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Otium et Negotium - Isabella Tokos 3A

Otium et Negotium
La vita degli antichi romani era continuamente scandita da due concetti tra loro contrapposti:
l’otium e il negotium (da: nec, congiunzione negativa, + otium). Per molti secoli, a causa del mos
maiorum, fu fortemente prediletto il secondo ma, nel tempo, anche il primo conquistò il suo posto
di pari dignità rispetto al suo contrario.
Per negotium i romani intendevano tendenzialmente tutte quelle attività che favorivano il buon
funzionamento della res publica, in particolare la politica, l’attività militare in pace e in guerra,
l’organizzazione dello stato, gli affari di tipo commerciale...
Se negotium rientra in un campo semantico più affine alla pragmatico, l’otium è più incline alla
sfera intellettuale e spirituale di una persona (ovviamente, non di una persona qualsiasi ma di un
patrizio, generalmente di classe sociale elevata e abbiente), essendo, di fatto, il riposo dall’attività
politica. L’otium, infatti, era il tempo libero che i patrizi più ricchi potevano sfruttare per dedicarsi,
nel caso del cosiddetto otium litteratum, agli studi di ogni tipo: filosofia, riflessioni scientifiche,
scrittura di opere letterarie...; tuttavia il tempo libero di un patrizio non era destinato esclusivamente
agli studi, ma anche alla vita privata: egli, infatti, si poteva permettere piccoli svaghi un impegno e
l’altro, dilettandosi in passeggiate (per la città, al mare, sulle rive di un fiume...), alle terme, nei
giochi del circo o quelli di abilità o azzardo. Gli ultimi tre erano frequenti nei periodi delle feste
religiose, durante le quali si organizzavano ludi, giochi, che arrivarono addirittura a scandire i
periodi dell’anno romano; per l’occasione vanno ricordati i Ludi Cereris, i Ludi Apollinaris, i Ludi
Plebei e quelli Romani. In queste circostanze erano un punto di attrazione per ogni abitante di Roma
anche i giochi nel circo o nell’anfiteatro: il circo più frequentemente utilizzato era il Circo
Massimo, che poteva ospitare 380000 spettatori e permetteva una vasta gamma di spettacoli, da
competizioni atletiche, pugilato e parate, a corse dei cocchi e naumachie; a combattere erano gli
schiavi o i prigionieri di guerra, desiderosi di riscattare la propria libertà; il pubblico si suddivideva
in 4 fazioni, factiones: factio albata (i bianchi), factio veneta (gli azzurri), factio russata (i rossi), e
factio prasina (i verdi), che si distinguevano tra loro per i colori delle vesti. In circostanze meno
festose, di solito verso sera, gli antichi romani avevano l’opportunità di accedere alle thermae (a
causa dell’usuale elevato costo, si trattava, ancora una volta, di una maggioranza patrizia): lo scopo
era rilassarsi, combattere lo stress e allo stesso tempo socializzare; nel frattempo, gli schiavi
avevano il compito di portare l’olio, gli asciugamani o, in altri casi, difendere i beni lasciati negli
spogliatoi da eventuali ladri.
Insomma, nonostante i ricchi prediligessero maggiormente il negotium, essi consideravamo
l’otium fondamentale per il propirio equilibri psico-fisiologico. Tuttavia, il cambio di opinione
sull’otium fu graduale. Ma già a partire da Cicerone possiamo constatare la maggiore
considerazione del tempo libero: nel ‘De oratore’, infatti, egli sottolinea l’uguale importanza delle
due tipologie di attività, assolutamente da alternare. Anche il suo contemporaneo, Sallustio,
attribuiva pari dignità tanto al compiere imprese degne di ricordo quanto al mettere per iscritto
quelle degli altri, come afferma nel ‘De Catilinae coniuratione’.
Allo stesso modo, Orazio risulta convinto della necessità dell’otium come unica via per
raggiungere la felicità evitando di soccombere davanti alla miriade di vane ambizioni. E, come
Orazio, anche Ovidio scrive della sua imprescindibilità dall’attività letteraria.
A dare una visione più filosofica fu Seneca, il quale nel ‘De otio’ parla dell’esistenza di due
repubbliche, una prima, più piccola dove si svolgono tutte le attività giornaliere e una seconda, più
grande, che rappresenta l’universo in cui vivono Dei e uomini e in cui l’otium è necessario per
andare oltre il sensibile, oltre le apparenze, essendo, esso, un vero e proprio invito all’introsoezione.
(Da Seneca si ispirerà anche Petrarca, che troverà nell’otium la capacità dello spirito di innalzarsi
sopra le cose celesti). Infine, nel ‘De brevitate vitae’, sempre Seneca, decide di opporsi alla solita
connotazione negativa e volgare di vita otiosa, preferendo l’otium filosofico, l’unico in grado di
garantire la libertà per se stessi, o vacatio: basti pensare alle freequenti perifrasi di otium quali:
secum morari (=frequentare se stessi), suum fieri (=essere padroni di se stessi), in se recedere
(=ritirarsi in se stessi)...
Oggigiorno, entrambi i termini hanno mutato il loro significato originario. Otium si è
trasformato in ‘ozio’ diventando da virtù qual era un vero e proprio vizio, come informa anche la
Treccani:
ozio In genere, astensione dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o
anche abitualmente, per indole pigra, indolente. In particolare, in teologia morale,
tendenza alla pigrizia e alla omissione dei propri doveri, la cui gravità è in relazione a ciò
che per o. viene trascurato.
Allo stesso modo, anche il negotium, adesso ‘negozio’, indica ormai quasi esclusivamente il
luogo dove un’attività si svolge. Tra le poche eccezioni ritroviamo gli impieghi della parola in
campo giuridico.
Roma, 06/05/2020
Isabella Tokos, 3A