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Procedura Penale
procedura penale (Università telematica Unitelma Sapienza)
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PROCEDURA PENALE
1 - INTRODUZIONE
Nel diritto di PP si studia il modo in cui nel nostro ordinamento giuridico si accerta se sia stato commesso
un reato. La legge processuale penale ha una duplice finalità: da un lato, regola l’attività del giudice e delle
parti; da un altro lato, predispone gli strumenti logici mediante i quali il giudice, con il contributo dialettico
delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi.
Si deve accertare se è stato commesso un certo fatto storico e se quel fatto storico corrisponda a una
condotta individuata come reato all'interno dell'ordinamento penale. Da qui il problema etico
fondamentale: l’obiettivo del processo è la scoperta della verità o portare a una verità di comodo? Per
accertare che quel fatto si sia verificato, dobbiamo andare ad indagare su un evento nel passato e per
questo dobbiamo agire come degli storici. Dobbiamo applicare i metodi scientifici per poter arrivare a dire
che quel fatto è vero. Il metodo scientifico che si usa per eseguire questo processo è il "metodo scientifico
della falsificazione" ovvero, possiamo arrivare a decretare che una certa affermazione è vera, nel momento
in cui questa affermazione, ha retto, ha subito, un processo di falsificazione e questo processo di
falsificazione non si è realizzato. Si è affermato il paradigma popperiano. Karl Popper ci ha spiegato che per
poter affermare che una certa affermazione sia vera, dobbiamo percorrere un percorso che ci porta a dire
che quella tesi è vera, nel momento in cui ha retto al processo della sua falsificazione. Dal punto di vista
scientifico dobbiamo passare attraverso tre momenti fondamentali:
 Tesi (idea di partenza)  Notizia di reato;

Verifica della tesi (costruzione positiva dei fatti, formulazione di un’ipotesi)  Indagini preliminari;

Critica della tesi (fase della confutazione - dobbiamo mettere questa tesi in mano ad altri che
devono cercare di screditarla)  Dibattimento.
Solo soddisfacendo tutti e tre i passaggi possiamo dire che quel fatto è stato accertato e quindi sia
accaduto, in quanto soddisfa i criteri di dimostrazione secondo il metodo scientifico e pertanto è possibile
applicare una sentenza di condanna, che comporta una limitazione della libertà. Limitazione possibile solo
se è stata accertata la verità. Il processo penale è costruito su questo procedimento scientifico.
2 – I SISTEMI PROCESSUALI
Sistema Inquisitorio e Sistema Accusatorio
Con questi due termini ci si riferisce a tipi di processo penale ai quali sono attribuite determinate
caratteristiche.
In linea di massima, si afferma che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre quello
accusatorio si fonda sul contradditorio e sull’oralità.
Tutto ciò conferma che i due sistemi sono niente altro che modelli: essi vengono ricavati mediante
astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili in un determinato ordinamento e
seguendo una contrapposizione ideale: ad esempio, alla segretezza del sistema inquisitorio viene opposto il
contradditorio che denota il sistema accusatorio.
Ma la contrapposizione ha un valore puramente astratto, perché, in realtà, la maggior parte degli
ordinamenti sono di tipo misto.
Tutto ciò conferma che i due sistemi sono niente altro che modelli: essi vengono ricavati mediante
astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili in un determinato ordinamento e
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seguendo una contrapposizione ideale: ad esempio, alla segretezza del sistema inquisitorio viene opposto il
contradditorio che denota il sistema accusatorio.
Sistema Inquisitorio e Principio di Autorità
All’origine logica della distinzione tra sistema inquisitorio ed accusatorio sta la contrapposizione tra
principio di autorità e principio dialettico.
Il SISTEMA INQUISITORIO si basa sul PRINCIPIO D’AUTORITA’= la verità è tanto meglio accertata quanto più
potere è dato al soggetto inquirente. In lui si cumulano tutte le funzioni processuali di:
- giudice come accusatore
- giudice come difensore dell’imputato.
In questo sistema non occorre che il giudice sia indipendente, anzi meglio è tanto più è legato al potere
politico (Re, Governo, Partito Unico, ecc.).
Da questo cumulo dei poteri processuali derivano le PRINCIPALI CARATTERISTICHE del Sistema Inquisitorio.
a) INIZIATIVA D’UFFICIO: non è necessario che il suo intervento sia richiesto da un soggetto che accusa
qualcun altro, basta anche una denuncia anonima.
b) INIZIATIVA PROBATORIA D’UFFICIO: la ricerca delle prove non deve spettare alle parti, ma al giudice
stesso, perché egli ha più poteri e, quindi, meglio può conoscere il vero e il giusto.
c) SEGRETO: l’inquisitore ricerca la verità senza contrapposizione con e tra le parti e assume le deposizioni
in segreto.
d) SCRITTURA: delle deposizioni raccolte è fatto un verbale che riporta l’interpretazione data all’inquisitore
alle frasi pronunciate. Di queste non è indispensabile che vengano riportate le parole effettive, bensì la
versione data dall’inquirente.
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Il materiale raccolto contiene la verità che sta, quindi, nell’insieme degli atti scritti, cioè dei verbali redatti:
quid non est in actis, non est in hoc mundo, la verità sta solo nelle carte del fascicolo predisposto
dall’inquisitore.
e) NESSUN LIMITE ALL’AMMISSIBILITA’ DELLE PROVE: quello che conta è il risultato da raggiungere, e cioè la
verità, e non il metodo con cui la si persegue. Pertanto ogni modalità di ricerca è ammessa, anche la tortura
dell’imputato.
f) LA PRESUNZIONE DÌ REITA’: è sufficiente aver raccolto alcuni indizi contro un imputato o anche soltanto
una denuncia anonima perché questi sia chiamato a discolparsi. In questo sistema, deve essere l’imputato a
dimostrare la sua innocenza mediante prove: se fallisce in tale compito, deve essere condannato.
g) CARCERAZIONE PREVENTIVA: poiché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove d’innocenza,
deve essere sottoposto a custodia preventiva in carcere.
h) MOLTEPLICITA’ DELLE IMPUGNAZIONI: il regime permette che le parti (il difensore e l’avvocato del re)
possano presentare impugnazioni ai gradi superiori di giudizio, anche molteplici, perché così si avvicina il
processo all’organo titolare del potere politico (il sovrano, il governatore, ecc.) che può, in tal modo, più
facilmente influenzare la decisione, che diventa, perciò, verità di Stato.
Sistema Accusatorio e Principio Dialettico
Il Sistema Accusatorio si basa su un principio opposto a quello di autorità, e cioè sul PRINCIPIO DIALETTICO
= principio di separazione delle funzioni processuali. Esso è simile nella finalità a quello della separazione
dei poteri dello Stato.
Da qui derivano le caratteristiche del SISTEMA ACCUSATORIO:
a) INIZIATIVA DÌ PARTE: l’iniziativa del processo penale deve spettare solamente alle parti. Dalla presenza di
un accusatore prende il nome questo sistema processuale. In origine l’accusatore era un privato,
successivamente la funzione venne esercitato da un organo pubblico di tipo giurisdizionale. Il suo potere
d’azione non può essere inibito dal potere esecutivo o legislativo, pena l’abbandono di un sistema di tipo
garantista.
b) INIZIATIVA PROBATORIA DÌ PARTE: i poteri di ricerca delle prove devono essere divisi e ripartiti tra
accusa e difesa in modo che nessuno possa abusarne. Colui che accusa ha l’onere di ricercare le prove e di
convincere il giudice della reità dell’imputato, la difesa le prove della sua innocenza. Il giudice deve soltanto
decidere se ammettere o meno il mezzo di prova che viene richiesto, mentre nel corso dell’esame deve
limitarsi a valutare l’ammissibilità delle domande formulate da una parte.
L’istituto che esprime meglio la filosofia del sistema accusatorio è L’ESAME INCROCIATO.
c) CONTRADDITORIO: la separazione delle funzioni processuali si attua mediante il principio del
contradditorio. Questo assicura che, prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di
sostenere le proprie ragioni (audiatur et altera partis).
Il principio tende a far sì che ciascuna delle parti possa contribuire alla formazione della prova ponendo le
domande al testimone (o altro dichiarante).
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d) ORALITA’: si ha oralità in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed
ottenere risposte da colui che ha reso una dichiarazione. L’oralità permette di valutare in modo pieno la
credibilità e l’attendibilità di un testimone o di altro dichiarante.
Da ciò deriva la regola di esclusione secondo cui, in linea di principio, ai fini della decisione non sono
utilizzabili le dichiarazioni scritte.
e) LIMITI DÌ AMMISSIBILITA’ DELLE PROVE: è considerato molto importante il metodo attraverso il quale si
giunge a formare una prova. Soltanto se questo è rispettato la prova può essere attendibile e, quindi, utile
allo scopo di ricostruire l’esistenza di un fatto storico.
f) PRESUNZIONE DÌ INNOCENZA: chiunque accusa una persona deve convincere il giudice, mediante prove,
che costei è colpevole. Fino a che non ci sarà stato un processo che abbia sentenziato la condanna
dell’imputato, costui è presunto innocente. Non gli può essere chiesto di discolparsi, bensì spetta a colui
che accusa portare le prove della colpevolezza.
Il giudice potrà condannare l’imputato soltanto quando l’accusa è provata oltre ogni ragionevole dubbio.
g) LIMITI ALLA CUSTODIA CAUTELARE: se l’imputato è presunto innocente fino a sentenza definitiva di
condanna, non può essere trattato come un colpevole e, pertanto, la sanzione penale non può essere
anticipata neppure in via provvisoria. Quella che può essere applicata è soltanto una misura cautelare:
pertanto, l’accusa deve dimostrare il pericolo che l’imputato inquini le prove, fugga o commetta gravi reati.
La custodia in carcere, prima delle sentenza, è considerata come la extrema ratio.
h) LIMITI ALLE IMPUGNAZIONI: le impugnazioni hanno, soprattutto, lo scopo di controllare se in primo
grado sono stati rispettati i diritti delle parti e, segnatamente, il diritto alla prova. Ove si accerti una
violazione, il dibattimento deve essere svolto nuovamente davanti ad un altro giudice.
Il sistema misto è un sistema che assomiglia al sistema accusatorio. Il primo principio su cui si basa questo
tipo di processo è l’assenza del giudice istruttore.
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In realtà si possono individuare due diverse fasi:
1° fase → istruzione prevalentemente inquisitoria,
2° fase → dibattimento prevalentemente accusatorio.
Il secondo principio su cui si basa questo tipo di processo è la divisione di funzioni tra giudice ed accusa (in
realtà tra giudice, accusa e difesa). Il giudice istruttore assume le prove prima del dibattimento, questo è il
compromesso tra i due sistemi, è la logica del sistema misto: un organo che si possa confrontare,
paragonare al pubblico ministero.
Il Sistema Accusatorio Italiano del 1988
In Italia si è passati da un sistema misto prevalentemente inquisitorio ad un sistema accusatorio.
I principi che reggono il sistema accusatorio del 1988 sono tre:
1. separazione delle funzioni;
2. ripartizione in fasi o stati;
3. semplificazione del procedimento penale.
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attraverso questi principi si concretizza un sistema di garanzie della prova per gli individui.
I principi che reggono la formazione della garanzia (in contraddittorio) sono:
contraddittorio → cioè le parti si contrappongono nella formazione delle prove davanti al giudice
imparziale (è uno scontro dialettico);
oralità → cioè le prove si formano oralmente al contraddittorio;
immediatezza → cioè dovrà giudicare il giudice che ha assistito alla formazione della prova (dibattimento).
In questo sistema processuale imputato e pubblico ministero hanno funzioni di ricerca della prova, mentre
il giudice non può cercare prove ma ha solo funzioni di regolamento delle parti (quindi è diverso da un
giudice istruttore).
La separazione delle funzioni indica che ogni organo ha proprie funzioni e non cumula funzioni di altri
soggetti.
La ripartizione in fasi indica che all’interno di ogni fase si muovono soggetti e parti diverse; ripartizione in
fasi vuol dire che il processo penale ordinario si snoda in tre fasi:
- indagine preliminare
- udienza preliminare
- dibattimento.
La fase delle indagini preliminari serve a svolgere indagini. L’udienza preliminare (fase intermedia)
rappresenta un’ulteriore momento di garanzia in cui il giudice controlla l’attività svolta dal pubblico
ministero.
La fase del dibattimento indica il momento in cui si forma la prova.
Per capire il funzionamento del processo penale ordinario occorre distinguere tra due fondamentali
termini: procedimento e processo.
Tale distinzione risulta essere più evidente se si osserva la ripartizione, l’indice del codice di procedura
penale:
1° parte → contiene dal 1 al 4 libro e disciplina la parte statica del procedimento penale
2° parte → contiene dal 5 all’11 libro e disciplina la parte dinamica, l’iter, lo svolgimento, il procedimento
tecnico del processo penale.
LA PRIMA PARTE DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE:
LIBRO I: SOGGETTI → contiene la definizione di tutti i soggetti che fanno parte del procedimento penale.
LIBRO II: ATTI → contiene gli atti che tutti insieme compongono il procedimento.
LIBRO III: PROVE → contiene i mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova.
LIBRO IV: MISURE CAUTELARI → contiene le misure restrittive della libertà previste dalla
costituzione che si possono collocare in tutta la fase del procedimento.
SECONDA PARTE DEL CODICE DÌ PROCEDURA PENALE
LIBRO V: indagini preliminari ed udienza preliminare
LIBRO VI: procedimenti speciali
LIBRO VII: giudizio
LIBRO VIII: procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica
LIBRO IX: impugnazioni
LIBRO X: esecuzione
LIBRO XI: rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
3 – IL GIUSTO PROCESSO
Con il termine “ giusto processo” intendiamo la costituzionalizzazione dei principi accusatori del processo
penale.
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Quando facciamo riferimento al Giusto Processo, facciamo riferimento all'Art. 111 della Costituzione che è
stato modificato nel 1999 con l’inserimento del termine "Giusto Processo" che prima non compariva da
nessuna parte, nonostante alcuni principi fossero già presenti all’interno di altre norme costituzionali già
prima della riscrittura dell'Art 111 C.
Quando parliamo di Giusto Processo, non possiamo fare a meno di parlare anche di "Equo Processo", che è
previsto dall'Art. 6 della CEDU. Ricordiamoci che la Costituzione e la CEDU saranno il nostro filo conduttore
all'interno del nostro percorso e ci permetteranno di capire le regole fondamentali del sistema processuale
accusatorio.
Come agiscono i principi costituzionali sul processo? Il primo modo, quello più scontato, è che obbligano il
legislatore ordinario a formulare leggi che siano conformi a quei determinati principi. Chiaramente in caso
contrario la norma sarà dichiarata incostituzionale e quindi espunta dall'ordinamento. Vedremo anche
come la modifica dell'Art. 111 C. ha comportato la riscrittura di alcuni principi già presenti all'interno del
nostro Ordinamento. Questo vale anche per norme contenute nella CEDU, qualora contenessero norme di
garanzie più alte, rispetto al nostro Ordinamento, ai sensi dell’Art. 117 C., possono trovare applicazione.
Oltre tutto, in caso di violazione della CEDU, a seguito di ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, lo
Stato può essere condannato e di conseguenza si dovrà ripetere il processo. Lo stato può essere
condannato anche e è presente un deficit di struttura, ovvero quando le norme presenti in uno Stato
violano i principi della CEDU.
Il primo principio del sistema accusatorio è il Principio di riserva di giurisdizione, ovvero in virtù di quanto
prevede l'Art. 111 C., i reati possono essere accertati soltanto tramite un processo penale. Questo ci
sembrerà scontato, ma senza andare tanto lontano nel tempo, solo nel '900, tramite Decreto del
Presidente del Consiglio o della Repubblica si sono puniti reati tramite atti amministrativi.
Spesso si fa un parallelo con la formulazione delle norme penali, che compete esclusivamente solo alla
Legge Ordinaria parlamentare, allo stesso modo, solo alla giurisdizione spetta l’accertamento della loro
eventuale verificazione.
Nell'Art. 111 sono stati codificati i principi fondamentali del processo accusatorio.
Articolo 111 Costituzione
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo
possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del
tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà davanti al giudice di
interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la
convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione
di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la
lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza
dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
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dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali
ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale
norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli
motivi inerenti alla giurisdizione.
In primo luogo al comma 2° troviamo l’indicazione della forma triadica del processo, Accusa e Difesa sono
posizionate idealmente agli estremi della base di un triangolo equilatero dinanzi al Giudice che, per essere
equidistante dalle parti, ossia terzo ed imparziale, siede al vertice del triangolo. Questa raffigurazione
geometrica del processo permette di comprendere come parti necessarie siano il PM e l’imputato, mentre
il giudice non è parte, dovendo anzi essere terzo e imparziale, ma solo soggetto (protagonista) del
processo.
Le altre norme che compongono la griglia fondamentale sulla quale si basa il processo accusatorio e che
approfondiremo più avanti sono:
Art. 111 C. c 3  diritto alla prova;
Art. 111 C. c. 4  contraddittorio della formazione della prova
Art. 27 C. c. 2  presunzione di non colpevolezza;
Art. 13 C.  libertà personale inviolabile.
4 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL GIUDICE – 1
La funzione fondamentale del Giudice nel processo è quella di DECIDERE. Vedremo come durante il
processo le parti faranno continue istanze e il giudice dovrà decidere in merito a queste, oltre che quella
finale tra condanna o proscioglimento.
I principi Costituzionali e le linee procedurali, delineano la figura di un giudice perfetto, cioè un giudice che
è in grado di emettere la decisione migliore che noi possiamo immaginare.Per far ciò sicuramente il giudice
deve essere un soggetto non condizionato, esterno, che non dipende da nessuno e che quindi è in grado di
decidere secondo le prospettazioni che gli sono proposte e quindi tutti le prospettive costituzionali cercano
di costruire questa figura di giudice imparziale, terso, lontano da qualsiasi altra spinta se non quella di
decidere nel miglior modo possibile, se non in base a quello che è avvenuto durante il processo.
Da questo punto di vista quindi, la regola fondamentale che garantisce questa miglior decisione possibile è
quella che prevede che il giudice è soggetto soltanto alla Legge (Art.101 C. c2).
Questo significa che il giudice deve prendere qualsiasi decisione soltanto ed esclusivamente secondo la
Legge, pertanto ogni decisione dovrà essere fondata su una norma specifica e quindi deve essere indicare la
norma applicata. Questo comporta che il Giudice ha il monopolio della conoscenza della Legge nel processo
(spetta al giudice conoscere il diritto) quindi le parti non sono onerate di dimostrare al giudice quale sia la
norma applicabile nel caso concreto. Per esempio il PM quando decide di aprire il processo, indica il reato
che secondo lui è stato commesso, ma il giudice può decidere di modificare il capo di imputazione, anche
d'ufficio, anche in sentenza, senza indicazione o suggerimento delle parti, proprio per il fatto della sua
dipendenza dalla legge, dalla quale deriva che sia lui il conoscitore del diritto e quindi decida le norme
applicabili al procedimento.
Questo monopolio del giudice è comunque soggetto a un controllo, tramite il ricorso in Cassazione per
violazione di Legge.
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A corollario del Principio di soggezione alla Legge, vi è che il nostro sistema processuale rifiuta il sistema dei
precedenti, che vige nel mondo anglosassone (Common Law), ovvero quando un Giudice emette una
sentenza, esprime un principio di diritto che deve essere applicato nelle seguenti sentenze. Questo vuol
dire che quindi un giudice che emette una sentenza non è soggetto soltanto alla Legge, ma anche ad altri
giudici, o meglio alle loro sentenze. Pertanto nel nostro ordinamento il principio dei precedenti non è
applicabile.
Altro corollario collegato alla soggezione della Legge del Giudice è il divieto di pregiudiziali. Durante un
processo potrebbero venire a galla delle questioni che normalmente spettano alla competenza di un altro
giudice, pertanto se durante un processo, per arrivare alla decisione conclusiva, è necessario risolvere una
questione pregiudiziale, cioè risolvere una questione di carattere civile o amministrativo, il giudice penale la
risolve lui stesso, non è obbligato a delegare la questione a un giudice civile o amministrativo.
Immaginiamoci un processo per furto e in contemporanea è pendente un giudizio sulla proprietà di
quell'oggetto del furto; il giudice non è costretto a bloccare o a sospendere il processo in attesa che un
giudice civile si pronunci sulla proprietà del bene oggetto del furto, bensì la risolverà lui stesso, altrimenti
sarebbe non più soggetto alla legge, ma a una decisione che avrebbe emesso un altro giudice. La ratio è
identica al rifiuto del sistema dei precedenti. Ci sono delle deroghe in materia di divieto di pregiudiziali
quando si tratta di nazionalità, cittadinanza e figliazione perchè in queste situazioni ci vuole una particolare
certezza.
Sempre collegato al discorso del divieto di pregiudiziali è la cosiddetta disapplicazione degli atti
amministrativi non conformi a Legge. La disapplicazione degli atti illegittimi in diritto amministrativo è un
istituto fondamentale che spetta per riserva al giudice amministrativo. Nel momento in cui il giudice
penale i trova ad affrontare l'esistenza di un atto amministrativo illegittimo, non potendo annullarlo, potrà
disapplicarlo considerandolo inesistente, altrimenti il giudice, oltre che soggetto alla legge, sarebbe anche
soggetto alla Autorità amministrativa.
Questo è il quadro generale che sta intorno al principio fondamentale che governa il giudice, ovvero il
giudice deve decidere e per decidere deve essere soggetto soltanto alla Legge e senza condizionamenti di
altri giudici penali (divieto dei precedenti) o amministrativi (divieto di pregiudiziali) e non può essere
vincolato alla decisioni della Pubblica amministrazione (disapplicazione atti amministrativi illegittimi).
Il giudice deve inoltre essere terzo. Deve essere indipendente dagli altri poteri dello Stato, quindi abbiamo
una serie di norme accumunate dalla medesima ratio. Pensiamo alla norma che stabilisce che i giudici siano
selezionati per concorso (imparzialità) che garantisce l'assenza di vincoli che invece si creerebbero nel caso
di nomina. Per garantire questa terzietà dei giudici, la magistratura è stata costruita attraverso un sistema
di autogoverno, infatti il Consiglio Superiore della Magistratura è l'Organo di autogoverno della
Magistratura. Gestisce le attività e le funzioni dei magistrati, colloca i magistrati nelle varie sedi, applica le
sanzioni disciplinari, regola le promozioni. Il CSM è composto da membri eletti dallo stesso CSM, dal
Parlamento e dal Presidente della Repubblica che lo presiede.
Il giudice è inamovibile e oltre a essere indipendente dagli altri poteri dello Stato, è indipendente dagli altri
Giudici, infatti non sono presenti vincoli gerarchici. I giudici i distinguono solo per funzioni, non vi sono
superiori e quindi tutti allo stesso livello. Avremo giudici del dibattimento, giudici delle Corti d'Appello,
Giudici della Corte di cassazione, Giudici per le Indagini Preliminari, Giudici del giudizio, ecc... tutti pari
grado, tutti indipendenti e dipendenti solo dalla Legge.
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5 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL GIUDICE –2
Dopo aver visto due caratteri fondamentali del Giudice ovvero come sia soggetto solo alla Legge e la sua
indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato e nei confronti degli altri Giudici, vedremo un terzo
carattere fondamentale che contraddistingue la figura del Giudice, ovvero la sua qualità di soggetto
imparziale. Il riferimento all'imparzialità del Giudice lo troviamo sempre all'Art. 111 C. c2 .
L'imparzialità del Giudice si configura come la sua non condizionalità nel momento in cui deve prendere le
sue decisioni. Il Giudice imparziale deve avere solo funzioni decidenti, per questo motivo vi è la separazione
delle funzioni all'interno del processo penale, in quanto se il Giudice partecipasse alle indagini preliminari,
alla ricerca delle prove, all'udienza delle indagini preliminari, ovvero a tutti quei lavori preparatori del
processo, è chiaro che la una visione non sarebbe più imparziale, ma già viziata da un pregiudizio.
Vedremo poi come in alcune situazioni il Giudice abbia la facoltà di intervenire in questi momenti, magari
ordinando al PM di investigare a causa della sua inerzia o incompletezza delle indagini, ma come si capisce
è molto diverso dal fatto che sia il Giudice ad investigare in prima persona.
Il Giudice quando entra nella vicenda penale deve essere in una condizione di estraneità rispetto alle parti.
Per preservare questa estraneità è necessario che il magistrato non possa presiedere lo stesso
procedimento più di una volta. Pertanto il GIP non potrà presiedere il dibattimento, così come il Giudice di
Primo grado non potrà essere chiamato a presiedere l'appello, perché è chiaro che avendo già giudicato
una volta i fatti, la sua visione non potrà essere più imparziale. Tale istituto si chiama incompatibilità per
atti compiuti nel procedimento che serve a vietare a priori, in assoluto che il Giudice che abbia già preso
una decisione in merito ai fatti, non possa essere più chiamato successivamente a esprimersi su tali fatti
(Art. 34 CPP).
Altro rischio per l'imparzialità possono essere i rapporti (parentela, coniugio) che intercorrono tra
magistrati (PM e giudice) ( Art.35 CPP - Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio). Anche
tra Giudice e imputato non vi devono essere rapporti di alcun tipo, nemmeno di conoscenza e in questo
caso scattano gli istituti della astensione (Art. 36 CPP) o della ricusazione (Art. 37 CPP). La logica che
accumuna entrambi gli istituti è sempre la stessa, ovvero preservare l'imparzialità del Giudice. E' chiaro che
nel momento vi siano dei rapporti di parentela, di conoscenza, contrattuali tra Giudice e Pm, o Giudice e
imputato, la sua imparzialità viene meno.
Ecco quindi che con l'astensione è il Giudice stesso che si rende conto della situazione di parzialità e
dichiara di volersi astenere dal processo. Rispetto all'astensione, la ricusazione si caratterizza per il fatto
che sono le parti a chiederlo (PM o imputato).
Un altro istituto volto a preservare l'imparzialità del Giudice è la remissione, che mette al riparo da possibili
condizionamenti connessi a una particolare situazione ambientale presente nel luogo in cui dovrebbe
svolgersi il giudizio. Questa serenità non riguarda soltanto il Giudice, ma tutto il contesto processuale in
genere (es. testimoni). Per assicurarne il regolare svolgimento, la remissione trasferisce il processo in una
diversa sede giudiziaria che si presume immune da condizionamenti.
Le cause di incompatibilità, come le cause di ricusazione, astensione e remissione, sono cause molto chiare
perchè mirano tutte ad un unico obbiettivo, ogni volta da un punto di vista diverso, ovvero che il Giudice sia
sereno nella propria decisione e che sia messo nelle condizioni di emettere una decisione che sia il frutto di
ciò che è avvenuto nel processo e che non sia il frutto di situazioni, di rapporti, di pregiudizi che il giudice
può avere per svariati motivi e che possono intaccare la bontà della sua decisione.
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Ulteriore principio costituzionale fondamentale riguardante il Giudice è che nessuno può essere distolto
dal suo Giudice naturale precostituito per legge (Art. 25 C. - Nessuno può essere distolto dal giudice
naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge.)
La legge ordinaria deve individuare, prima che i fatti avvengano, il Giudice che sarà chiamato a giudicare tali
fatti. La ratio è molto semplice ed è quella di non avere un Giudice scelto (quindi magari per un motivo), ma
un Giudice già precostituito per legge. Qual'è il criterio secondo il quale questo Giudice deve essere
individuato? Il criterio fornito dalla Costituzione è quello della naturalità. Il legislatore ordinario, nel
codificare le regole per la designazione del giudice precostituito deve avere come parametro di riferimento
il concetto di naturalità. Il giudice naturale è ovviamente il giudice del locus commissi delicti, ovvero il
Giudice del luogo dove è avvenuto il reato. Quindi è naturale che il fatto avvenga giudicato nel luogo dove è
avvenuto il reato, perché li è possibile raccogliere le prove, il pubblico naturale del processo è quel pubblico
che è ferito, che è offeso da quel reato e quindi la comunità collocata nel luogo dove è avvenuto.
Quindi possiamo cercare di inquadrare la designazione del Giudice secondo il seguente schema:
In generale con il termine competenza si intende l’insieme delle regole che consente di distribuire i
procedimenti all’interno della giurisdizione ordinaria.
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La competenza è distribuita in base ai criteri della materia (il titolo), per territorio (il luogo in cui si è
compiuto il reato), per grado del procedimento e della eventuale connessione in altri procedimenti.
LA COMPETENZA per MATERIA è ripartita su due criteri: QUALITATIVO (tipo di reato) e QUANTITATIVO
(pena edittale): riguardo a ciò, conta la pena massima edittale (art. 4) per ciascun reato consumato o
tentato, non conta la continuazione o la recidiva, né le circostanze, fatta eccezione delle aggravanti per le
quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria (es. ergastolo rispetto a reclusione) e di quelle
ad effetto speciale (art. 63 c.p.) con aumento della pena > 1/3.
I giudici penali ordinari sono:
- in 1° grado il tribunale in composizione collegiale (3 magistrati di carriera, c.d. togati) o
monocratica (1 togato) che è anche trib. d’appello per le sentenze del g. di pace
- in 1° grado la corte d’assise (2 togati + 6 giudici popolari)
- il giudice di pace (magistrato non togato)
- il tribunale dei minorenni (2 togati + 2 esperti) per i reati commessi da minori di 18 anni
- in corte d’appello (3 togati)
- in corte d’assise d’appello (3 togati + 6 popolari)
- sezione della corte d’appello per i minorenni (3 togati + 2 esperti).
- magistrati della Cassazione (che non può occuparsi del merito ma solo della legittimità).
I giudici penali ordinari sono:
- in 1° grado il tribunale in composizione collegiale (3 magistrati di carriera, c.d. togati) o monocratica (1
togato) che è anche tribunale d’appello per le sentenze del giudice di pace
- in 1° grado la corte d’assise (2 togati + 6 giudici popolari)
- il giudice di pace (magistrato non togato)
- il tribunale dei minorenni (2 togati + 2 esperti) per i reati commessi da minori di 18 anni
- in corte d’appello (3 togati)
- in corte d’assise d’appello (3 togati + 6 popolari)
- sezione della corte d’appello per i minorenni (3 togati + 2 esperti).
- magistrati della Cassazione (che non può occuparsi del merito ma solo della legittimità).
La competenza territoriale
La competenza per territorio è determinata dal luogo nel quale il reato è stato consumato (art. 8.1): ciò
perché in tale luogo le prove sono raccolte con maggiore facilità e rapidità
ECCEZIONI:
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- se si tratta di un fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone è competente il giudice del luogo
in cui è avvenuta l’azione o l’omissione (art. 8.2 CPP).
- Se si tratta di un reato permanente, rileva il luogo in cui in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se
dal fatto è derivata la morte di una o + persone (art. 8.3 CPP).
- Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto
a commettere il delitto (art. 8.4 CPP).
La competenza per connessione.
Vi è connessione (che non comporta necessariamente la riunione) di procedimenti di competenza del
tribunale e della Corte D’Assise in 3 casi (art. 12 CPP):
a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se
più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento;
b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di
reati) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato) 2 ;
c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (es. falso
commesso per occultare il peculato).
Sulla connessione si ritornerà più avanti.
I conflitti di giurisdizione e di competenza
Può succedere che un procedimento sia erroneamente collocato e si possano avere dei conflitti di
competenza.
Si ha conflitto positivo quando due o più giudici, contemporaneamente, prendono cognizione del
medesimo fatto attribuito alla medesima persona.
Si ha conflitto negativo quando due o più giudici, contemporaneamente, rifiutano di prendere cognizione
del medesimo fatto attribuito alla medesima persona, ritenendo la propria incompetenza.
Il conflitto può sorgere in ogni stato e grado del processo (art. 28.1) Esso può essere denunciato dal PM
presso uno dei giudici in conflitto o dalle parti private (art. 30.2), ma può anche essere rilevato d’ufficio da
uno dei giudici.
L’ordinanza che rileva l’esistenza del conflitto è trasmessa alla Corte di Cassazione con la copia degli atti
necessari alla decisione. Né la denuncia né l’ordinanza hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso.
La decisione della Corte è vincolante.
6 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL PUBBLICO MINISTERO
La norma costituzionale di riferimento per il Pubblico Ministero è il famoso Art. 112 C. "Il pubblico
ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale." Il PM è il monopolista dell'azione penale, quindi è
l'attore colui che mette in moto il meccanismo processuale.
Esercitare l'azione penale vuol dire non solo aprire un processo penale, ma soprattutto formulare una
imputazione
nei
confronti
di
un
soggetto
e
chiederne
il
rinvio
a
giudizio.
L'Art. 112 C. impone l'obbligo dell'azione penale e questo si traduce nel fatto che tutte le volte che il PM
viene a conoscenza di una notizia di reato, non ha altra scelta che mettere in moto il meccanismo
processuale. La scelta dell'obbligatorietà dell'azione penale presente nella Costituzione è senz'altro da
ricercare nel principio di legalità (Art. 25.2 e 101.c Cost.) e nell'uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge
(Art. 3 Cost.). Non si possono fare selezioni. Se è vero che esiste un'obbligatorietà dell'azione penale è
anche vero che la Corte Costituzionale ha messo dei paletti a questo principio, che altrimenti rischierebbe
di far collassare tutto il sistema. Infatti la Corte ha stabilito che l'obbligatorietà scatta solo a condizione che
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quella notizia di reato, che da informazione della possibile commissione di un fatto delittuoso, abbia una
certa consistenza che quindi dovrà essere valutata dal PM durante le indagini preliminari. All'esito delle
indagini preliminari il PM dovrà sciogliere l'alternativa fra esercizio dell'azione penale e richiesta di
archiviazione.
L'azione penale oltre che per l'obbligatorietà, si caratterizza anche per essere di natura pubblica
(pubblicità), in quanto lo Stato ritiene che sia una condizione essenziale di convivenza civile. Sarebbe
impensabile delegare a privati tale delicato compito.
E' irretrattabile, una volta che il procedimento è avviato, si potrà concludere solo con un provvedimento
del giudice. L'oggetto del processo è indisponibile, ovvero non è possibile trattare, transare o accordarsi al
fine di porre fine al procedimento. E' indivisibile, si procede nei confronti di tutti i soggetti partecipanti al
reato. Altra caratteristica dell'azione penale è l'officialità, ovvero il PM può agire senza nessuno ostacolo,
adempiendo alla sua specifica funzione (officium), i cui limiti però sono dettati dalla Legge (ad esempio le
cosiddette condizioni di procedibilità). Infatti in alcuni casi il PM si deve fermare nella sua azione perchè ha
bisogno che si verifichi una condizione : potrebbe essere un'autorizzazione (autorizzazione a procedere per
i parlamentari) o una richiesta di agire (querela della parte offesa).
Status del PM
Il PM ha una piena indipendenza di status (art. 105 Cost.), è inamovibile nel grado e nella sede (art. 107
Cost.), è nominato a seguito di pubblico concorso (art. 106.1 Cost.).
L’art. 112 Cost. impone al PM l’obbligo di esercitare l’azione penale: da ciò si fa comunemente derivare la
sua soggezione alla legge.
Mentre l’organizzazione gerarchica intorno al giudice è assente, intorno al PM è più accentuata.
La soluzione del PM quale rappresentante della legge tende a tenerlo fuori dalla dipendenza politica, anche
se essendo necessariamente di parte, stride con il concetto di imparzialità della magistratura.
Composizione degli uffici
Le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di 1° grado sono svolte, presso il tribunale
monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato procura della repubblica presso il tribunale.
Tale ufficio funziona anche da PM presso la corte d’assise e il giudice di pace.
Nel grado d’appello la pubblica accusa è sostenuta dalla procura generale presso la corte d’appello; presso
la Cassazione vi è un ufficio di procura generale.
I rapporti all’interno dell’ufficio
I rapporti di dipendenza gerarchica all’interno dell’ufficio di PM devono contemperare due esigenze
contrapposte.
La prima è quella di garantire l’indipendenza del singolo magistrato, la seconda la buona organizzazione
dell’ufficio della pubblica accusa, in particolare l’unitarietà delle direttive impartite alla polizia giudiziaria
(art. 9 disp. att.).
L’evoluzione organizzativa è passata da un sistema detto personalizzazione delle funzioni a quello detto di
gerarchia attenuata.
In base al primo, il titolare dell’ufficio designava il magistrato in modo automatico in base al sistema
tabellare che vige per i giudici e che il CSM aveva esteso anche alla pubblica accusa.
Esisteva un rapporto di sovra ordinazione, ma il magistrato designato conservava una vera e propria
autonomia operativa: il titolare poteva dare soltanto direttive di carattere generale e la revoca era
consentita soltanto in casi tassativi (contrasti con le direttive, insostenibilità tecnica delle richieste del PM).
L’assegnazione di un caso al magistrato del PM
In base alla normativa vigente i criteri automatici non sono più gli unici ma l’assegnazione può essere
nominativa.
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Il principio generale sta nella titolarità esclusiva del Procuratore della Repubblica che esercita l’azione
penale personalmente o mediante assegnazione ad uno o più magistrati addetti all’ufficio.
La legge 269/2006 ha così introdotto il nuovo istituto dell’assegnazione, la cui natura giuridica consiste nel
conferire poteri operativi con limitata autonomia funzionale.
Con l’atto di assegnazione il procuratore può stabilire i criteri (generali o particolari) ai quali il magistrato
deve attenersi nell’esercizio della relativa attività.
Quando i criteri di assegnazione sono violati o in caso di contrasto con il titolare dell’ufficio, questi può
revocare l’assegnazione con provvedimento motivato.
Entro 10 giorni il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della repubblica e il
provvedimento con le osservazioni può essere segnalato al CSM.
7 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
Come si diceva poc’anzi, al PM spetta l’attività di indagine al fine di poter valutare la possibilità di istruire
un processo penale o meno. Per attuare queste indagini il PM si avvale della cosiddetta Polizia Giudiziaria
(Art. 109 Cost. - L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. - ).
Lo Stato tutela l’ordine e la legalità servendosi delle forze di polizia. Polizia Giudiziaria e Polizia
Amministrativa costituiscono le due fondamentali funzioni svolte da tali forze.
LA POLIZIA AMMINISTRATIVA E DI SICUREZZA
La polizia amministrativa si distingue in molte specializzazioni, quali, ad esempio, la polizia tributaria, la
polizia sanitaria, la polizia stradale, la polizia di sicurezza. La POLIZIA DI SICUREZZA previene il compimento
di reati.
La POLIZIA GIUDIZIARIA trova la sua definizione nell’art. 55 c.p.p. (1. La polizia giudiziaria deve, anche di
propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori,
ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro
possa servire per l'applicazione della legge penale. 2. Svolge ogni indagine e attività disposta o
delegata dall'autorità giudiziaria. 3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli
agenti di polizia giudiziaria.) e ha un compito di repressione dei reati.
Da ciò deriva che la differenza tra Polizia di Sicurezza e Giudiziaria si base sulla contrapposizione tra
prevenzione dei reati e repressione di un reato.
Quando svolge la funzione amministrativa o di sicurezza, la polizia, di regola, non gode di poteri coercitivi e
cioè non può direttamente limitare le libertà fondamentali.
Viceversa, non appena giunge la notizia che è stato commesso un reato, viene esercitata la funzione di
polizia giudiziaria, con l’uso dei poteri coercitivi.
In situazioni di necessità ed urgenza la polizia giudiziaria procede all’arresto in flagranza o al fermo di una
persona gravemente indiziata (art. 380-384). Inoltre, in caso di flagranza, può perquisire persone e luoghi
(art. 352).
Le funzioni di polizia di sicurezza e quella di polizia giudiziaria sono poste sotto una differente dipendenza:
la prima è diretta dal Ministro dell’Interno e, in sede locale, da Prefetto e Questore.
Questa doppia dipendenza è un compromesso che si è attuato in sede Costituzionale, in quanto se si fosse
provveduto a istituire un Corpo di Polizia Giudiziaria, si avrebbe avuto uno sbilanciamento di poteri a favore
della Magistratura, che già gode di poteri enormi come per esempio la limitazione della libertà, se poi fosse
stata dotata anche di un Corpo Armato il rischio sarebbe stato altissimo.
LA DIPENDENZA FUNZIONALE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
La funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione del PM (art. 56 CPP) e del Procuratore Generale
di Corte d’Appello, che può dare inizio al procedimento disciplinare contro l’ufficiale o l’agente (art. 17 disp.
att.).
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Per la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta dalla D.I.A. (direzione
investigativa antimafia), posta sotto la sorveglianza del P.N.A. (procuratore nazionale antimafia).
Quindi, funzionalmente la polizia giudiziaria dipende funzionalmente dal PM e organicamente dal potere
esecutivo.
Il codice distingue tre strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria (Art. 56 CPP):
1) le sezioni di polizia giudiziaria: si tratta di organi costituiti presso gli uffici di PM e composti, di regola, da
ufficiali e agenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza o di altre amministrazioni
con funzioni specializzate (art. 5 disp. att.). Le sezioni svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria
(art. 10.3 disp. att.) sotto la dipendenza del capo dell’ufficio dei PM.
In tale quadro, i PM dispongono direttamente del personale della sezione, incaricando delle indagini
nominativamente un ufficiale di polizia giudiziaria.
2) I servizi di polizia giudiziaria: sono servizi tutti gli uffici ai quali è affidata dalle rispettive amministrazioni il
compito di svolgere le funzioni di polizia giudiziaria. Il dirigente del servizio è responsabile verso il
procuratore capo e il procuratore generale: il PM che svolge le indagini preliminari dà un incarico non
personalmente ma impersonalmente all’ufficio.
3) Gli altri uffici di polizia giudiziaria: restano, comunque, sotto la dipendenza funzionale della magistratura
poiché gli ufficiali e gli agenti di p.g. sono tenuti ad eseguire i compiti ad essa affidati dall’autorità
giudiziaria (art. 59.3).
8 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI - DIFESA DELL’IMPUTATO/INDAGATO-1
Nella triade processuale rimane da analizzare la figura dell'imputato.
Da questo punto di vista l'Art 24.2 - 24.3 Cost. ci dice qualcosa di molto importante " .....La difesa è un
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi
istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione......" Si tratta di una norma generale che
vale per ogni tipo di processo, non solo penale. La norma non specifica cosa si intenda per diritto di difesa e
negli anni e nelle interpretazioni della Corte Costituzionale si è assistito all'ingigantimento di questi diritti di
difesa che competono all'imputato. L'assicurazione della difesa per i non abbienti è garantita dal gratuito
patrocinio, sul quale torneremo. Fondamentale, per quanto concerne il diritto di difesa quanto contenuto
nell'Art. 111.3 Cost. "Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più
breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;
disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al
giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la
convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di
ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua
impiegata nel processo."
Si intende per indagato la persone nei cui confronti vengono svolte le indagini preliminari, mentre per
imputato il soggetto nei cui confronti è stata formulata l’imputazione. LA qualità di imputato viene
conservata fino a che il processo non si chiude con una sentenza definitiva.
E’ bene precisare, che salvo diversa indicazione, i diritti che spettano all’imputato, spettano anche
all’indagato (Art. 61.1 CPP).
L'Art. 24 Cost. "la difesa è un diritto inviolabile" è stato interpretato come contenente due fattispecie di
diritto di difesa : una difesa tecnica e una cosiddetta "autodifesa". Per difesa tecnica, nel processo penale,
l'imputato, come l'indagato deve essere assistito da un difensore, da un avvocato. Non è possibile che ci sia
un processo senza che l'imputato non abbia questa assistenza. Questo chiaramente perché il processo è
talmente complicato, che ci vuole un esperto che assista l'imputato. Per autodifesa invece si intende una
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serie di numerose attività che l'imputato può fare di prima persona, che non richiedono la presenza di un
difensore tecnico. Il diritto di difesa non è rinunciabile, nessun imputato può rinunciare alla difesa
tecnica.
Nel primo atto in cui c'è bisogno di nominare un difensore tecnico, l'indagato potrà segnalarne uno di
fiducia e qualora non lo avesse, l'Autorità Giudiziaria o la Polizia Giudiziaria ne nominerà uno che viene
definito "difensore d'ufficio".
Il difensore partecipa al procedimento probatorio, ricerca le prove (attività difensiva investigativa), chiede
l'ammissione delle prove in dibattimento, partecipa all'acquisizione delle prove in dibattimento, assiste
all'interrogatorio dell'imputato, assiste agli accertamenti tecnici urgenti, insomma partecipa attivamente a
tutte le attività che vengono svolte nel processo.
La titolarità della difesa è tuttavia sempre in capo all'imputato, che può togliere effetto all'atto compiuto
dal difensore prima che sia intervenuto il provvedimento del giudice.
A tutela del libero svolgimento della difesa tecnica, il legislatore assicura la riservatezza e il carattere
confidenziale dei rapporti fra difensore e assistito, sia prevedendo il segreto professionale in favore degli
avvocati, investigatori e consulenti tecnici (Art. 200 CPP), sia ponendo rigorosi limiti all'attività di indagine
che non può avere ad oggetto le relazioni interne all'ufficio difensivo.
Contrapposta alla difesa tecnica vi è l'autodifesa, ovvero tutte le attività che può svolgere in prima persona
solo l'imputato. Queste attività presuppongo delle scelte fondamentali nella tattica e negli esiti processuali
ed è chiaro che possono essere svolte solo dall'imputato. Questi possono essere le dichiarazioni che
riguardano i fatti del processo, la richiesta della revisione del processo, la rinuncia dell'udienza preliminare,
quindi andando direttamente al dibattimento, la richiesta di alcuni riti speciali come il giudizio abbreviato o
il patteggiamento, la rinuncia dell'impugnazione. Tra tutte queste attività difensive la più significativa è
l'attribuzione all'imputato al diritto al silenzio. Ricordate della differenza tra inquisitorio e accusatorio?
Nell'inquisitorio vi era l'obbligo di collaborazione e di verità, anche tramite tortura, mentre nell'accusatorio
si ha il diritto al silenzio, pertanto si ritiene che l'Art 24 Cost. codifichi questo principio.
Il diritto al silenzio può anche essere parziale, nel senso che l’imputato può decidere di non parlare solo su
alcuni fatti, piuttosto che altri, o non rispondere ad alcune domande. Può addirittura mentire!
Queste sono tutte scelte difensive, esplicazione di un suo diritto garantito dalla Costituzione quale è quello
del diritto al silenzio.
9 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI - DIFESA DELL’IMPUTATO/INDAGATO - 2
Il diritto al silenzio, descritto poc’anzi, non può essere valutato negativamente nei confronti dell’imputato,
in quanto espressione di un diritto riconosciuto, così come le eventuali dichiarazioni rese dovranno essere
valutati dal Giudice in fatto di credibilità.
Di questo diritto ne deve essere edotto l’indagato/imputato, in quanto l’opzione tra silenzio e rendere
dichiarazioni, dovrà essere una scelta consapevole e responsabile di quale sarà la sua strategia difensiva.
Sono numerosi gli atti che vengono redatti durante un procedimento penale che provengono dalle
dichiarazioni di un imputato e tutti si caratterizzano per questo dato comune, ovvero l'avviso della facoltà
di non rispondere. Gli atti specifici dell'attività investigativa in materia di dichiarazioni dell'inquisito sono il
cosiddetto interrogatorio (Art 64 CPP) o le cosiddette sommarie informazioni della persona indagata.
Durante il giudizio vedremo che l'atto specifico che serve per raccogliere le dichiarazioni dell'imputato
viene chiamato esame della parte.
Inoltre durante tutto il procedimento, l'indagato avrà la facoltà di rendere dichiarazioni spontanee. La
differenza tra le dichiarazioni spontanee e gli altri atti è che le prime sono essenzialmente un monologo,
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mentre le seconde si caratterizzano per l'escussione, nel senso che vengono poste delle domande da un
interlocutore e l'imputato/indagato risponde o meno.
Il modello degli avvertimenti che devono essere fatti all'indagato/imputato li possiamo trovare
nell'interrogatorio. Gli avvertimenti che orientano l'imputato sulla strategia difensiva da tenere, che gli
permettono di elaborare delle scelte consapevoli sono tre :
 la possibilità di usare contro lo stesso le sue dichiarazioni nella fase processuale;
 il diritto al silenzio;
 l'informazione che eventuali risposte su fatti concernenti la responsabilità altrui (chiamata in
correità o reità) potranno avere per lui come conseguenza l'assunzione del dovere testimoniale
rispetto a tali fatti.
L’ultimo avvertimento, sull’assunzione del dovere testimoniale, ridimensiona il diritto al silenzio
dell’imputato e inoltre lo obbliga alla verità su tali fatti, si dice che assumerà gli obblighi testimoniali
(caratterizzati dalla collaborazione con l’AG e a dire la verità).
Se questi avvertimenti sono tenuti nascosti all'indagato avremo degli atti inutilizzabili.
LE DICHIARAZIONI AUTOINDIZIANTI
Può accadere che nel corso della deposizione di una persona ritenuta un testimone renda dichiarazioni
dalle quali emergono indizi di reità a suo carico (cosiddette dichiarazioni autoindizianti).
A seguito di queste dichiarazioni (art. 63.1) l’autorità procedente deve:
1) interrompere l’esame
2) avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti
3) invitarla a nominare un difensore.
Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento:
A. non possono essere utilizzate contro chi le ha rese
B. possono essere, invece, utilizzate a suo favore (es. caso di legittima difesa) o contro altre persone.
La disciplina appena esposta si propone lo scopo di tutelare il testimone che si sia messo nei guai
nell’adempiere al dovere di testimoniare, impedendo, da un lato, che il testimone continui a parlare
peggiorando la situazione e dall’altro bloccare la deposizione attivando le garanzie difensive e, infine,
neutralizza le dichiarazioni già rese. (norma antielusione del diritto al silenzio con effetto retroattivo)
L’ELUSIONE DELLA QUALITÀ DI INDAGATO
Ai sensi dell’art. 63.2, se una persona ascoltata come testimone o persona informata doveva essere sentita
sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini le sue dichiarazioni non possono
essere utilizzate a causa dell’elusione, da parte del PM o della PG, del diritto al silenzio. L’inutilizzabilità non
colpisce le dichiarazioni favorevoli a colui che le ha rese o ad altre persone. (norma antielusione del diritto
al silenzio posticipato).
10 - LE PROVE IN GENERALE
Sistema processuale e norme sulla prova
Il codice del 1988 ha accolto, sia pure con temperamenti, la scelta del sistema accusatorio: al giudice è
riservato il potere di decidere; alle parti è attribuito il potere di ricercare le prove, di chiederne
l'ammissione, di contribuire alla formazione delle stesse.
La disciplina delle prove è distribuita in più comparti del Codice di Procedura Penale: nella Parte prima,
Libro III sono contenute le regole generali della funzione probatoria, ovvero le regole che compongono il
diritto delle prove Titolo 1 “Disposizioni generali”, Titolo 2 “Mezzi di prova”, Titolo 3 “Mezzi di ricerca della
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prova” (parte statica); nella parte seconda del Codice sono contenute in distinti Libri, le regole per
l’esercizio della funzione probatoria nelle singole fasi del procedimento (parte dinamica).
Le prove sono il materiale attraverso cui possiamo ricostruire il fatto storico.
E' utile fare chiarezza sui termini che ci troveremo ad affrontare. Il termine prova può avere almeno
quattro diversi significati.
Fonte di prova  Sono le persone e le cose che forniscono un elemento di prova, cioè le persone o le cose
dalle quali possono essere tratte le informazioni utili per ricostruire il fatto di reato.
Mezzo di prova  è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la
decisione (ad es. mezzo di prova è una testimonianza).
Elemento di prova  è l'informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova, quando
ancora non è stata valutata dal giudice.
Risultato probatorio  è l'elemento di prova valutato in base ai criteri della credibilità e della attendibilità.
Allegato della prova  è il risultato finale a cui mira la prova, cioè quello di dimostrare i fatti oggetto
dell'imputazione, oggetto dell'accusa, oggetto dell'esercizio dell'azione penale. Possiamo definirli come gli
elementi astratti che vengono indicati nella fattispecie penale e che quindi noi dovremo trovare all’interno
degli accadimenti per dimostrare che tale fatto è avvenuto.
L'oggetto della prova  è quello che la parte vuole provare e spiega di voler provare quel certo fatto,
perchè servirà a provare l'allegato stesso.
A volte oggetto e allegato coincidono, per esempio il testimone oculare, dove l'oggetto della prova, ovvero
la circostanza specifica che quella prova proverà è il fatto di omicidio e in questo caso oggetto e allegato
coincidono.
Sarà il giudice a indicare se quella prova sarà in grado di provare gli allegati presentati nel processo.
La classificazioni delle prove è molto variegata, una classificazione importante è quella che riguarda il
modo secondo cui tale prova sarà valutata. Tale prova troverà nel giudice colui che dovrà decidere se
quella è in grado o non in grado di provare i fatti oggetto di imputazione. Ebbene, il modo in cui il giudice
valuta le prove, è il criterio fondamentale che noi possiamo utilizzare per classificare le prove, nel senso che
le prove pongono il giudice di fronte a due situazioni mentali molto diverse. Da una parte il Giudice sarà
davanti a un atto di fede, un atto irrazionale, un atto alogico, che è quello di dover credere o non credere a
un dichiarante; nel senso che, una prova che consiste nelle dichiarazioni rese da un soggetto, porrà sempre
il problema di poter credere o non credere a quella prova, non si può sapere scientificamente se quella
persona mente o non mente e quindi il giudice si deve lasciar andare a un atto di fede e queste prove
vengono classificate a funzione narrativa. Qui entrano in gioco diverse variabili che influenzano il Giudice,
quali l’attendibilità della persona ascoltata, la valutazione razionale di quello raccontato, attendibilità della
rappresentazione (capacità di esporre, grado di giudizio, capacità espressive, stato della persona, ecc…).
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Altro raggruppamento sono le cosiddette prove a funzione induttiva, sono prove a nemesi meccaniche che
riproducono degli accadimenti così come sono avvenuti nella realtà, perchè è la scienza, le massime
scientifiche, ci garantiscono che gli accadimenti sono andati in quella determinata maniera.
Prendete ad esempio una foto, una volta che è stato determinato che la foto non sia stata alterata, siamo
davanti a una prova a funzione induttiva, perchè la scienza ottica ci dimostra che quello rappresentato nella
foto rappresenta ciò che è avvenuto realmente. E' la scienza che ci dimostra che quel dato è credibile.
Ulteriore classificazione è quella tra prove dirette o prove indirette, dette anche indiziarie.
Le prove dirette rappresentano direttamente i fatti che devono essere provati: possono essere delle riprese
di una rapina, la testimonianza oculare di un omicidio, ecc.. La prova indiretta, o indiziaria, è quella prova
che ha per oggetto dei fatti diversi rispetto ai temi probatori veri e propri, dai quali però si può inferire
(ragionamento inferenziale) attraverso dei ragionamenti, attraverso delle massime di esperienza,
attraverso delle massime statistiche o scientifiche, i fatti oggetto dell'imputazione. Pensate a un'impronta
digitale trovata sull'arma di un omicidio. Tale impronta non rappresenta il fatto di omicidio, ma considerata
la corrispondenza scientifica tra l'individuo e l'impronta digitale, mi rappresenta che tale individuo era sulla
scena del crimine. Successivamente in base a passaggi inferenziali posso arrivare a presupporre che tale
individuo è l'autore dell'omicidio.
Mentre la prova diretta è una prova dotata di maggior credibilità in quanto rappresenta i fatti
dell'imputazione, la prova indiziaria, dato che porta fatti diversi da quelli dell'imputazione, dai quali però
posso inferire fino ad arrivare ai fatti dell'imputazione, può portare a una inferenza sbagliata. Vedremo che
la valutazione fondamentale delle prove indirette è che devono essere gravi, precise e concordanti.
L'indizio comunque non è una prova minore, bensì una prova che deve essere verificata.
Esso è idoneo ad accertare l'esistenza di un fatto storico di reato solo quando sono presenti altre prove che
escludono una diversa ricostruzione dell'accaduto.
Il principio è formulato nel 192.2 CPP: L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che
questi siano gravi, precisi e concordanti.
La gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è grave l'indizio resistente alle obiezioni; gli indizi
sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni; gli indizi sono concordanti
quando convergono tutti verso la medesima conclusione.
Gli indizi devono essere gravi precisi e concordanti solo quando tendono a dimostrare l'esistenza di un
fatto.
Viceversa se l'oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico operata
nell'imputazione (ci si riferisce all'alibi), è sufficiente anche un solo indizio; naturalmente la circostanza
indiziante su cui si basa l'alibi deve essere sottoposta al vaglio di attendibilità da parte del giudice come
ogni altro elemento di prova.
Ultima classificazione degna di segnalazione è che le prove possono essere suddivise in prove tipiche e
atipiche. Le prove tipiche sono quelle regolate dal Codice, nel Libro dei "Mezzi di prova", ma accanto a
queste prove tipiche ve ne possono essere alcune che non sono comprese in questo elenco. Questa
clausola di apertura è data dal fatto che il legislatore ha capito che l'evoluzione tecnologica, il cambiamento
dei parametri cognitivi di una società, può portare a creare delle nuove situazioni tali da provare dei fatti,
ma che il legislatore non è in grado di prevedere o di regolare.
11 – IL PRINCIPIO DISPOSITIVO
Con il termine procedimento probatorio indichiamo le fasi che riguardano la prova. Questo percorso si
articola in quattro fasi:
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la ricerca (durante le indagini preliminari), dell'ammissione (all'inizio del giudizio), dell'acquisizione o
assunzione (al centro del dibattimento) e della valutazione della prova (al termine del dibattimento).
Mentre la prima fase, quella della ricerca, è una fase prodromica, molto snella dal punto di vista della
regolamentazione, le altre tre fasi sono incardinate secondo tre differenti principi costituzionali che a loro
volta poi plasmano le regole contenute nel Codice di PP.
Questi sono :
 il principio dispositivo  fase di ammissione della prova;
 il principio del contradditorio della formazione della prova  fase di acquisizione;
 il principio del libero convincimento del giudice  fase della valutazione.
Il principio dispositivo ci dice che le parti hanno il monopolio delle prove. Sono le parti che decidono e
selezionano le prove che dovranno essere introdotte all'interno del processo e non il Giudice, come
avveniva nel modello inquisitorio. Non possono essere selezionate dal giudice, perchè se così fosse, già il
fatto di selezionarle sarebbe un atto di parzialità.
Il diritto alla prova è un’espressione di sintesi che comprende il potere delle parti di:
 ricercare le fonti di prova
 chiedere l’ammissione del relativo mezzo
 partecipare alla sua assunzione
 ottenere una valutazione al momento delle conclusioni.
L'ammissione del singolo mezzo di prova, di regola, deve essere chiesta (art. 190) dalle parti al giudice
(principio di dispositivo in materia probatoria) Il giudice deve provvedere sulla richiesta di ammissione
senza ritardo con ordinanza motivata; ciò significa che egli deve motivare l’eventuale rigetto della richiesta
e soprattutto deve provvedere subito, senza poter riservarsi di decidere successivamente sull'ammissione
(ciò perché le parti hanno il diritto di affrontare l'istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro
probatorio di cui possono disporre).
Il giudice decide di ammettere tutte le prove purché non manifestino chiaramente uno dei questi quattro
criteri:
 la prova deve essere pertinente, cioè essa deve tendere a dimostrare l'esistenza del fatto
storico enunciato nell'imputazione o l'esistenza di uno dei fatti indicati nell'articolo 187
Oggetto della prova: "Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla
punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di
prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte
civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato".
 la prova non deve essere vietata dalla legge (es. lettera anonima per una valutazione astratta
di affidabilità, oppure prove che ledono le libertà fondamentali, ottenute commettendo reati
es. registrazione di una conversazione telefonica tra privati – quelle mal acquisite verranno
individuate successivamente alla fase di ammissione);
 la prova non deve essere superflua, cioè non deve tendere ad ottenere un risultato
conoscitivo già acquisito (es. 150 persone presenti a un accadimento, non saranno ammesse
tutte a testimoniare );
 la prova deve essere rilevante, e cioè tale che il suo probabile risultato sia idoneo a
dimostrare l'esistenza del fatto da provare.
Poteri di iniziativa probatoria del giudice: nella fase dell'ammissione della prova, il giudice, di regola, non
può assumere un mezzo di prova d'ufficio e ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo
di prova chiesto da una delle parti.
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La legge, tuttavia, prevede dei casi in cui le prove sono ammesse d'ufficio, in deroga al principio dispositivo
in materia probatoria; ad esempio nel corso del dibattimento il giudice, se risulta assolutamente
necessario, ha un potere di supplenza della inerzia delle parti e può disporre anche d'ufficio l'assunzione di
nuovi mezzi di prova. Ciò per evitare che sia reso disponibile un diritto inviolabile. Tipico esempio di questo
potere è l’acquisizione di una perizia, in quanto il Giudice non può sapere a che ora è avvenuta la morte di
una persona e per questo acquisirà gli esiti della perizia medico legale in autonomia.
C'è una anche una clausola generale, che studieremo quando ci occuperemo del dibattimento, che
permette al Giudice di acquisire qualsiasi prova se lui lo riterrà necessario. Queste deroghe al principio
dispositivo si spiegano con l'indisponibilità dell'oggetto dell'azione penale e se le parti avessero il
monopolio senza eccezioni delle prove avremmo che l'oggetto dell'azione penale sarebbe disponibile,
basterebbe accordarsi sotto banco tra accusa e difesa e pertanto il legislatore ha ritenuto concedere questi
poteri straordinari al Giudice al fine di evitare la mancanza di azione delle parti.
12 – IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO
Il principio del contraddittorio della formazione della prova regola governa la cosiddetta fase acquisitiva
del procedimento probatorio. Questo principio è quello più famoso e importante di tutto il processo
penale. L'acquisizione della prova deve avvenire attraverso l'esame incrociato delle parti (cross
examination). Il Giudice assiste, mentre le parti assumono queste prove interrogando e contro interrogando, dove vi sarà uno scontro tra le parti da dove nascerà la prova.
Il principio del contraddittorio è fondamentale perché garantisce un valore cognitivo, ovvero permette di
conoscere. Infatti un dichiarante è sottoposto a una serie di domande, da entrambe le parti, da dove
emergerà la sua attendibilità, dove verranno evidenziati gli eventuali punti deboli della versione, in modo
che l' atto di fede che dicevamo poc'anzi del Giudice, risulti fondato su basi solide, oppure viceversa,
valutata poco attendibile la testimonianza, consideri non veritieri quei fatti esposti.
Il contraddittorio della formazione della prova, ha anche un valore difensivo, è espressione del diritto
inviolabile di difesa contenuto nell'Art. 24 Cost.. Questo perché nel momento in cui il PM chiama il
testimone a deporre, l'imputato ha diritto di poter screditare quella prova che va a suo sfavore
direttamente, attraverso la possibilità di poterlo escutere attraverso il suo difensore.
Questo diritto al contraddittorio della formazione della prova è inserito all'interno dell'Art. 111.4 Cost. "Il
processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova." Anzi vi ricordo
che il motivo principale della modifica Costituzionale dell'Art. 111 avvenuta nel 1999, è stata proprio la
volontà di introdurre questo principio.
La Costituzione introduce anche delle deroghe a questo principio, infatti al quinto comma dell’Art. 111
abbiamo: "La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per
consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita." Queste eccezioni comportano che gli atti di indagine, contenuti nel fascicolo delle parti, possano
essere utilizzati, e quindi acquisiti nel fascicolo del dibattimento, senza la formazione della prova durante
il dibattimento. I motivi possono essere diversi, per esempio quando si tratta di atti irripetibili
(impossibilità oggettiva), oppure quando l’imputato chiede l’applicazione dei cosiddetti riti speciali deflativi
del dibattimento, ovvero riti in cui è giudicato in base degli atti raccolti dal PM durante le indagini
preliminari
Il contraddittorio della formazione della prova è in primo luogo realizzato nelle norme codicistiche
attraverso il cosiddetto sistema del doppio fascicolo. Ebbene, siccome le prove si devono formare davanti
al Giudice durate il dibattimento, vuol dire che tutto quelle che avviene prima di tale fase, non può essere
usato come prova e deve finire in un fascicolo che il Giudice del dibattimento non dovrà conoscere. Tutta
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quest’attività, svolta per lo più dal PM durante le indagini preliminari, non potrà finire nel fascicolo del
dibattimento, se non dopo essere stata formata durante il dibattimento.
La regola che emerge dal "doppio fascicolo" è quella della separazione delle fasi processuali: da una parte
ci sono le indagini che culminano con l'udienza preliminare, che non entreranno nel dibattimento, dall'altra
ci sarà il dibattimento con la formazione della prova mediante contraddittorio.
13 – IL PRINCIPIO DEL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE
Le parti hanno il diritto di argomentare, cioè di offrire al giudice la valutazione degli elementi di prova.
Ciò avviene al momento della discussione finale (art. 523), quando le parti illustrano le proprie conclusioni
in un ordine che rispetta le cadenze dell'onere della prova (al PM seguono i difensori dell'eventuale parte
civile e dell'imputato).
Di diritto, alle parti spetta il dovere del giudice di dare una valutazione logica degli elementi di prova
raccolti.
Infatti, il codice, per rendere effettivo il diritto alla valutazione, prescrive che il giudice nella sentenza debba
indicare le prove poste a base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove
contrarie.
Il principio del libero convincimento  Questa espressione significa che il giudice è libero di convincersi in
relazione alla attendibilità degli elementi di prova ed alla credibilità delle fonti, nonché in merito all'idoneità
di una massima di esperienza o di una legge scientifica a sostenere l'inferenza sulla quale si basano le
ricostruzioni dell'accusa e della difesa. Ma tale potere decisorio non è senza limiti.
Tale principio, infatti, deve passare attraverso le norme che disciplinano la valutazione delle prove e la
motivazione della sentenza e da ciò deriva che il convincimento del giudice deve consistere in una
valutazione razionale delle prove e in una ricostruzione del fatto conforme ai canoni della logica ed
aderente alle risultanze processuali.
Obbligo di motivazione  In sostanza, se condanna, il giudice deve motivare perché ogni singola prova
d’accusa è risultata idonea ad eliminare ogni ragionevole dubbio sull’accusa, così come deve motivare
perché la ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa non è credibile (art. 533.1).
Se, invece, assolve, il giudice deve fornire una spiegazione razionale sul perché la ricostruzione dell’accusa
è infondata o, comunque, lascia residuare un dubbio ragionevole.
Obbligo di usare solo le prove utilizzabili;
Il giudice che decide deve essere il medesimo che ha acquisito le prove nel dibattimento;
Controllo motivazioni  Se le motivazioni della sentenza risultano carenti, le parti possono proporre
impugnazione con appello e poi ricorso in Cassazione.
La non configurabilità della prova legale  Nel processo penale non esiste l'istituto della prova legale;
quindi la confessione è sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla non attendibile. Nel
processo civile si ha prova legale in tutte quelle ipotesi nelle quali la legge si sostituisce al libero
convincimento del giudice nella valutazione di un elemento di prova.
Un esempio è la confessione: nel processo civile (art. 2733.2 c.c.) la confessione resa in giudizio forma piena
prova contro colui che l’ha fatta (purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili). Invece, nel
processo penale la confessione è sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla non
attendibile.
In questa grandissima libertà del Giudice, esistono delle eccezioni nella sua valutazione.
Sono eccezioni in cui il legislatore interviene indicando il modo in cui certe prove devono essere valutate.
Non parliamo di prove legali, ovvero prove il cui contenuto è in tutto e per tutto predeterminato dal
legislatore. Nel processo penale esistono delle micro eccezioni al principio del libero convincimento che
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potremmo chiamare legalismi probatori, ovvero il legislatore interviene dando delle indicazioni, che non
arrivano a sostituire la valutazione legale alla valutazione personale del giudice, ma segnano la strada.
Queste sono le indicazioni che ci vengono fornite in tema di prova indiziaria e di chiamata in reità o
correità.
Nella prova indiziaria, dove dobbiamo fare passaggi inferenziali, il Codice ci dice che è possibile utilizzarla
solo nel caso in cui sia chiara, precisa e concordante. Quindi è il Giudice che liberamente valuta se la prova
indiziaria è credibile o non credibile, ma se la deve usare in decisione, non la può utilizzare se è l'unica
perchè deve essere concordante e quindi devono esserci più prove.
Questo intervento legislativo non indica come deve essere valutata la prova, ma indica solo il limite al suo
utilizzo.
Lo stesso avviene per la chiamata in reità o correità, ovvero quando l'imputato può perdere il diritto al
silenzio quando accusa altri soggetti di aver commesso il reato con lui, oppure che abbiano commesso altri
reati collegati al suo, assumendo così l'ufficio testimoniale con conseguente obbligo di verità. Ebbene si può
capire che di fronte a questo tipo di dichiarazioni da parte di un imputato ci si pone qualche problema in
materia di attendibilità, pensiamo ai cosiddetti "pentiti" che in luogo di collaborazione hanno una serie di
privilegi, quindi è possibile che le dichiarazioni siano false per ottenere questi benefici. Quindi il legislatore
ha previsto questo legalismo probatorio, ovvero ha previsto che il Giudice sia libero di credere o non
credere al chiamante in reità/correità, però per arrivare a fondare una condanna su queste dichiarazioni
avrà bisogno di riscontri. Anche in questo caso la chiamata in correità/reità non potrà essere la prova unica
che fonda la condanna, ma dovrà essere confermata da altri fatti.
14 – L’INUTILIZZABILITA’ DELLA PROVA
Una delle cause di invalidità processuali è l'inutilizzabilità, ovvero l'invalidità delle prove.
L'inutilizzabilità è la situazione in cui una prova non è conforme al modello legale previsto dal legislatore,
laddove regoli questo mezzo di prova. Questo tipo di difformità è sanzionato dal legislatore attraverso una
inutilizzabilità, la conseguenza è l'inefficacia dell'atto probatorio, vale a dire l'impossibilità di usare l'atto
probatorio nella decisione.
Le prove sono regolate dal legislatore, lui ci dice come vanno formate, in che modo devono entrare nel
processo. La sanzione qualora non vengano rispettate queste prescrizioni è quella di non poter usare la
prova.
L'inutilizzabilità delle prove è codificato dall'Art. 191 CPP " Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti
dalla legge non possono essere utilizzate. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado
del procedimento, dal Giudice e dalle parti."
Le prove sono inutilizzabili quando vi sono tre diverse situazioni:
- prova inammissibile  come dicevamo qualche lezione fa, le prove sono tutte ammesse, purché non
siano vietate dalla legge (prova inammissibile). Sono per esempio prove inammissibili, i documenti anonimi,
purché non provenga dall'imputato o siano il corpo del reato, oppure le intercettazioni illegali;
- prove male acquisite  questo genere di prove si distinguono dalle precedenti in quanto non sono
vietate, quindi possono essere assunte dal Giudice. Però sappiamo che ci sono una serie di regole che
guidano l'ammissione di tali prove : immaginate un testimone. Deve essere convocato, gli va notificata la
citazione, ecc... Ebbene, le norme male acquisite sono tutte quelle norme che violano la procedura di
acquisizione. (es. sono inutilizzabili tutte quelle prove che sono state acquisite, violando o limitando la
libertà di autodeterminarsi dei dichiaranti, magari ponendoli sotto ipnosi o sotto effetto di qualche droga
particolare).
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- prove inutilizzabili  queste possono essere delle prove consentite, bene acquisite, ma che hanno reso
risultati probatori non valutabili, è il risultato che viene sanzionato. (es. dichiarazioni autoindizianti:
persone convocate come persone informate sui fatti, ma dalle dichiarazioni emerge che la persona è il
colpevole del reato. Qui abbiamo visto che il Codice tutela la persona divenuta indagata/imputata con
l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese fino a quel momento e il diritto al silenzio).
A questo tipo di inutilizzabilità, definite patologiche, viene contrapposta il tipo di inutilizzabilità fisiologica,
che risiede nel sistema del doppio fascicolo. Infatti abbiamo detto che gli atti contenuti nel fascicolo di
indagine non possono fisiologicamente entrare a far parte delle prove sulle quali si fonda la decisione del
giudice, se non attraverso la formazione della prova che avviene durante il dibattimento.
L’INUTILIZZABILITÀ DERIVATA
Ci si chiede se sia configurabile la c.d. inutilizzabilità derivata e, cioè, se la illegittimità di una prova si
estenda a un’altra prova il cui reperimento sia stato determinato dalla prima (caso tipico, perquisizione
illegittima seguita da sequestro, oppure intercettazione inutilizzabile dalla quale sia stata tratta
un’informazione determinante per un successivo atto investigativo.
Primo orientamento (in vigore nel nostro sistema): l’inutilizzabilità derivata non esiste, non essendoci
norma espressa in merito a differenza della nullità che si estende da un atto agli atti consecutivi. Questo
vale anche se sono stati violati diritti costituzionali, come per esempio la violazione della residenza, fermo
restando le responsabilità disciplinari e penali per la PG.
Pertanto, l’inutilizzabilità dell’atto antecedente non si estende all’atto successivo (teoria del male captum
bene retentum).
Secondo indirizzo: il nesso di dipendenza tra perquisizione e sequestro comporta l’estensione della
inutilizzabilità alla prova successiva reperita. Si tratta della TEORIA DELL’ALBERO AVVELENATO accolta
nella giurisprudenza americana dagli anni venti, secolo scorso.
Le prove ricavate da un privato, come per esempio delle intercettazioni telefoniche, anche fuori da un
contesto di giudizio, fino a qualche tempo fa erano prove utilizzabili anche se frutto di un reato e di
violazione di diritti costituzionali. Il legislatore è quindi intervenuto e ha previsto una specifica disciplina
dicendo che tali prove sono inutilizzabili, ma fino a quel momento, in mancanza di una norma, se avessimo
avuto delle intercettazioni private, le stesse potevano essere utilizzate in ambito di giudizio, ferme restando
le responsabilità penali.
15 – PROVE E ATTI D’INDAGINE
Quando parliamo di mezzi di prova o prove, ci riferiamo a quegli atti che sono formati nel contraddittorio
delle parti durante il dibattimento, come per esempio alla testimonianza, alla perizia, all'esame delle
parti,ecc..
Gli atti di indagine, le cosiddette fonti di prova o elementi di prova, sono invece degli elementi che hanno
sicuramente una vocazione probatoria, che dal punto di vista strutturale assomigliano alle prove, ma hanno
una differenza sostanziale che sta nel fatto che non sono atti che si formano nel contraddittorio perché
sono formate durante le indagini da parte del Pubblico Ministero.
Anche se alcuni atti fatti durante le indagini dal PM vengono definiti garantiti, ovvero si caratterizzano per
la presenza del difensore quando vengono eseguiti, questo non fa di loro atti idonei a essere considerati
come prove, in quanto la presenza del difensore è una presenza di carattere passivo, diametralmente
opposta a quella che sarà durante il dibattimento.
Gli atti di indagine formano la base sulla quale poi il GUP si pronuncerà nell'udienza preliminare, oppure si
pronuncerà di volta in volta nel momento in cui sarà necessario un suo intervento, come per esempio sulla
decisione di applicare delle misure cautelari all'indagato. Inoltre alcuni atti di indagine vengono utilizzati, in
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casi eccezionali (deroga al principio del contraddittorio) al fine della decisione di merito. Per queste
molteplici funzioni vengono definiti polivalenti.
Se andiamo a vedere quali sono i mezzi di prova e gli atti di indagine, vedremo che a parte le distinzioni
terminologiche, dal punto di vista sostanziale, gli atti sembrano identici. Se guardiamo per esempio le
prove, troviamo la testimonianza, che altro non è che la raccolta di dichiarazioni di una persona che ha
qualcosa da raccontare in merito un accadimento sul fatto di reato. L'atto di indagine denominato
"sommarie informazioni della persona informata dei fatti" consiste nella raccolta di dichiarazioni da parte
di una persona che ha qualcosa da raccontare in merito a un accadimento inerente al fatto di reato. Si
capisce che questi strumenti, dal punto di vista ontologico, sono identici, però la testimonianza è quella che
avviene in dibattimento secondo certe regole, le sommarie informazioni sono quell'atto di indagine, molto
più semplificato che compie il PM in solitudine. Quindi avremo delle persone sentite dal PM nella fase
investigativa che renderanno dichiarazioni e sulle quali dichiarazioni poi si riterrà o meno fondata la tesi
accusatoria del PM. Questo comporterà un rinvio a giudizio da parte del GUP, in sede di udienza
preliminare, alla quale seguirà il dibattimento davanti al Giudice con le parti e le stesse persone sentite a
sommarie informazioni verranno chiamate a rendere testimonianza e li si avrà la formazione della prova.
Stesso discorso vale per quanto concerne le dichiarazioni dell'indagato/imputato. Quando viene acquisita la
dichiarazione della parte nel dibattimento ci troveremo di fronte al mezzo della prova denominato "esame
della parte". I suoi corrispettivi negli atti di indagine possono essere "le sommarie informazioni rese
dall'indagato", raccolte dalle PG, oppure l'interrogatorio svolto dal PM, oppure delegato dallo stesso alla
PG.
Analogo discorso per la "perizia" dove, durante il dibattimento un esperto di scienza viene a spiegare i
risultati ottenuti dall'esame tecnico svolto su un proiettile, su un rilievo di impronte, DNA, ecc. Il suo
corrispettivo durante le indagini viene chiamato "accertamento tecnico", dove il PM nomina un consulente
tecnico che fa accertamenti della medesima natura.
Non tutti gli atti hanno questa doppia anima, per esempio gli atti urgenti (Art. 354 CPP) che per lo più
esegue la PG nell'immediatezza del fatto, come per esempio gli accertamenti compiuti con l'etilometro,
oppure i rilevi per un sinistro stradale mortale, non hanno un corrispondente nel campo dei mezzi di prova.
A questi possiamo aggiungere le intercettazioni telefoniche, i sequestri, le perquisizioni, ecc..
La motivazione è tutto nel fatto che questi sono atti irripetibili e per questo motivo, in deroga al principio
del contradditorio della formazione della prova, vengono inseriti direttamente nel fascicolo del
dibattimento e usati come prova.
Quindi abbiamo due tipi procedure quando ci troviamo davanti ad accertamenti tecnici: quando possono
essere ripetuti, parliamo di perizia (mezzo di prova) e accertamento tecnico (atto di indagine), mentre se
l'accertamento tecnico non è ripetibile, diventerà direttamente una prova.
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16 – LA TESTIMONIANZA
Il testimone è la persona che ha avuto la percezione, che ha vissuto un'esperienza che è rilevante dal punto
di vista processuale e per questo motivo viene chiamato nel processo per raccontarla. Il testimone è un
soggetto terzo, un soggetto estraneo rispetto al processo e per questo ha il dover verso la Giustizia di
raccontare quello che sa. Tutti noi cittadini dobbiamo assumere obbligatoriamente questo ufficio
testimoniale nel momento in cui siamo a conoscenza di fatti o accadimenti inerenti a un processo. La
sottrazione a questo dovere costituisce reato. Tutti sappiamo dell'esistenza del reato di "Falsa
testimonianza" che punisce il testimone che non risponde alle domande o che non dice verità ed esiste
anche il reato di "sottrazione agli obblighi testimoniali", ovvero che non i presenti a testimoniare. Questi
reati esistono anche nella fase di indagine "false informazioni al PM" oppure ancora per le dichiarazioni
davanti alla PG c'è il reato di "favoreggiamento personale". Questo ci fa capire quanto sia importante
l'ufficio testimoniale in tutte le sua fasi, dalle indagini fino al dibattimento.
Certo è che, data l'importanza di questo ufficio testimoniale, è importante accertare la capacità di queste
persone a rendere testimonianza. Infatti alcune persone, per problemi fisici o psicologici, possono avere
delle difficoltà e in questo caso viene effettuata un accertamento sulla capacità testimoniale. Questo viene
effettuato soprattutto nei confronti dei minori, specialmente nei casi di abuso.
Non tutti possono essere chiamati come testimoni in un processo, per ovvie ragioni di compatibilità, come
per esempio le parti.
Esistono delle deroghe all'obbligo di testimoniare e queste deroghe riguardano i congiunti e i titolari del
segreto. Chiaramente lo Stato riconosce che vi siano delle difficoltà per i parenti a testimoniare contro un
familiare, pensiamo per esempio alla madre nei confronti del figlio. Pertanto lo Stato fornisce ai congiunti la
possibilità di scegliere se testimoniare o meno, ma nel momento in cui esso accetta di assumere l'ufficio
testimoniale incorre in tutti i doveri previsti e relativi reati in caso di inadempimento.
I congiunti che abbiano fatto la denuncia/querela nei confronti dell'imputato, non possono scegliere ma
sono obbligati.
Ci sono delle deroghe nell'obbligo di rispondere anche per iI titolari di segreti, ovvero tutte quelle persone,
che per via della loro professione sono a conoscenza di fatti tutelati dal segreto professionale, come i
medici, avvocati, i ministri di culto, il pubblico ufficiale. LA violazione del segreto professionale è un reato e
quindi queste persone si troverebbero nella situazione in cui qualunque decisione prendessero
commetterebbero un reato. Pertanto lo Stato prevede la possibilità di opporre il segreto. Nel momento in
cui vengono chiamati all'ufficio testimoniale, loro si possono presentare e nel momento in cui gli vengono
rivolte le domande, senza bisogno di alcun preavviso, possono opporre il segreto professionale.
Il Giudice deciderà su questa posizione tutelata dal segreto e se la riterrà fondata andrà avanti. Se il
professionista non eccepirà il diritto di opporre il segreto e risponderà, commetterà un reato. Rispetto al
Segreto di Stato la procedura è più complessa e vedrà il Presidente del Consiglio a verificare l'esistenza della
segretezza e non il Giudice.
Il nostro sistema penale permette oltre alla testimonianza diretta, anche la testimonianza indiretta. La
testimonianza indiretta è una testimonianza nella quale la persona riporta quello che lui ha conosciuto da
terzi e non vissuto direttamente. Chiaramente questa testimonianza ha una scarsa attendibilità a causa del
fatto che racconta cose che non ha visto direttamente. Questo genere di prova è utilizzabile solo ed
esclusivamente nel momento in cui il testimone riporti anche la fonte del racconto che riporta. Il secondo
problema è quello di ascoltare la fonte e in questo caso è previsto un meccanismo particolare, ovvero le
parti hanno il diritto, nel momento in cui è stato escusso il testimone indiretto, di chiedere l'escussione
della fonte. In questo caso il Giudice ha l'obbligo di assumere la prova della testimonianza della fonte.
Questo avviene in deroga al principio di dispositivo della prova, dove il Giudice vaglia le richieste delle parti
in materia di assunzione delle prove, in base alla rilevanza, al fatto che sia superflua, che non sia vieteta
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dalla Legge. Se per caso il Giudice non ammette l'escussione della fonte, scatta l'inutilizzabilità della
testimonianza indiretta.
Se per caso però l'assunzione della fonte è impossibile per via della morte della persona oggetto della
testimonianza, la testimonianza indiretta sarà ammessa come prova.
Nella stessa norma che regola la testimonianza indiretta comune, il legislatore regola anche la
testimonianza indiretta della PG, dandogli una regola speciale.
La testimonianza indiretta della PG pone un problema fondamentale, in quanto svolge le indagini
preliminari. La PG potrebbe narrare vicende che è venuta a conoscenza escutendo magari un testimone
oculare, quindi diventerebbe un testimone indiretto con la particolarità che qui la fonte non è un amico o
un parente, ma bensì la persona escussa a sommarie informazioni durante lo svolgimento delle indagini.
Ecco che esiste un fondamentale e importante divieto della testimonianza indiretta della PG sulle
informazioni indirette che lei ha conosciuto svolgendo le attività d'indagini perché quelle informazioni
dovranno entrare nel processo con il mezzo tipico della testimonianza. Sarebbe un aggiramento del
principio del contraddittorio della formazione della prova, introducendo sommarie informazioni attraverso
la testimonianza della PG.
17 – LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELLA PG
Il Codice regola la testimonianza indiretta all'Art. 195 CPP e dedica il 4° comma proprio alla testimonianza
indiretta della PG "Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle
dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b).
Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo."
E' necessario analizzare più approfonditamente questa norma perché negli anni '90 si sono concentrate una
serie di sentenze della Corte di Cassazione che sono poi sfociate nella modifica dell'Art. 111 Cost. con
l'introduzione del Giusto Processo. Questo è stato il risultato di un aspro conflitto tra il legislatore e la Corte
di Cassazione. Il nuovo Codice dell'89 è nato da una delega del Parlamento all'esecutivo, in questa delega vi
era l'indicazione il principio della formazione della prova nel contraddittorio. A conferma di questo
principio vi fu inserito il divieto della testimonianza indiretta della PG, proprio per salvaguardare la
separazione delle funzioni e che le prove si formassero solo nel dibattimento, come il principio sancisce. Se
così non fosse, l'atto di indagine, le sommarie informazioni, entrerebbero nel processo attraverso la
testimonianza della PG e non come l'esame testimoniale della persona ascoltata.
La Corte Costituzionale nel 1992, con una sentenza storica e discussa, dichiarò incostituzionale il divieto di
testimonianza indiretta della PG. Il ragionamento della Corte è alquanto singolare e prevedeva che fosse
incostituzionale in quanto ledeva il principio di uguaglianza e bollava come irragionevole la distinzione che
veniva fatta tra il cittadino e la PG.
Aspre sono state le critiche a questa sentenza, che di fatto, ammette da quel momento in poi, l'ammissione
della testimonianza indiretta della PG. La critica che si levava da tutta la dottrina a questa sentenza era che
il focus non era la questione di uguaglianza, ma bensì il principio della formazione della prova nel
contraddittorio e l'ammissione delle testimonianze indirette della PG sarebbe un'elusione di questo
principio.
Questa sentenza va a sommarsi ad altre due che sono state fatte su altri due istituti che più avanti
studieremo e che sono la possibilità di dare lettura durante il dibattimento delle dichiarazioni accusatorie
rese durante le indagini da imputati/indagati in procedimenti connessi o collegati nel momento in cui fanno
accuse nei confronti di terzi (Art. 500 CPP) e della possibilità di dare lettura durante il dibattimento delle
sommarie informazioni rese dai futuri testimoni (513 CPP), fatto sta che con queste tre sentenze la Corte
Costituzionale distrugge il sistema accusatorio scelto dal legislatore.
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Il sistema del doppio fascicolo inizia a crollare sotto il peso di queste tre sentenze.
Il legislatore a questo punto si trova davanti a due scelte, o abbassare la testa alle sentenze della Corte
Costituzionale che non riconosce questo principio del contraddittorio nella formazione della prova, oppure
alzare il tiro e inserire nella Costituzione questo principio.
La riforma quindi dell'Art. 111 della Costituzione si spiega a seguito di questi accadimenti, considerato che
la Corte Costituzionale non aveva riconosciuto la volontà del legislatore, introdotta solamente in via
ordinaria, dei principi accusatori del processo e quindi del contraddittorio della formazione della prova, si è
visto costretto a elevare tali principi al rango Costituzionale con la riscrittura dell' Art. 111.
A seguito della modifica dell'Art. 111 Cost. viene riscritto il 195 CPP e viene ripristinato il divieto della
testimonianza indiretta della PG, in piena coerenza con il sistema accusatorio.
La riscrittura del 195 CPP avviene in maniera più specifica e viene tipicizzato il divieto nel caso in cui la PG
non possa testimoniare, ovvero in tre casi:
 quando abbia assunto un interrogatorio o dichiarazioni spontanee a carico della persona
indagata;
 sommarie informazioni da un testimone;
 assunzione di una denuncia/querela fatta dal privato.
Se la testimonianza riguarda fatti al di fuori di questi tre casi, che rappresentano gli atti di prova tipici della
PG nelle indagini, la testimonianza indiretta è ammissibile e sottoposta alla disciplina della testimonianza
indiretta comune.
Chiaramente la testimonianza diretta della PG è sempre consentita, in quanto rappresenta azioni che lei
stessa compie.
18 – LA TESTIMONIANZA ASSISTITA E L’ESAME DELLE PARTI
Tornando al conflitto tra il legislatore e la Corte Costituzionale che avviene negli anni '90 oggi torniamo ad
analizzare il secondo problema che ne è scaturito da questo conflitto, ovvero il problema delle dichiarazioni
accusatorie.
Una breve digressione: nel nostro Codice dell'89, ma anche nel Codice Rocco, rispetto
all'indagato/imputato vigeva un diritto al silenzio assoluto e non riguardava soltanto le proprie
responsabilità, ma anche le dichiarazioni che lui rendeva nei confronti di terzi.
Questo diritto di silenzio assoluto creava un problema: pensiamo a un processo per Mafia dove vi sono
molte persone imputate e tutte tra loro riunite in un'associazione finalizzata a compiere determinati reati.
Ora pensiamo che uno o più imputati decida di parlare durante la fase delle indagini, quindi il PM avrà un
quadro ben delineato, corredato da riscontri importanti delle dichiarazioni accusatorie rese e si arrivi al
dibattimento. Una volta iniziato il processo, gli imputati che hanno reso sommarie informazioni spontanee
durante le indagini, nel momento della testimonianza si avvalgono del diritto al silenzio (assoluto all'epoca)
e quindi cadono tutte le prove acquisite nelle indagini preliminari, in quanto non formate durante il
contradditorio e si realizzano una serie di assoluzioni e considerato il principio secondo cui una persona non
può essere processata due volte per lo stesso reato, si è avuto un'ondata di imputati assolti, contro i quali
non è stato più possibile fare nulla. Sono gli anni dei maxiprocessi.
Questa situazione porta ad avere i PM sotto il ricatto di questi imputati/accusatori.
Di fronte a questa situazione la Corte Costituzionale interviene e dichiara incostituzionali tutte quelle
norme che impedivano nella fase dibattimentale il recupero delle dichiarazioni accusatorie che aveva reso
l'accusatore durante la fase delle indagini.
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Questo riaccende lo scontro tra legislatore, che difende il principio della formazione della prova nel
contraddittorio e la Corte Costituzionale che corre in soccorso di tutti quei processi di Mafia che rischiavano
di finire in nulla.
Pertanto il legislatore interviene ponendo come compromesso che tali atti possono essere usati solo con il
consenso delle parti, ma ancora una volta la C.C. interviene e dichiara anche questa nuova norma
incostituzionale.
Anche qui a preservare il principio della formazione della prova nel dibattimento è stata l'introduzione nella
Costituzione del principio con la modifica dell'Art. 111.
Questa modifica se da un lato raffredda lo scontro tra C.C. e legislatore, dall'altro non risolve il problema
degli indagati/imputati che nelle indagini rendono dichiarazioni, mentre in dibattimento si trincerano dietro
il diritto al silenzio. Proprio in quest'ottica viene introdotta la riduzione del silenzio, che quindi non sarà
più assoluto e l'indicazione degli avvertimenti (Art. 64.3 CPP "c) se renderà dichiarazioni su fatti che
concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le
incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197-bis."). Questo mira a rendere la
volontà di collaborare dell'imputato , una scelta consapevole, dove sa che se fornisce dichiarazioni durante
le indagini, queste lo impegneranno come testimone, facendogli perdere il diritto al silenzio per quei fatti e
quindi passibile di sanzione penale nel caso si rifiutasse poi di testimoniare.
Il codice prevede poi una serie di eccezioni che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un
determinato procedimento.
L'incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, pur capace di deporre, non è legittimata a
svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta
in tale procedimento o a causa dell'attività ivi esercitata.
Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l'esame ai sensi del 210 CPP –
testimonianza assistita):
 gli imputati concorrenti nello stesso reato (o situazioni assimilate: cooperazione colposa o condotte
indipendenti che hanno determinato un unico evento)
 gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole, cioè nel caso in cui i reati per cui si
procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (c.d. connessione teleologica);
 gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi del 371.2 lettera b) (se si tratta di
reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al
colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più
persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua
circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza).
A tali regole sono state poste due eccezioni:
 gli imputati concorrenti nello stesso reato possono essere chiamati a rendere testimonianza
quando nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di
condanna o di patteggiamento
 gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole e gli imputati in procedimenti
probatoriamente collegati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata
emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento;
Inoltre essi divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell'interrogatorio, hanno reso
dichiarazioni su fatti altrui, cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi
teleologicamente (in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui).
Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti
nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere
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dichiarazioni, su loro consenso o a richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l'obbligo penalmente
sanzionato di dire il vero.
Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno
svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario.
Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che
hanno formato la documentazione dell'intervista.
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19 – I DOCUMENTI
I documenti sono delle prove cosiddette precostituite, ovvero delle prove che esistono e nascono al di fuori
del processo. Sono documenti che possono essere trovati dagli attori del processo e possono essere oggetti
che possono raccontarci qualcosa in merito dei fatti oggetto di processo. I documenti possono essere
nimesi meccaniche come foto, filmati, file, oppure le funzioni narrative, oggetti che rappresentano una
dichiarazione, come una lettera, una ricevuta, un diario personale. Come dicevamo qualche lezione fa, i
documenti di tipo narrativo non possono essere ammessi se anonimi, con eccezion fatta se provengono
dall’imputato o siano il corpo del reato (es. Lettera anonima di minacce).
Bisogna fare attenzione alla terminologia che si adopera, perché spesso si confonde la documentazione con
il documento.
Il documento abbiamo detto essere una prova precostituita, ovvero un oggetto che rappresenta qualcosa e
questa rappresentazione può avere ad oggetto dichiarazioni (narrativa) o rappresentazioni di nimesi
meccaniche. La documentazione è invece una classica attività processuale e consiste nel fatto che tutte le
attività devono essere documentate e questo resoconto scritto si chiama documentazione che viene
elaborata mediante la verbalizzazione o l’annotazione.
Quindi un conto sono delle foto scattate dalla PG su dei rilievi di un sinistro mortale e qui ci troviamo di
fronte a una documentazione, mentre il filmato di video sorveglianza di una banca, che vengono acquisiti a
seguito di una rapina, sono dei documenti, ovvero oggetti che sarebbero esisti a prescindere dal processo,
mentre i rilievi della PG non ci sarebbero stati senza il processo penale.
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Nel processo penale è possibile assumere, oltre ai documenti che abbiamo detto poc’anzi, prove che
arrivino da un altro processo. Affinché questi documenti possano entrare a far parte del processo penale,
c'è una condizione fondamentale da rispettare, ovvero che sia rispettato il principio fondamentale della
formazione in contraddittorio della prova. Quindi è chiaro che poter assumere queste prove di altro
processo è che si siano formate nel contraddittorio e che le persone contro cui andranno hanno già potuto
in quella sede processuale diversa, assistere e partecipare alla formazione della prova.
È importante notare che il Codice permette di acquisire nei documenti anche le sentenze di altri processi,
nonostante la sentenza sappiamo essere un giudizio, pur sempre plasmato secondo tutti i criteri del
processo penale, ma rimane pur sempre una valutazione di un altro Giudice.
Questa previsione stona, e infatti la dottrina non la vede di buon occhio. La ratio di questa possibilità deriva
dal problema di facilitare l accertamento di alcuni fatti che sono in qualche modo diventati notori e che si
vuole dimostrare attraverso una semplificazione. Qui ci riferiamo alla prova dell’associazione a delinquere.
Nei processi di associazione a delinquere si dovrebbe dimostrare di volta in volta l associazione e quindi
possiamo dire che l’assunzione di altre sentenze serve a semplificare tale meccanismo di dimostrazione.
Qualche anno fa ci siamo trovati davanti a uno scioccante caso “Telecom”, dove i gestori della sicurezza
della compagnia telefonica, avevano formato dei dossier intercettando una serie di telefonate, dossierando
una serie di soggetti, creando delle varie e proprie banche dati.
Questi documenti illegali, ottenuti attraverso dei reati, rispetto ai quali non essendoci una previsione
processuale di inutilizzabilitá, fermo restando le responsabilità penali degli autori, potevano essere usati nel
procedimento penale.
Davanti alle personalità intercettate e dossierate, il Governo emise un D.L .e inserì una norma che
prevedeva l’inutilizzabilitá di queste intercettazioni illegali e l’immediata distruzione, anche se in queste
informazioni erano presenti notizie di reato. Questo intervento legislativo è la dimostrazione che il nostro
ordinamento sanzioni con l’inutilizzabiltá della prova solo quei casi espressamente indicati nella Legge,
anche se la prova sia stata ottenuta in lesione dei diritti costituzionali dell’individuo. Pertanto avremo un
documento inammissibile in quanto atto vietato dalla Legge. Con questo intervento dell’esecutivo si voleva
bloccare non solo l’utilizzo, ma anche la possibilità di poter prendere provvedimenti in merito ad eventuali
notizie di reato che si sarebbe evidenziate, ma un aggiustamento giurisprudenziale, ha fatto sì che sia
possibile far partire comunque le notizie di reato ravvisabili all’interno di questi documenti illegali, senza
però chiaramente potersi avvalere degli stessi, ma bensì procedendo ad indagini.
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20 – LA PERIZIA E LA PROVA SCIENTIFICA
La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto;
essa è infatti disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
La perizia può avere per oggetto tre diversi quesiti :
 Rilevare fatti che una persona di senso comune non sarebbe in grado di rilevare (es. Ricostruzione
di un sinistro dalla rilevazione degli elementi oggettivi riscontrati sull’asfalto);
 Esporre le massime di esperienza che governano certi temi ed elaborare delle ipotesi (es. Perito che
spieghi le leggi fisiche che siano entrate in gioco in uno scontro tra veicoli)
 Una combinazione dei due precedenti quesiti, ovvero l’applicazione delle leggi enunciate al caso
concreto, in modo che quindi sia in grado di spiegare cosa e come sia successo il fatto secondo la
scienza (es. La determinazione della velocità presunta di un veicolo, in base alla frenata rilevata e ai
danni subiti dalla vettura).
Il giudice ha un potere dispositivo in merito alla perizia, perché tutte le volte ci sia la necessità di ricorrere a
spiegazioni che vanno oltre il sapere dell’uomo comune, il giudice deve disporre la perizia con ordinanza.
Le parti hanno la possibilità di nominare periti di parte, che presenziando alla perizia, possono suggerire
alle parti le domande, i punti deboli, i punti forti da escutere in dibattimento.
La perizia è un ufficio obbligatorio e in capo al perito nominato dal giudice c'è l’obbligo della verità, perché
devono illuminare il giudice sul lato scientifico, mentre i periti di parte, non hanno questo obbligo e
chiaramente forzeranno le prospettive secondo la parte che sostengono.
Anche se il perito ha l’obbligo della verità, al giudice rimane comunque la possibilità di non credere nella
veridicità del risultato del perizia.
Il legislatore non fornisce al giudice un criterio espresso che indichi quando una prova è scientifica e, di
conseguenza, quando questa può essere introdotta nel processo.In altre parole il codice non indica al
giudice il criterio per valutare in positivo o in negativo la scientificità di un metodo proposto da un tecnico
nominato dal giudice medesimo o da una parte.
Il vuoto dell'articolo 220 è stato tradizionalmente colmato con il criterio del "consenso della comunità
scientifica"; ma questo criterio pone dei problemi quando si tratta di ammettere un metodo nuovo sul
quale ancora non si è formata una generale accettazione da parte della comunità scientifica.
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Nella giurisprudenza americana il criterio tradizionale è stato superato nel 1993 dalla sentenza Daubert, in
cui sono stati elaborati i criteri sulla base dei quali il giudice deve valutare quando un determinato metodo
scientifico costituisce o meno una conoscenza scientifica.
La sentenza indica questi criteri di affidabilità:
 verificabilità del metodo: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti;
 falsificabilità: la teoria scientifica deve essere stata sottoposta a tentativi di falsificazione i quali, se
hanno avuto esito negativo, la confermano nella sua credibilità;
 sottoposizione al controllo della comunità scientifica: il metodo deve essere stato reso noto in
riviste specializzate in modo da essere controllato dalla comunità scientifica;
 conoscenza del tasso di errore: occorre che al giudice sia resa nota la percentuale di errore
accertato o potenziale;
 generale accettazione: il giudice deve tener conto, come criterio ausiliario e non indispensabile, se il
metodo proposto gode di una generale accettazione nella comunità di esperti.
Un orientamento dottrinale propone di colmare la lacuna del nostro ordinamento mediante lo strumento
dell'integrazione analogica: ci sarebbe identità di ratio tra il mezzo di prova atipico e il nuovo metodo
scientifico per cui i nuovi metodi scientifici devono essere ammessi dal giudice sulla base dei criteri
dell'articolo 189.
Di essi il primo (idoneità del mezzo di prova ad assicurare l'accertamento del fatto) è cosi generale che può
essere integrato dai criteri elaborati dalla sentenza Daubert.
Sono stati quindi proposti questi criteri, che il giudice deve valutare quando ammette il mezzo di prova
scientifico:
1. se il metodo è in astratto valido per ottenere un elemento utile;
2. se il metodo in concreto è idoneo a ricostruire il fatto da provare;
3. se il metodo è controllabile nei momento dell'assunzione e valutazione;
4. se l'esperto è qualificato;
5. se lo strumento è comprensibile, perché il giudice e le parti devono poterlo dominare.
21 - - I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
I mezzi di ricerca della prova sono degli strumenti attraverso cui è possibile trovare, scovare delle prove.
Sono delle operazioni che compiono per lo più gli organi investiganti al fine di reperire prove utili che
saranno decisive al fine delle decisioni nel processo..
Sono mezzi di ricerca della prova e non mezzi di prova, perché sono attività finalizzata a fornire un risultato,
ovvero la prova; per tale motivo sono contenuti nel Libro delle prove, in quanto attività di indagine volta al
fornire la prova.
I mezzi codificati dal codice sono 4:
 Le ispezioni ==> l’attività ispettiva riguarda il guardare, perché si va alla ricerca di una traccia che ha
lasciato il reato. Tale attività può riguardare luoghi, persone, cose. (Es.ispezione sul corpo di una
persona alla ricerca di graffi che dimostrino la colluttazione)
L'ispezione (art. 244 CPP) è disposta dall'autorità giudiziaria con decreto motivato quando occorre
accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato; essa consiste nell'osservare e descrivere
persone luoghi o cose allo scopo appunto di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.
L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione
tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad
assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione.
Se necessario l'ispezione si svolge con l'impiego di poteri coercitivi: sia il giudice che il PM possono
chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica.
- L'ispezione personale. Questo tipo di ispezione ha una normativa tutta particolare. Prima di
procedere all'ispezione personale l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da
persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo
120.L'ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi
è sottoposto. L'ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso
l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni.
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L'ispezione di luoghi o di cose. All'imputato e in ogni caso a chi abbia l'attuale disponibilità del
luogo in cui è eseguita l'ispezione è consegnata, nell'atto di iniziare le operazioni e sempre che
essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento.Nel procedere
all'ispezione dei luoghi, l'autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale i motivi del
provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far
ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore.
L'ispezione è disposta con decreto motivato.
Nel corso dell'udienza preliminare o dibattimentale l'ispezione è disposta dal giudice.Durante le
indagini preliminari l'ispezione è disposta di regola dal PM, che può delegare la polizia giudiziaria.
È compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di "accertamenti
e rilievi" (rilievi sulle perone che sono diversi dall'ispezione personale).Quando il PM procede ad
ispezione personale, il difensore dell'indagato deve essere preavvisato almeno 24 ore prima.
Tuttavia nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa
pregiudicare la ricerca o l'assicurazione della prova, il PM può procedere anche prima del termine
fissato, dandone avviso al difensore senza ritardo.
Se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate, il PM può procedere prima
del termine fissato anche senza darne avviso.E' fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di
intervenire. Inoltre quando omette l'avviso o procede prima del termine, il PM deve specificamente
indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso.
Discorso particolare si è posto di fronte ai cosiddetti “ovulatori”, ovvero quelle persone che trasportano
stupefacenti ingerendo ovuli. Considerando che l’ispezione personale non può essere effettuata d’urgenza
dalla PG, a causa dell’invasivitá che questa procedura comporta, ma al contempo vi è una necessità di agire
con immediatezza, oltre che per rintracciare il corpo del reato, ma anche per preservare la vita di queste
persone che nel caso di rottura di anche solo un ovulo andrebbero incontro a morte certa, la Corte di
Cassazione alla fine ha cominciato a qualificare questi accertamenti per lo più come perquisizioni
ammettendo quindi la possibilità che queste operazioni possano essere compiute dalla PG d’urgenza.
 La perquisizione ==> questa attività consiste nel frugare alla ricerca del corpo del reato o cose
pertinenti al reato, o addirittura l’indagato.
La perquisizione personale è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti
sulla persona il corpo del reato o le cose pertinenti al reato (cioè le cose che hanno la funzione di
provare il reato o la responsabilità del suo autore). La perquisizione locale è disposta quando vi è
fondato motivo di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino in un
determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso. La
perquisizione informatica è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni,
programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o
telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza; devono essere adottate misure tecniche
dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione.
Nel compiere una perquisizione devono essere osservate alcune formalità a tutela dei diritti di
libertà garantiti dalla Costituzione: se deve essere eseguita la perquisizione di una persona, occorre
consegnare a questa una copia del decreto con l'avviso della facoltà di farsi assistere da persona di
fiducia, purché prontamente reperibile ed almeno quattordicenne; se deve essere eseguita la
perquisizione di un luogo, va consegnata copia del decreto all'interessato ed a colui che abbia la
disponibilità del luogo, se costoro sono presenti. Ad essi deve essere dato avviso della facoltà di
farsi assistere o rappresentare da una persona di fiducia, alle solite condizioni che questa sia
prontamente reperibile ed idonea. Le cose rinvenute nel corso della perquisizione, se costituiscono
corpo del reato o sono pertinenti al reato sono sottoposte a sequestro; se nel corso della
perquisizione si trova la persona ricercata, si da esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare o ai
provvedimento di arresto e di fermo.
La ricerca di una cosa determinata: quando si cerca una cosa determinata l'autorità giudiziari può
limitarsi ad invitare taluno a consegnare la cosa: se l'invito è accolto non si fa luogo a perquisizione,
salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini.
La perquisizione è disposta dall'autorità giudiziaria (cioè dal giudice o dal PM) con decreto
motivato:
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-

nel corso dell'udienza preliminare o dibattimentale la perquisizione è disposta dal giudice
nel corso delle indagini preliminari la perquisizione è ordinata dal PM, che vi provvede
personalmente o delegandola ad un ufficiale di polizia giudiziaria;
- la polizia giudiziaria può procedere di sua iniziativa a perquisizione personale o locale, ma solo
in flagranza di reato o nel caso di evasione;
- la polizia giudiziaria deve trasmettere il verbale delle operazioni senza ritardo al PM del luogo
nel quale la perquisizione è stata eseguita e la pubblica accusa convalida la perquisizione nelle
48 ore successive, se ne ricorrono i presupposti.
L’intercettazione ==> Per intercettazione si intende quell'attività che si effettua mediante
strumenti tecnici di percezione e che tende a captare il contenuto di una conversazione o di una
comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l'apprensione medesima è operata
da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza. Non costituisce intercettazione una
registrazione effettuata da uno dei partecipanti alla discussione, sia anche un organo di PG,
oppure la registrazione fatta tra due persone che non fanno niente per preservare la loro
comunicazione, ovvero la fanno urlando. Inoltre per poter parlare di intercettazione dobbiamo
essere in presenza di un sistema di registrazione insidioso,occulto, nascosto.. (es. discorso fatto in
uno studio televisivo bisbigliando, pur sapendo che si è collegati con un microfono).
L'intercettazione può avere ad oggetto sia le conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre
forme di telecomunicazione, sia il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici i telematici
ovvero intercorrente tra più sistemi.
I requisiti per disporre intercettazioni. ==> L'articolo 15 della Costituzione tutela la segretezza della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, segretezza la cui violazione è ammessa
soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (riserva di
legge e riserva di giurisdizione).
Di conseguenza le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni sono ammesse con molti
limiti:
 le intercettazioni possono essere disposte in procedimenti relativi ai soli reati previsti
nell'articolo 266 CPP;
 devono essere l’estrema ratio, ovvero aver provato già con altri mezzi della ricerca della prova
di giungere al risultato ma infruttuosamente;
 sono ammesse solo quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente
indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.
Differiscono dalle intercettazioni perché non hanno per oggetto una comunicazione:il pedinamento
mediante apparecchiatura satellitare GPS, che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera
attività atipica e l'acquisizione di tabulati del traffico telefonico.
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
Il sequestro (Art. 253 CPP) ==> Il sequestro probatorio consiste nell'assicurare una cosa mobile o
immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa
e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima (il vincolo di indisponibilità serve per
conservare immutate le caratteristiche della cosa, al fine dell'accertamento dei fatti).
Occorre che si tratti del corpo del reato o di una cosa pertinente al reato e, soprattutto, che la
cosa sia necessaria per l'accertamento dei fatti.
Il sequestro è mantenuto fin quando sussistono le esigenze probatorie; il limite massimo è la
sentenza irrevocabile, dopodiché la cosa deve essere restituita, salvo che ne sia stata ordinata la
confisca.
Il sequestro è disposto dall'autorità giudiziaria con decreto motivato; al sequestro procede
personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso
decreto.
Nel corso del dibattimento il sequestro probatorio è disposto dal giudice. nel corso delle indagini
preliminari il decreto è emanato, di regola, dal PM; la polizia giudiziaria, se vi è fondato pericolo nel
ritardo e il PM non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione
delle indagini.Essa effettua il sequestro; il relativo verbale è trasmesso entro 48 ore al PM del luogo
dove il sequestro è stato eseguito, il quale, nelle 48 ore successive, convalida il sequestro con
decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti.
A questi quattro metodi di ricerca della prova tipici si aggiungono due strumenti atipici: le videoriprese e i
tabulati telefonici.
Video riprese: In assenza di una espressa regolamentazione legislativa, la Corte Costituzionale e la Sezioni
unite della Cassazione hanno regolato la materia in questo modo:
 la ripresa di comportamenti comunicativi costituisce una forma di intercettazione e quindi ne segue
la disciplina;
 la ripresa di comportamenti non comunicativi, se effettuata in un luogo pubblico, si tratta di un atto
non ripetibile della polizia giudiziaria che nel dibattimento può essere utilizzato come prova atipica;
 se effettuata in un luogo non pubblico bisogna distinguere:
o a) se si tratta di luoghi rientranti nel concetto di domicilio, le riprese devono considerarsi
vietate in assenza di una espressa regolamentazione legislativa dei casi e modi di tale
apprensione(riserva di legge e giurisdizione);
o b) se si tratta di luoghi diversi dal domicilio, ma comunque caratterizzati da una particolare
aspettativa di riservatezza, la videoripresa è utilizzabile come prova atipica, purché sia
autorizzata con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria.
Tabulati telefonici:
 periodo di conservazione: i tabulati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per 24
mesi dalla data in cui la comunicazione alla quale essi si riferiscono è intervenuta;
 dati relativi al traffico telematico sono conservati per 12 mesi .
 procedura di acquisizione: entro i predetti termini il PM dispone con decreto motivato la
acquisizione dei dati presso il fornitore, anche su istanza dell'imputato, dell'indagato, dell'offeso e
delle altre parti private;
 il difensore dell'imputato o dell'indagato può chiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle
utenze intestate al proprio assistito.
Tutti questi atti verbalizzati sono atti irripetibili e pertanto costituiscono deroga al principio della
formazione della prova nel contraddittorio e pertanto finiscono direttamente nel fascicolo del
dibattimento. Bisogna anche considerare che un’assistenza difensiva è comunque prevista attraverso
l’avvertimento che il difensore può essere presente al compimento dell’atto, oppure c'è l’avvertimento che
viene fatto al compimento dell’atto che comunque un difensore, se immediatamente reperibile, può
assistere alle operazioni.
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22 – LE INDAGINI PRELIMINARI
Con questa lezione comincia lo studio della parte dinamica della Procedura Penale, ovvero come funziona il
processo penale.
Dunque il procedimento penale si apre con l’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro, ovvero
quando al PM arriva una notizia di reato. Da questo momento comincia la fase delle indagini preliminari
che si concluderà con la richiesta del rinvio a giudizio oppure di richiedere una archiviazione.
Se richiede l’archiviazione, il procedimento può concludersi con l’archiviazione definitiva, oppure può
essere emesso un provvedimento di imputazione coatta e quindi il PM è costretto a fare una richiesta di
rinvio a giudizio.
Se invece richiede spontaneamente il rinvio a giudizio si apre la fase dell’udienza preliminare, volta alla
verifica che l’azione penale sia stata esercitata correttamente. L'udienza preliminare può concludersi con il
decreto di rinvio a giudizio si andrà in dibattimento, in caso negativo si avrà una sentenza di non luogo a
procedere.
La decisione al termine delle indagini preliminari spetta al Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP).
Come abbiamo già detto, le indagini preliminari sono fondamentali per capire se l’azione penale sia
fondata, se la stessa può portare a un processo dove sia possibile sostenere la tesi di colpevolezza. Tutto
questo perché nel nostro ordinamento l’azione penale è obbligatoria e quindi deve essere fatta una
scrematura di ciò che può portare a un processo sostenibile e ciò che potrebbe solo aggravare inutilmente
il sistema giudiziario.
Il Dominus di questa fase è il Pubblico Ministero, titolare dell’azione penale. Vi è anche un giudice di questa
fase ed è il Giudice delle indagini preliminari (GIP) la sua funzione si caratterizza come una "giurisdizione
semipiena", perché è esercitata soltanto nei casi previsti dalla legge e su richiesta di parte.
In sostanza, il GIP svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza
esercitare poteri di iniziativa (che in questa fase spettano al PM).Inoltre il GIP ha una cognizione limitata, in
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quanto di regola decide soltanto sulla base di verbali di atti presentatigli dal PM, dalla PG e dal difensore
dell'indagato o dell'offeso.
Eccezionalmente, di fronte al GIP sono assunte le prove non rinviabili al dibattimento: ciò avviene in una
udienza in contraddittorio, denominata incidente probatorio (392 ss.).
La difesa in questa fase ha un ruolo marginale, perché per lo più si tratta di indagini svolte in segreto dal
Pubblico Ministero e pertanto solo in situazioni sporadiche può essere coinvolto l’indagato e il suo
difensore (es. Interrogatorio).
Le indagini preliminari hanno un termine, eventualmente prorogabile, ma non si può indagare all’infinito.
Gli atti di indagine sono una serie di attività che possono essere tipiche o atipiche, regolate dal Codice di
Procedura Penale.
La bravura di un Pubblico Ministero sta nel discernere correttamente la possibilità di esercitare l’azione
penale o la richiesta di archiviazione.
23 – LA NOTIZIA DI REATO
L’atto che dà il via alla fase delle indagini preliminari è la notizia di reato, ovvero l’incipit del
procedimento penale.
Il codice non dà una definizione di notizia di reato, ma la nomina in una serie di articoli dove disciplina la
sua registrazione, la sua trasmissione, la sua acquisizione, ecc..
È stata la dottrina a fornire una definizione della notizia di reato che quindi è un'informazione che permette
alla polizia giudiziaria ed al PM di venire a conoscenza di un illecito penale.
La presenza di una notizia di reato produce tre effetti:
1) segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza alla funzione di polizia giudiziaria;
2) impone alla polizia giudiziaria che abbia appreso la notizia l'obbligo di informare il PM;
3) impone al PM l'obbligo di provvedere all'immediata iscrizione della notizia nel registro delle notizie di
reato.
Le notizie di reato possono essere tipiche e atipiche. Quelle tipiche, ovvero previste dal Codice, sono le
denunce e i referti, mentre quelle atipiche (possibili sulla base della formula di apertura contenuta nel
codice “di iniziativa”) possono essere acquisite da qualsiasi fonte informativa, senza la necessità che debba
essere tipizzata.
Da questo punto di vista, si distinguono due forme di notizie atipiche di reato: le notizie di reato vere e
proprie, già formate che permettono al PM di iscrivere direttamente la notizia all’interno dell’apposito
registro delle notizie di reato (es.dichiarazioni autoincriminanti- fatti diversi che emergono dalle
intercettazioni telefoniche,ecc..), e le cosiddette “pre-notizie di reato”, ovvero delle informazioni che non
sono delle vere e proprie notizie di reato, ma consentano alla PG e al PM di dare il via a una pre inchiesta,di
stampo informale, al fine di acquisire elementi che gli consentano di trasformarla in una e vera propria
notizia di reato. Chiaramente l’inchiesta sarà più snella, potrà consistere nell’effettuare qualche
sopralluogo, oppure chiedere informazioni in merito a un certo fatto.
Quindi potremmo trovarci di fronte, ad esempio ad un articolo giornalistico dove si riporta un sistema
illecito di attività,compiuto da un determinato imprenditore, con tanto di firma in calce all’articolo . Questa
è una notizia di reato atipica , che il PM può benissimo iscrivere nel registro delle Notizie di reato e
approfondire tramite le indagini preliminari . Ma possiamo trovarci di fronte anche ad un articolo nel quale
si descrive l'attività di un’azienda, si pone in relazione tale attività con l’incremento di morti per tumore,
magari si segnala che questa impresa non svolga il proprio lavoro con trasparenza e che le autorizzazioni
allo scarico dei rifiuti non sia regolare insomma fa un quadro sospetto della situazione. In quest’ultimo caso
ci troviamo di fronte a una pre notizia di reato, in quanto c'è il forte dubbio, il sospetto, che ci possa essere
un reato dietro a questa situazione. In questa situazione, l’ordinamento consente al PM e alla PG
approfondire tale situazione al fine di verificare la possibilità di una notizia di reato tramite una preinchiesta.
Queste sono tutte fasi non regolate dal legislatore, il quale si limita solo a permetterle. Esiste una sorta di
decodificazione delle pre-notizie di reato, ma è frutto di una prassi. La codificazione che si è datato il
sistema prevede che qualora al PM giungano queste quasi notizie di reato, lo stesso le registri su il registro
degli atti non costituenti notizia di reato. In realtà questo registro era nato per la registrazione di tutti
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quegli esposti, segnalazioni,scritti che venivano inoltrati alla Procura perché si pensava erroneamente che
contenessero comportamenti oggetto di reato, ma che si rilevavano violazioni di carattere amministrativo o
fatti che non sono assolutamente sussumibili sotto fattispecie di reato.
Considerato che il PM deve comunque dar conto della sua attività si è pensato quindi che tutte queste prenotizie di reato potessero essere registrate in detto registro.
Viene aperto anche un fascicolo dove vengono raccolte queste indagini atipiche, volte solo a verificare se
questa notizia atipica possa trasformarsi in una vera e propria notizia di reato.
Le denunce anonime non possono essere considerate notizie di reato, ma vengono registrate in questo
registro con l’intenzione di verificare quanto riportato nella denuncia e successivamente aprire un
procedimento vero e proprio.(es .luana englaro).
Non esistono solo due registri, ma il registro degli atti costituenti notizie di reato è diviso : contro persone
note e contro ignoti. Nel momento in cui una notizia di reato viene iscritta nel registro contro ignoti, ma
successivamente viene trovato l’indagato, la notizia viene trascritta nel registro contro noti e da quel
momento partiranno i 6 mesi di tempo per le indagini preliminari, salvo proroghe.
I tempi e la decisione di iscrizione nei vari registri è insindacabile e la competenza è esclusivamente del PM.
LA DENUNCIA
La denuncia può esser presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato (un cittadino,
uno straniero o lo stesso autore del fatto illecito).
Può essere scritta od orale e può essere presentata sia ad un ufficiale di polizia giudiziaria, sia direttamente
al PM.
Contenuto della denuncia: la denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il
giorno dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note.Inoltre, quando è possibile, le
generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito,
della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei
fatti.
La denuncia da parte di privati.
Di regola, la denuncia è facoltativa, ma vi sono delle ipotesi in cui essa costituisce un obbligo sanzionato
penalmente. Una persona privata ha l'obbligo di denuncia in questi casi:
1) quando sia cittadino italiano e abbia avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato per il
quale la legge stabilisce l'ergastolo;
2) quando abbia ricevuto cose provenienti da delitto;
3) quando abbia notizia di materie esplodenti situate nel luogo da lui abitato;
4) quando abbia subito un furto di armi o esplosivi;
5) quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione.
I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di presentare denuncia quando vi è
una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato; l'obbligo
infatti scatta per i reati non procedibili a querela di cui il soggetto abbia avuto conoscenza nell'esercizio
delle funzioni (cioè durante l'orario di lavoro) o a causa della sua funzione o servizio.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, data la particolare qualifica rivestita, sono tenuti ad informare il
PM di tutti i reati procedibili d'ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza; quindi anche fuori del
servizio svolto.
La definizione delle due qualifiche è data dagli artt. 357 e 358 del codice penale.
Aspetti comuni alle due qualifiche: la funzione ed il servizio sono "pubblici" quando sono disciplinati da
"norme di diritto pubblico e da atti autoritativi". Ciò che rileva non è l'esistenza di un rapporto di impiego
pubblico, ma l'esercizio in concreto di una funzione o servizio pubblici.
Definizione di pubblico ufficiale: sono funzioni pubbliche (ed in quanto tali integrano la qualifica di
pubblico ufficiale) le funzioni legislative, giudiziarie ed amministrative.
Al fine di consentire una precisa delimitazione del concetto di pubblica funzione, con particolare
riferimento a quella amministrativa, il 357.2 c.p. afferma che la stessa deve avere almeno una di queste
caratteristiche: deve consistere nella "formazione" o "manifestazione" della volontà della pubblica
amministrazione o deve svolgersi per mezzo di "poteri autoritativi" o "certificativi".
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Definizione di incaricato di pubblico servizio: nell'articolo 358 c.p. l'incaricato viene definito mediante un
requisito positivo e due requisiti negativi: il servizio deve essere disciplinato da norma di diritto pubblico e
da atti autoritativi (come la funzione pubblica).
Poi devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica (cioè lo svolgimento di poteri
certificativi o autoritativi o la formazione o la manifestazione della volontà della p.a.) e il servizio non deve
comportare l'esercizio di semplici mansioni d'ordine, né la prestazione di un'opera meramente materiale.
Esenzione dall'obbligo di denuncia: il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncianemmeno in
relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte.
Tale disposizione deve intendersi nel senso che, rispetto all'obbligo di denuncia, il difensore e i suoi ausiliari
sono trattati come privati anche quando svolgono investigazioni difensive (nonostante le attività difensive
comportino l'esercizio di funzioni quali la certificazione o la verbalizzazione).
IL REFERTO
Il referto è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell'esercizio di una professione
sanitaria, ha prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto
procedibile d'ufficio.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale
(pertanto, se dal medico si fa assistere la persona offesa dal reato, il sanitario ha l'obbligo del referto;
mentre se il responsabile del reato si fa assistere da un medico privato, l'obbligo di referto non sussiste).
Se il medico è dipendente pubblico, anche in quest'ultimo caso egli ha sempre l'obbligo di denuncia-referto,
in quanto è un incaricato di pubblico servizio. Il soggetto obbligato deve far pervenire il referto entro 48 ore
(o se vi è pericolo del ritardo, immediatamente) al PM o alla polizia giudiziaria.
L'obbligo di informare il pubblico ministero
Una volta che la polizia giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato, scatta l'obbligo per la polizia stessa di
informare il PM, cioè di trasmettergli l'informativa, la quale deve precisare gli elementi essenziali del fatto e
gli altri elementi di prova e le attività compiute contenere l'indicazione precisa circa il giorno e l'ora in cui la
notizia è stata acquisita.
Termini per la trasmissione dell'informativa: come regola il codice pone l'obbligo di riferire la notizia di
reato senza ritardo e per iscritto al PM; sono previste poi alcune eccezioni.
L'informativa deve essere data immediatamente anche in forma orale quando sussistono ragioni di urgenza
o quando si tratta di determinati delitti gravi o di criminalità organizzata l'informativa deve essere data
entro di 48 ore nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l'assistenza del
difensore dell'indagato, mentre l'informativa deve essere data immediatamente in caso di arresto in
flagranza.
Differenza tra informativa e notizia di reato. La prima investe l’organo di polizia giudiziaria inteso
come unità operativa, la seconda è il risultato di obblighi imposti ad una specifica persona.
LE CONDIZIONI DI PROCEDIBILITÀ
Il codice pone la regola della procedibilità d'ufficio; quindi i reati sottoposti a condizione di procedibilità
devono essere espressamente previsti dalla legge.Le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la legge
subordina l'esercizio dell'azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere
d'ufficio.
In realtà, in mancanza di una condizione di procedibilità possono essere compiuti soltanto gli atti di
indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono
essere assunte le prove previste dall'articolo 392 (incidente probatorio).
La QUERELA è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto
di reato che essa ha subito, a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l'autore; essa contiene la
notizie di reato e la manifestazione della volontà che si proceda penalmente in ordine al medesimo.
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Termine per l'esercizio del diritto di querela: il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il
termine di tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (ma
nel caso di delitti contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi).
Rinuncia alla querela: il codice consente alla persona offesa di rinunciare al diritto di querela; la rinuncia è
un atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, prima di aver proposto querela, manifesta
la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto.
Rimessione di querela: di regola, la querela una volta proposta può esser revocata; a tal fine il codice
penale prevede l'istituto della remissione: si tratta di quell'atto irrevocabile ed incondizionato con cui la
persona offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il
fatto di reato; la remissione estingue il reato. La remissione non produce effetto se il querelato non l'ha
accettata espressamente o tacitamente. Può essere presentata in qualsiasi momento prima della sentenza
definitiva e implicare l’annullamento di interi gradi di giudizio. In alcuni casi non è possibile, come per
esempio nei reati di stalking.
L'ISTANZA è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda per un reato che è stato
commesso all'estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe procedibile d'ufficio.
La RICHIESTA DÌ PROCEDIMENTO è l'atto con cui il ministro della Giustizia manifesta la volontà che si
proceda per un determinato reato commesso all'estero o per altri reati espressamente previsti da alcuni
articoli del codice penale (delitti contro il Presidente della Repubblica, alcuni delitti contro la personalità
dello Stato).
L'AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE è un atto discrezionale ed irrevocabile emanato da un organo dello
Stato; la legge pone l'autorizzazione come condizione per l'esercizio dell'azione penale e per il compimento
di singoli atti del procedimento in considerazione della:
==> qualità dell'imputato (che è un rappresentante di un organo pubblico e che si vuole proteggere contro
le "azioni di disturbo" del potere giudiziario) ovvero
==> della qualità della persona offesa dal reato (che è un organo pubblico del quale si vuole evitare che
venga compromesso il prestigio in un processo penale).
24 – LE ATTIVITÀ INVESTIGATIVE
Registrata la notizia di reato, il PM deve imbastire l’attivita investigativa volta a raccogliere tutti gli elementi
di prova possibili al fine di permettergli di decidere se esercitare l’azione penale oppure chiedere
l’archiviazione.
Il PM è affiancato in questa ricerca delle prova dalla PG. Da questo punto di vista il Codice è molto chiaro e
nel regolare questa attività di indagine, indica quali attività.compie la PG e quali il PM, con la precisazione
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che PG può compiere attività di iniziativa(urgenza), senza alcuna direttiva da parte del PM, oppure attività
su delega del PM.
La distinzione non vuole isolare una fase autonoma attribuita alla polizia giudiziaria, bensì ha lo scopo di
precisare la differente regolamentazione degli atti sotto vari profili, tra cui l'esercizio di poteri coercitivi e la
tutela del diritto di difesa.
Nell'ambito dell'attività d'iniziativa dalla polizia giudiziaria si possono tracciare ulteriori distinzioni:
 l’iniziativa autonoma: è un'attività di iniziativa in senso stretto che consiste nel raccogliere ogni
elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole; tale attività prende
avvio dal momento in cui è pervenuta la notizia di reato e termina nel momento in cui il PM ha
impartito le sue direttive;
 l'iniziativa successiva: è un'attività di iniziativa in senso ampio che la polizia giudiziaria svolge dopo
aver ricevuto le direttive dal PM; tale attività può ancora distinguersi in:
o iniziativa guidata, che consiste nella stretta esecuzione delle direttive del PM;
o iniziativa parallela, che comprende tutte le altre attività di indagine per accertare i reati che
la polizia può eseguire purché ne informi prontamente il PM;
o Infine, è prevista la c.d. attività integrativa, ossia svolta di iniziativa, ma sulla base dei dati
emersi a seguito del compimento di atti delegati dal PM, per assicurarne la massima
efficacia.
Atti tipici svolti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria senza esercizio di poteri coercitivi
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SOMMARIE INFORMAZIONI DALL'INDAGATO ==> Con l'espressione "sommarie informazioni dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini" il codice ricomprende tre diverse modalità con cui
l'indagato può rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria, molto differenti nei presupposti e nel regime di
utilizzabilità:
==> le informazioni con la presenza del difensore: l'ufficiale di polizia (non quindi un semplice agente) può
assumere informazioni dall'indagato (e cioè porre domande) solo se quest'ultimo è libero e se comunque il
suo difensore è presente (ciò presuppone che la polizia abbia invitato l'indagato a nominare un difensore e
che questi, nominato e quindi preavvisato tempestivamente, sia potuto intervenire; se l'indagato non ha
proceduto alla nomina di un difensore di fiducia, la polizia avverte il difensore d'ufficio di turno);
le formalità di questo atto sono inferiori rispetto all'interrogatorio svolto dal PM, infatti è sufficiente che
l'indagato riceva quegli avvertimenti che sono disciplinati dal 64.3 (e cioè che le sue dichiarazioni potranno
sempre essere utilizzate nei suoi confronti, che salvo quanto disposto dal 66.1 ha facoltà di non rispondere
ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso, e che se renderà dichiarazioni su
fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone);
==> le dichiarazioni spontanee: l'ufficiale o l'agente di polizia può ricevere dichiarazioni spontanee dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; Questa seconda modalità comporta che la polizia non
abbia posto domande: occorre che l'iniziativa sia venuta dall'indagato; il codice non pone espressamente
alla polizia l'obbligo di dare gli avvisi contenuti nel 64.3;
==> le informazioni per la prosecuzione delle indagini: gli ufficiali di polizia giudiziaria possono porre
domande all'indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore, tuttavia delle notizie assunte è
vietata sia la documentazione, sia l'utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti;
inoltre il codice pone due limiti:
o le domande possono esser rivolte all'indagato solo sul luogo o nell'immediatezza del fatto
di reato (ad es. nella stazione di polizia, ma subito dopo)
o deve trattarsi di notizie utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini.
Il codice non impone alla polizia di avvertire l'indagato che ha facoltà di restare silenzioso. Le notizie non
sono utilizzabili nel procedimento, ma possono servire per "indirizzare" le indagini.
LE SOMMARIE INFORMAZIONI DA PERSONE INFORMATE (POSSIBILI TESTIMONI).
Le persone informate sono indicate dal codice con l'espressione "persone che possono riferire circostanze
utili ai fini delle indagini".
Obblighi della persona informata:
 Il possibile testimone ha l'obbligo di presentarsi alla polizia,
 se convocato, ove non si presenti, può essere incriminato per inosservanza di un provvedimento
della pubblica autorità (art. 650 c.p.)
 inoltre, egli ha l'obbligo di attenersi alle prescrizioni date (ad es. identificare cose o persone)
 infine egli ha l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte; tale obbligo
di dire il vero non è penalmente sanzionato, tuttavia esso può dar luogo ad una differente
responsabilità penale se, davanti alla polizia giudiziaria, il possibile testimone agisce allo scopo di
aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell'Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa: l'aiuto
così fornito ad una persona (purché diversa dal concorrente nel medesimo reato) integra gli
estremi del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).
La persona informata è titolare del privilegio contro l'autoincriminazione: può rifiutarsi di rispondere su
fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale;
 inoltre, può opporre all'inquirente l'esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge;
 infine, se è un prossimo congiunto dell'imputato o dell'indagato deve essere avvisata della facoltà
di astenersi dal rendere dichiarazioni.
Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale; di regola non sono utilizzabili in
dibattimento; eccezionalmente sono utilizzabili in dibattimento, se ripetibili, mediante contestazione nei
limiti previsti dall'art. 500 (contestazioni nell’esame testimoniale); se sono divenute non ripetibili,
mediante lettura alle condizioni previste dall'art. 512 lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di
ripetizione).
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Un caso particolare costituiscono le SOMMARIE INFORMAZIONI DALL'IMPUTATO DÌUN PROCEDIMENTO
CONNESSO O COLLEGATO.
L'ufficiale di polizia giudiziaria può porre domande all'imputato (o all'indagato) di un procedimento
connesso o collegato: questi ha diritto ad essere assistito da un difensore, in caso di mancata nomina di
quello di fiducia, gli è designato un difensore d'ufficio.
Il difensore deve essere tempestivamente avvisato ed ha diritto di assistere all'atto.
ATTI OD OPERAZIONI CHE RICHIEDONO SPECIFICHE COMPETENZE TECNICHE. Il codice legittima la polizia
giudiziaria a compiere di propria iniziativa "atti od operazioni che richiedono specifiche competenze
tecniche"; la norma autorizza la polizia giudiziaria ad avvalersi dell'opera di "persone idonee, le quali non
possono rifiutare la propria opera": sono i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria.
Vi è differenza tra ausiliario e consulente tecnico:
 l'ausiliario svolge l'atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale, perciò
si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria;
 il consulente tecnico svolge attività in proprio dietro mandato del PM, al quale dovrà riferire i
risultati.
Ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti di cui si
possa ritenere la falsità, è possibile un accompagnamento coattivo per identificazione;




questo consiste nel portare la persona identificata negli uffici di polizia ed ivi trattenerla per il
tempo strettamente necessario per l'identificazione e comunque non oltre le 12 ore.
La persona può essere trattenuta non oltre le 24 ore nel caso in cui "l'identificazione risulti
particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete"
ma la polizia deve dare previamente avviso orale o scritto al PM e la persona ha la facoltà di
“chiedere di avvisare un familiare o un convivente".
In ogni caso dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto occorre dare
immediata notizia al PM che può ordinare in qualsiasi momento che la persona trattenuta sia
rilasciata qualora non sussistano le condizioni sopra indicate.
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Norme particolari valgono per l'identificazione dell'indagato.
- La persona sottoposta alle indagini è invitata a dichiarare le proprie generalità, con l'avviso che costituisce
reato sia il rifiutarsi di fornirle, sia il darle false. In particolare per la completa identificazione la polizia
richiede all'indagato oltre alle generalità:
- il soprannome o lo pseudonimo;
- le condizioni di vita individuale, familiare o sociale;
- se è sottoposto ad altri processi;
- le condanne riportate nello Stato o all'estero;
- i beni patrimoniali dei quali è proprietario;
- le cariche pubbliche rivestite,
- gli uffici o servizi pubblici o di pubblica utilità prestati anche in passato.
IL PRELIEVO DÌ MATERIALE BIOLOGICO. La polizia può procedere, ove occorra a rilievi antropometrici,
fotografici o dattiloscopici; in particolare se gli accertamenti comportano il prelievo di capelli o saliva e, se
manca il consenso dell'interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della
dignità personale del soggetto, previa autorizzazione del PM scritta oppure resa oralmente e confermata
per iscritto.
L'elezione di domicilio per le notificazioni. La persona sottoposta alle indagini viene inoltre invitata ad
eleggere un domicilio per le notificazioni che si renderanno necessarie nel corso del procedimento.
Dall'identificazione è redatto verbale integrale, conservato nel fascicolo del pubblico ministero.
LA PERQUISIZIONE. Affinché la polizia giudiziaria possa procedere a perquisizione di propria iniziativa,
occorre al sussistenza di quattro requisiti:
 il primo requisito consiste nell'oggetto da ricercare: cose o tracce pertinenti al reato ovvero la
persona dell'indagato o dell'evaso;
 Il secondo requisito riguarda la situazione in cui la perquisizione avviene.
Questa può essere eseguita solo nei seguenti casi:
 nella flagranza del reato;
 in caso di evasione
 se si deve procedere al fermo di una persona indagata,
 ovvero all'esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare
 ovvero la carcerazione per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in
flagranza;
 il terzo requisito è dato dal pericolo nel ritardo: occorre ricercare subito cose o tracce che si
possono cancellare o disperdere; altrimenti l'elemento di prova potrebbe andare perduto
sia casualmente, sia per volontà dell'autore del reato o dei suoi complici;
 il quarto requisito è il fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose o le
persone ricercate; la polizia giudiziaria deve avere a disposizione elementi obbiettivi dai quali
emerga con sufficiente probabilità che le cose o persone ricercate si trovano nel posto dove viene
effettuata la perquisizione.
LA PERQUISIZIONE DÌ SISTEMI INFORMATICI O TELEMATICI è disposta, in presenza dei requisiti
menzionati, quando gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno fondato motivo di ritenere che in tali sistemi si
trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che
possono essere cancellati o dispersi.
Procedimento: la polizia deve dare avviso all'indagato presente della facoltà di nominare un difensore di
fiducia; inoltre essa deve trasmettere al PM del luogo ove la perquisizione è stata eseguita, entro 48 ore, il
relativo verbale affinché questi, nelle 48 ore successive, possa disporre la convalida
I rilievi e gli accertamenti urgenti: il sopralluogo e il sequestro probatorio.Gli atti fondamentali di tipo
investigativo sono i rilievi e gli accertamenti urgenti.
Essi hanno le seguenti finalità:
a) comprendere la dinamica del fatto dalla quale spesso dipende l'esistenza o meno del reato;
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b) raccogliere gli elementi di prova presenti;
c) cercare spunti per la successiva attività di indagine.
L'attività generica di conservazione consiste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano
conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell'intervento del PM; quindi la polizia giudiziaria
deve impedire:
 da un lato che vengano asportate cose o cancellate tracce
 da un altro che cose o tracce vengano aggiunte o che siano spostate di posizione.
I rilievi consistono nell'attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, nonché
nella descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato.
I rilievi devono esser compiuti di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria in presenza di due presupposti:
 che il PM non possa intervenire tempestivamente
 che vi sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute (c.d.
urgenza).
L'accertamento urgente è un'operazione di tipo tecnico che deve essere compiuta dalla polizia in presenza
dei presupposti sopra indicati; ad essa può procedere di regola solo un ufficiale e, in casi eccezionali di
urgenza, anche un agente; qualora debbano esser compiute attività che richiedono specifiche competenze
tecniche, la polizia giudiziaria può avvalersi dell'opera di esperti: i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria.
La polizia giudiziaria, però, può compiere soltanto quegli accertamenti che non comportano modifiche
all'elemento di prova; un accertamento che comporti la modifica dell'elemento di prova è riservato al PM,
che lo compirà nelle forme garantite del 360 (accertamento non ripetibile da svolgersi con preavviso
all'indagato e all'offeso).
Per quanto concerne il prelievo di materiale biologico, se gli accertamenti lo rendono necessario e vi è il
consenso dell'indagato, la polizia giudiziaria agisce autonomamente.Se il consenso manca, la polizia
procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale dell'interessato, ma deve ottenere una
previa autorizzazione del PM
IL SEQUESTRO PROBATORIO è la tipica attività di assicurazione delle fonti di prova.La polizia giudiziaria
compie il sequestro se il PM non può intervenire tempestivamente e se vi è pericolo nel ritardo.
I rilievi, gli accertamenti urgenti e il sequestro sono atti non ripetibili, e quindi saranno inseriti nel fascicolo
per il dibattimento dopo che il GIP avrà deciso il rinvio a giudizio.
Essi sono atti a sorpresa ai quali può assistere il difensore.
L'attività di iniziativa del pubblico ministero
GLI ATTI COMPIUTI PERSONALMENTE O SU DELEGA. Il PM può compiere atti di indagine personalmente o
può delegarli alla polizia giudiziaria; la delega può riguardare sia gli atti "atipici", sia gli atti "tipici", purché
questi ultimi siano specificamente delegati.
Inoltre, il PM può imporre alla polizia giudiziaria una direttiva, cioè l'indirizzo generale da dare alle indagini,
all'interno del quale la polizia giudiziaria opera con gli atti di propria iniziativa.
La delega è di regola consentita; sono previsti alcuni divieti:
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- è previsto in modo esplicito il divieto di compiere ispezioni, perquisizioni e sequestri, che si svolgono
negli uffici dei difensori e che sono disposti nel corso delle indagini preliminari; ad essi provvede
personalmente il PM in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice;
- è previsto in modo implicito il divieto di delegare l'interrogatorio dell'indagato arrestato ed i confronti con
il medesimo;
- è ricavabile dalla natura dell'atto il divieto di delegare l'accertamento tecnico non ripetibile.
LE INFORMAZIONI ASSUNTE DAL POSSIBILE TESTIMONE. Le sommarie informazioni possono essere
assunte dal PM personalmente o dalla polizia giudiziaria da lui delegata.
Coloro che rendono le informazioni sono indicate dal 362 con l'espressione "persone che possono riferire
circostanze utili ai fini delle indagini"; vengono denominate nella prassi "persone informate"; tuttavia
riteniamo che l'espressione "possibile testimone" sia più appropriata in quanto l'art. 362 estende alla
persona informata quella incompatibilità a testimoniare prevista in relazione all'imputato dall'art. 197 (ne
deriva che colui che risulta indagato non può essere sentito come persona informata).
Regolamentazione.
Al possibile testimone sono applicabili gli artt. 197-203 del codice, per cui egli:
- ha i medesimi doveri processuali del testimone
- deve presentarsi ed attenersi alle prescrizioni date e deve rispondere secondo verità
- è titolare del privilegio contro l'autoincriminazione
- può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità
penale
- può opporre all'inquirente l'esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge.
- Il possibile testimone gode anche della garanzia contro l'autoincriminazione: se dalle informazioni rese
emergono indizi di reità a carico del possibile testimone, l'autorità inquirente ne interrompe l'esame e lo
avvisa che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti, inoltre lo invita a
nominare un difensore;
- le dichiarazioni rese in precedenza dal possibile testimone non possono essere utilizzate contro di lui, se
mai possono essere utilizzate contro l'indagato.
- Il PM e la polizia giudiziaria non possono chiedere alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto
informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell'intervista.
Il codice stabilisce un limite al potere di indagine dell'autorità inquirente, limite che è stabilito a tutela della
segretezza degli atti di investigazione difensiva. Infine il codice pone un'ulteriore garanzia allo scopo di
evitare che l'inquirente senta come possibile testimone una persona che dovrebbe interrogare in qualità di
imputato con il rispetto delle garanzie difensive:"Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità
di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate".
Documentazione. Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale; di regola non sono
utilizzabili in dibattimento; eccezionalmente sono utilizzabili, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti
posti dall'art. 500, mentre se sono divenute non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura alle condizioni
previste dall'art. 512.
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L'INTERROGATORIO DELL' INDAGATO
Il PM che intenda sottoporre l'indagato ad interrogatorio (o a confronto o ad ispezione) deve fargli
notificare un "invito a presentarsi" di regola, almeno 3 giorni prima di quello fissato per l'interrogatorio,
salvo che, per ragioni di urgenza, il pubblico ministero ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il
tempo necessario per comparire; l'invito a presentarsi deve contenere:
a) le generalità dell'indagato;
b) il giorno, l'ora e il luogo della presentazione e l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi;
c) l'indicazione che si darà luogo ad interrogatorio (o a confronto o ad ispezione)
d) l'avvertimento che il PM potrà disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato nel caso di mancata
presentazione di questi senza che sia stato addotto un legittimo impedimento;
e) la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute (nella
prassi si denomina ciò "addebito provvisorio").L'avviso al difensore: il difensore deve essere preavvisato
dell'atto almeno 24 ore prima del suo compimento;
- nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la
ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il PM può procedere a interrogatorio (o a ispezione o a
confronto) anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque
tempestivamente.
L'interrogatorio dell'indagato libero può essere compiuto dal PM personalmente o su delega alla polizia
giudiziaria;
- se è condotto personalmente dal PM l'atto può svolgersi anche senza la presenza del difensore, che
tuttavia deve essere stato preavvisato;
- se l'interrogatorio è svolto dalla polizia giudiziaria delegata, il difensore dell'indagato deve essere
necessariamente presente.
- L'interrogatorio dell'imputato sottoposto a fermo, arresto o custodia cautelare può esser condotto solo
dal PM (non è ammessa la delega alla polizia giudiziaria).
L'avviso di conclusione delle indagini è la condizione per la richiesta di rinvio a giudizio.
Quando il PM ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un
atto dal contenuto piuttosto articolato: l’avviso di conclusione delle indagini preliminari; tale avviso, che
deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene
- la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede con l'indicazione delle norme di legge che si
assumono violate, della data e del luogo del fatto
- l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle
indagini, depositato presso la segreteria del PM
- l'avvertimento che entro il termine di 20 giorni l'indagato può esercitare le seguenti facoltà:
a) può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad
investigazioni del difensore;
b) può chiedere al PM il compimento di atti di indagine;
c) può presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di esser sottoposto ad
interrogatorio.
Il PM non è vincolato ad adempiere alle richieste dell'indagato, salvo quando quest'ultimo chiede di essere
sottoposto ad interrogatorio, allora l'inquirente ha l'obbligo di procedervi, notificando all'imputato l'invito a
presentarsi per rendere interrogatorio, pena la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di
citazione diretta.
In tutti gli altri casi, il PM valuta discrezionalmente la necessità di compiere nuove indagini a seguito delle
richieste dell'indagato: se ritiene di svolgerle, esse devono essere compiute entro il termine di 30 giorni
dalla presentazione della richiesta (termine che può essere prorogato dal giudice su richiesta del PM "per
una sola volta e per non più di 60 giorni").Nessun avviso deve essere dato alla persona offesa.
L'interrogatorio di una persona imputata in un procedimento connesso o collegato
Il PM nel corso delle indagini preliminari può interrogare un imputato di un procedimento connesso o
collegato, che si svolga separatamente.
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La regolamentazione dell'atto si ricava per relationem dalla disciplina dell'esame dibattimentale di persone
imputate in un procedimento connesso o collegato (infatti l'art. 363 impone di osservare le forme previste
dall'art. 210).
L'imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato citato dal PM ha l'obbligo di presentarsi e
riceve il medesimo avvertimento che viene dato al possibile testimone: in caso di mancata comparizione
senza legittimo impedimento, la pubblica accusa può ordinare direttamente l'accompagnamento coattivo.
Il PM ha l'obbligo di preavvisare il difensore del soggetto in questione del compimento dell'interrogatorio;
- invece, il difensore dell'indagato del procedimento principale nel quale è assunto l'interrogatorio
dell'imputato di un procedimento connesso non può partecipare all'interrogatorio, né ha diritto ad
esaminarne il verbale in segreteria.
Il 210 prevede una disciplina differenziata a seconda che il soggetto sentito sia un concorrente nel
medesimo reato o un imputato connesso teleologicamente o collegato.
Interrogatorio dell'imputato concorrente nel medesimo reato
Il PM ha l'obbligo di avvisare l'imputato concorrente che questi ha la facoltà di non rispondere,salvo che
sulla propria identità personale; ciò al fine di rispettare il privilegio contro l'autoincriminazione (infatti, ciò
che viene dichiarato potrà poi essere utilizzato in base all'art. 238 contro o a favore di questo soggetto nel
procedimento che lo vede indagato od imputato).
Inoltre, l'imputato concorrente nel medesimo reato non ha un obbligo penalmente sanzionato di
rispondere secondo verità.
Interrogatorio dell'imputato in un processo connesso teleologicamente o collegato
L'imputato in un procedimento connesso teleologicamente o collegato è avvertito che se renderà
dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumerà la qualifica di testimone assistito
limitatamente a tali fatti.
L'accertamento tecnico operato dal consulente del pubblico ministero
Qualora le parti abbiano l'esigenza di svolgere accertamenti che comportano specifiche conoscenze
scientifiche, tecniche o artistiche, è possibile per la pubblica accusa e per l'indagato chiedere al giudice la
nomina di un perito con quell'istituto che è denominato incidente probatorio; in alternativa il codice
predispone uno strumento più agevole, la consulenza tecnica di parte.
Il PM durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad
accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono
necessarie specifiche competenze. Il consulente non può rifiutare la sua opera.
La consulenza ha due distinte regolamentazioni in base al seguente criterio: si tratta di valutare se, nel
momento in cui è disposto, l'accertamento appare ripetibile, o meno, in dibattimento.
Qualora l'accertamento tecnico appaia ripetibile, il PM nomina un consulente tecnico e fa svolgere
l'accertamento in segreto; il verbale di tale atto è collocato nel fascicolo delle indagini ed è destinato ad
essere inserito nel fascicolo del PM se e quando, in seguito all'udienza preliminare, sarà disposto il rinvio a
giudizio
Qualora l'accertamento tecnico appaia non ripetibile, il codice attribuisce a tale atto un'efficacia simile alla
perizia, subordinandolo ad un controllo ad opera dell'indagato.
La non ripetibilità può derivare da varie situazioni:
1) l'accertamento tecnico riguarda persone, cose o luoghi "il cui stato è soggetto a modificazione"
2) può essere lo stesso accertamento a determinare la modifica di cose, luoghi o persone.
3) In detti casi il PM deve dare un previo avviso all'indagato, all'offeso ed ai difensori in quanto costoro
possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia; i difensori e i consulenti tecnici
eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell'incarico, di partecipare agli
accertamenti e di formulare osservazioni e riserve.
L'indagato ha l'ulteriore potere di formulare, prima del conferimento dell'incarico, riserva di promuovere
incidente probatorio; in tal caso il PM deve disporre che non si proceda agli accertamenti (salvo che si tratti
di accertamenti che, se differiti, non potranno più essere utilmente compiuti).
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Se l'accertamento tecnico non ripetibile è differibile ed è egualmente compiuto nonostante la riserva, il
relativo verbale è inutilizzabile nel dibattimento, ma è utilizzabile a tutti gli altri fini; se l'accertamento è
non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale
è utilizzabile in dibattimento.
L'INCIDENTE PROBATORIO
Il legislatore, di regola, riserva la formazione della prova al dibattimento, poiché in tale sede è garantito il
contraddittorio nella sua più ampia manifestazione. Ciò permette anche di tutelare il principio di
immediatezza tra l'assunzione della prova e la decisione sulla medesima: ai sensi dell'art. 525 co. 2 la
deliberazione della sentenza è affidata "agli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento". Tuttavia
non sempre si può attendere la formazione della prova in dibattimento,poiché questo si può svolgere a
distanza di tempo dal fatto di reato: a tal fine è stato predisposto l'incidente probatorio, un'udienza che si
svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e nella quale, davanti al GIP, si assumono le
prove nelle medesime forme prescritte per il dibattimento.
I casi di incidente probatorio
Casi tassativi di non rinviabilità: alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell'incidente probatorio solo
se sono presenti i casi tassativi di non rinviabilità previsti nel 392.
Si tratta:
1) della testimonianza e del confronto, che possono essere ammessi solo se il dichiarante non potrà
deporre in dibattimento a causa di un grave impedimento (ad es. infermità) o di una minaccia in atto
affinché non deponga o deponga il falso;
2) dell'esperimento giudiziale e della perizia "breve", che possono essere ammessi solo se la prova riguarda
una persona, una cosa od un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile;
3) della perizia di lunga durata, che può essere ammessa quando, se disposta nel corso del dibattimento,
determinerebbe una sospensione superiore a 60 giorni;
4) della ricognizione, che può essere ammessa, se particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare
l'atto al dibattimento.
Casi di incidente probatorio su richiesta di parte: vi sono poi altri mezzi di prova che possono essere
assunti nell'incidente probatorio sulla base del mero presupposto che il PM o l'indagato lo abbiano chiesto
al GIP, senza che sia necessario il requisito della non rinviabilità.
I casi più importanti riguardano
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- l'esame dell'indagato quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui e l'esame
dell'imputato (o indagato) connesso o collegato ai sensi del 210
- la testimonianza di un minore di 16 anni in procedimenti per delitti di violenza sessuale,
- tratta di persone e assimilati (al fine di permettere un controllo sulla credibilità ed attendibilità della
deposizione nel momento in cui la memoria è ancora fresca).
Infine, occorre ricordare che il difensore può chiedere che siano assunti con incidente probatorio la
testimonianza o l'esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere
la dichiarazione scritta nel corso dell'intervista svolta dal difensore o dai suoi ausiliari.
L'udienza si svolge in camera di consiglio, e cioè senza la presenza del pubblico.
È richiesta la partecipazione necessaria del PM e del difensore (di fiducia o d'ufficio) dell'indagato; il
difensore dell'offeso ha il diritto, ma non l'obbligo, di partecipare all'udienza.
In tale sede non può porre domande direttamente al dichiarante, bensì può chiedere al giudice di
rivolgerle.
A loro volta l'indagato e l'offeso hanno diritto di assistere personalmente all'udienza quando si deve
esaminare un testimone o un'altra persona; negli altri casi possono assistere solo su autorizzazione del
giudice.
Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento; il GIP non ha il potere di assumere d'ufficio
nuove prove, tuttavia egli può rivolgere domande alle persone "già esaminate".
L'incidente probatorio ha la funzione di anticipare la formazione della prova garantendo il diritto di
difesa dell'indagato nei confronti del quale la prova stessa potrà essere successivamente utilizzata in
dibattimento.
Per assicurare questa esigenza il codice vieta:
- di usare in dibattimento nei confronti dell'imputato le prove assunte nell'incidente senza la partecipazione
del suo difensore e, quindi, senza la garanzia del contraddittorio,
- di estendere l'oggetto della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano
all'incidente e di verbalizzare le dichiarazioni aventi tale oggetto.- A tali divieti si può derogare soltanto se si
provvede ad integrare il contraddittorio in favore delle nuove persone interessate;
- la richiesta è rivolta al giudice, il quale, se l'accoglie, rinvia l'udienza per il tempo strettamente necessario
per effettuare le notifiche nei confronti delle persone indiziate ecomunque non oltre i 30 giorni;
- l'integrazione non è disposta quando il rinvio dell'udienza pregiudica l'assunzione della prova.
Altre attività ad iniziativa del pubblico ministero
Le perquisizioni: si tratta in genere di un atto delegabile alla polizia giudiziaria con decreto, nel quale
devono essere specificati i luoghi e/o le persone, ed, in particolare, se sia consentito l'ingresso coattivo e se
la perquisizione si possa estendere anche agli altri luoghi di cui il perquisito abbia la disponibilità.
Devono essere eseguite personalmente dal PM le perquisizioni ed i sequestri negli studi dei difensori,
l'apertura di plichi o di corrispondenza e le perquisizioni presso banche nel caso in cui queste rifiutino la
consegna dei documenti richiesti.
Il sequestro probatorio: il PM, quando delega l'esecuzione del sequestro alla polizia giudiziaria,indica
l'oggetto da sequestrare; se non lo fa, ma dispone genericamente il sequestro di quanto rinvenuto
costituente corpo o pertinenza del reato, si ritiene che la polizia giudiziaria debba chiedere la convalida al
magistrato ai sensi dell'art. 355.
L'ispezione personale è un atto che, per la sua particolare invasività della sfera personale del soggetto ad
esso sottoposto, è stato riservato all'iniziativa del PM. Il soggetto sottoposto ad ispezione ha il diritto di
farsi assistere da una persona di sua fiducia.
Le operazioni sotto copertura possono essere svolte da alcuni corpi di polizia autorizzati dal PM: questi
corpi, al fine di acquisire elementi di prova relativi a delitti di terrorismo, tratta di persone,pedopornografia
e assimilati, armi stupefacenti e riciclaggio godono di una clausola di non punibilità; infatti nell'ambito di tali
attività è possibile che gli infiltrati si rendano autori di reati, che vengono appunto considerati non punibili.
26 – L’ARCHIVIAZIONE
L'azione penale è: OBBLIGATORIA: ai sensi dell'art. 112 Cost. "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare
l'azione penale". Il principio di obbligatorietà impone che il PM valuti la fondatezza di ciascuna notizia di
reato e che compia le indagini necessarie per decidere se occorre formulare l'imputazione ovvero chiedere
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l'archiviazione (non impone che il PM debba necessariamente "accusare"). L'obbligatorietà dell'azione
penale ha il fine di assicurare due principi fondamentali: il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) ed il
principio di legalità (art. 25.2 Cost.: Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata
in vigore prima del fatto commesso). Se l'azione penale è obbligatoria, è necessario che sia previsto uno
strumento tecnico che renda effettivo l'adempimento di tale dovere in maniera che il PM non possa
scegliere liberamente dove agire e dove non. Quindi la scelta del PM di non esercitare l'azione penale si
traduce nella richiesta di archiviazione, che è sottoposta al controllo del GIP.
Pertanto il PM deve formulare una prognosi sugli elementi che ha in mano e se tali elementi gli potrebbero
consentire di portare a termine l’azione legale con successo, in mancanza di ciò, deve chiedere di essere
esonerato dall’obbligo dell’esercizio dell’azione penale, ovvero formula una richiesta di archiviazione, che
verrà sottoposta al controllo del GIP(Giudice delle Indagini Preliminari); di regola, il controllo è effettuato
de plano (e cioè senza udienza), ma può diventare complesso e penetrante quando il giudice non accoglie la
richiesta di archiviazione o quando la persona offesa vi si oppone.
Funzioni dell'istituto dell'archiviazione:
1. essa permette al PM di operare una prima importantissima selezione dei procedimenti al fine di
non appesantire il successivo filtro,rappresentato dall'udienza preliminare;
2. attua il controllo del giudice sul corretto adempimento dell'obbligo di esercitare l'azione penale da
parte del PM;
3. riconosce dalla persona offesa dal reato il diritto di far controllare dal giudice in una udienza in
camera di consiglio le ragioni di un'eventuale inerzia del PM.
L'archiviazione è pronunciata dal GIP, attraverso un decreto (in quanto non c’e contraddittorio) in presenza
di presupposti di fatto o di diritto:
 l'archiviazione è pronunciata in presenza di presupposti di fatto, quando la notizia di reato è
"infondata". In questo caso il giudice effettua una prognosi sull'esito di un eventuale dibattimento,
in quanto ritiene probabile la pronuncia di una sentenza di assoluzione perché il fatto di reato non
sussiste o l'imputato non lo ha commesso, o il fatto non costituisce reato o il fatto non è punibile;
 l'archiviazione è pronunciata in presenza di presupposti di diritto, quando manca una condizione di
procedibilità (ad es. la querela), il reato è estinto (ad es. per prescrizione), il fatto non è previsto
dalla legge come reato (ad es. è un illecito amministrativo depenalizzato);
 Infine, è disposta l'archiviazione quando sono rimasti ignoti gli autori del reato.
Nei casi in cui il GIP non accolga la richiesta di archiviazione fatta dal PM, lo stessa fissa un'udienza in
camera di consiglio. A seguito di questa udienza, il giudice può scegliere fra tre diversi provvedimenti:
 in via interlocutoria, può indicare al PM le ulteriori indagini che ritiene necessarie: quando il
giudice ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al PM, fissando il termine
indispensabile per il compimento delle stesse. Il PM è vincolato al compimento delle indagini ma
gode di un potere discrezionale nello stabilire le concrete modalità di svolgimento delle
stesse.Compiute le indagini, egli può valutare diversamente i risultati e formulare l'imputazione, ma
può anche optare nuovamente per la richiesta di archiviazione e depositare i verbali delle indagini;
 in via definitiva, può ordinare che il PM formuli l'imputazione : a seguito dell'udienza in camera di
consiglio, il giudice dispone con ordinanza che il PM formuli l'imputazione entro 10 giorni: si parla
di "imputazione coatta" (ma è comunque il PM che sceglie l'imputazione che ritiene conforme alla
legge).Entro 2 giorni dalla formulazione dell'imputazione coatta il giudice deve fissare con decreto
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la data dell'udienza preliminare; si tratta di una forma particolare di udienza preliminare, che non è
preceduta da una richiesta di rinvio a giudizio. In tale sede un diverso giudice controllerà la
fondatezza dell'accusa e potrà, se del caso, ordinare ulteriori indagini o assumere prove.;
 In via definitiva può disporre l'archiviazione.
L'avviso della richiesta di archiviazione è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che,
nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata
circa l'eventuale archiviazione.In caso che la richiesta di avviso non sia rispettato sarà possibile proporre
ricorso per vizio alla Corte di Cassazione.
Nell'avviso è precisato che, nel termine di dieci giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e
presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.
Se l'offeso non presenta opposizione, il GIP effettua un controllo de plano, e cioè senza udienza:

se accoglie la richiesta presentata dal PM, il giudice emette decreto di archiviazione;

se non la accoglie, fissa la data di una udienza in contraddittorio in camera di consiglio, alla quale
possono partecipare il PM, la persona offesa, l'indagato e il suo difensore.
Se invece l'offeso presenta opposizione:

se l'opposizione è ammissibile (cioè evidenzia le eventuali lacune investigative, ovvero le indagini
richieste e i relativi elementi di prova-es. Persona informata sui fatti non ascoltata ) la medesima
udienza in contraddittorio ha luogo;

se invece l'opposizione è inammissibile il giudice, dopo averne dichiarato l'invalidità, si limita ad
operare un controllo de plano che potrà dare gli esiti sopra menzionati.
La riapertura delle indagini a seguito dell'archiviazione. Quando il procedimento contro un indagato è
stato archiviato, il PM può compiere nuove indagini, solo dopo essere stato autorizzato con decreto
motivato del GIP.
La richiesta del PM è dovuta anche nel caso in cui non ci sia bisogno di nuove investigazioni o che siano
presenti nuovi elementi, ma anche nel caso in cui il PM prospetti al giudice un nuovo piano di indagine che
può scaturire dalla diversa interpretazione degli elementi già acquisiti. Quindi il potere dell’archiviazione è
un potere molto forte, che resiste anche all’individuazione di nuove prove, acquisite su un altro caso, che
magari permettono di riaprire il procedimento archiviato. C'è un forte dibattito in dottrina su questo fatto,
perché in quest’ultimo caso ci troveremmo davanti all’esecuzione dell’azione penale, obbligatoria per il PM,
anche se ci riferiamo a un caso archiviato, ma le sezioni unite della Corte di cassazione la pensa
diversamente.
27 – L’UDIENZA PRELIMINARE
L'udienza preliminare è una delle fasi del procedimento penale; essa ha la funzione di assicurare che un
giudice controlli la legittimità ed il merito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal PM.
La funzione principale dell’udienza preliminare è quella di svolgere un filtro, uno screening, per le
imputazioni azzardate. Questo per due semplici motivi. Il primo è una tutela di cui si è dotato
l’ordinamento stesso contro il crimine, ovvero una rete di salvataggio contro quelle imputazioni formulate
male che senza l’udienza preliminare rischierebbero di andare in dibattimento e concludersi con
un’assoluzione e ciò comporterebbe il divieto di riprocessare l'imputato anche se dovessero emergere
nuove prove a suo carico. Infatti una sentenza di “non luogo a procedere”, emessa dal Giudice dell’Udienza
Preliminare (GUP), non giudica la colpevolezza o l’innocenza, ma valuta se il materiale probatorio sia
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idoneo a sostenere l’accusa e soprattutto non ha un’efficacia preclusiva come l’avrebbe invece
un’eventuale assoluzione.
La seconda riguarda l’imputato, in quanto un processo è una sofferenza pesante per l’individuo e trascinare
una persona davanti a un pubblico in un dibattimento, senza avere un quadro probatorio tale che ci possa
essere la fondata possibilità di giungere a una condanna sarebbe ingiusto.
L'udienza preliminare può anche fungere da sede di definizione anticipata del procedimento. Infatti, nel
corso del suo svolgimento, il giudice può accogliere la richiesta di applicazione di quei riti deflattivi del
processo penale che permettono all'imputato di rinunciare al dibattimento, fondando il giudizio solo sugli
elementi raccolti durante le indagini preliminari, in cambio di uno sconto di pena. Questi riti sono il giudizio
abbreviato o il patteggiamento. Il giudice dell'udienza preliminare deve essere un giudice diverso da quello
che nel medesimo procedimento ha esercitato le funzioni di GIP: l'art. 34.2-bis pone una incompatibilità
che può essere superata soltanto quando il GIP si è limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio.
Quindi l’udienza preliminare si trasforma e diventerà o un’udienza di merito del giudizio abbreviato e si
concluderà con una sentenza di merito e non con un decreto di rinvio a giudizio o una sentenza di non
luogo a procedere, oppure verrà applicata una sentenza di condanna richiesta tra la parti (patteggiamento).
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L’udienza preliminare aveva una funzione discovery all’interno del procedimento penale, perché era in quel
momento che l'imputato veniva a conoscenza del materiale investigativo raccolto dal PM. Ora questa
funzione è venuta meno in seguito all’introduzione dell’Art. 415 bis “avviso della conclusione delle indagini
preliminari”
L'avviso di conclusione delle indagini è la condizione per la richiesta di rinvio a giudizio. Quando il PM
ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un atto dal
contenuto piuttosto articolato: l’avviso di conclusione delle indagini preliminari; tale avviso, che deve
essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene:
- la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede con l'indicazione delle norme di legge che si
assumono violate, della data e del luogo del fatto
- l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle
indagini, depositato presso la segreteria del PM
- l'avvertimento che entro il termine di 20 giorni l'indagato può esercitare le seguenti facoltà:
- a) può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni
del difensore;
- b) può chiedere al PM il compimento di atti di indagine;
- c) può presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di esser sottoposto ad interrogatorio.
La richiesta di rinvio a giudizio formulata dal PM (che segna il passaggio dalla fase delle indagini preliminari
alla fase dell'udienza preliminare) contiene l'imputazione (cioè l'enunciazione in forma chiara e precisa del
fatto storico, il titolo di reato le generalità della persona alla quale il fatto è addebitato) nonché
l'indicazione delle fonti di prova acquisite.
La richiesta (che non deve essere motivata) è trasmessa al g.u.p. al quale spetta fissare giorno, ora e luogo
dell'udienza. L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio (e cioè senza la presenza del pubblico);
all'udienza devono comunque essere presenti il PM ed il difensore dell'imputato.
il giudice può prendere una decisione interlocutoria quando dichiara di non poter decidere allo stato degli
atti: in tal caso indica al PM le ulteriori indagini oppure dispone anche d'ufficio l'assunzione di prove, dando
inizio allo svolgimento eccezionale dell'udienza preliminare.
Il giudice, quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti perché le indagini preliminari sono
incomplete, pronuncia ordinanza con la quale indica al PM "le ulteriori indagini” fissando il termine per il
loro compimento e la data della nuova udienza preliminare"
Una volta che il PM abbia provveduto all'adempimento, si terrà una nuova udienza, che avrà come oggetto
di discussione i risultati delle indagini.
All'esito di tale udienza è possibile che:
- il giudice ritenga di poter decidere allo stato degli atti il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere;
- in caso contrario il giudice può emettere una nuova ordinanza per l'integrazione delle indagini oppure
disporre una forma di assunzione di prove denominata dal codice "integrazione probatoria".
L’integrazione probatoria consiste nel potere di assumere prove nel corso dell'udienza preliminare laddove
vi sia impossibilità di decidere allo stato degli atti (presupposto valutato discrezionalmente dal giudice): il
giudice, se non ordina al PM l'integrazione delle indagini, può disporre anche d'ufficio l'assunzione delle
prove delle quali "appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere".
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28 – SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE
La sentenza di non luogo a procedere è uno degli esiti dell’Udienza Preliminare, insieme al rinvio a giudizio.
Ebbene il legislatore indica un elenco tassativo all’Art. 425 CPP, nel quale indica tutti i casi in cui è possibile
emettere la sentenza di non luogo a procedere, di riflesso se tale situazione non corrisponda a quella in
elenco, il GUP può emettere il rinvio a giudizio.
La sentenza è pronunciata in base a motivi di diritto o di fatto, ossia quando:

sussiste una causa che estingue il reato (es. prescrizione);

sussiste una causa per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (es. manca la
querela);

il fatto non è previsto dalla legge come reato;

esiste la prova che l'imputato è innocente (perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha
commesso o non costituisce reato);

è accertato che la persona non è punibile per qualsiasi causa, ivi compreso il difetto di imputabilità;
tuttavia il giudice non può pronunciare la sentenza di non luogo a procedere se "ritiene che dal
proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla
confisca (ratio: le misure di sicurezza personali, con le quali si possono imporre pesanti limiti alla
libertà possono essere applicate soltanto sulla base di un provvedimento che consegue al più
completo controllo svolto dal giudice del dibattimento).

3^ comma : quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti (cioè tali da far ritenere allo stato
degli atti che non possano essere integrati dalla attività istruttoria tipica del dibattimento),
contraddittori (cioè quando tra le prova raccolte c'è un contrasto che probabilmente non potrà
essere superato dallo svolgimento del dibattimento) o comunque non idonei a sostenere l'accusa
in giudizio"
Avverso la sentenza di non luogo a procedere deve ritenersi esperibile il rimedio del ricorso per Cassazione
in sensi del principio di cui all'articolo 568.2 CPP).
In tutti questi casi, dove vi è un deficit dell’azione penale, ovvero dove manca un elemento del reato, il
legislatore impone al GUP di non perseguire l’indagato. Da notare il terzo comma, che, chiude un po' il
cerchio in materia di funzione-filtro dell’udienza preliminare che sancisce il non luogo a procedere tutte le
volte che gli elementi raccolti non siano in grado di sostenere l’accusa in giudizio.
La sentenza di non luogo a procedere è una sentenza di rito, in quanto decide solo se il processo deve
andare avanti o meno, ma viene fatta anche una valutazione sul merito, ma questo merito vale solo per
poter misurare la consistenza del quadro probatorio. Tant’è che il rinvio a giudizio non è una sentenza di
colpevolezza. Questo è il motivo fondamentale per il quale questa sentenza possa essere revocata, cosa che
non sarebbe possibile se questa sentenza fosse una sentenza di merito, per il principio del ne bis in idem
(non due volte per la medesima cosa). Se il quadro probatorio mutasse si potrebbe revocare la sentenza di
non luogo a procedere e quindi procedere nuovamente.
La revoca è chiesta dal PM al Giudice delle Indagini Preliminari nel momento in cui abbia nuovi elementi
probatori che gli fanno ritenere possibile esercitare l’azione penale (es. elementi ricavati da altri
procedimenti penali), oppure quando il PM pensa di potere avere delle nuove prove, che al momento però
non ha ancora raccolto e che quindi chiederà di poter fare nuove indagini, quindi una revoca finalizzata
all’apertura di nuove indagini preliminari e così avremo la d'iscrizione nel registro delle notizie di reato e
l’apertura della fase investigativa che terminerà con l’archiviazione oppure l’udienza preliminare.
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29 – LA FORMAZIONE DEL FASCICOLO DEL DIBATTIMENTO
Nell’ipotesi in cui venga emesso il decreto di rinvio a giudizio, viene fatto un ulteriore adempimento, ovvero
la formazione del fascicolo del dibattimento, il fascicolo che prenderà in esame il giudice per formulare il
suo giudizio . Quindi viene formato all’udienza preliminare e lo forma il GUP nel contraddittorio delle parti;
se una delle parti ne fa richiesta, il GUP può rinviare il tutto a una nuova udienza non oltre il termine di
quindici giorni.
I documenti ammessi nel fascicolo del dibattimento sono disciplinati dall’Art. 431 CPP e sono:
 gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale ed all'esercizio dell'azione civile (es.la querela);
 i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria(es. perquisizione, sequestri,
accertamenti tecnici urgenti,intercettazioni, ispezioni,ecc..);
 i verbali non ripetibili compiuti dal PM e dal difensore
 i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili
assunti con le stesse modalità;
 i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio;
 i verbali degli atti assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono
stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana;
 il certificato generale del casellario giudiziale e gli altri documenti relativi al giudizio sulla
personalità dell'imputato, dell'offeso e dei testimoni (art. 236);
 il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custodite altrove.
 gli atti del fascicolo del PM o della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva
concordati dalle parti (PM e imputato).
La ratio della scelta di quali documenti debbano essere inseriti nel fascicolo del dibattimento è senza
dubbio il principio del contraddittorio nella formazione della prova, con le eccezioni previste dall’Art. 111
Cost. (impossibilità oggettiva, consenso dell’imputato) Di conseguenza, gli atti di indagine, ovvero quegli
atti formati in segretezza, senza contraddittorio, fatti con la presenza del difensore solo in veste di garanzia,
vanno collocati nel fascicolo delle parti e successivamente attraverso il contraddittorio davanti al giudice
potranno transitare nel fascicolo del dibattimento.
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30 – IL GIUDIZIO –INTRODUZIONE
La fase del giudizio è ripartita in tre momenti:
1. atti preliminari al dibattimento;
2. dibattimento;
3. la sentenza.
La fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice
competente riceve il decreto che dispone il giudizio ed il fascicolo per il dibattimento, termina nel
momento in cui, in udienza, il presidente dell'organo giudicante dichiara aperto il dibattimento.
Questo è una fase statica, si svolgono attività preparatorie alle udienze che verranno celebrate, vedremo
che dovranno essere depositate le liste testimoniali, verranno acquisite delle prove urgenti, una sorta di
incidente probatorio, una acquisizione della prova con udienze straordinarie. In questa fase vedremo che si
potrà emettere una sentenza detta pre-dibattimentale che può chiudere il procedimento senza che si apra
il giudizio vero e proprio; si tratta di una sentenza in cui emerge l’estinzione del reato, o una mancanza di
procedibilitá per cui viene emessa queste sentenza di rito.
Successivamente avremo la fase del dibattimento vero e proprio e questa fase è divisa in tre sotto fasi,
abbiamo la fase degli atti introduttivi dove vengono svolte attività strumentali all’acquisizione della prova,
ovvero la costituzione delle parti, se tutti sono stati avvertiti, se le parti sono presenti, provvedimenti in
caso di assenza dell’imputato,ecc..Vengono risolte una serie di questioni di carattere procedurali, in modo
da non doverne più parlare. Sempre in questa fase introduttiva vengono ammesse le prove.
Nella fase centrale abbiamo l’istruzione della fase dibattimentale vera e propria, le prove entrano, si
formano e si acquisiscono e infine vi è la fase della discussione con le richieste della parti e a questo punto
il dibattimento si chiude e si entra nell’ultima fase che è quella della sentenza.
Il primo principio del giudizio è la pubblicità. Il processo è pubblico e tutti possono assistervi. In alcuni casi
particolari può essere tenuto a porte chiuse per tutelare soggetti deboli (bambini) oppure per motivi di
ordine pubblico.
Il principio della concentrazione. Esso impone che non vi siano intervalli di tempo tra l'assunzione delle
prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza:

per quanto concerne lo svolgersi del dibattimento il principio della concentrazione è posto dall'art.
477.1: "quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il
presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo";

per quanto concerne il rapporto tra l'assunzione della prova e la deliberazione l'art. 525.1 dispone
che "la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento".
Il principio di oralità. Per "oralità" può intendersi la forma verbale di comunicazione del pensiero
consistente nella pronuncia di parole destinate ad essere udite. Ciò che è espresso oralmente può essere
oggetto di documentazione; essa comprende sia i verbali o le dichiarazioni scritte sia altri mezzi di
documentazione. L'oralità è la regola che il codice di procedura penale accoglie per le dichiarazioni.
Il principio dispositivo. Le prove sono ammesse su richiesta di parte.
Il principio del contraddittorio della prova. Principio che governa la fase dibattimentale.
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Il principio della correlazione tra accuse e sentenza. Questo principio governa la fase decisoria e stabilisce
che il giudice può condannare solo quando ritenga che tutti i fatti descritti nell’accusa sia convinto che
siano avvenuti.
Il principio di immediatezza. Tale principio comporta un rapporto privo di intermediazione tra
l'acquisizione delle prove e la decisione dibattimentale; da esso derivano due corollari:

l'identità tra il giudice che assiste alla assunzione delle prove in dibattimento e quello che decide
(posto dall'articolo 525.2)

la decisione basata su prove legittimamente acquisite in dibattimento (ex art. 526)
Il principio del libero convincimento del giudice.
31 – L’AMMISSIONE DELLA PROVA
Il principio fondamentale che regola la fase dell’ammissione della prova è il principio dispositivo (il diritto
alla prova), ovvero nel processo penale le prove sono ammesse su richiesta delle parti, le quali hanno il
diritto di di vedere ammesse le loro prove e il giudice ha il dovere di ammetterle, fermo restando che tali
prove non siano vietate dalla legge, superflue o inutili.
Il passaggio dal Codice Rocco è notevole se pensiamo che nel Codice Rocco le prove erano selezionate
discrezionalmente dal giudice; le parti potevano chiedere l’ammissione, ma il monopolio della selezione
spettava solo ed esclusivamente al giudice.
Nella fase preliminare, il momento in cui inizia l’ammissione della prova va individuato nella fase degli atti
preliminari al dibattimento (fase statica compresa fra il decreto del rinvio a giudizio e l’udienza
dibattimentale).
A tale scopo, ogni parte ha l'onere, di depositare presso la cancelleria del giudice del dibattimento, almeno
7 giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con l'indicazione dei nomi dei testimoni, dei
periti, ecc.. che vogliono sentire (prove dichiarative). Pertanto viene svelato quali sono i testimoni,
consulenti tecnici, periti e imputati connessi e collegati, dei quali una parte intende chiedere l'ammissione
in dibattimento.
Il termine dei sette giorni è molto importante perché comporta la pena della decadenza, (invalidità
processuale tipica delle domande = se le prove verranno richieste al di fuori di tale termine il giudice dovrà
dichiararle inammissibili). Questo però non preclude in assoluto la possibilità di recuperare queste prove,
perché esse potranno essere acquisite d’ufficio alla conclusione dell’istruzione dibattimentale dal giudice in
virtù del suo potere probatorio. Queste vuol dire che se le parti non osservano il termine dei sette giorni,
perdono il diritto all’acquisizione della prova, però non perdono la possibilità di acquisirle attraverso il
potere probatorio del giudice che però non sarà più obbligato ad acquisirle, ma sarà solo per sua scelta.
La funzione più importante delle liste è quella di mettere in grado ciascuna delle parti di esercitare il
proprio diritto all'ammissione della prova contraria: infatti, in relazione alle circostanze indicate nelle liste,
ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati
connessi o collegati "non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento per screditare la
tesi avversaria.
Chiaramente là presentazioni di queste prove contrarie non potrà osservare gli stessi tempi per le liste che
dicevamo poc’anzi, perché il presupposto per poterle articolare si basa proprio sulla presentazione delle
prove che si vuole andare a inficiare. Pertanto la richiesta di ammissione delle prove contrarie potrà essere
presentata dal momento in cui saranno depositate le liste e la data dell’udienza dedicata all’ammissione
delle prove.
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Il giudice rispetto alle liste e alle prove contrarie, potrebbe emettere un provvedimento pre-ammissivo,
perché il giudice potrebbe fare una valutazione sommaria della validità della prova finalizzata in qualche
modo ad anticipare la convocazione di questi testimoni, in maniera tale da accorciare i tempi e quindi c’
una prima calendarizzazione degli esami testimoniali.
La fase ammissiva avviene nel momento in cui cominciano le udienze dibattimentali e si colloca nella fase
degli atti introduttivi, dopo la questione degli affari preliminari (costituzione delle parti, competenza per
territorio, competenza per connessione, ecc..) si procederà alla fase ammissiva vera e propria. A questo
punto le parti dovranno formulare le loro richieste di prove. In prima battuta dovranno ribadire le richieste
che hanno già fatto (deposito liste-prove dichiarative), dopodiché dovranno chiedere l’ammissione delle
prove che non andavano depositate, ovvero le prove documentali (ammissione del contratto, documenti di
bilancio,ecc..). Sempre in questa fase, le parti potranno richiedere l’ammissione di prove che non hanno
potuto depositare attraverso le liste; questo impedimento deve essere dimostrato. Possiamo affermare che
c'è una sorta di rimissione in termini delle prove dichiarative. Ma non solo, ora avendo il quadro probatorio
completo, le parti potranno richiedere l’ammissione di ulteriori prove contrarie.
A seguito di tutto ciò, il giudice emetterà il provvedimento ammissivo definitivo, dove farà una selezione
(esclusione delle irrilevanti,superflue, vietate dalla legge) delle prove presentate e indicherà quali saranno
le prove che potranno entrare nel dibattimento. La selezione non potrà essere applicata alle prove
contrarie,perché esse vanno di pari passo con le prove “ordinarie”, se la prova “ordinaria”è ammessa, la
prova contraria deve essere ammessa per forza, se la prova “ordinaria” non viene ammessa, anche la prova
contraria non sarà ammessa. Questo peso rafforzato della prova contraria si spiega con il fatto che le tesi
portate in dibattimento devono reggere la falsificazione che senza prova contraria verrebbe a mancare.
Il provvedimento ammissivo che emette il giudice non è un provvedimento definitivo, ma il giudice
potrebbe revocare sia delle prove che prima aveva giudicato ammissibili sia ammettere prove che prima
non aveva ammesso. Questo perché durante il dibattimento si potrebbero scoprire situazioni che non
erano state considerate prima. Pensiamo a una prova giudicata superflua nella fase ammissiva (es. 10
testimoni di un fatto di cui vengono ammessi solo tre, ma queste tre testimonianze si contraddicono una
con l’altra) il giudice ordinerà l’ammissione di qualche altra testimonianza.
32 – LE LETTURE –I (CONTESTAZIONI AL TESTIMONE)
La lettura degli atti nella fase del dibattimento è disciplinata diversamente se la lettura riguardi gli atti
compresi nel fascicolo delle parti oppure gli atti compresi nel fascicolo del dibattimento.
Ora vediamo in quali casi eccezionali gli atti contenuti nel fascicolo delle parti possono essere letti in
dibattimento. La prima ipotesi viene dall’Art. 500 CPP che regola la contestazione della testimonianza.
Infatti potrebbe accadere che il testimone renda dichiarazioni difformi da quanto dichiarato durante la fase
delle indagini preliminari e di questa difformità possono rendersene conto solo le parti, in quanto il giudice
non è a conoscenza di questi atti.
In questa situazione, le parti possono eccepire e fare la contestazione, ovvero possono segnalare
immediatamente al giudice che il testimone ha reso dichiarazioni difformi e chiede il consenso ad
effettuare la lettura delle dichiarazioni rese dal testimone precedentemente e il giudice autorizza tale
lettura e al teste sarà chiesto il motivo della difformità evidenziata. La contestazione ha un significato
fondamentale, perché indica al giudice l’attendibilità di quel teste. Nonostante la difformità, la
precedente versione di cui si dà lettura, non potrà comunque entrare nelle prove, ma serve solo a formare
il libero convincimento al giudice.
Anche l’Art. 500 era stato oggetto del confronto tra legislatore e Corte di Cassazione quando ancora il
principio del contraddittorio della formazione della prova e del giusto processo non erano ancora stati
elevati al rango costituzionale e infatti la C.C. aveva stabilito che le contestazioni, per il principio della non
dispersione della prova, entravano tra le prove e quindi le sommarie informazioni, attraverso le
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contestazioni, entravano nel fascicolo del dibattimento, nonostante la sua formazione sia stata fatta nelle
indagini preliminari e non durante il dibattimento.
Art. 500 CPP:“ 1. Fermi i divieti di lettura [514] e di allegazione [515], le parti, per contestare in tutto o in
parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone
[351, 362, 422] e contenute nel fascicolo del pubblico ministero [433]. Tale facoltà può essere esercitata solo
se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto 2. Le dichiarazioni lette per la
contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.3. Se il teste rifiuta di sottoporsi
all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il
suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali eventualmente applicabili
al dichiarante. 4.Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per
ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra
utilità, affinchè non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste
dal comma 3 possono essere utilizzate 5. Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo,
svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti
per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra
utilità.6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite al
fascicolo del dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato
alla loro assunzione, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo (5). Fuori dal
caso previsto dal periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4 e 5. 7. Fuori dai casi di
cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero
precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento”
L’art. 111.5 Cost.“...La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per
consenso dell'imputato o per accertare impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita....” prevede casi in cui ci siano deroghe al principio del contraddittorio della formazione della prova,
ebbene nell’Art. 500 sono previste queste deroghe, sono regolati dei casi in cui eccezionalmente la lettura
della sommaria informazione possa valere come prova a tutti gli effetti. Il caso più importante è il caso di
provata condotta illecita. Infatti se il motivo di dichiarazioni difformi non sia un mutamento spontaneo, ma
possa essere il fatto che il teste possa essere stato minacciato o corrotto, la contestazione può essere
acquisita al fascicolo del dibattimento e utilizzata a tutti gli effetti, perché c’è stata una condotta illecita
come indicato nel 111 Cost.
Potrebbe essere anche che il testimone non decida di rispondere nel dibattimento, pur sapendo di
commettere reato e anche qui se si scopre che il silenzio sia frutto di minaccia o corruzione, la parte solleva
un’eccezione e chiede al giudice di dare lettura delle sommarie informazioni che a quel punto entrano nel
fascicolo dibattimentale.
L’Art. 500 prevede anche un ulteriore deroga, nel senso che le parti, una volta che avviene la contestazione,
ci può essere un accordo e chiedere che tale contestazione possa essere acquisita come prova, in forza
sempre del 111.5 Cost.”consenso dell’imputato” anche se qui serve il consenso delle parti e quindi che del
PM.
Infine la terza ipotesi si concretizza quando il testimone abbia reso dichiarazioni durante l’udienza
preliminare, in quel supplemento probatorio che può avvenire su invito del giudice alle parti o su
acquisizione diretta del giudice durante l'udienza, ebbene se la contestazione avviene su dichiarazioni rese
durante l’udienza preliminare, quindi in una situazione di contraddittorio, la parte può chiedere l’uso delle
dichiarazioni rese in udienza preliminare nel dibattimento.
33 – LE LETTURE II – (LETTURA ATTI CONTENUTI NEL FASCICOLO DELLE PARTI).
Le letture che riguardano l’esame della parte sono disciplinate dagli Artt. 503 e 513 CPP
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Art 503 CPP – Esame delle parti private. 1. Il presidente dispone l'esame delle parti che ne abbiano fatto
richiesta o che vi abbiano consentito, secondo il seguente ordine: parte civile, responsabile civile, persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato.
2. L'esame si svolge nei modi previsti dagli articoli 498 e 499. Ha inizio con le domande del difensore o del
pubblico ministero che l'ha chiesto e prosegue con le domande, secondo i casi, del pubblico ministero e dei
difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria,
del coimputato e dell'imputato. Quindi, chi ha iniziato l'esame può rivolgere nuove domande.
3. Fermi i divieti di lettura [514] e di allegazione [515], il pubblico ministero e i difensori, per contestare in
tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese
dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata
solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto [500 2].
4. Si applica la disposizione dell'articolo 500 comma 2.
5. Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla
polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero [350, 351 1 b i s, 370] sono acquisite nel fascicolo per il
dibattimento [431], se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3 (4).
6. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma degli articoli 294,
299, comma 3ter, 391 e 422.
Art. 513 CPP – Lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o
nell’udienza preliminare. 1. Il giudice, se l'imputato è assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone,
a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero
o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o
nell'udienza preliminare, ma tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro
consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 500, comma 4.
2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210, comma 1, il giudice, a richiesta
di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la
rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del
contraddittorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno
dei modi suddetti, si applica la disposizione dell'articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o
circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora il dichiarante si avvalga della facoltà di non
rispondere, il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con
l'accordo delle parti.
3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state assunte ai sensi dell'articolo 392,
si applicano le disposizioni di cui all'articolo 511.
Anche l’imputato, come il testimone, può cambiare versione, rispetto alla precedente eventualmente resa,
sebbene è utile ricordare che per il diritto di difesa è al diritto al silenzio,l’imputato, a differenza del
testimone, non è obbligato a rendere dichiarazioni.
La prima ipotesi è analoga a quanto accadeva con il testimone, ovvero nel caso di dichiarazioni diverse da
quelle rese in sede di interrogatorio o esame della parte in udienza preliminare, la parte formulerà
l’eccezione e farà la contestazione con la lettura di quanto dichiarato precedentemente. Anche in questo
caso, la contestazione varrà per la valutazione della credibilità dell’imputato, anche se è bene ricordarsi che
l’imputato non è vincolato alla verità. Ma non solo, perché l’imputato, nel momento dell’interrogatorio o
dell’udienza preliminare è stato edotto dei famosi tre avvertimenti, uno dei quali recita che tutto quello che
dirà potrà essere usato contro di lui. Ebbene, in virtù di questo avvertimento, la nuova versione delle
dichiarazioni e quelle precedentemente rese, lette nella contestazione, finiranno entrambe nel fascicolo
dibattimentale: la prima in virtù dell’esame della parte nel dibattimento e la seconda in funzione
dell’avvertimento reso ai sensi dell’Art. 64 CPP. Pertanto il giudice si troverà davanti alla possibilità di poter
utilizzare una o l’altra per formare la sua decisione.
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Altro caso, disciplinato dall’Art. 513 CPP è quando le parti, in una situazione in cui l’imputato è assente, o
rifiuta di sottoporsi all’esame, chiedano al giudice di poter dare lettura delle dichiarazioni rese durante le
indagini preliminari o in sede di udienza preliminare. Ebbene qui il giudice dispone la lettura delle
dichiarazioni e si darà lettura di tutte le dichiarazioni,non solo di una parte, come avviene per le
contestazioni, e quindi queste dichiarazioni entreranno nel fascicolo del dibattimento, sempre in virtù
dell’avvertimento reso durante l’interrogatorio in cui si dice che tutto quello dichiarato può essere usato
contro l’imputato.
Il discorso dell’impiego processuale di queste dichiarazioni si complica rispetto al problema della chiamata
in correità/reità. Succede che durante l’interrogatorio l’imputato può aver fornito dichiarazioni in merito a
responsabilità altrui e qui si pone il problema dell’utilizzo di queste dichiarazioni accusatorie, in quanto per
il principio della formazione della prova, le prove accusatorie devono formarsi nel dibattimento e il
dichiarante dovrebbe farsi contro-interrogare. Pertanto, nel momento in cui un imputato fornisca una
versione diversa, oppure sia assente o comunque non voglia sottoporsi all’esame, la lettura e quindi
l’acquisizione di quanto dichiarato precedentemente sarà valida come prova, solo ed esclusivamente per
chi ha rilasciato tali dichiarazioni. A nulla varranno nei confronti di terzi, salvo le deroghe Costituzionali
previste per la formazione della prova nel contraddittorio, ovvero quando si accerti che l’imputato sia
assente o rifiuti l’esame perché è minacciato (condotta illecita).
Quindi la lettura degli atti vale solo ed esclusivamente per chi ha reso le dichiarazioni, in quanto non
rispondendo, per assenza o rifiuto, si sottrae all’esame della cross examination e quindi viene meno la
formazione della prova tramite il contraddittorio. Eccezione è fatta per le deroghe a tale principio
costituzionale, ovvero condotta illecita, accordo tra le parti e impossibilità oggettiva.
Ultimo caso riguarda la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità disciplinata dall’Art. 512 CPP.
Art. 512 CPP – Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. 1. Il giudice, a richiesta di parte,
dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero dai difensori
delle parti private e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare [422] quando, per fatti o circostanze
imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.
1-bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli
atti di cui all'articolo 240.
Può succedere che per un evento imprevedibile sopravvenuto diventi impossibile escutere un dichiarante e
in questo caso le parti possono sollevare un’eccezione e chiedere al giudice di dare lettura del verbale delle
dichiarazioni. Anche questo verbale passerà quindi dal fascicolo delle parti al fascicolo del dibattimento e
diverrà prova a tutti gli effetti. La condizione fondamentale è che si deva trattare di una impossibilità
imprevedibile, questo perché se fosse stata prevedibile la condizione di non ripetibilità, le parti avrebbero
dovuto chiedere l’incidente probatorio, salvaguardando il principio della formazione della prova in
contraddittorio.
34 – LE LETTURE – III (LETTURE ATTI FASCICOLO DEL DIBATTIMENTO)
Quando parliamo di lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, non ci poniamo il problema
di trasferimento da quello delle parti , ma facciamo riferimento a quegli atti che sono stati inseriti tra quelli
del dibattimento, nel momento in cui sono stati formati. Infatti alla conclusione delle indagini preliminari
ricordiamo che nel caso sia stato emesso il decreto di rinvio a giudizio e quindi aperta la fase del giudizio
vero e proprio, vi è una coda dell’udienza nella quale le parti decidono insieme quali atti devono essere
contenuti nel fascicolo del dibattimento. Tra questi atti troviamo la documentazione relativa all’imputato,
le condizioni di procedibilitá, nonché una serie di atti investigativi già compiuti, gli atti irripetibili eseguiti
all’estero, quelli acquisiti tramite rogatoria, ecc..
È chiaro che nel dibattimento vi debba essere un momento in cui sia data lettura di questi atti e si dice che
questa lettura abbia funzione di contraddittorio argomentativo, cioè serve alla parti per argomentare le
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loro conclusioni, le loro tesi. In questa sede possono essere fatte osservazioni sull’utilizzabilità di dette
prove, interpretazione di intercettazioni telefoniche,ecc..
In giurisprudenza si è aperta una disputa sul fatto di considerare acquisito questo tipo di atti nel momento
in cui vengono ammessi nel fascicolo del dibattimento (Art. 431 CPP al termine del rinvio a giudizio) oppure
proprio a seguito di questa lettura effettuata in fase di dibattimento. Ebbene, la giurisprudenza non è
riuscita a venirne a capo completamente e quindi si rifà un po' a quanto contenuto all’Art. 511 CPP.
Art. 511 CPP – LETTURE CONSENTITE. Il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura, integrale o
parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento [431].
2. La lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che
l'esame non abbia luogo [238, 511bis].
3. La lettura della relazione peritale è disposta solo dopo l'esame del perito.
4. La lettura dei verbali delle dichiarazioni orali di querela [336-340] o di istanza[341] è consentita ai soli fini
dell'accertamento della esistenza della condizione di procedibilità [431 lett. a].
5. In luogo della lettura, il giudice, anche di ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della
decisione [526]. L'indicazione degli atti equivale alla loro lettura. Il giudice dispone tuttavia la lettura,
integrale o parziale, quando si tratta di verbali di dichiarazioni e una parte ne fa richiesta [238]. Se si tratta di
altri atti, il giudice è vincolato alla richiesta di lettura solo nel caso di un serio disaccordo sul contenuto di
essi.
6. La facoltà di chiedere la lettura o l'indicazione degli atti, prevista dai commi 1 e 5, è attribuita anche agli
enti e alle associazioni intervenuti a norma dell'articolo 93.
In primo luogo se le letture si riferiscono ad atti dichiarativi, la lettura può essere data solo dopo
l’escussione del dichiarante che ha reso quella discussione (es. perizie: prima viene escusso il perito e dopo
si può dare lettura della perizia).
Non è necessaria la lettura integrale di tutti i verbali da parte del giudice, ma può essere assolta tramite la
sola indicazione del giudice. Questo perché sarebbe impensabile di dare lettura di migliaia di pagine di
intercettazioni telefoniche durante il dibattimento, paralizzerebbe tutto il sistema. Tuttavia il giudice
dispone la lettura integrale soltanto in due casi: nel caso di atti dichiarativi quando una parte ne faccia
richiesta, mentre per gli atti non dichiarativi la lettura è disposta solo nel caso in cui ci sia contrasto su
quanto indicato.
I giudici di merito, di fronte all’incertezza dovuta alla contesa giurisprudenziale sul momento
dell’acquisizione di questi atti, dichiarano che tutti gli atti siano stati letti, attraverso la loro indicazione. È
una sorta di clausola salva processo per evitare che qualche atto non venga ritenuto acquisito in quanto
non letto durante il dibattimento.
35 – L’AMMISSIONE DELLA PROVA D’ UFFICIO (25)
Sebbene che con il provvedimento del giudice, la fase di ammissione della prova è da considerarsi conclusa,
va anche sottolineato che c’è uno strascico di questa fase, che va collocato temporalmente alla chiusura
dell’istruzione dibattimentale. Dopo il provvedimento di ammissione del giudice si passa alla fase
dell’acquisizione delle prove vera e propria, cioè all’escussione dei testi. Ebbene, chiusa questa fase di
discussione dei testi, il codice colloca una finestra dove è possibile per il giudice ammettere delle prove
d’ufficio. Queste prove possono essere sollecitate dalle parti, ma la decisione spetta solo ed esclusivamente
al giudice. Quindi abbiamo una deroga al principio dispositivo una deroga al diritto alla prova, perché le
prove che vengono ammesse in questa fase sono prove che vengono scelte, volute e introdotte dal giudice.
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Questo deroga al principio dispositivo si giustifica, in un sistema accusatorio, in quanto tutela
l’indisponibilità dell’azione penale, ovvero evita che le parti possano raggiungere un accordo sottobanco
inoltre salvaguarda i principi di uguaglianza e di legalità che hanno come fine primario la ricerca della verità.
Art. 507 CPP – Ammissione di nuove prove. 1. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta
assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove [190 2, 509].
1 bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti
acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3.
Il giudice può indicare questa nuove prove solo partendo dagli atti in suo possesso, ovvero contenuti nel
fascicolo dibattimentale.
Il giudice durante l’esame dei testi, può indicare alle parti domande in merito a temi nuovi emersi in sede di
esame delle prove. Deroga al monopolio delle parti, ma resta fondamentale che tali temi nuovi siano
emersi nella fase del dibattimento e non indicati da un convincimento del giudice.
A fianco a questa possibilità del giudice di acquisire prove d’ufficio stabilito dall’Art. 507, Ci sono casi tipici
in cui il giudice può ordinare l'acquisizione della prova d’ufficio come per esempio nella testimonianza
indiretta ordina d’ufficio l’esame della fonte anche senza richiesta delle parti, oppure la perizia può essere
sempre disposta d’ufficio dal giudice. Queste sono tutte ipotesi tassative, ovvero stabilite dalla Legge.
36 – IL PRINCIPIO DI CORRELAZIONE FRA IMPUTAZIONE E SENTENZA E LE NUOVE CONTESTAZIONI
Il principio di correlazione fra imputazione e sentenza è un principio fondamentale, perché permette di
fare in modo che il processo abbia un determinato oggetto, su quell’oggetto dovremo discutere, sempre su
quell’oggetto un giudice terzo e imparziale si dovrà pronunciare, fermo restando che se quel fatto storico
contenga qualcosa di diverso, qualcosa in più, per quei fatti diversi non ci si potrà pronunciare, ma si dovrà
celebrare un ulteriore processo. Per questo motivo il sistema ha concepito un meccanismo, attraverso cui è
possibile durante lo svolgimento del dibattimento, portare correzione all’imputazione attraverso le nuove
contestazioni, in maniera tale che sia garantito il diritto di difesa su queste nuove contestazioni.
Le varie possibilità che ci possiamo trovare ad affrontare e sono:
 Le modifiche attinenti al fatto storico: il fatto diverso. in primo luogo il fatto storico può risultare
"diverso" da quello contestato (art. 516), nel senso che risultano modificate le modalità del fatto di
reato, ma la condotta e l’oggetto fisico sul quale ricade il fatto rimangono gli stessi.
Se ho un processo per omicidio è chiaro che la condotta,il cagionare la morte deve essere la
stessa e l’oggetto fisico, ovvero la persona uccisa, deve essere la stessa, però potrò correggere
tutte le circostanze che girano intorno a questi due punti fermi. Posso correggere l’elemento
psicologico, l’arma con cui è avvenuto il fatto, l’ora del delitto,ecc.. (Es. corruzione diventa
concussione). Si spiega con l’irretrattabilità dell’azione penale.
In questi casi il PM provvede direttamente in dibattimento a modificare l'imputazione e a
contestarla direttamente all'imputato (non al suo difensore), se il reato non appartiene alla
competenza di un giudice superiore. L'imputato ha diritto che il dibattimento venga sospeso (per
un tempo non < a 20 giorni) e ha anche la facoltà di chiedere l'ammissione di nuove prove.
 La contestazione suppletiva. In secondo luogo nel corso dell'istruzione dibattimentale può risultare
l'esistenza di una circostanza aggravante( art. 517) oppure il compimento di un reato connesso ai
sensi dell'art. 12.1 lett. b (concorso formale o reato continuato).
In questa ipotesi il PM contesta all'imputato il reato concorrente, purché la cognizione non
appartenga alla competenza di un giudice superiore; anche in questi casi l'imputato ha diritto ad
ottenere la sospensione del dibattimento e l'ammissione di nuove prove.
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Nel caso di nuove contestazioni relative agli articoli (516 e 517) all’imputato contumace o
assente il PM chiede al Presidente che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e
che il verbale sia notificato per estratto all’imputato. Il Presidente sospende il dibattimento e
fissa una nuova udienza.
 Il fatto nuovo. Infine nel corso del dibattimento può risultare a carico dell'imputato un "fatto nuovo
non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere d'ufficio". Ad
esempio, nell’accertare una rapina risultano elementi anche di una estorsione. Affinché si possa
procedere alla contestazione del fatto nuovo è necessario che :
l'imputato sia presente (con il suo difensore) e consenta alla contestazione; il presidente deve
accertare che da tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del procedimento.
L’imputato ha diritto ad ottenere la sospensione del dibattimento e l'ammissione di nuove prove.
In mancanza di queste condizioni, il PM procede nelle forme ordinarie e cioè svolge le indagini ed
esercita l'azione penale per il fatto nuovo.
La disciplina differente tra il fatto nuovo, dove l’imputato può scegliere se consentire alla contestazione o
meno e gli altri due casi, ovvero il fatto diverso e la contestazione suppletiva, dove l’imputato subisce la
decisione, è da ricercare nel principio del ne bis idem. Infatti, secondo questo principio, nel momento in cui
nel dibattimento emerge che l’imputazione andrebbe corretta perché, per come è stata descritta non
corrisponde a quanto accaduto nella realtà e considerato il principio fra accusa e sentenza esplicativo del
diritto di difesa e del diritto di terzietá del giudice, il giudice può condannare solo sui fatti che sono stati
contestati all’imputato, pertanto se non ci fosse la possibilità di fare questi aggiustamenti, il giudice non
potrebbe far altro che assolvere l’imputato e questa sentenza non permetterebbe di celebrare un nuovo
processo in virtù del principio del ne bis idem, in quanto il fatto, seppur diverso, ha medesima condotta e
oggetto fisico.
Tuttavia è possibile correggere l’imputazione nei limiti in cui il fatto sia diverso o ci siano delle circostanze,
quindi il fatto è il medesimo anche se sono descritti diversamente gli elementi non fondamentali, cioè la
condotta e l’oggetto fisico su cui cade la condotta. È possibile aggiungere un nuovo reato se è connesso con
quello precedente a patto che sia accettato anche dall’imputato, ma non posso sostituire il reato
precedente con il nuovo reato.
L’elusione di questa disciplina porta all’invalidità. L'inosservanza delle disposizioni a tutela della
correlazione tra accusa e sentenza è causa di nullità (art. 522.1); ai sensi dell'art. 522 co. 2 "la sentenza di
condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante
senza che siano state osservate le predette disposizioni è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo,
al reato concorrente o alla circostanza aggravante".
Le modifiche attinenti alla definizione giuridica. Il giudice al momento della deliberazione della sentenza
può rilevare che il fatto storico, accertato nel corso del dibattimento, è identico a quello contestato, ma
che il titolo del reato risulta diverso da quello contenuto nell’imputazione.
In tal caso il giudice nella sentenza dà al fatto la diversa definizione giuridica, purché il fatto non ecceda la
sua competenza né in termini di composizione (collegiale anziché monocratica). Seppur considerato il
monopolista del diritto, è stato imposto al giudice, da una sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo, il
contraddittorio anche per il cambio del nome iuris del titolo del reato
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.
37 – IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA- IDENTITÀ DEL GIUDICE
Il primo principio che regola la fase della decisione del giudice è quello della immediatezza – identità del
giudice.
Il principio di immediatezza non ci dice solo che il processo deve essere celebrato con continuità,
celermente, ma ci dice anche che il giudice che deve andare in camera di consiglio deve essere il medesimo
che avrà assunto le prove. Quindi immediatezza come identità del giudice che abbia vissuto tutte le fasi del
dibattimento.
Art. 525 CPP – Immediatezza della deliberazione.1. La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del
dibattimento.2. Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta [179], gli stessi giudici che hanno
partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei
titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati.
3. Salvo quanto previsto dall'articolo 528, la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta
impossibilità. La sospensione è disposta dal presidente con ordinanza.
Questo principio è colpito da una nullità assoluta di carattere speciale. La sanzione, estremamente grave, si
giustifica per una questione fondamentale, perché è prevista a tutela e al presidio del principio di oralità
della formazione nel contraddittorio alla formazione della prova.
La sanzione della nullità non scatta se la sostituzione riguarda un giudice che ha assistito alla sola
assunzione delle prove, ma solo nel caso in cui il giudice che ha partecipato alla formazione della prova
non sia lo stesso che poi effettuerà la decisione.
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Questa norma si è andata a scontrare con situazioni pratiche, come per esempio l’allontanamento del
giudice per maternità, ovvero per grave malattia, oppure per trasferimenti di carriera. Di conseguenza
questa norma impone la ricelebrazione di tutta la fase del dibattimento, con conseguente tangente
pericolo di prescrizione.
Per venire a capo di questa situazione, la Corte di Cassazione, cercando di voler salvaguardare da una parte
il principio dell’oralità della formazione della prova e dall’altra evitare che i processi potessero andare
incontro alla prescrizione, affermava che in queste situazioni non fosse necessario riacquisire la prova, ma
bastasse che il nuovo giudice desse lettura in dibattimento di tutti quegli atti fino ad allora acquisiti alla
presenza dell’altro giudice, dando vita a un contraddittorio di tipo argomentativo.
A fronte di questa interpretazione fatta dalla C.C., sono intervenute le sezioni unite e con una sentenza
storica, criticata dalla Giurisprudenza, ma ben vista dalla dottrina, si è ritenuto che questa prassi non
poteva considerarsi come equivalente a una riacquisizione della prova. Nella fattispecie stabilisce che nel
caso una delle parti richieda la riacquisizione delle prove attraverso il contraddittorio, il nuovo giudice
debba procedere di nuovo al dibattimento. Nel caso in cui, invece le parti non lo richiedano, è ammesso che
il nuovo giudice possa acquisire le prove già formate, dandone lettura in sede di dibattimento.
Questo principio di immediatezza – identità del giudice, non è assoluto, vi sono delle deroghe. La più
importante è quella prevista all’Art. 190 bis del CPP, dove è previsto che per i reati più gravi, è previsto che
anche nel caso in cui ci fosse una sostituzione del giudice, le prove non vadano riacquisite. Questa deroga
non riguarda solo le prove acquisite in dibattimento, ma anche dichiarazioni rese durante l’incidente
probatorio e documenti acquisiti da altri procedimenti penali.
Questa deroga è per evitare il cosiddetto annacquamento della prova, per quanto i reati più gravi e per
evitare un’altra esperienza di testimonianza alle vittime di prostituzione minorile.
Art. 190 bis Requisiti della prova in casi particolari. 1. Nei procedimenti per taluno dei delitti indicati
nell'articolo 51, comma 3bis, quando è richiesto l'esame di un testimone o di una delle persone indicate
nell'articolo 210 e queste hanno già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio [392 ss.] o in
dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno
utilizzate ovvero dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a norma dell'articolo 238 [511bis], l'esame è
ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero
se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. 1bis. La stessa
disposizione si applica quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600bis, primo comma,
600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater 1 (3),
600quinquies, 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies e 609octies del codice penale, se l'esame richiesto
riguarda un testimone minore degli anni sedici.
38 – LE DECISIONI (INTRODUZIONE)
Terminato il dibattimento, il giudice si ritira in camera di consiglio, dove prenderà una decisione, il codi
setto dispositivo,e sarà immediato, mentre per le motivazioni che riguardano questa sentenza i tempi sono
più lunghi e possono essere anche prorogati.
La decisione che conclude il dibattimento è una sentenza il cui autore è necessariamente il giudice. Tutto
l’insieme delle disposizioni Costituzionali e statuali, sono finalizzate a questo momento fondamentale; il
giudice terzo e imparziale è l’unico autore delle sentenze che possono emesse al termine di un processo.
Di contro, una sentenza implica sempre una domanda e nel processo penale è l’imputazione formulata dal
PM e quindi il si vedrà se il giudice accoglierà o meno questa domanda attraverso la sentenza. La funzione
decisoria del giudice viene esplicata attraverso diversi atti:possono essere ordinanze, decreti o sentenze ed
è la legge a dettare quando deve usare uno strumento piuttosto che un altro. La regola generale è che il
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dibattimento si concluda con una decisione sotto forma di sentenza. Vi è poi un unico caso speciale
contrattassimo, che si conclude con il decreto penale di condanna.
Dal punto di vista costruttivo le sentenze e le ordinanze sono sempre motivate, mentre il decreto è
motivato soltanto nel momento in cui lo indichi il legislatore.
La sentenza ha una struttura complessa, vi è il dispositivo (la decisione) e le motivazioni, ovvero le ragioni di
diritto che hanno portato a quella decisione. Possiamo poi dividere le motivazioni in tre sotto strutture:
 I capi decisione;
 I punti all’interno dei capi decisione;
 Le questioni all’interno dei punti.
Avremo così una sorta di struttura a piramide della parte riguardante le motivazioni.
Il capo è quale parte di sentenza che si pronuncia sul singolo capo d’imputazione formulato dal PM, esiste
poi la possibilità che la sentenza contenga anche il cosiddetto capo civile, ovvero la richiesta di risarcimento
del danno che ha prodotto il reato, a favore della persona che è stata lesa in questo diritto e che si è
costituita come parte civile nel processo penale.
I singoli punti all’interno di ogni capo, sono le singole pronunce, i singoli accertamenti che vengono richiesti
al giudice e coincidono ai cosiddetti allegati che vanno dimostrati in processo. Es. nel reato di furto
bisognerà accertare innanzitutto che l’autore del fatto è l’imputato, quindi avremo un punto in tema di
responsabilità dell’autore del reato; poi avremo un punto della commissione della condotta di
appropriazione, poi un punto relativo all’elemento psicologico del reato, un punto in materia di
imputabilità oppure ancora un punto sulla punibilità del eventuale condannato. Quindi i punti sono i temi
fondamentali che il giudice deve affrontare nella decisione, quindi coincidono con gli elementi costitutivi
del reato e vedremo poi come questi punti coincideranno con le formule di proscioglimento qualora
l'imputato non abbia commesso il fatto.
All’interno dei punti vi sono poi le singole questioni da affrontare (punibilità, imputabilità ,ecc..)
Bisogna poi fare una distinzione tra le cosiddette decisioni di rito e decisioni di merito.
Le decisioni di rito sono decisioni che non si pronunciano sull’accertamento di quel fatto e sulla sua
sussunzione sotto una fattispecie incriminatrice, ma sono decisioni che accertano soltanto che il processo
non può proseguire o non doveva essere fatto. Quindi sono decisioni che riguardano la procedura il
provvedimento di archiviazione (il processo non si deve aprire, quindi una decisione di rito perché riguarda
come oggetto la possibilità o meno di fare il processo), la sentenza di non luogo a procedere (la sentenza
conclusiva dell’udienza preliminare ), la sentenza di proscioglimento pre-dibattimentale (sentenza emessa
fra inca data del rinvio a giudizio e la prima udienza dibattimentale, nella quale viene accertato che il reato
è estinto o vi è una causa di non procedibilitá), sentenza di non doversi procedere (sentenza tipica della
fase finale dibattimentale, il giudice al termine della camera di consiglio, può emettere questa sentenza di
rito quando si accorge che il processo non poteva essere celebrato).
Le decisioni di merito sono le decisioni che rispondono alle richieste del PM, quindi condannano o
prosciolgono e quindi dicono se quel fatto è stato commesso o meno e dicono se quel fatto può essere
sussunto sotto una fattispecie incriminatrice.
Vi è poi una sentenza particolare, che può contenere sia formule di rito che formule di merito e che può
essere emessa in ogni stato e grado del processo ed è il procedimento immediato per determinate cause di
non punibilità.Norma dettata da ragioni di speditezza e concentrazione dell’ordinamento.
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Art. 129. Obbligo della immediata declatoria di determinate cause di non punibilità. 1. In ogni stato e
grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha
commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è
estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza [68, 69, 70, 444 2,
459].
2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato [531; c.p. 150 ss.] ma dagli atti risulta evidente che il
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione [530] o di non luogo a procedere [425,
469, 529, 531] con la formula prescritta.
39 – LA SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE
Una delle decisioni che può prendere il giudice appena entrato in camera di consiglio è una decisione di rito
che va sotto il nome di sentenza di non doversi procedere, ovvero quelle occasioni in cui il processo non
doveva essere svolto all’origine oppure è sopravvenuto un impedimento alla sua celebrazione. Con questa
formula non viene accertata la responsabilità né in positivo né in negativo.
Le condizioni di procedibilità sono la querela, l’istanza di procedimento, la richiesta di procedimento è
l’autorizzazione a procedere. Queste sono tutte delle situazioni, in presenza delle quali, il PM,
eccezionalmente, non può esercitare l’azione penale, ma deve attendere che si verifichino le situazioni
poc’anzi elencate. Infatti il legislatore ritiene che in alcuni casi, l’azione penale obbligatoria non possa
essere esercitata in mancanza di un consenso della parte offesa per quanto riguarda la querela (necessaria
per reati a bassa lesività e per reati dove vi è una vittima vulnerabile e in mancanza di un consenso
esercitato tramite la querela,la celebrazione di un processo lederebbe la sua volontà) e l’istanza di
procedimento (riguarda reati commessi all’estero), mentre per la richiesta di procedimento si parla sempre
di reati commessi all’estero ma di maggior lesività, la cui richiesta di persecuzione deve essere fatta dal
Ministro e infine l’autorizzazione a procedere dove il PM deve chiedere a un’altra autorità l’autorizzazione
per poter esercitare l’azione penale e si giustifica per un bilanciamento sui poteri nazionali.
Art. 529 CPP. Sentenza di non doversi procedere. 1. Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non
deve essere proseguita, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel
dispositivo.
2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è
insufficiente o contraddittoria [537]
Tale tipo di sentenza viene anche emessa a norma dell’Art. 531 CPP, sancendo il principio secondo il quale a
fronte dell’intervenuta estinzione del reato, cessato l’interesse dello Stato all’accertamento dei fatti e
all’esercizio della relativa pretesa punitiva nei riguardi dei colpevoli, il giudice è tenuto ad adottare la
declatoria di non doversi procedere, enunciando la causa nel dispositivo (es. prescrizione, morte del reo
prima della condanna, amnistia.)
Art. 531 CPP – Dichiarazione di estinzione del reato. 1. Salvo quanto disposto dall'articolo 129 comma 2, il
giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel
dispositivo.
2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione del
reato [537]
La cosa fondamentale di questo tipo di sentenza è che il processo si chiude con un proscioglimento nel
quale non viene accertata la responsabilità dell’imputato.
Chiaro è che nel momento in cui il giudice, in camera di consiglio, quindi a dibattimento già effettuato e
terminato, possa emettere una sentenza di non doversi a procedere, oppure, in base agli elementi raccolti,
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maturi un convincimento in merito all’assoluzione dell’imputato, deve emettere una sentenza di
assoluzione e quindi una decisione di merito (favor rei).
La sentenza di non doversi procedere, deve essere emessa solo se non può essere pronunciata una
sentenza di assoluzione. Questa valutazione esprime quanto la definizione di sentenza di rito applicata alla
sentenza di non doversi procedere è molto sottile, in quanto vi è una valutazione del giudice in sede di
camera di consiglio e solo ed esclusivamente quando non possa essere emessa una sentenza di assoluzione
il giudice ripiega sulla sentenza di non doversi procedere.
40 – LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE I
Abbiamo già detto che i temi attorno ai quali ruota il processo: il fatto e il diritto e quindi il giudice può
assolvere o condannare, solo due sono le possibilità.
Il codice conduce il giudice alla decisione da prendere attraverso una serie di passaggi. È per tale motivo
che il codice fornisce una serie di formule che ricalcano pari pari gli accertamenti che il giudice è chiamato
a fare per poter emettere la sentenza.
Le sentenze di assoluzione vengono emesse per i seguenti motivi:
 Assoluzione perché il fatto non sussiste. Il giudice utilizza questa formula assolutoria per indicare
che il fatto di reato, addebitato all'imputato nell'imputazione formulata dal pubblico ministero, non
ha trovato riscontro in ciò che è risultato dal dibattimento, (cioè non è stato provato); il fatto
storico che è stato ricostruito dalla pubblica accusa non rientra nella fattispecie di reato dal punto
di vista degli elementi oggettivi.Questa formula prefigura la cosiddetta assoluzione piena.
Esempio: Si contesta all'imputato di aver commesso un omicidio e poi dal dibattimento risulta che
la presunta vittima è morta per cause naturali.
 Assoluzione perché l'imputato non ha commesso il fatto. Questa formula viene utilizzata dal
giudice quando accerta che il fatto di reato è avvenuto, ma non è stato commesso dall'imputato
bensì da un'altra persona. Anche questa formula assolutoria si configura come un'assoluzione
piena.
Esempio: Riferendoci al precedente esempio, la vittima è stata uccisa (vi è stato un omicidio), ma è
stato commesso da una persona diversa dall'imputato.
 Assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Con questa formula, il giudice dichiara che il fatto
addebitato all'imputato è stato commesso proprio da lui, tuttavia il fatto non può essere
considerato un illecito penale (da qui il non costituisce reato) perché manca l'elemento soggettivo
(dolo, colpa o preterintenzione, si veda l'esempio 1). Il giudice utilizza questa formula anche nel
caso in cui il fatto è stato commesso dall'imputato in presenza di una causa di giustificazione; la
presenza di una di queste cause, infatti, elimina l'antigiuridicità del fatto rendendolo lecito (si veda
l'esempio 2).
Esempi: 1 - La pubblica accusa chiede la condanna per omicidio dell'imputato, accusato di aver
causato un incidente stradale dal quale ne è rimasta uccisa la vittima, ma dal dibattimento risulta
che l'imputato non ha potuto far nulla per evitare l'evento (non si ha né dolo, né colpa e nemmeno
preterintenzione). 2 - Il giudice ritiene provato l'omicidio, ma non condanna l'imputato perché
ritiene che abbia agito in una situazione di legittima difesa (è presente la causa di giustificazione).
 Assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In questo caso il giudice
dichiara provato il fatto storico ricostruito dal pubblico ministero, ma quest'ultimo non rientra in
nessuna fattispecie di reato, sia dal punto di vista degli elementi oggettivi, sia da quello degli
elementi soggettivi; il fatto contestato all'imputato si è verificato, ma gli è stato attribuito per un
errore di valutazione giuridica (si veda l'esempio 1) Il giudice usa questa formula anche quando il
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fatto storico era previsto precedentemente come reato, ma la norma di legge a cui si riferiva ha
perso efficacia; questo può avvenire quando la Corte Costituzionale dichiara la norma illegittima
(vedi l'esempio 2), oppure quando una legge depenalizzi certi reati (vedi l'esempio 3).È
un'assoluzione in iure (in punto di diritto).
Esempi: Durante il dibattimento si discute del reato di danneggiamento (art. 635 c.p.) con colpa, ma
il giudice assolve l'imputato perché, secondo l'ordinamento penale, è punito soltanto il reato di
danneggiamento caratterizzato dal dolo.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 19 aprile 1968 ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 559 c.p., il quale puniva il reato di adulterio.
La legge n. 689 del 24 novembre 1981 ("Modifiche al sistema penale") ha trasformato diversi reati
in illeciti amministrativi.
 Assoluzione perché il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per
un'altra ragione. Con quest'ultima formula il giudice accerta che il fatto storico è realmente
avvenuto, è stato commesso dall'imputato e configura un reato, ma l'imputato non è comunque
punibile; quest'ultimo può essere non punibile quando risulta non imputabile (vedi l'esempio 1),
oppure quando è coperto da una causa di non punibilità (vedi l'esempio 2), oppure ancora quando
risulta penalmente immune (vedi l'esempio 3). Con il d.lgs. 28/2015 è stata introdotta
nell'ordinamento la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ferma restando per il
danneggiato la possibilità di rivolgersi al giudice civile per ottenere la condanna del responsabile al
risarcimento dei danni. È la formula assolutoria più sfavorevole per l'imputato.
Esempi: L'imputato risulta aver compiuto il fatto quando era minore di 14 anni, oppure è
totalmente infermo di mente.
Dopo il dibattimento viene provato che l'imputato ha compiuto un furto ai danni della sorella, la
quale convive insieme a lui (questa situazione configura la causa di non punibilità ex art. 649 c.p.,
comma 1, 3)
Il giudice ritiene provato il fatto che l'imputato è un agente diplomatico accreditato presso il Capo
dello Stato (l'imputato quindi beneficia dell'immunità diplomatica, istituto di diritto internazionale).
Fare attenzione a non confondere le sentenze di assoluzione per il fatto che non costituisce reato e il fatto
che non è previsto come reato sono due cose differenti, infatti nel fatto non costituisce reato vi è un fatto
storico, ma manca di una componente affinché si possa parlare di reato, mentre nel secondo caso non
esiste una legge che qualifichi quel fatto come reato. Quando il giudice si trova davanti a un fatto non
previsto come reato, non si pone nemmeno il problema di valutare la condotta o altri elementi, quindi
emette subito questo tipo di sentenza.
Tutti questi sono motivi che portano il giudice ad una sentenza di assoluzione e possiamo notare una certa
gradazione: se è stato commesso un certo fatto storico, se quel fatto è imputabile a quel soggetto, se vi
sono tutti gli elementi del reato, se il soggetto è imputabile, se è punibile e se vi erano cause di
giustificazione e infine dovrà fare la valutazione giuridica.
È chiaro che le formule usate hanno un peso differente, perché un conto è uscire da un processo con la
formula di non aver commesso il fatto, diverso è uscirvi per via della non punibilità, pertanto l’imputato ha
il diritto di uscire dal processo nel miglior modo possibile e quindi questa sorta di elenco è l’ordine delle
valutazioni che il giudice deve fare. Quindi se l’imputato non è imputabile, ma oltretutto non ha commesso
il fatto, ha il diritto di uscire dal processo con la prima formula.
Art. 530 CPP.- Sentenza di assoluzione. 1. Se il fatto non sussiste [541 2, 542], se l'imputato non lo ha
commesso [541 2, 542], se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il
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reato è stato commesso da persona non imputabile [c.p. 85] o non punibile per un'altra ragione, il giudice
pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la
prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato
commesso da persona imputabile. 3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa
di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il
giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.
4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza [537].
41 – LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE II
In linea generale le regole decisorie che portano il giudice a emettere una sentenza di assoluzione o una
sentenza di condanna sono codificate dal legislatore, attraverso il principio secondo cui nel processo penale
l’onere della prova è in capo al Pubblico Ministero. Tale onere si giustifica con l’inserimento in Costituzione
del principio di presunzione di innocenza, o anche detto presunzione di non colpevolezza (Art. 27 Cost.)
Questo corollario del principio di presunzione di non colpevolezza, si trasforma in una serie di regole
decisorie che il giudice dovrà osservare per emettere sentenza di assoluzione o colpevolezza.
In tutti i casi in cui il giudice acquisisca durante il dibattimento una prova positiva sull’innocenza
dell’imputato (es.telecamere che inquadrano l’imputato in un altro luogo rispetto all’ora del delitto),
oppure ci sia un quadro probatorio insufficiente (es. nessuna prova in materia di nesso causale, ne prova
positiva, ne prova negativa) e infine quando ci sono dubbi (prove contraddittorie, molto frequente in casi di
responsabilità medica).
L’Art 531 CPP mostra i primi due commi che apparentemente sembrano uguali, ma in realtà abbiamo un
primo comma dove ci sono delle certezze positive all’estraneitá dell’imputato rispetto al fatto, mentre nel
comma 2 seppur vi è ripetizione della formula, si evidenzia la mancanza della prova e comunque nel caso di
dubbio, l’imputato deve essere assolto.
Per le cause di giustificazione e le cause di non punibilità, vige una regola di favor rei, ovvero vengono
applicate sia in caso di prova positiva, sia in caso di prova dubbia sulla loro presenza.
42 – LA SENTENZA DI CONDANNA
Art. 533 CPP – Condanna dell’imputato. 1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta
colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena
e le eventuali misura di sicurezza.
2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la
pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla
continuazione [c.p. 71-84]. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o
contravventore abituale o professionale o per tendenza [c.p. 102 ss.].
In tutti i casi in cui il giudice non può emettere una sentenza di assoluzione, vuol dire che ci sono i
presupposti per emettere una sentenza di condanna. La colpevolezza deve essere accertata al di là di ogni
ragionevole dubbio.
Pertanto abbiamo visto che se c’e la prova positiva della colpevolezza è prevista l’assoluzione, così come
sarà prevista nel caso di prove mancanti o dubbie, di conseguenza l’elemento che giustifica una sentenza di
condanna è la presenza di una prova positiva rispetto a tutti gli elementi del reato.
La formula al di là di ogni ragionevole dubbio, nasce nell’ordinamento di Common Law, ed è la formula con
la quale il giudice si congeda dai giurati, i quali si troveranno loro a decidere. Quindi per tradurre tutte
queste regole decisorie a cittadini comuni chiamati a decidere sul destino di una persona, il legislatore ha
deciso di riassumerla in questa frase. Nel nostro ordinamento,dove tale frase è stata inserita dalla Legge
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Pecorella (L.46/2006),non ha la stessa funzione, in quanto è il giudice che è chiamato a decidere e ha una
preparazione appropriata. Pertanto nel nostro ordinamento tale formula indica al giudice di condannare
solo ed esclusivamente quando non abbia dubbi.
43 – LE IMPUGNAZIONI (introduzione)
Conclusa la fase del giudizio comincia la fase eventuale del processo penale, ovvero quella delle
impugnazioni.
Impugnazione è un controllo, è quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento
giurisdizionale svantaggioso, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha
emesso il provvedimento medesimo.
Le impugnazioni ordinarie possono essere esperite entro un termine stabilito a pena di decadenza: decorso
tale termine senza che sia stata proposta impugnazione, la sentenza diventa irrevocabile.
Sono impugnazioni ordinarie l'appello ed il ricorso per cassazione. La cognizione del giudice d'appello è la
più completa, perché egli può esaminare il caso sotto il profilo della legittimità (violazione regole
processuali) e del merito (contenuto,sbagliato, erroneo) , nei limiti dei motivi addotti dalle parti appellanti,
motivi che sono tendenzialmente illimitati; in sintesi il giudice di appello è giudice del merito e della
legittimità in funzione della riforma o della conferma della sentenza di primo grado; la sentenza della corte
d'appello è soggetta a ricorso per cassazione.
Viceversa, nel ricorso per cassazione la sentenza impugnata può essere fatta oggetto di ricorso per soli vizi
di legittimità e soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge (quindi i motivi del ricorso per
cassazione sono tassativi); in sintesi la Corte di cassazione è giudice della sola legalità processuale e
sostanziale; essa, di regola non può riformare la sentenza, ma solo pronunciarne l'annullamento; il compito
di riformare la sentenza è demandato al giudice di rinvio dopo l'annullamento da parte della cassazione.
Le impugnazioni straordinarie sono quelle che hanno ad oggetto provvedimenti divenuti irrevocabili. Sono
impugnazioni straordinarie la revisione ed il ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto.
I modelli possibile dell’impugnazione, possono essere ricondotti a due archetipi : possono essere modellata
secondo il modello del gravame e il modello dell’azione di annullamento. Il modello del gravame è il
modello secondo cui si fanno valere le questioni inerenti all’error in iudicando, ovvero gli errori in cui è
incorso il giudice nel giudizio di diritto, cioè nella individuazione e nella applicazione delle norme che
regolano il rapporto giuridico dedotto in giudizio. Mentre il modello dell’azione di annullamento è il
modello tipico utilizzato nei casi di error in procedendo, ovvero gli errori di carattere procedurale, attinenti
al rapporto processuale che si è concluso con la emanazione della sentenza, e cioè gli errori nella
osservanza delle norme giuridiche che regolano lo svolgimento del processo.
Gravame: indica un particolare tipo di impugnazione, che mira al completo riesame della controversia, in
modo da giungere ad un nuovo giudizio in sostituzione di quello contenuto nella sentenza impugnata,
ritenuto ingiusto. Questo è un giudizio pieno, che si sostituisce in tutto e per tutto al primo. Nel momento
in cui comincia il gravame, il primo giudizio smette di esistere. (Es. l'appello, che mira ad un nuovo esame
della controversia di primo grado).
Azione di annullamento: non entra nel merito e conosce solo il vizio che le parti portano alla sua
conoscenza e terminata l’analisi della questione, annulla la sentenza e impone il rifacimento del processo,
oppure la può confermare. (Es. ricorso in Cassazione).
Sono due modelli che affondano le loro radici molto indietro nel passato, l'azione di annullamento (querela
nullitatis) nasce nel diritto medievale, mente il gravame (appellazio) nel diritto romano.
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Il nostro appello è un giudizio di impugnazione, tende al modello del gravame, ma presenta anche
elementi dell’azione di annullamento e così anche il ricorso in Cassazione, che tende al modello dell’azione
di annullamento, ma presenta elementi riferibili al modello del gravame. Pertanto sono modelli ibridi.
Le impugnazioni sono come abbiamo già detto dei mezzi di controllo, dove è importante sapere per ogni
tipo di impugnazione, cosa può controllare, cosa può conoscere (poteri cognitivi) cosa può decidere(poteri
decisori).
44 – LE IMPUGNAZIONI (regole generali)
Salvo quanto premesso e salve deroghe specifiche contenute nella disciplina dei singoli mezzi di
impugnazione, le disposizioni generali si applicano a tutte le impugnazioni.
Il principio generale che regola le impugnazioni è quello della tassatività : emerge dall'art. 568 co. 1: "La
legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il
mezzo con cui possono essere impugnati".
Ne deriva un duplice effetto:

la necessità che la legge preveda espressamente un provvedimento come impugnabile (è la legge
che ci dice quale tipologia di atti possono essere impugnati, ci dice il modo in cui possono essere
impugnati e ci dice anche quali siano i soggetti legittimati a impugnare gli atti.

In base all'articolo 568 co. 2: "Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono
altrimenti impugnabili, i provvedimenti (ordinanze e decreti) coi quali il giudice decide sulla libertà
personale e le sentenze”. Questa norma ha una derivazione Costituzionale e più precisamente
dall’Art.111, il quale prevede che nei confronti di tutte le disposizioni e sentenze che limitano la
libertà personale è ammesso il ricorso per Cassazione.

Per le ordinanze che non decidono sulla libertà vale la regola della tassatività: non sono impugnabili
se non quando ciò è previsto per legge.

Le ordinanze emesse negli atti preliminari al dibattimento e nel dibattimento sono impugnabili solo
unitamente alla sentenza. Quindi nel caso in cui si dovesse ricorre contro una determinata
ordinanza, bisogna impugnare la sentenza, al fine di contestare l’ordinanza incriminata.
Poi per quanto riguarda il rispetto del principio di tassatività, bisogna andare a vedere di volta in volta a se il
legislatore ci dà delle indicazioni in merito a quel determinato atto da impugnare. Per esempio possiamo
ricordare che il provvedimento di archiviazione è impugnabile solo per i difetti del contraddittorio, per cui
se nell’udienza non siano state citate le parti che dovevano partecipare, oppure per quanto riguarda la
sentenza di non luogo a procedere, il codice ci dice che quella sentenza non è appellabile, ma ricorribile
soltanto in Cassazione.
Tuttavia questo divieto di analogia, ad applicazione del principio di tassatività, è stato eluso dalla
giurisprudenza, in quanto si è inventata una categoria di atti, ricorribili in Cassazione, che possono essere
impugnati per abnormitá. Si ritiene che alcuni provvedimenti del giudice, se possono essere qualificati
come abnormi (sproporzionati per legittimazione e/o effetti), possono essere impugnati direttamente in
Cassazione, seppur in mancanza di una esplicita indicazione in tal senso del legislatore. (Es. sentenza di
archiviazione disposta dal giudice in fase di udienza preliminare e nel contempo imputazione coatta a carico
di un terzo soggetto estraneo all’indagini compiute dal PM- atto abnorme non per l’impugnazione coatta,
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ma perché deve essere esercitata nei confronti del soggetto nei cui confronti siano state effettuate le
indagini e non un soggetto estraneo.)
L'effetto estensivo. Consiste nel consentire ad una parte, che non ha proposto impugnazione, di
partecipare al giudizio e di giovarsi degli effetti favorevoli derivanti da una impugnazione proposta da altra
parte, con la quale la prima abbia un interesse identico o collegato (art. 587).Più precisamente:
 nel caso di concorso di più persone nel reato, l'impugnazione proposta da uno degli imputati giova
anche agli altri purché non fondata su motivi esclusivamente personali
 nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi, l'impugnazione proposta da un imputato
giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non
sono esclusivamente personali.
 Sono motivi non esclusivamente personali quelli che si riferiscono, anche parzialmente, a questioni
sostanziali o processuali obbiettive, comuni al soggetto impugnante e agli altri coimputati (es.
utilizzabilità di una prova);
 sono motivi esclusivamente personali quelli che riguardano la qualità e le condizioni soggettive
della persona che li ha proposti oppure questioni processuali concernenti la posizione di un solo
imputato.
Di fronte a una impugnazione, in presenza di più parti, gli effetti positivi si estendono anche alle parti inerti,
purché il motivo dell’impugnazione non sia personale.
L'effetto sospensivo.L'esecuzione della sentenza, di regola, è sospesa durante il corso dei termini per
impugnare e fino all'esito dell'ultimo giudizio di impugnazione concretamente esperito (art. 588 co. 1). Ciò
è coerente con la disposizione dell'art. 650.1, secondo il quale "Salvo che sia diversamente disposto, le
sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili".
L'effetto sospensivo dell'impugnazione deriva dall'art. 27 co. 2 Cost. in base al quale "l'imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Impugnazioni contro le misure cautelari. La regola
dell'effetto sospensivo trova la sua eccezione per le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di
libertà personale: tali impugnazioni non hanno in alcun caso effetto sospensivo (art. 588 co. 2).
L'effetto devolutivo. Per devoluzione si intende il trasferimento della cognizione ad un giudice
funzionalmente diverso rispetto a quello che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Occorre
ricordare che il "capo" della sentenza è identificabile con la singola imputazione, il "punto" è costituito da
una tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad
una o più imputazioni. La parte che impugna deve enunciare, oltre al provvedimento impugnato e al giudice
che lo ha emesso:

I capi od i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione;

le richieste;

I motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta.
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L'impugnazione è interamente devolutiva quando la legge attribuisce al giudice dell'impugnazione il potere
di conoscere tutta la materia decisa dal primo giudice; è limitatamente devolutiva quando la legge consente
al giudice dell'impugnazione di conoscere solo quella parte della materia che è stata oggetto dei motivi
proposti dalla parte impugnante.
L’inammissibilità delle impugnazioni è una forma di invalidità. (l’invalidità degli atti è la nullità, l’invalidità
delle prove è l’inutilizzabilitá, l’invalidità delle domande è l’inammissibilità)
L'impugnazione è inammissibile:

quando è proposta da un soggetto non legittimato o che non vi ha interesse;

quando il provvedimento non è impugnabile;

quando non sono state osservate le disposizioni relative alla forma, alla presentazione,
allaspedizione ed ai termini;

quando vi è stata rinuncia all'impugnazione.
45 – L’APPELLO I
L'appello è un mezzo di impugnazione ordinario, (deve essere presentato entro termini perentori pena
l’inammissibilità dell’impugnazione) mediante il quale le parti chiedono al giudice di secondo grado di
controllare una decisione di primo grado che ritengono viziata per motivi di fatto o di diritto.
L'appello è una impugnazione "a critica libera": il legislatore non indica limiti alle censure che le parti
rivolgono alla sentenza, e che quindi possono essere di fatto o di diritto e riferirsi ad errori sia in iudicando
sia in procedendo. Questo lo fa avvicinare al modello del gravame, tuttavia la richiesta deve motivare e
argomentare i temi dell’impugnazione.
Pertanto l'appello è un gravame "parzialmente devolutivo", nel senso che la cognizione del giudice di
appello è limitata dai motivi della impugnazione; tuttavia egli ha la medesima ampiezza di poteri decisori
che caratterizza il giudice di primo grado (tantum devolutum, quantum appelatum). Dovrà attenersi alla
valutazione del punto indicato in impugnazione e non potrà estendere le considerazioni ad altro capo o a
punti dello stesso del capo.Tuttavia la giurisprudenza ha esteso tale potere anche ad altri punti, a patto che
gli stessi siano strettamente connessi con il punto oggetto dell’impugnazione.
Ci sono poi alcuni motivi che possono essere fatti valere in ogni ordine e grado e che quindi possono essere
fatti valere che se non segnalato dalle parti (es. inutilizzabilitá della prova che può essere rilevata in ogni
ordine e grado – proscioglimento ex Art. 129 CPP).
Quindi il giudice di appello, nell'accertamento della correttezza dell'operato del giudice di primo grado in
relazione al punto impugnato, non è obbligato a limitarsi alle prospettazioni effettuate dall'appellante nella
proposizione dei motivi.
In particolare quando appellante è il PM:

se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del
giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie od
aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare misure di sicurezza e adottare ogni
altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;

se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ovvero
prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
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
se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare od escludere, nei casi
determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può riformare in peius la sentenza appellata e, quindi,
"non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più
grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata
né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nelcomma 1, di dare al fatto una definizione
giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado" ( art. 597.3).
Ricordiamo che se non sono impugnati tutti i punti della sentenza, la cognizione del giudice di secondo
grado può estendersi ai punti legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico con quelli
impugnati.
Appello principale. L'appello principale, qualora sia ammissibile, determina il dovere del giudice di secondo
grado di riesaminare il fatto nei limiti dei punti ai quali si riferiscono i motivi proposti.
Appello incidentale (595 CPP). Una volta che una parte abbia presentato appello principale, le altre parti
che erano legittimate ad appellare hanno la possibilità di proporre il c.d. appello incidentale entro 15 giorni
dalla comunicazione o dalla notificazione dell'appello principale; esso ha la funzione di integrare il
contraddittorio nel giudizio di appello. In genere le parti propongono appello in maniera principale, ognuna
autonoma per quanto riguarda i propri motivi, ma può capitare che una delle due parti si ritenga
soddisfatta della sentenza di primo grado e quindi non proponga richiesta di appello, ma invece l’altra parte
impugni l’ultimo giorno prima della scadenza del termine. Quindi per garantire il contraddittorio nel
giudizio di appello c’ è una riammissione in termini nei confronti della parte che non aveva proposto
appello e tale appello viene definito appunto appello incidentale.
Circa l'oggetto di appello incidentale, esso deve limitarsi ai capi della decisione oggetto dell'appello
principale e ai punti che hanno connessione essenziale con quelli denunciati con l'appello principale.
Limiti dell'appelli incidentale: chiunque sia l'appellante incidentale, la sorte dell'impugnazione segue quella
dell'appello principale, infatti, ai sensi dell'art. 595 CPP "l'appello incidentale perde efficacia in caso di
inammissibilità dell'appello principale o di rinuncia allo stesso".
L'appello incidentale è un istituto di carattere reazionario, perché ha un’efficacia deterrente. Infatti se
l’appello è proposto dal solo imputato c’è il rischio che nei successivi quindici giorni il PM possa proporre
l’appello incidentale e tale possibilità fa cadere il divieto di reformatio in peius che opera quando appella il
solo imputato, aprendo quindi la possibilità per l’imputato di un aggravamento della pena.
Art. 595 CPP – Appello incidentale. 1. La parte che non ha proposto impugnazione può proporre appello
incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la comunicazione o la notificazione previste
dall'articolo 584.
2. L'appello incidentale è proposto, presentato e notificato a norma degli articoli 581, 582, 583 e 584 (1).
3. L'appello incidentale del pubblico ministero produce gli effetti previsti dall'articolo 597 comma 2 (2); esso
tuttavia non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di
appello. Si osservano le disposizioni previste dall'articolo 587.
4. L'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale o di rinuncia [589]
allo stesso
Art. 597 CPP – Cognizione del giudice di appello. 1. L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la
cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.
2. Quando appellante è il pubblico ministero:
a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna [533], il giudice può, entro i limiti della competenza del
giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la
quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro
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provvedimento imposto o consentito dalla legge; b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento
[529-532], il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero
prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi
determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità,
applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole
di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel
comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del
giudice di primo grado.
4. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se
unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita.
5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena [c.p.
163], la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [c.p. 175] e una o più
circostanze attenuanti [c.p. 62, 62bis]; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di
comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale.
46 – L’APPELLO II
L'appello è uno "strumento di controllo" e non un nuovo giudizio, perché non presuppone necessariamente
una nuova istruzione dibattimentale; di regola il giudice d'appello conferma o riforma la decisione
impugnata; i casi di annullamento sono eccezionali. Al di fuori di tali casi, la decisione di appello dà luogo ad
una nuova sentenza che si sostituisce a quella impugnata e che, a sua volta, può essere oggetto di ricorso
per cassazione.
Procedimento cartolare. Il processo d'appello è "cartolare": in altri termini, il giudice di appello "legge" gli
atti probatori del giudice di primo grado nei limiti delle richieste e dei motivi degli appellanti, senza, di
regola, assumere prove (quindi non c'è un contatto diretto con le fonti di prova).
Tuttavia è possibile che anche nel giudizio di appello vi sia una rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale,
ovvero ad alcune condizioni il codice permette che anche nel giudizio di appello ci sia il ricorso a quei
principi di oralità e contraddittorio della formazione della prova che contraddistinguono il giudizio di primo
grado.
Pertanto il processo di secondo grado è "cartolare", sicché la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale
è istituto di carattere eccezionale.
Di regola, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere chiesta espressamente dalla parte
nell'atto di appello, potrà tuttavia essere chiesta anche dopo detto termine ove l'elemento di prova venga a
conoscenza dell'interessato solo in un momento successivo.
Quando la richiesta ha per oggetto l'assunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o di
nuove prove (qui intese come prove già note all'interessato nel giudizio precedente, ma non acquisite in
quella sede), il giudice di appello la dispone qualora ritenga di non essere in grado di decidere allo stato
degli atti (Art. 603.1 CPP). - Criterio più stringente rispetto all’Art.190 CPP ossia al diritto alla prova, che qui
chiaramente non è riconosciuto. Il giudice può anche ammettere nuove prove d’ufficio secondo il principio
previsto dall’Art. 507 CPP già visto nel dibattimento.
Tuttavia, "Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone
la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale" con ordinanza, sentite le parti (art.603.2).
Ancora, la rinnovazione è disposta d'ufficio dal giudice quando la ritiene assolutamente necessaria per
l'accertamento del fatto.
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Sulla richiesta di rinnovazione il giudice provvede con ordinanza, nel contraddittorio delle parti, e si
procede immediatamente; in caso di impossibilità il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a
10 giorni.
In una recente sentenza della CEDU, la Moldavia è stata condannata in quanto in un giudizio di appello, un
giudice, diverso da quello di primo grado, ha valutato solo cartolarmente le prove, giungendo a ribaltare
una sentenza di assoluzione del primo grado, con una condanna in appello. Il mancato rispetto del principio
dell’immediatezza (medesimo giudice a valutare le prove assunte nel dibattimento e giudice che emette la
sentenza) e la valutazione di prove non acquisite durante il dibattimento, il tutto in relazione a una modifica
in peius per l’imputato ha portato alla condanna della Moldavia da parte della CEDU.
Alla luce di tale condanna, essendo possibile anche da noi questa possibilità, in quanto il Codice lo
permetterebbe, la Corte Cassazione sta emettendo una serie di sentenze nelle quali indirizza il giudice,
qualora volesse dichiarare attendibili prove d’accusa che in primo grado sono state valutate diversamente,
a voler disporre la rinnovazione dibattimentale, in modo da poter così acquisire di fronte a lui le vecchie
prove così poi da essere a emettere una eventuale sentenza di condanna.
Il giudizio d'appello si può concludere:
-
con la CONFERMA della decisione;
-
con la RIFORMA della decisione;
-
può ANNULLARE la decisione e rinvia gli atti al giudice di 1° grado (qualora ci fossero dei vizi
processuali che invalidano tutta la sequenza processuale, e porta al rinvio degli atti al momento in
cui si è verificato il vizio processuale affinchè tutta la sequenza da quel momento venga corretta.
L'art. 604 è una norma di cardinale importanza per comprendere l'essenza stessa del giudizio di appello;
essa esprime il divieto di regresso del processo di appello al primo grado. Sicché, quando sono state
ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti
diverse da quelle previste dal comma 1 (ad efficacia o ad effetto speciale), il giudice di appello esclude le
circostanze aggravanti, effettua (se occorre) un nuovo giudizio e ridetermina la pena (comma 2).
Se si tratta di nullità relative, eccepite ma non sanate, il giudice di secondo grado "può ordinare la
rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto
non fornisce elementi necessari al giudizio (comma 5).
Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione non poteva essere
iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la
rinnovazione del dibattimento e decide nel merito (comma 6).
Il regresso del dibattimento al primo grado è istituto eccezionale consentito in 2 casi:

Quando il giudice di secondo grado dichiara la nullità della sentenza per difetto di contestazione nei
casi previsti dall'art. 522, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Deve
essersi verificata, in primo grado, la condanna per fatto diverso o l'applicazione di una circostanza
aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa o una circostanza aggravante
ad effetto speciale, e sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze
attenuanti, nel quale ultimo caso non si ha regresso del procedimento (comma 1).
Il giudice di appello trasmette gli atti ad altra sezione della corte di assise o dello stesso tribunale
ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini.
Se annulla una sentenza di un giudice monocratico o di un gip, dispone la trasmissione degli atti al
medesimo tribunale "tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la
sentenza annullata" (comma 8).
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
Nel caso in cui il giudice di appello accerti una nullità assoluta, o intermedia che non sia stata
sanata, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di
primo grado. In tal caso, dichiarata la nullità con sentenza, rinvia gli atti al giudice che procedeva al
momento in cui la stessa si è verificata (comma 4).
Alla base di tutte queste disposizioni c’è sempre il principio di correlazione tra accusa e sentenza (Art.
521 CPP).
Art 522 CPP – Nullità della sentenza per difetto di contestazione. 1. L'inosservanza delle disposizioni
previste in questo capo è causa di nullità [177-186] (1).
2. La sentenza di condanna [533-537] pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una
circostanza aggravante senza che siano state osservate le disposizioni degli articoli precedenti è nulla
soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante [604]
Art 604 CPP – Questioni di nullità. 1. Il giudice di appello, nei casi previsti dall'articolo 522, dichiara la nullità
[177-186] in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo
grado, quando vi è stata condanna per un fatto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la
quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza
aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze
attenuanti.
2. Quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate
circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal comma 1, il giudice di appello esclude le circostanze
aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena.
3. Quando vi è stata condanna per un reato concorrente [517] o per un fatto nuovo (1), il giudice di appello
dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del
provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni [521].
4. Il giudice di appello, se accerta una delle nullità indicate nell'articolo 179, da cui sia derivata la nullità del
provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, la dichiara con sentenza e rinvia gli
atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nello stesso modo il giudice provvede se
accerta una delle nullità indicate nell'articolo 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del
provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado (2).
5. Se si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione
degli atti nulli [185] o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non
fornisce elementi necessari al giudizio (3).
5-bis. Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto
provvedere ai sensi dell'articolo 420 ter o dell'articolo 420 quater, il giudice di appello dichiara la nullità della
sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado. Il giudice di appello annulla altresì la sentenza
e dispone la restituzione degli atti al giudice di primo grado qualora l'imputato provi che l'assenza è stata
dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado. Si applica
l'articolo 489, comma 2 (4).
6. Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto [c.p. 150 ss.] o che l'azione penale non
poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina,
occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito [603].
7. Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, il giudice di appello, se riconosce
erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento [477] fissando un termine massimo
non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il
giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento.
8. Nei casi previsti dal comma 1, se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale collegiale, il
giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale
ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza del tribunale monocratico o
di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale; tuttavia il
giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
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La sentenza di appello, fuori dai casi previsti dall’Art. 604 che conducono all’annullamento, potrà quindi
confermare la sentenza di primo grado o riformarla, ricordando le regole in tal caso, prima fra tutte il
divieto di riformazio in peius.
47 – IL RICORSO IN CASSAZIONE I
La Corte dì Cassazione è il supremo organo giurisdizionale. Ai sensi dell'art. 111.6 Cost. "Tutti i
provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati", e l'art. 111.7 prescrive che "contro le sentenze e
contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è
sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge".
Il ricorso per cassazione è ammesso solo per motivi di legittimità, è bandito il giudizio di fatto. Inoltre, a
differenza dell'appello, che viene definito a critica libera, il ricorso per cassazione viene definito a critica
vincolata, in quanto è possibile proporre ricorso solo in un "numero chiuso" di motivi (5).
Funzioni della corte di cassazione. Secondo l'art. 65 ord. giud., la Corte di cassazione, quale"organo
supremo della Giustizia", svolge le seguenti funzioni:

assicura l'esatta osservanza della legge eliminando gli errori di interpretazione della medesima (c.d.
nomofilachia);

assicura l'uniforme interpretazione della legge sul territorio nazionale;

assicura il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni e regola i conflitti di competenza e di
attribuzione;

adempie agli altri compiti ad essa conferiti dalla legge (es. raccolta firme referendum).
La Corte Suprema di Cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio della Repubblica e
su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato. La corte è divisa in sezioni; queste sono composte
da un presidente e da quattro consiglieri ciascuna, con attribuzioni differenziate per materia.
Quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni o quando le questioni
proposte sono di speciale importanza il presidente della corte, su richiesta del procuratore generale, dei
difensori delle parti o anche d'ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite. Le sezioni unite sono composte da
otto consiglieri e presiedute dal primo presidente, il quale può restituire il ricorso alla sezione semplice
qualora siano stati assegnati alle sezioni unite altri ricorsi sulla medesima materia oppure il contrasto
giurisprudenziale sia superato.
I provvedimenti impugnabili. Ai sensi dell'art. 568 co. 2, sono sempre soggetti a ricorso per cassazione,
quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale
e le sentenze (ne deriva che sono ricorribili per cassazione le sentenze non appellabili e quelle pronunciate
in grado di appello, mentre non lo sono le ordinanze).
Nell’Art 606 del CPP vi sono indicati tutti e cinque i motivi per cui è possibile proporre ricorso in Cassazione.
Tutti questi motivi si caratterizzano per il fatto che indicano la possibilità di censurare sia per error in
iudicando, sia in error in procedendo . In cassazione quindi è possibile lamentarsi sia perché il giudice ha
emesso una decisione sbagliata, sia perché il processo è viziato, quindi sia perché la sentenza è ingiusta, sia
perché è viziata.
Vedremo che mentre nell’appello possiamo lamentarci perché magari un giudice ha valutato un testimone
in maniera non corretta,in Cassazione potremo si fare delle critiche per error iudicando, ma queste critiche
si fermeranno a una soglia superiore, non arriveranno mai nel merito, in quanto non può entrarvi, ma può
criticare come le prove siano state criticate dal giudice precedente.
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La cassazione è un modello ibrido che prevede sia il modello del gravame che quello dell’azione di
annullamento appunto perché posso essere fatti valere tanto gli error in iudicando che gli error in
procedendo.
Art. 606 CPP – Casi di ricorso. 1. Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi :
a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi
ovvero non consentita ai pubblici poteri;
b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener
conto nell'applicazione della legge penale ;
c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità [177-186], di inutilizzabilità [63, 103, 191,
195, 228 3, 240, 254 3, 267 2, 270, 350 6, 360 5, 403, 407 3, 526] (3), di inammissibilità [41, 46, 78, 84, 93,
393, 397, 410, 435, 461, 586, 591, 613, 634, 645] o di decadenza [21, 79, 80, 85, 86, 95, 175 3, 182, 458, 585,
646 4];
d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso
dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'articolo 495, comma 2;
e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
2. Il ricorso, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni [428 3], può essere
proposto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o inappellabili [593].
3. Il ricorso è inammissibile se proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente
infondati ovvero, fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e 609 comma 2, per violazioni di legge non dedotte
con i motivi di appello [611].
A. esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o
amministrativi o non consentita a pubblici poteri: si tratta del vizio di eccesso di potere che si
verifica quando il giudice ha usurpato un potere amministrativo (es. giudice penale che impone
l’annullamento di un decreto di espropriazione) o quando ha esercitato un potere non consentito
agli organi dello Stato;
B. inosservanza od erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica della quale si
deve tener conto nell'applicazione della legge penale: è il motivo più famoso di ricorso in
Cassazione e si tratta di errori in iudicando, che si verificano quando, ad esempio, il giudice ha
qualificato erroneamente il fatto. Infatti il giudice deve decidere valutando il fatto e il diritto. Deve
verificare che un certo fatto storico sia avvenuto e che tale fatto sia sussumibile sotto una
fattispecie incriminatrice, ed è chiaro che per fare ciò deve interpretare una norma penale, capirne
il suo significato e verificare se quel significato sia corrispondente alla fattispecie concreta che si sia
verificata. Ebbene, si può ricorrere in Cassazione, tutte le volte che si ritiene che il giudice abbia
interpretato o mal applicato la legge penale, perché in qualche modo ha ricostruito la fattispecie in
maniera diversa dal suo vero significato. (Es. male interpretato il requisito del possesso nel reato di
furto – confine tra colpa cosciente e dolo eventuale, ecc..).
Svolge la funzione di unità del diritto che si realizza in modalità deterrente perché nel caso la
decisione si allontani dall’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, il giudice può vedere la
sua sentenza cassata.
C. inosservanza delle norme processuali penali stabilite, a pena di nullità, di inammissibilità, di
inutilizzabilità o di decadenza. Si tratta dei vizi, delle patologie, delle invalidità degli atti
processuali. Quindi la violazione della dinamica del procedimento può portare al ricorso in
Cassazione solo a condizione che le violazioni che si sono realizzate sono di norme che sono
sanzionate con l’inutilizzabilitá. Tale prova dovrà essere una prova decisiva, un tassello
fondamentale del quadro probatorio che ha portato il giudice a decidere in tal senso. Per tanto,
anche se questa tipologia di ricorso viene definita in error in procedendo è chiaro che però la Corte
di Cassazione entra nel merito valutando se la prova fosse decisiva o meno. Quindi vediamo come il
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confine tra decisione di merito (vietata per la Cassazione) e decisione di legittimità in qualche caso
è un confine molto labile. (es. il giudice che abbia affermato la colpevolezza dell’imputato sulla base
delle dichiarazioni rese spontaneamente dallo stesso alla PG nell’immediatezza del fatto, senza che
risultino integrati i presupposti dell’Art.503.3 CPP,risultanze di per se non utilizzabili).
D. mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso
dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'art. 495 co. 2 (prove a discarico).
Il motivo di ricorso per cassazione è ammissibile alle seguenti condizioni:
1. deve trattarsi di una prova contraria a quella che sia stata ammessa, a prescindere dal
modo di ammissione (richiesta di parte o d'ufficio ad opera del giudice). In base all'art. 495
co. 2 è "contraria" quella prova che ha per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a
dimostrare che lo stesso non è avvenuto o che si è verificato con una differente modalità.
2. deve trattarsi di prova decisiva (è tale quella prova che è idonea ad "incidere in modo
significativo sul procedimento decisionale seguito dal giudice e da determinare, di
conseguenza, una differente valutazione complessiva dei fatti e portare in concreto a una
decisione diversa).
3. Occorre che l'assunzione della prova contraria sia stata chiesta al momento delle richieste
di prova all'inizio del dibattimento o anche nel corso dell'istruzione dibattimentale.
Sebbene anche questo motivo si configuri come un error in procedendo, anche qui è richiesto che
la prova sia decisiva e quindi si configura come un ibrido a causa della presenza della valutazione
che è tipica dell’error in iudicando. Mentre nell’ipotesi precedente il giudice deve eliminare quella
prova ammessa contro le regole per capire se l’impianto probatorio regge ugualmente, in questo
caso invece deve fare il contrario, deve fare un processo prognostico, immaginandomi questa prova
e se sarebbe stata in grado di modificare la decisione.
E. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal
testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei
motivi di gravame: sono ricompresi 3 vizi della motivazione, ciascuno dei quali autorizza il ricorso
per cassazione. Qui siamo in pieno error in iudicando. Non potendo entrare nel merito, il giudizio
della Cassazione per vizio di motivazione è costruito in modo da fare un sindacato esterno,ovvero
controlla che il giudice abbia rispettato tutti quei canoni previsti per garantire che quel libero
convincimento sia contenuto in regole di ragionevolezza, plausibilità, razionalità.
1) Mancanza della motivazione. "Mancanza" non significa deficit grafico della motivazione
(mancanza in senso formale), che configurerebbe una nullità per omessa motivazione ai sensi
dell'art. 125 co. 3, ma carenza sostanziale del discorso logico; quindi la motivazione è carente
quando manca l'argomentazione su uno degli imputati o su una delle imputazioni o su un punto
necessario ai fini del giudizio.
2) Manifesta illogicità della motivazione. In questo caso l'argomentazione esiste ma manca la
logicità del contenuto. La cassazione deve verificare la correttezza della inferenza probatoria, e cioè
il rapporto tra la premessa (fatto noto) e le conclusioni (fatto accertato): si ha manifesta illogicità
quando la sentenza ha fatto pessimo uso delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche.
All'interno della manifesta illogicità si colloca il vizio di "contraddittorietà logica" della decisione:
esso sussiste quando vi è un contrasto tra le argomentazioni, a prescindere dal contenuto di
queste, perché il giudice non ha fatto uso della logica comune, e cioè dei principi di non
contraddizione, di identità, del terzo escluso. Una argomentazione contraddittoria è di per se stessa
errata.
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3) Contraddittorietà processuale della motivazione. Essa esiste quando vi è un contrasto tra gli atti
processuali e la motivazione della sentenza impugnata; si tratta di tutti quei casi nei quali la
motivazione non "fotografa" fedelmente le prove acquisite nel processo.
Il vizio di contraddittorietà processuale si ha quando la motivazione non rispetta le acquisizioni
processuali perché distorce i risultati probatori acquisiti (c.c. travisamento delle risultanze
probatorie), o quando si motiva su di una prova non risultante dagli atti (c.d. travisamento degli atti
per invenzione), o ancora quando la sentenza non motiva su di una prova che è stata acquisita (c.d.
travisamento per omissione). Qui, a differenza degli altri due casi, sarà necessario per la Cassazione
avere anche gli atti che vengono bollati come travisati, perché sarebbe impossibile eseguire un
controllo con la sola valutazione della sentenza.
I vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione devono risultare "dal
testo del provvedimento impugnato" oppure "da altri atti del processo specificatamente indicati
nei motivi di gravame”; quindi ciò che resta fuori dai motivi del ricorso per cassazione è la
valutazione di merito: il giudizio sulla credibilità della fonte e sulla attendibilità della dichiarazione.
48 – RICORSO IN CASSAZIONE II
Il giudizio in Cassazione si può concludere con le seguenti sentenze:
1) Inammissibilità. Il vaglio preliminare sull’ammissibilitá del ricorso viene effettuato dalla settima sezione
della C.C. nel caso in cui la ritenga ammissibile viene trasmessa a una delle sei sezioni rimaste, la quale
potrebbe comunque valutarla non ammissibile anche dopo il giudizio della settima sezione. Invece se il
ricorso viene dichiarato inammissibile già dalla settima sezione, il percorso del ricorso finisce lì.La Corte
dichiara inammissibile il ricorso quando accerta una causa di inammissibilità che non è stata
preliminarmente dichiarata in camera di consiglio. La Corte non si pronuncia e afferma solo che questo il
ricorso è inammissibile. Può essere dichiarato inammissibile per mancanza dei requisiti formali, come il
termine, la forma,ecc.. oppure se manifestamente infondato, oppure ancora per motivi di vizio della
motivazione dove la parte solleva critiche sulla ricostruzione dei fatti, obbligando la C.C. di entrare nel
merito, cosa non possibile per la C.C..
2) Rigetto. La Corte pronuncia sentenza di rigetto quando il ricorso è infondato, non essendo stato accolto
alcuno dei motivi proposti e passa in giudicato la sentenza che era stata impugnata. La parte è condannata
al pagamento delle spese del procedimento e solo eccezionalmente al pagamento della somma sopra
menzionata.
3) Annullamento. La Corte pronuncia sentenza di annullamento quando accoglie uno o più motivi di ricorso
o quando deve emettere tale pronuncia d'ufficio. L'annullamento è disposto con o senza rinvio al giudice di
merito.
L'annullamento senza rinvio è disposto nei casi in cui l'accoglimento del ricorso non impone di procedere
ad un nuovo giudizio di merito. (Annullamento a puro effetto rescindente)
Esso è pronunciato:
ANNULLAMENTO DELLA SENTENZA, la Corte annulla la sentenza, non la sostituisce, la sentenza che
passerà in giudicato sarà l'annullamento della sentenza, tutto si conclude con l'annullamento, cioè una
cancellazione
del
provvedimento
che
è
stato
emesso
in
1°
e
2°
grado.
Questa sentenza viene emessa nei casi in cui il processo non doveva essere fatto come nel caso di errore di
persona, oppure quando il reato apparteneva ad un altro giudice quindi si era verificato un difetto di
giurisdizione. Oppure viene emessa quando ci sono delle ipotesi di ne bis in idem quando vi è una sentenza
impugnata in cassazione e la Corte si accorge che quella sentenza era stata già giudicata quindi vi è già una
sentenza. Dunque in presenza di due sentenze la Corte procede con un annullamento secco perchè bastava
una sola sentenza, la Corte a questo punto annullerà quello meno favorevole.
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ANNULLAMENTO SENZA RINVIO AD EFFETTO RESCINDENTE E RESCISSORIO, muove la Corte di Cassazione
annulla la sentenza ed emette una sentenza. Sostituisce la sentenza impugnata con una sua sentenza che
mette essa stessa. In questo caso la C.C. non può essere più chiamato un giudizio di sola legittimità,
perché decide nel merito ed emette una sentenza lei stessa. Questo tipo di decisione può emetterla solo
in favor, ovvero qualora la nuova sentenza sia migliore rispetto a quella che annulla. Questa è possibile ai
sensi del’Art. 620. Lett. A “1. Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia
sentenza di annullamento senza rinvio: a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è
estinto o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita), quindi si tratta di proscioglimenti.
Immaginiamo che ci sia stata una condanna per un fatto, nel frattempo questo fatto non è più un reato e
quindi il ricorso in Cassazione stabilisce l’archiviazione della precedente sentenza ed emette una sentenza
di proscioglimento per l’estinzione del reato. Questo vale anche nel caso di modifica della pena in termini di
minimi e massimi, con la C.C. che andrà a ricalcolare la pena in base alle nuove disposizioni.
Inoltre la C.C. può ai sensi dell’Art. 129 CPP annullare e prosciogliere, avvicinandola sempre di più al
modello del gravame (processo Andreotti uso di prove non utilizzabili).
L'ANNULLAMENTO CON RINVIO è disposto quando l'accoglimento del ricorso impone un nuovo giudizio di
merito, che è precluso al giudice di legittimità. La Corte di cassazione annulla con rinvio al giudice di merito
il capo od i capi penali della sentenza viziata, fissando il principio di diritto vincolante per tale giudice.
Questi, tuttavia, resta libero, nei limiti della devoluzione originaria, di riesaminare i fatti. Questi i casi di
annullamento con rinvio:
a) se è annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice
che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento;
b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'articolo 604.1 (Il giudice di appello,
nei casi previsti dall'articolo 522 [Nullità della sentenza per difetto di contestazione], dichiara la
nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di
primo grado, quando vi è stata condanna per un fatto diverso o applicazione di una circostanza
aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o
di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o
equivalenti circostanze attenuanti), la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al
giudice di primo grado;
c) se è annullata la sentenza di una Corte d'assise di appello o di una Corte d'appello ovvero di una
Corte d'assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a
un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale
più vicini;
d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari,
la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice
deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata. In caso di annullamento
con rinvio la cancelleria della corte di cassazione trasmette, senza ritardo, gli atti del processo con
la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio; in caso di rigetto o di
inammissibilità trasmette al giudice che ha emesso la decisione gli atti e la copia del solo
dispositivo; in caso di annullamento senza rinvio o di rettificazione, trasmette al medesimo giudice
gli atti e la copia della sentenza.
Annullamento parziale Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa
ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata
(624.1); ed è proprio la Corte di cassazione che indica nel dispositivo della propria sentenza quali parti della
sentenza (impugnata) diventano irrevocabili. Nel caso in cui ometta tale dichiarazione, la corte, su
domanda o d'ufficio, pronuncia un'ordinanza integrativa che deve essere trascritta in margine od in calce
alla sentenza e ad ogni copia di essa successivamente rilasciata. Quanto al concetto di connessione
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essenziale, la giurisprudenza ritiene che tale vincolo sussista quando la parte annullata costituisca una
premessa indispensabile rispetto a quella non annullata.
Dunque si può dire che il giudice della Corte di cassazione è un giudice tanto di legittimità quanto di merito.
In quanto può capitare di pronunciarsi essa stessa, anche se può farlo in casi eccezionali :

può farlo in favor;

quando il fatto non è previsto dalla legge come reato;

perchè il reato è estinto;

perchè l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita;

può farlo solo se vuole prosciogliere art. 129 cpp;

può farlo per applicare norme più favorevoli preesistenti o sopravvenute.
49 – IL GIUDICATO E IL NE BIS IN IDEM
L’iter processuale termina quando la sentenza passa in giudicato, ovvero quando questa sentenza non
potrà più essere impugnata, se non attraverso il sistema straordinario della revisione. Questo momento
processuale si può verificare quando le parti non impugnano, oppure quando il giudizio di Cassazione si
concluda senza un rinvio, in tutti quei casi quindi dove la sentenza non è più impugnabile con i mezzi di
impugnazione ordinari.
Il giudicato comporta che quello contenuto in sentenza non è più modificabile, diventa intangibile, si dice
che diventa legge per il caso specifico. Altro aspetto è che la sentenza può essere portata in esecuzione e
quindi nel caso di condanna si potrà procedere alle misure restrittive della libertà.
Un corollario di questi effetti dell’esecuzione della sentenza è che il soggetto non potrà più essere giudicato
per quel fatto, sia che sia stato assolto, sia che sia stato condannato. Questo principio è riassunto nel
celebre brocardo “ne bis in idem” disciplinato dall’Art 649 CPP.
Art. 649 CPP. - Divieto di un secondo giudizio. 1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o
decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il
medesimo fatto [669], neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le
circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.
2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del
processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel
dispositivo.
Questo è un principio di garanzia, in quanto pone un limite all’azione penale nei confronti di un individuo
già processato e pone anche un principio di certezza delle situazioni giuridiche soggettive.
Si tratta di un effetto meramente negativo: ove un PM inizi un nuovo procedimento per il medesimo fatto
attribuito al medesimo imputato, il giudice ha l'obbligo di pronunciare sentenza di non luogo a procedere
(prima del dibattimento) o di proscioglimento per improcedibilità (in dibattimento).
Il divieto di un secondo giudizio è ricollegato alla presenza di requisiti indicati dalla legge. Il requisito
soggettivo del ne bis in idem è dato dall'identità tra la persona già giudicata e quella che si vorrebbe
sottoporre a procedimento penale. Il requisito oggettivo del ne bis in idem è rappresentato dal medesimo
fatto storico: il medesimo fatto sussiste solo se sono identici la condotta, l'evento ed il rapporto di
causalità.
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In termini di fatto si dice che il ne bis in idem copra il dedotto e il deducibile, ovvero poniamo il caso di un
soggetto processato e assolto per il reato di lesioni gravi;il PM potrebbe celebrare un nuovo processo per il
reato di lesioni per il medesimo fatto o tentato omicidio?
Chiaramente non è possibile, in quanto il nuovo processo, seppur modificato nel suo capo di imputazione,
si riferisce al medesimo fatto, alla medesima condotta,, quindi anche se il PM cambia il nome iuris (titolo di
reato).
Questo ha incontrato dei problemi nei concorsi formali di reato (una persona che con un’unica condotta
viola più norme di legge). Immaginiamo una persona processata per falsa testimonianza, dove accusi una
persona di aver commesso un fatto di reato (calunnia) e che sia stata assolta. Bene qui il ne bis in idem si
estende anche alla calunnia, seppur sia stata giudicata per la sola falsa testimonianza ed infatti è qui che
torna utile la modifica dei capi di imputazione durante il dibattimento. Infatti senza modifica dei capi di
imputazione non sarà più possibile giudicare la stessa persona neanche per il reato in concorso formale, in
quanto si riferisce al medesimo fatto.
Il problema, che si è posto principalmente per la giurisprudenza, è quello che riguarda il concorso formale
eterogenei dei reati di evento. Pensiamo a un danneggiamento avvenuto con il lancio di una pietra, dove
questa pietra ha frantumato una vetrina che ha provocato delle lesioni a delle persone, ebbene qui ci si era
posti il problema se l’autore del lancio potesse essere riprocessato per le lesioni, nel caso in cui fosse stato
processato solo per il danneggiamento. In questo caso, mutando l’oggetto della condotta, ovvero la
persona offesa, il ne bis in idem non è applicabile e quindi è possibile riprocedere ex novo per l’accusa di
lesioni.
Anche in presenza delle modificazioni del grado, aventi medesima condotta e oggetto del reato, vige il
principio del ne bis in idem, ovvero se ho proceduto per tentato omicidio, in caso di sentenza passata in
giudicato, non potrò più perseguirlo per lesioni gravi, oppure per omicidio.
Questo vale anche per le circostanze, aggravanti e attenuanti, modificandole non vi è comunque possibilità
di procedere nuovamente a processo.
Riepilogando quindi una sentenza passa in giudicato quando non è più possibile ricorrere nei modi ordinari.
Una volta che tale condizioni si verifica viene detto che “diventa legge” per quel fatto specifico e non è
possibile più riprocessare il soggetto per la medesima condotta, anche cambiando le circostanze, il nome
iuris. La giurisprudenza ammette un nuovo processo penale, solo nel caso in cui sia mutato l’oggetto del
reato, la parte offesa, nei cosiddetti concorsi formali nei reati di evento, anche se questo orientamento è
ancora molto dibattuto.
Il metodo di ricorso straordinario della revisione è possibile solo nel caso in cui vi sia stata una sentenza di
condanna è in presenza di errori e non è mai possibile contro le sentenze di assoluzione.
50 – LA CRISI DELL’ESECUZIONE E GLI INCIDENTI DI ESECUZIONE
Terminato tutto l’iter processuale e con la sentenza passata in giudicato, si apre la fase dell’esecuzione. In
questa fase abbiamo un giudice, detto dell’esecuzione, che si occupa di ogni aspetto che riguarda l'efficacia
esecutiva del provvedimento giurisdizionale, al fine di assicurare adeguate garanzie ai diritti fondamentali
dell'interessato, inevitabilmente coinvolti nell'esecuzione. (es. scarcerazione in caso di assoluzione e
viceversa provvedere alla cancellazione della patria potestà, ecc..) Il giudice competente a conoscere
dell'esecuzione di un provvedimento è, ai sensi dell'art. 665, lo stesso giudice che lo ha emesso; sono
previste tuttavia anche regole specifiche nel caso in cui il provvedimento sia stato impugnato e diversi siano
stati gli esiti dei gravami.
Il principio fondamentale che sancisce l’irrevocabilità, l’intangibilità della sentenza passata in giudicato,
subisce delle deroghe che negli ultimi anni si stanno notevolmente incrementando.
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Il procedimento di esecuzione (c.d. incidente di esecuzione)
L'iniziativa del procedimento è rimessa alle parti, secondo il principio ne procedat iudex ex officio: sono il
PM ed il soggetto passivo del provvedimento giurisdizionale (o il suo difensore), che nella fase esecutiva
abbiano concreto interesse all'instaurazione di questo procedimento, a presentare richiesta in forma scritta
al giudice dell'esecuzione.(Art 666 CPP).
Tale richiesta subisce un primo vaglio da parte del giudice (o del presidente del collegio):
==> ove questi la consideri "manifestamente infondata", o "mera riproposizione di un'istanza già rigettata",
sentito il PM, ne dichiara l'inammissibilità con decreto motivato, ricorribile in cassazione;
==> in caso contrario, fissa la data dell'udienza, curando che il provvedimento venga notificatol
all'imputato, al PM e al difensore di fiducia o d'ufficio entro 10 giorni dalla data predetta;
fino a 5 giorni dall'udienza le parti hanno la facoltà di depositare memorie in cancelleria.
L'udienza, a differenza dell'ordinario procedimento in camera di consiglio, si svolge con la necessaria
partecipazione del difensore e del PM (l'interessato ha facoltà di intervenire e di essere sentito).
L'assunzione di prove. Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di
cui abbia bisogno. Tuttavia, se occorre assumere prove, deve procedersi nel pieno rispetto del
contraddittorio. Il giudice assume la decisione con ordinanza ricorribile per cassazione; l'impugnazione di
regola non ha effetto sospensivo.
Il giudicato allo stato degli atti. Una volta decorso il termine di impugnazione o comunque esperiti i mezzi
di impugnazione, l'ordinanza emessa in sede di esecuzione acquista la caratteristica dell'irrevocabilità.
L'irrevocabilità è però solo allo stato degli atti, nel senso di non consentire il ne bis in idem, salvo che siano
cambiate le condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione.
L'attività di controllo assegnata al giudice dell'esecuzione ha per oggetto le condizioni formali che
consentono al comando di divenire, continuare o cessare di essere operativo nei suoi limiti originali.
Volendo effettuare una distinzione tra i casi disciplinati dal codice è possibile distinguere:

gli interventi più propriamente sul titolo esecutivo;

gli interventi sul procedimento esecutivo, cioè sulla regolarità e legittimità del suo svolgimento.
Gli interventi sul titolo esecutivo Nell'ambito degli interventi sul titolo esecutivo si possono ulteriormente
distinguere le ipotesi di controllo sull'esistenza ed esatta individuazione del titolo da quelli di modifica,
integrazione ed estinzione del titolo stesso.
A) QUESTIONI SUL TITOLO ESECUTIVO. Ai sensi dell'art. 670 il condannato può lamentare che il titolo
manca (ciò accade quando il provvedimento da eseguire è giuridicamente inesistente) o non è
divenuto esecutivo (non si è attuata quella conoscenza legale che permette all'imputato di
impugnarlo-es.condanna in contumacia).
B) CONFLITTO PRATICO DI GIUDICATI. L'art. 669 riguarda il caso in cui siano state emesse una
pluralità di sentenze per il medesimo fatto nei confronti della stessa persona: violazione del
principio del ne bis in idem che spingerà l'interessato a sollevare la questione davanti al giudice
dell'esecuzione. Il giudice, compiute le opportune verifiche, ordinerà l'esecuzione della sentenza
più favorevole; quanto alle altre, non costituendo valido titolo esecutivo, saranno revocate.
C) INTERVENTI MODIFICATIVI DEL TITOLO ESECUTIVO. Concorso formale e reato continuato: l'art.
671 consente l'applicazione in fase di esecuzione della disciplina del concorso formale e del reato
continuato tra più sentenze o decreti penali divenuti irrevocabili. Qualora il giudice ritiene che
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sussistano i presupposti del reato continuato o del concorso formale di reati, e questi non siano
stati esclusi dal giudice della cognizione, applica la disciplina del concorso formale e del reato
continuato determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascun
provvedimento; a tal fine deve essere instaurato a richiesta di parte un procedimento di
esecuzione.
L'art. 672, relativo all'applicazione dell'amnistia e dell'indulto, prevede, fra l'altro, il potere del PM
di sospendere l'esecuzione della pena nella pendenza del procedimento per la relativa applicazione
e l'obbligo del giudice dell'esecuzione di trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza quando, in
conseguenza, occorra applicare o modificare una misura di sicurezza.
L'art. 674 prevede il potere del giudice dell'esecuzione di disporre la revoca di una serie di benefici
già concessi ma condizionati (sospensione condizionale della pena, grazia, amnistia e indulto
condizionati, non menzione nel certificato del casellario giudiziale), quando la revoca stessa sia
stata disposta con la sentenza di condanna per altro.
F. INTERVENTI INTEGRATIVI DEL TITOLO ESECUTIVO Il giudice dell'esecuzione decide le questioni
relative alle pene accessorie, alla confisca ed alla restituzione delle cose sequestrate e dichiara la
falsità di un atto o di un documento quando questa, pure accertata nella sentenza a norma dell'art.
537, non sia stata dichiarata nel dispositivo della sentenza.
G. REVOCA DELLA SENTENZA PER ABROGAZIONE DEL REATO (ART. 673). Dopo che una sentenza è
divenuta irrevocabile, può accadere che:
1. una legge abroghi la norma penale incriminatrice sulla base della quale il giudice aveva
pronunciato la sua decisione;
2. la Corte Costituzionale dichiari illegittima la norma incriminatrice.
In detti casi "se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali".
In base all'art. 673, il giudice dell'esecuzione deve revocare la sentenza e adottare i provvedimenti
conseguenti, tra i quali l'eliminazione della iscrizione nel casellario giudiziale.
Questi sono i casi in cui il giudice dell’esecuzione è autorizzato a intervenire sul titolo esecutivo. In dottrina
e giurisprudenza ci si domanda se tali ipotesi siano tassative o meno.
Grandi discussioni sono in corso intorno alle aggravanti cassate, quali per esempio quella sulla clandestinità
in quanto status e non un fatto penalmente rilevante, ma che era stata introdotta nell’Art. 61 CP come una
aggravante, con conseguente aumento della pena.
Oppure ancora l’abrogazione della Legge Fini – Giovanardi dove rimane comunque il reato, ma il
trattamento sanzionatorio è cambiato in maniera più favorevole rispetto a chi ha già subito una condanna
definitiva. La disputa è tra la libertà personale e la certezza dei rapporti giuridici.
Ebbene, oggi questo bilanciamento è decisamente verso la libertà personale e pertanto si ritiene che il
giudice dell’esecuzione possa rideterminare il titolo esecutivo, scorporando dalla pena stabilita nel
processo, quella porzione di pena in più comminata secondo disposizioni che sono state dichiarate
incostituzionali. Questo discorso vale solo ed esclusivamente dove vi sia stata una dichiarazione di
incostituzionalità del trattamento sanzionatorio e non una modifica fisiologica normativa effettuata dal
potere esecutivo.
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FILE ELABORATO ASCOLTANDO LE VIDEO LEZIONI DELLA PROFESSORA APRATI – A.A. 2015-16, CON
L’AGGIUNTA DI QUALCHE SCHEMA SCOVATO IN RETE.
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