La coscienza morale «La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto» ( Catechismo , 1778). La coscienza formula «l’ obbligo morale alla luce della legge naturale: è l’obbligo di fare ciò che l’uomo, mediante l’atto della sua coscienza, conosce come un bene che gli è assegnato qui e ora » [23] . La coscienza è la «norma prossima della moralità personale» [24] ; per questa ragione, quando si agisce contro di essa, si commette un male morale. Il ruolo di norma prossima appartiene alla coscienza non perché essa sia la norma suprema [25] , ma perché ha per la persona un carattere ultimo ineludibile: «il giudizio della coscienza afferma “ultimamente” la conformità di un certo comportamento concreto rispetto alla legge» [26] : quando la persona giudica con sicurezza, dopo aver esaminato il problema con tutti i mezzi a sua disposizione, non esiste una istanza successiva, una coscienza della coscienza, un giudizio del giudizio, perché altrimenti si andrebbe avanti all’infinito. Si chiama coscienza retta o vera quella che giudica secondo verità la qualità morale di un atto, e coscienza erronea quella che non riconosce la verità, stimando buona un’azione che in realtà è cattiva, o viceversa. La causa dell’errore di coscienza è l’ ignoranza , che può essere invincibile (e incolpevole) se la persona non ha nessuna possibilità di riconoscerla e superarla, o vincibile (e colpevole) se si la potrebbe riconoscere e superare, ma permane perché la persona non vuole mettere i mezzi atti a superarla [27] . La coscienza colpevolmente erronea non scusa dal peccato, e può anche aggravarlo. La coscienza è certa , quando emette il giudizio con la certezza morale di non sbagliarsi. Si dice probabile , quando giudica col convincimento che esiste una certa probabilità di sbagliare, ma che questa è minore della probabilità di essere nel vero. Si dice che è dubbia , quando la probabilità di sbagliarsi si suppone uguale o maggiore di quella di essere nel vero. Infine si chiama perplessa quando non osa giudicare, perché pensa che sia peccato tanto compiere un atto quanto non compierlo. In pratica si deve seguire solo la coscienza certa e vera o la coscienza certa invincibilmente erronea [28] . Non si deve agire con una coscienza dubbia , ma è necessario uscire dal dubbio pregando, studiando, domandando, ecc. 8. La formazione della coscienza Le azioni moralmente negative compiute in base a ignoranza invincibile sono dannose per chi le commette e probabilmente anche per altri, e in ogni caso possono contribuire a un più grande oscuramento della coscienza. Ecco perché è una urgente necessità formare la coscienza (cfr. Catechismo , 1783). Per formare una coscienza retta è necessario formare l’intelligenza nella conoscenza della verità – per questo un cristiano può contare sull’aiuto del Magistero della Chiesa – ed educare la volontà e l’affettività mediante la pratica delle virtù [29] . Questo è un compito che dura tutta la vita (cfr. Catechismo , 1784). Per la formazione della coscienza sono particolarmente importanti l’umiltà, che si acquista vivendo la sincerità davanti a Dio, e la direzione spirituale [30] . Si sente spesso dire di agire secondo la propria coscienza, di seguire la coscienza, di ascoltarla. Ma quale coscienza? La coscienza morale. Dove si trova? Nell’interiorità della persona umana. La coscienza è un giudizio della ragione che permette alla persona umana di riconoscere la qualità morale di un atto che ha compiuto o che sta compiendo, pertanto non può esistere coscienza senza l’uso della ragione. Permette la percezione dei principi della morale che sono fondamentali così da poterli applicare quando le circostanze particolari lo richiedono, mettendo la persona in condizione di poter discernere cosa si deve fare al momento o eventualmente di giudicare cosa si è già fatto. Si sbaglia chi la considera una percezione, un sentire particolare, qualcosa di legato all’istinto o al relativismo che afferma che al di sopra della coscienza non ci sia nulla. Si legge nella Gaudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, “la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”. Suo compito è quello di comunicarci il bene da compiere e il male da evitare, di renderci consapevoli della responsabilità da assumerci nei riguardi di tutti gli atti compiuti, di riconoscere in maniera deduttiva le norme morali da applicare negli avvenimenti e nelle scelte da fare, di essere imperativa per ciò che riguarda il comportamento morale di ogni persona, tenendo presente la voce dello Spirito Santo e ciò che Cristo ha insegnato, di cercare sempre le soluzioni migliori che spingono a fare il bene. Da tenere presente è il primato della Verità che è oltre quello della coscienza; il criterio di scelta ci è donato da Dio, non ce lo diamo da soli. È importante, direi anzi fondamentale, ascoltare la propria interiorità, ciò che ci arriva dal profondo di noi stessi: non ha senso far finta di niente, specialmente oggi che la vita ci pone spesso di fronte a situazioni difficili dove è primaria la logica della riflessione e del discernimento. Sant’Agostino diceva: “Ritorna alla tua coscienza, interrogala”. Come va intesa la coscienza, come deve essere? La coscienza è vera quando è fondata sulla verità, dal momento che è un giudizio della ragione che consente di riconoscere il valore delle azioni e il criterio di valutazione, distinguendo il bene dal male. Sempre la GS sottolinea: “L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire a questa legge è la dignità stessa dell’uomo e secondo essa egli sarà giudicato”. La coscienza deve essere certa perché si deve agire sempre con sicurezza, con grande certezza, per essere pienamente responsabili delle proprie azioni in qualsiasi circostanza. Capita che a volte non è così facile ed immediato emettere un giudizio morale, non si arriva alla scelta giusta da fare, sorge il dubbio ma in questo caso ci si può avvalere dell’aiuto di persone competenti. La coscienza deve anche essere retta, ossia trovarsi in accordo con ciò che la ragione ritiene giusto, buono e valido in consonanza con la Legge divina. Spesso la coscienza è fallibile, può capitare che emetta un giudizio erroneo, ciò accade quando si allontana dalla ragione e dalla Legge divina. Così la persona è colpevole del male che compie: “Quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato” (GS 16). L’ignoranza è involontaria quindi non colpevole quando non è imputabile alla responsabilità della persona, ma c’è da tenere presente che anche se la persona non è responsabile del male fatto, tuttavia ciò che ha compiuto di male resta un male, un disordine oggettivo. La coscienza è libera perché nessuna persona può essere costretta ad agire contro la propria coscienza. La coscienza libera non può nuocere agli altri, ma favorire il bene comune, vissuta sempre nel pieno rispetto dei valori universali. La coscienza è formata bene quando è vera, certa, retta, in grado di emettere giudizi secondo il criterio della ragione, conformemente al volere di Dio. Questo la rende libera. È inabitata, totalmente permeata dallo Spirito Santo il quale ci configura a Cristo per far sì che possiamo comportarci e agire come Lui. Parlare della coscienza morale non è semplice, ma il tutto si può racchiudere con quanto Gesù ha detto: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12).