora restavano fedeli allo scisma dei Tre Capitoli.
Nel 698 Cuniperto convocò un sinodo a Pavia in cui i vescovi cattolici e tricapitolini, tra cui Pietro I, Patriarca
di Aquileia, ricomposero "nello spirito di Calcedonia" la loro comunione dottrinaria e gerarchica.
Note:
(1) Secondo la dottrina propugnata da Nestorio – il vescovo siriano che fu patriarca di Costantinopoli dal 428
al 431 – in Gesù convivevano due distinte persone, l'uomo e il Dio. Maria era madre solo della persona
umana di Gesù, di conseguenza i nestoriani le riconoscevano il solo attributo di Christotókos, negandole
quello di Theotókos. Le tesi nestoriane furono condannate come eretiche dal Concilio di Efeso (431) che
riconobbe alla Vergine il titolo di Madre di Dio. A seguito di ciò, l'imperatore Teodosio II rimosse Nestorio dal
seggio patriarcale.
ALTRI FATTI SU TEODOLINDA
L’Epoca dell’Anarchia, dal paganesimo alla
Regina Teodolinda – Longobardae
Scritto il20 MARZO 2020 STORIEBRUTE
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Illustrazione di Chiara Talamo
Uno dei maggiori simboli dell’evoluzione culturale Longobarda è stato il rapporto con la
religione. Prima di discendere in Italia si suppone che venerassero il culto degli Asi,
religione che promuoveva la classe guerriera in generale. Venendo poi a contatto con le
realtà bizantine, ne subirono in qualche modo l’influenza : Dall’arrivo di Alboino al
successivo ventennio molti Longobardi si convertirono all’Arianesimo, avvicinando la loro
sfera dei valori a quella dei locali. Ciò nonostante è probabile che la maggior parte di loro
abbia continuato la via del Paganesimo, che non fu penalizzato ancora per molti anni. Alla
morte di Alboino, il successore Clefi continuò ad espandere il dominio dei Longobardi nella
penisola.
Tuttavia anche Clefi non ebbe un regno lungo : venne assassinato dopo poco più di un
anno di conquiste. Visto l’andazzo, i restanti Duchi Longobardi decisero che avere un Re
evidentemente attirava troppe attenzioni, e per questo divisero la Longobardia in
trentacinque ducati, badando ognuno ai fatti suoi. Questo periodo d’anarchia favorì
ulteriormente le conquiste e nel giro di una decade il dominio dei Duchi si espanse fino a
Spoleto e Benevento circondando di fatto Roma.
Queste conquiste incontrollate però crearono altrettanti nemici : Oltre ai Bizantini, anche i
Franchi ne vennero colpiti e per rappresaglia, marciarono attraverso la Longobardia
conquistando Trento. Il regno Longobardo si trovò quindi tra due morse (Franchi sopra e
Bizantini sotto), e ai Duchi non restò altro che riunificare ciò avevano frammentato dieci
anni prima, eleggendo come sovrano il figlio di Clefi, Autari. Di consuetudine però, i Re
Longobardi venivano eletti dal popolo in armi ma ormai non bastava più : serviva del
sangue reale per giustificare la poltrona agli occhi dei loro nemici e quindi, lo sguardo di
Autari cadde sulla baviera, dove viveva una giovane principessa di dinastia reale :
Teodolinda.
Teodolinda era sì figlia del Duca dei Bavari, ma era anche discendente da parte materna
dai carismatici Letingi, la stirpe Reale Longobarda che aveva guidato il popolo nella
grande migrazione secoli prima dell’arrivo in Pannonia. Teodolinda era inoltre cattolica e
aveva buoni rapporti con il papato, che fino a quel momento non vedeva di buon occhio gli
invasori. Sebbene il periodo di nozze con Autari sia stato tutto sommato breve, fu lei a
proseguire la via dei Longobardi verso la civilizzazione. Autari infatti morì di malattia un
anno dopo e Teodolinda sposò Agilulfo, duca di Torino e cognato di Autari, dando poi alla
luce un erede, un futuro Re battezzato con rito cattolico.
Nel periodo successivo il regno di Teodolinda viene ricordato come prospero. La capitale
venne spostata a Milano e vennero commissionate numerose opere e fondate nuove
comunità monastiche. Teodolinda era una regina molto amata dal suo popolo ma era
certamente avvezza alle meccaniche e agli intrighi di corte : pianificando ad esempio
l’omicidio del Fratello, il Duca di Asti, che avrebbe potuto avanzare pretese sul trono alla
morte del marito. Quando infatti Agilulfo morì (primo Re Longobardo a morire di morte
naturale), il figlio di Teodolinda Adaloaldo era ancora minorenne e il periodo di reggenza
della Regina durò altri dieci anni, sostenuta dai Duchi fedeli alla sua casata. In questo
periodo Teodolinda rafforzò i legami dei Longobardi con Roma, cercando anche una via
diretta per una pacificazione finale con l’Impero Bizantino. Quando il figlio salì al trono,
rimase al suo fianco mantenendo il suo influsso sulla politica del regno. Morì quasi a
sessant’anni (che per i tempi era un’età venerabile) dopo che il figlio venne detronizzato
da un complotto. Tuttavia la memoria di Teodolinda aveva ormai cambiato radicalmente
l’anima dei Longobardi, che per la prima volta vennero visti come legittimi sovrani e non
solo come dominatori barbari.
Teodolinda mi ha sempre affascinato come figura. Prendendo per buono l’assunto che
essendo stati gli uomini a scrivere la storia, le figure femminili vengono solitamente
sminuite, mi piace pensare che anche Teodolinda sia stata penalizzata allo stesso modo,
risultando una figura ancora più eccezionale di quanto non si creda. Quello che è certo è
che contribuì in modo fondamentale alla prosperità del suo popolo, stremato dopo bui anni
di incertezza e razzie, tenendo fede al nome che le era stato dato, traducibile dall’antico
Germanico Theudelinde come “Scudo del Popolo”.
ANCORA TEODOLINDA
Teodolinda, la dama di ferro
La vera storia della "regina di Monza". Il significato del suo nome, i suoi matrimoni e il suo amore
per la città: ecco perché Teodolinda è e sarà sempre la regina dei monzesi
La regina Teodolinda
Bella, colta, diplomatica, intraprendente, amatissima dal suo popolo: questa era la vera Regina
Teodolinda, che seppe donare luce e grandezza alla città di Monza.
Teodolinda o Teodelinda (Ratisbona, 570 – Monza, 22 Gennaio 627) fu regina dei Longobardi e
regina d’Italia dal 589 al 616.
Già il suo nome aveva un significato particolare: l’etimologia deriva da thiod (termine gotico che
significa popolo, nazione) e linde, che significa tiglio. Il legno di tiglio può alludere a due
significati: alla resina zuccherina dell’albero oppure al fatto che i nordici producevano i loro scudi
con quel tipo di materiale. “Dolce verso il popolo ” oppure “scudo per il popolo” possono essere
entrambi dei significati che rappresentano la nostra regina.
Ascoltiamo un po’ la sua storia per conoscere questa donna di cui sentiamo sempre parlare fin dai
banchi di scuola.
Nel 589 Authari sposò Teodolinda al termine di una precisa politica di alleanze: per ingraziarsi il
Papa di Roma e proteggersi contro i Bizantini, aveva deciso di sposare la figlia di un cattolico, duca
bavaro, ma di origini longobarde da parte di madre.
Una leggenda pero’ romantica racconta l’incontro fra Authari e Teodolinda: sembra che il re,
prima di sposare Teodolinda, volesse vederla dal vivo,quindi si travestì da ambasciatore longobardo
ed andò in Bavaria. Come la vide, gli piacque subito: si fece offrire da lei una coppa di vino e nel
prenderla le sfiorò il viso con un dito dalla fronte alla bocca. Sembra che anche Teodolinda fosse
stata turbata da questo incontro e che si innamorò di Authari: insomma, quello che diremmo al
giorno d’oggi un coup de foudre.
Dopo un anno da questo incontro, celebrarono il loro matrimonio prima in una chiesetta della Val
di Non, ma in seguito i festeggiamenti ufficiali avvennero a Verona. Subito dopo Authari però partì
per una campagna di conquista e nel 590 morì in circostanze oscure a Pavia. I longobardi chiesero
così a Teodolinda di continuare a regnare, scegliendosi un nuovo re al suo fianco: la regina era
quindi amatissima dai suoi sudditi.
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Sempre una leggenda narra che Teodolinda espresse il desiderio di sposare Agilulfo, di Torino,
da lei già notato e per il quale aveva provato subito interesse. Gli scrisse cosi’ una lettera dove
chiedeva chiaramente a lui di sposarlo, cosa davvero intraprendente per essere nel 500. Andò ad
incontrarlo a Lomello, si fece portare una coppa di vino, bevve un sorso e gli porse il resto. Agilulfo
in segno di rispetto si inginocchiò e le baciò la mano, ma Teodolinda le rispose che avrebbe dovuto
baciarle la bocca. Insomma, una donna all’avanguardia ed intraprendente la nostra Teodolinda!
CONTINUA A LEGGERE LA STORIA DI TEODOLINDA SU “MONZA REALE”
© Riproduzione riservata
Raffaella Martinetti13 luglio 2015 15:09
Teodolinda, breve biografia di una Regina
8 aprile 2015 di Sara tagged Monza, Teodolinda
Teodolinda era la figlia di Garibaldo I, duca di Baviera e Valdrada. Da parte di madre era discendente dei Letingi, stirpe nobile. La
data e il luogo di nascita non si conoscono precisamente, si pensa possa essere nata intorno al 570 a Ratisbona. La maggior parte
delle notizie biografiche provengono dalla Historia Longobardorum di Paolo Diacono. Teodolinda era di fede cattolica, seguace dello
scisma dei Tre Capitoli.
Nel 589 Teodolinda sposò il re dei Longobardi Autari, le nozze si tennero a Verona. Purtroppo egli morì solo dopo un anno, nel 590,
forse vittima di un avvelenamento. Alla regina, nonostante la morte del marito, fu concessa da parte dei Longobardi la scelta del
nuovo marito: questa cadde su Agilulfo, duca di Torino. Il matrimonio si tenne nel 590 e l’anno successivo egli fu eletto Re dei
Longobardi. Da questa unione nacquero due figli: Adaloaldo e Gundeperga.
La regina è legata a Monza perché la scelse come sua residenza estiva e qui vi costruì il suo palazzo, decorato con le imprese dei
Longobardi e una piccola chiesa che dedicò a San Giovanni Battista (595 ca.). La scelta del luogo è da ricercare nel clima favorevole
della Brianza, o forse nel suo legame con Teodorico, re dei Goti: secondo alcune fonti infatti egli aveva costruito a Monza un
palazzo. In questa chiesa Teodolinda aveva fatto battezzare suo figlio nel 603 e l’aveva arricchita con preziosi oggetti, alcuni ancora
conservati nel Museo e Tesoro del Duomo di Monza.
Nel 616 il re Agilulfo morì lasciando il posto al figlio Adaloaldo (associato al trono già dal 604), ma essendo egli molto giovane, la
regina rimase al suo fianco esercitando una reggenza. Dopo dieci anni di regno Adaloaldo venne deposto e al trono salì Arioaldo,
marito di Gundeperga.
Il 22 Gennaio 627 Teodolinda morì e venne sepolta nella chiesa da lei fondata. Nella Cappella di Teodolinda viene custodito ancora
oggi il suo sarcofago di pietra su colonnine, in cui la tradizione vuole che nel 1308 il corpo della Regina, sepolto nella basilica, venne
traslato.
eodolinda, la prima grande donna
del Medioevo, è risorta in tutto lo
splendore della sua cappella nel
Duomo di Monza
di Gianfranco Morra
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Cappella di Teodolinda, Duomo di Monza
La prima grande donna del medioevo è risorta, è ancora qui, nella sua chiesa, nella sua città, nel suo
regno. E tutta la città di Monza l'ha applaudita. Nel Duomo è stata riaperta quella cappella, che ne
custodisce il sepolcro: dopo sette anni di sofisticato e difficile restyling, diretto e gestito da 10
donne 10. Ora Teodolinda, coronata, alta e bionda sul cavallo bianco, ci guarda dalle pareti con
benevola austerità. Come ce la descrive Paolo Diacono: quando il futuro sposo andò travestito per
vederla alla corte di suo padre Gariboldo, re di Baviera, se ne innamorò, tanto era «di delicata
bellezza» (eleganti forma): «Ella, presa una tazza, la porse ad Autari, senza sapere ch'era il suo
sposo, ed egli, dopo aver bevuto, nel renderle la tazza, le toccò col dito la mano e poi passò la mano
dalla fronte sul naso e sul volto».
Fu regina per tre volte: a fianco dei mariti Autari e Agilulfo, e come reggente del figlio fanciullo
Adeodato. Seppe frenarne lo spirito guerriero e guidarli con garbo e intelligenza. Il suo popolo era
prevalentemente cristiano ariano. Legata da un forte feeling col papa Gregorio Magno, il primo a
chiamarsi «servo dei servi di Dio», Teodolinda, il cui nome significa «tenera verso il popolo»,
seppe convertire i longobardi alla fede cattolica. La sua politica fu ispirata alla moderazione: per
l'Italia i suoi furono anni di relativa pace. Fu una politica di integrazione fra due culture, quella
ancora primitiva dei longobardi e quella ormai cattolica degli italiani.
La capitale del regno longobardo era dove viveva la corte. E Teodolinda era innamorata di Monza e
della Brianza, vi trascorreva i mesi estivi: «perché la zona, d'estate, essendo vicina alle Alpi, è
fresca e salutare» (Paolo Diacono). E tutto ciò che oggi rimane di rilevante del passato di Monza,
tanto da costituire una irresistibile attrattiva turistica, ruota nel breve spazio delle sue memorie.
Ovviamente il Duomo, nato come oratorio voluto da Teodolinda, poi riedificato a partire dal
Trecento. E il ricchissimo Museo, dove, esposti con le più sofisticate attrezzature e difese,
splendono la sua Corona e la Croce del marito Agilulfo, dentro una ricca raccolta che fa conoscere
tutta la storia del regno longobardo.
Il punto focale del Duomo, purtroppo un po' guastato all'interno da incaute manomissioni
seicentesche, è proprio quella cappella, che è stata riconsegnata splendente alla citta. Essa conserva
la Corona ferrea, con la quale furono incoronati tutti i re d'Italia sino a Napoleone. E, soprattutto,
ospita un insieme di pitture unico in Italia, espressione di quel gotico internazionale lombardo, che
si richiamava soprattutto a Michelino da Besozzo e Pisanello. Nel 1444 fu il duca di Milano,
Filippo Maria Visconti che volle quel ciclo, al quale lavorò la famiglia Zavattari, della quale almeno
nove esercitarono la pittura. Tutte le pareti sono coperte da 45 scene e centinaia di volti, 50 metri
quadri che visualizzano le narrazioni dello scrittore longobardo Paolo Diacono e del cronista di
Monza Bonincontro Morigia. Un perfetto documentario della vita cortese nell'autunno del
medioevo: banchetti, balli, feste, cacce. Le figure sono precise e minuziose «fotografie» degli abiti e
dei costumi della nobiltà lombarda del quindicesimo secolo: broccati, cappello di raso, gioielli e
ornamenti preziosi, dovunque oro e lapislazzuli. Proprio negli anni in cui il ducato passerà a
Francesco Sforza, sposo di Bianca Maria, ultima della dinastia dei Visconti.
Con questo restauro, Monza ha tutelato e promosso in maniera esemplare la sua vocazione turistica,
che certo può essere favorita della breve distanza dal capoluogo regionale. Se la vecchia immagine
dei brianzoli era quella di forti e produttivi lavoratori, tanto che qualcuno li chiamava i «cinesi
d'Italia», ora sappiamo che anche loro hanno capito come la cultura e il turismo fanno guadagnare
non meno delle attività manuali. L'evento ha visto la partecipazione di tutte le autorità della
Regione lombarda, a partire dal governatore, Roberto Maroni. Foltissima la presenza dei giornalisti.
Purtroppo mancava la più importante, Lilli Gruber. Era anche il suo giorno, dato che il suo nome è
proprio Teodolinda, nella variante tedesca Dietlinde: anche lei Regina tenera col suo popolo (di
telespettatori).
CORONA DI TEODOLINDA
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ABBOZZO LONGOBARDI
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CONVENZIONI DI WIKIPEDIA.
CORONA DETTA DELLA REGINA TEODOLINDA
LA CORONA DETTA DI TEODOLINDA È UNA
CORONA VOTIVA CONSERVATA PRESSO IL
MUSEO DEL DUOMO DI MONZA, ESEMPIO DI
OREFICERIA ALTOMEDIEVALE, DATABILE AL VIVII SECOLO.
SI TRATTA DI UN DIADEMA IN ORO, GEMME E
MADREPERLA, DI GUSTO BIZANTINEGGIANTE. LE
GEMME CHE LA RIVESTONO, DI FORMA
CIRCOLARE O QUADRATA, SONO RACCHIUSE DA
SOTTILI LAMINE D'ORO E SONO DISPOSTE IN
CINQUE ORDINI PARALLELI.
SI NOTANO ANCHE DEI PICCOLI FORI LUNGO I
BORDI PERLINATI SUPERIORE ED INFERIORE,
EVIDENTEMENTE USATI PER ESPORRE LA
CORONA ED AGGANCIARVI DECORAZIONI
PENDENTI.
ANCHE SE MENO NOTA E DI MINORE
IMPORTANZA STORICA DI ALTRI GIOIELLI DEL
TESORO MONZESE, FORSE QUESTA CORONA È
UNO DEI GIOIELLI PIÙ ELEGANTI DELLA
RACCOLTA.
RECENTI STUDI SUL GIOIELLO HANNO PORTATO
AD ATTRIBUIRLO ALLA REGINA OSTROGOTA
AMALASUNTA, FIGLIA DI TEODORICO [1].
Secondo la tradizione cristiana verso l'anno 324 l’Imperatrice Elena, madre
dell'imperatore Costantino I°, fece scavare nell'area del Golgota, in particolare
sul monte Calvario, alla ricerca di quanto poteva essere ancora trovabile della
Passione di Gesù.
Monte Calvario con Santuario ►
Fu rinvenuta quella che venne identificata come la "vera Croce", con i Chiodi
ancora conficcati.
I Chiodi furono tolti dal legno della Croce e la mamma di Costantino avrebbe
potuto portare tutto il sacro ritrovamento a Roma, tuttavia l'Imperatrice Elena
lasciò a Gerusalemme la Croce e tutto il resto, portando invece con sé alcuni
sacri Chiodi.
Tornata a Roma, con uno di essi creò un morso di cavallo, e ne fece montare un
altro sull'elmo del figlio Costantino, affinché l'imperatore ed il suo cavallo fossero
protetti in battaglia.
Alcuni sacri Chiodi furono donati al Papato.
Nella basilica di “Santa Croce in Gerusalemme” di Roma,
nella cappella delle reliquie, viene da tempi antichissimi
venerato un santo Chiodo che da sempre è stato ritenuto uno
di quelli portati dall’imperatrice Elena e quindi autentico.
◄ Sacro Chiodo in Santa Croce in Gerusalemme a Roma.
Due secoli dopo Papa
Gregorio I° avrebbe
donato uno dei Chiodi a
Teodolinda, regina dei
Longobardi, che fece
fabbricare la corona ferrea
e vi inserì il sacro Chiodo,
ribattuto a forma di lamina
circolare.
La regina Teodolinda iniziò ad avvicinarsi al papato,
attirata dalla straordinaria personalità di Gregorio
Magno Papa.
Appoggiata dal marito Agilulfo, si adoperò così per
favorire la conversione dei Longobardi, restituì alla
Chiesa i beni sottratti durante l’invasione e fece
costruire nuove chiese e nuovi monasteri.
◄ La Regina Teodolinda
La tradizione che legava la corona alla Passione di Cristo e al primo imperatore
cristiano ne faceva un oggetto di straordinario valore simbolico, che legava il
potere di chi la indossava a una miracolosa potenza divina e ad un legame con
la storicità dell'impero romano.
La Corona
Ferrea fu
indossata
dai re
Longobardi, e poi anche da Carlo Magno e dai suoi successori, in occasione
della loro incoronazione quali re d'Italia.
La solenne cerimonia avveniva nella basilica di San Michele Maggiore a Pavia e
nell’immagine a lato è indicato il punto esatto della navata centrale dove erano
posizionati durante la cerimonia i futuri re in attesa dell’investitura reale.
Purtroppo… Teodolinda e il marito Agilulfo preferirono Milano a Pavia come
capitale dell’impero e scelsero Monza come residenza estiva e quando
Teodolinda morì nel 627 la Corona ferrea rimase a Monza dove è tuttora nella
Cappella di Teodolinda nel Duomo cittadino.
ESCI
LA CORONA FERREA DI TEODOLINDA
CURIOSITÀ DI PAVIA E DINTORNI
AGILULFO, re dei Longobandi
Raffaello Morghen
Cognato del re Autari, duca di Torino, fu scelto come marito, col consenso dei duchi
longobardi, da Teodolinda, vedova di Autari, e innalzato al trono nel maggio del 591.
Bello della persona, valoroso in guerra, accorto, egli fu uno dei maggiori re longobardi, e
intese, in circa venticinque anni di regno, a rendere sempre più salda l'autorità regia sui
duchi e ad estendere i confini della conquista longobarda in Italia. Conclusa una pace
perpetua con i Franchi, gli Unni e gli Avari, egli condusse con grande energia la lotta
contro i duchi ribelli, che riusci a domare completamente, e contro i Bizantini. Avendo
l'esarca di Ravenna, Romano, invaso alcune città della Tuscia romana, giunse col suo
esercito fino alle porte di Roma; e solo qui, per l'influenza della moglie Teodolinda,
abbassò le armi dinanzi alle proposte di pace del pontefice, Gregorio Magno. Riaccesasi
la lotta con l'esarca Gallicino, che gli aveva rapito la figlia, prese e distrusse Padova,
Monselice, Cremona e Mantova; sì che il nuovo esarca Smaragdo fu costretto a chiedere
pace e a restituirgli la figlia. Conquistò quindi anche Bagnoregio e Orvieto, finché
conchiuse con l'imperatore Foca una pace annuale, che fu poi più volte rinnovata.
Nella politica verso il papato, seguendo l'influsso della moglie e subendo forse anche il
fascino dell'alta personalità di Gregorio Magno, A. seguì un indirizzo di moderazione
prima e di favoreggiamento aperto del cattolicismo poi, che doveva avere un'importanza
fondamentale per la conversione dei Longobardi al cattolicismo e per le relazioni che si
stabilirono fra vinti e vincitori. Convertitosi egli stesso alla religione cattolica, fece
battezzare il figlio Adaloaldo, concesse benefici a chiese e monasteri, e restituì ai vescovi
piena autorità e dignità. Sotto il suo regno sorsero, per opera di Teodolinda, il palazzo e la
basilica di S. Giovanni in Manza e anche il monastero di S. Lolombano in Bobbio.
L’Abbazia di San Colombano è un monastero che venne fondato da San
Colombano nel 614 a Bobbio, ed un tempo sottoposto alla sua regola
monastica e all’ordine di San Colombano.
Sorge nel centro del tessuto urbano della cittadina, che si formò poco
per volta attorno alla vasta area occupata dal monastero.
Essa fu per tutto il Medioevo uno dei più importanti centri monastici
d’Europa, facendone fra il VII ed il XII secolo una Montecassino
dell’Italia settentrionale; infatti è resa famosa dallo Scriptorium, il cui
catalogo, nel 982, comprendeva oltre 700 codici e che dopo la
dispersione in altre biblioteche conservò 25 dei 150 manoscritti più
antichi della lettura latina esistenti al mondo.
Divenne abbazia matrice dell’ordine monastico la cui potenza si
estendeva sia in Italia che in Europa, grazie a numerose abbazie e
monasteri fondati dai suoi monaci fin dall’epoca longobarda.
In Italia del nord si creò rapidamente il feudo monastico di Bobbio, poi
sostituito dalla “contea vescovile di Bobbio”.
La Basilica fu costruita tra il 1456 ed il 1522, sopra i resti della chiesa
conventuale anteriore al 1000. Essa presenta all’interno, numerosi
affreschi che decorano le due navate minori ed il transetto, eseguiti da
Bernardino Lanzani e da un suo aiutante intorno agli anni 1527-1530.
Vicino all’ingresso a sinistra, vi è la vasca battesimale del VII secolo che
secondo la leggenda la regina Teodolinda donò a San Colombano e
dove lui stesso celebrò il primo battesimo (un tempo era collocata nella
cripta). L’abside è stranamente rettangolare ed asimmetrico ed è
slegato al resto della chiesa. Esso fu costruito negli anni 1456-1485,
sostituendolo al precedente di forma ovale.
Nell’ambiente che si apre davanti la cripta si conserva il prezioso
mosaico pavimentale di San Colombano (metà del XII secolo), riemerso
miracolosamente durante lavori di ristrutturazione nel 1910. La cripta
vera e propria, con il sarcofago di S. Colombano al centro, opera di
Giovanni de’ Patriarchis (1480), il sepolcro di Sant’Attala (2º abate), e il
sepolcro di San Bertulfo (3º abate), con le loro transenne marmoree
longobarde usate come lastre tombali sopra antichi affreschi del primo
XV secolo, la cancellata transenna in ferro battuto del XII secolo e la
cappella di San Colombano a sinistra con la statua bianca del santo in
grandezza naturale ed un antico affresco della Madonna dell’Aiuto.
Attualmente la Basilica è una parrocchia del vicariato di Bobbio, Alta Val
Trebbia, Aveto e Oltre Penice della Diocesi di Piacenza-Bobbio. Vi si
tengono le funzioni religiose solo nei giorni festivi. La festa annuale è il
23 novembre, festa del santo patrono di Bobbio, San Colombano.