Otium et Negotium La vita degli antichi romani era continuamente scandita da due concetti tra loro contrapposti: l’otium e il negotium (da: nec, congiunzione negativa, + otium). Per molti secoli, a causa del mos maiorum, fu fortemente prediletto il secondo ma, nel tempo, anche il primo conquistò il suo posto di pari dignità rispetto al suo contrario. Per negotium i romani intendevano tendenzialmente tutte quelle attività che favorivano il buon funzionamento della res publica, in particolare la politica, l’attività militare in pace e in guerra, l’organizzazione dello stato, gli affari di tipo commerciale... Se negotium rientra in un campo semantico più affine alla pragmatico, l’otium è più incline alla sfera intellettuale e spirituale di una persona (ovviamente, non di una persona qualsiasi ma di un patrizio, generalmente di classe sociale elevata e abbiente), essendo, di fatto, il riposo dall’attività politica. L’otium, infatti, era il tempo libero che i patrizi più ricchi potevano sfruttare per dedicarsi, nel caso del cosiddetto otium litteratum, agli studi di ogni tipo: filosofia, riflessioni scientifiche, scrittura di opere letterarie...; tuttavia il tempo libero di un patrizio non era destinato esclusivamente agli studi, ma anche alla vita privata: egli, infatti, si poteva permettere piccoli svaghi un impegno e l’altro, dilettandosi in passeggiate (per la città, al mare, sulle rive di un fiume...), alle terme, nei giochi del circo o quelli di abilità o azzardo. Gli ultimi tre erano frequenti nei periodi delle feste religiose, durante le quali si organizzavano ludi, giochi, che arrivarono addirittura a scandire i periodi dell’anno romano; per l’occasione vanno ricordati i Ludi Cereris, i Ludi Apollinaris, i Ludi Plebei e quelli Romani. In queste circostanze erano un punto di attrazione per ogni abitante di Roma anche i giochi nel circo o nell’anfiteatro: il circo più frequentemente utilizzato era il Circo Massimo, che poteva ospitare 380000 spettatori e permetteva una vasta gamma di spettacoli, da competizioni atletiche, pugilato e parate, a corse dei cocchi e naumachie; a combattere erano gli schiavi o i prigionieri di guerra, desiderosi di riscattare la propria libertà; il pubblico si suddivideva in 4 fazioni, factiones: factio albata (i bianchi), factio veneta (gli azzurri), factio russata (i rossi), e factio prasina (i verdi), che si distinguevano tra loro per i colori delle vesti. In circostanze meno festose, di solito verso sera, gli antichi romani avevano l’opportunità di accedere alle thermae (a causa dell’usuale elevato costo, si trattava, ancora una volta, di una maggioranza patrizia): lo scopo era rilassarsi, combattere lo stress e allo stesso tempo socializzare; nel frattempo, gli schiavi avevano il compito di portare l’olio, gli asciugamani o, in altri casi, difendere i beni lasciati negli spogliatoi da eventuali ladri. Insomma, nonostante i ricchi prediligessero maggiormente il negotium, essi consideravamo l’otium fondamentale per il propirio equilibri psico-fisiologico. Tuttavia, il cambio di opinione sull’otium fu graduale. Ma già a partire da Cicerone possiamo constatare la maggiore considerazione del tempo libero: nel ‘De oratore’, infatti, egli sottolinea l’uguale importanza delle due tipologie di attività, assolutamente da alternare. Anche il suo contemporaneo, Sallustio, attribuiva pari dignità tanto al compiere imprese degne di ricordo quanto al mettere per iscritto quelle degli altri, come afferma nel ‘De Catilinae coniuratione’. Allo stesso modo, Orazio risulta convinto della necessità dell’otium come unica via per raggiungere la felicità evitando di soccombere davanti alla miriade di vane ambizioni. E, come Orazio, anche Ovidio scrive della sua imprescindibilità dall’attività letteraria. A dare una visione più filosofica fu Seneca, il quale nel ‘De otio’ parla dell’esistenza di due repubbliche, una prima, più piccola dove si svolgono tutte le attività giornaliere e una seconda, più grande, che rappresenta l’universo in cui vivono Dei e uomini e in cui l’otium è necessario per andare oltre il sensibile, oltre le apparenze, essendo, esso, un vero e proprio invito all’introsoezione. (Da Seneca si ispirerà anche Petrarca, che troverà nell’otium la capacità dello spirito di innalzarsi sopra le cose celesti). Infine, nel ‘De brevitate vitae’, sempre Seneca, decide di opporsi alla solita connotazione negativa e volgare di vita otiosa, preferendo l’otium filosofico, l’unico in grado di garantire la libertà per se stessi, o vacatio: basti pensare alle freequenti perifrasi di otium quali: secum morari (=frequentare se stessi), suum fieri (=essere padroni di se stessi), in se recedere (=ritirarsi in se stessi)... Oggigiorno, entrambi i termini hanno mutato il loro significato originario. Otium si è trasformato in ‘ozio’ diventando da virtù qual era un vero e proprio vizio, come informa anche la Treccani: ozio In genere, astensione dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra, indolente. In particolare, in teologia morale, tendenza alla pigrizia e alla omissione dei propri doveri, la cui gravità è in relazione a ciò che per o. viene trascurato. Allo stesso modo, anche il negotium, adesso ‘negozio’, indica ormai quasi esclusivamente il luogo dove un’attività si svolge. Tra le poche eccezioni ritroviamo gli impieghi della parola in campo giuridico. Roma, 06/05/2020 Isabella Tokos, 3A