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SENTENZA
Cassazione civile sez. II - 21/01/2008, n. 1260
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ
Giovanni
- Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo
- Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio
- rel. Consigliere Dott. PARZIALE Ippolisto
- Consigliere Dott. BERTUZZI Mario
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.P.E., elettivamente domiciliata in ROMA presso LA
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati CHIAPPO
VITTORIO, ROSSO RODOLFO, (avviso postale VIA COLOMBO N. 4 - 13900
BIELLA -), giusta mandato speciale in calce al ricorso;
- ricorrente contro
C.A.;
- intimato avverso la sentenza n. 1123/05 del Giudice di pace di BIELLA del
2/12/05, depositata il 05/12/05;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il
30/10/07 dal Consigliere Dott. Emilio MIGLIUCCI;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.
Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso in
epigrafe indicato per manifesta infondatezza dei motivi posti a suo
fondamento.
FATTO E DIRITTO
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B.P.E. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di
Biella del 2 dicembre 2005 di accoglimento della domanda di risarcimento del danno
proposta nei suoi confronti da C.A. con riferimento alla spesa sostenuta per la pulizia
dell'area di sua proprietà sottostante a una betulla piantata dalla attuale ricorrente nel
fondo confinante.
Non ha svolto attività difensiva l'intimato.
Il Giudice di Pace, disattesa l'eccezione di carenza di legittimazione attiva del C. sollevata
dalla convenuta con riferimento alla qualità di nudo proprietario dell'attore, riteneva provata
la responsabilità della P. in ordine ai danni documentati dal preventivo in atti.
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di
rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Lamenta la ricorrente:
1) con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnatala, non avendo il Giudice di Pace
indicato la regola equitativa applicata, atteso che il riferimento "al sacrosanto diritto di
tutelare il proprio fondo e la propria abitazione dai gravi danni, materiali e igienici, causati
dalla convenuta e ad evitare lavori e spese per l'incuria della vicina confinante" si risolve in
una petizione di principio e non indica alcun criterio e tantomeno un principio informatore
della materia;
2) con il secondo motivo,la violazione dei principi informatori della materia - qualora si
ritenesse che con la affermazione sopra citata il giudicante avesse inteso applicare il
principio informatore della materia - atteso che in tema di proprietà sono consentite la
immissioni, se rientrino nel limite della normale tollerabilità e, dall'altro lato, è esclusa la
responsabilità del proprietario per danni cagionai dalle azioni naturali, come quella del
vento che trasporta le foglie, qualora siano rispettate le distanze legali e i rami non si
protendano sul fondo altrui.
I motivi, essendo strettamente connessi,vanno esaminati congiuntamente.
Le censure sono infondate.
Preliminarmente non possono essere condivise la argomentazioni formulate dal
Procuratore Generale il quale, nel criticare la distinzione fra principi informatori e principi
regolatori della materia accolta dalla giurisprudenza di legittimità, ha osservato che i primi
non vivono di vita propria, identificandosi nei secondi, dei quali rappresentano semmai la
ratio ispiratrice.
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Al riguardo, appare necessario un accenno alla ricostruzione storica della attuale
disciplina.
La legge istitutiva del Giudice di pace ha eliminato ogni riferimento ai principi regolatori
della materia - introdotto dalla L. 30 luglio 1984, n. 399, art. 3, come limite dell'equità del
conciliatore: la giurisprudenza formatasi in materia, e culminata nella pronuncia delle
Sezioni Unite n. 716 del 1999, è pervenuta alle conclusioni che l'equità del giudice di pace
ha natura sostitutiva, non già correttiva o integrativa della regola di diritto, sicchè questi
non è tenuto a seguire i principi regolatori della materia ricavandoli in via di
generalizzazione dalla norme specifiche dettate dal legislatore per disciplinare il rapporto
dedotto in giudizio nè ad individuare le norme giuridiche astrattamene applicabili, ma crea
egli stesso la regola della decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato su valori
preesistenti nella realtà sociale.
Tale interpretazione ha però provocato un intervento della Corte costituzionale la quale,
con sentenza additiva n. 206 del 2004, applicabile al giudizio in corso, ha dichiarato
l'illegittimità del capoverso dell'art. 113 c.p.c., così come interpretato dalla giurisprudenza,
nella parte in cui esclude che il Giudice di pace debba osservare i principi informatori della
materia. In particolare la Corte Costituzionale ha chiarito che il giudizio di equità non è non
può essere un giudizio extra-giuridico, atteso che la sola funzione che alla giurisdizione di
equità può riconoscersi, in un sistema caratterizzato dal principio di legalità a sua volta
ancorato al principio di costituzionalità, nel quale la legge è dunque lo strumento principale
di attuazione dei principi costituzionali, è quella di individuare l'eventuale regola di giudizio
non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della
controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla
stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che non
potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nell'arbitrio,
attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e
ragionevolezza.
Nell'attuazione della pronuncia di incostituzionalità i principi informatori della materia sono
stati individuati da questa Corte (sent. 17 gennaio 2005, n. 743) nei principi ai quali il
legislatore si ispira nel porre una determinata regola: questi differiscono dai principi
regolatori della materia che vincolavano il Giudice conciliatore poichè, mentre il conciliatore
doveva osservare le regole fondamentali del rapporto traendoli dal complesso di norme
preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di pace non deve
osservare una regola equitativa tratta dalla disciplina dettata in concreto, ma deve solo
curare che essa non contrasti con i principi cui si è ispirato il legislatore nel dettare una
determinata disciplina.
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Il rispetto dei principi informatori non vincola perciò il giudice di pace all'osservanza di una
regola ricavabile dal sistema ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al
fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell'arbitrio.
Ciò premessola sentenza ha enunciato la regola equitativa in base alla quale ha deciso la
controversia, ritenendo che "il proprietario ha il sacrosanto diritto di tutelare il proprio fondo
e la propria abitazione dai gravi danni, materiali e igienici, causati dalla convenuta e ad
evitare lavori e spese per l'incuria della vicina confinante": in proposito ha chiarito che
l'attore è costretto a pulire le gronde del garage della sua abitazione nonchè i tombini
dell'acqua piovana dalle foglie che cadono dai rami della betulla della convenuta, che
invadono la proprietà di esso attore. In tal modo il Giudice di Pace, giustificando la scelta di
allontanarsi dal diritto positivo, ha dato conto- alla stregua delle circostanze del caso
concreto - delle ragioni per cui un determinato comportamento appariva meritevole di tutela
rispetto alla valutazione data dall'ordinamento positivo (Cass. 171122/2006; 8620/2006,
2281/2006; 16254/2005).
Ciò posto, occorre innanzitutto osservare che qualora con il ricorso di denunci la violazione
dei principi informatori della materia il ricorrente deve indicare il principio informatore
violato dalla regola equitativa individuata dal giudice di pace (Cass. 284/2007): tale onere
non è stato ottemperato dalla ricorrente, la quale si è limitata a richiamare una serie di
norme, da cui dovrebbe trarsi la conseguenza della liceità della sua condotta.
In ogni caso, l'assunto è infondato.
In tema di proprietà immobiliare, la disciplina dei rapporti di vicinato, dettata allo scopo di
evitare possibili conflitti al fine ad assicurare l'effettivo esercizio del diritto di ciascuno, è
ispirata al principio informatore secondo cui l'esplicazione dei poteri di godimento ed
utilizzazione della cosa incontra il limite rappresentato dalla necessità di non menomare la
proprietà del vicino, il quale ha diritto, secondo la regola generale del, neminem laedere,
consacrata dall'art. 2043 c.c., ad essere risarcito del danno ingiusto.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l'omessa motivazione in ordine all'eccezione di
difetto di legittimazione attiva del C., nudo proprietario e non usufruttuario, essendosi il
giudicante limitato ad affermare che trattasi di distinzione più apparente che reale, senza
indicare a quale titolo la responsabilità venisse addebitata alla convenuta.
Il Giudice - osserva ancora la ricorrente - aveva accolto la domanda, ponendo a base della
decisione, immotivatamente ed in violazione dei principi informatori in materia di onere
della prova, le circostanze affermate dall'attore ma contestate dalla convenuta.
La censura è infondata.
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Occorre chiarire che in tema di giudizio di equità, con il ricorso per cassazione avverso la
decisioni del Giudice di pace non possono essere denunziati il vizio di violazione o falsa
applicazione di leggi ordinarie e di motivazione quando esso non integri gli estremi della
motivazione inesistente o meramente apparente, che - secondo quanto già rilevato certamente non ricorre nella specie.
Il giudicante, nel respingere l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata in
realtà con riferimento alla titolarità del diritto azionato, ha considerato correttamente che il
nudo proprietario può agire per il risarcimento del danno arrecato alla cosa di sua
proprietà:la distinzione fra nudo proprietario ed usufruttuario, infatti, opera nei rapporti
interni ma non ha alcuna incidenza in ordine all'esperibilità dell'azione aquiliana nei
confronti del terzo.
La sentenza ha quindi ritenuto provate le circostanze dedotte dall'attore a fondamento
della domanda, liquidando il risarcimento sulla base del preventivo prodotto: in tal modo ha
ritenuto assolto l'onere probatorio incombente sull'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c.: il
mancato riferimento alle fonti della prova in relazione alle altre circostanze menzionate
dalla ricorrente potrebbe configurare il vizio di motivazione insufficiente che, per quanto si
è detto, non è deducibile nella presente sede. Non va adottata alcuna statuizione in ordine
alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l'intimato svolto
attività difensiva l'intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2008
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