Capitolo 1
Rumore nei circuiti integrati
1.1 Introduzione
Questo capitolo tratta gli effetti del rumore elettronico nei circuiti integrati. Escludendo
l’interferenza di segnali estranei prodotti da attività esterne, l’esistenza del rumore è
fondamentalmente dovuta al fatto che la carica elettrica non è continua ma è trasportata in quantità
discrete uguali alla carica dell’elettrone.
Lo studio del rumore è importante poiché esso rappresenta il limite inferiore per l’ampiezza
del segnale elettrico che può essere amplificato da un circuito senza che si verifichi un significativo
deterioramento nella qualità del segnale stesso. Il rumore determina anche un limite superiore per
il guadagno utilizzabile in un amplificatore, in quanto, se il guadagno viene aumentato
indiscriminatamente, gli stadi di uscita possono anche saturarsi col rumore proveniente dagli stadi
d’ingresso.
1.2 Sorgenti di rumore
1.2.1 Rumore granulare (“shot”)
Il rumore granulare è sempre associato con il fluire di una corrente continua ed è presente nei
diodi e nei transistori bipolari. La corrente diretta, nel diodo, è costituita da lacune ed elettroni che
diffondono come portatori minoritari. Il passaggio di ciascun portatore attraverso la giunzione è un
evento puramente casuale e dipende dal fatto che il portatore possegga un’energia sufficiente e una
velocità diretta verso la giunzione; così la corrente esterna, che appare come una corrente continua,
è, in realtà, costituita da un gran numero di impulsi di corrente, casuali ed indipendenti.
La fluttuazione della corrente è chiamata rumore granulare (shot noise) ed ha un valore
quadratico medio che è proporzionale alla larghezza di banda ∆f (in Hertz) della misura; quindi può
essere definita una densità spettrale della corrente di rumore che è costante al variare della
frequenza (rumore bianco):
S I = 2qI D
(1.1)
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2
L’effetto del rumore granulare può essere rappresentato entro il circuito equivalente per piccoli
segnali, a bassa frequenza, del diodo, includendo un generatore di corrente in parallelo al diodo,
come mostrato nella fig. 1.1:
rd
Fig. 1.1
SI
Circuito equivalente per piccoli segnali del diodo a giunzione, comprendente il rumore “shot”
1.2.2 Rumore termico
Il rumore termico è generato da un meccanismo completamente diverso da quello del rumore
granulare. Nei resistori convenzionali esso è dovuto al moto termico degli elettroni e non dipende
dalla presenza o meno di corrente continua, poiché le velocità di trasporto degli elettroni, in un
conduttore, sono molto inferiori alle velocità termiche.
Il rumore termico è direttamente proporzionale a T ed in un resistore può essere rappresentato
da un generatore “serie” di tensione o da un generatore “parallelo” di corrente:
R
R
SI
SV
Fig. 1.2
Rappresentazioni alternative del rumore termico
S V = 4kTR
SI =
4kT
R
(1.2a)
(1.2b)
1.2.2 Rumore “flicker”
Questo è un tipo di rumore che si ritrova in tutti i dispositivi attivi e anche in alcuni elementi
discreti passivi, come i resistori al carbonio. Le origini del rumore flicker sono varie, ma nei
transistori bipolari esso è causato principalmente da trappole associate con contaminazioni e difetti
cristallini nella regione di svuotamento emettitore-base. Queste trappole catturano e rilasciano
portatori in modo casuale e le costanti di tempo associate con il processo danno origine ad un
segnale di rumore la cui energia è concentrata alle basse frequenze. Il rumore flicker è sempre
connesso con un flusso di corrente e presenta una densità spettrale della forma:
S I = K 1 ⋅ (I a f b )
(1.3)
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dove:
I
K1
a
b
è una corrente continua
è una costante caratteristica di un particolare dispositivo
è una costante compresa nell’intervallo 0.5 – 2
è una costante di valore circa unitario
E’ evidente che il rumore flicker è importante soprattutto alle basse frequenze, sebbene in
alcuni dispositivi esso può essere dominante fino a frequenze nel campo dei MHz.
La costante K1 non solo varia di ordini di grandezza da un dispositivo all’altro, ma può anche
variare notevolmente per diversi dispositivi derivanti dalla stessa fetta di silicio, con gli stessi
processi di fabbricazione. Questo è dovuto alla dipendenza dalla contaminazione e da imperfezioni
cristalline che sono fattori che variano casualmente persino entro la stessa fetta di silicio.
1.2.3 Rumore “burst”
É questo un altro tipo di rumore a bassa frequenza che si riscontra in alcuni circuiti integrati e
transistori discreti. Le cause di questo tipo di rumore non sono completamente note, sebbene sia
stato dimostrato che esso è connesso con la presenza di contaminazione da ioni di metalli pesanti.
Il rumore “burst” è così chiamato perché mostra “esplosioni” di rumore in corrispondenza di un
certo numero (due o più) di livelli discreti, intorno a frequenze dell’ordine dei kilohertz. La densità
spettrale di rumore è del tipo:
SI = K2 ⋅
Ic
2
1+ ( f f c )
(1.4)
dove:
I
K2
c
fc
è una corrente continua
è una costante caratteristica di un particolare dispositivo
è una costante compresa nell’intervallo 0.5 – 2
è una particolare costante caratteristica di un determinato processo di rumore
I processi di rumore burst spesso si verificano con diverse costanti di tempo e quindi con
diversi valori di fc, inoltre, come nel rumore flicker, il fattore K2 varia considerevolmente e deve
essere determinato sperimentalmente.
1.2.3 Rumore per effetto valanga
Questa è una forma di rumore prodotta da scarica Zener o valanga in una giunzione pn. Nella
scarica a valanga, lacune ed elettroni, nella regione di svuotamento di una giunzione pn polarizzata
inversamente, acquistano sufficiente energia per creare coppie lacuna-elettrone nelle collisioni con
atomi di silicio. Questo processo è cumulativo e il suo risultato è la produzione di una serie casuale
di grandi impulsi di rumore. Il rumore è sempre associato al flusso di una corrente continua ed è
molto più grande del rumore granulare della stessa corrente, dato dalla (1.1). Questo è dovuto al
fatto che ogni singolo portatore può far partire un processo a valanga che ha come effetto la
produzione di un impulso di corrente che contiene molti portatori che si muovono assieme.
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Il rumore che ne risulta è costituito dall’insieme di un gran numero di tali impulsi. Il caso più
comune in cui il rumore per effetto valanga costituisce un problema si ha quando nel circuito
vengono usati dei diodi Zener che quindi sono generalmente evitati negli stadi a basso rumore.
1.3 Rumore equivalente in ingresso
Si consideri una rete in cui sono presenti elementi passivi e attivi, a cui sono associate delle
sorgenti di rumore rappresentabili come generatori di tensione o di corrente (fig. 1.3a). Si può
ottenere una rappresentazione equivalente riportando in ingresso tutte le sorgenti di rumore ed
inglobandole in SV e SI (fig. 1.3b).
RETE RUMOROSA
SV
SIi
SVi
(a)
Fig. 1.3
RETE
NOISELESS
SI
(b)
Rappresentazioni equivalenti per una rete rumorosa
La seconda rappresentazione, ovviamente, permette una semplificazione del calcolo: si può
stimare lo spettro equivalente del rumore, in un punto qualsiasi della rete, senza dover considerare
gli spettri delle singole sorgenti. Questa modellizzazione è sempre valida, purché si tenga conto
dell’eventuale correlazione tra i due generatori di rumore: essi, in generale, non sono indipendenti
perché dipendono dallo stesso insieme di sorgenti interne di rumore. In realtà però si può arrivare ad
un risultato abbastanza preciso se il grado di correlazione è basso; ciò accade quando uno dei due
generatori ha peso dominante sull’altro o quando vi sono poche sorgenti in comune.
La potenza di rumore che si produce all’uscita di una rete non può essere calcolata se non si
considera l’impedenza di terminazione dell’ingresso. Si consideri quindi la rete di fig. 1.3b con
all’ingresso l’impedenza Zs:
ZS
Fig. 1.4
SV
SI
Zi
A(jω)
Rete rumorosa con terminazione all’ingresso
Tale rete si può schematizzare anche tramite i modelli di Thevenin o di Norton mostrati nelle
figure successive 1.5a e 1.5b, in cui SVi è lo spettro di rumore all’ingresso della rete e SVeq e SIeq
hanno le seguenti espressioni:
SVeq = S V + S I ⋅ Z S
2
S Ieq = S I + S V Z S
2
(1.5)
(1.6)
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SVeq
ZS
Zi
SVi
A(jω)
ZS
SIeq
(a)
Fig. 1.5
SVi Zi
5
A(jω)
(b)
Modello di Thevenin (a) e di Norton (b)
Si osservi che sono stati sommati i contributi di tensione e corrente e ciò, come già detto, si può
fare solo nell’ipotesi di basso grado di correlazione tra i due generatori. La potenza di rumore in
ingresso vale:
N IN =
1 +∞
⋅ SVeq (ω ) dω
2π ∫−∞
(1.7)
Lo spettro del rumore in uscita sarà:
SVo = SVi ⋅ A( jω )
2
(1.8)
essendo SVi dato dalla partizione tra Zi e Zs:
S Vi = S Veq
Zi
⋅
Zi + Z S
2
(1.9)
Integrando la (1.8) si ottiene la potenza di rumore in uscita:
N OUT =
1 +∞
⋅ SVo (ω ) dω
2π ∫−∞
(1.10)
Per confrontare i valori di potenza col livello di tensione o di corrente del segnale si passa al
valore RMS (VRMS):
N RMS = N
(1.11)
1.4 Rapporto segnale-rumore
Dopo aver definito le potenze di rumore, nasce l’esigenza di capire quand’è che esse possono
essere considerate “piccole” o “grandi”. A tal proposito si definisce il rapporto segnale-rumore,
dato dal rapporto tra le potenze del segnale e del rumore entrambe misurate in un punto qualsiasi
della rete, purché agli stessi terminali. Tale quantità è solitamente espressa in dB:
(S N )dB
P
= 10 ⋅ log S
 PN



(1.12)
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In termini di ampiezze piuttosto che di potenze, si può definire, in maniera del tutto
equivalente:
(S
A 2

N )dB = 20 ⋅ log

N


(1.13)
1.5 Range dinamico
Il rapporto segnale-rumore permette di valutare la bontà di un circuito con riferimento al tipo di
applicazione, a volte però può essere interessante parlare di un’altra grandezza: il range dinamico
di una rete o di un circuito. Si assume come valore del range dinamico il livello di potenza del
segnale per il quale si ha un valore del rapporto segnale-rumore pari a 0 dB. Se N è la potenza del
rumore si ha:
dinamic range = −10 ⋅ log N
(1.14)
1.6 Fattore e figura di rumore
Il parametro riguardante il rumore, maggiormente usato, è il fattore di rumore (o la figura di
rumore, pari al suo valore in dB) definito come:
F=
(S N )IN
(S N )OUT
(1.15)
Il numeratore della (1.15) è riferito alla sorgente di segnale all’ingresso della rete, il
denominatore invece comprende i contributi dovuti alla sorgente e alla rete stessa:
N OUT = N Sout + N Aout
(1.16)
Nel caso particolare in cui la rete non è rumorosa, si ha F =1 e quindi una figura di rumore
nulla; se la rete è rumorosa si ha invece:
F=
(S
N )IN
N
N
= 1 + Aout 2 = 1 + Aout
2
S IN A
N IN A
N OUT
2
N IN A + N Aout
(1.17)
che risulta sempre maggiore di 1. La (1.17) può essere scritta anche come:
N Aout A 2
N
= 1 + Ain
F = 1+
N IN
N IN
(1.18)
Si tratta della stessa espressione, quindi le potenze di rumore possono essere valutate in un
punto qualsiasi della rete, purché ai medesimi morsetti, ottenendo sempre lo stesso valore.
La figura di rumore allora è una proprietà intrinseca della rete, utile per dare una misura di
come l’interposizione della stessa peggiori il rapporto segnale-rumore.
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Si supponga adesso di avere un numero n di stadi in cascata, ognuno con una propria figura di
rumore e un proprio guadagno:
F1
A1
F2
A2
Fn
An
RS
VS
Fig. 1.6
Stadi rumorosi in cascata
Il fattore di rumore dello stadio complessivo è dato dalla seguente formula:
F = F1 +
Fn − 1
F2 − 1
+ ... +
2
A1
( A1 ⋅ A2 ⋅ ... ⋅ An−1 )2
(1.19)
in cui i guadagni indicati si riferiscono alle condizioni di adattamento (si tratta cioè dei guadagni
di potenza disponibile). In realtà si può considerare il guadagno delle normali condizioni di
funzionamento, ottenendo ugualmente un buon grado di precisione.
Dalla (1.19) si vede chiaramente che i fattori di rumore che entrano in gioco più pesantemente
sono quelli relativi ai primi stadi, poiché quelli successivi sono via via attenuati di un fattore pari al
quadrato del guadagno degli stadi precedenti.
Si consideri una cascata composta da due stadi, di cui il primo sia un amplificatore (A1 >>1), e
il secondo un attenuatore (A2 <1), allora dalla (1.19) si ricava:
F = F1 +
F2 − 1
A12
(1.20)
da cui si scopre che F non dipende da A2, l’attenuazione introdotta dall’attenuatore. Sembrerebbe
quindi che l’inserire un blocco attenuatore non dia alcun problema. Si consideri però il caso in cui
l’attenuatore costituisca il primo stadio e l’amplificatore il secondo: A1 <1, A2 >>1, F2 >>1 e si
supponga anche di essere nella situazione più favorevole in cui l’attenuatore sia non rumoroso.
La (1.19) diventa quindi:
F =1+
F2 − 1 F2
≅ 2
A12
A1
(1.21)
che, in termini di figura di rumore, si può scrivere anche come:
F ≅ F2 ( dB ) + (− 20 ⋅ log A1 )
(1.22)
Si capisce quindi che l’inserzione dell’attenuatore si ripercuote in maniera molto pesante sulla
figura di rumore complessiva, indipendentemente dal fatto che possa essere di per se rumoroso:
l’attenuazione da esso introdotta si traduce tutta in peggioramento della figura di rumore.
La posizione in cui viene messo lo stadio attenuatore risulta allora determinante per la resa in
termini di rumore dell’intera rete. Naturalmente anche nel primo caso considerato lo stadio
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attenuatore avrà un proprio peso, poiché certamente al secondo stadio ne seguirà un terzo (ad es. un
mixer o un amplificatore…) che subirà l’effetto dell’attenuazione. Se quindi c’è una posizione dove
lo stadio attenuatore potrà essere collocato è dove il proprio effetto risulterà ridotto da un alto
guadagno realizzato dagli stadi precedenti: in genere più a valle è messo e meno effetti negativi
avrà.
Esempio 1.1
Si vuole determinare lo spettro di rumore in uscita dell’amplificatore operazionale
rappresentato in fig. 1.7:
SVR2
SVR1
Fig. 1.7
R1
R2
SVo
Circuito per l’esempio 1.1
Applicando la sovrapposizione degli effetti:
SVo = SVR1 ⋅ ( R2 R1 ) + SVR 2
2
(1.23)
Si vuole ora minimizzare il rumore tenendo però costante il guadagno A =R2 /R1. Esplicitando
le espressioni si ha:
SVo = 4kTA ⋅ (R1 + R2 )
(1.24)
bisogna quindi abbassare contemporaneamente il valore di R1 e di R2, tenendo presente che la loro
riduzione è però vincolata dal valore di dissipazione che si vuole mantenere.
Dalla (1.24) potrebbe sembrare che una riduzione del rumore vada di pari passo con la
minimizzazione del valore delle sorgenti (R1 ed R2). Ciò non è vero in generale: la riduzione del
rumore va fatta mirando non tanto alla minimizzazione delle sorgenti del rumore stesso, quanto al
modo in cui esse si trasferiscono in uscita, e quindi in funzione anche delle impedenze di
terminazione.
Per provare quanto detto, basta minimizzare l’espressione (1.23) senza porre vincoli sul
guadagno. Si ottiene:
SVo = 4kTR2 ⋅ (1 + R2 R1 )
(1.25)
ed è chiaro che un aumento di R1 porta ad una diminuzione del rumore, nonostante l’incremento
nel valore della sorgente di rumore ad essa associata.
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1.7 Rumore in un transistore bipolare
Si studia, adesso, il rumore all’interno di un amplificatore ad emettitore comune, fermo
restando che il procedimento seguito varrà anche per le altre configurazioni.
Si consideri il modello valido alle alte frequenze:
rb
SVb
Cµ
Fig. 1.8
Cπ
rπ
SIb
gmvπ
SIc
rc
Modello ad alta frequenza per un transistore ad emettitore comune
In tale modello sono state incluse le sorgenti interne di rumore, definite come segue:
SVb = 4kTrb
S Ib = 2qI B +
A B
+ 2
f
f
S Ic = 2qI C
[V
2
Hz
]
(1.26)
[A
2
Hz
]
(1.27)
[A
2
Hz
]
(1.28)
La SVb rappresenta una sorgente di rumore di grande peso, si cerca per questo di lavorare con
processi a basso valore di rb (10 Ω ÷ 50 Ω). La SIb introduce il cosiddetto rumore shot della
corrente di base, rappresentato dal primo addendo della (1.27) e di valore dominante, mentre gli
altri due addendi, determinanti rispettivamente il rumore flicker e il rumore burst, offrono un
contributo irrilevante alle alte frequenze; infine la SIc, come la SIb, dà luogo al rumore shot.
Riportando le sorgenti tutte in ingresso si ha:
SV
Q1
SI
Fig. 1.9
Schematizzazione in ingresso delle sorgenti di rumore per un transistore bipolare

1
S V = 4kT ⋅  rb +
2g m

[



S I = 2q ⋅ I B + I C ⋅ (ω ω T )
(1.29)
2
]
(1.30)
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Le (1.29) e (1.30) mostrano una correlazione tra i due generatori, (entrambi, infatti, dipendono
da IC) che però scompare se si può supporre ω <<ωT. In effetti, le capacità considerate nel modello
di fig. 1.8 entrano in gioco alle frequenze molto alte perciò trascurare i condensatori vuol dire
eliminare il termine dipendente dalla frequenza nella (1.30) e quindi la correlazione.
Ma qual è il valore di ω sotto cui il contributo di IC si può ritenere trascurabile? Si può pensare
di trascurare IC fintantoché il proprio contributo non eguagli quello di IB.
Imponendo questa condizione si ricava la frequenza ω∗:
2
ω* 
ω
 ⇒ ω * = T
I B = I C ⋅ 
βF
 ωT 
(1.31)
Ad esempio, in un processo tipico (ST – HSB2), con fT =20 GHz e β =70 si ha f* =2.4
GHz; lavorare al di sotto di questa frequenza equivale a trascurare gli effetti capacitivi.
In fig. 1.10a è evidenziato il range di frequenze entro cui può considerarsi valida l’ipotesi di
bassa correlazione tra i due generatori, mentre nella fig. 1.10b è rappresentato, al variare di ω, lo
spettro di corrente di rumore: si può osservare che esiste un range in cui esso si mantiene pressoché
costante (rumore bianco), ciò può semplificare il calcolo della figura di rumore.
H ( jω )
S I (ω )
1 ω2
ω2
1ω
ωT
βF
ωT
βF
(a)
Fig. 1.10
ωT
ω
ω1
ω*
ω
(b)
Range di validità dell’ipotesi di bassa correlazione (a); andamento dello spettro della corrente di rumore con
la frequenza (b)
1.8 Calcolo della figura di rumore in un BJT ad emettitore comune
Affrontiamo adesso il calcolo della figura di rumore di un transistore connesso ad emettitore
comune (fig. 1.11).
Come sappiamo la figura di rumore è data da:
F = 1+ N A N S
(1.32)
Si supponga di voler fare il calcolo in uscita (la posizione è indifferente, purché le grandezze
siano riferite agli stessi terminali). Si lavora a medie frequenze, quindi, con buona approssimazione,
i generatori di rumore del transistore si possono considerare incorrelati e il loro rumore si può
supporre bianco. Di conseguenza nella (1.32) si possono sostituire gli spettri di rumore:
F = 1 + S A S RS
(1.33)
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VCC
SVRC
RC
SVS
vo
SV
Q1
RS
SI
vS
Fig. 1.11
Rappresentazione delle sorgenti di rumore per un BJT
In uscita si ha:
SVAo = SV ⋅ ( g m RC ) + S I ⋅ [(RS || rπ ) ⋅ g m RC ] + SVRC
(1.34)
SVSo = SVS ⋅ (g m RC )
(1.35)
2
2
2
trascurando la rc che, in queste situazioni, risulta molto maggiore delle tipiche RC (100 Ω ÷ 1 kΩ)
ed il partitore di ingresso, essendo rπ molto più grande di RS (50 Ω o 1/gm) nei blocchi dove il
rumore è importante.
Sostituendo nella (1.33) si ottiene:

RC
1 
 + 2qI B RS2 + 4kT ⋅
4kT ⋅  rb +
2gm 
(g m RC )2

F ≅ 1+
4kTRS
(1.36)
ovvero:
F ≅ 1+
rb
g R
RC
1
+
+ m S +
2
2β F
RS 2 g m RS
RS ⋅ ( g m RC )
(1.37)
In cui il secondo termine dipende da rb , il terzo ed il quarto da IC , mentre l’ultimo è in genere
trascurabile, perché diviso da un guadagno per cui spesso si approssima ancora come:
F ≅ 1+
rb
g R
1
+
+ m S
RS 2 g m RS
2β F
(1.38)
Questa espressione mostra bene come la figura di rumore del transistore sia dipendente anche
dalla sorgente tramite la RS, in effetti è una dipendenza molto forte e sarà sfruttata in seguito per
ottenere amplificatori a basso rumore.
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1.8.1 Figura di rumore in condizione di adattamento e reti loss-less
E’ noto come in generale la condizione ottimale di funzionamento per gli stadi in cascata sia la
condizione di adattamento. Questa prevede che l’impedenza d’ingresso di uno stadio sia la
complessa coniugata dell’impedenza d’uscita dello stadio che lo precede.
Un semplice emettitore comune può essere inquadrato in questa ottica; con riferimento alla
figura 1.11 la condizione di adattamento si traduce nella:
RS = rπ
(1.39)
L’adattamento non è comunque cosa immediata, in generale anzi difficilmente la resistenza
della sorgente sarà uguale alla rπ del BJT , ed anche agire sulla IC per variare la rπ non è detto sia
una buona soluzione (IC è infatti ottimizzato per garantire svariate specifiche e non solo rπ ).
Per modificare i livelli d’impedenza visti dal transistore e dalla sorgente si usano allora delle
reti passive (le reti attive introdurrebbero troppo rumore) denominate loss-less, connesse come in
figura:
RETE
Q1
LOSS-LESS
RS
Z1
vS
Figura 1.12
Z2
Zi
Rete loss-less per l'adattamento
Con queste reti possiamo variare la resistenza vista dal BJT (Z2), ma allo stesso tempo anche
quella vista dalla sorgente (Z1). Le reti sono infatti simmetriche e l’adattamento ad entrambi i lati è
automatico, se lo garantisco in uscita alla rete l’ho automaticamente garantito anche in ingresso e
viceversa, ovvero:
Z 1 = RS ⇔ Z 2 = Z i
*
(1.40)
In queste reti vanno evitati gli elementi resistivi perché rumorosi di per se stessi, si usano allora
solo induttori e condensatori che tra l’altro debbono essere il più ideali possibili per contribuire
poco al rumore ( loss-less vuol infatti dire senza perdite, ovvero con elementi ideali) .
Con le reti loss-less modifichiamo la resistenza vista dal BJT che sarà adesso rπ, garantendo
l’adattamento. Sostituendo dunque RS = rπ nella (1.38) si trova la nuova figura di rumore che vale
in queste condizioni:
FADATT =
3
1 1

+
 + g m rb 
2 βF  2

(1.41)
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Si nota subito che questa espressione è sicuramente maggiore di 3/2 , tradotto in dB abbiamo in
pratica un limite teorico inferiore di:
NF = 1,7 dB
(1.42)
Questa è una figura di rumore medio-bassa, ma al di sotto della quale non possiamo scendere
con l’approccio dell’adattamento. Inoltre nel ricavarla abbiamo trascurato diverse componenti di
rumore come quelle ad alte frequenze (che possiamo stimare intorno ai 2 dB), quelle introdotte dalle
reti loss-less (altri 2 dB), ed altre dovute alla non idealità degli elementi (ulteriori 2 dB), per cui alla
fine difficilmente potremo raggiungere una figura di rumore inferiore 2.3 dB.
Questo è già un valore eccessivo per le applicazioni a basso rumore, dobbiamo allora cambiare
approccio e abbandoneremo momentaneamente il problema dell’adattamento.
1.8.1 Figura di rumore minima ed Fo
Rispettando la condizione di adattamento abbiamo visto che per la figura di rumore non
possiamo spingerci al di sotto di un certo valore che però non è sufficiente a soddisfare gli standard
attuali delle applicazioni a basso rumore ( figure di rumore anche di 1 dB).
Bisogna allora cambiare strategia: guardando la (1.38) ci si accorge che la figura di rumore
dipende da RS sia al numeratore che al denominatore, si può allora pensare di trovare un valore
particolare di RS in maniera da minimizzare l’intera espressione, svolgendo i calcoli si trova:
RSOPT =
βF
gm
1 + 2 g m rb
(1.43)
Ed in corrispondenza troviamo la figura di rumore minima:
FMIN = 1 +
1 + 2 g m rb
(1.44)
βF
Si nota che FMIN dipende tra l’altro da gm rb , questo è un parametro particolare che invece di
dipendere direttamente dalla corrente di collettore, dipende invece dalla densità di corrente:
g m rb ∝
IC
AE
(1.45)
Troviamo dunque per la FMIN un grafico in funzione della densità di corrente che risulta essere
il seguente:
F M IN
FO
(I C \A E )*
Figura 1.13
I C \A E
Andamento della FMIN con la densità di corrente
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Capitolo 1
Rumore nei circuiti integrati
14
Il grafico è molto esplicito sull’esistenza per la FMIN di un minimo che abbiamo chiamato Fo , si
nota inoltre che Fo è in corrispondenza di un valore ottimale per la densità di corrente che abbiamo
chiamato (IC / AE)OPT .
Fo è dunque un nuovo parametro tecnologico che si affianca ai già noti βF ed ωt , funzioni
anche questi della densità di corrente.
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Capitolo 2
Cenni su linee di trasmissione e
adattamento di impedenza
2.1 Introduzione
Nelle comuni applicazioni a bassa frequenza ci si è sempre preoccupati del trasferimento del
segnale da uno stadio al successivo cercando di preservare quanto più possibile l’ampiezza del
segnale di uscita. In altre parole, si è cercato sempre di far seguire ingressi ad alta impedenza a stadi
con uscite “in tensione” e ingressi a bassa impedenza ad uscite “in corrente”.
Per adempiere a questi scopi si è lavorato sempre in situazioni di massimo disadattamento,
almeno nel senso classico che viene dato a questo termine, con riferimento cioè al ben noto teorema
del “massimo trasferimento di potenza”. Si è separato quindi il concetto di trasferimento di segnale
da quello di trasferimento di potenza, anche perché nelle tipiche condizioni di lavoro a bassa
frequenza vi può essere trasferimento di segnale pur non essendovi assolutamente un trasferimento
di potenza (basta pensare ad un generico stadio di ingresso a mosfet che riceve e trasferisce un
livello di tensione senza per questo aver assorbito potenza dalla sorgente).
Passando però allo studio di circuiti in RF ci si deve preoccupare delle situazioni in cui
generatore e carico siano collegati da una linea di trasmissione, intendendo con ciò una linea di
lunghezza non trascurabile rispetto alla lunghezze d’onda effettive che vi transitano.
In tal caso diventano fondamentali i concetti di “adattamento di impedenza” e “massimo
trasferimento di potenza”.
2.2 Parametri di trasmissione
Come già accennato nell’introduzione, tutte le volte che in una linea transitano dei segnali
aventi lunghezze d’onda confrontabili con le dimensioni della linea stessa, si è in presenza di linee
di trasmissione e quindi di circuiti a parametri distribuiti.
Si consideri allora una tale situazione che, nella pratica, potrebbe essere quella di un
collegamento tra antenna e ricevitore (poiché alla frequenza di 1 GHz si hanno valori di λeff
dell’ordine di qualche decina di cm).
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Capitolo 2
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
16
Per caratterizzare questo collegamento bisogna allora far ricorso alla teoria delle onde e quindi
all’uso dei parametri di trasmissione.
Considerata una linea di trasmissione, si definisce la costante di propagazione γ:
γ = α + jβ
(2.1)
in cui α è una costante di attenuazione, indice delle perdite nella linea, e β è una costante di fase,
definita come:
β=
2π
(2.2)
λ eff
Il parametro λeff è la già citata lunghezza d’onda effettiva nel mezzo in esame, data da:
λ eff =
λ0 : lunghezza d’onda nel vuoto
λ0
ε
(2.3)
ε : costante dielettrica del mezzo
Con riferimento alla schematizzazione di fig. 2.1, le (2.4) forniscono rispettivamente le
definizioni di onda di tensione ed onda di corrente:
V ( z ) = V0+ ⋅ e −γz + V0− ⋅ e +γz
(2.4a)
I ( z ) = I 0+ ⋅ e −γz + I 0− ⋅ e +γz
(2.4b)
ZS
Linea di trasmissione
ZL
VS
Zi
Zo
0
Fig. 2.1
l
z
Schematizzazione di una connessione sorgente-carico mediante linea di trasmissione
I primi due addendi delle (2.4) rappresentano le onde incidenti mentre gli altri due sono le
onde rilesse. Imponendo la condizione al contorno sul carico:
V (z )
= ZL
I ( z ) z =l
(2.5)
le (2.4) diventano:
V (z ) =
[
IL
⋅ ( Z L + Z 0 ) ⋅ e + γ ( l − z ) + (Z L − Z 0 ) ⋅ e −γ ( l − z )
2
]
(2.6a)
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Capitolo 2
I (z ) =
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
[
IL
⋅ (Z L + Z 0 ) ⋅ e +γ (l − z ) − (Z L − Z 0 ) ⋅ e −γ (l − z )
2Z 0
]
17
(2.6b)
avendo posto:
V0+
V0−
= − − = Z0
I 0+
I0
Z0 : impedenza caratteristica della linea
I L = I (l )
(2.7)
(2.8)
Facendo uso delle (2.6) è possibile determinare l’impedenza vista dal generatore:
Zi =
Z + Z 0 ⋅ tanh (γl )
V (z )
= Z0 ⋅ L
I ( z ) z =0
Z 0 + Z L ⋅ tanh (γl )
(2.9)
Se si è nella condizione in cui γl→ 0 si ritrova Zi → ZL.
2.2.1 Linee di trasmissione “lossless”
Una linea di trasmissione è lossless (senza perdite) quando α =0 cioè quando si possono
trascurare le conduttanze “parallelo” e le resistenze “serie” distribuite nella linea.
Nella pratica il valore di α è comunque talmente basso da poter essere trascurato (ma non per il
calcolo della figura di rumore), perciò la (2.1) diventa:
γ = jβ
(2.10)
e la (2.9):
Zi = Z0 ⋅
Z L + jZ 0 ⋅ tan (l ⋅ 2π λ eff
Z 0 + Z L ⋅ tan (l ⋅ 2π λ eff
)
)
(2.11)
Nel caso in cui la lunghezza della linea possa essere trascurata (l <<λeff /2π), si ha Zi =ZL e
quindi la potenza fornita al carico diventa:
PL =
 ZL

1
1
⋅ Re V L ⋅ I L* = ⋅ Re 
⋅ V S ⋅ I L* 
2
2
ZL + ZS

[
]
(2.12)
Se non si è in queste condizioni (l≈λeff /2π) bisogna valutare la potenza trasferita dalla sorgente
alla linea:
PS =
[
1
⋅ Re Vi ⋅ I i*
2
]
(2.13)
Se la linea è senza perdite la potenza trasferita ad essa non verrà in nessuna parte dissipata. Ci
sarà però un’onda riflessa e non tutta la potenza quindi verrà assorbita dal carico. Questo fenomeno
è dovuto alla presenza di onde stazionarie.
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Capitolo 2
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
18
La potenza che il carico non riesce ad assorbire giunge di nuovo alla sorgente (l’antenna) dove
può essere dissipata o rispedita. Ovviamente la condizione da ricercare è quella per cui tutta la
potenza trasferita alla linea giunga al carico.
Bisognerà garantire quindi un primo adattamento tra sorgente e linea e, successivamente, tra
linea e carico. In seguito si vedrà comunque che utilizzando delle reti reattive per la trasformazione
delle impedenze, realizzando l’adattamento da un estremo della linea, si avrà allo stesso tempo
l’adattamento all’altro estremo.
Al fine di quantificare la bontà dell’adattamento di impedenza con la linea, e quindi l’entità
della riflessione, si introduce il parametro Γ, coefficiente di riflessione, dato dal rapporto tra la
potenza riflessa e quella totale, che può essere associato alla sorgente (ΓS) o al carico (Γo):
ΓS =
Z i − Z S*
Z i + Z S*
(2.14a)
Γo =
Z o − Z L*
Z o + Z L*
(2.14b)
Idealmente si vorrebbero valori di Γ nulli; in realtà però un valore |Γ|<0.3 può essere
abbastanza buono. Alcune volte, più che usare il parametro Γ, si utilizza il RETURN LOSS
(perdita di ritorno) che indica di quanto l’onda riflessa è attenuata rispetto a quella incidente:
RL = −20 log Γ
(2.15)
Valori accettabili per il RL sono all’incirca quelli maggiori di 10 dB. Un ultimo parametro
usato per questa caratterizzazione è il VSWR (Voltage Standing Wave Ratio) spesso noto anche
come ROS (Rapporto d’Onde Stazionarie):
VSWR =
1+ Γ
(2.16)
1− Γ
Il caso ideale è rappresentato dall’avere VSWR=1, in pratica però un valore minore di 1.9 è più
che accettabile.
2.3 Reti di adattamento
A proposito delle problematiche dovute alle onde riflesse, la situazione che più interessa
studiare è quella relativa alla connessione tra l’antenna e l’LNA (cap. 3).
L’LNA presenta solitamente un’impedenza d’ingresso che è diversa da quella voluta, allora si
realizzano delle reti di adattamento (reti di “matching”) passive e senza perdite (“lossless net”)
quindi puramente reattive che vengono interposte tra l’antenna e l’LNA:
50 Ω
Z2
LOSSLESS
NET
Z1
LNA
Zi
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Capitolo 2
Fig. 2.2
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
19
Trasformazione di impedenza mediante rete lossless di matching
Le reti reattive hanno la proprietà che quando viene stabilito l’adattamento ad un estremo, allo
stesso tempo all’altro estremo vi sarà pure l’adattamento. Questa proprietà si può dimostrare
facilmente facendo un bilancio della potenza e ricordando che non viene dissipata potenza nella rete
reattiva.
Le strutture che più si utilizzano per realizzare delle reti di matching sono indicate nella figura
seguente:
jX1
jX1
jX2
jX2
Rete a L
Fig. 2.3
jX3
jX2
jX1
jX3
Rete a Π
Rete a T
Tipiche strutture per le reti di matching
Possono essere utilizzati anche dei trasformatori, soprattutto per trasformazioni di resistenze:
1:N
Z1
Fig. 2.4
Z2=N2⋅Z1
Adattamento mediante trasformatore
In genere però tale dispositivo è soggetto a perdite, più di ogni altro componente reattivo
(tipicamente si perde almeno 1 dB di figura di rumore).
Alle alte frequenze (2 GHz ÷ 5 GHz o più) si possono avere problemi con gli induttori che
diventano sempre meno buoni, in tal caso possono essere utilizzate delle micro-strisce di lunghezza
opportuna che fungono da linee di trasmissione.
Esempio 2.1
Si supponga di dover trasformare un’impedenza reale, di valore pari ad R1 in un’altra, pari ad
R2, nell’ipotesi che R2 >R1. Per tale scopo si può utilizzare una rete passa-basso ad L (fig. 2.5a):
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Capitolo 2
jX1
R1
L
jX2
C
R2
R2
C
Zi1
R2
Zi
Zi
(a)
Fig. 2.5
20
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
(b)
(c)
Adattamento di un’impedenza reale
Il procedimento da seguire per la costruzione di tale rete è riassumibile in due punti:
•
Abbassare la parte reale di R2 – per far questo si può porre un condensatore in parallelo ad R2
(fig. 2.5b). L’impedenza Zi1 vale:
Z i1 =
R2
R2
ωR22 C
j
=
−
⋅
2
1 + jωR2 C 1 + (ωR2 C )2
1 + (ωR2 C )
Quindi basta scegliere C in modo che alla frequenza di lavoro ω0 la parte reale di Zi1 valga R1:
R1 =
•
R2
1 + (ω 0 R2 C )
2
⇒C ≅
1
ω0
⋅
1
R1 R2
Annullare la parte immaginaria di Zi1 – si può mettere un induttore in serie (fig. 2.5c). La Zi
varrà quindi:
 ωR22 C

Z i = R1 − j ⋅ 
−
ω
L

2
1 + (ωR2 C )

A questo punto si trova il valore di L tale da annullare la parte immaginaria di Zi alla ω0:
ω 0 R22 C
1
ω0 L =
⇒L≅
⋅ R1 R2
2
ω0
1 + (ω 0 R2 C )
Realizzando la rete con i valori trovati per C ed L, alla frequenza ω0 l’impedenza Zi varrà
proprio R1. In linea teorica quindi si è riusciti a realizzare l’adattamento. Non si è però tenuto conto
delle tolleranze cui sono soggetti i componenti e del loro peso all’interno di un operazione di
adattamento.
È importante allora analizzare più in dettaglio il comportamento dell’impedenza Zi della quale
ne è rappresentato il modulo, in funzione della frequenza, nella figura seguente:
Z i (s ) = R 2 ⋅
ωp =
1
R2 C
L
⋅ s +1
R2
1 + R2 C ⋅ s
LC ⋅ s 2 +
ω z1, 2 = ω 0 =
1
LC
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Capitolo 2
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
|Zi(jω)|
Z i (s ) = R 2 ⋅
R2
21
L
⋅ s +1
R2
1 + R2 C ⋅ s
LC ⋅ s 2 +
R1
ωp1
Fig. 2.6
ωz1,2
ω
Funzione di trasferimento dell’impedenza d’ingresso
ωp =
1
R2 C
ω z1, 2 = ω 0 =
1
LC
La coppia di zeri in ω0 dà luogo ad una curvatura della f.d.t. che raggiunge il minimo proprio in
corrispondenza di ω0. L’ampiezza della zona di minimo o, equivalentemente, la pendenza della
curva in corrispondenza di ω0, è funzione del Q della coppia di zeri.
Questo aspetto è messo in evidenza nella fig. 2.7, nella quale è riportato l’andamento della f.d.t.
mostrata nella fig. 2.6, in prossimità di ω0, per diversi valori di Q (Q1 < Q2 < Q3 < Q4).
Q1 Q2 Q3
Q4
(polo reale)
ω0
Fig. 2.7
(coppia di zeri complessi coniugati)
ω
Dipendenza della pendenza della f.d.t. in prossimità di ω0 dal valore di Q
In presenza di tolleranze sui valori di L e C la posizione reale di ω0 differisce da quella
nominale di un fattore che dipende proprio dalla precisione con cui sono realizzati i componenti
suddetti.
Il fatto che la posizione reale di ω0 possa costituire o no un problema dipende dal Q della
coppia di zeri: in presenza di un alto Q anche una lieve perturbazione su ω0 porta a corrispondenti
valori di |Z(jω0)| molto diversi dal valore teorico, pari ad R1. Ciò costituisce il problema della
trasformazione di impedenze ad alto Q. Considerazioni analoghe ma opposte valgono nel caso in
cui si abbia un Q basso.
Per la funzione di trasferimento considerata il Q è dato da:
Q=
ω 0 R2
L
≅
R2
R1
ed è quindi tanto maggiore quanto più grande è R2 rispetto ad R1.
Per ovviare al problema dell’alto Q si possono utilizzare circuiti di ordine maggiore: si può
vedere difatti che in tali casi, a parità di Q si può avere una zona di minimo più piatta. In genere
però si ricorre a tale approccio solo negli adattamenti a “larga banda” e non nei circuiti che
verranno di seguito trattati.
Bisogna, infatti, ricordare che gli induttori utilizzati non sono privi di perdite per questo un loro
impiego deve essere molto limitato perché, altrimenti, si rischia di deteriorare in maniera
inaccettabile il rapporto segnale-rumore.
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Capitolo 2
Cenni su linee di trasmissione e adattamento di impedenza
22
Comunque, è possibile trascurare, in prima approssimazione, le resistenze che modellizzano le
perdite negli induttori ai fini dello studio della rete di adattamento, cosa che non può essere fatta per
il calcolo della figura di rumore.
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Capitolo 3
Amplificatori a basso rumore (LNA)
3.1 Introduzione
In questo capitolo sono trattati gli amplificatori a basso rumore (LNA), la realizzazione dei
quali è legata all’esigenza di dover amplificare i segnali molto deboli che giungono all’antenna
(anche -110 dBm) cercando di non deteriorare il rapporto segnale-rumore, di per se già molto basso
(dell’ordine dei 20 dB), lavorando cioè con un fattore di rumore il più possibile vicino all’unità. Si
tratta quindi di stadi in generale molto semplici, per via del fatto che una maggiore complessità
comporta un maggior numero di componenti e, quasi certamente, un rumore più elevato.
Si analizzeranno in dettaglio le caratteristiche che distinguono questo particolare amplificatore
dagli altri studiati in precedenza, dai quali differisce per la metodologia di progetto e per i parametri
che ne definiscono le prestazioni.
3.2 Caratteristiche di un LNA
3.2.1 Guadagno
Ovviamente un LNA deve avere un guadagno, ma in questo caso si parla di guadagno di
potenza dato che sull’antenna arriva una potenza. Rispettando le convenzioni di segno riportate
nella fig. 3.1 si può ricavare il legame tra il guadagno di tensione e quello di potenza.
RS
vS
vi
AMP.
Pi
Fig. 3.1
ZL
vo
Po
Convenzioni per il segnale e la potenza in un amplificatore
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
24
Il guadagno di potenza è definito dal rapporto tra la potenza entrante e quella uscente, entrambe
in valor medio:
AP =
Po
Pi
(3.1)
da cui:
[
[
]
]
1 2 ⋅ Re Vo ⋅ I o*
V
Re[YL ]
= o ⋅
AP =
*
1 2 ⋅ Re Vi ⋅ I i
Vi
Re[Yi ]
(3.2)
AP ( dB ) = AV ( dB ) + 10 log
(3.3)
2
Re[YL ]
Re[Yi ]
Dalle (3.2) e (3.3) si vede che i due guadagni sono uguali quando si ha Re[YL] =Re[Yi]. Come
già detto, parlando di LNA si parla di guadagni di potenza, i cui tipici valori richiesti possono
variare da 12 dB a 20 dB. É difficile guadagnare molto, sia per problemi di rumore che di linearità e
stabilità. In effetti un guadagno di 20 dB può sembrare piccolo ma si deve tener presente che esso
attenuerà il rumore degli stadi successivi (di un fattore pari al suo quadrato).
3.2.2 Frequenza operativa
Nelle applicazioni che si studieranno si parlerà sempre di frequenza operativa piuttosto che di
banda, questo perché generalmente si ha a che fare con segnali a banda stretta. Ad esempio: il
segnale del DECT è centrato attorno a 1.9 GHz, con una larghezza di banda di 17 MHz, si hanno 10
canali, ciascuno occupante 1.7 MHz; il segnale del GSM si trova attorno a 0.9 GHz con una banda
pari a 35 MHz (da 925 a 960 MHz) in cui si trovano 175 canali, con 200 KHz per canale.
Quello che interessa, in un LNA, è che esso possa lavorare correttamente alla frequenza
centrale, non ci si pone il problema di garantire la costanza del guadagno dato che i valori di banda
sono talmente piccoli da far sì che questo requisito sia sempre soddisfatto.
3.2.3 Rumore
Si è già parlato del rumore nel capitolo precedente, in quest’ambito quello che interessa è
rendere la figura di rumore molto piccola. Essa dipende molto dalle tecnologie e di volta in volta
quindi, a seconda delle applicazioni, si preferisce lavorare con la tecnologia bipolare o con quella ad
arseniuro di gallio (GaAs) che garantisce grandi riduzioni del rumore generato nei dispositivi. I
tipici valori per la figura di rumore vanno da 2 dB a 3 dB.
3.2.4 Linearità
Il THD non ha grande peso nel processo di demodulazione perché, anche se vengono generate
armoniche di ordine superiore, ci sarà sempre un filtro a banda stretta che provvederà ad eliminarle.
La distorsione che crea problemi è invece quella di intermodulazione. Può accadere, infatti,
che il canale da ricevere sia di livello piuttosto basso e che nelle vicinanze (anche a distanza di 7, 8
canali) vi siano canali con livelli di potenza molto più alti.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
25
In questo caso, per effetto dell’intermodulazione, questi ultimi generano delle componenti
spurie che possono sovrapporsi al canale desiderato:
Segnale utile
Segnale distorcente
Spuria
Spuria
Banda di interesse
Fig. 3.2
Spuria
ω
Distorsione di intermodulazione
Naturalmente ci si preoccupa solo delle spurie in banda e di quanto esse possano andare a
degradare il segnale utile. Si parla di distorsione di intermodulazione considerando una
caratteristica di trasferimento del tipo:
v o = a1vi + a 2 vi2 + a 3 vi3 + ...
(3.4)
Una rete lineare sarà caratterizzata dall’avere tutti i coefficienti nulli ad esclusione del primo
mentre in una generica rete non lineare potranno essere presenti tutti i termini.
Se il segnale d’ingresso fosse un solo canale (rappresentato da una sinusoide alla frequenza ω1)
non avremmo problemi di distorsione alcuna, perché le componenti spurie che genererebbe la (3.4)
cadrebbero tutte fuori banda utile.
I problemi nascono invece quando ci sono più canali contigui . Vediamo qualcosa in dettaglio e
consideriamo due sinusoidi (toni), aventi appunto frequenze prossime e uguale ampiezza per
semplicità:
vi = Ai cos(ω 1t ) + Ai cos(ω 2 t )
(3.5)
Quando questo somma viene amplificata ogni coefficiente della (3.4) dà luogo a componenti
spurie di varia frequenza secondo lo schema:
Figura 3.3
a1
ω1 , ω2
a2
2ω1 , 2ω2 , (ω1 + ω2), (ω1 - ω2)
a3
….., (2ω1 - ω2) , (2ω2 - ω1), …
Schematizzazione delle spurie generate dai coefficienti della (3.4)
Come si può notare le uniche componenti che cadono in banda sono dovute ai coefficienti di
ordine dispari. Spesso nel considerare questi effetti ci si ferma al termine di terzo grado, poiché
quelli di grado superiore hanno livelli di potenza decrescenti, si parla allora di spurie del terzo
ordine.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
26
In effetti il termine a3 introduce tra le altre, due componenti spurie (2ω1 - ω2) e (2ω2 - ω1) che
cadono in banda e che alterano il segnale: la distorsione di intermodulazione è proprio questa. Per
quantificarla definiamo di seguito una serie di parametri appositi.
• Distorsione di intermodulazione (IM3)
Rappresentiamo graficamente i due toni visti in precedenza nella (3.5), e le due spurie del
terzo ordine che cadono in banda, mettiamoci all’uscita dell’amplificatore:
Ao (dBm)
Ao1
IM3
Ao3
(2ω1−ω2)
Fig. 3.4
ω1
ω2
(2ω2−ω1)
ω
Definizione della grandezza IM3
Le ampiezze dei due toni e delle relative spurie sono date dai fattori di amplificazione della
(3.4), e possiamo scrivere:
Ao1 = a1 Ai
Ao3 = ka3 Ai
(3.6)
3
(3.7)
dove k è un fattore di proporzionalità che è poco importante specificare.
Si definisce distorsione di intermodulazione la quantità:
IM 3 = 20 ⋅ log
Ao1
= ( Ao 3 ) dB − ( Ao1 ) dB
Ao 3
(3.8)
Dalla (3.6) e (3.7) si vede che il valore di IM3 dipende dall’ampiezza dei toni in ingresso e
questo ne lede la generalità.
• Intercetta del 3°° ordine (IP3)
Il fatto che la IM3 dipenda in qualche modo da cosa metto in ingresso non è molto pratico, in
effetti è preferibile un parametro svincolato da questa dipendenza. Definiamo a questo proposito la
IP3 e partiamo dalle (3.6) e (3.7) riscrivendole in dB:
( Ao1 ) dBV = (a1 ) dB + ( Ai ) dBV
( Ao 3 ) dBV = (ka3 ) dB + 3( Ai ) dBV
(3.9)
(3.10)
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
27
Queste espressioni sono delle rette che hanno diversa pendenza, rappresentandole in un grafico
si scopre qualcosa di interessante:
(Ao)dBV
IM3
a1
Ai*
IP3
(Ai)dB
Ao1
a3
Ao3
Figura 3.5
Definizione della grandezza IP3
Le due rette hanno validità solo per Ai non elevati, ma estrapolandone l’andamento si incrociano
in corrispondenza di un particolare Ai, che chiamiamo proprio IP3 .
Ai* è un generico valore dell’ampiezza e dallo stesso grafico possiamo quantificare
agevolmente anche la IM3 corrispondente; nelle applicazioni a radio frequenza di fatto IP3 è
preferito ad IM3, ma come visto i due sono tra loro dipendenti.
Cerchiamo adesso una relazione semplice che li leghi, partiamo dalla (3.8) e sostituiamo i
valori di Ao1 ed Ao3 espressi nelle (3.9) e (3.10):
IM3 = (ka3 ) dB − (a1 ) dB − 2( Ai ) dB
(3.11)
Adesso in questa sostituiamo contemporaneamente IM3 = 0 dB e Ai = IP3, inoltre sottraiamo
ad entrambi i membri 2(Ai)dB , otteniamo:
(ka3 ) dB − (a1 ) dB − 2( Ai ) dB = −2( IP3 ) dB − 2( Ai ) dB
(3.12)
Confrontando questa con la (3.11) si ottiene infine la relazione cercata:
IP3 = ( Ai ) dB −
IM 3
2
(3.13)
Da questa espressione si vede chiaramente che quando Ai coincide con IP3 allora IM3 è nullo,
questo suggerisce un modo alternativo per definire la distorsione di intermodulazione: IP3
rappresenta il valore dell’ampiezza in ingresso tale da rendere nullo IM3.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
28
• Punto di compressione a 1 dB (P1dB)
In un amplificatore reale, per potenze sufficientemente elevate, il guadagno tende ad
abbassarsi, la potenza d’ingresso per cui il valore del guadagno di potenza scende di 1 dB è definito
punto di compressione a 1dB:
AP (dB)
1 dB
Pi
P1dB
Fig. 3.6
Definizione della grandezza P1dB
Tra IM3 e P1dB esiste il legame dato dalla seguente:
IM 3 = 2 ⋅ ( A1, 2 − P1dB − 10 dB )
(3.14)
che può essere calcolato in ingresso o in uscita.
Anche questa grandezza è svincolata dal valore dell’ampiezza d’ingresso ma è comunque meno
usata della IP3.
3.3 Implementazione di un LNA
Nel primo capitolo avevamo visto come minimizzare la figura di rumore di un transistor,
caricandolo con una resistenza di sorgente RSOPT e facendolo lavorare con una densità di corrente
opportuna. Riportiamo di seguito brevemente risultati e grafici trovati allora:
RSOPT =
βF
gm
FMIN = 1 +
1 + 2 g m rb
1 + 2 g m rb
βF
(1.43)
F M IN
FO
(1.44)
( IC \A E ) *
Figura 1.13
I C \A E
Andamento della FMIN
Un transistore in queste condizioni ottimali di lavoro presenta una figura di rumore pari ad
Fo, come riassunto dalla figura seguente:
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
29
(IC/AE)OPT
FMIN = Fo
RSOPT
Figura 3.7
Ri
Transistore nelle condizioni ottimali per il rumore
Spontaneamente però non siamo mai in una condizione così favorevole, e anche se lo
fossimo dovremmo ancora risolvere il problema dell’adattamento. Questo consiste nel duplice
problema che sia l’impedenza della sorgente che quella d’ingresso del BJT sono diverse in genere
da RSOPT .
Adesso aggiungiamo una informazione in più ovvero possiamo variare la RSOPT agendo sulla
corrente di collettore, in particolare possiamo fare in modo di farla coincidere con l’impedenza della
sorgente (antenna) che solitamente è di 50 Ω. Così facendo abbiamo risolto parte del problema
dell’adattamento. Guardando la (1.43) ci si accorge infatti che la RSOPT ha un andamento iperbolico
al variare della IC , e ci sarà una IC* tale da rendere RSOPT = 50 Ω:
R SO P T
50 Ω
IC *
IC
Figura 3.8 Andamento della RSOPT con la corrente di collettore
Alla luce di quanto detto, per un generico transistore, possiamo scegliere come corrente di
collettore proprio la IC*, e successivamente definire l’area d’emettitore in modo da avere una
densità di corrente di collettore pari a (IC/AE)OPT; così facendo il transistore avrà come figura di
rumore Fo collegandolo direttamente alla sorgente. La figura seguente mostra schematicamente
questo modo di procedere.
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
30
IC *
(I C /A E ) OP T
Zi
Figura 3.9
Corrente e densità di corrente di collettore per un BJT
Rispetto a quanto detto nel primo capitolo adesso abbiamo un’informazione in più:
possiamo scegliere RSOPT = 50 Ω.
Non abbiamo però ancora adattato, dobbiamo poter fare in modo che anche Zi sia di 50 Ω,
ovvero dobbiamo trovare un modo per variare l’impedenza del transistore. Questo problema si
risolve in due step: inserendo dapprima un induttore sull’emettitore in maniera tale da avere
Re[Zi]=50 Ω, e poi inserendone un altro sulla base per annullare la parte immaginaria ovvero per
fare in modo che Im[Zi] =0.
Vediamo prima l’induttore sull’emettitore:
Zi
Figura 3.10
LE
Inserimento di un induttore sull’emettitore di un BJT
Così facendo si ottiene un’impedenza:

1
Z i = rb + ω t ⋅ LE + j  ω ⋅ LE −
ω ⋅ Cπ




(3.15)
In questa basta porre la parte reale pari ad RS = 50 Ω ed ottenere il valore di LE necessario:
LE =
R S − rb
ωt
(3.16)
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
31
La frequenza non compare esplicitamente in questa formula e si dice che la parte reale è
adattata a larga banda.
A questo punto secondo la (3.15) abbiamo una parte immaginaria ovviamente indesiderata
che, visti i valori in gioco, è prettamente capacitiva. Per annullarla inseriamo un nuovo induttore
questa volta sulla base:
LB
Zi
Figura 3.11
LE
Inserimento degli induttori per variare l’impedenza d’ingresso di un BJT
Il valore di LB lo si ricava facilmente sempre dalla (3.15 ):
LB =
1
− LE
ω Cπ
2
(3.17)
La frequenza in questa formula è quella di lavoro, la parte immaginaria dunque è adattata
solo alle frequenze di lavoro.
Utilizzando i due induttori abbiamo in pratica inserito una rete di adattamento e per le
proprietà di queste adesso l’adattamento è bilatero ovvero sia la sorgente che il transistore vedono
contemporaneamente i fatidici 50 Ω.
Bisogna sottolineare il fatto che l’inserzione dei due induttori di fatto modifica le condizioni
per la figura di rumore minima, ma non in maniera così pesante da dover ridiscorrere quanto detto,
per cui con buona approssimazione continua a valere tutta la trattazione.
In realtà le variazioni di FMIN si verificano non tanto per la presenza degli induttori quanto
per la loro non idealità (si ricordi quanto detto per le reti loss-less).
3.3.1 Soluzione ad emettitore comune
Una possibile soluzione per implementare un LNA è quella di utilizzare un emettitore
comune, in cui sfruttiamo pienamente quanto sviluppato precedentemente:
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
32
VCC
RL
vo
LB
RS
Zi
LE
vS
Figura 3.12
Schema di principio di un LNA ad emettitore comune
Il transistor adesso è adattato ed è anche nelle migliori condizioni per il rumore. Questo
schema non viene più usato retroazionato come si faceva in banda base, proprio perché dobbiamo
lavorare con alte frequenze, il guadagno complessivo ( trascurando gli induttori ) sarà dunque:
A = g m ⋅ RC =
IC
RC
VT
(3.18)
Nasce adesso il problema di fare un simile guadagno stabile e indipendente dalla
temperatura, il problema si risolve facendo la corrente di polarizzazione di tipo IPTAT , in questo
modo si ha:
IC = k
R
VT
⇒ A=k C
R
R
(3.19)
Per ottenere la IPTAT usiamo una variante del band gap di Widlar:
VCC
R4
Q5
Q4
VR
R2
IB
R*
R3
NIB
Q3
Q1
Q7
Q2
Q8
1:N
R1
R5
R5/N
VEE
Figura 3.13 Generatore di corrente di tipo IPTATT
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
33
Questo circuito fornisce la corrente polarizzazione voluta per avere il guadagno stabile,
adesso bisogna prestare attenzione a come inserire la sorgente e polarizzazione:
VCC
RC
IPTAT
vi
vo
C1
RB1
RB2
Q2
Q1
CB
VEE
Figura 3.14 Polarizzazione di un LNA
I resistori RB1 e RB2 sono stati introdotti per non modificare l’adattamento, altrimenti dalla
base di Q2 si vedrebbe 1/gm come resistenza e tutto il lavoro fatto per l’adattamento andrebbe perso.
I due resistori comunque non alterano lo specchiaggio tra Q1 e Q2, se infatti la relazione tra
le aree è AE2 = nAE1, basta rispettare la condizione:
R B1 I B1 = R B 2 I B 2 ⇒
R B1 I B 2
=
=n
R B 2 I B1
(3.20)
inoltre i livelli d’impedenza non si modificano in modo pesante se si ha l’accortezza di fare:
R B 2 >> Z i
(3.21)
per cui un valore tipico per RB2 è di 10 kΩ.
La capacità C1 è di accoppiamento per non disturbare la polarizzazione, e deve essere:
1
<< jωLB
jωC1
(3.22)
La capacità CB serve invece ad ammazzare il rumore proveniente dallo stadio di
polarizzazione e dal resistore RB1, così non accade per il rumore prodotto dal resistore RB2 che
comunque si può far vedere influisce poco.
È ovvio che tutte queste aggiunte hanno peggiorato le condizioni per il rumore e non si ha
più a che fare con il rumore minimo possibile, ma il problema più serio di questa configurazione è
invece l’effetto Miller di Cµ .
Questa capacità ha due effetti indesiderati: amplificata e riportata in ingresso modifica i
livelli d’impedenza, inoltre crea un percorso di ritorno attraverso il quale parte del segnale d’uscita
(quindi anche quello prodotto dagli stadi a valle) può riportarsi in ingresso e peggiorare il rapporto
segnale rumore, come mostrato dalla figura seguente:
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
34
Cµ
LN A
ω LO
Figura 3.15 Ritorno del segnale in ingresso attraverso il loop capacitivo
La frazione di segnale che ritorna in ingresso non deve essere eccessiva, ed è appunto una
specifica da rispettare nel progetto.
3.3.2 Soluzione cascode
La soluzione naturale per risolvere il problema della Cµ è di usare un cascode in luogo
dell’emettitore comune:
VCC
RL
R1
vo
VB
C1
R2
vi
Q2
1
Q1
VEE
Fig. 3.16
Schema di principio di un LNA cascode
La frazione di segnale che si riporta in ingresso è ora trascurabile in quanto al nodo 1 abbiamo
bassi livelli di tensione, anche l’impedenza d’ingresso non viene più alterata perché come sappiamo
l’effetto Miller si è ora di molto ridotto. Inoltre il rumore proveniente dal secondo transistore e dai
resistori di polarizzazione viene ammazzato dalla capacità C1.
3.3.3 Soluzione differenziale
Fino ad adesso abbiamo considerato LNA a singola entrata e singola uscita, per la realizzazione
integrata si ricorre spesso invece ad uno schema differenziale (fig. 3.17), che permette una buona
reiezione ai disturbi di modo comune (rumore dell’alimentazione, rumori sul substrato...), siamo
infatti ad alta frequenza e un semplice condensatore può non garantire un ottimo isolamento: ecco
che l’approccio differenziale diventa necessario.
La prossima figura è relativa a questa soluzione.
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
35
VCC
RC
RC
vo
Q3
Q4
VB
Q1
Q2
vi
IEE
Zi
VEE
Figura 3.17 Realizzazione differenziale di un LNA cascode
L’impedenza d’ingresso è raddoppiata adesso rispetto alla soluzione ad emettitore comune e
quindi dovremo riadattare, inoltre dovremo operare la conversione da segnale singolo a
differenziale. Entrambi i problemi si risolvono con un trasformatore che per il momento
supponiamo ideale:
V1
I1
1:n
I2
V2 = nV1
Z2
Z1
Fig. 3.18
Trasformatore per l’adattamento e la conversione da segnale singolo a differenziale
Se il trasformatore ha un rapporto di spire 1:n è facile trovare:
Z1 =
V1 V2 1
Z
=
= 22
I1
n nI 2 n
(3.23)
Nel nostro caso basta allora prendere un rapporto di specchio 1:√2. Lo schema del circuito
completo di trasformatore sarà dunque:
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36
V CC
RC
RC
Q3
R2
L
Q4
VB
C1
Q1
1:√2
Q2
RS
IEE
vs
C2
R1
V EE
Figura 3.19 Schema differenziale di un LNA con adattamento e polarizzazione
Le resistenze R1 ed R2 servono a fissare la tensione continua sulle basi di Q1 e Q2, mentre il
condensatore C2 serve ad ammazzare il rumore delle due resistenze evitando che si porti in ingresso.
3.4 Adattamento in uscita di un LNA
All’uscita di un LNA dobbiamo prestare attenzione al fatto che lo stadio seguente debba
poter vedere una certa resistenza, dovremo in quel caso adattare l’uscita del nostro LNA.
Solitamente i casi che si incontrano sono due:
(1) LNA collegato direttamente al mixer (fig. 3.18.a)
(2) Filtro inserito tra LNA e mixer (fig 3.18.b).
LNA
LNA
50Ω
Figura 3.18.a
LNA seguito dal mixer
Figura 3.18.b
LNA seguito dal filtro
Esaminiamo i due casi:
Il mixer vuol comunque vedere una resistenza bassa e nel primo caso sarà sufficiente
inserire un buffer, ho inoltre il vantaggio di poter integrare sullo stesso chip sia LNA che mixer con
un notevole risparmio di occupazione. Sfortunatamente però questa non è la soluzione che
garantisce le figure di rumore più basse.
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
37
La seconda soluzione è invece la più diffusa, e se è vero che impiego due filtri invece di uno,
e che non posso integrare insieme LNA e mixer si riesce invece ad ottenere figure di rumore più
basse che nel caso precedente.
I filtri però sono progettati per lavorare bene solo in condizioni di adattamento e vogliono
vedere ai loro morsetti impedenze standard di 50Ω. L’uscita di un LNA è invece ad un livello più
alto per motivi di guadagno, dovremo dunque adattare abbassando l’impedenza d’uscita
dell’amplificatore .
Dovremo dunque adattare abbassando l’impedenza d’uscita dell’amplificatore, e questo si
realizza inserendo una capacità opportuna in parallelo ad RC, ed un induttore, per annullare la parte
immaginaria:
L1
RC
C2
RL
C1
Z2
Figura 3.19 Schema di principio per l’adattamento in uscita di un LNA
Dove RL è l’ingresso del filtro, C2 è invece di accoppiamento. I valori ottimali per L1 e C1 in
maniera da ottenere Z2 = 50 Ω sono:
C1 =
L1 =
1
1
ωo
RC R L
1
ωo
(3.24)
RC R L
(3.25)
dove ωo è la frequenza di lavoro.
Questo ovviamente non è un adattamento a larga banda, infatti il modulo di Z2 (ovvero
l’impedenza vista dal filtro) al variare della frequenza è il seguente:
Z2
RC
RL
ωo
ω
Figura 13.20 Andamento dell’impedenza d’uscita di un LNA dopo l’adattamento
Se la frequenza non è fissata opportunamente ovviamente l’adattamento non sarà ottimale.
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Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
38
3.3.1 LNA retroazionati
Gli amplificatori finora visti presentano tutti una resistenza d’ingresso che spesso può essere
anche molto differente da quella richiesta per l’adattamento, con conseguenti valori inaccettabili del
Q delle reti di trasformazione. Un modo per evitare questo problema può essere quello di realizzare
LNA con resistenze d’ingresso più basse utilizzando sistemi retroazionati:
VCC
RC
Q3
VB
Q2
vo
RF
vi
IB3
Q1
VEE
Fig. 3.21
LNA retroazionato in connessione cascode
Fra i possibili modi di retroazionare questo è quello che permette di evitare un’interazione della
RC, che fissa il guadagno, con la RF che realizza il feedback. L’ammettenza d’ingresso è:
−1

g R
RF 
 + jω ⋅ (Cπ 1 + C µ1 ) ≅ m1 C + jω ⋅ (Cπ 1 + C µ1 )
Yi =  rπ 1 ||
g m1 RC 
RF

(3.26)
Fissato il guadagno si può quindi scegliere la RF, indipendentemente dagli altri parametri, per
avere l’ammettenza desiderata. Se RS è la resistenza della sorgente (RS << rπ), risulta:
T (s ) =
Rs
1
1
⋅ g m RC ⋅
⋅
Rs + RF
1 + sRS ⋅ Cπ 1 + (1 + g m1 g m 2 ) ⋅ C µ1 1 + sRC ⋅ (Ccs 2 + C µ 2 + Cµ 3 )
[
]
(3.27)
La figura di rumore, trascurando i contributi di Q2 e Q3, vale:
F ≅ 1+
rb 1  1
g R
+ 
+ m1 S
RS 2  g m1 RS
βF
 RS
 +
 RF
(3.28)
C’è un termine in più, dovuto alla RF, ma c’è il vantaggio di non dover ricorrere a reti
d’adattamento ad alto Q; inoltre, se il valore della capacità d’ingresso è trascurabile, si può adattare
solo agendo sul valore di RF.
Si osservi infine che, nonostante la presenza del termine aggiuntivo, ottimizzando la (3.17), si può arrivare a valori
di F anche più piccoli di quelli che si sarebbero trovati con soluzioni non retroazionate. Come visto prima si può
stabilizzare il guadagno ricorrendo ad un’opportuna polarizzazione di tipo PTAT.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
4.1 Introduzione
Dopo aver amplificato il segnale bisogna effettuare una o più traslazioni in frequenza prima di
arrivare alla banda base e quindi al convertitore analogico-digitale. Il più delle volte si procede
attraverso una demodulazione supereterodina a doppia conversione anche se, come si vedrà in
seguito, ci si può orientare verso le triple o le singole conversioni.
Il blocco che consente di effettuare una traslazione in frequenza del segnale (sia verso il basso,
che verso l’alto) è una particolare cella non lineare che nella sua forma più generale è costituita dal
mixer, realizzato mediante la cella di Gilbert.
4.2 Cella di Gilbert
Si consideri la rete di fig. 4.1 in cui gli ingressi sono rappresentati dalla tensione vY e dalle
correnti iX1 e iX2, e l’uscita dalle correnti iO1 e iO2:
iO2
iO1
Q1
Q2
Q3
Q4
vY
iX1
Fig. 4.1
iX2
Cella di Gilbert
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
40
Posto:
iX = iX1 − iX 2
(4.1)
i O = i O1 − i O 2
(4.2)
essendo:
i O = i C1 − i C 2 + i C 3 − i C 4
(4.3)
ed osservando che la cella lavora in condizione di ampio segnale, si ha la relazione ingresso-uscita:
iO = α F i X ⋅ tanh
vY
2VT
(4.4)
4.3 Modulatore bilanciato
Il modulatore bilanciato è utilizzato nelle sezioni RX e TX per compiere la traslazione in
frequenza. Lo schema è quello di una cella di Gilbert (fig. 4.1) i cui ingressi sono costituiti
dall’oscillatore locale (vLO) e dal segnale RF (iRF1 ed iRF2).
Sul primo bisogna imporre la condizione:
v LO >> 2VT
(4.5)
per far sì che l’uscita del modulatore bilanciato sia indipendente dall’ampiezza di vLO (solitamente
vLO è un’onda quadra di ampiezza pari a circa ±250 mV), difatti in queste condizioni risulta:
Y = tanh
vY
= ±1
2VT
(4.6)
Non rispettando la (4.5) si può andare incontro ad una degradazione del rapporto segnalerumore. Il segnale dell’oscillatore locale viene comunque generato internamente al sistema perciò
se ne può fissare l’ampiezza in sede di progetto.
Nelle condizioni normali di funzionamento il segnale RF va tutto su Q1 e Q2 o su Q3 e Q4, a
seconda di come commutano i vari transistori che possono trovarsi, a coppie, o in interdizione o in
regione attiva. Si consideri adesso lo sviluppo in serie di Fourier della Y fornita dalla (4.6):
Y = 2⋅
 sen (n ⋅ π 2 )

⋅ cos(nω LO t )

n ⋅π 2
n =1, 3,.., 2 k −1,... 

∑
(4.7)
Essendo:
*
i RF = i RF 1 − i RF 2 = ARF
⋅ cos(ω RF t )
(4.8)
si ha che dal prodotto tra iRF ed Y nasceranno dei termini alle frequenze somma e differenza tra ωRF
ed nωLO (n=1,3,5...).
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
41
La componente d’interesse, nel caso di traslazione verso il basso, è quella ottenuta per n=1 alla
frequenza differenza ωRF –ωLO. Per eliminare tutte le altre componenti basta un filtro passa-banda a
cui non è richiesta un’elevata selettività, per via della distanza tra le varie frequenze.
Ad es. con un segnale RF ed un oscillatore locale, rispettivamente alle frequenze di 1.9 GHz e
1.8 GHz, si ha un segnale utile a 100 MHz e una prima armonica da filtrare a 3.7 GHz. É chiaro
quindi che può bastare un filtro passa-basso del primo ordine con frequenza di taglio a 150 MHz.
La componente utile, a frequenza intermedia, è:
i IF = iO =
2
π
*
⋅ ARF
⋅ cos(ω IF t )
(4.9)
avendo posto ωIF =ωRF –ωLO. Finora però non si è tenuto in considerazione il fatto che il segnale RF
contiene l’informazione che è portata dalla fase del segnale stesso:
*
i RF = ARF
⋅ cos[ω RF t + φ M (t )]
(4.10)
comunque, rifacendo le stesse considerazioni, si arriva a conclusioni simili alle precedenti:
i IF = iO =
2
π
*
ARF
⋅ cos[ω IF t − φ M (t )]
(4.11)
Così come si è realizzata una traslazione verso il basso si può traslare verso l’alto,
semplicemente prelevando un’armonica somma, realizzando un Mixer Up Converter piuttosto che
un Mixer Down Converter.
Il vantaggio principale dell’uso di un modulatore bilanciato sta nel fatto che in uscita si hanno
esclusivamente frequenze somma e differenza, con una reiezione, idealmente infinita, delle spurie a
frequenza ωRF ed ωLO e dei disturbi di modo comune.
In questi processi di traslazione, il segnale ha subito una perdita (perdita di conversione) pari
a circa 4 dB.
Così com’è fatto, il modulatore bilanciato prevede ingressi e uscite di corrente, per lavorare in
tensione è necessario aggiungere dei convertitori tensione-corrente in ingresso e corrente-tensione
in uscita: in ingresso si realizzerà una conversione con una coppia differenziale mentre in uscita si
metteranno due resistenze (fig. 4.2).
Con buona approssimazione, facendo calcoli per piccolo segnale, si ha:
i RF = iRF 1 − iRF 2 =
g m1, 2
1 + g m1, 2 RE
⋅ v RF
(4.12)
quindi:
v IF =
2
⋅
g m1, 2
π 1 + g m1, 2 RE
⋅ ARF ⋅ cos[ω IF t − φ M (t )]⋅ RL
(4.13)
Grazie alle conversioni si ha un guadagno i cui valori tipici vanno da 12 dB a 18 dB. La
presenza di RE permette di trattare segnalidi livello più elevato, in altre parole di aumentare il range
di linearità dello stadio, cosa molto importante dato che a questo punto dell’elaborazione si ha
ancora a che fare con l’intera banda RF.
Tanto più si rende gmRE >>1, tanto meno il guadagno di modulazione dipenderà da gm.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
42
In quest’ipotesi:
v IF =
2 RL
⋅
⋅ ARF ⋅ cos[ω IF t − φ M (t )]
π RE
(4.14)
La condizione suddetta si può raggiungere con un aumento della corrente di polarizzazione o di
RE. Il problema è che, ai fini del rumore, la resistenza sull’emettitore dà lo stesso contributo della
resistenza parassita di base. Una grande resistenza sull’emettitore (in RF anche valori di 1 kΩ
possono essere considerati grandi) può quindi peggiorare la figura di rumore. D’altra parte però un
aumento della corrente di polarizzazione porta ad un incremento nella dissipazione di potenza;
bisognerà quindi trovare un buon compromesso tra le due possibilità.
RL
RL
vIF
vLO
Cella di Gilbert
iRF1
Q1
vRF
RE
iRF2
Q2
RE
IEE
Fig. 4.2
Modulatore bilanciato con ingressi e uscite in tensione
4.4 Frequenza immagine
Si consideri un segnale RF posto in corrispondenza della frequenza ωRF. Se ωLO è la frequenza
dell’oscillatore locale si intende per “frequenza immagine” la frequenza ωIM così definita:
ω IM = 2ω LO − ω RF
(4.15)
Con ωIM si indica cioè la frequenza simmetrica ad ωRF rispetto ad ωLO (fig. 4.3), in
corrispondenza della quale può trovarsi rumore o qualsiasi altra cosa.
Il problema che porta l’attenzione su questa frequenza, è proprio quello concernente la
traslazione del segnale: il mixer non fa altro che traslare il semiasse di destra di una quantità pari ad
ωLO verso sinistra e quello di sinistra di ωLO verso destra; a traslazione avvenuta c’è, in ωIF, una
sovrapposizione dello spettro del segnale utile e di quello della frequenza immagine (fig. 4.4), con
conseguente degradazione del rapporto segnale-rumore.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
−ωRF −ωLO −ωIM
Fig. 4.3
ωLO ωRF
ω
ωIM
ωLO ωRF
ω
Frequenza immagine
−ωRF −ωLO −ωIM
Fig. 4.4
ωIM
43
Traslazione in frequenza
Tutti i ricevitori che utilizzano una conversione eterodina devono fronteggiare questo tipo di
problema. La soluzione sta, ovviamente, nell’annullare il contenuto della banda immagine con un
opportuno filtraggio prima di processare il segnale con il mixer.
Il filtro richiesto dovrà però avere una banda sufficientemente larga (non si può programmare
volta per volta il filtraggio su un unico canale, ma si deve filtrare per l’equivalente di tutta la banda
RF) e un’attenuazione elevata (60 dB ÷ 80 dB). Questo filtro deve essere realizzato con molta cura
e con tecnologie particolari (filtri ceramici o ad onde superficiali) per poter avere grande selettività
e bassa attenuazione in banda passante. Ciò si traduce inevitabilmente in un costo elevato. Di
conseguenza si deve giungere ad un compromesso tra costo, selettività e perdite.
E’ anche vero però che mentre può essere inaccettabile subire l’effetto delle attenuazioni di un
filtro prima dell’LNA, si potrebbe anche non risentirne affatto dopo l’LNA perché il segnale è già
stato preamplificato. La possibilità di porre il filtro prima dell’LNA può essere però molto
interessante, dato che all’LNA arriva un po’ tutto lo spettro RF, leggermente filtrato dalla selettività
stessa dell’antenna.
In assenza di un pre-filtraggio, all’LNA è richiesta un’ampia dinamica lineare di
funzionamento, visto che vicino al canale di interesse possono trovarsi segnali di elevata ampiezza
che possono altrimenti dar luogo a distorsione. Quindi, quando non si può accettare la possibilità di
un buon filtraggio prima dell’LNA, per motivi di costo, si deve prevedere l’uso di un LNA a
dinamica molto elevata (come nel GSM) e, successivamente, di un filtro di caratteristiche inferiori.
A limite si può inserire prima dell’LNA un filtro con pochissime perdite ma a bassa selettività e
quindi a basso costo, tanto per non sovraccaricare troppo l’LNA. Ci possono essere, comunque,
altre applicazioni (ad es. il DECT) in cui non sono imposte grosse specifiche di rumore, e per le
quali può essere accettabile la presenza di un filtro con perdite (quindi a basso costo) prima
dell’LNA.
A volte si possono avere anche delle soluzioni LNA-MIXER integrate, in tal caso è possibile
che il filtro sia esterno, poiché però i costruttori di filtri si riferiscono a ben precise terminazioni (di
solito 50 Ω) in ingresso e in uscita, andando verso il filtro sarà necessario un adattamento. Questo
può portare problemi all’uscita dell’LNA che, essendo un amplificatore in classe A, avrà bisogno di
molta più corrente per garantire un’ampia escursione del segnale sull’uscita.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
44
4.5 Mixer a reiezione di immagine (di Harley)
Si è visto che il problema della reiezione dell’immagine si può affrontare con i filtri RF
(chiamati anche filtri d’immagine). A volte però, nel caso in cui l’immagine è molto vicina alla
banda d’interesse, può diventare veramente difficile riuscire ad eseguire un buon filtraggio.
In queste situazioni, se non si può accettare un alto costo, si dovrebbe rinunciare all’alta
selettività o ad una bassa figura di rumore. Esiste però un’altra soluzione che attua una reiezione in
maniera attiva, quella del mixer a reiezione d’immagine:
×
vi
vIF,I
π/2
v’IF,I
vLO,I = ALOcos(ωLOt)
vLO,Q = ALOsen(ωLOt)
×
Fig. 4.5
vIF
+
vIF,Q
Mixer a reiezione di immagine
L’ingresso è costituito da:
vi = ARF ⋅ cos(ω RF t ) + AIM ⋅ cos(ω IM t )
(4.16)
All’uscita dei due modulatori in quadratura, essendo ωRF –ωLO =ωLO –ωIM =ωIF, si hanno i
segnali vIF,I e vIF,Q:
v IF , I = k ⋅ ( ARF + AIM ) ⋅ cos(ω IF t )
(4.17)
v IF ,Q = −k ⋅ ( ARF − AIM ) ⋅ sen (ω IF t )
(4.18)
Il primo modulatore è seguito da uno sfasatore alla cui uscita si preleva:
v′IF , I = − k ⋅ ( ARF + AIM ) ⋅ sen (ω IF t )
(4.19)
che viene sommato a vIF,Q dando luogo così a vIF in cui, teoricamente, non è presente alcuna
componente alla frequenza immagine:
v IF = 2kARF ⋅ cos(ω IF t )
(4.20)
In effetti, però bisogna fare i conti con le tolleranze che fanno sì che la reiezione
dell’immagine passi dai valori teoricamente infiniti a valori reali non superiori ai 30 dB. Nei
dispositivi reali, infatti, si ha innanzi tutto una differenza tra i guadagni dei due modulatori:
bisognerà quindi considerare dei fattori k1 e k2 piuttosto che k nelle (4.17) e (4.18); d’altra parte poi
i due segnali subiranno degli errori di fase (differenti) durante il cammino fino al sommatore.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
45
Si cerca quindi di realizzare delle strutture che siano il più possibile simmetriche tra loro.
Comunque, è sempre possibile associare a questo mixer un filtro che in questo caso non dovrà
rispettare delle specifiche troppo restrittive e che quindi può essere messo anche prima dell’LNA. I
vantaggi introdotti dal mixer a reiezione di immagine si pagano naturalmente in termini di
dissipazione (si raddoppia quasi il consumo rispetto al mixer semplice) e di area di silicio
impegnata (è necessario quasi un numero doppio di transistori).
4.5.1 Sfasatore
Si è appena visto che all’interno del mixer a reiezione di immagine è presente un blocco che
introduce uno sfasamento di π/2. Per una maggiore simmetria si preferisce però realizzare due
blocchi separati, uno per ogni cammino, che diano rispettivamente degli sfasamenti di π/4 e -π/4.
Nella versione più semplice gli sfasatori sono dei filtri RC del primo ordine, del tipo di quelli
mostrati in fig. 4.6:
C
vI
sfasamento
in
anticipo
Fig. 4.6
R
R
H1 (s ) =
vo1
sRC
1 + sRC
C
vQ
sfasamento
in
ritardo
H 2 (s ) =
vo2
1
1 + sRC
Sfasatori ottenuti con filtri RC del primo ordine
Bisogna quindi imporre che il rapporto dei moduli delle funzioni di trasferimento sia unitario e
che la differenza degli sfasamenti introdotti sia proprio π/2. La prima condizione si traduce in:
H 1 ( jω )
= ω 0 RC = 1
H 2 ( jω )
(4.21)
mentre la seconda diventa:
∠H 1 ( jω ) − ∠H 1 ( jω ) =
π
2
(4.22)
Quest’ultima condizione è sempre verificata, indipendentemente dalla scelta di R e di C, infatti
si ha:
∠H 1 ( jω ) − ∠H 1 ( jω ) = π 2 − arctg (ω 0 RC ) − [− arctg (ω 0 RC )] = π 2
(4.23)
La (4.23) prescinde quindi dalle tolleranze assolute sui valori di R e di C ma dipende da quelle
relative: non importa quale sia il valore di R e di C, purché sia uguale per i due sfasatori.
La tolleranza relativa può essere anche abbastanza piccola (1%) ma, in ogni caso, rappresenta il
limite per ogni tipo di realizzazione.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
46
Tornando alla (4.21), si vede che la scelta di R e di C va fatta ponendo il vincolo:
RC =
1
(4.24)
ω0
Adesso entrano pesantemente in gioco le tolleranze assolute, si può vedere però che la
reiezione di immagine è più sensibile alle variazioni di fase che non a quelle di modulo, quindi, con
delle tipiche tolleranze, si può arrivare anche a 20 dB di reiezione.
In fig. 4.7 è mostrato l’effetto delle tolleranze sulle condizioni (4.21) e (4.22): si nota subito che
una piccola variazione sul valore di ω si ripercuote – per il rapporto dei moduli delle funzioni di
trasferimento – in un valore diverso da 1 (0 dB) mentre è evidente invece l’indipendenza da esso
dello sfasamento relativo.
H 1 ( jω )
H 2 ( jω ) dB
ω1 ω0
ω2
ω
∠H 1 ( jω ) − ∠H 1 ( jω )
π/2
ω
Fig. 4.7
Effetto delle tolleranze sulla condizione (4.21)
Si può fare di meglio utilizzando una struttura “passa-tutto”, del tipo di quella mostrata (in
forma differenziale) nella fig. 4.8. In questo modo si riesce ad avere uno sfasamento relativo di π/2,
meno dipendente dalle tolleranze assolute e si riesce ad arrivare anche a 30 dB ÷ 35 dB di reiezione.
C1
R2
R1
C2
vo2
vI
Fig. 4.8
Sfasatore ottenuto con un filtro passa-tutto
4.5.2 Sommatore
Il sommatore è un circuito lineare che realizza la somma o la differenza di due segnali. Esso è
implementabile (in forma differenziale) con due stadi accoppiati di emettitore (fig. 4.9).
Imponendo RL =RE si ha un guadagno unitario, invertendo le connessioni tra i due stadi si
ottiene la differenza tra i due segnali.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
RL
47
RL
vo
Q1
vi1
RE
Q3
Q2
RE
RE
Q4
RE
IEE
IEE
Fig. 4.9
vi2
Sommatore
4.6 Mixer up-converter
Un segnale in banda base, per poter essere trasmesso, ha bisogno di essere “caricato” su una
portante RF. Questo compito di traslazione in frequenza è affidato al mixer up-converter,
schematizzato nella figura seguente:
ABBcos[φ(t)]
×
vRF,I
vLO,I = ALOcos(ωRFt)
vLO,Q = ALOsen(ωRFt)
ABBsen[φ(t)]
Fig. 4.10
×
vRF
+
vRF,Q
Mixer up-converter
Il messaggio risiede nella fase φ(t) del segnale stesso, sarà il DSP a generare cos[φ(t)] e
sen[φ(t)] da inviare al mixer il quale ne opera una traslazione in frequenza eliminando l’immagine
della fase che nasce dal prodotto tra la portante e il segnale in banda base (data dal secondo termine
del secondo membro della (4.25)):
cos(ω RF t ) ⋅ cos[φ (t )] = cos[ω RF t + φ (t )] + cos[ω RF t − φ (t )]
(4.25)
L’uscita vRF del mixer è quindi:
v RF = 2kABB ⋅ sen[ω RF t + φ (t )]
(4.26)
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
48
Nella trasmissione si usa di solito questa conversione diretta che permette di passare dalla
banda base a quella RF senza conversioni a frequenza intermedia.
Il messaggio viene, infatti, “caricato” direttamente su un ben preciso canale RF (scelto volta per
volta dal microprocessore), inviato all’amplificatore di potenza e quindi all’antenna. Il motivo per
cui si utilizza spesso la doppia conversione in ricezione e la singola in trasmissione sta
principalmente nel fatto che quest’ultima soluzione è meno sensibile al rumore di quanto non lo sia
in ricezione (essendo il segnale in banda base di ampiezza grande a piacere, si può ottenere
facilmente un alto valore del rapporto segnale-rumore).
D’altra parte, in trasmissione viene inviato un solo canale per volta mentre in ricezione si ha a
che fare con tutti i canali, con i ben noti problemi di intermodulazione che ne derivano.
Esistono poi dei mixer up-converter utilizzanti quattro modulatori bilanciati che, oltre a mettere
in quadratura il segnale dell’oscillatore locale, mettono in quadratura anche quello RF; da una parte
si può avere una migliore reiezione dell’immagine, dall’altra però si ha a che fare con un numero
maggiore di sorgenti di rumore.
4.7 Moltiplicatore analogico
Un’altra funzione realizzabile mediante la cella di Gilbert è quella del moltiplicatore analogico,
un circuito che trova una collocazione ben precisa non tanto nell’ambito della radiofrequenza,
quanto in quello dell’elettronica analogica. In particolare si esaminerà l’implementazione di un
moltiplicatore a quattro quadranti il cui schema di principio è quello di fig. 4.11 in cui si fa uso
di una cella di Gilbert.
La conversione corrente-tensione in ingresso è affidata ad un circuito di “predistorsione”
operante secondo una legge logaritmica, tale da garantire la linearità globale del dispositivo.
VB
Q5
iO1
Q6
vy
iY1
Fig. 4.11
iY2
iO2
Cella di Gilbert
iX1
iX2
Moltiplicatore analogico a quattro quadranti
Essendo:
v y = v BE 5 − v BE 6 = VT ⋅ ln
iY 1
iY 2
(4.27)
e ricordando che:
tanh x =
e x − e− x
e x + e−x
(4.28)
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
49
sostituendo le (4.27) e (4.28) nella (4.4), si ricava:
iO = α F ⋅
α
i X iY
= F ⋅ (i X iY )
iY 1 + iY 2 I BY
(4.29)
Nell’ipotesi che IBY sia costante si ha un legame lineare tra la corrente di uscita e il prodotto
delle correnti d’ingresso. Questo è vero però solo per correnti non troppo elevate, difatti la (4.4)
nasceva ipotizzando un legame tensione-corrente dato dall’equazione del diodo e trascurando
quindi la presenza di una rb e di una re in serie al diodo stesso che danno luogo a termini aggiuntivi
nella (4.29). Naturalmente il moltiplicatore è tanto migliore quanto più questi termini sono
trascurabili. Inoltre, il funzionamento reale si discosta da quello ideale anche a causa delle
inevitabili dissimmetrie che danno luogo agli offset.
L’uscita sarà quindi legata agli ingressi secondo una legge del tipo:
iO = k1i X iY + [k X i X + kY iY + k 0 ] + f (i X , iY )
(4.29)
Un’altra osservazione riguarda la banda del moltiplicatore: dal prodotto di due segnali
sinusoidali si generano armoniche a frequenze somma e differenza, per garantire la linearità il
moltiplicatore deve quindi essere in grado di avere una larghezza di banda tale da poter coprire
entrambe le armoniche allo stesso modo.
Per ottenere un prodotto tra tensioni piuttosto che tra correnti è possibile naturalmente
aggiungere dei convertitori tensione-corrente in ingresso e corrente-tensione in uscita, ottenendo
quanto mostrato nella fig. 4.12:
RL
Q3
RL
vO
Q4
Cella di Gilbert
vY
iY1
iY2
Q1
Q2
RY
RY
iX1
Q5
vX
IBY
Fig. 4.12
RX
iX2
Q6
RX
IBX
Moltiplicatore analogico con ingressi e uscita in tensione
Un miglioramento della linearità è dato dalla presenza delle resistenze sugli emettitori, resta
inoltre soddisfatta l’ipotesi fatta prima sulla costanza della corrente IBY =iY1+iY2.
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Capitolo 4
Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici
50
Nelle ipotesi:
g mY RY , g mX R X >> 1
(4.31)
si ha:
iY =
vY
RY
iX =
vX
RX
(4.32)
quindi:
vO = k ⋅ (v X vY )
(4.33)
con:
k=
α F RL
RX RY I BY
(4.34)
definito come fattore di guadagno del moltiplicatore analogico.
E’ chiaro che la differenza sostanziale tra un moltiplicatore ed un modulatore sta nel fatto che
mentre nel primo si cerca un legame più lineare possibile tra tensione di uscita e prodotto delle
tensioni d’ingresso, nel secondo ci si sforza di far sì che la corrente di uscita dipenda dalla tensione
d’ingresso vY.
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Capitolo 5
Comparatori di fase, discriminatori FM,
amplificatori a guadagno variabile (VGA)
5.1 Comparatore di fase
Il comparatore di fase permette di estrarre da due segnali isofrequenziali un’informazione
proporzionale allo sfasamento relativo degli stessi. Nell’ambito RF questo dispositivo consente di
ricavare il messaggio trasportato dalla portante.
Il circuito di partenza è ancora la cella di Gilbert (fig. 5.1), la cui relazione ingresso-uscita è
data dalla (5.4). Le condizioni seguenti garantiscono che il funzionamento sia quello di un
comparatore di fase:
 vY >> 2VT

 i X = ± I EE
(5.1)
Si supponga di porre all’ingresso del comparatore di fase due segnali iX e vY alla stessa
frequenza ω e con sfasamento relativo pari a φ, nella fig. 5.1 è mostrata la corrispondente uscita:
un’onda quadra avente periodo pari a π, cioè con frequenza doppia di quella originale.
L’informazione di fase è proporzionale al valor medio del prodotto cioè di iO. Per generare un
segnale proporzionale ad esso si devono filtrare le componenti spettrali da 2ω in avanti. Ciò lo si fa
con un filtro passa-basso che riceve in ingresso iO e restituisce in uscita un i*O contenente soltanto la
componente DC (in realtà non è proprio una componente DC, ma è tale da avere una ωMAX <<ωRF):
 2φ (t ) 
iO* = I EE ⋅ 1 −
π 

(5.2)
In genere può bastare anche un filtro del primo ordine per ottenere un buon filtraggio, purché,
detta ωC la frequenza di taglio del filtro, si rispetti la condizione:
ω MAX ≤ ω C
(5.3)
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Capitolo 5
Comparatori di fase, discriminatori FM e VGA
52
iX
ΙEE
π
2π
ωt
−ΙEE
1
vY
φ
ωt
−1
ΙEE
iO
π
2π
ωt
−ΙEE
Fig. 5.1
Legame tra ingressi ed uscita in un discriminatore di fase
L’ipotesi implicita è, comunque, che l’occupazione di banda di φ(t) sia molto minore della
frequenza ω (che di solito è la ωIF), cioè che ωMAX <<ωIF.
La presenza delle armoniche residue genera un ripple ad alta frequenza sul segnale utile,
l’ordine del filtro dipenderà quindi anche dalla quantità di ripple accettabile. Il segnale i*O è
rappresentato, in funzione di φ, nella figura seguente:
i*O
ΙEE
π
2π
−ΙEE
Fig. 5.2
φ
Valore medio del segnale all’uscita del comparatore di fase
5.2 Discriminatore FM
Il processo con cui da φ(t) si ricavano i bit di informazione viene svolto in generale dal DSP,
cioè nella sezione digitale. A volte però questo compito può essere affidato ad un dispositivo
analogico: il discriminatore FM, operante secondo la schematizzazione di fig. 5.3:
vIF
Phase
Shifter
vO1
vO2
Fig. 5.3
Phase
Comparator
vO
Discriminatore FM
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Capitolo 5
53
Comparatori di fase, discriminatori FM e VGA
Il limitatore trasforma il segnale d’ingresso (a frequenza intermedia) in onda quadra, il phase
shifter (sfasatore, un circuito RLC passivo) dà un vO1 sfasato rispetto a vIF secondo la legge:
ψ = k ⋅ (ω − ω IF ) + π 2
(5.4)
La frequenza istantanea del segnale d’ingresso è:
ω = ω IF + φ&
(5.5)
conseguentemente, all’ingresso del comparatore di fase, si avranno vO1 e vO2 caratterizzati da:
∠vO1 − ∠vO 2 = kφ& + π 2
(5.6)
All’uscita del comparatore di fase è connesso il filtro passa-basso, sulla cui uscita si preleva:
(
)
(5.7)
[K ] = [V ω ]
(5.8)
 2 ⋅ kφ& + π 2 
&
vO = RL I EE ⋅ 1 −
 = Kφ
π


avendo posto:
K =−
2
π
⋅ kRL I EE
Il segnale di uscita è quindi proporzionale alla derivata della fase che, ad esempio nella
modulazione FSK, contiene i bit del messaggio. Questo rappresenta un metodo alternativo che può
permettere di far risparmiare operazioni al DSP che potrebbe essere quindi anche meno veloce o
meno complesso. D’altra parte però lo sviluppo in maniera digitale richiede, in linea di massima,
solo l’elaborazione di un opportuno software che può quindi essere rapidamente testato o
modificato, al contrario di quanto avviene per una realizzazione analogica, certamente molto più
critica e laboriosa, quindi con maggiori costi di realizzazione.
5.3 Amplificatori a guadagno variabile (VGA)
Il problema da affrontare, è quello di far sì che tutti i segnali all’ingresso dell’ADC abbiano la
stessa ampiezza massima. Di questo se ne occupa un particolare blocco, costituito da un
amplificatore a guadagno variabile. A quest’amplificatore è richiesta la capacità, su comando del
DSP, di poter variare il proprio guadagno di un fattore pari alla dinamica stessa del segnale da
trattare, in modo da poter garantire in uscita un’ampiezza massima pressoché costante.
La posizione migliore del VGA è quella in cui c’è già un certo consolidamento del rapporto
S/N, ovviamente quindi non verrà messo prima di un LNA, però è anche possibile che sia inserito
all’interno dello stesso. In genere, comunque, non si riesce a fare tutto nella sezione RF perciò il
controllo del guadagno è affidato a più blocchi che vengono distribuiti lungo il percorso del segnale.
Nella figura 5.4 sono mostrati due esempi di inserimento del VGA. Nel primo e nel secondo
caso si realizza un controllo su una dinamica di 80 dB, nel primo caso però il controllo è affidato a
due VGA separati, di cui il primo inserito nell’LNA.
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Capitolo 5
LNA + VGA
Comparatori di fase, discriminatori FM e VGA
Mixer
vi
VGA
15 dB
Fig. 5.4
65 dB
54
Mixer
vo
vi
LNA
VGA
DSP
80 dB
vo
DSP
Esempi di inserimento di un VGA all’interno di un ricevitore
La configurazione del primo esempio ha il vantaggio di “alleggerire” il mixer, portando
all’ingresso di quest’ultimo un segnale con 15 dB in meno di dinamica. D’altra parte però questa
soluzione presenta tendenzialmente, rispetto alla seconda, una maggiore rumorosità dovuta alla
presenza del VGA nell’LNA.
5.3.1 Implementazione di un VGA
Nella fig. 5.5 è mostrata una possibile soluzione per un VGA nella sezione RF:
VCC
RC
vo
VC
vi
Q2
Q3
VB
Q1
VEE
Fig. 5.5
VGA per la sezione RF
Il legame tra la tensione vo di uscita e la vi d’ingresso è dato da:
Av =
vo
= − g m1 RC ⋅
vi
αF
(VC −VB )
1+ e
(5.9)
VT
Se VC <<VB ci si riconduce all’LNA di tipo cascode (fig. 2.6) perché Q2 si spegne. In questo
caso si ha il massimo guadagno. Al contrario, con Q3 spento si ha il minimo guadagno (Amin,dB = ∞). In realtà non si arriva mai a spegnere del tutto Q3, per problemi di rumore; è questo il motivo
per cui il controllo del guadagno non viene realizzato tutto in questa sezione.
Come visto nell’esempio di fig. 5.4, il VGA può essere collocato anche dopo il mixer, cioè
nella sezione IF.
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Capitolo 5
Comparatori di fase, discriminatori FM e VGA
55
Una possibile realizzazione (differenziale) può essere ottenuta dalla soluzione in RF vista in
precedenza, con l’aggiunta della degenerazione di emettitore, necessaria per poter trattare
linearmente segnali di più ampio livello:
VCC
RC
RC
vo
Q3
Q4
Q5 Q6
Q1
Q2
VC
vi
IB
RE
IB
VEE
Fig. 5.6
Realizzazione differenziale di un VGA per la sezione IF
La relazione ingresso-uscita è fornita da:
Av =
vo
R
= 2⋅ C ⋅
vi
RE
αF
1+ e
−VC
VT
(5.10)
nell’ipotesi:
g m1, 2 ⋅
RE
>> 1
2
(5.11)
E’ possibile implementare un VGA anche sfruttando la cella di Gilbert. La caratteristica di
trasferimento è graficata nella fig. 5.7b, ed è data dalla (5.12):
Av =
V
vo
R
= 2 ⋅ C ⋅ tanh  C
vi
RE
 2VT



(5.12)
Dalla fig. 5.7b o dalla (5.12), ci si accorge che questa soluzione gode di due proprietà:
1. il guadagno è nullo quando non è applicata alcuna tensione di controllo (VC =0);
2. l’espressione del guadagno si inverte di segno se viene invertita la polarità della tensione di
controllo.
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Capitolo 5
56
Comparatori di fase, discriminatori FM e VGA
VCC
RC
RC
Av
vo
RC/RE
Q3
Q5 Q6
Q4
VC
-4VT
Q1
vi
-2VT
2VT
4VT
VC
Q2
-RC/RE
IB
RE
IB
VEE
Fig. 5.7a
Realizzazione di un VGA con la cella di Gilbert
Fig. 5.7b
Caratteristica di trasferimento
5.3.2 Rumore e distorsione nei VGA
Nel progetto degli amplificatori a guadagno variabile, i quali richiedono un’ampia variazione
del punto operativo, i problemi del rumore e della distorsione diventano ancora più pesanti che nei
normali amplificatori.
Dall’analisi fatta nel capitolo 1 si è visto che la densità di rumore equivalente in ingresso, per
un transistore bipolare, può essere minimizzata utilizzando dispositivi con una resistenza rb piccola,
evitando la degenerazione di emettitore e lavorando ad alte correnti di collettore, così da far
diminuire il termine 1/gm.
Tuttavia, nel caso di amplificatori a guadagno variabile, la presenza della resistenza di
emettitore è indispensabile per minimizzare il rischio di distorsione dovuto a segnali d’ingresso ad
elevata dinamica; inoltre, per avere un ampio range di controllo è necessario che il VGA sia
polarizzato con correnti molto basse, così da portare il VGA stesso all’estremo inferiore del proprio
range di operatività. Quindi, nel progetto di qusti particolari amplificatori, è necessario un ben
preciso compromesso tra le prestazioni in termini di rumore, distorsione e range operativo.
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Capitolo 6
Confronto tra ricevitori a singola,
doppia e tripla conversione
6.1 Ricevitori a doppia conversione (supereterodina)
Il ricevitore a doppia conversione è quello di cui si è implicitamente parlato finora e che è
schematizzato nella figura seguente:
Filtro RF
Filtro di canale
ωRF
ωLO
Fig. 6.1
ωBB
ωIF
ωIF
Schematizzazione di un ricevitore a doppia conversione
Le problematiche fondamentali che stanno alla base del progetto di un tale sistema sono quelle
della reiezione della frequenza immagine e del filtraggio del canale. Quest’ultimo problema
nasce all’uscita della sezione IF in cui la selezione del canale desiderato viene fatta regolando la
frequenza dell’oscillatore locale in maniera tale che la differenza ωRF –ωLO =ωIF coincida con la
frequenza centrale di un filtro passa-banda, molto selettivo, che attenuerà fortemente i canali
adiacenti:
Filtro di canale
ωIF = ωRF-ωLO
Fig. 6.2
ωLO ωRF
ω
Selezione del canale in un ricevitore a doppia conversione
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Capitolo 6
Confronto tra ricevitori a singola, doppia e tripla conversione
58
Purtroppo non si riesce a realizzare questo filtro in forma integrata per via dell’alto Q ad esso
richiesto. Tale filtro può inoltre introdurre forti attenuazioni (anche 20 dB) e tanto più si vuole
risparmiare su esso, tante più perdite si dovranno accettare dovendo esserne preservata la
selettività. E’ anche vero però che diminuendo la frequenza IF, minore sarà il Q necessario.
D’altra parte però, così facendo, si causa un avvicinamento della frequenza immagine a quella
utile e sarà necessaria una maggiore selettività del filtro RF. Va cercato quindi un compromesso che
soddisfi entrambe le esigenze. Per il GSM la frequenza intermedia è fIF ≅ 200 MHz.
6.2 Ricevitori a tripla conversione (doppio supereterodina)
Quando non era stata raggiunta una tecnologia ad alto grado di integrazione, veniva utilizzata la
tripla conversione:
Filtro RF
Filtro di canale
ωIF1
ωRF
ωLO1
Fig. 6.3
ωIF2
ωLO2
ωBB
ωIF2
Schematizzazione di un ricevitore a tripla conversione
Si tratta di una soluzione costosa per via del fatto che ci sono tre filtri da realizzare
esternamente, con conseguenti problemi di adattamento, complessità e integrabilità. Per contro
questa soluzione presenta alcuni vantaggi:
•
potendo lavorare con ωIF1 sufficientemente alta, il filtro RF dovrà eliminare una frequenza
immagine molto più distante da ωRF che non nel caso precedente, di conseguenza si potrà
alleggerire il compito di questo primo filtro che potrà essere certamente meno costoso o con
meno perdite rispetto a quello del ricevitore a doppia conversione;
•
il primo filtro a frequenza intermedia non deve fare la selezione del canale, ma la reiezione
d’immagine per il mixer successivo. Sarà allora un filtro a più basso Q visto che si è già a
frequenze piuttosto basse;
Si intuisce allora che questa è una soluzione molto meno critica della precedente. Questa
robustezza si paga però in termini di costo, di maggior complessità dei blocchi e quindi di
dissipazione (sia per il numero maggiore di blocchi che anche perché si esce più volte verso filtri a
bassa resistenza). Per ovviare a quest’ultimo handicap, a volte, si preferisce rinunciare alla linearità
all’interno del sistema, impegnando così meno corrente, per poi filtrare all’uscita le armoniche
aggiuntive dovute alla distorsione.
Un esempio può essere quello mostrato nella fig. 6.4, in cui un LNA viene “linearizzato” alla
frequenza di lavoro, grazie ad un opportuno filtraggio con un risonatore serie che può attenuare
notevolmente ad es. la seconda armonica.
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Capitolo 6
Confronto tra ricevitori a singola, doppia e tripla conversione
vi
59
vo
LNA
C
L
Fig. 6.4
Esempio di linearizzazione con filtraggio
6.3 Ricevitori a conversione diretta
I ricevitori a conversione diretta sono quelli che permettono il massimo grado di integrazione e
quindi un minor costo, a discapito però di una maggiore criticità. Lo schema a blocchi che ne
riassume il funzionamento è riportato nella figura seguente:
Filtro RF
ωBB
ωRF
ωRF
Fig. 6.5
Schematizzazione di un ricevitore a conversione diretta
Tutti i canali passano direttamente dalla banda RF alla banda base, ma solo il canale
desiderato è centrato sulla frequenza nulla (DC). Esso viene selezionato con un filtro passa-basso
molto selettivo, in grado cioè di eliminare i segnali ad alto livello dovuti ai canali adiacenti, al
contrario di quanto accadeva invece nei ricevitori eterodina in cui esso aveva solo il compito di
eliminare delle spurie.
Per quanto riguarda il filtro RF c’è un netto vantaggio rispetto alle soluzioni precedenti:
stavolta il compito del filtro è soltanto quello di selezionare la banda (operazione svolta in parte
dalla stessa antenna) e di attenuare le interferenze. Il filtro non deve effettuare alcuna reiezione di
immagine dato che, per ωLO =ωRF, non è presente alcuna immagine.
Questo sistema è a basso costo: in linea di principio, a parte il filtro RF, si può integrare quasi
tutto. L’unico problema può essere quello riguardante l’implementazione del filtro in banda base
che necessita un processo CMOS per la realizzazione con la tecnologia SC (a capacità commutata).
É necessario allora disporre di un processo BiCMOS o di avanzati transistori MOS aventi
prestazioni simili ai BJT (la ricerca si muove attualmente verso questa direzione). La possibilità di
realizzare tutto in tecnologia CMOS o BiCMOS permetterebbe anche l’integrazione del
convertitore A/D, realizzato in CMOS. In ogni caso però, si può sempre rinunciare all’integrazione
del filtro realizzando quest’ultimo su un altro chip.
Esiste comunque un’altra via che può essere quella di fare un leggero filtraggio, anche non
troppo selettivo, ed affidare il compito della selezione vera e propria del canale al DSP. In questa
maniera si può realizzare il filtro con dispositivi bipolari (si è a basse frequenze, con una banda di
circa 200 KHz) a vantaggio dell’integrazione. Lo svantaggio naturalmente sta nel fatto che il DSP
sarà appesantito da quest’ulteriore compito, che lo renderà certamente più complesso.
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Capitolo 6
Confronto tra ricevitori a singola, doppia e tripla conversione
60
Inoltre, a causa del debole filtraggio, il convertitore A/D riceverà molta più potenza in ingresso
perché, oltre al canale selezionato, vi sarà una certa quantità di segnale dovuta agli altri canali;
dovrà perciò essere molto più preciso per non deteriorare il BER (bit error rate). Utilizzando filtri ad
alta selettività ci si può permettere di lavorare con convertitori a medio-bassa risoluzione (6, 8 bit),
mentre con filtri a bassa selettività si può arrivare a dover usare convertitori con risoluzioni anche
maggiori di 12, 16 bit. Ci sono comunque tutte le vie di mezzo che permettono di ottenere un giusto
compromesso tra selettività del filtro e risoluzione del convertitore (che si paga molto in termini
economici). I problemi che rendono particolarmente critico il progetto di questo ricevitore sono
però quelli della distorsione, dell’accoppiamento tra i blocchi e del rumore dell’oscillatore locale.
6.3.1 Distorsione
Il problema della distorsione nasce dal fatto che fino all’ultimo stadio non vi è una selezione
del canale: all’interno del ricevitore viaggia quindi un segnale con 100 dB ÷120 dB di dinamica che
deve essere gestito opportunamente dai vari blocchi, in maniera tale da evitare l’introduzione di
distorsioni di intermodulazione.
6.3.2 Accoppiamento
In un ricevitore RF bisogna ottenere guadagni di notevole entità (100 dB ÷120 dB). Dovendo
lavorare però con una cascata di amplificatori, se l’accoppiamento tra uno stadio e l’altro è
realizzato in DC, gli offset e i rumori a bassa frequenza associati ai singoli stadi (specialmente ai
primi) potrebbero compromettere il funzionamento dell’intero sistema.
In generale la maggior parte dei blocchi lavora a frequenze piuttosto alte perciò è abbastanza
semplice accoppiare le varie parti con dei condensatori. Questo si traduce nel realizzare dei filtri
passa-alto da uno stadio all’altro in cui il valore della capacità sarà dimensionato in maniera tale che
alla più piccola frequenza operativa il condensatore si comporti come un cortocircuito. Si può
vedere facilmente che, anche con frequenze dell’ordine delle centinaia di MHz e tipiche resistenze
d’ingresso dell’ordine dei kΩ, sarà sufficiente utilizzare capacità di qualche pF.
Nel caso di ricevitori a conversione diretta però l’accoppiamento tra i blocchi non può essere
realizzato in AC perché il segnale utile è proprio in DC; si dovrebbero usare dei grossi condensatori
(con grande impiego di area), ma anche così facendo si perderebbero delle informazioni e si
avrebbero costanti di tempo molto grandi in tutti i transitori di funzionamento del dispositivo.
L’unico accoppiamento possibile in AC è quello tra LNA e mixer, cioè dove i segnali sono
ancora in banda RF. L’impossibilità di un accoppiamento in AC si traduce, nella migliore delle
ipotesi, nella presenza di un offset in banda base che può essere anche molto grande a causa
dell’amplificazione subita (dell’ordine di 100 dB, in queste condizioni, anche un piccolo offset
all’ingresso dell’LNA può portare in saturazione gli stadi successivi).
Il peso dell’offset in banda base, nell’ipotesi che esso non sia tale da saturare i dispositivi, non
è di gran rilevanza, difatti esso può essere facilmente eliminato dal DSP.
6.3.3 Rumore
Un altro problema, tipico di questo ricevitore, è quello del rumore introdotto dall’oscillatore
locale. Agli ingressi del mixer si presentano, infatti, sia il segnale amplificato dall’LNA che l’onda
quadra prodotta dall’oscillatore, però, per quanto si possa realizzare un buon isolamento, vi sarà
sempre una frazione di segnale uscente dall’oscillatore che si porterà all’ingresso dell’LNA.
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Capitolo 6
Confronto tra ricevitori a singola, doppia e tripla conversione
61
Con un’onda quadra di ampiezza pari a 200 mV ed un’attenuazione di 60 dB tra LNA ed
oscillatore, all’ingresso dell’LNA si ha un rumore a frequenza ωLO =ωRF e ampiezza pari a 200 µV
che quasi certamente porterà tutto in saturazione. Anche supponendo che questo segnale spurio non
sia tale da far saturare tutto, lo si ritroverà dopo il mixer, traslato in banda base e sovrapposto,
insieme all’offset, al segnale utile (fig. 6.6) sporcandone lo spettro e causando una degradazione del
rapporto S/N.
Segnale utile
Rumore
Offset
ω
Fig. 6.6
Spettro del segnale, del rumore e dell’offset in banda base
Solitamente però lo spettro del rumore ha una banda molto più piccola di quella del segnale
(qualche decina di KHz, a causa del rumore di fase, contro qualche centinaio di KHz) quindi, se il
livello di questi disturbi non è molto alto, il DSP riuscirà a limitare il BER rientrando nelle
specifiche.
Esistono anche delle soluzioni analogiche a questo problema, basate su sistemi SC nelle quali
l’idea è quella di campionare il disturbo, in assenza di segnale, per poi andarlo a sottrarre al segnale
di uscita. Purtroppo in realtà si riesce solo in parte a realizzare quest’obiettivo, a causa anche del
fatto che, essendo il funzionamento del mixer fortemente non lineare, il rumore viene trattato in
maniera differente in presenza ed in assenza di segnale (non vale cioè la sovrapposizione degli
effetti). Come conseguenza di ciò, il rumore campionato non coinciderà esattamente con quello
sovrapposto al segnale utile e quindi la reiezione del disturbo non potrà essere totale.
Anche nella conversione eterodina, dopo il primo mixer, il disturbo finirà in banda base. Però
in questo caso il segnale utile si troverà ancora ad alta frequenza (alla frequenza intermedia ωIF)
quindi gli spettri non saranno sovrapposti; di conseguenza, con un semplice filtro passa-alto (anche
del primo ordine), sarà possibile eliminare questo tipo di rumore.
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Capitolo 7
Oscillatori
7.1 Introduzione
Gli oscillatori sono circuiti in grado di produrre un’oscillazione stabile, sia nello spettro che
nell’ampiezza. Essi vengono utilizzati come sorgenti di clock per le varie temporizzazioni del
sistema. Esistono vari tipi di oscillatori, diversi per modalità di funzionamento, per campo operativo
e per stabilità. Una prima classificazione li vede suddivisi in:
•
•
•
•
oscillatori LC (serie - parallelo - al quarzo);
oscillatori ad anello;
oscillatori a sfasamento;
oscillatori a rilassamento.
Usualmente, nell’ambito delle radiofrequenze, ci si sofferma sugli oscillatori del primo tipo.
Per gli oscillatori non è molto corretto parlare di poli in quanto si tratta di circuiti non lineari,
nonostante ciò, in prima approssimazione, essi possono essere visti come sistemi aventi poli
immaginari. Nel caso in cui esista una sola coppia di poli, gli oscillatori si diranno “sinusoidali”
altrimenti saranno detti “armonici”.
Gli oscillatori sono circuiti intrinsecamente non lineari: per essi la non linearità è una
condizione necessaria per il funzionamento. Per il loro studio si fa comunque uso di modelli lineari:
il modello retroazionato o quello ad impedenza (ammettenza) negativa (fig. 7.1).
Si ricorre ad un modello o all’altro secondo i casi, entrambi comunque conducono agli stessi
risultati.
+
Rete
attiva
T(s)
Rete
LC
Za
Fig. 7.1a
Modello retroazionato
Fig. 7.1b
Zf
Modello ad impedenza negativa
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Capitolo 7
Oscillatori
63
Le funzioni caratteristiche dei due casi sono date dalle (7.1):
f (s ) = 1 + T (s )
(modello retroazionato)
(7.1a)
f (s ) = Z a (s ) + Z f (s ) (modello ad impedenza negativa)
(7.1b)
f (s ) = Ya (s ) + Y f (s )
(7.1c)
(modello ad ammettenza negativa)
7.2 Criterio di Barkhausen
Condizione necessaria perché un circuito oscilli, alla frequenza ω0, è che valga la (7.2a) o la
(7.2b), a seconda del modello considerato. Nota quindi la funzione T(s) (o le ammettenze) e
sapendo a priori che il circuito oscilla, questo criterio permette di ricavare la frequenza ω0 a cui
avvengono le oscillazioni.
T ( jω 0 ) = 1

∠T ( jω 0 ) = 180°
Ga (ω 0 ) + G f (ω 0 ) = 0

 Ba (ω 0 ) + B f (ω 0 ) = 0
(7.2a)
(somma delle conduttanze)
(7.2b)
(somma delle suscettanze)
7.3 Innesco delle oscillazioni
Prima ancora del problema della stabilità ci si pone quello dell’innesco delle oscillazioni
stesse: la condizione perché ciò avvenga è che all’accensione del circuito vi sia almeno una coppia
di poli a parte reale positiva. Però, una volta innescate le oscillazioni, per evitare che il circuito
saturi, dovrà accadere che la coppia di poli si sposti sull’asse immaginario (nel caso vi siano più
coppie nel semipiano destro, le altre dovranno passare al semipiano sinistro).
Il problema allora potrebbe essere quello di far sì che la coppia spostatasi dal semipiano destro
all’asse immaginario rimanga su quest’ultimo, senza muoversi ulteriormente verso il semipiano
sinistro, ma questo accade grazie alla non linearità propria dell’oscillatore per la quale è T = f(a).
All’accensione i poli si trovano nel semipiano di destra, man mano che l’ampiezza delle
oscillazioni aumenterà, diminuirà il guadagno d’anello e ciò spingerà i poli verso l’asse
immaginario, fino a che lo stesso guadagno d’anello diverrà unitario e i poli avranno parte reale
nulla.
A questo punto si instaurerà una situazione di equilibrio garantita dal fatto che un ulteriore
movimento dei poli verso il semipiano sinistro porterebbe ad un aumento del guadagno d’anello
che, a sua volta, tenderebbe a spostare i poli verso destra.
Un’analoga spiegazione si può ricavare facendo riferimento al modello a conduttanza negativa,
osservando che la non linearità agisce su Ga = f(a).
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Capitolo 7
Oscillatori
64
7.4 Oscillatori LC
Si tratta di circuiti basati su risonatori LC parallelo (o serie) che, idealmente, si comportano da
oscillatori al seguito di un’eccitazione istantanea. La frequenza di oscillazione di tali risonatori si
può ricavare applicando il criterio di Barkhausen. Dalla (7.2b) si ha:
0 + 0 = 0

1

0
+
+
=0
j
ω
L
0

jω 0 C

(7.3)
da cui:
ω0 =
1
LC
(7.4)
Naturalmente non esistono condensatori ed induttori senza perdite quindi, un tale risonatore
darebbe luogo soltanto ad un’oscillazione smorzata. Induttori e condensatori reali possono essere
modellizzati tenendo conto di una resistenza di perdita, variabile con la frequenza:
Lreale
Lreale
RLS
Fig. 7.2a
Lideale
RLP
Lideale
Modelli di un induttore reale
Creale
Creale
RCS
Fig. 7.2b
Cideale
RCP
Cideale
Modelli di un condensatore reale
Alle basse frequenze tali resistenze di perdita si possono considerare pressoché costanti. Alle
alte frequenze invece, a causa dell’insorgere di cause come l’effetto pelle, le resistenze tenderanno a
crescere con la frequenza stessa. Per questi motivi, nell’ambito RF si preferisce parlare di Q
associato all’induttore o al condensatore, piuttosto che di resistenza. Ad esempio, per l’induttore si
ha:
QL = ω ⋅
L
RLS
(7.5)
All’aumentare di ω si ha un aumento di RLS quindi il valore di Q, in un range di frequenze, si
mantiene costante. Contrariamente a quanto potrebbe apparire dalla (7.5), un aumento di L
comporta una diminuzione del Q, a causa di un conseguente aumento di RLS.
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Capitolo 7
Oscillatori
65
Nel caso di induttori discreti si può arrivare a valori tipici per il Q dell’ordine di 30 ÷ 40,
notevolmente superiori ai valori ottenibili con tecnologia integrata che si mantengono a 5 ÷ 10 alle
frequenze RF.
A valori di Q sufficientemente elevati (4 ÷ 5), per le rappresentazioni mostrate nella fig. 7.2a
sussiste la relazione:
R LP = Q 2 R LS
(7.6)
Anche i condensatori sono classificati in base al Q (in genere molto maggiore di quello degli
induttori):
QC = ωRCP C
(7.7)
Tornando al risonatore, detto QTOT il Q complessivo e supposto QC >> QL, si ha:
1
QTOT
=
1
1
+
⇒ QTOT ≅ QL
QC QL
(7.8)
Il Q del risonatore è stabilito quindi da quello dell’induttore. Si consideri quindi il modello di
un risonatore reale:
L
C
RCP
L
C
RLC
RLS
Fig. 7.3
Risonatore reale
La resistenza equivalente RP (sempre nell’ipotesi QC >> QL) è data da:
RLC = RCP || (RLS QL2 ) ≅ RLS QL2
(7.9)
e dipende da quella di perdita dell’induttore.
Il Q del risonatore è:
Q = ω 0 RLC C =
RLC
ω0 L
con
ω0 =
1
LC
(7.10)
Per realizzare un oscillatore è necessario porre una resistenza negativa -Ra in parallelo (o in
serie, nel caso di oscillatori LC serie) al risonatore, rappresentata da un circuito attivo che
periodicamente fornisce energia per compensare le perdite del risonatore stesso. Bisogna però far sì
che questa resistenza abbia valore diverso man mano che le oscillazioni aumentano di ampiezza:
inizialmente il parallelo tra RLC ed Ra dovrà essere negativo e, successivamente, di valore infinito
(con -Ra =RLC) in maniera da annullare le perdite e realizzare un risonatore ideale.
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Capitolo 7
Oscillatori
66
7.4.1 Implementazione
Il blocco attivo è costituito da uno stadio differenziale con carico resistivo (fig. 7.4). I
condensatori C1 e C2 sono di accoppiamento e permettono un’ottimizzazione della dinamica di
uscita, alle frequenze di lavoro sono dei cortocircuiti che generano una reazione positiva; l’induttore
L ed il condensatore C formano il risonatore LC parallelo, mentre la resistenza RLC tiene conto delle
perdite del risonatore stesso.
L’analisi può essere fatta indifferentemente col modello basato sulle impedenze negative o col
modello retroazionato. Si userà il primo metodo, fermo restando che, anche col secondo, si
arriverà ai medesimi risultati. E’ necessario allora determinare la resistenza del blocco attivo. Per
far questo si considera il circuito privato del risonatore e alle frequenze tali che C1 e C2 possano
considerarsi dei cortocircuiti (fig. 7.5).
RL
RL
RLC
RL
L
C
iO
RL
vO
iO
C1
C2
RB
Q1
RB
RB
VB
Q1
Q2
Oscillatore LC parallelo
VB
Q2
IEE
IEE
Fig. 7.4
RB
Fig. 7.5
Determinazione dell’impedenza del blocco attivo
L’impedenza Za cercata è data dal rapporto tra vO e iO. Da una prima analisi si vede che:
iO =
vO
v
+ O + f (vO )
2 RL 2 R B
(7.9)
Rimane quindi da determinare la funzione f(vO), che è proprio quella che garantisce il
comportamento non lineare dell’oscillatore. Eliminando le RL e le RB dal circuito di fig. 7.5, si
ottiene il circuito semplificato di fig. 7.6 da cui risulta:
iO′ = iC 2
i −i
⇒ iO′ = C 2 C1

2
iO′ = −iC1
(7.10)
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Capitolo 7
67
Oscillatori
i'O
i'O
vO
iC1
iC2
Q2
Q1
IEE
Fig. 7.6
Determinazione dell’impedenza non lineare del blocco attivo
Considerando che vO è applicata alla base di Q1 e non di Q2:
v
1
iO′ = − ⋅ I EE ⋅ tanh O = f (vO )
2
2VT
(7.11)
Tendendo conto delle (7.9) e (7.11), il legame tra tensione e corrente ai capi del risonatore è:
v
vO
v
1
+ O − ⋅ I EE ⋅ tanh O
2 RL 2 RB 2
2VT
iO =
(7.12)
Al momento dell’accensione il circuito tratterà piccoli segnali, è lecito quindi eseguire in tale
condizione un’analisi di piccolo segnale. In queste ipotesi la (7.12) permette di esprimere la
conduttanza incrementale di uscita del blocco attivo:
ga =
∂iO
∂vO
=
vO =0
1
1
1
+
− ⋅ g m1, 2
2 RL 2 R B 2
(7.13)
Questa, sommata alla conduttanza del risonatore, dovrà risultare negativa al momento
dell’accensione e dovrà man mano tendere a zero via via che l’ampiezza delle oscillazioni diverrà
grande. L’innesco delle oscillazioni, è, infatti, garantito dalla condizione:
ga + g f < 0
(7.14)
essendo gf la conduttanza del risonatore, definita come:
gf =
1
RLC
(7.15)
La condizione (7.14) diventa:
1
1
1
1
⋅ g m1, 2 >
+
+
2
2 RL 2 RB RLC
(7.16)
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Capitolo 7
68
Oscillatori
Dopo l’innesco delle oscillazioni, la conduttanza media ga tenderà a diminuire (in valore
assoluto) facendo sì che la (7.14) tenda a zero per grandi ampiezze di vO.
Questo meccanismo non lineare nasce direttamente dalla caratteristica del tipo “tangente
iperbolica”, presente nella (7.12) e mostrata nella fig. 7.6:
½ IEE
ga
-4VT
-2VT
2VT
4VT
VO
- ½ IEE
Fig. 7.6
Variazione della conduttanza media ga in relazione a vO
La seconda condizione riguarda la somma delle suscettanze alla frequenza ω0 di oscillazione:
Ba (ω 0 ) + B f (ω 0 ) = ω 0CT −
1
ω0 L
=0
(7.17)
La (7.17) fornisce il valore della frequenza ω0:
ω0 =
1
CT L
posto:
CT = C +
C cs1, 2
2
+
Cπ 1, 2
2
+ 2C µ1, 2
(7.18)
Per oscillazioni con ampiezze sufficientemente elevate (100 mV ÷ 200 mV), la corrente IEE
commuta da Q1 a Q2. In uscita, escludendo per il momento l’influenza del risonatore, si avrebbe un
onda quadra di ampiezza pari a RLIEE e frequenza ω0.
È possibile sviluppare in serie di Fourier questa forma d’onda:
vO* (t ) = 2 I EE RL ⋅
 sen (n ⋅ π 2 )

 n ⋅ π 2 ⋅ cos(n ⋅ ω 0 t )
n dispari 

∑
(7.19)
La presenza del risonatore costituisce un filtro passa banda, centrato sulla frequenza ω0, che
lascia passare soltanto la prima armonica di v*O e attenua fortemente le successive:
vO (t ) ≅
4
π
⋅ I EE RL ⋅ cos(ω 0t )
(7.20)
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Capitolo 7
Oscillatori
69
7.4.2 Voltage Controlled Oscillator (VCO)
L’oscillatore LC visto finora ha una propria frequenza di oscillazione, fissata naturalmente dal
valore di L e di C, come indicato dalla (7.18). É chiaro però che, a cause delle tolleranze, non sarà
possibile controllare esattamente il valore di ω0. Nasce perciò l’esigenza di poter regolare
esternamente la frequenza di oscillazione. Quello che si fa è sostituire a C un condensatore
controllato in tensione che viene realizzato mediante un diodo varicap (o varactor) che varia la
propria capacità parassita in funzione della tensione di polarizzazione (fig.7.8).
Associando questo dispositivo di controllo all’oscillatore visto in precedenza si ottiene un
oscillatore a frequenza controllata in tensione (VCO).
VC
Fig. 7.8
C=
VC
C j0
2<n<3
(1 + VC ψ 0 )1 n
Capacità controllata in tensione mediante diodi varicap
7.4.3 Rumore
Uno dei problemi degli oscillatori, specialmente in ambito RF, è quello del rumore. Idealmente
si vorrebbe produrre un segnale con una sola armonica, ma in realtà quello che viene fuori è uno
spettro, che solo approssimativamente può essere assimilabile ad una riga.
Questo è dovuto a sorgenti di rumore interne all’oscillatore che manifestano il loro effetto sotto
forma di “rumore di fase”. Nel caso di processo a banda stretta, sommare un rumore N(t) al
segnale sinusoidale Acos(ω0t) equivale ad avere un rumore “di ampiezza” ed uno “di fase”,
sovrapposti al segnale originale:
vO (t ) + N (t ) = [ An (t ) + A] ⋅ cos[ω 0t + θ n (t )]
(7.21)
Per calcolare gli spettri di rumore si fa riferimento al circuito di fig. 7.4 in cui, in prima
approssimazione, si può trascurare il rumore proveniente dal generatore di corrente IEE in quanto di
modo comune (anche se in realtà non potrebbe essere considerato tale poiché il circuito lavora in
maniera fortemente sbilanciata).
Per il calcolo di SVn si può ricorrere al modello semplificato dell’oscillatore di fig. 7.9a, in cui è
indicata con RP la resistenza equivalente di perdita:
RP = RLC || 2 RL || 2 RB
(7.22)
mentre con -Ra si indica la resistenza del blocco attivo e con SIO la densità spettrale di corrente di
rumore di cortocircuito in uscita.
In condizioni di oscillazione si ha però -Ra=RP e quindi il modello si semplifica ulteriormente
come in fig. 7.9b.
SIO
Fig. 7.9a
-Ra
RP
C
Modello per il calcolo del rumore
L
SIO
SVn
Fig. 7.9b
C
L
SVn
Modello in condizioni di oscillazione
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Capitolo 7
Oscillatori
70
Risulta:
SVn = Z LC ⋅ S IO
2
(7.23)
con:
S IO = S IQ1, 2 + S I RP
Z LC ( jω ) =
L
⋅
C
  g m1, 2  2
S  4 KT
 ⋅ SV + I  +
= 2 ⋅ 
2  RP
  2 

(7.24)
1
1 

j ⋅  ωL −

ωC 

(7.25)
Il modulo di ZLC, a frequenze prossime a quella di oscillazione, cioè tali che ω =ω0 +∆ω, (in
cui ∆ω <<ω0), si può scrivere come:
Z LC ( jω )
2
ω =ω 0 + ∆ω
≅
1 L  ω0 
⋅ ⋅

4 C  ∆ω 
2
(7.26)
Supponendo che le sorgenti di rumore siano indipendenti dalla frequenza, cioè trascurando i
contributi di tipo 1/f e 1/f 2, si può esprimere SIO per mezzo della resistenza equivalente di rumore,
Req, che tiene conto del rumore di tutto l’oscillatore:
S IO =
4 KT
Req
(7.27)
Dalle (7.23), (7.26) e (7.27) si ricava l’espressione finale di SVn:
SVn
KT L  ω 0 
=
⋅ ⋅

Req C  ∆ω 
2
(7.28)
Si dimostra che SVn(t) si trasferisce per metà sull’ampiezza di vO e per metà sulla fase. Lo
spettro del rumore di fase è dato dal rapporto tra la densità spettrale di potenza di N(t) che arriva
alla fase e la potenza media del segnale:
1 2 ⋅ SVn
SN
KT L  ω 0 
Sθ =
=
= 2
⋅ ⋅

2
2
1 2⋅ A
1 2⋅ A
A Req C  ∆ω 
2
(7.29)
Osservando la (7.29) si vede che, a parità di ω0, conviene realizzare una C grande, una L
piccola (0.5 nH ÷ 1 nH) ed una Req più grande possibile. Per quest’ultimo punto si è limitati però
dalla RLC e quindi dalla RLP.
E’ necessario, inoltre, produrre un’elevata ampiezza di oscillazione, così facendo si rende meno
pesante il contributo del rumore di fase sul segnale stesso.
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Capitolo 7
Oscillatori
71
Lo spettro del rumore di fase ha come dimensioni:
[Sθ ] =  rad


 Hz 
2
(7.30)
ma più spesso si preferisce misurarlo facendo riferimento ad:
L(ω ) = 10 ⋅ log Sθ
 dBc 
 Hz 
(7.31)
Valori tipici, per un oscillatore del GSM, sono [-100 ÷ -110] dBc/Hz, a ∆f =100 KHz.
7.5 Oscillatori al quarzo
7.5.1 Proprietà del cristallo di quarzo
Se sulle facce opposte di un cristallo piezoelettrico, tipicamente di quarzo, sono posti due
elettrodi planari e ad essi viene applicata una differenza di potenziale, le cariche legate nel cristallo
sono sottoposte a forze di natura elettrostatica. Se tale dispositivo è realizzato in maniera opportuna,
in conseguenza delle forze dovute al potenziale applicato, esso subisce deformazioni meccaniche
per cui può essere considerato come un sistema elettromeccanico che può vibrare se sottoposto ad
un’appropriata eccitazione.
La frequenza di risonanza e il Q dipendono dalle dimensioni del cristallo, dall’orientamento
delle superfici rispetto ai suoi assi e dal modo in cui è montato.
Sono disponibili commercialmente quarzi con frequenze di risonanza che vanno da pochi KHz
fino a centinaia di MHz e con valori di Q che variano da diverse migliaia fino a valori dell’ordine di
106 ÷ 108. Questo valore di Q straordinariamente alto, assieme al fatto che il quarzo è estremamente
stabile nel tempo ed al variare della temperatura (fig. 7.10), spiega l’eccezionale stabilità in
frequenza ed il bassissimo rumore di fase (-140 dBc/Hz ÷ -120 dBc/Hz) degli oscillatori basati su
questo componente.
∆f0 / f0
40⋅10-6
20⋅10-6
35° 25'
-20⋅10-6
-40⋅10-6
35° 11'
°C
-60
Fig. 7.10
-40
-20
0
20
40
60
80
100
Variazione relativa della frequenza di risonanza con la temperatura e l’angolo di taglio
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Capitolo 7
72
Oscillatori
7.5.2 Equivalente circuitale
Il circuito elettrico equivalente del quarzo è indicato nella fig. 7.11a. Esso è costituito dalla
serie di un’induttanza L – avente valore dell’ordine dei mH, quindi notevolmente maggiore di
quella realizzabile in forma integrata (4 nH ÷ 5 nH) – di una capacità C (200 fF ÷ 300 fF) e di una
resistenza RLS (5 Ω ÷ 10 Ω) associata alle perdite, il tutto in parallelo ad un’altra capacità C'.
Quest’ultima rappresenta la capacità elettrostatica tra gli elettrodi che hanno il quarzo come
dielettrico, il suo valore (3 pF ÷ 4 pF) è molto maggiore di quello di C.
X
RLS
induttiva
ωp
C'
L
ωs
C
Fig. 7.11a
ω
capacitiva
Modello circuitale del quarzo
Fig. 7.11b
Reattanza (nell’ipotesi RLS ≅ 0)
Grazie all’elevato valore dell’induttanza, il Q associato ad essa risulta molto alto e ciò fa del
quarzo un risonatore di alta qualità che permette di realizzare oscillatori con un rumore di fase
estremamente basso.
Se si trascura la resistenza R, l’impedenza del cristallo è una reattanza pura jX la cui
dipendenza dalla frequenza, rappresentata nell fig. 7.11b, è data dalla (7.32):
jX = −
j ω 2 − ω s2
⋅
ωC ′ ω 2 − ω 2p
ω s2 =
1
LC
ω 2p =
1 1
1 
⋅ + 
L  C C′ 
(7.32)
dove ωs è la pulsazione di risonanza serie e ωp quella di risonanza parallelo.
7.5.1 Implementazione
L’implementazione dell’oscillatore ricalca quella già vista per gli oscillatori LC (fig. 7.12). Le
differenze stanno nel fatto che stavolta si tratta di un oscillatore con risonatore di tipo serie quindi
l’elemento risonante viene posto sugli emettitori piuttosto che sui collettori (in questo caso, alla
frequenza di risonanza, il gruppo risonante tende a diventare un cortocircuito) e non vi sono
accoppiamenti capacitivi tra le basi e i collettori.
Quest’ultima differenza trova spiegazione nel fatto che si è a più bassa frequenza (tipicamente
intorno a 5 MHz ÷ 10 MHz) e non in RF, di conseguenza il disaccoppiamento richiederebbe l’uso di
grosse capacità e quindi un grande impiego di area di silicio.
D’altra parte la realizzazione precedente prevedeva l’uso dei condensatori per ottenere una
maggiore dinamica, al fine di minimizzare il rumore di fase dell’oscillatore, in questo caso ciò non è
necessario perché l’impiego del quarzo garantisce già un bassissimo rumore di fase anche a basse
ampiezze di oscillazione.
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Capitolo 7
Oscillatori
73
VCC
RL
RL
Q1
Q2
IB
IB
VEE
Oscillatore al quarzo
Fig. 7.12
Alla frequenza di risonanza, il risonatore serie è assimilabile ad un cortocircuito anche se in
realtà c’è la resistenza associata all’induttore che non è piccola (il Q è alto non perché sia piccola
RLS ma perché è elevato il valore di L).
Lo stadio differenziale raccoglie dal basso una corrente pari a 2IB e, se l’ampiezza delle
oscillazioni è sufficientemente elevata, commuta in uscita tra 2IBRC e -2IBRC.
Per lo studio dell’oscillatore si può nuovamente utilizzare il metodo dell’impedenza negativa.
A tal fine si può considerare la schematizzazione seguente:
Ra
RLS
L
C
Schematizzazione dell’oscillatore
Fig. 7.13
All’accensione del circuito, cioè per piccolo segnale, la resistenza Ra è:
Ra =
2
g m1, 2
− 2 RL
(7.32)
Per garantire l’innesco delle oscillazioni dovrà essere:
Ra + RLS < 0
(7.33)
ovvero:
2
g m1, 2
< 2 RL − RLS ⇒ g m1, 2 >
2
2 RL − RLS
(7.34)
e ciò si ottiene fissando opportunamente il valore di IB.
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Capitolo 7
Oscillatori
74
Come nel caso degli oscillatori LC, grazie al legame non lineare tra la transconduttanza media e
la tensione di uscita, la somma Ra+RLS tenderà a zero all’aumentare dell’ampiezza delle
oscillazioni, bloccando il valore di quest’ultima.
7.5.2 Rumore
Nel caso del risonatore serie, si può dimostrare che l’espressione del rumore di fase è:
KT C  ω 0 
⋅ ⋅
Sθ = 2

A Req L  ∆ω 
2
(7.35)
che risulta in un certo senso opposta a quella relativa all’oscillatore LC parallelo, data dalla (7.29).
Si capisce come in questo caso, grazie alla dipendenza dall’inverso di L, si abbia un bassissimo
rumore di fase. Questo è il vantaggio principale degli oscillatori al quarzo che, come si vedrà nel
capitolo successivo, vengono utilizzati come riferimento, anche grazie all’elevata stabilità della
frequenza di risonanza nel tempo.
Il quarzo non può essere integrato per ovvi motivi, quindi, in genere, nei circuiti integrati si
lasciano due piedini esterni su cui viene attaccato il quarzo. I segnali forniti da questi oscillatori (sia
LC che al quarzo) sono sottoposti ad un effetto di limitazione, in parte all’interno dell’oscillatore
stesso (a causa del fatto che la corrente IEE commuta tra Q1 e Q2) ed in parte in uscita dove è posto
uno squadratore (limiter).
La limitazione è necessaria, sia per pilotare il mixer con una forma d’onda che somigli il più
possibile ad un’onda quadra (per evitare errori e per avere una commutazione veloce) che per
limitare in ampiezza il segnale di uscita dell’oscillatore, che potrebbe raggiungere valori tali da far
saturare il mixer stesso.
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
8.1 Principio di funzionamento
Il PLL (Phase Locked Loop) è un sistema usato in svariate applicazioni. Esso serve
fondamentalmente ad agganciare la fase del segnale d’ingresso e a riproporla in uscita
opportunamente elaborata. In fig. 8.1 ne è mostrata una possibile realizzazione:
φi
+
φf
-
PC
VCO
A
φo
:N
Fig. 8.1
Schematizzazione di un PLL
In condizioni di funzionamento lineare il comparatore di fase (PC), che può essere analogico
o digitale, fornisce una tensione proporzionale alla differenza tra la fase di ingresso φi e quella
riportata dal feedback, φf, che viene applicata all’ingresso di un amplificatore avente un elevato
guadagno, tale cioè da garantire la precisione del sistema.
Il filtro provvede ad attenuare le armoniche di ordine superiore prodotte dal comparatore di
fase. Auspicabilmente si vorrebbe un filtro di ordine elevato, si vedrà però che, per problemi di
stabilità, ci si dovrà limitare a filtri del primo ordine. In teoria il filtro può precedere o seguire
l’amplificatore, comunque, per motivi che si vedranno in seguito, si preferisce porre il filtro dopo o
anche all’interno dell’amplificatore.
Il VCO dà in uscita un’oscillazione controllata in frequenza dalla tensione d’ingresso. Infine,
nel loop di retroazione, si trova il divisore di frequenza (digitale, perché l’uscita del VCO è un
livello logico o si rende tale) che riporta in ingresso la fase φf =φo /N.
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
76
In effetti, il divisore opera sulla frequenza del segnale, ma è facile vedere che, grazie al legame
tra fase e frequenza, anche la fase subisce la divisione per N:
ωf =
dφ f
1 dφ
1
1
⋅ωo ⇒
= ⋅ o ⇒ φ f = ⋅ φo
N
dt
N dt
N
(8.1)
Grazie all’alto guadagno del sistema retroazionato risulterà:
φ f ≅ φi
(8.2)
e quindi:
φ o ≅ Nφ i
(8.3)
Nelle situazioni di interesse però, più che la fase bisogna poter maneggiare la frequenza. Per
queso scopo questo basta far seguire il segnale di frequenza in ingresso da un integratore:
φi
ωi
1/s
ωf
φf
+
-
PC
A
VCO
ωo
:N
Fig. 8.2
PLL con ingresso in frequenza
Nella condizione di non aggancio il VCO oscilla alla frequenza di oscillazione libera. Quando
si applica un segnale periodico con una frequenza ωi relativamente vicina a quella di oscillazione
libera (divisa per N), inizia il processo di cattura. Tale processo non lineare darà origine ad un
transitorio di assestamento oltre il quale il PLL si porterà in condizione di aggancio. Da tale istante
in poi il sistema fornirà un’uscita alla frequenza ωo =Nωi.
8.2 Analisi di piccolo segnale
Trascurando il transitorio di assestamento, caratterizzato da ampi segnali e da non linearità, si
passa allo studio in condizioni di funzionamento lineare e quindi ad un’analisi di piccolo segnale,
per le quali valgono le considerazioni fatte nel paragrafo precedente. Per far ciò ad ogni singolo
blocco viene sostituito un modello incrementale secondo le equazioni mostrate di seguito:
Comparatore di fase: v o = V DC + k C ⋅ (φ i − φ f ) ⇒ v o (s ) = k C ∆φ (s )
per piccole ∆φ
Amplificatore:
vo (s ) = Avi (s )
all’interno della zona di
funzionamento lineare
VCO:
ω 0 = f (vi ) ⇒ ω 0 = k 0 vi
intorno ad una precisa frequenza di
funzionamento
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
77
8.2.1 Caratteristiche del filtro
Nel dimensionare il filtro bisogna tener presente il fatto che esso deve essere in grado di ridurre
quanto più possibile le spurie prodotte dal comparatore di fase che, secondo lo schema di fig. 8.2,
sono state anche accresciute in ampiezza dall’amplificatore. Da considerazioni fatte “a posteriori”,
si vede però che non è possibile introdurre nell’anello dei filtri di ordine superiore al primo: è
necessario quindi ricorrere a filtri del primo ordine contenenti anche uno zero nella propria
funzione di trasferimento, al fine di migliorare la stabilità del sistema stesso.
Una prima possibile realizzazione potrebbe essere quella mostrata nella figura seguente:
vi
vo
R1
R2
|H(jω)|
ωp1
spuria
ωz1
ωsp
ω
C1
Fig. 8.3
Filtro passa-basso del primo ordine e grafico della funzione di trasferimento
Per essa si ha:
H (s ) =
1 + sR2 C1
1 + s ⋅ (R1 + R2 ) ⋅ C1
(8.4)
Lo zero ed il polo sono realizzati dalla stessa capacità C1, quindi, essendo ωz1 >>ωp1, sarà
anche R2 <<R1. Allora la (8.4) diventa:
H (s ) ≅
1 + sR2 C1
1 + sR1C1
(8.5)
In altre parole è come se il polo non avesse risentito della presenza dello zero. Questo tipo di
realizzazione può anche andar bene, tuttavia si può notare che, a parte i casi in cui ωp1 <ωsp <ωz1, la
presenza dello zero diminuisce la reiezione nei confronti della spuria rispetto alla situazione a
singolo polo (tratteggiata in figura).
In questo caso l’attenuazione cui è soggetta la spuria è:
ASP =
ω z1
ω p1
(8.6)
Poiché si è quasi sempre nella situazione in cui ωsp>ωz o ωsp>>ωz, l’approccio visto può essere
poco soddisfacente; si introduce allora un secondo polo dopo lo zero (fig. 8.4), in una posizione
molto avanzata rispetto all’ωGBW, così da minimizzarne gli effetti negativi sul margine di fase.
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Capitolo 8
78
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
vi
vo
R1
R2
|H(jω)|
ωp1
spuria
ωz1
C2
ωp2
ωsp
ω
C1
Fig. 8.4
Filtro passa-basso migliorato e grafico della funzione di trasferimento
La nuova funzione di trasferimento è:
H (s ) =
1 + sR2 C1
1
⋅
1 + sR1C1 1 + sR2 C 2
(8.7)
con R2 <<R1 e C2 <<C1. L’attenuazione ad ωsp (se ωsp >ωp2) diventa:
ASP =
ω z1 ω sp
⋅
ω p1 ω p 2
(8.8)
8.2.2 Caratteristiche dell’amplificatore
Come detto prima, c’è la possibilità di “incastrare” il filtro all’interno dell’amplificatore che
però deve avere le seguenti caratteristiche:
•
ampia dinamica: è necessaria per far variare le capacità dei varactor del VCO entro un ampio
range, facendole dominare su quelle parassite e permettendo l’oscillazione su un ampio spettro
di frequenze;
•
elevato guadagno: necessario per una buona precisione del sistema;
•
possibilità di spegnimento in maniera semplice: nei momenti in cui il PLL non è in funzione
può essere conveniente, per evitare l’introduzione di rumore e risparmiare in termini di
dissipazione di potenza, provvedere allo spegnimento.
Un esempio di realizzazione integrata amplificatore-filtro può essere quello che sfrutta la
topologia del tipo “stacked mirror”, mostrata in fig. 8.5, nella quale sono stati impiegati degli
specchi semplici, piuttosto che “cascode” o “Wilson”, allo scopo di mantenere alta la dinamica del
segnale di uscita.
Questa soluzione integrata permette di sfruttare la resistenza attiva di uscita dell’amplificatore
per realizzare la R1 (molto grande) del filtro che, altrimenti, avrebbe richiesto l’impiego di molta
area di silicio.
Spesso viene utilizzato un comparatore di fase digitale quindi l’uscita dell’amplificatore sarà
una corrente commutata tra IEE e -IEE che andrà ad iniettare e a prelevare carica dalle capacità
costituenti il filtro. Questo blocco prende quindi anche il nome di “charge pump”.
Per eseguirne lo spegnimento basta spegnere il generatore di polarizzazione IEE.
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
R5
R3
Q5
R4
Q3
Q4
Q1
Q2
79
R6
Q6
vo
vi
R2
C2
C1
IEE
Q8
Q7
R7
Fig. 8.5
R8
Amplificatore “stacked mirror” con filtro passa-basso
8.2.3 Stabilità dell’anello
Per lo studio della stabilità bisogna prendere in esame la funzione di trasferimento A(s) relativa
all’intero sistema:
k C k 0 A0 H (s )
ω (s )
s
A(s ) = o
=
k
k
A H (s )
ω i (s )
1+ C 0 0
sN
(8.9)
che può essere anche scritta mettendo in evidenza, al denominatore, il termine che costituisce la
limitazione in frequenza dell’anello:
A(s ) =
N
1+ s ⋅
N
k C k 0 A0 H (s )
(8.10)
dove con H(s) è stata indicata la funzione di trasferimento del filtro, riportata dalla (8.7).
Per frequenze sufficientemente piccole, cioè dentro la “banda” della (8.10), la frequenza di
uscita è N volte quella d’ingresso. Per studiare A(s) è necessario esplicitare la H(s) e ciò lo si fa
tramite due approssimazioni.
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
80
In primo luogo bisogna osservare che ciò che vi è di significativo sta certamente prima della ωT
e quindi prima del secondo polo ωP2, il cui contributo può essere perciò trascurato:
H (s ) ≅
1 + sR2 C1
1 + sR1C1
(8.11)
Le frequenze di interesse cioè quelle attorno alla ωC (frequenza del polo dominante di A(s))
coincidono con quelle prossime alla ωT del guadagno d’anello e sono quindi molto maggiori di ωP1
e di ωZ. Allora, nei dintorni di ωC:
H (s ) ≅
R2
R1
(8.12)
La (8.10) diventa:
A(s ) =
N
R
N
1+ s ⋅
⋅ 1
k C k 0 A0 R2
(8.13)
da cui si vede che la banda di A(s) è:
ωC =
k C k 0 A0 R2
⋅
N
R1
(8.14)
Allo stesso risultato si può giungere analizzando direttamente il guadagno d’anello, da cui si
hanno informazioni sulla stabilità e la banda ad anello chiuso:
1 k k A H (s )
T (s ) = ⋅ 0 C 0
s
N
(8.15)
Dalla fig. 8.5 si vede chiaramente che è la presenza dello zero del filtro a permettere la stabilità
dell’anello:
|T(jω)|
ωp2
ωp1
Fig. 8.5
ωz1 ωT
ω
Modulo del guadagno d’anello
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
81
8.2.4 Dimensionamento
Il limite superiore di ωT è definito dall’applicazione, conviene scegliere perciò il minimo valore
per avere meno problemi di stabilizzazione. Ai fini del calcolo di ωT si può ritenere valida la (8.12),
quindi l’equazione (8.15) fornisce:
T ( jω T ) = 1 =
1
ωT
⋅ k C k 0 A0 ⋅
R2 1
⋅
R1 N
(8.16)
da cui si ottiene:
ω T = k C k 0 A0 ⋅
R2 1
⋅
R1 N
(8.17)
che ovviamente coincide con la banda ad anello chiuso, calcolata nella (8.14).
Un’ulteriore condizione da tenere in considerazione è poi quella riguardante l’attenuazione
delle spurie, indicata nella (8.8) e riportata di seguito:
ASP =
ω z1 ω sp
⋅
ω p1 ω p 2
(8.18)
Un’altra equazione di progetto è quella per il calcolo del margine di fase:
MF = 90 − arctg(ω T ω p1 ) + arctg(ω T ω z1 ) − arctg(ω T ω p 2 )
(8.19)
Fissata la banda, in queste ultime equazioni gli unici gradi di libertà si hanno sui valori di R1 ed
R2, mentre gli altri parametri rimangono fissati dal tipo di tecnologia adottata.
8.2.5 Rumore
Per valutare il rumore di fase in uscita, Sθ,o, bisogna considerare il modulo quadrato della
(8.10), tramite cui si trasferisce lo spettro Sθ,i dovuto al riferimento:
2
S θ ,o = S θ ,i ⋅
N
(8.20)
N
1 + jω ⋅
k C k 0 A0 H ( jω )
Sfruttando la (8.12) la (8.20) può essere approssimata dalla (8.21):
2
S θ , o ≅ S θ ,i ⋅
N
R
N
⋅ 1
1 + jω ⋅
k C k 0 A0 R 2
= S θ ,i ⋅
N2

R 
N
1 +  ω ⋅
⋅ 1 
 k C k 0 A0 R 2 
2
(8.21)
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
82
Dalle (8.20) e (8.21) si possono trarre delle importanti conclusioni:
•
alle frequenze contenute entro la banda del PLL lo spettro di rumore si riporta in uscita con
ampiezza approssimativamente proporzionale ad N2;
•
a parità di condizioni, lo spettro del rumore in uscita cresce all’aumentare della banda del filtro;
•
i valori di R1 ed R2 possono essere scelti anche per minimizzare il trasferimento del rumore
sull’uscita, in accordo alla (8.21).
8.2.6 Tempo di aggancio, errore e dinamica
Il processo di aggancio non è istantaneo, come già accennato, ma necessita di un transitorio
durante il quale il PLL va ad assestarsi alla frequenza impostata. Il comportamento del PLL durante
questa fase temporanea è riconducibile ad alcune caratteristiche intrinseche al sistema, che vengono
di seguito analizzate.
Si supponga che al tempo t0 il PLL sia stabilizzato su una frequenza ωLO1 e che all’istante t1 il
microprocessore imposti la frequenza ωLO2 inviando un’opportuna parola digitale al divisore. Il PLL
risponderà portandosi alla frequenza desiderata solo al tempo t2 cioè dopo un ∆t durante il quale
l’uscita avrà avuto un’evoluzione del tipo di quella mostrata in fig. 8.6.
ωo
Fascia di errore
ωLO1
ωLO1
t0
Fig. 8.6
∆t
t1
t2
t
Transitorio di aggancio
Chiaramente la frequenza ωo si assesterà tanto meglio quanto maggiore sarà il ∆t a
disposizione. Una delle specifiche richieste al PLL è quindi proprio il tempo ∆t, in relazione
all’accuratezza desiderata.
Si definisce quindi, secondo l’applicazione, una fascia di errore (ad es. 10 Hz ÷ 50 KHz) e si
quantifica il tempo necessario perché il sistema si assesti entro quel determinato margine di errore.
Il parametro ∆t, detto “pull-in time” (tempo di aggancio), è legato alla banda del sistema e allo
slew rate dell’amplificatore ([MHz /µs]). Quest’ultima grandezza definisce il tempo di risposta
perché è quella che caratterizza l’andamento iniziale del transitorio: durante l’intervallo di tempo in
cui agisce lo slew rate è come se il loop fosse aperto, superata questa zona con andamento lineare
(cui corrisponde un funzionamento non lineare del PLL) il loop si aggancia.
La limitazione dello slew rate proviene, come detto sopra, dall’amplificatore, dove spesso si
hanno circuiti in classe A che pongono dei limiti alle correnti erogabili per caricare le capacità di
carico o di compensazione.
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
83
Il PLL ha una propria dinamica, definita dall’escursione massima di frequenza in ingresso
(“lock range”) o in uscita (“tuning range”).
La dinamica è vincolata essenzialmente dall’amplificatore poiché è proprio quest’ultimo che
deve fornire la tensione di controllo al VCO per caricare i varactor. Un amplificatore con maggiore
dinamica di uscita riuscirà a far variare in un range più ampio la frequenza di uscita del VCO
permettendo di mantenere l’aggancio su una gamma maggiore di frequenze. Un’altra limitazione
può venire anche dal comparatore di fase che al di là di una certa differenza di fase (in genere 90°)
cessa di comportarsi linearmente.
A parità di prestazioni, un PLL con dinamica maggiore è certamente migliore di un PLL con
dinamica più limitata.
8.3 Applicazioni del PLL
8.3.1 Riferimento a frequenza variabile
Un classico utilizzo del PLL è quello che permette di generare il segnale dell’oscillatore locale
e di muoverlo in maniera accurata per selezionare il canale. Ad esempio, nel caso del GSM, si ha
un canale ampio 200 KHz intorno ai 900 MHz; è necessario quindi avere delle precisioni
dell’ordine dell’Hertz per selezionare i vari canali. Difatti, se la ωLO non è molto accurata, si rischia
di perdere informazione – dato che il filtro di canale è molto selettivo – o di causare la
sovrapposizione dei canali. Tutto ciò si traduce in riduzione del rapporto S/R e quindi in
peggioramento del BER.
Naturalmente, a causa delle tolleranze, non si può pensare di ottenere una ωLO precisa partendo
da un VCO. In questi casi si ricorre dunque al PLL che permette di realizzare un clock a centinaia di
MHz, accurato, regolabile, con basso rumore di fase, partendo da un buon riferimento al quarzo,
operante in genere intorno ai 10 MHz, e programmando opportunamente il divisore.
Detta ωR =ωi la frequenza di riferimento posta in ingresso, in uscita si avrà:
ω o = Nω R
(8.22)
N intero
Se il salto minimo richiesto dall’applicazione per la frequenza di uscita è minore della
frequenza di riferimento, si può generare un sottomultiplo dividendo la frequenza generata dal
quarzo prima di porla in ingresso:
ωR
:M
ωq
PLL
ωo
:N
µP
Fig. 8.7
Riferimento a frequenza variabile
Secondo lo schema di fig. 8.7 il microprocessore imposta opportunamente i valori M ed N sui
divisori, in tal modo la ωo sarà:
ω o = Nω q =
N
⋅ωR
M
(8.23)
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
84
8.3.2 Modulatore
L’operazione che si vuole compiere è quella di generare il segnale Acos[ωRFt +φ(t)] partendo
da una portante Acos(ωRFt) e dall’informazione φ(t). Si tratta dello stesso compito cui assolve il
mixer up converter, però potrebbe essere vantaggioso affidare tale incarico al PLL visto che in ogni
caso esso sarà presente all’interno del transceiver per generare la ωLO in fase di ricezione.
Si può quindi risparmiare sul mixer up-converter utilizzando il PLL anche durante la
trasmissione, per modulare il segnale da inviare all’antenna. Il funzionamento può essere spiegato
con riferimento all fig. 8.8:
Clock
D/A
vBB(t)
ωR
1/s
+
-
PC
VCO
A
DSP
ωLO
SA
:N
Fig. 8.8
PLL con funzione di modulatore
In primo luogo bisogna generare il canale ωRF su cui trasmettere: in questa situazione SA è
chiuso e vBB(t) =0; il DSP programma il divisore. Trascorso il tempo di assestamento del PLL, il
DSP apre SA e introduce vBB(t). Supposto che durante l’intervallo di tempo successivo all’apertura
del loop sia ancora ωLO =ωRF, all’uscita del VCO si ha:
ω o = ω RF + k 0 v BB (t )
(8.24)
e quindi il segnale:
[
v o = A ⋅ cos ω RF t + ∫ k 0 v BB (τ )dτ
]
(8.25)
Il tipo di modulazione dipende da ciò che il DSP pone in vBB(t): se ad es. fa sì che
k 0 v BB (t ) = φ&(t ) si avrà una modulazione di frequenza, visto che risulterà ∫ k 0 v BB (τ )dτ = φ (t ) ;
altrimenti, se viene reso k0 vBB(t) =φ(t) si avrà una modulazione di fase.
In precedenza è stato supposto che all’apertura di SA la ωLO sia rimasta invariata. Tale ipotesi è
però valida soltanto se all’ingresso del VCO si mantiene la stessa tensione. A questo proposito si
può osservare la schematizzazione della sezione finale di questo modulatore (fig. 8.8).
Nella fase di controllo dei varactor (SA chiuso ≡ IEE acceso) si ha vBB =0 e quindi:
vC =
R1 + R 2
⋅ VF
R1
(8.26)
Nella seconda fase (SA aperto ≡ IEE spento) i condensatori che costituiscono il filtro si scaricano
molto lentamente: con una corrente inversa sui transistori dell’amplificatore e con la corrente di
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
85
polarizzazione verso l’operazionale (che può essere resa piccola o anche annullata se si utilizzano
stadi d’ingresso a mosfet).
Durante questo intervallo di tempo il DSP immette la vBB(t), quindi si ha:
vC =
R1 + R 2
R
V F ± 2 v BB (t )
R1
R1
(8.27)
Il primo addendo della (8.27) dà luogo ad ωRF mentre il secondo genera delle variazioni ∆ω
intorno ad essa:
ω LO = ω RF ± ∆ω
(8.28)
vBB
Q3
Q4
R2
R1
ωLO
VF
Q1
Q2
vC
VCO
Filtro
vi
IEE
Fig. 8.9
Sezione finale del modulatore
8.3.3 Demodulatore
Durante la ricezione si può utilizzare il PLL come demodulatore:
AIFcos(ωIFt+φ)
1/s
+
-
A/D
PC
VCO
A
vC
DSP
φ(t)
ωo
:N
(fisso)
Fig. 8.10
PLL con funzione di demodulatore
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Capitolo 8
Anelli ad aggancio di fase (PLL)
86
Non è possibile demodulare dopo l’LNA, per via del fatto che il segnale è ancora piccolo, e
nemmeno subito dopo il mixer perché sono ancora presenti tutti i canali.
La posizione adatta per il demodulatore è dopo il filtro di canale: in questo modo si evita
l’utilizzo di un ulteriore mixer per trasferire il segnale in banda base.
Analizzando la fig. 8.10 si ha:
ω o = N ⋅ (ω IF + φ& )
(8.29)
ed essendo
k o v C = Nφ&
(8.30)
si ottiene:
φ& = v C ⋅
ko
N
(8.31)
Il rapporto k0 / N è fisso (N è fissato) ed è noto, il DSP può ricavare quindi l’informazione
contenuta in φ(t) mediante un’operazione di integrazione su vC.
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Capitolo 9
Cenni sui convertitori A/D
9.1 Principio di funzionamento
All’interno della catena di ricezione è presente il convertitore analogico-digitale, il cui compito
è quello di convertire in forma digitale il segnale proveniente dalla precedente sezione analogica,
per renderlo trattabile dal DSP.
Lo schema di principio di un ADC è mostrato nella figura seguente:
Campionatore
vi
N bit
Quantizzatore
Codificatore
vo
fS
Fig. 9.1
Schema a blocchi di un convertitore analogico-digitale
Il segnale d’ingresso vi viene applicato al blocco campionatore che legge e memorizza il
valore di tensione ad intervalli di tempo costanti e con frequenza fS.
Il convertitore ad N bit ha a disposizione un numero 2N di livelli quantici, in un range di
tensioni delimitato da quelle di alimentazione, entro cui piazzare, ad ogni istante di campionamento,
l’ampiezza del segnale analogico.
I due blocchi successivi, quantizzatore e codificatore, hanno proprio lo scopo di assegnare una
parola digitale ad N bit al valore di ampiezza del segnale fornito dal campionatore, per ogni istante
di campionamento.
La risoluzione del convertitore è quindi tanto maggiore quanto più alto è il numero di bit a
disposizione.
Se si indica con ∆ la larghezza dello step quantico, quando si codifica un campione viene
commesso un errore che va da -∆/2 a ∆/2. Questo errore, detto di quantizzazione, diminuisce
all’aumentare del numero di bit e si può quindi rendere piccolo a piacere, in funzione
dell’applicazione specifica.
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Capitolo 9
Cenni sui convertitori A/D
88
9.2 Rapporto segnale-rumore di quantizzazione
Si può definire il rumore di quantizzazione nQ(kTS) come la differenza tra il valore di tensione
d’ingresso all’istante kTS (TS: periodo di campionamento), vi(kTS) e quello del corrispondente
campione d’uscita x∆(kTS):
nQ (kTS ) = vi (kTS ) − x ∆ (kTS )
(9.1)
Si può dimostrare che, sotto certe condizioni, la densità di probabilità dell’errore di
quantizzazione P(nQ) si può assumere uniforme:
P(nQ)
1/∆
x∆
-∆/2
∆/2
Eerrore di quantizzazione
Fig. 9.1
Per calcolare il rapporto S/N bisogna calcolare la varianza del processo che rappresenta la
potenza media di rumore di quantizzazione:
σ2 =
∆ 2
2
∫ x P(nQ )dx ∆ =
−∆ 2
∆2
12
(9.2)
dove:
∆=
V MAX − Vmin
2N
(9.3)
Se in ingresso si ha un segnale sinusoidale, con ampiezza pari ad A, risulta:
S N=
1 A2
⋅
2 σ2
(9.4)
Sostituendo le (9.2) e (9.3) nella (9.3) si ottiene:
A2
S N =6⋅
⋅ 2n
V MAX − V min
(9.5)
Per massimizzare quindi il rapporto S/N bisogna aumentare il più possibile l’ampiezza del
segnale in ingresso – cioè far sì che essa copra tutto il range di tensioni di funzionamento del
convertitore – e scegliere poi la risoluzione più opportuna in base alle esigenze. In genere si
utilizzano convertitori aventi risoluzione da 6 a 8 bit, con VMAX –Vmin =3V.
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Capitolo 9
Cenni sui convertitori A/D
89
La condizione ottimale di funzionamento è quella in cui i segnali d’ingresso hanno bassa
dinamica. Sfortunatamente lo spettro dei segnali RF in ingresso è estremamente variabile, per cui si
può arrivare anche ad una dinamica di 80 dB. Le cose allora si complicano: un segnale con ampia
dinamica crea problemi di distorsione, di non linearità e può costringere l’ADC a lavorare in
maniera non favorevole.
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