• DAL RINASCIMENTO ALLE SCOPERTE GEOGRAFICHE • CRISTOFORO COLOMBO • EUROCENTRISMO • CONQUISTADORES ED ENCOMIENDA • ETICA E MORALE All'inizio del rinascimento, le scoperte geografiche erano molto limitate, infatti si conoscevano solo i due terzi delle terre emerse ed un terzo dei mari e degli oceani. Molte zone dell'Asia e dell'Africa erano quindi inesplorate e si pensava che il mondo fosse diviso in soli tre continenti: Europa, Asia, Africa. Fu solo intorno al XV secolo che alcuni esploratori partirono alla ricerca di terre oltreoceano, in particolar modo oltre l'oceano atlantico. Le scoperte geografiche del XV secolo sono fortemente legate alle scoperte avvenute nel Rinascimento. Dal punto di vista delle imbarcazioni, fu idealizzato un nuovo tipo di nave, la caravella, che era molto utile per le lunghe navigazioni per il grande spazio per i viveri; il timone manovrato dall'interno in modo da poter manovrare la nave anche controvento e fu aumentata la stabilità dell'imbarcazione. Inoltre vennero incrementati e modificati alcuni strumenti utili per la navigazione come la bussola e l'astrolabio che hanno permesso agli uomini del Rinascimento di svolgere i loro viaggi. I primi esploratori che si sono impegnati ad intraprendere delle spedizioni transoceaniche si concentrarono soprattutto nelle zone dell'Africa senza addentrarsi nell'Oceano Atlantico. I due più famosi esploratori pre-Colombo sono Marco Polo ma anche Bartolomeo Diaz, il quale nel 1487-1488 circumnavigò l'estremità orientale dell'Africa. A causa della pericolosità dell'Oceano Atlantico solamente pochi uomini tra i quali Cristoforo Colombo, si innescarono all'esplorazione. Cristoforo Colombo era un navigatore italiano nato a Genoa nel 1451 da una famiglia di piccoli commercianti tessili, e morto a Valladolid nel 1506. In un periodo nel quale le grandi potenze europee come Spagna e Portogallo si spingevano sempre più a largo per i commerci, Colombo rimase affascinato alla vita mercantile all'età di soli 14 anni. Durante la sua formazione come navigatore ed esploratore, Colombo visitò molte località lontane dalla sua terra. Con il proseguire della sua carriera, Colombo iniziò a studiare molte cartine geografiche che evidenziavano le zone di mare inesplorate. In quel periodo, la maggior parte della popolazione, che era ignorante, pensava che la Terra fosse piatta e nutrivano un'autentica paura per l'oceano. Basandosi sui racconti di viaggiatori famosi (Marco Polo) e studiando le rotte più moderne, Cristoforo Colombo si convinse che attraversando l'Oceano si sarebbe potuto giungere direttamente in Asia, evitando così quegli scomodi viaggi di terra e aggirando i normali percorsi via mare sottoposti a tasse e dazi molto pesanti. Quando nel 1484 però portò la sua idea davanti al Re di Portogallo Giovanni II, questi rifiutò di fornirgli il necessario per organizzare una spedizione tanto avventata, poiché i suoi sforzi erano invece rivolti verso la circumnavigazione dell'Africa. Anche la regina di Castiglia, Isabella, declinò la proposta di Colombo, ritenendo che il viaggio sarebbe stato troppo lungo e pericoloso (e quindi dispendioso). Non dandosi per vinto, il navigatore genovese perfezionò i sui calcoli, stimando che il viaggio dall'Europa fino alle coste delle "Indie" poteva durare anche poche settimane. I suoi conti erano clamorosamente sbagliati (la distanza era più di quattro volte superiore a quella prevista), ma alla fine riuscì comunque a convincere la regina Isabella, e dopo tanta fatica, il 3 agosto 1492, Colombo salpò dal piccolo porto di Palos alla volta dell'Asia con tre caravelle: la Niña, la Pinta e la Santa Maria. I primi intoppi non tardarono ad arrivare e già dopo pochi giorni la piccola flotte dovette fare scalo alle isole Canarie per alcune riparazioni. Il 6 settembre però, iniziò davvero l'avventura in "oceano aperto". La navigazione, ovviamente, fu più lunga e difficoltosa di quanto pronosticato da Colombo, che ebbe il suo bel da fare nel calmare il suo equipaggio, stressato dalla fatica e da strani eventi (bussole impazzite, cibo che spariva) e che fu più volte sul punto di ribbellarsi. Alla fine, l'ammiraglio Colombo promise ai marinai che se entro una settimana non si fosse avvistata la terraferma, sarebbero tornati indietro. Miracolosamente, il 12 ottobre 1492, dopo 36 giorni di traversata, fu avvistata la costa. Le tre navi sbarcarono sull'isola che Colombo ribattezzò San Salvador, anche se probabilmente ora tale isola fa parte delle Bahamas. La vegetazione, il territorio e gli indigeni che gli esploratori vi trovarono però non corrispondevano ai resoconti sulle Indie e Colombo, dopo numerosi viaggi nelle isole vicine per dimostrare di trovarsi nel Cipango (il Giappone), alla fine dovette arrendersi e ammettere che quella non era l'Asia, ma le Americhe. Senza le spezie né l'oro promesso ai suoi finanziatori, Colombo però volle ritornare in Spagna orgoglioso della sua scoperta, ma lasciò alcuni uomini sul posto, convinto di ritornare. Nonostante il sostanziale insuccesso (si presentò solo con un po' di tabacco, dell'oro di bassa qualità e qualche pappagallo), Colombo riuscì a convincere la Corona spagnola a concedergli altre navi ed un equipaggio ancora più numeroso, così da poter esplorare le nuove terre e riportare in Europa grandi ricchezze. Alla seconda spedizione che toccò Cuba e i piccoli arcipelaghi circostanti, seguirono anche un terzo ed un quarto viaggio, che portarono Colombo a visitare le isole di Trinidad e la costa dell'America Centrale. Tuttavia non riuscì mai a trovare le ricchezze e le spezie che aveva vantato e al ritorno in Europa venne accusato del cocente fallimento e morì dimenticato nel 1506, a Valladolid. Alla morte di colombo ci furono diversi esploratori che contiruarono e completarono la missione iniziata da Colombo; tra questi possiamo ricordare i nomi di: Amerigo Vespucci, Ferdinando Magellano, Pedro Alvaro Cabral ed altri. Intorno al 1500 Amerigo Vespucci compì un viaggio lungo le coste dell’America meridionale e si convinse che Colombo non aveva messo piede in Asia ma in un nuovo continente che chiamò America. TRATTATO DI TORDESILLAS Gli europei, vedevano nel nuovo continente un vero e proprio luogo di conquista e quindi si imbarcavano per impossessarsi dei nuovi territori. Per controllare le esplorazioni e le colonie che venivano create fu firmato il trattato di Tordesillas, secondo il quale i territori spagnoli venivano divisi dai territori portoghesi tramite una linea verticale immaginaria chiamata raya. Il trattato non riguardava solo l’America ma anche l’Asia e l’Africa. I rapporti tra europei ed Indios erano fin dall’inizio molto difficili, soprattutto perché gli Indios venivano considerati come «alieni». Colombo definiva gli Indios come un popolo selvaggio, generoso e gentile che con la giusta religione sarebbero diventati il popolo più felice della Terra. Su questo pensiero però c’erano diverse opinioni: Francisco De Vitoria infatti, affermava che non c’era bisogno di fare guerra per un motivo di diversità religiosa. Anche Las Casas, un altro vescovo spagnolo, si schierò a favore degli Indios affermando che essi erano umili e pacifici. Per conoscere più a fondo i territori e le usanze del Nuovo Mondo, furono organizzate dai sovrani europei delle spedizioni con compiti esplorativi. Un importante ruolo all’interno di tali spedizioni, lo giocavano i conquistadores: uomini di maggioranza spagnola, violenti e senza scrupoli che andavano alla ricerca di un ricco paese, l’Eldorado. I conquistadores avevano un vantaggio tecnologico dal punto di vista delle armi da fuoco, ma a loro volta gli indigeni erano in numero pressoché superiore rispetto agli spagnoli. Gli elmi in ferro, aiutarono molto gli spagnoli a proteggersi dalle pietre che venivano lanciate dagli indigeni; inoltre i conquistadores potevano servirsi di armi come gli archibugi che però erano troppo lenti da ricaricare e quindi furono preferiti spada e coltelli in acciaio e ferro. Ciò che però favorì la vittoria ai conquistadores, furono le violente malattie che si diffusero e alle quali gli indigeni non avevano precauzioni. Anche gli animali giocarono un ruolo molto importante, infatti i cavalli venivano usati per raggiungere i villaggi e sterminarli; mentre i cani per attaccare gli uomini nascosti nelle foreste. A partire dal XVI secolo, gli spagnoli, adottarono un atteggiamento di colonizzazione nei confronti dei nuovi territori che avevano conquistato. Nonostante l’organizzazione della popolazione imitò il sistema spagnolo ci furono dei problemi che non resero queste nuove istituzioni efficaci come lo erano state le encomiendas della Spagna medievale. L'encomienda coloniale consisteva nell'affidare a degli encomenderos spagnoli determinati territori abitati con un gruppo di indigeni, che dovevano essere colonizzati e cristianizzati. L'encomienda fu quindi un'istituzione che permise di consolidare la colonizzazione dei nuovi territori, attraverso l'assoggettamento fisico, morale e religioso delle popolazioni precolombiane. Sebbene gli spagnoli accettassero il fatto che gli indigeni fossero esseri umani, pensavano che non fossero responsabili delle loro azioni e per tanto dovessero essere encomendati dagli encomenderos. Questa usanza servì anche a giustificare la sottomissione degli Indios. In breve gli encomenderos, avendo avuto assoluta libertà di governo, cominciarono ad abusare dei loro encomendados, facendoli lavorare in modo disumano. I tributi erano raccolti dal capo della comunità coloniale locale. L'encomendero rimaneva sempre in contatto con la sua encomienda, ma risiedeva in città. L'encomienda fu un modo per ricompensare coloro che si erano distinti per i loro servizi e favorire l'insediamento di popolazione spagnola nelle terre appena conquistate. All'inizio il titolo di encomendero era personale e non trasferibile, ma con il tempo la trasmissione del titolo divenne ereditaria. A questo punto, il problema di partenza era spiegare la presenza degli indios nel Nuovo Mondo senza entrare in contrasto con quanto scritto nella Genesi sull’estinzione di ogni essere umano ad eccezione di Noe. Si creò un’altra concezione che negava la piena umanità di quella popolazione. Fu portata avanti da Juan Gines de Sepulveda il quale utilizzando alcune affermazioni di Aristotele giunse ad affermare che gli indios erano homunculi ovvero una sorta di sottospecie umana sottoposta alla schiavitù. Principale oppositore della teoria di Sepulveda fu Las Casas giunto nella Nuova Spagna come encomendero. Egli fu convertito alla difesa degli indios dalla predicazione di alcuni frati domenicani e dalle atrocità di cui era testimone e così decise egli stesso di diventare domenicano e di dedicarsi nella sua vita alla difesa delle popolazioni oppresse. Quest’ultimo denunciò le atrocità dei conquistadores, si oppose al lavoro forzato degli indios e propose la creazione di insediamenti liberi. Las Casas insistì così tanto che anche Carlo V decise di ascoltarlo ed ebbe un lungo confronto con Sepulveda che contribuì a cambiare l’atteggiamento delle autorità nei confronti degli indios. Francisco de Vitoria difese la posizione di Las Casas. Egli affermò che gli indios erano pienamente uomini e che loro erano solo all’inizio del cammino verso la civiltà poiché avevano diverse usanze barbare. Propose una nuova teoria sul diritto di guerra poiché egli riteneva ingiustificata qualsiasi conquista anche se presentata come una crociata privando così la Spagna di uno dei suoi più solidi fondamenti ideologici.