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Elementi di Legislazione
Operatore
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INTRODUZIONE AL DIRITTO
L’ordinamento giuridico è formato da un insieme di norme giuridiche.
La norma giuridica, ovvero una regola generale ed astratta emanata dallo Stato che
concorre a disciplinare l’organizzazione della vita della collettività, è composta da:
• PRECETTO: è un comportamento che si deve tenere, descritto dalla norma
giuridica;
• SANZIONE: è la conseguenza prevista per chi non rispetta la norma giuridica, o
meglio, il comportamento che la norma impone di avere.
La norma giuridica ha delle caratteristiche:
• OBBLIGATORIA: deve essere rispettata da tutti
• GENERALE: è uguale per tutti
• ASTRATTA: non si riferisce a casi specifici
• COATTIVA: è imposta con la “forza”.
LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
La funzione giurisdizionale è l’applicazione delle norme giuridiche astratte ai casi concreti
nel risolvere controversie tra i diversi soggetti e nell’imporre le sanzioni a quei soggetti che
non hanno rispettato le norme giuridiche. Questa funzione è esercitata dalla magistratura.
Il giudice quando applica le norme , è come se fosse la “voce” della legge, infatti deve essere
terzo ed imparziale.
ELEMENTI DI ETICA PROFESSIONALE - IL SIGNIFICATO DI ETICA PROFESSIONALE
Per etica professionale si intende l’insieme delle convenzioni e delle norme morali, che
regolano l’esercizio di una professione e che sono considerate vincolanti per coloro che
esercitano tale professione. L’idea che anche l’esercizio della professione, così come molti
altri settori dell’esistenza (famiglia, sessualità, vita sociale), sia soggetto a norme etiche, è
presente nella società da quando esistono le professioni. Il famoso giuramento di Ippocrate
può essere considerato come una prima testimonianza di vero e proprio codice di etica
professionale.
ETICA E INFANZIA
L’infanzia è il momento in cui va prestata la massima attenzione a tutte le forme di
educazione e socializzazione a cui il bambino prende parte. È il momento in cui si pongono
le basi dell’identità caratteriale del bimbo, inizia a prendere forma la sua identità e si inizia
a sviluppare il senso di cultura e di legalità che contribuisce a formare l’uomo del domani.
La sua professionalità va fondata su alcuni principi fondamentali il cui principale obiettivo è
quello di aiutare gli utenti ad ottenere un migliore adattamento con l’ambiente circostante e
possono essere così sintetizzati:
• Individualizzazione: è il riconoscimento del valore di ogni singolo utente, basato sui
diritti dell’essere umano.
• Importanza dell’espressione dei sentimenti: è il riconoscimento del bisogno
dell’utente di esprimere liberamente i suoi sentimenti.
• Controllo del coinvolgimento emozionale: perché la sensibilità degli operatori per i
sentimenti dell’utente non significa un’appropriata risposta ad essi.
• Accettazione: che significa accettare l’utente per quello che è con i suoi lati deboli e
forti.
• Atteggiamento non giudicante: significa che non fa parte dell’operatore sociale
dichiarare colpevoli o innocenti.
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Autodeterminazione dell’utente: è il riconoscimento del diritto dell’utente alla libertà
di fare le proprie scelte.
• Riservatezza: è la salvaguardia del segreto sulle informazioni che concernono
l’utente.
Gli aspetti etici che coinvolgono maggiormente gli operatori nel settore sociale,
comprendono tre elementi:
• Aspetti relativi ai diritti individuali e al benessere: che riguarda il diritto dell’utente di
prendere le proprie decisioni e di effettuare le proprie scelte e a responsabilità
dell’operatore di promuovere il benessere dell’utente.
• Aspetti relativi al benessere collettivo: che fanno riferimento ai diritti e agli interessi
dell’utente e alla responsabilità dell’operatore nei confronti della società.
•
CODICE DEONTLOGICO
Il codice deontologico è un codice di comportamento che aiuta a sviluppare un senso di
identità comune e di valori condivisi all’interno di un gruppo professionale. L’elaborazione di
un codice deontologico non è dunque un optional, ma la scelta di fornirsi di uno strumento
valido ed unico nel Sistema dei Servizi Sociali ed Educativi per acquisire a tutti gli effetti lo
status di una professione e per potersene avvalere nello svolgimento della pratica
professionale.
I SIMBOLI COSTITUZIONE
• Foglie d’ulivo: popolo di pace
• Quercia: popolo forte
• Stella: vecchio simbolo della cultura italiana
La costituzione è composta da 139 articoli ed è entrata in vigore nel 1948 ed è suddivisa in
tre parti:
• art. 1 a 12 (principi fondamentali)
• art. 13 a 54 (diritti e doveri dei cittadini)
• art. 55 a 139 (ordinamento nella Repubblica: Governo, Parlamento, Magistratura,
Presidente della repubblica)
Nel libro ci sono i seguenti termini:
• L= LEGGE
• C.C.= CODICE CIVILE
• COST.= COSTRUZIONE
• D.L.= DECRETO LEGGE
• DLGS=DECRETO LEGISLATIVO
• C.P.= CODICE PENALE
DIRITTI DEI MINORI IN AMBITO COSTITUZIONALE E IN AMBITO INTERNAZIONALE
La costituzione della Repubblica italiana è la legge fondamentale che stabilisce
l’ordinamento dello Stato e i diritti e doveri dei cittadini.
Diamo uno sguardo agli articoli di maggiore interesse
ART. 30
È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio. Nei casi di incapacità genitoriale, la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
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compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti
per la ricerca della paternità.
Per quanto riguarda il primo comma, la responsabilità genitoriale ha sia contenuto
personale, cioè relativo all’educazione ed istruzione dei figli, sia contenuto patrimoniale, in
relazione soprattutto al loro mantenimento.
Figli legittimi: sono quelli
nati
all’interno
del
matrimonio.
ANCHE SE NATI FUORI
DAL MATRIMONIO: Figli naturali: nati al di
fuori del matrimonio (figli
adottati o nati da persone
non sposate
Oggi la legge assicura ai figli naturali, gli stessi diritti e doveri dei figli legittimi (senza
discriminazione). Si è parificata la loro posizione con quella dei figli legittimi, sia nel rapporto
con i genitori (affettiva), sia nei diritti ereditari (successione).
COSA SUCCEDE IN CASO DI PERDITE DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE?
L’incapacità dei genitori va ravvisata in tutti i casi in cui non vengono adempiuti i doveri-diritti
di mantenere, istruire ed educare. Il giudice deve valutare se la condotta del genitore sia
pregiudizievole (violento o abusa) e quali conseguenze potrebbe avere il provvedimento di
sospensione- revoca sul minore.
ART. 33
Il giudice può pronunziare la decadenza della responsabilità quando il genitore viola o
trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio per il figlio.
Il giudice può adottare i seguenti provvedimenti:
• Il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare, ovvero
l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
• Se il provvedimento viene adottato nei confronti di un solo genitore, in questo caso
la responsabilità genitoriale spetta in un modo esclusivo all’altro genitore, (il genitore
che ha perso la responsabilità comunque continua ad essere gravato da tutti i suoi
doveri, principalmente quello del mantenimento).
• Nel caso di incapacità di entrambi i genitori il giudice può:
o AFFIDO FAMILIARE (casa famiglia, famiglie affidatarie, nonni o zii).
o NOMINA DI UN TUTORE (soggetto estraneo).
o ADOZIONE DEL MINORE (perdita o abbandono da parte del genitore).
PROVVEDIMENTO MOMENTANEO:
ai sensi dell’art. il giudice può reintegrare nella responsabilità, il genitore decaduto quando
siano cessata le ragioni originarie, con esclusione di ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.
ART. 33-34
• Rapporto famiglia-scuola
• La scuola è aperta a tutti (cioè vieta qualsiasi discriminazione e deve essere
assicurato sia ai cittadini italiani sia agli stranieri). La collocazione delle norme relative
alla scuola, immediatamente dopo la disciplina della famiglia non è casuale.
Infatti l’educazione e la formazione dei bambini e dei ragazzi, si svolge attraverso la
collaborazione famiglia-scuola. Infatti le istruzioni scolastiche svolgono il compito di
integrare l’opera dei genitori nella formazione educativa e culturale del giovane. L’istruzione
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del giovane è un fattore che incide maggiormente sui rapporti sociali e sulla sua possibilità
di affermarsi nel mondo del lavoro. Per questo motivo la Costituzione prevede assegni
familiari (alle famiglie svantaggiose) e borse di studio. In base alla normativa vigente la
scuola è obbligatoria fino ai 16 anni.
ART.37
LAVORO MINORILE
Il nostro ordinamento rivolge particolare attenzione alla tutela dello sviluppo psicofisico del
minore, garantendo il comportamento dell’istruzione obbligatoria (16 anni) e vietando lo
svolgimento di attività che ne possono compromettere la salute e la dignità. Il nostro
ordinamento fa una distinzione tra bambino e adolescente:
• BAMBINO: è il minore che non ha ancora compiuto i 16 anni di età ed è ancora
soggetto all’obbligo scolastico.
• ADOLESCENTE: è il minore di età compresa tra i 16 e 18 anni e che non è più
soggetto all’obbligo scolastico.
L’occupazione dei bambini è assolutamente vietata, in casi eccezionali è ammessa (attività
di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario). L’impiego del lavoratore minorenne
(16 anni) è ammesso solo se questi ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria. In ogni
caso è vietato adibire gli adolescenti alle lavorazioni potenzialmente pregiudizievoli per il
pieno sviluppo fisico del minore (si tratta delle attività che comportano l’esposizione ad
agenti chimici, fisici o biologici).
LEGGI IN MATERIA MINORILE
LA CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA
Sono quattro i principi su suddetta convenzione:
1. Principio di non discriminazione: I diritti sanciti dalla convenzione devono essere
garantiti a tutti i minor, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione.
2. Superiore interesse: in ogni legge, provvedimento o in qualsiasi situazione
problematica, l’interesse del bambino-adolescente deve avere la priorità.
3. Ascolto dell’opinione del minore: provvede il diritto dei bambini ad essere ascoltati in
tutti i processi decisionali che li riguardano e di tenere un’adeguata considerazione
delle loro opinioni.
4. Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino: gli stati devono
impegnare di tutte le risorse che dispongono per garantire al bambino il diritto alla
vita e a un sano sviluppo.
Tale convinzione riconosce il bambino non più come un soggetto passivo, ma viene
considerato titolare di diritti e doveri.
PRINCIPI FONDAMENTALI DEI DIRITTI DELL’INFANZIA
La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è stato il primo strumento di
tutela internazionale a sancire nel proprio testo le diverse tipologie di diritti umani: civili,
culturali, economici, politici e sociali, nonché quelli concernenti il diritto internazionale
umanitario.
Sono 4 i principi fondamentali della Convenzione:
• Principio di non discriminazione
o Il principio, sancito all'art. 2, impegna gli Stati parti ad assicurare i diritti ivi
sanciti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua,
religione, opinione del bambino e dei genitori.
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Superiore interesse del bambino
o Il principio, sancito dall'art. 3, prevede che in ogni decisione, azione legislativa,
provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale,
l'interesse superiore del bambino deve avere la priorità
• Diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo
o Il principio è sancito dall'art. 6 che prevede il riconoscimento da parte degli
Stati membri del diritto alla vita del bambino e l'impegno ad assicurarne, con
tutte le misure possibili, la sopravvivenza e lo sviluppo.
• Ascolto delle opinioni del bambino
o Il principio, sancito dall'art. 12, prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati
in tutti i procedimenti che li riguardano e comporta il dovere, per gli adulti, di
ascoltare il bambino e di tenere in adeguata considerazione le sue opinioni.
L’Italia ha ratificato la Convenzione con la Legge 176 del 27 maggio 1991 e ha fino ad oggi
presentato al Comitato sui diritti dell’infanzia, quattro Rapporti
•
Qualche domanda molto frequente
o L’articolo 30 della costituzione italiana parla: dei figli.
o Che cos’è la costituzione italiana? È la legge fondamentale dello stato.
o In quale articolo è sancito la tutela dei minori? Articolo 37.
o Che cosa si intende per responsabilità genitoriale? Educare ed istruire i figli.
148/2000 – Lavoro Minorile
Approfondimento: con questa legge si introduce nell’ordinamento giuridico italiano la
Convenzione sulla proibizione delle forme peggiori di lavoro e la Raccomandazione 190 che
fornisce suggerimenti agli Stati circa le modalità di realizzazione dei programmi di azione al
fine di dare concretezza alle norme del Trattato.
Entrambi i documenti son stati adottati dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione
internazionale del Lavoro durante la sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999
Vediamo ora nello specifico quali sono gli impegni che scaturiscono dal testo del trattato.
• Art 1.: stabilisce che ogni Stato parte deve prendere con procedura di urgenza misure
immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l’eliminazione delle forme
peggiori di lavoro Minorile.
• Art.3: elenca quelle che sono considerate le “forme peggiori di lavoro minorile”.
L’Elenco fa riferimento a tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù
(la vendita o la tratta, la servitù per debiti e l’asservimento, il lavoro forzato o
obbligatorio, il reclutamento forzato o obbligatorio di minori nel contesto di conflitti
armati), l’impiego, l’ingaggio o l’offerta di un minore con fini di prostituzione, di
produzione di pornografia, di spettacoli pornografici o ai fini di attività illecite,
l’impiego, l’ingaggio o l’offerta di un minore per attività illecite di qualsiasi genere.
L’Articolo termina con una norma di chiusura, che fa rientrare nella definizione ogni
tipo di lavoro, anche se non precedentemente elencato, che per sua natura o per le
circostanze in cui viene svolto potrebbe compromettere la salute, la sicurezza e la
moralità del minore.
La convenzione quindi non contiene delle norme direttamente applicabili negli
ordinamenti interni.
• Art. 7 stabilisce a tal proposito che gli Stati Parte si impegnino ad adottare tutti i
provvedimenti necessari a garantire l’effettiva implementazione ed applicazione delle
disposizioni contenute nella Convenzione.
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I fini che si intendono raggiungere per mezzo della Convenzione sono diversi: da una
parte impedire che i minori vengano coinvolti nelle forme di lavoro oggetto de trattato,
dall’altra fornire assistenza diretta ai minori garantendo la rieducazione e l’inserimento
sociale.
451/1997 – Attività di controllo e di indirizzò in materia di tutela dell’infanzia
• Art 1.: Istituisce Commissione parlamentare il cui compito fondamentale è quello di
svolgere attività di controllo sull’operato delle pubbliche amministrazioni che si
occupano della tutela dei minori. Può redigere dati, richiedere documenti e
informazioni.
• Art 2.: Istituisce l’Osservatorio Nazionale per l’infanzia. Questo osservatorio ogni 2
anni emana un documento dove si individuano e si analizzano gli interventi necessari
al miglioramento delle condizioni del minore
Approfondimento: questa legge è di fondamentale importanza per quanto concerne le
attività di controllo e di indirizzo in materia di tutela dell’infanzia. La Commissione
parlamentare istituita con l’Art.1 ha il fine di garantire l’omogeneità delle politiche rivolte
all’infanzia. La Commissione è dotata di funzioni di indirizzo e di controllo anche sull’operato
attuazione degli accordi internazionali e della legislazione nazionale. Svolge funzioni di
controllo anche sull’operato delle pubbliche amministrazioni e degli altri organismi che si
occupano di questioni attinenti alla tutela dell’infanzia, essendo autorizzata a tal fine a
richiedere informazioni, dati e documenti agli enti e agli organismi di cui sopra.
Ogni anno la Commissione presenta i risultati della sua attività alle Camere, formulando
osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento
della legislazione nazionale a quella comunitaria e internazionale.
Con ‘Art.2 invece nasce l’Osservatorio Nazionale per l’infanzia presso la Presidenza del
consiglio, presieduto dal Ministro per la Solidarietà sociale composto da esperti,
rappresentanti degli enti locali e di organismi di volontariato impegnati nella promozione e
nella tutela dei diritti per l’infanzia. Il compito principale è di predisporre ogni 2 anni il Piano
Nazionale di Azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva. Questo è un documento che individua ed analizza gli interventi necessari al
miglioramento della condizione dell’infanzia a livello nazionale e agli aspetti relativi alla
cooperazione internazionale per lo sviluppo dell’infanzia.
L’osservatorio redige ogni 2 anni la relazione sulla condizione dell’infanzia e sull’attuazione
dei relativi diritti in Italia. La legge prevede che, nell’espletamento delle sue funzioni, questo
organismo si avvalga del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia.
285/1997 – Disposizioni per la promozione dei diritti e opportunità per l’infanzia e
l’adolescenza.
• Prevede l’istituzione di un fondo nazionale che ha diversi scopi.
o Finanziare progetti volti alla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza
o Viene ripartito tra le Regioni, Province e Enti Locali
o L’Art.3 di suddetta legge elenca le finalità che i progetti devono avere per
ottenere tali fondi (esempio le carenze di strutture per la prima infanzia, il
contrasto al fenomeno della criminalità organizzata, eccetera)
Approfondimento: introduce disposizioni finalizzate alla promozione di diritti ed opportunità
per l’infanzia e l’adolescenza. In particolare, l’Art.1 prevede l’istituzione di un fondo
nazionale presso la presidenza del consiglio, adibito a finanziare progetti volti alla
promozione dei diritti, alla qualità della vita, dello sviluppo, della realizzazione individuale e
della socializzazione. Si tendono a privilegiare in tal senso gli ambienti ritenuti più favorevoli
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al raggiungimento di questi scopi, ossia la famiglia naturale, adottiva o affidataria. Questo
fondo, da ripartire tra le Regioni, Province e Comuni, sulla base di criteri che considerano in
particolare la carenza delle strutture per la prima infanzia, il numero di minori presenti sul
territorio, la percentuale delle famiglie con minori che vivono al di sotto della soglia di
povertà, l’incidenza percentuale del coinvolgimento dei minori in attività criminose.
• L’Art.3: elenca le finalità che i progetti devono perseguire per poter essere ammessi
al finanziamento. Vengono privilegiati quelli aventi ad oggetto servizi di preparazione
e di sostegno alla relazione genitori-figli, misure di contrasto alla povertà e alla
violenza, misure alternative al ricovero di minori in istituti educativi assistenziali,
servizi socio-educativi per la prima infanzia, servizi ricreativi ed educativi per il tempo
libero, azioni positive per la promozione e l’esercizio dei diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, azioni per il sostegno alle famiglie naturali o affidatarie che abbiano
al loro interno uno o più minori portatori di handicap.
• Art.11: affida al Ministro per a solidarietà sociale il compito di convocare
periodicamente e almeno ogni 3 anni una conferenza nazionale sull’infanzia e
sull’adolescenza organizzata dal Dipartimento per gli affari sociali con il supporto
tecnico ed organizzativo del centro nazionale di documentazione e di analisi per
l’infanzia.
269/1998 – Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pedopornografia,
del turismo a danno dei minori
Ha aggiunto nuovi articoli e nuovi comma all’art. 600 del c.p.
o Art. 600 bis: penalizza la condotta di chi favorisce o sfrutta la prostituzione
minorile
o Art. 600 ter: punisce il commercio, distribuzione, divulgazione e pubblicazione,
di materiale pornografico
o Art. 600 quarter: punisce la detenzione di materiale pornografico
o Art. 600 quinques: punisce chi organizza viaggi finalizzati allo sfruttamento
minorile
• Art.2: introduce l’Art 600 bis che punisce la prostituzione minorile, penalizza la
condotta di chi induce, favorisce, sfrutta la prostituzione minorile. Lo stesso articolo
introduce delle misure introduce anche delle misure a tutela del minore che esercita
la prostituzione, attribuendo competenze specifiche in questo senso al pubblico
ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio e alla Procura della Repubblica presso il
tribunale dei minorenni.
• L’Art.3: introduce l’Art. 600 ter che punisce la pornografia minorile e penalizza una
serie di condotte implicabili lo sfruttamento di minori per la produzione di materiale
pornografico, il commercio ma anche la distribuzione, la divulgazione, la
pubblicazione o cessione, anche a titolo gratuito, di materiale prodotto mediante lo
sfruttamento sessuale dei minori.
• L’Art.4: introduce l’Art. 600 quarter che punisce la detenzione di materiale
pornografico, stabilisce delle sanzioni anche nei confronti di chi detenga
intenzionalmente materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale
dei minori.
• L’Art.5: introduce l’art. 600 quinques che punisce le iniziative turistiche volte allo
sfruttamento della prostituzione minorile, in questo caso il comportamento criminoso
penalizzato consiste sia nell’organizzare che nel propagandare viaggi finalizzati o
anche solo comprensivi di fruizione di attività di prostituzione a danno dei minori. La
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novità introdotta da questo articolo è che sarà possibile perseguire cittadini italiani
che abbiano commesso tale reato all’estero.
• L’Art.9: sanziona la tratta di minori finalizzata all’avvio e alla prostituzione. Questa
disposizione viene aggiunta alla fine dell’Art. 601 del codice penale relativo alla tratta
di esseri umani.
• L’Art.17: attribuisce poi una serie di compiti alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
In particolare funzioni di coordinamento delle attività svolte dalle pubbliche
amministrazioni in tema di prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo
sfruttamento sessuale e dall’abuso sessuale.
Approfondimento: questa legge segue la scia di importanti innovazioni del diritto
internazionale in materia di tutela dell’infanzia, in particolare quelle contenute nella
dichiarazione finale della Conferenza Mondiale di Stoccolma del 1996 e nella Convenzione
sui diritti del fanciullo dell’89. La legge modifica il codice penale vigente aggiungendo i nuovi
articoli sopraelencati (dal 600 bis al 600 septies) aventi ad oggetto nuove fattispecie
criminose che coinvolgono direttamente i minori.
AFFIDO/ADOZIONE
Il minore ha diritto di crescere ed essere educato all’interno della propria famiglia (art. 1/184
del 1983). Ne consegue che le misure volte a separarlo da essa, devono essere considera
come estrema ratio (l’ultimo caso).
Affidamento: è un provvedimento temporaneo attraverso il quale un minore viene affidato
ad una famiglia (preferibilmente con minori), o ad una persona singola, parenti (entro il
quarto grado di parentela), i nonni (vedi fotocopie). Può essere:
• Consensuale: c’è un accordo tra la famiglia d’origine e la famiglia affidataria.
• Giudiziario: Prevede l’intervento del giudice.
In base al tempo l’affido può essere:
• A lungo termine: fino a due anni, con possibile proroga.
• A medio termine: entro 18 mesi, sempre tenendo conto del grado di difficoltà della
famiglia di origine.
• A tempo parziale: ad esempio, alcune ore al giorno, fine settimana, brevi periodi di
vacanza.
I COMPITI DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA SONO:
i genitori affidatari svolgono un compito molto importante e complesso per il minore:
1. Non solo deve garantirgli una situazione familiare stabile (mantenere, istruire ed
educare);
2. Consentire al minore di avere rapporti sereni con la famiglia d’origine, che deve
essere pronta a riaccoglierlo quando sono stati risolti i problemi che l’hanno portato
all’allontanamento.
ADOZIONE
Con l’adozione, una coppia può riconoscere come figli dei soggetti (solitamente minorenni)
rimasti senza genitori o che non siano stati riconosciuti, o che si trovino in una situazione di
abbandono. La procedura di adozione è particolarmente complessa: occorre, prima di tutto,
essere considerati idonei dal tribunale per i minori , che verifica tale elemento attraverso i
servizi socio-assistenziali presenti sul territorio di cui si serve per svolgere le verifiche di cui
ha bisogno.
Gli aspiranti genitori vengono considerati idonei in presenza di tre requisiti fondamentali:
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1. devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, senza nessuna separazione
di fatto. In alternativa, devono aver convissuto, prima del matrimonio, in modo stabile
e continuativo, per almeno tre anni;
2. la differenza di età tra adottato e adottante deve essere compresa tra i 18 e i 45 anni;
3. devono essere idonei ad educare, istruire e mantenere i minori che intendono
adottare.
A tal proposito, occorre segnalare che è l’adozione è, in realtà, possibile anche se il minore
non è in stato di abbandono; si parla, in tal caso, di adozione in casi particolari: ha lo
scopo di assicurare al minore l’inserimento in un ambiente familiare che gli assicuri
quell’assistenza materiale e morale che la famiglia di origine non è in grado di fornirgli.
L’iter per adottare un minorenne si articola essenzialmente in quattro tappe fondamentali:
1. presentazione della domanda di adozione al tribunale per i minorenni;
2. accertamento dei requisiti della coppia da parte del tribunale e dei servizi sociali;
3. affidamento preadottivo, che dura un anno e può essere prorogato o revocato a
seconda delle situazioni;
4. dichiarazione di adozione vera e propria, emessa dal tribunale.
Ma quali effetti produce il provvedimento di adozione?
• Il minore adottato diventa figlio degli adottanti e ne assume il cognome
• Cessano i rapporti tra l’adottato e la famiglia di origine
le principali differenze tra l’affidamento familiare e l’adozione si possono così riassumere:
• l’affido è temporaneo, l’adozione è definitiva: nell’affido si accoglie un bambino la cui
famiglia sta attraversando un periodo di crisi, nell’adozione si accoglie un bambino
per cui si è accertata la situazione di abbandono;
• nell’affido rimane sempre il legame con la famiglia d’origine: il bambino vede i propri
genitori che rimangono un riferimento per lui e che possono dare indicazioni riguardo
l’educazione e l’istruzione del bambino; nell’adozione il legame con la famiglia
d’origine viene interrotto per sempre.
AFFIDO CONDIVISO DEI FIGLI MINORENNI IN CASO DI SEPARAZIONE
Per dare una risposta esauriente bisogna far riferimento ad una legge importante ovvero la
54/2006.
L’ottica di questa legge è quella della cosiddetta bigenitorialità e cioè ciascuno dei genitori
è responsabile delle scelte, della educazione e della crescita dei propri figli. Prima di questa
legge l’affido era monogenitoriale ovvero che un solo genitore si faceva carico di tutta
l’educazione del figlio mentre l’altro era una figura complementare. Con l’affido condiviso
invece, entrambi i genitori sono chiamati a predisporre un piano educativo condiviso che
prevede una ripartizione dei compiti sulla vita quotidiana dei propri figli. Nell’affido condiviso
si prevede una collocazione stabile del minore presso un genitore che però non preclude
l’affido condiviso, ma è una sorta di garanzia, di stabilità che viene data al minore in quanto
esso ha comunque bisogno, a prescindere dalla rottura del rapporto matrimoniale, di un
ambiente sicuro e sereno nel quale svolgere la propria attività quotidiana.
È da sottolineare che l’affido condiviso prescinde dalla situazione economica e da eventuali
colpe nell’ambito della separazione (ad esempio infedeltà).
La regola dell’affido condiviso non viene applicata come criterio generale quando siamo in
presenza di situazioni gravi (ad esempio genitore violento).
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ASSEGNO DI MANTENIMETO PER I FIGLI
A quanto ammonta l’assegno di mantenimento?
Non esiste una risposta secca poiché ogni situazione viene valutata caso per caso.
La regola però consiste nel fatto che esso viene calcolato in base al reddito di entrambi i
coniugi, quindi se siamo in fase di “separazione consensuale” bisogna predisporre un
accordo che tenga conto della situazione economica di entrambi.
Se invece siamo in tema di separazione giudiziale, sarà il giudice a stabilire l’importo
dell’assegno e se ci sono delle disparità sostanziali, dovrà imputare maggiore peso
economico ad un coniuge rispetto all’altro.
Se invece esiste una sostanziale uguaglianza dei redditi, il giudice stabilirà una cifra che
non dovrà essere di pregiudizio né per l’uno né per l’altro.
L’assegno di mantenimento può esser visto come una forma di scambio (non si può
utilizzare tale assegno come strumento di ricatto per l’altro coniuge)
Cosa accade se l’assegno non viene versato?
In questo caso si parla di responsabilità penale (precisamente quanto contenuto nell’art. 57
del c.p.).
APPROFONDIMENTO da INTERNET.
In caso di separazione, il giudice non è sempre tenuto a collocare i figli dalla madre, anche
se piccoli e in età scolare.
In caso di separazione di marito e moglie, non è detto che i figli debbano essere assegnati,
con preferenza, alla madre e non al padre. A scardinare il principio di «prevalenza materna»
è il Tribunale di Milano con un recente decreto che si pone in netta antitesi con quanto,
invece, sostenuto dalla Cassazione. Con una sentenza del mese scorso, la Suprema Corte
aveva sostenuto che, una volta intervenuta la separazione tra i coniugi, il giudice
deve preferire la madre come genitore presso cui fissare la dimora abituale dei bambini
quando questi sono ancora in età scolare. Resta salvo ovviamente l’affidamento
condiviso con il padre e il diritto di quest’ultimo di far loro visita. Visione però non condivisa
dal Tribunale di Milano secondo cui, invece, la collocazione dei bambini presso la madre è
tutt’altro che automatica e scontata.
Il collocamento non è altro che il luogo ove i figli minori andranno a vivere stabilmente,
fissando la propria residenza. In altre parole è la casa dove i bambini devono tornare a
dormire tutte le notti. Se sino ad oggi, su indicazioni della Cassazione, nella scelta del miglior
genitore per il collocamento del figlio con meno di 18 anni doveva preferirsi la madre,
secondo la pronuncia in commento bisogna invece valutare caso per caso, senza pregiudizi
e preconcetti, avendo di mira solo l’interesse del minore. Dunque, si parte da una
impostazione di pari condivisione genitoriale: se il giudice ritiene di preferire la madre
rispetto al padre è perché quest’ultimo deve essere ritenuto non adeguato e non perché la
prima debba essere ritenuta «superiore» sulla base di un non meglio precisato ordine
naturale delle cose.
Del resto, prosegue il decreto del foro meneghino, né nel codice civile, né nella Costituzione
vi sono norme che attribuiscono preferenza privilegiata alla madre nella collocazione dei
figli. Al contrario, come hanno messo bene in evidenza gli studi anche internazionali, il
principio di bi-genitorialità e quello di parità genitoriale hanno portato all’abbandono del
criterio della preferenza materna, a favore invece di normative incentrate sul criterio
della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere, sia il padre che la madre.
In sintesi, l’unico elemento che deve condurre il giudice a scegliere presso quale genitore
fissare la residenza dei figli non può essere il «genere» di questi (uomo o donna), ma
l’interesse del bambino.
11
APPROFONDIMENTO da INTERNET.
Nei casi di separazione e divorzio i giudici preferiscono collocare i figli presso la madre
anche quando quest'ultima decide di trasferirsi lontana dal padre.
Salvo nei casi in cui risulta inadeguata, quasi sempre in casi di separazione e divorzio i figli
vengono affidati alla madre.
Anche se non c’è bisogno di una sentenza specifica per affermare questa abitudine che
vuole che i figli minori siano assegnati sempre all’ex moglie, nonostante siano molti i padri
che dimostrano ottime capacità genitoriali.
I figli sempre con la madre, anche in caso di trasferimento
Ma la sentenza della Corte di Cassazione numero 18087 del 14 settembre 2016 c’è di più:
i giudici preferiscono collocare i figli minori presso la madre anche quando quest’ultima
decide di trasferirsi a molti chilometri di distanza dall’abitazione coniugale (in alcuni casi,
però, sono i figli a scegliere con quale genitore vivere).
La sentenza chiarisce in un commento che finché i figli vanno a scuola devono essere
collocati preferibilmente presso la madre anche se il padre dimostra doti di premura, amore
e capacità di prendersi cura dei piccoli. Il privilegiare la mamma si supera soltanto qualora
la donna si riveli inadeguata ad accudire i figli.
In discussione nella sentenza, è bene chiarirlo, è solo la residenza dei minori, e cioè il luogo
dove dimorano abitualmente, mentre la regola vuole che l’affido sia sempre condiviso tra i
due genitori con una partizione paritaria di diritti e doveri nei confronti dei figli e con l’obbligo
di concordare decisioni che abbiano a che fare con l’indirizzo educativo, di istruzione e di
crescita.
Molto spesso, però, il papà nell’affidamento condiviso viene chiamato in causa soltanto
quando deve pagare le spese, escludendolo, di fatto, dalle decisioni della vita quotidiana
dei figli. In alcuni casi, poi, si assiste anche alla strumentalizzazione dei figli per ripicche
genitoriali la cui conseguenza è quella dell’alienazione parentale.
Nella decisione del giudice nella collocazione dei figli minori non ha peso chi abbia colpa
della separazione o chi ha violato gli accordi stabiliti in sede di separazione, l’interesse
primario dei giudici è solo quello di garantire il benessere morale e materiale dei minori. La
scelta di trasferimento della madre, viene fatto notare, che non sempre è indice di voler
allontanare i figli dal padre, ma potrebbe dipendere anche da una scelta diversa della sede
di lavoro per una progressione di carriera (diritto garantito dalla Costituzione) o di necessità
abitativa.
Il giudice, quindi, deve stabilire dove far vivere i bambini scegliendo il genitore più adatto.
L’interesse dei figli, almeno secondo la Corte di Cassazione, è di vivere con la madre anche
in caso di trasferimento e indipendentemente dal fatto che questo possa incidere in modo
negativo sui rapporti dei figli col padre. I giudici, anzi, nel caso specifico della presente
sentenza, hanno anche respinto le tesi paterne sui danni che l’eccessivo pendolarismo
potrebbero avere sui figli.
IL PIANO DI ZONA: CHE COS’E’
Si tratta di uno degli strumenti più belli che gli Assistenti Sociali hanno disposizione al fine
di partecipare alla progettazione sociale nell’ambito territoriale di competenza.
Questo strumento viene introdotto dall’articolo 19 della L. 328/2000 e rientra le riforme più
riuscite della legge quadro poiché, secondo i dati, nel 2010, quasi tutte le Regioni italiane
avevano adottato un piano sociale di zona.
12
L’introduzione del PDZ apporta cambiamenti importanti nella programmazione delle
politiche sociali:
• aumentano i costruttori delle politiche sociali, si passa da un sistema di governement
a quello di governance¹;
• sì programma in modo congiunto con l’ASL;
• sì programma a livello locale, nell’ambito territoriale di competenza.
Il PDZ è uno strumento di programmazione territoriale concertata e partecipata.
Gli attori coinvolti in questo processo di progettazione sono molteplici:
• il Comune,
• le ASL,
• la provincia,
• il Terzo settore,
• gli enti gestori dei servizi sociali,
• i soggetti espressione dell’associazionismo,
• i cittadini che intendono contribuire al processo di elaborazione del piano,
• le istituzioni scolastiche e della formazione,
• le amministrazioni giudiziarie.
Con il PDZ il Comune, con la partecipazione di tutti questi soggetti, disegna il sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali nell’ambito territoriale di competenza.
Il piano di zona viene adottato attraverso uno specifico strumento giuridico: l’accordo di
programma, con il quale i soggetti coinvolti si assumono la responsabilità di realizzare
quanto è stato concordato insieme.
La programmazione del Piano sociale di zona dovrebbe essere compatibile con il
programma delle attività territoriali (D. lgs. 229/99) dell’ASL.
Nel processo di elaborazione del Piano possiamo distinguere:
• gli organi politici: essi svolgono un ruolo di “regia”, decidono di avviare la procedura
di adozione del PDZ, invitano i soggetti a partecipare alla progettazione e convocano
i tavoli tematici.
• il ruolo dei tecnici: operatori del sociale, esperti, testimoni privilegiati, che si
riuniscono per effettuare un’analisi dei bisogni della popolazione, raccogliere
informazioni sulle specificità della popolazione residente e sui servizi già presenti sul
territorio.
I tecnici normalmente si riuniscono in tavoli tematici suddivisi per aree:
• minori, anziani, adulti, disabilità.
• ufficio di piano: si tratta di un organismo tecnico-gestionale che opera in forte
connessione sia con gli organi politici che con i tavoli tecnici per garantire il buon
andamento del processo di elaborazione del Piano.
I CONTENUTI DEL PIANO DI ZONA
Esso deve individuare gli obiettivi, le priorità e gli strumenti con cui realizzare il sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali; deve definire le modalità organizzative dei
servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali a disposizione, nonché i requisiti di
qualità; deve inoltre individuare le forme di concertazione con l’Asl. Ulteriori contenuti sono
descritti alle lettere a-b-c-d-e-f-g comma 1 dell’articolo 19 L. 328/2000.
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LE FINALITÀ DEL PIANO DI ZONA
esse sono definite nelle lettere a-b-c-d comma 2 dell’articolo 19 L. 328/2000.
GLI AMBITI TERRITORIALI
La maggior parte delle regioni, in applicazione della L. 328/2000, ha provveduto a ripartire
il territorio regionale in ambiti territoriali/zone per la gestione dei servizi sociali. Tali ambiti
sono quasi sempre intercomunali con eccezione delle grandi città dove gli ambiti sono
unicomunali o, in qualche caso, sono previsti più ambiti per una sola grande città.
Per favorire la programmazione e l'integrazione socio-sanitaria e per evitare il proliferare di
organismi, la maggior parte delle regioni ha previsto degli ambiti territoriali che coincidono
con i distretti sanitari o loro multipli. Le dimensioni degli ambiti sono molto varie; si passa
dai 137.700 abitanti del Lazio ai 36.600 dell'Abruzzo mentre la media italiana è di 90.500
abitanti per ambito territoriale/zona (Cfr. Tab. 1). Le regioni più grandi hanno identificato
degli ambiti più grandi mentre quelle più piccole hanno identificato degli ambiti territoriali
mediamente più piccoli. Colpisce infine la tendenza ad identificare degli ambiti sociali in
qualche caso multipli di quelli sanitari che potrebbe costituire una anticipazione di possibili
aggiustamenti della distrettualizzazione sanitaria.
Gli ambiti territoriali in alcune regioni italiane.
regioni
popolazione
2000
numero distretti sanitari
2000
numero
sociali
zone/ambiti popolazione media
per ambito sociale
Campania
5.782.244
105
42
137.700
Lazio
5.302.302
47
40
132.600
Toscana
3.547.604
133
34
104.300
Liguria
1.621.016
9
18
90.100
Lombardia
9.121.714
107
107
85.200
Umbria
840.482
12
12
70.000
Bolzano
465.264
18
7
66.500
Marche
1.469.195
24
24
61.200
Basilicata
604.807
21
13
46.500
Abruzzo
1.281.283
37
35
36.600
Il Piano di zona in un primo momento può sembrare uno strumento difficile da capire, ma si
tratta di uno degli strumenti più belli che gli Assistenti Sociali hanno disposizione al fine di
partecipare alla progettazione sociale nell’ambito territoriale di competenza!
Questo strumento viene introdotto dall’articolo 19 della L. 328/2000 e rientra le riforme più
riuscite della legge quadro poiché, secondo i dati, nel 2010, quasi tutte le Regioni italiane
avevano adottato un piano sociale di zona.
L’introduzione del PDZ apporta cambiamenti importanti nella programmazione delle
politiche sociali:
aumentano i costruttori delle politiche sociali, si passa da un sistema di governement a
quello di governance;
• si programma in modo congiunto con l’ASL;
• si programma a livello locale, nell’ambito territoriale di competenza.
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Il PDZ è uno strumento di programmazione territoriale concertata e partecipata. Gli attori
coinvolti in questo processo di progettazione sono molteplici: il Comune, le ASL, la provincia,
il Terzo settore, gli enti gestori dei servizi sociali, i soggetti espressione
dell’associazionismo, i cittadini che intendono contribuire al processo di elaborazione del
piano, le istituzioni scolastiche e della formazione, le amministrazioni giudiziarie.
Con il PDZ il Comune, con la partecipazione di tutti questi soggetti, disegna il sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali nell’ambito territoriale di competenza. Il piano
di zona viene adottato attraverso uno specifico strumento giuridico: l’accordo di programma,
con il quale i soggetti coinvolti si assumono la responsabilità di realizzare quanto è stato
concordato insieme.
La programmazione del Piano sociale di zona dovrebbe essere compatibile con il
programma delle attività territoriali (D. lgs. 229/99) dell’ASL.
Nel processo di elaborazione del Piano possiamo distinguere:
• gli organi politici: essi svolgono un ruolo di “regia”, decidono di avviare la procedura
di adozione del PDZ, invitano i soggetti a partecipare alla progettazione e convocano
i tavoli tematici.
• il ruolo dei tecnici: operatori del sociale, esperti, testimoni privilegiati, che si
riuniscono per effettuare un’analisi dei bisogni della popolazione, raccogliere
informazioni sulle specificità della popolazione residente e sui servizi già presenti sul
territorio. I tecnici normalmente si riuniscono in tavoli tematici suddivisi per aree:
minori, anziani, adulti, disabilità.
• ufficio di piano: si tratta di un organismo tecnico-gestionale che opera in forte
connessione sia con gli organi politici che con i tavoli tecnici per garantire il buon
andamento del processo di elaborazione del Piano.
I contenuti del piano di zona: esso deve individuare gli obiettivi, le priorità e gli strumenti
con cui realizzare il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali; deve definire le
modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali a
disposizione, nonché i requisiti di qualità; deve inoltre individuare le forme di concertazione
con l’ASl; Ulteriori contenuti sono descritti alle lettere a-b-c-d-e-f-g comma 1 dell’articolo 19
L. 328/2000.
Le finalità del Piano di Zona: esse sono definite nelle lettere a-b-c-d comma 2 dell’articolo
19 L. 328/2000.
SCHEDA SINTETICA Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"
•
SCOPO E OBIETTIVO
La Legge 328/2000 intitolata "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali" è la legge per l'assistenza, finalizzata a promuovere
interventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscano un aiuto concreto alle
persone e alle famiglie in difficoltà. Scopo principale della legge è, oltre, la semplice
assistenza del singolo, anche il sostegno della persona all’interno del proprio nucleo
familiare. La qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l'eliminazione delle
disabilità, il disagio personale e familiare e il diritto alle prestazioni sono gli obiettivi
della 328. Per la prima volta, altresì, viene istituito un fondo nazionale per le politiche
e gli interventi sociali, aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e
destinandoli alla programmazione regionale e degli enti Dal titolo si può osservare
che si tratta di una legge quadro, pertanto la relativa applicazione è delegata
all'emanazione di decreti da parte del governo, ministeri, regioni, ecc.
15
•
SOGGETTI DESTINATARI
La legge in esame stabilisce che hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei
servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel
rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi
regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari,
nonchè gli stranieri, individuati ai sensi dell’articolo 41 del testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono
garantite le misure di prima assistenza, di cui all’articolo 129, comma 1, lettera h), del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La legge 328 intende superare
ulteriormente il concetto assistenzialistico dell’intervento sociale, nel senso che
considera il cittadino non come passivo fruitore, ma come soggetto 2 attivo e in
quanto tale portatore di diritti, a cui devono essere destinati interventi mirati alla
rimozione di situazioni di disagio psico-sociale e di marginalità.
•
SERVIZI PREVISTI
Il capo III elenca le disposizioni relative alla realizzazione di particolari interventi
sociali e più esattamente a favore di persone disabili, anziani non autosufficienti,
famiglie.
Sono previsti infatti:
o Progetti individuali per le persone disabili: i comuni, d’intesa con le aziende
unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto
individuale. Il progetto individuale comprende:
 la valutazione diagnostico-funzionale;
 le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario
nazionale;
 i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata,
con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale;
 le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà,
emarginazione ed esclusione sociale.
Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per
il nucleo familiare. L’interessato indicherà nella tessera sanitaria, con modalità
stabilite con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la
solidarietà sociale, i dati relativi alle condizioni di non autosufficienza o di
dipendenza per accedere ai servizi ed alle prestazioni sociali. Sostegno
domiciliare per le persone anziane non autosufficienti: il Ministro per la
solidarietà sociale, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della
sanità e per le pari opportunità, determina annualmente la quota da riservare
ai servizi a favore delle persone anziane non autosufficienti, per favorirne
l’autonomia e sostenere il nucleo familiare nell’assistenza domiciliare alle
persone anziane che ne fanno richiesta. Una quota dei finanziamenti di cui al
primo comma è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e
sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici
e privati, volti a sostenere e a favorire l’autonomia delle persone anziane e la
loro permanenza nell’ambiente familiare secondo gli indirizzi indicati dalla
presente legge.
o Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari: il sistema
integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare
delle famiglie e valorizza 3 i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei
momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana. Al fine di
migliorare la qualità e l’efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgono e
16
responsabilizzano, inoltre, le persone e le famiglie nell’ambito
dell’organizzazione dei servizi.
Nell’ambito del sistema integrato di interventi e servizi sociali sono inoltre
previsti i seguenti servizi:
a) l’erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità
e della paternità responsabile, da realizzare in collaborazione con i servizi
sanitari e con i servizi socio - educativi della prima infanzia;
b) politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura,
promosse anche dagli enti locali ai sensi della legislazione vigente;
c) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche
attraverso la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie;
d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di
carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti
di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre
persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani;
e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la
famiglia, ed in particolare i componenti più impegnati nell’accudimento
quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per sostituirli
nelle stesse responsabilità di cura durante l’orario di lavoro;
f) servizi per l’affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e
percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate.
Per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l’autonomia
finanziaria di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in
difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi
di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente immigrazione
che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, i comuni, in alternativa a
contributi assistenziali in denaro, possono concedere prestiti sull’onore,
consistenti in finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione concordati
con il destinatario del prestito. I comuni possono prevedere, altresì, agevolazioni
fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con specifiche responsabilità di cura e
deliberare ulteriori riduzioni dell’aliquota 4 dell’imposta comunale sugli immobili
(ICI) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l’accesso a più servizi educativi
e sociali.
•
CONDIZIONI DI APPLICABILITA’ DELLA LEGGE
La legge annuncia che per realizzare i servizi sociali in modo unitario e integrato gli
enti locali, le Regioni e lo Stato, ognuno nell’ambito delle proprie competenze,
provvedano alla programmazione degli interventi e delle risorse. Nel farlo è
importante che vengano seguiti i principi di coordinamento e di integrazione tra gli
interventi sanitari e dell’istruzione e le politiche attive del lavoro ma la legge aggiunge
che tale programmazione deve essere fatta coinvolgendo anche il Terzo settore. La
legge di riforma dell’assistenza ha tra i suoi punti di forza il coinvolgimento di soggetti
pubblici e privati nell’erogazione dei servizi sociali. Per poter trovare applicazione la
legge stabilisce che i privati devono essere prima autorizzati, e poi eventualmente
accreditati, a partecipare alla rete dei servizi sociali territoriali. In altre parole,
l’autorizzazione è indispensabile per qualsiasi soggetto privato che voglia fornire
servizi alla persona, anche se non è interessato a entrare nel circuito dell’assistenza
pubblica; se invece vuole diventare un "fornitore di servizi" dell’amministrazione
pubblica, e quindi far parte del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali,
oltre ad essere un ente autorizzato deve anche essere accreditato. Ai Comuni è
assegnato il compito di autorizzare e di accreditare i soggetti privati sulla base di un
insieme di requisiti stabiliti dalle leggi regionali. Le Regioni definiscono tali requisiti
17
raccogliendo, ed eventualmente integrando, i requisiti minimi fissati dallo Stato con
decreto ministeriale del ministro della Solidarietà sociale.
•
SOGGETTI EROGATORI
La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge.
Alle Regioni e ai Comuni spettano alcuni compiti importanti, ma anche lo Stato è
chiamato a fare la sua parte.
Lo Stato ha il compito di: fissare un Piano sociale nazionale che indichi i livelli
uniformi e di base delle prestazioni, stabilire i requisiti che devono avere le comunitàfamiglie e i servizi residenziali nonché i profili professionali nel campo sociale ed
infine ripartire le risorse del Fondo sociale nazionale e controllare l'andamento della
riforma.
Le Regioni dovranno programmare e coordinare gli interventi sociali, spingere verso
l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo,
stabilire i criteri di accreditamento e vigilare sulle strutture e i servizi sia pubblici che
privati, costituire un albo dei soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla
normativa, stabilire la qualità delle prestazioni, determinare i livelli di partecipazione
alla spesa da parte degli utenti, finanziare e programmare la formazione degli
operatori In ultima analisi non bisogna dimenticare come questa legge abbia
riconosciuto una centralità al ruolo dei Comuni che, per questo motivo, sono gli
interlocutori privilegiati, con i quali bisogna tracciare politiche di intervento.
I Comuni sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per
realizzare il "sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni devono
coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali e con le
associazioni dei cittadini.
Dai Comuni dipende:
 la determinazione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà,
di limitato reddito e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica,
e le relative condizioni per usufruire delle prestazioni;
 l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle
strutture residenziale e semiresidenziali pubbliche e private;
 il garantire il diritto dei cittadini a partecipare al controllo di qualità dei servizi.
Le azioni, gli obiettivi e le priorità degli interventi comunali sono definiti nei
Piani di Zona.
I Comuni devono anche realizzare ed adottare la Carta dei servizi sociali che
illustra le opportunità sociali disponibili e le modalità per accedervi. I Comuni,
Regioni e Stato dovranno, infatti, coinvolgere e responsabilizzare il settore nonprofit. I soggetti del Terzo settore sono inseriti tra gli "attori" della legge sia nella
programmazione e organizzazione del sistema integrato (art. 1 comma 4) sia
nell’erogazione dei servizi (art. comma 5).
•
COMMENTO ALLA LEGGE
Prima dell’approvazione della legge n. 328 del 2000, sull'assistenza sociale, il settore
era ancora disciplinato dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive
modificazioni, cosiddetta "legge Crispi". Il primo processo di politiche sociali
innovative si è svolto sulla base di alcuni presupposti e principi di fondo, quali la
riorganizzazione del territorio in ambiti territoriali adeguati, la programmazione degli
interventi in base alle caratteristiche ed ai bisogni della popolazione, l'integrazione
dei servizi sanitari con quelli sociali e la partecipazione attiva nei servizi degli utenti
e dei cittadini. In questo contesto, il ruolo dei Comuni è stato sempre più importante:
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sono i Comuni che realizzano, organizzano e gestiscono i servizi sociali, secondo le
indicazioni elaborate a livello regionale. La “Carta europea delle autonomie locali ”,
sottoscritta a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e tradotta nella legge n. 439/89,
rappresenta la base fondamentale per lo sviluppo delle politiche sociali introducendo
principi basilari quali la sussidiarietà, cioè la necessità di rispondere ai bisogni delle
collettività locali; la cooperazione, intesa come la capacità degli enti locali di
associarsi fra loro per la tutela e la promozione dei loro comuni interessi e per la
gestione associata dei servizi; l'auto-organizzazione, nel senso di capacità propria
nella scelta della 7 struttura amministrativa più idonea allo svolgimento delle funzioni.
Tra i principi generali e le finalità indicate dall'articolo 1 della citata legge n. 328 del
2000, meritano una menzione particolare alcuni passaggi che affidano, infatti, in
posizione paritaria, agli enti locali, alle regioni ed allo Stato la programmazione e
l'organizzazione dei servizi e degli interventi sociali. Nell'intento di valorizzare al
massimo grado il principio di sussidiarietà, le regioni dovranno riconoscere ed
agevolare il ruolo di tutti i soggetti sociali, delle associazioni e degli enti di promozione
sociale, compreso quello degli enti riconosciuti dalle confessioni religiose, con cui lo
Stato ha stipulato intese nell'organizzazione e nella gestione dei servizi sociali.
Sempre nel medesimo articolo, al comma 5, viene enunciato un altro importantissimo
principio e, cioè, che alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti
pubblici, nonché associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni ed altri
organismi privati, in qualità di soggetti attivi nella progettazione, nell'organizzazione
e nella gestione dei servizi e degli interventi sociali. La presente proposta di legge
intende anche rispondere alle sollecitazioni contenute nella legge 28 agosto 1997, n.
285, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e
l'adolescenza, nella parte in cui auspica il coinvolgimento degli enti locali, delle
istituzioni pubbliche e private per la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo
sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e
dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente a loro più confacente, in attuazione dei
principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con legge 27 maggio
1991, n. 176.
•
ALTRE OSSERVAZIONI
La legge in esame prevede e promuove attività socio-assistenziali da parte di
associazioni di cittadini, quali le Onlus, le cooperative sociali, le organizzazioni di
volontariato, gli enti di promozione sociale e le fondazioni. Questi organismi possono
offrire e gestire alcuni servizi, alternativi a quelli degli enti pubblici, rivolti ai cittadini
che ne hanno bisogno. Inoltre, rappresentanti di tutte le associazioni concorrono alla
programmazione, all'organizzazione e alla gestione del sistema integrato dei servizi
sociali insieme con le istituzioni pubbliche. Le Regioni devono definire i requisiti
necessari dei servizi offerti e devono controllare la qualità del loro operato, anche
tramite l'istituzione di registri regionali delle organizzazioni autorizzate all'esercizio
dei servizi socioassistenziali.
DOMANDE FREQUENTI
Cos’è la “Commissione di indagine sulla esclusione sociale”? La Commissione di
indagine sulla esclusione sociale, è istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
È nata con il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell’ambito
dell’Unione europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e
sull’emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell’opinione
pubblica, di formulare proposte per rimuoverne le cause e le conseguenze, di promuovere
valutazioni sull’effetto dei fenomeni di esclusione sociale. La Commissione si compone di
studiosi ed esperti con qualificata esperienza nel campo dell’analisi e della pratica sociale,
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nominati, per un periodo di tre anni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la solidarietà sociale.
SICUREZZA SUL LAVORO - LE NORME
•
DLGS 81/08 – Ex 626/94 – TUSL (testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro)
DLGS 81/2008: si occupa in sostanza della salute e sicurezza sul posto di lavoro.
Obiettivo: evitare o comunque ridurre i rischi sul posto di lavoro.
Questa disposizione sulla sicurezza trova il suo fondamento in alcuni articoli della
costituzione e tra questi va ricordato l’Art. 32: “la salute è un diritto fondamentale
dell’individuo e interesse della collettività”
Questo Dlgs 81/08 riguarda tutti i settori sia pubblici che privati e va applicato a tutti i
lavoratori (subordinati, autonomi, etc).
LE PRINCIPALI FIGURE IN AMBITO SICUREZZA
• Il datore di Lavoro: ha la responsabilità aziendale ed esercita poteri decisionali e di
spesa. L’Art 2087 del cc impone al datore di lavoro di adottare tutte l misure in materia
di sicurezza.
• Lavoratore: colui che presta la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione del
datore di lavoro
• Preposto: figura individuata dal datore di lavoro, ad esempio un caporeparto o un
caposquadra. È la persona che sovraintende (vigila) la corretta esecuzione del lavoro
da parte dei lavoratori.
• RSPP: responsabile del servizio di prevenzione e protezione. È una figura nominata
dal datore di lavoro. Individua i fattori di rischio e li deve valutare. Può essere RSPP
o il datore di lavoro (senza un titolo di studio appropriato ma con un corso di 16 ore)
o un dipendente (in possesso di diploma o laurea + un corso di formazione con
moduli A, B, C.
• ASPP: addetto al servizio di prevenzione e protezione (antincendio, primo soccorso
evacuazione). È una sorta di consulente – tecnico di sicurezza e lavora a stretto
contatto con RSPPP.
• RLS: rappresentante dei lavoratori di sicurezza. Viene nominato dai lavoratori e
svolge un ruolo di tramite tra datore di lavoro e lavoratore e per tutto quanto riguarda
la salute e la sicurezza dei lavoratori.
• MEDICO COMPETENTE: figura nominata dal datore di lavoro quando l’azienda è
soggetta a sorveglianza sanitaria. Per sorveglianza si intende quando per legge
devono essere effettuati in azienda accertamenti preventivi e periodici per controllare
lo stato di salute dei lavoratori.
• ORGANI DI ISPEZIONE: ASL (azienda sanitaria locale)
• ISPETTORI: qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria nei limiti di servizio e possono
accedere in azienda sia di giorno che di notte.
Il mancato rispetto della norma può comportare:
• responsabilità civili: coperte con assicurazione obbligatoria contro gli infortuni – INAIL
• responsabilità penali: è applicata alla persona fisica che con azioni ed omissioni ha
contribuito a causare il danno
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OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO
• redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR). È un documento all’interno del
quale il datore di lavoro andrà ad elencare i rischi presenti nella attività e andrà ad
indicare anche le misure di prevenzione e protezione da attuare per ridurre tali rischi
• deve fornire ai lavoratori i cosiddetti DPI (dispositivi di protezione individuale), ovvero
qualsiasi attrezzatura destinata ada essere indossata dal lavoratore allo scopo di
proteggerlo da uno o più rischi.
Esempi di DPI sono: camice, scarpe antinfortunistiche, guanti, mascherina eccetera.
• Deve assicurare l’erogazione di corsi di formazione e informazione legati alla
sicurezza sul lavoro e ai rischi correlati alla professionalità di ogni lavoratore.
RISCHI LEGATI ALLA PROFESSIONE DELL’OPERATRE per L’INFANZIA
• Dorso lombare
o Per agevolare gli operatori nelle operazioni di sollevamento necessarie per le
pratiche igieniche dei bambini, il datore di lavoro deve mettere a disposizione
dei lavoratori misure di prevenzione e protezione idonea ridurre il rischio
derivante dalla movimentazione manuale degli stessi. Un utile oggetto
potrebbe essere quello di dotare i fasciatoi di apposite scalette che possono
agevolare la salita dei bambini su di essi limitando così l’attività degli operatori
alla sola assistenza.
• Biologico
o Sia il bambino presente nel nido sia lo stesso personale possono essere
sottoposti al rischio infettivo per contatto diretto o tramite indumenti, oggetti
contaminati e liquidi organici. Noltre per la loro età i bambini nel nido sono
sottoposti a frequenti contagi di malattia esentematiche (varicella, morbillo,
eccetera).
• Chimico
o Tale rischio è derivante dall’utilizzo di agenti chimici ed è utile ricordare che
talvolta è lo stesso personale che, al termine dell’attività lavorativa, provvede
alle attività di pulizia dei locali facendo uso di detergenti e disinfettanti (saponi,
detersivi, candeggina, eccetera) esponendosi dunque a tale rischio
LE DOMANDE PIU’ FREQUENTI
• Qual è la normativa vigente in materia di sicurezza sul posto di lavoro?
• La nomina del RSPP per la sicurezza sui luoghi di lavoro spetta a?
• Come possono essere definiti i dispositivi di protezione individuale?
• Gli obblighi dei lavoratori in materia di sicurezza, fanno parte del programma di
sicurezza?
• Il datore di lavoro è tenuto alla fornitura dei DPI?
• La movimentazione manuale dei carichi quale rischio può determinare?
• Da chi viene nominato il rappresentante della sicurezza dei lavoratori?
• Il Decreto relativo alla sicurezza sui luoghi di lavoro?
• La sorveglianza ambientale e igienico sanitaria nei luoghi che ospitano bambini è
obbligatoria?
• Gli ambienti i giochi e gli arredi idonei alla permanenza dei bambini devono essere
sanificati secondo protocolli operativi?
• Negli ambienti operativi dove si ospitano minori, la normativa sulla sicurezza dei
luoghi di lavoro va rispettata con maggiore attenzione?
21
IL LAVORO MINORILE
Il lavoro minorile trova una speciale tutela nella Costituzione della Repubblica
italiana attraverso alcuni articoli che stabiliscono una normativa particolare che riguarda il
lavoro salariato di fanciulli e adolescenti.
A tutelare i giovani che si avviano ad intraprendere un lavoro ci ha pensato anche
la Comunità Europea con la direttiva 94/33, la quale ha stabilito dei principi base in merito
ai rapporti lavorativi con i minorenni. In primo luogo è stato fissato il compimento del
quindicesimo anno di età come requisito per accedere nel mondo del lavoro,
secondariamente è stato stabilito che il giovane deve prima di ogni cosa intraprendere un
percorso di istruzione e formazione professionale.
I bambini (di età inferiore a 15 anni) invece, devono astenersi dall’esercizio di qualsiasi
lavoro, ma quando si tratta di attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo,
pubblicitario e nel settore dello spettacolo, questi minori possono lavorare soltanto
con l’assenso scritto dei genitori e con l’autorizzazione della Direzione Provinciale del
Lavoro.
I minorenni che hanno un’età compresa tra i 15 e i 18anni, gli adolescenti, non possono
eseguire lavori che potenzialmente arresterebbero il pieno sviluppo fisico. In particolare, il D.
Lgs. 262/2000 specifica che essi:
• non devono essere esposti a rumori che superano gli 87 db e non devono venire in
contatto con sostanze tossiche, corrosive, esplosive, cancerogene, nocive o che
esporrebbero loro a particolari rischi per la salute;
• non possono lavorare nelle macellerie in cui si utilizzano arnesi taglienti e celle
frigorifere;
• devono evitare di utilizzare saldatrici ad arco o ossiacetileniche;
• non possono compiere lavori utilizzando martelli pneumatici, pistole
fissachiodi, strumenti vibranti e apparecchi di sollevamento meccanici;
• non devono svolgere lavori sulle navi in costruzione, nelle gallerie o utilizzando forni
ad elevate temperature;
• devono evitare di eseguire lavori all’interno di cantieri edili in cui si possono
verificare rischi di crollo.
Per essere avviato al lavoro l’adolescente deve sottoporsi ad una visita medica
preventiva e, una volta assunto, a delle visite periodiche almeno una volta all’anno. Inoltre
ai minori è fatto divieto svolgere dei lavori durante le ore notturne, più precisamente
nell’arco di tempo che va dalle 22 alle 6 o dalle 23 alle 7, a meno che non si tratti di attività
di carattere culturale, artistico o sportivo ed il lavoro non superi la mezzanotte.
In applicazione di tale norma è stata emanata la L. 17-10-1967, n. 977 sulla «tutela del
lavoro dei fanciulli e degli adolescenti», la cui disciplina è stata poi adeguata agli indirizzi
espressi in sede comunitaria (dir. 94/33/CE) con il D.Lgs. 4-8-1999, n. 345.
I REQUISITI DI ETÀ E DI ISTRUZIONE PER L’AMMISSIONE AL LAVORO
La legge si applica ai minori di 18 anni, che hanno un contratto di lavoro, anche speciale, e
stabilisce l’importante principio per cui l’età minima per l’ammissione al lavoro è subordinata
al completamento dell’istruzione obbligatoria (art. 3, L. 977/1967, modif. dal D.Lgs.
345/1999).
La durata del periodo di istruzione obbligatoria è di almeno 10 anni, da finalizzare al
conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica
professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età (obbligo di
istruzione e formazione) (art. 1, co. 622, L. 296/2006).
22
L’occupazione dei bambini (soggetti di età inferiore a 15 e che, comunque, non hanno
ancora concluso il periodo di istruzione obbligatoria) è assolutamente vietata, salvo che in
casi eccezionali (attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario etc., v. succ.
par. 2.5) (art. 4 L. 977/1967).
L’occupazione del lavoratore minorenne è ammessa solo se questi ha concluso il pe-riodo
di istruzione obbligatoria, fermo restando che, comunque, non può avvenire prima dei 16
anni compiuti.
L’originario limite di 15 anni è stato elevato a 16 anni in concomitanza alla previsione di un
periodo di istruzione obbligatoria di almeno 10 anni (art. 1, co. 622, L. 296/2006).
Fanno eccezione i rapporti di apprendistato caratterizzati dalla funzione formativa, nel cui
ambito è ammessa l’assunzione a partire dal quindicesimo anno di età (art. 48, co. 8, L.
183/2010) (v. succ. par. 3).
LE LAVORAZIONI VIETATE E LA TUTELA DELL’INTEGRITÀ PSICO-FISICA DEL
LAVORATORE MINORE
È vietato adibire gli adolescenti alle lavorazioni e ai lavori potenzialmente pregiudizievoli
per il pieno sviluppo fisico del minore (art. 6 L. 977/1967). Per i bambini il divieto di adibizione
a lavorazioni nocive discende dal più generale di-vieto di svolgere qualsiasi tipo di attività
lavorativa (salvo i casi eccezionali di attività culturale, pubblicitaria etc.).
Le attività vietate dalla legge sono indicate nell’allegato I, L. 977/1967 e riguardano lavori
che comportano l’esposizione ad agenti chimici, fisici o biologici oppure specifici processi di
lavorazione (es. produzione di polveri metalliche).
Tuttavia, in deroga al divieto, è previsto che le lavorazioni, i processi e i lavori indicati nel
predetto allegato possono essere svolti dagli adolescenti per indispensabili motivi didattici
o di formazione professionale e per il tempo necessario alla formazione stessa svolta in aula
o in laboratorio, oppure in ambienti di lavoro di diretta pertinenza del datore di lavoro e sotto
la sorveglianza di formatori competenti anche in materia di prevenzione e di protezione dei
rischi per la salute umana e nel rispetto di tutte le condizioni di sicurezza e di salute previste
dalla legislazione vigente.
Fatta eccezione per gli istituti di istruzione e formazione professionale, tale attività di
formazione deve essere comunque preventivamente autorizzata dalla Direzione territoriale
del lavoro.
Inoltre, la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, cui è
obbligato in via generale il datore di lavoro (D.Lgs. 81/2008, cd. T.U. in materia di igiene e
sicurezza del lavoro), deve essere effettuata considerando gli specifici rischi per i lavoratori
minori, ove presenti (art. 7, L. 977/1967).
Completa il quadro delle norme a tutela della salute dei lavoratori minori, la valutazione
dell’idoneità alla mansione attraverso visite mediche preassuntive e periodiche, obbligatorie
nel caso di svolgimento di mansioni a rischio (art. 8, L. 977/196; art. 42 D.L. 69/2013 conv.
in L. 98/2013).
IL RAPPORTO DI LAVORO
Lo svolgimento del rapporto di lavoro del minore, nei limitati casi in cui è legittimo, avviene
secondo la disciplina normativa del lavoro vigente per la generalità dei lavoratori, salvo
deroghe ed eccezioni più favorevoli disposte dalla legge o dalla contrattazione collettiva
volte a tutelare o garantire le diverse esigenze dei minori.
In specie, in base al dettato dell’art. 37 Cost., a tale particolare categoria di lavoratori deve
essere assicurata la parità di trattamento retributivo a parità di lavoro, non essendo ammessi
trattamenti differenziati in base all’età.
23
Particolari disposizioni vigono in materia di orario di lavoro, lavoro notturno, riposo
settimanale e ferie annuali.
È infatti previsto che:
• l’orario di lavoro, non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali, se si
tratta di bambini, e le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali, se si tratta di
adolescenti;
• il lavoro notturno è vietato, ossia il lavoro svolto nel «periodo di almeno 12 ore
consecutive comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore
7» (art. 15 L. 977/1967);
• il riposo settimanale deve essere assicurato per almeno 2 giorni, possibilmente
consecutivi e comprendenti la domenica;
• salvo previsioni collettive di maggior favore, le ferie annuali non possono essere
inferiori a 30 giorni per i minori di anni 16, mentre per coloro che hanno superato tale
età valgono le norme previste per la generalità dei lavoratori (D.Lgs. 66/2003).
Disposizioni particolari vigono per il lavoro dei minori di anni 14 nei programmi televisivi
(D.M. 27-4-2006, n. 218, in attuazione della L. 112/2004 come modif. dalla L. 37/2006).
IL LAVORO NELLO SPETTACOLO DEI MINORI DI ANNI QUATTORDICI
Fermo restando il divieto generale di adibire al lavoro i bambini, è tuttavia consentito il loro
impiego in specifiche attività lavorative, individuate dalla legge.
Si tratta, in particolare, delle attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e
nel settore dello spettacolo.
L’accesso al lavoro in tali ambiti è subordinato a particolari misure di cautela. In primo luogo
è necessario che vi sia l’assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale e l’autorizzazione
della Direzione territoriale del lavoro. In secondo luogo lo svolgimento del rapporto di lavoro
è soggetto a limiti e precauzioni.
In particolare, nei casi di utilizzazione di minori di anni 14 in programmi radiotelevisivi, a
tutela della loro dignità, immagine, privacy e salute, è fatto divieto di (D.M. 27-4-2006, n.
218):
• sottoporli ad azioni o situazioni pericolose per la loro salute psicofisica o eccessivamente gravose o violente ovvero mostrarli, senza motivo, in situazioni pericolose;
• far assumere, anche per gioco o per finzione, sostanze nocive (tabacco, bevande alcoliche o stupefacenti);
• coinvolgerli in argomenti o immagini di contenuto volgare, licenzioso o violento;
• utilizzarli in richieste di denaro o di elargizioni abusando dei naturali sentimenti degli
adulti per i bambini.
Nell’ambito della lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia
minorile, a tutela dei minori, è stato fatto obbligo ai datori di lavoro che intendano impiegare
una persona per lo svolgimento di attività che comportino contatti diretti e regolari con
minori, di acquisire il certificato penale del casellario giudiziale, al fine di verificare l’esistenza
di condanne ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive che comportino il divieto di contatti
diretti e regolari con minori (art. 2 D.Lgs. 4-3- 2014, n. 39).
Tale obbligo, che riguarda anche forme di attività autonoma (collaborazioni coordinate e
continuative, anche a progetto etc.) che comportano un contatto continuativo con i minori,
non si applica tuttavia ai rapporti (circ. Min. Lav. 11-4-2014, n. 9):
• di volontariato, limitatamente allo svolgimento di attività volontarie organizzate;
• di lavoro domestico, nel caso di assunzione di baby-sitter o comunque di persone
impiegate in attività che comportano rapporti regolari con minori, in quanto nell’ambito
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familiare il genitore è in grado di attuare tutte le cautele necessarie nei confronti del
bambino/ragazzo.
Il personale al quale il datore di lavoro è tenuto a chiedere il certificato penale è solo quello
che ha un contatto non mediato e continuativo con i minori, e pertanto ne sono esclusi i
lavoratori con qualifica di dirigente o i preposti e in genere coloro che «sovraintendono alle
attività svolte dall’operatore diretto» e che pertanto possono avere solo un contatto
occasionale con i destinatari della tutela.
L’obbligo di richiesta del certificato è fissato nel momento in cui il datore di lavoro impiega il
lavoratore e dunque esclusivamente prima di effettuare l’assunzione, ovvero quando,
venuto a scadenza il contratto, il datore di lavoro stipuli un nuovo contratto con lo stesso
prestatore, mentre non sussiste nel corso di un rapporto di lavoro già instaurato, anche se
il lavoratore viene spostato ad altra attività rientrante nel campo applicativo della tutela (Min.
Lav. risposta ad interpello 15-9-2014, n. 25).
Infine, l’obbligo riguarda le sole attività professionali che abbiano come destinatari diretti i
minori, quali, ad esempio, insegnanti di scuole pubbliche e private, conducenti di scuolabus
etc. ovvero nell’ambito di attività che implichino un contatto necessario ed esclusivo con una
platea di minori.
LA SPECIALE TUTELA DEL MINORE EX ART. 2126 C.C.
Nel contratto di lavoro subordinato le regole generali sugli effetti dell’invalidità contrattuale
ricevono un adattamento al fine di evitare che il prestatore di lavoro subisca le conseguenze
sfavorevoli della dichiarazione di nullità o dell’annullamento del contratto stesso.
L’invalidità del contratto di lavoro subordinato è disciplinata dall’art. 2126 c.c., per il quale la
nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non producono effetto per il periodo in cui il
rapporto ha avuto esecuzione.
Nel caso quindi di un contratto di lavoro invalido (nullo o annullabile) che abbia comunque
avuto esecuzione, il legislatore fa salvi gli effetti prodotti dallo stesso, e in parti-colare, il
trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per l’attività lavorati-va
effettivamente prestata.
Secondo la disciplina comune dei contratti, invece, la nullità e l’annullabilità del contratto
travolgono gli effetti prodotti dallo stesso sin dal momento in cui è sorto il contratto nel primo
caso, dalla pronuncia giudiziale di annullamento nel secondo caso.
La tutela dell’art. 2126 c.c. non opera però nel caso in cui l’invalidità del contratto de-riva
dall’illiceità dell’oggetto o della causa del contratto.
Se, però, l’illiceità dell’oggetto o della causa deriva dalla violazione di norme che tute-lano
il prestatore, questi avrà diritto ugualmente alla retribuzione concordata (art. 2126, co. 2).
Tale ultima previsione fornisce una tutela speciale al lavoratore minore d’età nei casi in cui
svolga attività lavorativa in esecuzione di un contratto di lavoro invalido, o per violazione
dell’obbligo scolastico o per svolgimento di un’attività pregiudizievole per la sua sicurezza o
la sua salute.
DIRITTI DEL LAVORATORE
I principali diritti del lavoratore possono essere sintetizzati come segue:
• Retribuzione: deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e
garantire un’esistenza libera e dignitosa.
• Conservazione del posto di lavoro: in caso di maternità, infortunio, malattia, il datore
di lavoro non può licenziare.
• Riposo settimanale e ferie annuali:
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o Limiti alla durata della giornata lavorativa: il limite è di 8 ore al giorno per 40 ore
settimanali, un’ora in più è considerato “straordinario”
o Tutti gli altri diritti contrattuali: diritto allo sciopero che è un’astensione o protesta
collettiva dei lavoratori per far valere i vostri diritti, ad esempio retribuzione o
condizioni di lavoro pessime o sicurezza del posto di lavoro.
DOVERI DEL LAVORATORE
I principali doveri del lavoratore sono:
• Diligenza nello svolgimento della propria prestazione: complesso di attenzioni, cura
nello svolgimento dell’attività lavorativa.
• Osservanza delle disposizioni importate dal datore di lavoro: obbligo di obbedienza.
• Fedeltà: avere un comportamento leale nei confronti del datore di lavoro (non
divulgare le notizie dell’azienda).
OBBLIGHI PER IL DATORE DI LAVORO
I seguenti obblighi sono:
• Corrispondere la retribuzione e il TFR: liquidazione di buona uscita, o somma di
denaro che il lavoratore accumula ogni anno ed equivale ad una mensilità TASSATA.
• Tutelare l’integrità fisica e morale e la sicurezza e la sicurezza sul luogo del lavoro;
• Garantire la tutela assicurata e previdenziale;
• Rispetto della libertà sindacale: Tutelare il diritto allo sciopero e non licenziare.
I POTERI DEL DATORE DI LAVORO
• DIRETTIVO: imporre dei comandi o direttive che il lavoratore dovrà adempiere.
• DI CONTROLLO: diretto a verificare l’esatto svolgimento delle attività lavorative da
parte del lavoratore.
• DISCIPLINARE: consiste nel potere di dare sanzioni nel caso in cui il lavoratore non
rispetta il contratto (rimprovero verbale o scritto, multa, sospensione e licenziamento
per giusta causa.
NOVITÀ DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
LUGLIO 2018 – DL 87/2018
• Utilizzo del contratto a tempo determinato che scende da 36 a 24 mesi
• È possibile prorogare il contratto a tempo determinato per un massimo do 4 volte
• Viene reintrodotta l’obbligatorietà delle causali
o MOTIVAZIONI:
 Sostituire i lavoratori (es. maternità)
 Incremento della Produttività
CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO
è un contratto con il quale il lavoratore viene assunto senza limiti di tempo. Infatti per questo
tipo di contratto non è prevista una scadenza, ma può sciogliersi nei seguenti casi:
• Raggiungimento età pensionabile
• Dimissione del lavoratore
• Licenziamento per giusta causa
Il licenziamento può avvenire:
• Per giusta causa: Furto in azienda, violenza o sabotaggio dei macchinari
• Per giustificato motivo soggettivo: non si rispettano i termini del contratto
26
•
Per giustificato motivo oggettivo: Particolari situazioni aziendali come chiusura o
riduzione del personale.
In caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore, ha il diritto entro 60 gg di impugnare il
provvedimento. Se il giudice dà ragione al lavoratore vengono risarciti i danni dal momento
del licenziamento fino al reintegro in azienda
IL PROCESSO PENALE MINORILE
• 0-14 anni è esclusa l’imputabilità – vengono emesse misure di sicurezza
• 14 – 17 anni si entra nel circuito penale o pena tenue
Il soggetto minorenne è considerato dall’ordinamento giuridico, un soggetto la cui
personalità è ancora in fase di sviluppo, di formazione; un soggetto che non ha raggiunto la
piena maturità.
È un soggetto le cui azioni, i suoi comportamenti (anche se reati) possono essere influenzati
dal contesto familiare, sociale e ambientale.
La ricostruzione i questi contesti è essenziale al giudice per accertare la sua responsabilità,
la sua imputabilità e individuare soprattutto le misure più idonee aa favorire la rieducazione
e il suo inserimento sociale.
PRINCIPIO DI IMPUTABILITA’
L’Art. 97 del codice penale indica che il minore infraquattordicenne non è imputabile.
L’Art. 98 del C.P. indica che è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto avena
compiuto 14 anni ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere.
Quindi, ai sensi dell’Art. 98 del C.P. per i minori dai 14 ai 17 anni la capacità di intendere e
volere in relazione al reato compiuto, deve essere sempre accertata mentre per gli adulti
autori di reato è sempre presunta.
ORGANI GIUDIZIARI MINORILI
1. Tribunale dei minorenni
a. Composto da 2 magistrati togati e da 2 giudici onorari (uomo e donna esperti
in psicologia, sociologia, diritto minorile)
b. È competente su tutti i retai commessi dai minori (organo di 1° grado)
In caso di reato
MINORE: giudicato dal tribunale dei minori
MAGGIORENNE: giudicato dal tribunale ordinario
2. Sezione di Corte di Appello per i minorenni
a. organo di 2° grado
b. giudica le sentenze pronunciate dal tribunale per i minori
3. P.M. Pubblico Ministero
a. Pubblica accusa
b. garantisce il rispetto della legge e valuta le azioni penali di un individuo,
esercita l'azione penale vera e propria che condurrà poi al successivo
processo
4. Avvocato – Avvocato difensore d’ufficio
a. Deve avere una specifica formazione in ambito minorile.
5. Servizi Minorili
a. Svolgono un ruolo importantissimo in vista della finalità educativa del soggetto
minorenne
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b. Svolgono un ruolo di assistenza all’autorità giudiziaria, infatti il compito
principale è quello di svolgere la cosiddetta “inchiesta sociale”, cioè ricostruire
il contesto ambientale, sociale, dove il minore è cresciuto.
c. Ha il compito di favorire la cosiddetta mediazione tra il minore e la persona
offesa (ad esempio attraverso incontri tra il minore autore del reato e il minore
vittima, oppure incontri tra le famiglie.
d. Svolgono assistenza di tipo personale al minore ciò una assistenza di tipo
affettiva e psicologica per tutto il corso del processo, affiancando i genitori del
minore ma anche lo stesso avvocato.
Tutti gli organi del processo minorile si caratterizzano dal fatto di avvalersi della
collaborazione di esperti in psicologia e sociologia proprio per le particolari caratteristiche
dei soggetti che devono giudicare.
PRINCIPI FONDAMENTALI DEL PROCESSO MINORILE
1. Principio di adeguatezza
a. Misure adottate dal giudice devono adeguarsi alla personalità del minore e
devono essere rivolte alla sua reintegrazione sociale
2. Principio di minima offensività
a. Il processo minorile deve essere meno traumatico per il minore, ovvero evitare
l’ingresso del minore nel circuito penale
3. Principio di destigmatizzazione:
a. Sempre al fine di evitare al minore il pregiudizio ala sua immagine che può
derivare dal contatto con il processo penale, l’ordinamento tende a garantire
la tutela della riservatezza e dell’anonimato rispetto alla società esterna. Ciò
avviene attraverso varie modalità quali in particolare:
i. Il divieto per i mezzi di comunicazione di massa, di diffondere le
immagini e le informazioni sull’identità del minore
ii. Lo svolgimento del processo senza la presenza del pubblico, in deroga
al principio generale della pubblicità del processo penale (cosiddetto
processo a porte chiuse)
iii. La possibilità di cancellazione dei precedenti giudiziari dal casellario
giudiziale al compimento del 18° anno di età.
LE FASI DEL PROCESSO MINORILE
1. Udienza Preliminare
a. Può emanare la cosiddetta sentenza di non luogo a procedere
b. Perdono giudiziale nei casi previsti dalla legge
c. Il giudice può disporre la sospensione del processo e disporre la messa alla
prova del minore stesso.
• LA MESSA ALLA PROVA è un istituto dove il minore si dichiara
disponibile a svolgere lavori socialmente utili (volontariato) per una
durata stabilita dal giudice pari a 4, 6, 12 mesi
2. Udienza di dibattimento
a. Interrogatorio
3. Sentenza del giudice
a. Assoluzione
b. Condanna
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CHE COS’È L’IMPUTABILITÀ
L’imputabilità è la capacità di intendere e di volere di un soggetto, ovvero la capacità di
porre in essere un comportamento consapevole e volontario.
La capacità di intendere è la capacità di rendersi conto del valore degli atti compiuti e della
loro contrarietà alla legge e ai diritti altrui.
La capacità di volere consiste nella capacità della persona di agire in modo autonomo.
Cosa succede a 14 anni in caso di reato? Il fatto può essere punito e le conseguenze non
sono certo di poco conto.
Per la legge lo stesso comportamento ha una rilevanza diversa a seconda della fascia di
età dell’individuo che ha commesso il reato.
In caso di minore infraquattordicenne è sempre esclusa l’imputabilità del soggetto per il
solo fatto della sua giovane età; si presume pertanto l’incapacità di intendere e di volere e il
minore non potrà essere sottoposto a procedimento penale. Al di sotto dei 14 anni
l’ordinamento ritiene che il soggetto non sia in grado di comprendere il valore delle proprie
azioni nonché il significato della pena comminata.
L’incapace che commette un reato è esente da pena, ma se viene riconosciuta la sua
pericolosità sociale dovranno essergli applicate le misure di sicurezza.
Le misure di sicurezza sono dei provvedimenti che hanno lo scopo di impedire al minore di
commettere ulteriori reati. Si tratta ad esempio dell’obbligo di osservare degli orari nei quali
si deve stare a casa o il divieto di frequentare determinati luoghi.
In caso di minore che abbia compiuto i 14 anni ma non ancora i 18 anni non vige alcuna
presunzione di incapacità. Il minore è imputabile se capace di intendere e volere. Sarà il
giudice a dover valutare caso per caso l’eventuale incapacità di intendere e di volere
dell’individuo. Se sussiste l’imputabilità il minore è assoggettato a pena anche se la stessa
sarà più attenuata rispetto al maggiorenne che abbia compiuto lo stesso reato.
L’imputabilità verrà meno anche a 14 anni qualora il soggetto sia affetto da infermità di
mente totale o parziale, come nel caso di un ragazzo con handicap o patologie psichiche.
Nel caso in cui il ragazzo di 14 anni sia ritenuto imputabile, sarà giudicato dinanzi
al Tribunale dei Minorenni.
LA TUTELA DEI MINORI
La tutela dei minori fa parte del più generale settore dei Servizi Sociali che si occupano delle
fasce di popolazione definite “deboli”. Si trovano quindi all’interno i servizi rivolti agli anziani,
ai disabili adulti, ai disabili minori e, appunto, alla tutela minori. Gli operatori che fanno parte
di tale ambito sono solitamente assistenti sociali e psicologi e, talvolta, educatori.
Esistono due modi per accedere ai servizi della tutela minori: il primo, meno frequente, è un
accesso spontaneo, il secondo è un intervento coatto.
Nel primo caso è la famiglia stessa a presentarsi allo sportello di accoglienza della tutela
minori, solitamente per richiedere un contributo economico, un’assistenza per qualche
membro disabile della famiglia o per un aiuto a trovare lavoro o una casa. Il primo step,
quando l’accesso è spontaneo, è quello di un colloquio con l’assistente sociale che
accoglierà la richiesta e valuterà la possibilità di rispondere a tale domanda o attiverà
ulteriori risorse che ritiene più adeguate per quel nucleo familiare. Infatti spesso le persone
non conoscono i servizi a cui possono accedere o non si rendono conto di aver maggior
bisogno di altri tipi di aiuto; compito dell’assistente sociale in questo step è quello di rilevare
la domanda reale sulla base delle proprie competenze, dei propri studi e della propria
esperienza.
Il secondo caso di accesso è quello più complesso e difficile, ed è appunto quello coatto.
Tale accesso avviene a seguito della segnalazione da parte di terzi di una possibile
situazione di pregiudizio per un minore. La segnalazione proviene solitamente dalla scuola,
luogo in cui gli insegnanti possono osservare per più tempo bambini e ragazzi ed individuare
pericoli per la loro salute psicofisica.
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In alcuni casi la segnalazione può anche provenire da altri membri della famiglia che si sono
accorti della situazione di pericolo, da vicini di casa, allenatori e qualsiasi altra persona
vicina alla famiglia. Una segnalazione frequente proviene dagli ospedali, qualora arrivassero
bambini e ragazzi che hanno subito lesioni sospette o abusi di diverso tipo.
La segnalazione, fatta al servizio stesso o ai carabinieri, viene inviata al Tribunale dei Minori
di competenza che incaricherà il servizio di effettuare un’indagine psicosociale sul nucleo
familiare, per individuare l’effettiva presenza di situazioni di pericolo per il minore.
Questo accesso è considerato il più complesso perché non implica la motivazione dei
membri della famiglia a farsi aiutare, gli aiuti vengono visti come un’invasione ed una
violenza che viene fatta loro ed ai loro figli. La presenza del Tribunale è inoltre estremamente
minacciosa per i genitori che vedono in esso un potere molto più forte di loro, che può
decidere del futuro dei loro figli e della loro famiglia. Si creano quindi situazioni di paura e
rabbia che portano ad una lotta aperta verso il servizio e manca l’alleanza con gli operatori
coinvolti che devono trovare una mediazione con tali famiglie, cercando un aggancio per far
loro accettare l’aiuto.
• Quali situazioni arrivano alla tutela minori
L’accesso coatto ai servizi sociali non avviene se non vi sono situazioni di pericolo per i
minori coinvolti. Troviamo dunque segnalazioni riferite a: sospetti maltrattamenti fisici e/o
verbali verso i minori, separazioni molto conflittuali che coinvolgono i figli in ritorsioni e
vendette verso il coniuge, sospetti abusi sessuali, grave incuria, problemi di alcolismo o
abuso di farmaci e sostanze psicotrope, abbandono di minori, casi di penali minorili.
• L’iter d’indagine psicosociale
Quando il Tribunale riceve la denuncia, incarica tramite un decreto provvisorio il servizio di
effettuare un’indagine psicosociale, per determinare la veridicità delle affermazioni, la
gravità della situazione e per proporre un piano di intervento che verrà poi valutato dal
Tribunale stesso.
Se la situazione lo richiede, può affidare temporaneamente il minore al servizio ed i genitori
dovranno concordare le decisioni sui figli con gli operatori. L’iter di indagine solitamente
comprende:
• la convocazione della famiglia per la lettura e spiegazione del Decreto che hanno
ricevuto. In questa fase si accolgono le preoccupazioni dei genitori, la loro
versione dei fatti e si spiega loro come il servizio intende procedere;
• una visita domiciliare presso la loro abitazione, per valutare l’adeguatezza
(igienica, di ordine e di spazi) della casa in cui i minori vivono. Non viene preteso
che le case siano perfette, si valuta solo l’idoneità dell’abitazione e ci si assicura
che le condizioni base di vita siano presenti;
• colloqui individuali con i genitori e colloqui di coppia;
• colloqui individuali con i minori coinvolti, qualora l’età lo permetta;
• eventuale somministrazione di test psicodiagnostica per una più approfondita
valutazione delle condizioni psicologiche dei diversi membri;
• viene stilata la relazione dall’assistente sociale e dallo psicologo in cui vengono
inseriti i dati raccolti in tutte le fasi precedenti, proponendo degli interventi da
attuare sul nucleo familiare;
• il Tribunale riceve la relazione, valuta attentamente tutti gli interventi e le proposte
del servizio e redige un ulteriore decreto, provvisorio o definitivo, in cui decide quali
interventi mettere in atto tramite la tutela.
• Gli interventi
Le risorse che il servizio può attivare sono molteplici.
Può fornire sostegno economico alla famiglia e supporto psicologico tramite dei colloqui di
sostegno alla persona e/o alla genitorialità. Esistono inoltre diversi interventi che
comprendono educatori, come l’Assistenza Domiciliare che prevede la presenza
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dell’educatore all’interno della famiglia per alcune ore alla settimana, dove aiuterà la famiglia
ed i minori dal punto di vista educativo. Oppure i minori possono andare all’interno di centri
diurni per alcuni pomeriggi, dove svolgeranno i compiti, staranno con i coetanei,
svolgeranno laboratori e potranno vivere un’esperienza quotidiana di accudimento diversa
rispetto alla loro. Infine esistono le comunità educative dove il minore alloggia per periodi
più o meno lunghi a seconda della gravità della situazione.
Esistono anche comunità terapeutiche dove oltre ad educatori sono presenti infermieri e
medici psichiatri, poiché alloggiano ragazzi con patologie psichiatriche che richiedono cure
farmacologiche. Se la situazione è estremamente compromessa, con grave incuria e
pericolo per il minore e se gli interventi di supporto precedenti non hanno avuto effetto, il
minore verrà dichiarato adottabile. Tale decisione viene presa solo ed esclusivamente nelle
situazioni in cui non vi sono possibilità per genitori e figli di riuscire a vivere insieme senza
che la salute fisica e mentale del minore venga fortemente compromessa. La tutela minori
lavora molto “in rete” ovvero avvalendosi delle diverse strutture pubbliche e private che ha
a disposizione sul territorio, come le UONPIA, i servizi come il Ser.T per problemi di
alcolismo o i consultori familiari.
C’è spesso timore nel segnalare una situazione di difficoltà a cui si è assistito, i motivi di
tale timore sono diversi. Si può pensare di aver interpretato male, di stare travisando la
gravità del problema dato che ogni famiglia ne ha qualcuno. Si ha paura delle conseguenze
che possano esserci per quella famiglia e ci si sente in colpa a mettere nei guai qualcuno
che si conosce e che ci conosce. Questi timori sono normali ed in gran parte sono legati ad
alcuni pregiudizi che molti hanno rispetto al lavoro svolto dalla tutela minori e sulle famiglie
in esso coinvolte. Tuttavia, quando la situazione lo richiede, è doveroso permettere alla
famiglia di avere una seconda possibilità di stare bene insieme, coinvolgendo persone
formate e specializzate nella cura delle famiglie. Solo in questo modo si dà la possibilità ad
alcuni ragazzi di uscire da un percorso di vita prefissato, aprendo nuove strade a loro ed
alle loro famiglie.
IL TUTORE DEL MINORE: APERTURA DELLA TUTELA, NOMINA E SCELTA DEL
TUTORE
Secondo quanto previsto dall’articolo 343 del Codice civile, se entrambi i genitori sono morti
o per altre cause non possono esercitare la responsabilità genitoriale (per esempio, nel caso
di minori stranieri non accompagnati), si apre la tutela presso il tribunale del circondario
dove è la sede principale degli affari e interessi del minore.
Il giudice tutelare, appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela, procede
alla nomina del tutore e del protutore (art. 346).
In caso di più fratelli e sorelle, si prevede la nomina di un solo tutore, salvo che particolari
circostanze consiglino la nomina di più tutori (art. 347).
Con riguardo alla scelta del tutore, l’articolo 348 del Codice civile stabilisce che il giudice
tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la
responsabilità genitoriale. La designazione può essere fatta per testamento, per atto
pubblico o per scrittura privata autenticata.
Se manca la designazione ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona
designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi
parenti o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti.
Ove non sia possibile procedere come sopra, può essere nominato tutore del minore un
altro soggetto, come per esempio un avvocato.
Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, dispone l’ascolto del minore che abbia
compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
In ogni caso, la scelta del tutore deve cadere su persona idonea all’ufficio, di ineccepibile
condotta, la quale dia affidamento di educare e istruire il minore (conformemente a quanto
è prescritto nell’art. 147 del Codice civile).
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IL BULLISMO
Il bullismo è un fenomeno che, purtroppo, si sta diffondendo sempre di più nel nostro paese:
riguarda allo stesso modo uomini e donne e si manifesta, in modo particolare, in ambito
scolastico (e negli altri luoghi di maggiore aggregazione dei giovani). Ma cos’è il bullismo?
Si tratta di un insieme di atti di intimidazione, sopraffazione, oppressione fisica e psicologica,
commessi, in modo volontario e ripetuto nel tempo, da un soggetto che si sente più forte (il
cosiddetto bullo) nei confronti di un soggetto più debole (la vittima). Per fare un esempio, se
a scuola un tuo compagno di classe ti prende in giro quotidianamente rubandoti le penne,
strappandoti i quaderni (se non fai ciò che ti chiede), facendoti sentire ridicolo di fronte agli
altri compagni di classe al punto da farti stare male e da costringerti a non andare più a
scuola o a cambiarla, sei proprio vittima di bullismo e puoi denunciare il colpevole. Benché,
infatti, nel nostro ordinamento non esista ancora una fattispecie legislativa specifica che
punisca il bullismo, i comportamenti che caratterizzano il bullismo si identificano in varie
categorie di illeciti penali: numerosi sono i reati per cui puoi denunciare il bullismo e chiedere
la punizione del colpevole. Se la persona che ti fa stare male (che abbiamo definito bullo)
ha meno di quattordici anni (e, dunque, per la legge non può subire un processo penale)
puoi rivolgerti al questore e chiedere che intervenga con un ammonimento. In ogni caso, se
i comportamenti che subisci di provocano dei danni (morali, biologici o esistenziali) puoi
chiedere un risarcimento azionando un giudizio civile: è certamente una magra
consolazione ma è molto importante che tu sappia che non devi subire e che puoi reagire
sporgendo una denuncia, chiedendo un ammonimento e, comunque, costringendo il
colpevole (almeno) a risarcirti il danno che ti ha provocato. Vediamo allora, nel dettaglio,
cos’è e come denunciare il bullismo.
• Cos’è il bullismo?
Il bullismo consiste nella condotta vessatoria ed aggressiva realizzata, ripetutamente, da
un soggetto (prevaricatore) nei confronti di un altro (più debole che subisce): lo scopo del
bullo, di solito, non è provocare un danno ad un’altra persona ma solo riuscire a sentirsi più
forte, ad autoesaltarsi, dimostrando a sé e agli altri (per esempio ai compagni di classe o
alla ragazzina di cui si è innamorato) di essere il più in gamba, il più simpatico ed il più
temuto. Con l’evolversi della tecnologia anche il bullismo si è adeguato, sviluppando nuove
metodologie di attacco, racchiuse nel cosiddetto cyber bullismo.
• Cos’è il cyber bullismo?
Nell’era della tecnologia, dove la vita reale si confonde con quella virtuale, anche le condotte
denigratorie e violente si realizzano on line. Internet, le chat, i social network, infatti, vengono
spesso usati per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o
escludere altre persone. Questo accade, ad esempio quando si fanno dei pettegolezzi
attraverso i messaggi inviati da un cellulare all’altro, quando si pubblicano immagini, si
divulgano informazioni o video imbarazzanti a danno di terzi, o ancora si deridono le vittime
attraverso messaggi o blog. Tutto ciò raffigura il cyberbullismo (ovvero il bullismo online).
Questi fenomeni, sempre più frequenti, devono essere combattuti chiedendo l’aiuto delle
autorità. È proprio questo lo spirito dell’articolo che stai leggendo: se ti senti triste ed
inadeguato perché qualcuno ti fa sentire tali, trova in te la forza per denunciare il
responsabile! Nessuno si può permettere di privarti della gioia di andare a scuola e di vivere
le esperienze più belle della vita con i tuoi amici; nessuno può pensare di farti sentire
inferiore o troppo grasso o troppo stupido, perché non lo sei. Te lo dice per vincere una sua
frustrazione personale e va combattuto per proteggere te stesso ed altri (che, magari, non
sanno farlo perché sono più deboli di te). Devi denunciare il bullismo! Vediamo come.
• L’ammonimento del questore
Abbiamo già detto che, in caso di bullo di età inferiore agli anni quattordici (o quando la
situazione sembra ancora sotto controllo e risolvibile e non intendi ancora sporgere una
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denuncia), puoi chiedere aiuto al questore della tua città chiedendo che intervenga con
l’ammonimento. Ciò che devi fare è solo recarti in questura, esporre quello che ti è successo
e chiedere espressamente che ti aiutino ammonendo la persona che ti sta dando fastidio. Il
questore, dopo aver assunto (se necessario) le informazioni necessarie a capire se ciò che
hai raccontato è vero, se ritiene che la tua richiesta sia fondata, convoca il minore (bullo)
insieme ad almeno un genitore (o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale)
e lo ammonisce oralmente, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e
scrivendo un verbale.
• Come denunciare il bullismo?
Quando la situazione diventa grave e senti di non riuscire più a sopportarla, non ti arrendere
ma rivolgiti alle autorità giudiziarie! Il reato di bullismo (come già detto) non è previsto
espressamente dal nostro ordinamento ma è possibile punirlo attraverso altri reati che si
integrano quando il bullo agisce. A titolo esemplificativo, il bullismo può essere punito
perché configura i reati di:
• Minaccia: quando il bullo ti provoca e ti avverte che se non fai come dice ti causerà
un danno (ad esempio se non gli darai la tua merenda ti romperà un libro);
• Diffamazione: quando il bullo, comunicando con più persone (per esempio attraverso
i social network), ti deride e offende la tua reputazione;
• Molestia o disturbo alle persone: quando ti disturba continuamente senza alcun
ragionevole motivo, solo al fine di divertirsi dandoti fastidio;
• Danneggiamento: quando, attraverso la violenza o la minaccia, rompe le tue cose;
• Percosse: quando ti strattona in modo forte ma non tale da provocarti una lesione;
• Lesioni: quando il bullo ti spinge (per esempio) e ti provoca una effettiva malattia nel
corpo o nella mente.
In questi casi (ed in tanti altri) puoi denunciare il bullo che sarà sottoposto ad un processo
penale ed avrà (quasi sicuramente) una condanna.
• Come ottenere il risarcimento del danno?
Oltre alla richiesta di ammonimento e alla denuncia, puoi anche chiedere l’intervento del
giudice civile per ottenere il risarcimento per i danni subiti: in caso di processo penale puoi
farlo costituendoti parte civile nel processo (il giudice penale deciderà se hai diritto al
risarcimento che dovrà essere poi quantificato da un giudice civile); in assenza di processo
penale, potrai instaurare un autonomo processo civile. Il giudice potrà (a seconda dei casi)
stabilire una cifra risarcitoria per i danni morali (ovvero le sofferenze patite, il turbamento
dello stato d’animo), per i danni biologici (per la salute in sé) e per i danni esistenziali (danno
alla persona, alla sua esistenza, alla qualità della vita, alla riservatezza, alla reputazione,
ecc.). So che i soldi non possono in alcun modo risarcire il danno interiore che il fenomeno
del bullismo crea ma sono una, seppur piccola, rivincita nei confronti di chi ha agito nei tuoi
confronti sentendosi intoccabile e pensando che tu non avresti mai reagito.
La legge 71/17 sul cyberbullismo
La legge 71/17 contenente le “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il
contrasto del fenomeno” è entrata in vigore a giugno 2017, denotando il raggiungimento di
un obiettivo importante verso la tutela di coloro che subiscono ingiustamente prevaricazioni
attraverso gli strumenti tecnologici e la rete internet.
La legge ha rappresentato un importantissimo punto di partenza nella lotta e nelle azioni di
contrasto contro il cyberbullismo: sicuramente ci sono degli aspetti da migliorare, però
rappresenta un impegno da parte delle Istituzioni e di tutti gli enti coinvolti a collaborare per
essere efficaci.
Tra gli aspetti più importanti della legge c’è la possibilità per i minori di effettuare le
segnalazioni senza dover passare per i genitori e di chiedere direttamente la rimozione dei
contenuti, il blocco e l’oscuramento dei profili social.
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Questo passaggio diretto permetterà all’adolescente maggiore di 14 anni di segnalare
autonomamente le prepotenze subite e far sì che si possa intervenire in maniera tempestiva,
cercando di fermare la diffusione del materiale online. Data la velocità di diffusione nel web
e la viralità dei contenuti pubblicati l’intervento immediato è fondamentale. Il gestore della
piattaforma ha massimo 24 ore per prendere in carico la segnalazione e altre 24 per
rimuovere i contenuti.
Qualora queste azioni non vengano effettuate sarà possibile rivolgersi al Garante per la
Privacy che dovrà intervenire entro 48 ore. È possibile attivare tale procedura attraverso la
compilazione di un modulo che dovrà essere inviato tramite email all’Autorità competente.
EDUCAZIONE E CURA DELLA PRIMA INFANZIA
L’educazione e cura della prima infanzia è organizzata nel “sistema integrato 0-6” che è
stato introdotto dalla legge 107/2017 ed è regolato dal Decreto legislativo 65/2017.
Il sistema integrato è organizzato in due livelli distinti:
• i servizi educativi per l'infanzia destinati ai bambini di età compresa tra 0 e 3 anni
• le scuole dell'infanzia per i bambini di età pari o superiore a 3 anni.
I SERVIZI EDUCATIVI PER L'INFANZIA
I servizi educativi per l'infanzia sono offerti sia in contesti come nidi e micronidi, spazi gioco
e centri per bambini e famiglie che in contesto domiciliare. Questo primo segmento
educativo è classificato come ISCED 010, non è obbligatorio e le famiglie pagano le tasse
di iscrizione e frequenza. Gli educatori impiegati in contesti pubblici devono possedere una
laurea triennale in scienze dell'educazione.
I servizi educativi per l'infanzia sono articolati più precisamente in:
• nidi d’infanzia (i servizi più comuni) che accolgono le bambine e i bambini tra tre e
trentasei mesi di età e concorrono con le famiglie alla loro cura, educazione e
socializzazione, promuovendone il benessere e lo sviluppo dell'identità,
dell'autonomia e delle competenze. Presentano modalità organizzative e di
funzionamento diversificate in relazione ai tempi di apertura del servizio e alla loro
capacità ricettiva, assicurando il pasto e il riposo e operano in continuità con la scuola
dell'infanzia;
• sezioni primavera che accolgono bambine e bambini tra ventiquattro e trentasei
mesi di età e favoriscono la continuità del percorso educativo da zero a sei anni di
età. Esse sono aggregate, di norma, alle scuole per l'infanzia
• servizi integrativi che concorrono all'educazione e alla cura delle bambine e dei
bambini e soddisfano i bisogni delle famiglie in modo flessibile e diversificato sotto il
profilo strutturale ed organizzativo.
Essi si distinguono in:
1) spazi gioco che accolgono bambine e bambini da dodici a trentasei mesi di età per
un massimo di cinque ore giornaliere;
2) centri per bambini e famiglie, che accolgono bambine e bambini dai primi mesi di
vita insieme a un adulto accompagnatore;
3) servizi educativi in contesto domiciliare.
I servizi educativi per l'infanzia sono gestiti dagli Enti locali in forma diretta o indiretta, da
altri enti pubblici o da soggetti privati, in base ai criteri definiti dalla normativa centrale e
regionale. Il Ministero dell'istruzione ha una responsabilità generale per l'assegnazione di
risorse finanziarie alle autorità locali, per l’offerta di linee guida educative, per la promozione
del sistema integrato a livello locale.
L’offerta di educazione e cura per la prima infanzia rivolta a bambini tra i tre e i sei anni di
età è organizzata nelle scuole dell'infanzia ed è classificata come ISCED 020.
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La responsabilità di questo segmento educativo è del Ministero dell’istruzione. Tuttavia, i
Comuni organizzano l’offerta a livello locale e sono responsabili dei locali e della loro
manutenzione. Oltre allo Stato, anche soggetti pubblici e privati possono gestire le scuole
dell’infanzia per bambini di questa fascia d'età. Questo livello di istruzione non è obbligatorio;
tuttavia, le famiglie non pagano le tasse di iscrizione e di frequenza (fatta eccezione per le
scuole dell’infanzia meramente private).
Le linee guida educative per questo livello sono pubblicate a livello centrale e sono incluse
nelle linee guida relative al primo ciclo d’istruzione (scuola primaria e secondaria inferiore).
Di fatto, il livello 3-6 è in continuità con quello 0-3 e con l'istruzione primaria.
Gli insegnanti della scuola dell’infanzia statale devono possedere una laurea magistrale in
scienze della formazione primaria e seguire lo stesso programma di formazione iniziale degli
insegnanti della scuola primaria.
Il nido famiglia, anche chiamato “tagesmutter” che significa “mamma di giorno” in tedesco,
si sta rapidamente diffondendo in tutta Italia, soprattutto al nord, riscuotendo un grandissimo
successo.
Causa della nascita di questo fenomeno le esigenze delle famiglie odierne, composte da
genitori lavoratori, ed acuite dall'insufficienza di strutture pubbliche che accolgano tutti i
bambini delle famiglie che ne fanno richiesta o di offrire servizi sufficientemente qualitativi.
I “TAGESMUTTER” O NIDI FAMIGLIA
Sono nidi domiciliari che accolgono, secondo normativa, i bambini fino ai 3 anni per un
massimo di 6 bambini. Ad occuparsi dei bimbi è proprio una mamma che può ospitare ed
accudire i bambini in casa propria con grande flessibilità di orari, rispondendo così alla
duplice necessità da parte delle famiglie di asili nido ed orari non rigidi ed a quella delle
mamme lavoratrici che amano i bambini e voglio passare più tempo con i propri figli.
Il nido domiciliare si presenta come una validissima alternativa ai classici asili nido, che
siano pubblici o privati.
Un nido famiglia non solo è conveniente per chi decide di aprirlo, le normative in merito sono
meno restrittive rispetto a quelle per i classici asili nido ed i costi di gestione nettamente più
bassi ed alla portata di tutti, ma anche per le famiglie che decidono di usufruirne per i propri
bambini. I tagesmutter sono molto più economici degli asili tradizionali e il pagamento,
secondo la normativa attuale, non è una retta mensile ma avviene per le sole ed effettive
ore di presenza del bambino nel nido con prezzi che variano da 3 a 6 euro l'ora, secondo la
Regione, e che permettono quindi anche a chi gestisce il nido di offrire prezzi più o meno
competitivi.
Inoltre i nidi domiciliari vengono spesso preferiti dai genitori in quanto i bambini sono seguiti
con maggiore cura ed attenzione dalla mamma che ha in totale solamente 6 bambini,
rispetto ai 10 che normalmente segue una curatrice in un asilo nido.
I requisiti per essere tagesmutter e l'iter burocratico
Le mamme-educatrici diventano con i nidi famiglia delle vere figure professionali e
riconosciute dal comune, per questo bisogna comunque seguire alcuni step burocratici ma
molto semplificati rispetto a quelli richiesti per aprire un asilo nido privato.
Il requisito principale per la mamma-curatrice è quello di aver frequentato un corso
preparatore, tenuto dalla Regione, di 250 ore di cui 50 di tirocinio.
Bisogna poi rispettare le norme igienico-sanitarie con estrema rigorosità ed assicurare uno
spazio di circa 10mq per ogni bambino presente in casa. È necessario poi avere uno spazio
accoglienza, un bagno con fasciatoio, una cucina dove far mangiare i bambini, uno spazio
gioco che rispetti le norme sulla sicurezza ed uno spazio separato per far dormire i bambini.
Bisogna, in sintesi, rispettare le norme igienico sanitarie, che verranno verificate dall'Asl,
aver frequentato il necessario corso di formazione e come ultimo step fondamentale fare la
dichiarazione di inizio attività presso il Comune di residenza.
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Quanto costa aprire un nido famiglia
Considerando i requisiti e le normative da rispettare si stima che per aprire il proprio nido
famiglia sia necessario un investimento iniziale minimo di circa 1.000 euro, una somma
abbordabile e che permette di rientrare dall'investimento rapidamente.
Questa somma può variare di molto per l'acquisto dei giochi per i bambini, dei lettini per farli
dormire e delle varie ristrutturazioni necessarie per conformarsi alle norme su igiene e
sicurezza da rispettare. Il consiglio è quello di iniziare con pochi bambini ed aumentarne il
numero gradualmente per spalmare l'investimento su un periodo più ampio.
È necessario, per essere sicuri di rispettare tutte le normative, rivolgersi al proprio comune
di residenza per richiedere tutte le informazioni specifiche e per fare un preventivo più
accurato della spesa da sostenere.
IN CHE COSA CONSISTE IL MICRONIDO?
Il termine micronido ci fa pensare ad un asilo nido dalle dimensioni ridotte che possa
assistere un numero limitato di bambini e lattanti. Ebbene, è proprio così.
Più precisamente il micronido è una sorta di scuola che precede l’asilo nido e dà la
possibilità ai genitori di avere la certezza che i loro figli sono al sicuro, ad esempio mentre
stanno lavorando o sbrigando delle commissioni.
All’interno di queste scuole appositamente create per bambini che hanno un’età dai 3 ai 36
mesi, i più piccoli hanno la possibilità di approcciarsi all’apprendimento, sia esso verbale,
visivo, motorio e così via.
Per alcune persone, svolgere questo tipo di lavoro, ossia occuparsi dei bambini, è una vera
e propria vocazione e sono particolarmente portate ad approcciarsi con i più piccini, avendo
la pazienza necessaria per capire e assecondare tutte le loro esigenze.
Per questo motivo, lavorare, o possedere, un micronido, significa essere disposti ad
avviare un progetto educativo, non si tratta di una ludoteca in cui i bambini vengono
lasciati per giocare quando i genitori hanno degli impegni, ma si tratta di un luogo in cui
si imparano nuove cose, anche giocando.
In pratica, l’esperienza dei bambini all’interno del micronido si presenta come la prima
esperienza al di fuori della propria abitazione, prima della scuola dell’infanzia, un’esperienza
che deve essere monitorata dal personale qualificato, come avremo modo di vedere più
avanti.
Requisiti per aprire un micronido
Come abbiamo già detto nel paragrafo precedente, per aprire un micronido bisogna avere
una certa tendenza ad approcciarsi ai bambini con una certa attenzione e pazienza.
Tuttavia, riteniamo che, se hai intenzione di aprire una struttura simile, hai la vocazione
per intrattenere ed educare i più piccoli, rispondendo a tutte le loro esigenze.
Al di là di questa vocazione, però, sono necessari dei requisiti professionali per avviare
un micronido, più precisamente si tratta di titoli di studio nel settore. Tra questi ricordiamo
soprattutto quelli citati in seguito:
• dirigente di comunità, di assistente all’infanzia;
• un master per la formazione della prima infanzia;
• il diploma di maturità ad indirizzo socio-psico pedagogico/magistrale;
• la laurea indirizzo pedagogico (ad esclusione della laurea in psicologia).
Se non possiedi questi titoli di studio, puoi comunque aprire un micronido ma devi
assumere una persona che li possieda come direttore della struttura per
la custodia e l’educazione dei bambini.
Requisiti legali
I requisiti professionali non sono gli unici che devi possedere per aprire
un micronido. Infatti, avrai bisogno anche dei requisiti legali e, per ottenerli, dovrai
seguire un iter burocratico ben preciso.
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L’apertura di questo tipo di attività è regolata da un’apposita legge, ossia la legge
1044/71 che prevede che il comune debba verificare direttamente gli standard
di qualità, accreditando la struttura che possiede tutti i requisiti necessari.
In pratica, il compito dell’ente comunale (lo Sportello per le Attività Produttive), è quello
di verificare se puoi aprire il tuo asilo nido in base ai tuoi requisiti professionali (ossia quelli
di cui abbiamo parlato sopra) e alle caratteristiche della struttura.
Solo dopo aver verificato tutti i requisiti necessari, allora ti verrà
concessa l’autorizzazione all’apertura che ha una durata di tre anni. Tale accreditamento
ti permette di accedere a delle convenzioni specifiche con lo scopo di accogliere
i bambini che sono in lista di attesa per gli asili nidi pubblici.
In ogni caso, se non hai molta dimestichezza con le scartoffie da compilare per soddisfare
l’iter burocratico previsto per questa nuova apertura, ti consigliamo di rivolgerti ad un
buon commercialista il quale ti spiegherà e ti aiuterà durante tutto il percorso.
COS’È UNA LUDOTECA
La ludoteca, può essere definita come uno spazio volto a favorire e a diffondere la
cultura del gioco.
Attraverso le esperienze ludiche, i bambini ed i ragazzi sperimentano e sviluppano le
capacità cognitive, affettive, relazionali e comunicative, il tutto in sinergia con la famiglia e
gli educatori. L’attività ricreativa favorisce la crescita psico-fisica e l’acquisizione di abilità
sia sul piano individuale che di gruppo; la ludoteca può essere definita come spazio
d’incontro per agevolare l’integrazione dei minori in situazioni di disagio psico-sociale o
portatori di disabilità.
Sommariamente è uno spazio di gioco dove i bambini imparano a socializzare ed a
condividere i giochi e le attività, si rivela una buona alternativa al parco giochi nelle stagioni
più fredde, non bisogna mettere in dubbio che giocare in casa vada bene ma i bimbi più
piccoli, che non hanno ancora l’età per frequentare la scuola materna o l’asilo nido, corrono
il rischio di trascorrere il tempo da soli. Un grande vantaggio della ludoteca, è che a
differenza dell’asilo nido, non ha bisogno di modalità precise di funzionamento, in quanto i
bambini non vi trascorrono molte ore, ed inoltre non è previsto all’interno il servizio mensa.
A chi è rivolta
Questa tipologia di ambiente generalmente, si rivolge a bambini di età compresa fra i 3 e
i 15 anni, ma al suo interno è possibile creare appositi spazi anche per adolescenti ed adulti.
All’interno di una ludoteca il bambino può: trovare un ambiente ideale che lo stimoli nel
gioco, ma anche nelle attività più impegnative e istruttive; può trovare adulti con esperienza
nel campo dell’infanzia che lo aiutino a costruire e ideare; può trovare i materiali più consoni
e sicuri per giocare; può trovare un luogo nel quale sia del tutto libero di comunicare, in cui
non vi sia alcuna differenza tra condizioni sociali, capacità individuali e/o differenze di età;
trovare un posto nel quale poter interagire e rendere complice nel gioco i propri familiari;
imparare a condividere i giochi e gli spazi con i suoi coetanei.
Direttive e consigli utili per istituire una ludoteca
Può essere aperta da un ente locale, gestita in proprio dallo stesso oppure data in appalto
ad un’associazione, o da una cooperativa. Anche privati, enti assistenziali, scuole
pubbliche possono istituirla facendo attenzione ai requisiti richiesti per il personale
educativo: per poter operare all’interno della struttura ludico-ricreativa, infatti, i ludotecari
devono essere in possesso di uno dei seguenti titoli di studio:
• diploma di Scuola Media Superiore di Maestra d’Asilo
• diploma di Maturità Magistrale o di Liceo Pedagogico
• diploma d’Assistente o Dirigente di Comunità Infantile o diplomi equipollenti
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diploma di Scuola Media Superiore e un attestato di formazione professionale per
attività socio-educative in favore di minori, riconosciuto dallo Stato e/o dalla propria
Regione,
• diploma di Scuola Media Superiore,
• con il possesso del Diploma di Laurea o di Diploma Universitario in materie rientranti
nelle Scienze della Formazione e dell’Educazione o in discipline afferenti la
psicologia o i servizi sociali.
In ogni ludoteca è individuato un supervisore educativo in possesso di laurea e/o laurea di
primo livello in pedagogia, psicologia, scienze della formazione e dell’educazione e in
scienze del servizio sociale o titoli equipollenti. Di norma il numero dei ludotecari presenti
nella struttura, è individuato in relazione al rapporto operatore/utenti. In ogni caso è sempre
obbligatoria la presenza, simultanea, nella ludoteca, di almeno due operatori anche quando
vi è bassa frequenza di utenti.
•
Dove istituire una ludoteca? Innanzitutto bisogna pensare al luogo in cui realizzare la
ludoteca: dalla scuola, all’oratorio, alla biblioteca, al centro sociale e di aggregazione. Può
essere inserita o ben collegata con altri servizi culturali, scolastici, sociali, oppure essere
totalmente autonoma. L’obiettivo è quello di offrire un luogo protetto e stimolante per
esperienze di aggregazione e amicizia e la possibilità di conoscere e utilizzare una grande
quantità di giochi.
Criteri e caratteristiche degli ambienti
I locali che andranno ad accogliere la ludoteca dovranno essere conformi ai regolamenti
urbanistici ed edilizi, rispettando le norme previste dal punto di vista igienico – sanitario
e della sicurezza.
È consigliabile che la ludoteca sia situata a piano terra, dotata di uno spazio circostante da
utilizzare per attività ludiche esterne (con scivoli, altalene, giochi a molla). In ogni caso sono
indispensabili spazi interni riservati al gioco, laboratori per attività, zone per incontri con i
genitori e bambini, spazi per attività didattiche, uffici amministrativi, due bagni di cui uno
destinato per ragazzi con handicap.
È importante che lo spazio per giocare venga articolato per le diverse fasce di età, ad
esempio 2/7 anni; 7/9 anni; 9/12 anni; 12/16 anni; oltre 16 anni.
Gli spazi andrebbero organizzati in modo da collocare:
• servizi igienici in relazione agli standard previsti per l’edilizia scolastica, accessibili,
adeguati nelle dimensioni dei sanitari a bambini di età diverse;
• magazzino, proporzionale alla dimensione della ludoteca e al numero dei laboratori;
• pavimentazioni e arredo con caratteristiche specifiche (antitrauma);
• spazio esterno: cortile proprio o campo giochi;
In definitiva possiamo sicuramente affermare che non è obbligatorio avere degli spazi molto
ampi, è possibile aprire una ludoteca anche iniziando con ambienti modesti, l’importante è
avere a disposizione una superficie tale da concepire locali che assolvano alle funzioni
necessarie. Non esiste un modo ideale per l’organizzazione degli spazi, tuttavia sarebbe
opportuno essere in grado di modificarli a seconda delle necessità, ad esempio utilizzando
divisori che permettano di modificare l’ambiente secondo le differenti esigenze del
momento.
Come organizzare una ludoteca
I locali devono essere ripartiti, attraverso appositi arredi, in alcune zone specifiche:
• area di accoglienza e di attesa: sono gli spazi d’entrata della ludoteca e precedono
l’ingresso nella sala dei giochi. Può comprendere il guardaroba, la zona per il
ricevimento dei bambini e dei genitori, e lo spazio dedicato all’attesa e l’eventuale
assistenza agli adulti;
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area ufficio: qui si svolge il lavoro di segreteria, archiviazione e amministrazione;
area gioco: è il centro della ludoteca, l’ambiente che dovrebbe occupare lo spazio
più grande e centrale, qui si svolgono i giochi individuali e/o quelli di gruppo.
Generalmente la sala è divisa in diverse porzioni, una per il gioco da tavolo, l’altra
per i giochi di movimento. Essa non dovrebbe presentare intralci nel mezzo.
Se la ludoteca è sufficientemente grande potrebbe prevedere anche una sezione dedicata
ai bambini più piccoli, in questo spazio, il bambino può ricrearsi liberamente nella più totale
sicurezza. Infine una sezione per i bambini più grandi in cui possano semplicemente
incontrarsi, realizzare giochi di strategia e di ruolo, svolgere feste, ecc…;
area laboratorio: adiacente alla sala giochi la ludoteca deve prevedere una zona
laboratorio. Inoltre, nelle attività che prevedono l’utilizzo di colori, colle ed altre consistenze
che possano lasciare traccia sui vestiti, si può ridurre al minimo la paura di sporcarsi
rispettando dei semplici accorgimenti. Nel caso in cui lo spazio fruibile fosse limitato ad un
unico salone esso potrà essere predisposto come sala gioco con un angolo laboratorio;
servizi igienici: i locali destinati ai servizi igienici dovranno essere, in relazione agli
standard previsti per l’edilizia scolastica, accessibili, adeguati sia nelle dimensioni dei
sanitari a bambini di età diverse, sia in numero sufficiente ed idonei al numero di bambini
partecipanti alle attività, è utile prevedere anche uno spazio definito “antibagno”. È
necessario avere almeno un bagno per i portatori di handicap.
Dal punto di vista organizzativo l’edificio va individuato in base ai seguenti parametri:
• centralità rispetto al bacino di utenza che si intende servire;
• presenza di spazi aperti;
• possibilità di ampliare la struttura.
Dal punto di vista edilizio, la scelta va effettuata tenendo conto dei seguenti elementi:
• disposizione degli spazi comodamente adattabili all’uso previsto;
• spazi del tutto accessibili ai disabili;
• locali con buona aerazione e luminosità (conformi ai regolamenti igienici sui rapporti
aeroilluminanti).
•
•
La Normativa di riferimento
Giuridicamente, la ludoteca, è un luogo riconosciuto dallo Stato italiano e disciplinato da una
vera e propria “Carta dei principi delle Ludoteche“, che mirano a definirne le finalità e le
funzioni. Si tratta di un servizio centrato sul gioco, un centro ricreativo, sociale e culturale
che
opera
per
realizzare
una
migliore
qualità
della
vita
infantile.
L’edificio che ospita una ludoteca deve essere in possesso di agibilità e di abitabilità nel
rispetto dei Regolamenti Edilizi, Urbanistici e Igienico–Sanitari.
Bisogna ricordare che i requisiti strutturali variano da regione a regione
Devono essere infine rispettati i requisiti della legge 10/91 relativa al contenimento dei
consumi energetici, della legge 46/90 sulla sicurezza degli impianti e la legge
626/94 relativa alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Concludendo, per l’avvio dell’attività, è necessario l’attestato di idoneità igienico-sanitaria
per i locali e il certificato di prevenzione incendi rilasciato dal comando provinciale dei vigili
del fuoco.
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