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Treu- Edipo tragicomico

STRATAGEMMI
PROSPET TIVE TEATRALI
TRIMESTRALE DI STUDI
TREDICI 2010 - MARZO
PONTREMOLI EDITORE
Direttore:
Maddalena Giovannelli
Direttore responsabile:
Francesca Gambarini
Redazione:
Francesca Gambarini, Maddalena Giovannelli,
Francesca Serrazanetti, Gioia Zenoni
Revisore editoriale:
Giacomo Coronelli
Comitato scientifico:
Giuseppe Cavajoni, Maria Teresa Grassi,
Giuseppe Lozza, Gianfranco Nieddu, Raffaele Pugliese, Giovanna Rosa,
Maria Assunta Vinchesi, Giuseppe Zanetto
Progetto grafico:
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in memoria di Dario Del Corno
SOMMARIO
7
EDITORIALE
PARTE PRIMA STUDI
15
Il mito teatrale di Antigone nella ceramica italiota e siceliota
di Raffaella Viccei
49
Le Feste delfiche (1927, 1930) di Angelos Sikelianos ed Eva
Palmer nelle fotografie del Museo Benaki di Atene
di Matteo Zaccarini
113
Il Re è nudo: Edipo tragicomico
di Martina Treu
179
Scena teatrale e scena urbana.
Appunti sulle forme della contaminazione
di Francesca Serrazanetti
211
Juan Mayorga tra impegno politico e ricerca formale
di Davide Carnevali
231
RECENSIONI
PARTE SECONDA TACCUINO
243
Separarsi dal testo. Cinque strade per riscrivere i classici
249
Uno. Aristofane senza filtro. Le Nuvole di Latella-Russo
di Martina Treu, Maddalena Giovannelli e Andrea Capra
263
Due. Tolstoj per immagini. La morte di Ivan Il’Ič di Claudio Autelli
di Corrado Rovida, Francesca Serrazanetti e Raffaele Rezzonico
277
Tre. Tradire Calvino. Italian Folktales di John Turturro
di Francesca Gambarini
287
Quattro. Scampoli di Eneide. Troia’s discount di Ricci/Forte
di Maddalena Giovannelli
297
Cinque. Epica in frammenti. Spara, trova il tesoro e ripeti! dell’Accademia
degli Artefatti
di Francesca Serrazanetti
Il Re è nudo: Edipo tragicomico
di Martina Treu
Di fronte alle mura della ferrigna Tebe. Il grande portone
di bronzo è sprangato. Dietro, sui bastioni, la sentinella
va avanti e indietro. Il messaggero, appena arrivato, bussa al portone.
UN MESSO.
C’è Edipo?
No, è a Colono.
UNA SENTINELLA.
(Sipario)
Achille Campanile, Tragedie in due battute.1
1.
“Nel secolo di Oreste ed Elettra che sta nascendo,
l’Edipo sarà una commedia”: così profetizza nel 1975 il drammaturgo tedesco Heiner Müller, autore di diverse riscritture di classici, fra cui anche un Edipo re (1967).2 Quest’affermazione perentoria e forse provocatoria, almeno a prima vista, è il punto di
partenza per la nostra indagine sulle tracce di un ‘altro’ Edipo,
non propriamente quello che conosciamo: un percorso per casi
esemplari, di riscritture e allestimenti, che si concentra in particolare sugli ultimi trent’anni, ossia il periodo storico successivo
alla frase di Müller.
1
2
Questo è il testo integrale della tragedia in due battute Edipo a Colono (cf. Campanile, 2009, p. 15 e il sito Internet Campanile.it ).
“[…] im Jahrhundert des Orest und der Elektra, das heraufkommt, wird Ödipus
eine Komödie sein”; H. Müller, Projektion 1975 (in Mc Donald, 2002, p. 193, e
Macintosh, 2009, che rimanda a Innes, 1993, p. 201). Cfr. anche in tedesco Müller, 1998 e sul Web: <lyrikline.org/index.php?id=162&L=3&author=hm01&
show=Poems&poemId=3231&cHash=d2a09d5994>.
ESTRATTO
PARTE PRIMA
________________________________________________
Che cosa si intende qui, innanzitutto, con “Oreste ed Elettra”?
Per antonomasia si indicano verosimilmente le opere antiche e
moderne di cui i due fratelli sono protagonisti, a partire dalle Coefore di Eschilo e dalle tragedie di Euripide (Elettra, Oreste) e Sofocle (Elettra): e a dire il vero, se consideriamo la loro presenza nella
storia teatrale, il “secolo di Oreste ed Elettra” non sembrerebbe
affatto iniziare nel 1975, ma molto prima: almeno agli inizi del
Novecento.
I drammi incentrati sugli Atridi, in particolare i primi due dell’Orestea, vengono allestiti e riscritti con frequenza esponenziale sin
dall’inizio del XX secolo. Basti qui ricordare, a riguardo, alcuni
casi eclatanti: Agamennone e Coefore inaugurano gli spettacoli classici a Siracusa nel 1914/1921; le prime rappresentazioni nella Grecia moderna si aprono con un’Orestea (1903-1904) che provoca rivolte studentesche e disordini nelle strade; il regista austriaco Max
Reinhardt dirige diverse versioni epocali dell’Orestea nel 1911,
1912 e 1919. Anche negli anni seguenti, fino alla seconda guerra
mondiale, si susseguono molte riscritture importanti ad opera di
grandi autori, come Eugene O’ Neill (Il lutto si addice a Elettra,
1931), T.S. Eliot (Riunione di famiglia, 1939), Jean-Paul Sartre (Le
mosche, 1943).3
3
Per gli spettacoli classici siracusani cf. Leto (a cura di), 1994, e sul Web <http://
114
ESTRATTO
Edipo tragicomico
________________________________________________
Quanto a Edipo, la sua storia notoriamente ispira tragedie antiche
e moderne, a cominciare dall’Edipo re di Sofocle, ma si attestano
innumerevoli varianti anche al di fuori della Grecia, dal mito al
folklore, dal teatro al cinema alla psicanalisi.4 A quale ‘Edipo’,
dunque, Müller preconizza un futuro da commedia? Pare improbabile che si tratti dell’Edipo a Colono, che ispira anche in modo
indiretto riscritture moderne – come The elder statesman di Eliot –
ma più raramente parodie o versioni comiche, se si eccettua la
tragedia di Campanile riportata in epigrafe.5 “L’Edipo” per antonomasia è più verisimilmente identificabile con il protagonista
dell’Edipo re di Sofocle. Nella storia degli spettacoli classici questa
tragedia contende proprio all’Orestea il primato di riscritture e
rappresentazioni: una storica edizione dell’Edipo tiranno, prima
messinscena di un dramma antico in età moderna, inaugura nel
1585 il Teatro Olimpico di Vicenza; da allora nel corso dei secoli,
4
5
www.indafondazione.org/la-fondazione/profilo/spettacoli-1914-2009/>.
Per l’Orestea cfr. Bierl, 2004; Bertolaso, 2006; Treu, 2009a, pp.62ss.
A questo riguardo si segnala il convegno Edipo classico e contemporaneo (Ravenna,
24-25 marzo 2010), in cui rientra anche il presente contributo (in attesa degli
Atti previsti, il programma è riportato in questo numero di “Stratagemmi” e sul
Web: <http://www.rassegna.unibo.it/Edipo.htm>). Cf. anche Gentili e Pretagostini (a cura di), 1986; Bettini-Guidorizzi, 2004; Paduano, 2008.
Dell’opera di Eliot si è occupata Anna Beltrametti nell’ambito del laboratorio di
drammaturgia antica del CRIMTA 2006/2007, intitolato Edipo e Anti-Edipo (Università di Pavia: <http://crimta.unipv.it/>), che ha prodotto il volume di prossima pubblicazione L’Edipo in viaggio. Per la fortuna dell’Edipo a Colono nel Novecento si veda da ultimo Rodighiero, 2007.
115
ESTRATTO
PARTE PRIMA
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e in particolare nel ventesimo, si moltiplicano versioni e allestimenti già oggetto di numerosi studi.6
Rispetto alla ‘via maestra’, la tragedia, per Edipo la strada della
commedia profetizzata da Müller appare a prima vista secondaria.
Il suo caso sembra quanto di più lontano esista dalla commedia, o
dalla tragicommedia: simbolo del personaggio tragico per eccellenza, protagonista della tragedia perfetta, modello da riprendere
e riproporre, per una sorta di ‘effetto retroattivo’, sulla scia delle
considerazioni espresse nella Poetica di Aristotele e poi riprese e
divulgate dalla scuola aristotelica. Tutto tranne che una commedia, dunque?
Innanzitutto occorre risalire alle origini, e rivedere i parametri e
criteri di definizione dei generi teatrali antichi, per verificare se effettivamente Edipo sia da sempre un’icona tragica, immune da
deformazioni comico-parodiche, o se invece si presti a simili operazioni, se ispiri commedie vere e proprie, se comunque al di fuori della tragedia subisca un trattamento che sottolinei e valorizzi
aspetti grotteschi, o quantomeno tragicomici. Prima che nel Novecento, in altre parole, è nei concorsi drammatici ateniesi che la
nostra ipotesi ha i primi presupposti e termini di confronto.
6
Oltre ai riferimenti già forniti nelle precedenti note si vedano anche McDonald,
2007 e Liverani, 2009.
116
ESTRATTO
Edipo tragicomico
________________________________________________
Il termine ‘tragicommedia’ è di per sé ambiguo, soprattutto nell’ambito del teatro antico: viene talvolta usato per l’Alcesti, il
dramma euripideo del 438 che occupava il quarto posto della tetralogia tragica, sede normalmente riservata al dramma satiresco.
Anche quest’ultimo genere ormai scomparso è talvolta definito
‘tragicomico’ in quanto ibrido tra commedia e tragedia: storie epiche o tragiche subivano un trattamento comico-parodico, e personaggi eroici si confrontavano con avversari meno nobili, animali e
mostri, oltre che con un coro di satiri dalla forte componente scurrile, grottesca e bestiale. Il dramma doveva svilupparsi liberamente
da episodi mitici meno conosciuti – spesso eventi collaterali delle
grandi imprese o delle vicende dinastiche che costituivano la trama
tragica – di cui si fornivano versioni comiche e parodiche, anche
ricollegandosi alla vicenda della trilogia precedente.7
In una prospettiva più ampia, gli stessi due generi ‘maggiori’, tragedia e commedia, si possono considerare per molti aspetti come
espressioni contigue e complementari di una stessa realtà, malgrado la separazione istituzionale dei concorsi drammatici e le
7
Sull’Alcesti si veda Pattoni - Carpani (a cura di), 2004. Sui generi drammatici antichi, il dramma satiresco e la parodia si veda Cambiano - Canfora - Lanza (a cura di), 1992-1996, in particolare nel vol. I (La produzione e circolazione del testo) il
tomo 1 (La polis) per il saggio di Diego Lanza (La poesia drammatica; i caratteri generali; il dramma satiresco, pp. 279-300) e il tomo 3 (I Greci e Roma) per quello di
Anna Beltrametti (La parodia letteraria, pp. 285-302). Sul tragicomico e altri generi ibridi si veda da ultimo Medda - Mirto - Pattoni (a cura di), 2006.
117
ESTRATTO
PARTE PRIMA
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barriere erette dalla critica (basti citare la Poetica di Aristotele, tutta
costruita per gerarchie e opposizioni binarie).8 Il Simposio platonico si chiude significativamente con il tragediografo Agatone e il
commediografo Aristofane spinti da Socrate ad ammettere che
l’autore teatrale ‘completo’ debba essere padrone al tempo stesso
dell’arte tragica e comica (223d).
Quest’ipotesi non è tanto paradossale o assurda, a ben guardare,
se consideriamo storicamente l’evoluzione del teatro greco e latino. Già nell’Atene di V secolo, infatti, i due generi non sono separati come si tenderebbe a credere, sia per la presenza unificante
del dramma satiresco, sia perché tragedia e commedia hanno sì
percorsi istituzionali paralleli, ma si influenzano reciprocamente,
condividono il contesto delle gare e il pubblico, spesso senza soluzione di continuità: il coro degli Uccelli di Aristofane (414 a.C.)
fa presupporre che all’epoca la commedia sia rappresentata in coda alle tragedie, nella stessa giornata (vv. 786-89).
L’inevitabile contiguità, secondo molti, può aver contribuito almeno indirettamente a rendere sempre più superflua la presenza
del dramma satiresco e accelerarne così la scomparsa dalla scena.
Nel corso del tempo, inoltre, anche nella stessa tragedia – a giudicare da testi come l’Elena o l’Ifigenia fra i Tauri di Euripide, il Reso
pseudo-euripideo o i frammenti dei tragici di quarto secolo – si
8
Lanza (a cura di) 1987, pp. 24ss.
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ESTRATTO
Edipo tragicomico
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osserva una tendenza alla contaminazione e ibridazione crescente:
si va via via assottigliando il confine tra testi tragici e comici, nella
direzione di una maggior mescolanza di elementi ironici e tragicomici, moralistici e romanzeschi.
Un’ideale storia di Edipo tragicomico, dunque, potrebbe cominciare dal dramma satiresco, anche se ne restano poche tracce: da
titoli, frammenti e argomenti possiamo presupporre che Edipo,
come altri eroi tragici, fosse trattato in modo spiazzante, in toni
parodici e grotteschi, tragicomici o addirittura comici. Basti citare
ad esempio la trilogia dedicata da Eschilo alla saga tebana (467
a.C.): dopo le tre tragedie Laio, Edipo e Sette a Tebe (l’ultimo
dramma è l’unico oggi conservato), il perduto dramma satiresco
Sfinge doveva verisimilmente raffigurare l’incontro tra Edipo e il
temibile mostro divoratore.
Quanto a Euripide, anni dopo, non solo dedica a Edipo un’omonima tragedia, oggi perduta, ma lo inserisce come personaggio
anche in una conservata, le Fenicie (411 a.C.). Qui, come nei Sette a
Tebe eschilei, il fulcro drammaturgico è rappresentato dallo scontro fratricida tra i figli di Edipo, Eteocle e Polinice; tuttavia Euripide, come in altre tragedie, si discosta decisamente dalla tradizione e introduce contaminazioni ed esperimenti che diverranno
prassi comune in seguito.
119
ESTRATTO
PARTE PRIMA
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In particolare il personaggio di Edipo ha una coloritura patetica e
sofferta – che talvolta sfiora il ridicolo, secondo alcuni critici, e
sconfina nella parodia – forse anche per contrapporsi polemicamente ai predecessori (come sembra di poter ricavare dal confronto con i Sette a Tebe di Eschilo, ma soprattutto con l’Edipo re
di Sofocle). A Edipo Euripide riserva una sola apparizione ‘a sorpresa’, nel finale delle Fenicie, in un ruolo inedito: una larva
d’uomo, vecchio sì, ma debole e lamentoso, affatto diverso
dall’energico protagonista dell’Edipo a Colono, facile all’ira e incline
a virulente maledizioni.
Poco importa, ai nostri fini, che il finale delle Fenicie sia euripideo,
interpolato o aggiunto; ci interessa individuare piuttosto in questa
tragedia – come in altre di Euripide – una latente vena parodica o
autoparodica, qui espressa da un Edipo malfermo e miserabile,
fragile e lagnoso, incapace persino d’uccidersi: anche la sua cecità
è quasi uno stereotipo, come se fosse una maschera tragica da indossare e riporre, un “costume incautamente preso in prestito
dalla bottega sofoclea” – secondo Giuseppe Serra – “che l’austero
Porfirio avrebbe chiamata ‘la tragicommedia della vita’ ”.9
Quest’ipotesi è indirettamente confortata da messinscene recenti,
dove per una sorta di cortocircuito nella ‘memoria teatrale’ collettiva anche Edipo ricorda il personaggio comico che Aristofane
9
G. Serra, L’ombra di Edipo. Saggio sulle Fenicie, in Avezzù (a cura di), 2008a, p. 405.
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ESTRATTO
Edipo tragicomico
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identifica col ‘re straccione’ euripideo: uscito, più che dalla reggia
di Tebe o dalla bottega sofoclea, dal polveroso magazzino di Euripide saccheggiato da Diceopoli negli Acarnesi (425 a.C.).10
Lo stesso Aristofane, del resto, rappresenta un tassello importante per la nostra storia di Edipo tragicomico: l’incipit di un’altra tragedia euripidea perduta, Antigone, è infatti oggetto di parodia nelle
Rane (405 a.C.). Qui Eschilo ed Euripide gareggiano per il primato poetico nell’Oltretomba e si sfidano a colpi di versi tragici; il
passo paratragico riguardante Edipo è tra i ‘cavalli di battaglia’ del
tragediografo più giovane e doveva essere ben noto al pubblico
ateniese anche per la versione data da Sofocle – che qui in teoria è
il grande assente, eppure c’è, come vedremo – e la riprova è che
Aristofane dà per scontata l’intera vicenda di Edipo e ottiene un
effetto parodico solo accennandovi.
Non appena Euripide attacca con la sua Antigone, infatti, Eschilo
l’interrompe e spezza l’impeto tragico del verso, azzerando comicamente l’avversario con una sprezzante smentita. Quando Euripide completa la battuta, ignorando l’interruzione, l’altro subito
rincara la dose; a suggellare il tutto interviene Dioniso, arbitro
10
Così appariva Edipo nelle Fenicie dirette da Gabriele Vacis (1998), dove i tratti
grotteschi e parodici l’accomunavano a Eteocle – schiavo del potere e carico di
tic nervosi (l’ottimo Edoardo Ribatto) e al messaggero (Andrea Gattinoni) che
volutamente accentuava, a scopo comico, gli elementi bizzarri e inverosimili nel
racconto del duello finale: si veda a riguardo l’analisi dello spettacolo in Treu,
2005, pp. 205-228.
121
ESTRATTO
PARTE PRIMA
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della gara poetica, che associa Edipo a Erasinide, sfortunato generale ateniese, giustiziato, benché vittorioso, dopo la sanguinosa
battaglia delle Arginuse. In questo modo, istituendo un confronto
con un fatto luttuoso reale, Dioniso sancisce paradossalmente e
definitivamente il tono tragicomico della scena. Nel valutare il
passo occorre senz’altro tener conto del contesto della commedia,
dove la gara tra poeti semplifica, esaspera e deforma in parodia i
tratti tipici della tragedia. Ma c’è di più. Vale la pena riportare il
breve dialogo (vv. 1182-96):
EURIPIDE.
“Era Edipo in principio uomo fortunato…”
Zeus, ma se già dalla nascita era sfortunato!
Ancor prima che nascesse Apollo predisse
“ucciderà il padre”, già prima d’esser concepito
come poteva esser fortunato in principio?
EURIPIDE. “…ma poi divenne il più sciagurato dei mortali”
ESCHILO. Per Zeus, ma se non ha mai smesso di esserlo!
Quando mai? Forse quando, appena nato,
in pieno inverno nel coccio lo esposero,
perché da grande non fosse assassino del padre?
Poi arrivò da Polibo coi piedi gonfi;
quindi sposò una vecchia, lui che era giovane –
una che per di più era sua madre:
e poi si cavò gli occhi!
DIONISO. Quasi quasi gli conveniva
esser stratego con Erasinide!
ESCHILO. Per
A differenza di altri comici che si occuperanno di Edipo, Aristo-
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ESTRATTO
Edipo tragicomico
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fane qui non altera la successione dei fatti, non aggiunge personaggi o dettagli comici, non cambia il finale. Riduce all’osso la
fabula : non però quella esposta nell’Edipo re di Sofocle, dal momento della peste, bensì a partire dagli antefatti, ossia dal concepimento di Edipo, come faranno poi molti autori del Novecento.
Non solo: a venire preso di mira non è tanto Edipo, quanto il
modo in cui ci viene presentato dai tragici; in altre parole, la satira
investe anche il tragediografo che gioca sullo scarto tra il livello di
consapevolezza del personaggio e quello del pubblico. La posizione di potere e prestigio del re è la sua fortuna solo apparentemente e ‘in principio’, ossia a inizio tragedia: in realtà non è affatto così, dice per bocca di Eschilo chiaramente Aristofane. E in
questo modo il commediografo sottrae alla trama tragica, e al personaggio, ogni suspense, mistero, oracolo, destino o divinità: ‘spoglia’ Edipo della sua aura. Lo lascia nudo e crudo.
In più, se consideriamo questo dialogo nel quadro complessivo
delle Rane, ci pare che l’attacco a Edipo, personaggio tragico per
antonomasia, si possa leggere per sineddoche come critica alla
‘tragedia’ tour court. Come fa sempre Aristofane, sin dagli Acarnesi,
in questo breve dialogo e nell’intera commedia svela i ‘trucchi’ dei
tragici in ogni modo possibile: qui mette a nudo non solo Edipo,
ma gli stessi meccanismi che sorreggono la finzione tragica e specialmente, tra tutti, proprio quel ‘mutamento o capovolgimento di
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ESTRATTO
PARTE PRIMA
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sorti’ (metabasis) che insieme con il riconoscimento e il rovesciamento caratterizzano secondo Aristotele l’azione tragica, in particolare nell’Edipo re (Poetica cap. 11. e 18).11
Aristofane, come ho potuto osservare, è solito arricchire di doppi
e tripli sensi, leggibili a più livelli di profondità, gli attacchi personali diretti e indiretti.12 Anche questo affondo, a mio avviso, colpisce e azzera comicamente non solo il suo bersaglio immediato e
palese, Euripide, ma indirettamente lo stesso Sofocle e più in generale l’intero ‘sistema’ delle finzioni tragiche che riescono a mistificare la realtà, a cambiare il senso di un’esistenza, a presentare
fatti e personaggi in modo ogni volta diverso, ma sempre illusorio: a inizio tragedia, ad esempio, si raffigura Edipo come fortunato e felice. Nulla di più falso, sottolinea beffardo il commediografo: la vicenda di Edipo, rivista cinicamente dagli antefatti, nella
sua essenzialità, non prevede alcuna felicità né alcuna parabola ascendente o discendente. È una storia di pura sfortuna e disperazione, per di più tristemente vicina alla sciagurata sorte di Erasinide e dell’intera Atene, che dopo le Arginuse è sul baratro della
catastrofe. Tutte vicende sommamente tragiche, nella finzione e
nella cruda realtà, eppure comiche nel modo in cui vengono presentate. Aristofane del resto è maestro nell’arte sublime di coglie11
12
Cf. Lanza (a cura di), 1987, pp.150ss. e 178ss.; Cerri, 2005.
Cf. Treu, 1999, pp. 55ss.
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Edipo tragicomico
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re spunti comici proprio nelle situazioni più crude e disperate,
come la guerra e la fame, quando nella realtà non c’è nulla da ridere e proprio per questo non resta nient’altro che il conforto di
una risata: non consolatoria, né illusoria, ma amara e disperata.
In questa prospettiva il passo è non solo un esempio-chiave delle
tecniche drammaturgiche di Aristofane, con cui smonta ‘dall’interno’ i meccanismi tragici, ma un manifesto dell’intera poetica
comica, e anche un ’indicazione di percorso, una traccia per valutare le versioni tragicomiche che seguiranno: per quanto diverse
nei dettagli, infatti, molte appariranno complessivamente riconducibili a questa vena già aristofanea di comicità ‘nera’ che non
esclude, bensì sfrutta appieno, l’orrore del vuoto, la paura della
morte, l’angoscia esistenziale. Altri autori, dopo di lui, coglieranno
la macabra comicità, o ironia della sorte, insita nella vicenda del re
di Tebe, come in altri meccanismi tragici.
Se Aristofane è in qualche modo il ‘grado zero’, perché riduce la
vicenda all’essenziale, gran parte degli epigoni preferiranno invece
aggiungere dettagli, arricchire l’intreccio o modificare la fabula, a
seconda del contesto, delle esigenze e dei fini dell’autore, della
sensibilità e dei gusti del pubblico, delle censure in atto all’epoca e
così via. Alcuni scrittori ‘abbasseranno’ personaggi e fatti a livello
triviale, per privilegiare i risvolti scabrosi legati al doppio tabù vio-
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ESTRATTO
PARTE PRIMA
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lato – ora insistendo sul desiderio sessuale e sull’incesto, ora sui
particolari da cronaca nera del parricidio – altri sovvertiranno decisamente l’esito della vicenda in un lieto fine, altri ancora troveranno ispirazione più o meno diretta nel modello tebano per
nuovi drammi capaci di evocare – tramite legami incestuosi e dinamiche di successione perverse – mali contemporanei, storture
della società, corruzione e abusi di potere: in quest’ottica, ad esempio, ci paiono parenti non tanto lontani di Edipo i grotteschi
regnanti Padre e Madre Ubu, comici ancorché spietati protagonisti dell’Ubu Roi di Alfred Jarry (1896), definita ‘tragicommedia universale del potere’ dal regista Marco Martinelli (autore di diversi
adattamenti e allestimenti recenti di Jarry e Aristofane, eletti, non
a caso, a propri numi tutelari).13
Sempre nell’Ottocento, risalendo più indietro, possiamo rintracciare altri antenati del nostro Edipo tragicomico in racconti o
drammi che non necessariamente rimandano in modo diretto a
Sofocle, ma in vario modo privilegiano toni grotteschi, parodici,
satirici, riprendendo gli ingredienti-base della vicenda edipica con
toni attenuati, soprattutto per quanto riguarda i tabù dell’incesto e
del parricidio (vero o presunto, spesso solo sfiorato, simulato o
13
Si vedano da ultimi gli spettacoli Pace! da Aristofane (2006), Ubu sotto tiro e Ubu
Buur (2007), drammaturgia e regia di Marco Martinelli: per il progetto Arrevuoto
cf. Teatrodellealbe.com, Teatrostabilenapoli.it e Treu, 2009c.
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ESTRATTO
Edipo tragicomico
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incompiuto). Molti, dovendo fare i conti con le censure dell’epoca, riprendono dall’originale l’ambiguità, il ‘non detto’, inserendo
allusioni ammiccanti a tematiche ‘spinte’ come il sesso e l’avvicendamento al potere tra generazioni diverse.
Un retrogusto edipico, ad esempio, è sotteso agli inizi dell’Ottocento nel racconto di Heinrich Von Kleist, La brocca rotta (1808):
una satira del perbenismo e dell’ipocrisia del potere, in versione
campestre, dove una paternità segreta, prima nascosta e poi svelata, e la minaccia d’incesto sono fonte di riso e mezzo per ridicolizzare l’autorità. Circa vent’anni dopo Edipo dà il nome a una vera commedia ‘alla maniera di Aristofane’ con tanto di coro di pecore, L’Edipo romantico di August Von Platen (Der romantische
Ödipus, 1829).
Agli inizi del Novecento, in concomitanza con le prime teorie
freudiane su Edipo, il drammaturgo irlandese J. M. Synge pubblica la sua commedia di maggior successo, Playboy of the Western
World (1907), dove il presunto omicidio del padre da parte del figlio è presupposto drammaturgico della vicenda, ma anche oggetto di un ribaltamento tragicomico. Il playboy del titolo è un giovane straniero, misterioso e affascinante, che lascia la patria per fuggire a Ovest, convinto erroneamente di aver ucciso suo padre in
una lite: nel Nuovo Mondo, in America, conquista rapidamente la
fiducia di tutti e l’amore di una ragazza; a guastare ogni cosa, pe-
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ESTRATTO
PARTE PRIMA
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rò, irrompe improvvisamente sulla scena il padre del ragazzo –
ancora vivo benché ferito – così da conferire all’intreccio una
svolta inaspettata e ricca di implicazioni tragicomiche.14
In questo senso la versione di Synge, drammaturgo ‘controcorrente’, si discosta nettamente da quelle ascrivibili al ‘filone serio’ –
ancorché diverse per interpreti, stili, intenti, esiti – che pure mietono successi tra le platee internazionali (in risposta alla progressiva ‘teorizzazione’ del mito, alla neonata psicanalisi, alle sovrastrutture che si accumulano sul dramma e inevitabilmente ne
condizionano l’interpretazione e la messinscena). Tra le molte edizioni di inizio Novecento se ne ricordano almeno due del già citato regista austriaco Max Reinhardt: prima in tedesco, su un testo di Hugo Von Hoffmannsthal (Berlino, 1910), poi in inglese
nella traduzione di Gilbert Murray (Londra, 1912).15 Un’altra significativa interpretazione di Edipo si deve all’attore e regista
francese Jean Mounet-Sully, che secondo Fiona Macintosh segna
una tappa fondamentale nella storia del teatro e più in generale
nell’intero panorama culturale novecentesco: la sua influenza va
ben oltre la mera carriera dell’attore – compresa tra gli anni ottanta dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento – perché il per14
15
Synge, 1962. Di recente il dramma del 1907 è stato trasposto anche in un musical
blue grass, ambientato sui monti Appalachi, col titolo The Golden Boy of the Blue Ridge, 59E59 Theaters, New York, 2009 (su Internet Prospecttheater.org)
Si veda Macintosh, 2009, pp. 102ss.
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Edipo tragicomico
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sonaggio gli sopravvive nell’iconografia popolare (soprattutto
grazie al film muto del 1912, non conservato, ma ben testimoniato da fotogrammi, ricordi, recensione e critiche: tra gli altri Jean
Cocteau – autore di un dramma ispirato a Edipo, La machine infernale, del 1934 – lo citerà nelle sue memorie nel 1945).
L’interpretazione di Mounet-Sully, decisamente ‘statuaria’ per quel
che riguarda postura e presenza scenica, è caratterizzata da un’accentuata umanizzazione, e per molti versi appare anticipare quel
metodo di immedesimazione che porterà alla fama il russo Stanislavskij e in ambito più ampio le stesse teorie di Sigmund Freud:
quest’ultimo forse assistette direttamente a una performance dell’attore francese, come sostiene il suo biografo Ernst Jones, ma in
ogni caso potrebbe essere stato indirettamente influenzato dall’accurato studio del personaggio che assomiglia allo scavo psicologico e al processo di ‘analisi’.16
Da Freud in poi, comunque sia, non solo Edipo è una presenza costante in molte teorie psicanalitiche e filosofiche, su opposti schieramenti (da Melanie Klein a Jung, da Lacan a Deleuze e Guattari),
ma per una sorta di ‘corto circuito’ innesca dibattiti e influenze incrociate tra il teatro e le altre arti, la pratica e la critica, teatrale e letteraria, e si estende all’indietro fino alle scienze dell’antichità, con
16
Per Mounet-Sully si veda Macintosh, 2009, pp. 87ss. e 132ss. con relativa bibliografia.
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PARTE PRIMA
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imprevedibili effetti ‘di ritorno’ a lungo termine.17 Non potendoci
soffermare sul dibattito in corso, peraltro oggetto di numerose
letture critiche, ci limitamo a ricordare come le speculazioni teoriche su Edipo e la loro divulgazione da un lato influenzino sin dai
primi del Novecento molte riscritture e rappresentazioni dell’Edipo re, dall’altro producano reazioni contrastanti ed esperimenti in
diverse direzioni. Tra gli esempi ben noti, che si infittiscono tra
gli anni venti e trenta, basti qui citare l’Oedipus Rex di Stravinskij
(prima come oratorio nel 1927, poi come opera nel 1928, infine
nella versione registrata nel 1952), l’Oedipe di George Enescu (la
cui gestazione risale agli anni venti, anche se debutta solo nel
1936), l’Oedipe di André Gide (1930), La machine infernale di Jean
Cocteau (1934).18
In particolare ne La machine infernale, collegata a doppio filo con
l’opera di Stravinskij (al cui testo Cocteau per un certo tempo collabora, ma con esiti infelici), la critica ha già riscontrato alcuni elementi per noi interessanti: una certa ironia distaccata, una tendenza al burlesco, una ‘irriverenza’ che il teatro francese dell’epo17
18
Non solo molti registi e autori sono influenzati da Freud, in maniera diretta e
indiretta, ma anche il suo biografo Jones frequenta assiduamente sia Laurence
Olivier sia Tyrone Guthrie, celebri interpreti di Edipo nel secondo dopoguerra,
come nota la stessa Macintosh, 2009, p. 163. Si vedano anche Paduano, 2008,
Vernant - Vidal Naquet, 1976 e 2001 .
Si vedano Paduano, 2008, pp. 148ss. (su Gide e Cocteau) e 184ss. (su Enescu e
Stravinskij); Paduano, 2006 (su Enescu).
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Edipo tragicomico
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ca mostra spesso nei confronti dei classici, come sostiene Jacqueline de Romilly in un saggio del 1960.19 La propensione alla riflessività e metateatralità, in Cocteau come in altri autori, si traduce in
una presa di distanza dalla tradizione precedente, nella consapevolezza di essere l’anello di una lunga catena, nello svincolarsi dalla finzione scenica rispetto al modello originale. Questo atteggiamento più disincantato e ironico verso la materia tragica fa presagire per certi aspetti quel trattamento parodico o ‘comico’ di Edipo che si accentuerà in autori seguenti.
Un’altra tappa importante nel nostro percorso si può identificare
in due allestimenti della tragedia sofoclea che segnano l’immediato
dopoguerra: uno diretto da Michel Saint Denis e interpretato da
Laurence Olivier, all’Old Vic di Londra (1945), l’altro diretto da
Pierre Blanchar, con le scene di Pablo Picasso, al teatro Champs
Élysées di Parigi (1947). Al di là delle differenze, nell’interpretazione e negli esiti scenici, ci preme sottolineare che entrambi sono seguiti non da un altro dramma classico, come Edipo a Colono o
Antigone, bensì da una pièce comica (rispettivamente The Critic di Richard B. Sheridan a Londra e Le ciel et l’enfer di Prosper Merimée a
Parigi). In particolare colpisce il ricordo di George Steiner, relativo
a una tournée statunitense del primo spettacolo, che riporta le rea19
Si veda De Romilly, 1960, citata in Macintosh, 2009, pp. 143s.
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PARTE PRIMA
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zioni del pubblico: nel finale della tragedia Olivier, nei panni di Edipo cieco, rotola lungo la scalinata scenica e la tinge con il sangue
che cola dalle sue orbite e dalle mani. A fine tragedia cala il buio e
lascia il pubblico attonito in silenzio; quando si riaccende la luce
Olivier riappare già nelle vesti moderne di Puff, protagonista della
pièce di Sheridan. Il contrasto è fortissimo, gli spettatori reagiscono
a quella visione con un senso di spaesamento, stupore e anche risentimento per la rottura così brusca dell’illusione tragica: lo stesso
Steiner paragona l’esperienza alla sensazione che a suo dire doveva
provare il pubblico ateniese assistendo, subito dopo la tragedia, a
un dramma satiresco. 20
Una simile reazione ci appare un possibile ‘effetto collaterale’ di
quella componente essenziale del tragicomico che consiste proprio nello spiazzante e incongruo accostamento tra tragico e comico, sia che si verifichi come in questo caso per la successione di
due drammi, sia che avvenga in uno stesso dramma, nell’arco di
una trilogia o anche all’interno di una stessa frase, come quella di
Müller citata all’inizio, a cui possiamo ora tornare.
20
G. Steiner, Tragedy, pure and simple, in Silk (edited by), 1996, p. 545.
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Edipo tragicomico
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2.
Negli anni settanta alcuni importanti cambiamenti carat-
terizzano non solo Edipo, ma anche i primi due personaggi tragici,
Elettra e Oreste, menzionati dal drammaturgo tedesco nel 1975.
Tra gli anni settanta e i primi ottanta le tragedie che hanno per
protagonisti Elettra e Oreste conoscono una rinnovata popolarità: in tutta Europa e poi via via nel resto del mondo il cosiddetto
ciclo atridico – con la catena di delitti che coinvolge la famiglia, il
matricidio e il conflitto che ne segue – è spesso oggetto di rielaborazione drammaturgica e di messinscena da parte di grandi personalità del mondo teatrale, cinematografico, letterario e culturale.
In particolare l’Orestea viene sempre più spesso riletta e ridiscussa
in modo nuovo, in sintonia con i tempi, e il più delle volte con intenti critici verso le ideologie correnti e verso certezze fino ad allora acquisite. Nell’arco di un decennio circa, fino al 1985, si concentrano in diversi paesi europei le regie teatrali di Luca Ronconi,
Peter Stein, Peter Hall, Karolos Koun, mentre in Italia Pasolini
dirige il film Appunti per un’Orestiade africana (1969-73) e il poeta,
artista e drammaturgo Emilio Isgrò inaugura le Orestiadi di Gibellina con la sua monumentale trilogia diretta da Filippo Crivelli
(1983-1985).21
21
Per questi spettacoli si vedano Bierl, 2004, e Treu, 2009. La prima edizione critica e commentata degli scritti teatrali di Isgrò, tra cui L’Orestea di Gibellina, è attualmente in corso di stampa: si veda Treu (a cura di), 2010.
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PARTE PRIMA
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Queste drammaturgie e allestimenti, seppure diversi per orientamento, contesto, interpretazione, sono perlopiù accomunati da
una crescente sfiducia nella possibile risoluzione dei conflitti prospettata dalle Eumenidi. A causa di eventi storici, crisi ideologiche
e motivi complessi, che non è possibile ripercorrere qui, si moltiplicano le interpretazioni negative verso gli esiti della democrazia
moderna, e di riflesso verso la celebrazione della concordia che
chiude le Eumenidi. Questa visione pessimista, definita ‘antiaffermativa’ da una certa critica, si ripercuote inevitabilmente nella messinscena della trilogia e in particolare della terza tragedia,
che – pur non essendo paragonabile a un dramma satiresco, o a
un quarto dramma come l’Alcesti euripidea – si distingue tra le
tragedie superstiti per l’assoluzione di Oreste e la metamorfosi
delle Erinni in Eumenidi (che auspicabilmente dovrebbero porre
fine alla catena di vendette ad Argo e fuor di scena ad Atene).
Ebbene, in anni recenti questo ‘lieto fine’ è apparso poco persuasivo, in aperto contrasto con la realtà e sempre più spesso rigettato
dai registi: nelle Eumenidi dirette da Peter Stein, ad esempio, la
porpora che segna la trasformazione delle Erinni in Eumenidi diviene un bendaggio stretto e coercitivo che fascia il coro come una
camicia di forza. Questa tendenza si prolunga fino agli anni novanta, con la nuova versione russa dell’Orestea di Peter Stein (Mosca,
1994) e la trilogia della regista francese Ariane Mnouchkine, dove
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Edipo tragicomico
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l’Orestea è preceduta dall’Ifigenia in Aulide euripidea come premessa
drammaturgica (Les Atrides, 1990-1992).
La difficoltà ad accettare un finale ‘positivo’ e risolutorio sembra
permanere fino a ai giorni nostri: lo testimoniano tra gli altri i registi Elio De Capitani (Eumenidi. Appunti per un’Orestiade italiana, da
Eschilo-Pasolini, Milano, 2000) Antonio Calenda (Teatro Greco
di Siracusa, 2003), Vincenzo Pirrotta con le sue Eumenidi, liberamente tradotte in siciliano da Eschilo-Pasolini (Gibellina-Venezia,
2004). Pirrotta in particolare spiega esplicitamente in scena perché
rifiuti l’esodo gioioso e trionfante delle Erinni-Eumenidi, e vi sostituisca un canto desolato e disperato – a suo dire più consono
alla realtà contemporanea – che riprende in senso polemico lo
stasimo eschileo originariamente collocato prima del processo:
“Oggi murìu la Giustizia”.22
Rivedendo la frase di Müller del 1975 alla luce di questi sviluppi,
le sue previsioni appaiono già confermate per quanto riguarda
l’Orestea , sia per la popolarità ininterotta di cui gode dagli anni settanta – e non accenna a diminuire – sia per le interpretazioni sia
per le tendenze destinate a connotare gli ultimi decenni.
Anche l’Edipo re in questi stessi anni, tra i settanta e gli ottanta, è
oggetto di notevoli riscritture e contrastanti interpretazioni: le più
22
Si veda a riguardo Treu, 2005, pp.198-201.
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PARTE PRIMA
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rilevanti, per noi, si concentrano negli anni immediatamente a ridosso della frase di Müller, tra il 1975 e il 1980; e se non sono
propriamente ‘commedie’ come lui suggerisce, perlomeno sono
in controtendenza rispetto al filone pessimista sopra delineato.
Molte privilegiano, infatti, una trattazione in senso grottesco, parodico o tragicomico, del conflitto ‘edipico’ e dei rapporti fra i
personaggi. La tendenza a sconfinare nella commedia, o nella tragicommedia, segna fortemente tre opere immediatamente successive, in linea cronologica, all’affermazione di Müller: La morte della
Pizia dello svizzero Friedrich Dürrenmatt (Das Sterben der Pythia,
1976), Edipus del lombardo Giovanni Testori (1977) e Alla greca
del britannico Steven Berkoff (Greek, 1980); pur non potendo analizzarle in dettaglio, in questa sede, ci preme sottolineare che
tutte e tre appaiono retrospettivamente capaci di segnare un’epoca e precorrere i tempi, influenzando in vario modo altri autori.
Da quel decennio in poi difatti si moltiplicano versioni ibride o
tragicomiche del mito di Edipo: anche molto differenti tra loro,
per provenienza e lingua, e tuttavia caratterizzate da una contaminazione di elementi tragici e patetici con altri di natura spuria
rispetto alla tragedia greca, se non decisamente comici.
Nella schiera di varianti ‘alternative’ dell’Edipo tragico, quella di
Friedrich Dürrenmatt ha un posto a sé: non è un dramma, bensì
un’opera intermedia tra narrativa e saggistica, un territorio di con-
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Edipo tragicomico
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fine e non definibile con precisione, come del resto è ambiguo il
genere stesso della ‘tragicommedia’. Questo termine ci pare si
presti perfettamente a designare l’intera produzione di Friedrich
Dürrenmatt per la sua poetica ironica e disincantata, sarcastica e
grottesca, eppure umanamente partecipe e simpatetica, a tratti intensa e commossa. La mescolanza di generi fin qui attribuita alle
varianti di Edipo, anzi, si addice alla personalità stessa dell’autore,
poliedrica e inafferrabile, che sfugge a ogni definizione rigida:
romanziere, drammaturgo e critico, ma anche pittore e disegnatore di talento e prolifico, autore di numerosi dipinti, disegni e
schizzi. Per tutta la vita raffigura con ogni mezzo allegorie e caricature di tipi umani e situazioni spesso paradossali.23
Il complesso rapporto dell’autore svizzero con il mondo antico,
con la storia e la letteratura classica, in particolare con i generi
drammatici, è da tempo oggetto di studi critici.24 Commedia e
tragedia greca ricorrono frequentemente negli scritti teorici di
Dürrenmatt come termine di confronto, anche polemico; non solo molte sue opere drammatiche come I Fisici, Romolo il grande, La
visita della vecchia signora, ma radiodrammi, romanzi e racconti come La promessa richiamano in vario modo la drammaturgia classi23
24
Si veda il catalogo della mostra Dipinti e disegni : Dürrenmatt, 2003.
Si veda da ultimo il contributo di R. De Pol, I generi classici “tragedia” e “commedia”
in Friedrich Dürrenmatt, in Aloni - Bertini - Treu (a cura di), 2009, pp. 1041-43.
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PARTE PRIMA
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ca, nelle forme e nei contenuti, o comunque li presuppongono
indirettamente come fonte d’ispirazione o pietra di paragone, con
spirito critico, acuto, originale e innovativo.25
Quando Dürrenmatt attinge, per una sua opera, a componenti e
moduli costitutivi del dramma classico lo fa solitamente con
l’intento più o meno esplicito di scardinarli all’interno, svuotarli
dell’originario significato e crearne uno del tutto nuovo. Questo
procedimento si può osservare con chiarezza nel nostro caso, ossia la versione personale che l’autore svizzero fornisce della storia
di Edipo: in origine un’appendice, prosecuzione o filiazione narrativa di alcune riflessioni sulla letteratura e sull’arte. Il testo di cui
ci occupiamo infatti, prima di essere pubblicato autonomamente
è parte di un lungo scritto, Il complice, compreso in un volume miscellaneo (Lo scrittore nel tempo) dove l’autore raccoglie appunti, discorsi, premesse teoriche e riflessioni critiche sul suo lavoro.26
Qui, come sempre, Dürrenmatt analizza i meccanismi oscuri e universali che regolano le vicende umane e determinano varie peripezie in opere letterarie e drammatiche, proprie e altrui. In particolare,
per l’autore, il senso del tragico è strettamente connesso all’idea di
‘necessità’ sottesa alla storia, identificata di volta in volta con un
25
26
Per Romolo il grande, e le sue riedizioni moderne, si veda il saggio di F. Carlà in
Castillo - Knippschild - García Morcillo - Herreros, 2009, pp. 93-104; sui rapporti con Aristofane cf. Dürrenmatt, 1998, pp. 20-22
Si vedano Dürrenmatt, 1982, e il sito Web Friedrichdurrenmatt.com.
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Edipo tragicomico
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dio, fato o destino. Dürrenmatt dichiara, con la sua consueta verve
polemica e spiazzante, di voler togliere di mezzo ogni istanza sovrumana, inclusa quella logica consequenziale e rassicurante che accomuna molti generi letterari anche moderni e, ad esempio, nel
romanzo poliziesco solitamente garantisce la soluzione finale del
mistero. Spazzate via tutte queste sovrastrutture e garanzie, l’autore
le sostituisce con un altro principio: il caso.
Le conseguenze filosofiche, drammaturgiche e narrative dell’operazione sono radicali. La soluzione di un’indagine poliziesca, ad
esempio, in Dürrenmatt non è data per scontata, come naturale
corollario di un teorema costruito sugli indizi, ma è messa in discussione radicalmente nel racconto La promessa, dal significativo
sottotitolo Requiem per un romanzo giallo. Anche i modelli classici
sono sottoposti a un analogo stravolgimento, con la negazione
del ruolo tradizionalmente assegnato a istanze superiori e provvidenziali, come dei, fato o destino o altri agenti esterni e soprannaturali, alla causalità o ‘necessità’ che dovrebbe governare le vicende umane.
Con questo spirito, lucido e provocatorio, gli archetipi sono
smontati e ricostruiti sin dalle fondamenta finché la vicenda tragica cessa di essere esemplare, misteriosa e insondabile, e diventa
qualcos’altro: una storia tragicomica. Per dimostrare la sua tesi,
l’autore non può scegliere ‘cavia’ migliore di Edipo, segnato sin
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PARTE PRIMA
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dal concepimento da un oscuro e imperscrutabile disegno, simbolo per eccellenza del fragile e inspiegabile mistero che è la vita
umana Il risultato del suo esperimento è il testo pubblicato prima
nella miscellanea citata, poi autonomamente – col titolo La morte
della Pizia – e più volte ristampato con grande successo. Per valutarlo al meglio riprendiamo dal volume originale le pagine precedenti e seguenti al racconto, dove si condensa la speculazione teorico-critica che sostiene e integra il tessuto narrativo. Di particolare interesse sono le considerazioni introduttive che meritano
una citazione estesa.27
Per quanto si indaghi sull’io, al fondo di tutte le risposte possibili rimane un residuo che sfugge a qualsiasi risposta, svanisce in una sfera
oltre la lingua. Così si ritorna incessantemente al punto di partenza,
l’uomo è un singolo uomo, per questo è un enigma […]. Ma questa
frase è anche una frase drammaturgica. Qualsiasi affermazione
sull’uomo riguarda anche la drammaturgia, che tratta dell’arte di rappresentare l’uomo per mezzo del teatro, cosa che si può fare soltanto
lasciandogli il suo mistero. Suona paradossale, dato che il compito
del teatro si direbbe consista nello strapparglielo, questo mistero,
nell’esplorare l’uomo, per mettere a nudo i motivi delle sue azioni. Se
27
I brani che seguono sono citati dalla versione integrale in italiano pubblicata da
Einaudi (Dürrenmatt, 1982, pp. 151-225), e mancano nella più recente edizione
Adelphi (Dürrenmatt, 1988), dove il solo nucleo narrativo è pubblicato come
testo a sé. La trama del racconto è riportata sia da Paduano, 2008, pp. 175-77
(ovvero 1994, pp. 223-27) sia da Paioni, che cita alcune osservazioni di
Dürrenmatt (Gentili - Pretagostini, a cura di, 1986, pp. 294-96).
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Edipo tragicomico
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così non fosse, ci si potrebbe limitare a portare sul palcoscenico puri
e semplici avvenimenti.
[pp.181-82]
L’autore prende spunto da un evento apparentemente insignificante cui ha assistito – una lite tra due ragazzini per strada, a
Mannheim – per formulare le proprie riflessioni in forma dapprima teorica, e poi narrativa, come preludio al vero e proprio
racconto:
A Mannheim, tornando in albergo, vidi due ragazzini dell’età di circa
otto anni azzuffarsi con una ferocia che aveva qualcosa d’infernale,
erano come due bestie avvinghiate in una stretta mortale […] nessuno riusciva a capire cosa stesse accadendo, tutto era estraneo, ma
proprio questo diede alla lotta dei bambini un carattere emblematico,
molto più che se avessimo compreso l’incidente e capito quel che dicevano in turco, sempre che di turco si trattasse. […] Quel che faceva difetto alla rissa sul largo marciapiede di Mannheim per essere
“teatro” era la trasparenza; ma, per converso, l’impossibilità di conoscerne il motivo la rese angosciosa: divenne simbolo di qualcosa di
irrazionale […] Edipo accecato, che lascia a tentoni il suo palazzo, è
un’immagine terribile, simbolo dell’ambiguità umana ancor più sconvolgente di quanto lo fossero quei bambini che si picchiavano, strozzavano, mordevano, graffiavano. Ma non Edipo accecato è la tragedia. La tragedia è nella via che lo portò all’accecamento. E il mistero
di questa tragedia è il destino. È questo tragitto che occorre illuminare. Possiamo comprendere perché Edipo dovette cadere nel tranello.
Ma perché e da chi questo tranello sia stato architettato resta imperscrutabile […]. L’enigma si è ritirato dalla trama nell’istanza che la
governa.
[pp. 182-183]
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PARTE PRIMA
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[…] Ma se vogliamo narrare la storia di Edipo eliminando la nozione
di destino, dovremo sostituire a quest’ultimo il caso. E così l’enigma
esce dal suo nascondiglio dietro la trama: comincia ad aggirarsi nei
personaggi. […] La tragedia greca si trasforma in tragedia shakespeariana; e
questa, in realtà, si è già ribaltata in “commedia” [c.vo ns.], anche se il suo
andamento s’incrudelisce. […] Una trama pronosticabile non ammette il caso. Edipo come intreccio si mostra strettamente legato all’idea
di destino. L’unica via d’uscita che ci rimane per strappare Edipo al
destino è quindi quella di abbandonare la trama per rivolgerci ai suoi
portatori, gli attori. Visto così, per esempio, Edipo potrebbe essere
stato vittima di una Pizia con la luna di traverso.28
[pp. 184-186]
Si è evidenziata sopra in corsivo la frase riguardante la trasformazione della tragedia greca in tragedia shakespeariana (che notoriamente contiene anche elementi comici e grotteschi) e poi in
‘commedia’, decisamente divertente ancorché crudele. Le premesse citate trovano conferma nel racconto vero e proprio – che segue il passo sopra riportato – e sono ribadite dal dialogo finale fra
Tiresia e la Pizia, che chiude il racconto e ne salda il nucleo narrativo alla cornice teorica circostante:
28
La frase immediatamente successiva all’ultima qui citata, che segna l’inizio del
vero e proprio racconto, è la prima riportata dall’edizione italiana di Adelphi
(Dürrenmatt, 1988). Su tragedia e commedia si veda anche il discorso Der
Rest ist Dank, del 1960: “Oggi solo la commedia è ancora all’altezza della situazione. Chi si dispera perde la testa, chi scrive commedie, invece, della testa
non può fare a meno. […] Per il teatro, così come per gli attori, la differenziazione letteraria tra tragedia e commedia è insignificante” (Dürrenmatt,
2003b, pp.128-129).
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Edipo tragicomico
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– La lotta tra noi due, Pannichide, la lotta tra il veggente e la Pizia,
s’accenderà su tutti i fronti; la nostra, ancora, è una lotta emotiva,
poco cerebrale, ma già si sta costruendo un teatro, già, ad Atene, un
poeta sconosciuto sta scrivendo la tragedia di Edipo. Ma Atene non
è il mondo, e Sofocle sarà dimenticato mentre Edipo vivrà sempre,
come soggetto che ci pone un enigma […] – La Pizia non diede più
risposta, d’un tratto era scomparsa, pure Tiresia s’era dissolto nel
nulla e con lui l’alba plumbea che pesava su Delfi, svanita anch’essa.
Rimasero soltanto due ragazzi di pressapoco otto anni che s’azzuffavano, a Mannheim, sulla strada dell’albergo, adunghiati come bestie. […] Fu per ricacciare quest’impressione nella sfera dell’innocuo
che più tardi pensai a Edipo che esce, accecato, dal suo palazzo. […]
Nella tragedia greca, il destino minaccia l’uomo ma al tempo stesso
lo sorregge, e l’uomo è tutt’uno col suo destino, che costituisce la sua
peculiarità; nel mondo del caso, invece, egli è soltanto minacciato
senza essere sorretto: di fronte al caso, che rappresenta l’imprevedibile, l’uomo non è più che una vittima.
[pp. 214-15]
Su questi presupposti Dürrenmatt riscrive la storia di Edipo come
una catena di eventi accidentali, determinati dai capricci del caso e
dai mutevoli umori dei protagonisti. Provocatoriamente l’autore
sceglie come punto di partenza l’oracolo di Delfi, tradizionale
strumento della volontà divina, che nella sua visione perde ogni
carattere sacrale: è solo un mezzo per ordire giochi di potere, oscuri maneggi e beghe dinastiche, tra i sacerdoti e lo stesso Tiresia
(una simile accusa è rivolta all’indovino, peraltro, dal protagonista
dell’Edipo re sofocleo). A questo sistema corrotto e perverso di o-
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PARTE PRIMA
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racoli ‘pilotati’ tenta di sottrarsi, all’inizio del racconto, la Pizia del
titolo: ossia la vecchia sacerdotessa di Apollo, che nella versione di
Dürrenmatt è la prima a non credere alle sue stesse profezie.
La sua Pizia “con la luna di traverso”, alla chiusura del santuario a
fine giornata, riceve di malavoglia un ragazzo che l’interroga sulle
proprie origini: una domanda parecchio inflazionata, nota la vecchia tra sé, e più che altro per noia o fastidio risponde al ragazzo
con “la cosa più assurda che possa immaginare, per togliergli una
volta per tutte il vizio di interrogare gli oracoli”. La profezia improbabile è naturalmente “ucciderai tuo padre e sposerai tua madre” e
il malcapitato altri non è che Edipo. La profezia della Pizia, anche
in Dürrenmatt, è destinata ad avverarsi: non però come il lettore si
aspetta, bensì per vie imprevedibili e insondabili che verranno rivelate all’incredula protagonista nel corso del racconto, e permettono
all’autore svizzero di esprimere pienamente il suo gusto per il paradosso, fino a giungere a sviluppi assurdi e inattesi.
Lo scrittore si diverte a frammentare e ricomporre la storia tragica
in un valzer vorticoso di figure o ombre del passato che si avvicendano davanti alla Pizia, prospettandole un caleidoscopio di
punti di vista, tanti quanti sono i personaggi della storia: ognuno
di loro racconta a turno la propria versione dei fatti, personale e
inattesa, in contrasto con le altre, secondo una tecnica condivisa
da molti autori, dal Pirandello di Così è se vi pare al regista Akira
144
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Edipo tragicomico
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Kurosawa (si veda il film Rashomon, 1950). I racconti in sequenza
si combinano, ma anche si contraddicono tra loro, come tessere
di un mosaico che però non combaciano mai perfettamente. Non
è possibile, per la Pizia o per il lettore, stabilire a chi credere, né
sposare una tesi univoca. Non c’è una verità identificabile con
una sola versione. Quel che conta è l’insieme, il quadro finale:
un’immagine labirintica, frammentaria, complessa, affascinante,
sintesi impossibile di varianti inconciliabili.
L’operazione di Dürrenmatt in quest’ottica ha radici antiche e si
può anche ricondurre agli stessi meccanismi che sovrintendono la
selezione e la formazione delle storie epiche e tragiche a partire
dalla tradizione orale: gran parte dei racconti tradizionali hanno
molte versioni possibili e la scelta di una variante, piuttosto che di
altre, risponde a esigenze funzionali al contesto oltre che a eventi
accidentali. Nel caso di Edipo quella trama che Aristofane, nel
passo delle Rane sopra citato, riduce ai minimi termini, già in origine è in realtà una serie infinita di segmenti modulari intercambiabili e variazioni sul tema.29 Su queste premesse, insite nella costruzione stessa del racconto mitico, Dürrenmatt inventa nuove
storie e intrecci sempre diversi, ottenendo così un effetto di accumulo. La ‘coazione a ripetere’ inflitta ai personaggi rende le lo29
Si vedano Avezzù (a cura di), 2008a, p. 408, e Avezzù (a cura di), 2008b.
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PARTE PRIMA
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ro vicende ridicole e al tempo stesso profondamente tragiche, in
quanto le priva di un senso ultimo, le sottrae al conforto rassicurante di ogni istanza superiore, quali il destino o la fede.
In margine all’analisi vorrei aggiungere una testimonianza, frutto di
esperienza diretta, sul carattere ‘teatrale’ di questo racconto e le sue
possibili trasposizioni drammaturgiche.30 Sebbene La morte della Pizia non sia un dramma in senso proprio, la teatralità si avverte ovunque, nella sfilata dei personaggi e nel ritmo dei dialoghi, tanto
vivaci da prestarsi bene alla messinscena. Ne danno conferma diverse trasposizioni e riduzioni teatrali del racconto di cui ho notizia, tra le quali quella scritta e interpretata dagli studenti del Liceo
Celeri di Lovere (BG) coordinati da Onelia Bardelli, nell’ambito di
un ciclo di incontri e rappresentazioni per la settimana della cultura classica a Lovere.31 In quell’occasione ho tenuto un intervento
sulle versioni tragicomiche di Edipo, e in particolare di Dürren30
31
La trasposizione sulla scena è del resto legittimata dalla contiguità di cui si diceva
sopra, che lega tra loro le opere drammatiche, teoriche e narrative e perfino pittoriche di Dürrenmatt in un corpus variegato, eppure coerente. Non stupisce dunque che molti suoi racconti e romanzi siano oggetto di riduzione teatrale o cinematografica. Ad esempio si deve a Franca Valeri un adattamento del racconto La
morte di Socrate: La vedova Socrate è incluso in un volume intitolato non a caso Tragedie da ridere, per il carattere tragicomico di questo e altri testi (Valeri, 2003).
All’aprile-maggio 2005 risale la manifestazione di Lovere (Il lungo viaggio di Edipo.
Peregrinazioni di un mito fra antichi e moderni ), mentre nel marzo 2006 debutta al
Teatro Cometa Off di Roma un’altra trasposizione da Dürrenmatt, Edipo Rebus,
scritta da Paolo Pasquini e Corinna lo Castro, che ne sono anche rispettivamente regista e interprete (si veda <http://sipario.it/recensioneediporebus.htm>).
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Edipo tragicomico
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matt, servendomi di un mezzo insolito: un’opera degli artisti Fischli e Weiss, di nazionalità svizzera (non a caso come Dürrenmatt). Si tratta di un video del 1987, pluripremiato ed esposto nei
musei di arte contemporanea di tutto il mondo (ad esempio al Mca
di Chicago e al Museum Quartier di Vienna). Il titolo tedesco, Der
Lauf der Dinge, significa letteralmente La corsa delle cose, ma nel nostro caso potremmo anche intenderlo come Il corso degli eventi.
L’opera non si ispira direttamente all’Edipo re, in apparenza, ma in
qualche modo ne rappresenta icasticamente l’idea centrale, la necessità sovraumana che governa la tragedia sofoclea, ossia quel
che spinge Dürrenmatt a riprendere la storia di Edipo e a stravolgerla provocatoriamente fin dalle fondamenta. Nella raffigurazione artistica di Fischli e Weiss qualcosa di simile al ‘destino’ viene
reso per metafora – in maniera moderna, o post-moderna – con
un processo apparentemente automatico: un equivalente simbolico della riflessione teorica che ispira La morte della Pizia e del meccanismo narrativo su cui il racconto si costruisce.
Il video mostra una sequenza di eventi collegati tra loro come nel
gioco del domino, solo che al posto delle tessere ci sono oggetti
di uso comune e di vario tipo: muovendosi producono effetti
meccanici concatenati in modo apparentemente automatico, preordinato, inarrestabile, ‘necessario’. Non si avverte la presenza di
esseri umani e neppure di un operatore: la macchina da presa si
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ESTRATTO
PARTE PRIMA
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muove costantemente in modo lineare e uniforme, come un robot, man mano che segue la folle corsa delle cose che rotolano,
cadono, spostano pesi, ruotano, si dissolvono in acidi, fanno traboccare recipienti, spargono liquidi e così via, sempre senza alcun
intervento umano visibile o manifesto.
Il risultato è ipnotico e sorprendente, tragico e comico allo stesso
tempo: lo spettatore è soggiogato, catturato dalla concatenazione e
dalla rapida successione di eventi. Anche quando il video è collocato in luoghi di passaggio, nei musei, nessuno si accontenta di
vederne un pezzo: ci si ferma fino alla fine, per la curiosità di vedere cosa succeda ‘dopo’, quale sorpresa ci attenda, proprio come
si assiste a un film dalla trama avvincente. E soprattutto, nel contemplare la folle corsa si avverte un senso crescente di angoscia,
per la fragilità ‘sospesa’ del processo, l’inconsistenza dei legami che
tengono avvinti gli oggetti; e man mano che la corsa prosegue si
comincia a sorridere, o a ridere, per la correlazione sorprendente,
sempre nuova e inaspettata, tra azione e reazione, per la stranezza
degli oggetti e degli eventi che man mano si succedono. La ripetizione rassicura, la variazione diverte, ma in fondo è ben chiaro che
dall’ordine iniziale tutto si avvia verso il disordine, in una successione vertiginosa, apparentemente governata dal caos. Si ride, insomma, di fronte al progredire inarrestabile di una rovina, di una
vera e propria distruzione a catena di oggetti. Il processo sinistro e
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ESTRATTO
Edipo tragicomico
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inquietante, eppure comico, è solo apparentemente automatico,
senza intervento umano: in realtà è preordinato e studiato nei minimi dettagli, governato da una regia occulta, meticolosamente orchestrato e diretto dai due artisti, ben consci del fatto che una volta avviato il processo di devastazione non si può più fermare.
Ineluttabile. Distruttivo. Rovinoso e ridicolo, comico e tragico insieme. Questi aggettivi si possono applicare alle opere dei due artisti
svizzeri e del loro connazionale Dürrenmatt. Tutto è concatenato,
nel video come nel racconto. Nessun dettaglio del processo di distruzione o dell’architettura narrativa si può cambiare o spostare
senza che l’assetto generale sia alterato e il fragile equilibrio iniziale
sia compromesso per sempre: come ricorda Tiresia alla Pizia, nel
racconto, “tutto è connesso con tutto. Dovunque si cambi qualcosa, il cambiamento riguarda il tutto” (Dürrenmatt, 1988, p. 48).
Un ingranaggio inarrestabile stritola le cose e fuor di metafora
l’uomo, e nonostante questo – o forse appunto per questo – ci fa
ridere. Il segreto dell’arte tragicomica sta forse proprio qui,
nell’accorto dosaggio di ingredienti contrastanti, nel costante equilibrio tra gli estremi. Nell’intera opera del drammaturgo svizzero si alternano e si affiancano in modo complementare un’ironia sarcastica e tragica, una risata amara sull’assurda casualità della
vita, un sorriso beffardo, simpatetico e condiviso.
Una perfetta espressione dell’umorismo ‘dolceamaro’, tipico del-
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PARTE PRIMA
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l’autore svizzero, è a nostro avviso il riso con cui gli stessi personaggi del racconto scherniscono e annichilano gli interlocutori in
due momenti-chiave: dopo che Edipo cieco ha raccontato la sua
storia alla Pizia, nel loro secondo incontro, lei si ricorda dello
“scherzo mostruoso” che voleva fargli, pronunciando quell’oracolo, e scoppia a ridere; la sua risata diventa “immensa, incommensurabile”, prosegue anche dopo che Edipo se n’è andato, ma
termina bruscamente quando la Pizia si rende conto che l’accaduto
non può essere frutto del caso (Dürrenmatt, 1988, p. 21. Qui si
condensa il senso del racconto e inizia la ricerca della verità che si
concluderà, simmetricamente, con l’apparizione della Sfinge.
Quest’ultima ride a più riprese, nel rispondere a Tiresia, nel ricordare le vittime del suo indovinello, nel congedarsi dalla Pizia
in questo modo: “La Sfinge cominciò a ridere, così come la Pizia aveva riso prima in presenza di Edipo, e anche la sua risata
diventò sempre più incommensurabile, perfino quando le leonesse le si avventarono contro, lei continuò a ridere, e non smise neppure quando quelle presero a sbranarla dopo averle
strappato di dosso il bianco vestito. Poi non si riuscì più a distinguere ciò che le belve gialle stavano ancora ingoiando, ma la
risata echeggiava ancora, anche quando, leccato via tutto il sangue, le bestie sparirono” (p. 62).32
32
Di questa scena, e dell’intero racconto di Dürrenmatt, si può forse riscontrare
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Edipo tragicomico
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Qui, più che mai, l’autore tocca i vertici del tragico e del comico
insieme: il dialogo giocoso, con battute spesso surreali, sfiora sovente l’orrore e non attenua né oscura affatto, ma al contrario esalta, la profonda tragicità della storia. Questa diviene in fondo
ancora più angosciosa, se possibile, proprio per la dichiarata presa
di distanza da ogni logica, per l’assenza conclamata di qualsiasi
entità sovrumana o divina, per la rinuncia in partenza a ogni ricerca di un senso o fine ultimo, perfino di una verità unica e indubitabile: “La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si
tormenta” (Dürrenmatt, 1988, p. 64).
Le disavventure di Edipo appaiono comiche nella loro incoerenza e inutilità, assurdamente dolorose e tragiche nell’esito: i
protagonisti non solo si illudono e si tradiscono reciprocamente, ma finiscono per ingannare anche se stessi. Così l’autore ha
modo di evidenziare l’assurdità della vicenda e la profonda infeun precedente nel citato Oedipe di George Enescu (rappresentato nel 1936): qui
la Sfinge viene presa da un riso compulsivo e letteralmente ‘muore dal ridere’
quando Edipo le risponde che la soluzione all’enigma è l’uomo, più forte di ogni destino (e tale è, per Enescu, lo stesso Edipo). Così commenta a riguardo
Paduano (2006, p. 210): “Muore dal ridere, ma muore; nella sua vicenda si
compie un circolo logico, che suona: è ridicolo pensare di essere più forti del
destino, ma il ridicolo è più forte del destino”. E il distico successivo (che tradotto suona “L’avvenire ti dirà se la Sfinge morendo / piange della sua sconfitta
o ride della sua vittoria”) sintetizza l’ambiguità, o alternativa ancora aperta, che
di fatto troverà risposta nei due atti seguenti del dramma di Enescu: “Il terzo,
ispirato all’Edipo re, rappresenterà la vittoria – dunque provvisoria – del Destino; il quarto – ispirato all’Edipo a Colono, la vittoria – dunque definitiva –
dell’Uomo” (Paduano, 2006, p. 211).
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PARTE PRIMA
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licità di tutti i suoi personaggi che si ritrovano beffati e delusi
senza una vera ragione.
3.
Con la sua logica spietata, degna del teatro dell’assurdo,
la tragicommedia di Edipo immaginata da Dürrenmatt è perfettamente in linea con la sensibilità moderna (non solo in campo
letterario, ma anche filosofico e artistico) con la frase iniziale di
Müller, con lo spirito del tempo che contraddistingue la drammaturgia di quegli anni e – per quanto riguarda Edipo – ha tra gli esiti più noti i citati Edipus del lombardo Giovanni Testori (1977) e
Alla Greca (Greek, 1980) del britannico Steven Berkoff.
Il primo dramma – anticipato nel 1973 da Edipo a Novate e destinato a completare la cosiddetta ‘trilogia degli Scarozzanti’ – è
grottesco e paradossale, lucido e crudele. L’eroe sofocleo si trasforma in un guitto parricida e incestuoso che punisce consapevolmente i propri genitori: il monologo è ben noto al pubblico italiano grazie a numerosi allestimenti, riedizioni, tesi e pubblicazioni (anche recenti, per l’anniversario della morte dell’autore nel
2003), censiti in una vasta bibliografia a cui si rimanda.33
33
Si vedano Testori, 1977; Paduano, 2008, pp. 178ss.; la bibliografia in Dall’Ombra, a cura di, 2007; il sito Web Associazionetestori.it. Anche Anna Beltrametti ha
lavorato su Testori e ha incluso Edipus nel contributo che rientrerà nel già citato
volume di prossima pubblicazione L’Edipo in viaggio (cf. <http://crimta.
unipv.it/centro/pubblicazioni>).
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Edipo tragicomico
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Meno noto è invece il dramma britannico, che segue di pochi anni Dürrenmatt e Testori, e che merita a nostro avviso di essere ricordato nel filone tragicomico: se infatti l’autore dichiara più volte
il suo debito verso il teatro dell’assurdo (specie di Artaud, oltre
che Jean-Louis Barrault e Jacques Lecoq), il testo in sé appare
sotto diversi aspetti più vicino alla commedia antica che alla tragedia. Il titolo Greek, in italiano Alla Greca, potrebbe essere fuorviante se non ci mettesse in guardia l’autore: “Un sottotitolo azzeccato potrebbe recitare: fatti e misfatti di uno / che si scopò
sua madre / una di quelle fiabe da leggere la sera ai pargoletti per
farli addormentare in preda agli incubi più atroci e che in età matura li spediscono a gettare un bel mucchio di quattrini da un esosissimo analista di Harley Street”.
Questa premessa, che già fa presagire gli intenti, trova conferma
nelle caratteristiche ‘aristofanee’ del testo: la comicità grottesca,
l’esuberanza smodata e la fisicità iperbolica, specialmente in campo sessuale; l’ambientazione ‘bassa’ (l’East End di Londra di alcuni
decenni or sono), l’uso dello slang tipico dei quartieri popolari, con
profusione di turpiloquio e oscenità varie. Alla tradizione comica
antica sono riconducibili a nostro avviso alcuni ‘moduli’ o tecniche
drammatiche, quali lo scontro tra padre e figlio che diviene un vero e proprio agòn, duello ‘all’ultimo insulto’, senza armi all’infuori
delle parole. La violenza è verbale, ma non meno letale, ed è resa
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PARTE PRIMA
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bene anche nella traduzione italiana di Giuseppe Manfridi e Carlotta Clerici: “Più colpisci più hai potere, più colpisci più hai potere”. Dagli insulti si passa alle minacce, sempre più serrate, finché il
più vecchio dei due cede e si accascia. “Dio, l’hai ucciso / mai mai
mi ero resa conto che le parole potessero uccidere, così mai!”:
commenta la vedova, e inizia ad amoreggiare col vincitore.34
Alla commedia antica peraltro possiamo ricondurre non solo questo agòn (che richiama direttamente i duelli verbali a colpi di insulti dei Cavalieri di Aristofane o dello Pseudolo di Plauto), ma anche
la caratterizzazione dei personaggi e l’andamento stesso della
trama: si pensi allo scontro costante che oppone padre e figlio
nelle Vespe aristofanee e alla fine produce un’inversione perfetta
dei ruoli (nel finale, in particolare, il vecchio protagonista paradossalmente ringiovanito nello spirito si ribella al perbenismo
‘vecchio’ del figlio e si rassegna a doverlo compatire, con comica
sopportazione: “Sono padre unico!”, v. 1359).
Allo stesso modo Berkoff sembra riscoprire dinamiche comiche
già antiche sia nell’insperato e ‘magico’ successo del protagonista
Eddy, in amore e negli affari (degno di un eroe aristofaneo o di un
giovane innamorato plautino), sia nel ‘lieto fine’ che si discosta de34
Per questo duello verbale, esemplare per la mortale efficacia e le pungenti onomatopee, cf. Macintosh, 2009, pp. 178-179 (in inglese) e la traduzione italiana
citata qui e in seguito: Berkoff, 1991, pp. 41ss. Si veda anche il sito Web
Stevenberkoff.com.
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Edipo tragicomico
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cisamente dal modello tragico: un appassionato elogio dell’amore
carnale per la madre, coronato dal matrimonio e dal successo, e un
immaginario ritorno all’utero materno, in aperta contrapposizione
alla morale comune e alla famiglia tradizionale. Quest’ultima, del
resto, è nettamente svantaggiata nel confronto con la splendida
coppia formata da Eddy e sua madre, vero esempio di felicità coniugale nella visione provocatoria di Berkoff. Sin dal loro incontro
i due provano una forte attrazione reciproca e il matrimonio si
fonda su un’intesa sessuale perfetta, evocata minuziosamente per
metafore in un monologo lirico di travolgente ricchezza espressiva, paragonabile al citato Edipus di Testori, ma più gioioso e liberatorio. Quando l’idillo è interrotto dai genitori (adottivi) di Eddy,
“quei fetenti del babbo e della mamma”, lui dice seccato alla moglie “ti pareva se non venivano a interrompere l’adorabile e perlaceo tuo fluire di parole straboccanti di saliva e capaci di mandare al
gran galoppo tutto il sangue che possiedo giù nell’inguine a pompare un’amorosa e incontenibile marea”.
Ancora una volta, qui, vengono alla mente gli ingredienti tipici
della commedia antica: sesso e funzioni corporali, parodia tragica,
neologismi e funambolismi verbali, e soprattutto un’aggressività
fondante e mirata. Se per Aristofane la parola può uccidere, la tecnica peculiare di Berkoff ci ricorda più l’oscenità rituale della
Grecia arcaica che non la satira di oggi, spesso blanda e addome-
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PARTE PRIMA
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sticata. L’invettiva comica e lo spirito del giambo riecheggiano
non solo nel linguaggio, ma nel ruolo simbolico che con la sua
carriera incarna lo stesso Berkoff, ex bad boy classe 1937, autore e
regista, attore di teatro e di cinema: con Kubrick in Arancia Meccanica e Barry Lindon, ma anche ‘mercenario’ in film di cassetta. Nei
suoi lavori, da Alla Greca a Decadenze, non risparmia nessuno: i
conservatori, la famiglia reale, il calcio e gli hooligans, il postfemminismo e il consumismo, il degrado delle periferie e le famiglie allo sfascio, l’intolleranza e l’immigrazione.
Sotto questo aspetto la riscrittura di Berkoff, rispetto a quella di
Dürrenmatt, appare più legata a un preciso momento storico e
contesto sociale, per le sue frequenti allusioni alla realtà inglese
dell’epoca e lo slang inevitabilmente invecchiato. Eppure, per altri
aspetti, anche questa personale versione del classico “e vissero felici e contenti” costituisce quasi un ideale ponte tra passato e futuro: il rifarsi indirettamente a tragedie euripidee di tematica incestuosa (in gran parte perdute, ma recuperate attraverso la tradizione antica, ad esempio nella lettera di Canace al fratello Macareo di
Ovidio, Eroidi 11) anticipa alcune tendenze contemporanee, soprattutto della drammaturgia britannica, che si svilupperanno nei
due decenni successivi.35
35
Le riprese e filiazioni da Berkoff, e in particolare l’omonima opera lirica di
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Edipo tragicomico
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Basti citare, tra gli esempi noti, la riscrittura radicale dell’Ippolito euripideo da parte di Sarah Kane (L’amore di Fedra, Phaedra’s love,
1996) con la sua esplicita dissacrazione della famiglia britannica,
con le sue verità sconvolgenti e brutali, con la provocatoria celebrazione della sessualità incestuosa, con l’accanimento disperato
nel rompere ogni tabù, come pervertito specchio di una società
dove nulla è più una vera trasgressione.36 Non a caso Berkoff e i
suoi ‘eredi’ continuano a riscuotere successo ovunque: per limitarci all’Italia, il noto gruppo milanese del Teatro dell’Elfo – molto attento alle nuove proposte – diversi anni fa ha importato da
noi Berkoff come ‘apripista’ della nuova drammaturgia britannica,
affiancandogli poi altri autori come Sarah Kane e Mark Ravenhill.
In particolare il regista Elio De Capitani ha messo in scena Alla
Greca ben due volte, nel 1994 e poi nel 2003.37 Nella suggestiva
scenografia di Thalia Istikopoulou (in platea una distesa di vetro,
36
37
Mark-Anthony Turnage (Greek, 1988) sono state analizzate da Jesus Carruesco
(Università di Tarragona) in un altro incontro del già citato laboratorio di
drammaturgia antica Edipo e Anti-Edipo del CRIMTA, destinato anch’esso a rientrare nel volume di prossima pubblicazione L’Edipo in viaggio.
Su questi temi, e in particolare su Fedra, si vedano Susanetti, 2005, pp. 270-71;
Susanetti, 2006; sull’Ippolito euripideo (che col significativo titolo Fedra si alternerà con l’Aiace al Teatro Greco di Siracusa tra l’8 maggio e il 20 giugno 2010) si
vedano i contributi dello stesso Susanetti e altri pubblicati su “Prometeus”, rivista online della fondazione Inda (<http://www.indafondazione.org/category/
prometeus-rivista-online/>), e presentati al convegno Inda “Le ragioni della
follia. La vergogna e la colpa” (Molino Stucky, Venezia, 18-19 marzo 2010): cf.
il sito Internet Indafondazione.org.
Per lo spettacolo dell’Elfo cf. Treu, 2005, pp. 72, 86, 87; Treu, 2009a, p. 72s.
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PARTE PRIMA
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ghiaia e detriti, sul palco pedane e microfoni, carrelli della spesa,
un’orchestrina da cabaret), un eccezionale Ferdinando Bruni interpreta il protagonista Edipo/ Eddy, la madre adottiva è Tania
Rocchetta prima, poi Anna Coppola che è anche la Sfinge (vestita
da Andrea Taddei come “pizia barbona di Hyde Park”); Gigi
dall’Aglio e Elio De Capitani si susseguono, nelle due edizioni,
nel doppio ruolo di padre adottivo e naturale; Cristina Crippa è la
moglie, nonché vera madre, cui Eddy nel finale pone la domandachiave dell’intera riscrittura: “Perché dovrei strapparmi fuori gli
occhi a mo’ dei greci e tu perché dovresti appenderti a un laccio e
impiccarti?” Lei è svenuta, non gli resta che decidere da solo, per
tutti e due… E lo farà come si conviene a un self-made man, che tra
sé e la felicità vede solo un piccolo ostacolo da rimuovere: il tabù
dell’incesto. Ma potrebbe non essere più un delitto, secondo quel
concetto di depenalizzazione che dall’Inghilterra della Thatcher si
diffonde in maniera esponenziale fino all’Italia di oggi.
Lo stesso gruppo milanese dell’Elfo, subito dopo Alla Greca, nel
1994/95, ospita un’altra variante italiana del nostro Edipo tragicomico, con la regia di Andrea Taddei (già scenografo di Alla Greca) e la drammaturgia dello stesso Giuseppe Manfridi (traduttore
di Berkoff in italiano insieme con Carlotta Clerici). Il dramma di
Edipo diviene qui una pochade irriverente e brillante, sboccata e
scabrosa, intitolata Zozòs, ossia ‘piccioncini’: piena di doppi sensi,
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Edipo tragicomico
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come già l’originale sofocleo, ma tutti di segno rigorosamente
comico e osceno. Ne sono protagonisti due amanti che dall’inizio
del dramma si trovano avvinti e immobilizzati, loro malgrado, per
un imbarazzante effetto collaterale dell’atto sessuale. Solo quando
vengono raggiunti dal (presunto) padre di lui scopriranno di essere madre e figlio, con le inevitabili, tragicomiche conseguenze. Il
dramma conosce un notevole successo e viene tuttora tradotto e
messo in scena in diverse lingue, tra cui si segnala la versione inglese di Colin Teevan, intitolata Cuckoos, diretta da Peter Hall, in
scena al Gate Theatre di Londra nel 2000 e bene accolta dalla critica inglese.38
Sempre in Inghilterra possiamo citare altre riscritture comiche del
mito di Edipo, che confermano la sua capacità di adattamento ai
più vari contesti e generi – come il teatro musicale o musical – e di
volta in volta spingono il testo in direzione della commedia, del
grottesco e dell’assurdo. Per esempio la compagnia irlandese Pan
Pan mette in scena prima allo Smock Alley Theatre di Dublino
(2006) poi al Riverside Studio di Londra (2008) Oedipus loves you,
scritto da Simon Doyle e Gavin Quinn, e diretto dallo stesso
38
Zozòs di Giuseppe Manfridi. Con Alida Giardina, Danilo Nigrelli, Matteo Chioatto. Regia di Andrea Taddei. Produzione Teatridithalia in collaborazione con
Asti Teatro 16. Teatro Portaromana, Milano. Stagione teatrale 1994/95. Per la
versione italiana si veda il sito Web Giuseppemanfridi.it. Per la versione inglese si
veda Macintosh, 2009, pp. 162, 188, 189.
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PARTE PRIMA
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Quinne: lo spettacolo, come riporta il sito Internet della compagnia, è “ispirato dalle tragedie di Sofocle e Seneca e dai testi di
Sigmund Freud”, al quale è ironicamente attribuito lo slogan,
sempre visibile sul sito: “Come to the theatre… bring your mother… it’s a great night out… (Sigmund Freud)”.
Altrettanto dissacrante è il lavoro decennale su Edipo del regista e
musicista inglese Zachary Dunbar, iniziato nel 1995 con un’opera-oratorio e tuttora in corso. I tre rifacimenti del testo sofocleo
finora prodotti, ironici e surreali, mescolano alla vicenda edipica
spunti di satira contemporanea, come la denuncia delle ipocrisie
religiose, del perbenismo tipico delle società chiuse, delle derive
della moderna globalizzazione: così di volta in volta Tebe diventa
una piccola cittadina del West americano, o del Texas, e la peste
assume il volto della psicosi scatenata anni fa dalla cosiddetta
‘mucca pazza’.39
Negli stessi anni, tornando in Italia, si segnala tra le versioni tragicomiche lo spettacolo Edipo.com, scritto da Gioele Dix con Sergio
Fantoni e interpretato dallo stesso Dix e da Luisa Massidda (prima rappresentazione al Teatro Vittoria, Roma, 2004). In teoria è
una commedia, di tono leggero e disimpegnato, adatta a un pub39
Si vedano rispettivamente i siti Panpantheatre.com (per Oedipus loves you) e Zebfontaine.com per gli spettacoli di Zachary Dunbar (Texas Eddy, 1995; Delphi, Texas,
2005; The Cows come Home, 2008).
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Edipo tragicomico
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blico moderno e non necessariamente colto: ma un’attenta lettura
rivela una più ampia varietà di toni, un equilibrio instabile e altalenante tra serio e giocoso, in bilico tra commedia e dramma.
L’ambientazione e la situazione iniziale sono più inquietanti che
rassicuranti: il sipario si apre sullo spazio chiuso e candido di una
stanza d’ospedale o di clinica asettica e incolore, luogo di cure e in
qualche modo di reclusione. Il protagonista, Anselmo, vi si trova
ricoverato per un non precisato male, forse un esaurimento nervoso, e condannato alla routine dei trattamenti medicali. Ha però
con sé un libro, l’Edipo re, e quando è solo lo legge ad alta voce,
con commenti e riflessioni, cercando di tenerlo nascosto
all’infermiera che lo visita periodicamente; quest’ultima, sua unica
interlocutrice, dapprima lo sconsiglia di leggere, per non affaticarsi, ma poi viene progressivamente coinvolta nella lettura e
nell’interpretazione del dramma che Anselmo via via le fornisce,
sempre in chiave ironica e grottesca; alla fine si presta anche lei a
recitare alcuni passi della tragedia, sempre intervallati da commenti ironici e inserti propriamente comici. In questo modo le disavventure del protagonista fanno da contrappunto a quelle di Edipo, mentre passato e presente, finzione e realtà si intrecciano e si
confondono di continuo.40
40
Si vedano la prefazione al testo in Dix e Fantoni, 2006, pp. 9-12, e l’analisi in
McDonald, 2004, p. 235, entrambe a firma di Umberto Albini.
161
ESTRATTO
PARTE PRIMA
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4.
Vale infine la pena considerare, come ultimo esempio,
un esperimento originale tra gli allestimenti e riscritture contemporanee di Edipo: Edipostanco, monologo scritto, diretto e interpretato da Marco Grossi (prima milanese 3 febbraio 2010 al Teatro Verdi di Milano).41 Lo spettacolo presenta motivi di interesse
per studiosi e spettatori teatrali di vario tipo, in quanto combina
due generi – tragedia greca e commedia dell’arte – che di norma
non sono frequentati dallo stesso pubblico, né mescolati o accostati nei testi e sulla scena, né solitamente praticati dagli stessi attori, ancor meno utilizzando quell’oggetto scenico e simbolico
che accomuna le due forme teatrali sin dalle origini: la maschera.42
Quest’ultima è invece motore e fulcro dello spettacolo di Grossi,
che trasforma la storia di Edipo in una ‘partitura’ per attore solo:
un ibrido tra antico e moderno, tra comico e tragico, che prima
di essere un testo è il frutto di un lavoro sul corpo, sulla voce e
Edipostanco, scritto, diretto e interpretato da Marco Grossi. Luci Alberto Costantini. Consulenza scenografica Eva Stomper Studio. Collaborazione organizzativa Maria Castelletto. Maschera realizzata da Marialaura Bonocore (cf. i siti
Internet Teatro.org e Sipario.it per le recensioni rispettivamente di Luigi Orfeo e
Paola Polidoro). Grossi, attore e regista, ha studiato all’Accademia “Silvio
D’Amico” e al Centro di formazione per attori diretto da Luca Ronconi, con
cui tuttora lavora (tra l’altro nel Sogno e nel dittico Odissea: doppio ritorno, analizzato in modo esemplare da Iannucci, 2007 e 2009).
42 Un’eccezione nota tra gli attori italiani è il versatile Marcello Bartoli, che oltre ai
ruoli della commedia dell’arte ha interpretato nella sua lunga carriera – anche
con la maschera – molti personaggi comici antichi e moderni (si veda il sito
Web Indafondazione.org).
41
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Edipo tragicomico
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sulla maschera durato molti anni (in una fase intermedia del lavoro – nel 2007 – Grossi ha anticipato parti del suo monologo in
un’edizione dell’Edipo re diretta da Franco Branciaroli).43 La definizione del comico come imitazione di persone dappoco (Poetica
aristotelica, capitoli 4 e 5, in Lanza, a cura di, 1987, pp. 124ss.) –
serve da spunto a Grossi per raccontare la vicenda di Edipo da
un punto di vista inedito, tragicomico, estraneo eppure partecipe:
crea il suo protagonista combinando varie figure note della
commedia dell’arte, come Zanni o Arlecchino, con il loro archetipo originario – il demone dalla maschera nera – ma anche con
un personaggio della tragedia greca: il messaggero anonimo (in
greco ànghelos).44
Per la tournée di quell’Edipo re nelle Marche e in particolare a Fermo (24-25 marzo 2007) si veda < http://www.sambenedettoggi.it/2007/03/21/34824/edipore-di-franco-branciaroli-a-fermo/>. Lo stesso Branciaroli è ora protagonista di
un’altra edizione dell’Edipo re di Sofocle in tournée nella stagione teatrale 2009/
2010 (regia di Antonio Calenda, traduzione di Raul Montanari, prima nazionale
1 aprile 2009, Messina). Per la scheda e locandina dello spettacolo consulta la
seguente sitografia:
<http://www.ilrossetti.it/scheda_storico.asp?RecordID=3398>;
<http://www.ilrossetti.it/scheda_prosa.asp?RecordID=3658>;
<http://sipario.it/recensioneedipore.htm>.
44 Grossi stesso indica tra le fonti all’origine del suo lavoro la Poetica aristotelica
(Lanza, a cura di, 1987) e le tesi di Girard su Edipo (Girard, 1973 e 1980). Sul
messaggero o ànghelos si veda Rosa (a cura di), 1992, in particolare per i saggi di
A. Aloni sull’epica (Le scene di annuncio in Omero, pp. 39-69) e D. Del Corno sulla tragedia (Gli angeli laici: realtà e parola nei messaggeri della tragedia greca, pp. 7178). Sull’ànghelos tragico negli allestimenti moderni si veda anche Treu, 2009b,
pp. 84ss.
43
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PARTE PRIMA
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Il nunzio, si ricorda, è spesso di condizione ‘bassa’, non nobile,
un servo di famiglia, un pastore, che racconta al pubblico, al coro e agli altri personaggi quel che è accaduto fuori scena. I ‘discorsi del messaggero’ sono parti narrative ricche di dettagli minuti, passaggi movimentati e concitati, di evidente difficoltà tecnica, mimetica ed espressiva: devono infatti evocare quel che
non si può vedere, compensando mimicamente e verbalmente
l’assenza di azione vera e propria; per l’impegno richiesto e la
forte presa sul pubblico, nello spettacolo antico erano parti riservate solitamente al primo attore, e anche in quello moderno dovrebbero essere valorizzate da interpreti molto versatili e capaci.
La materia stessa di questi discorsi – il contenuto ‘inadatto’ alla
messinscena – produce generalmente un alto tasso emotivo e
grande pathos, e la tensione cresce in corrispondenza di momenti
clou o dello scioglimento di nodi drammaturgici.
Queste caratteristiche si ritrovano anche nei drammi antichi superstiti incentrati su Edipo – Edipo re e Edipo a Colono di Sofocle,
Sette a Tebe di Eschilo, Fenicie di Euripide – da cui Grossi ‘ritaglia’
le parti del messaggero: già di per sé queste, cucite insieme, formano una trama essenziale ma ad alto potenziale, un racconto
sintetico dei momenti-chiave che comprende anche molti pezzi di
bravura delle tragedie originali. Su queste basi l’autore costruisce
un adattamento moderno del tutto personale, che in una sequen-
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Edipo tragicomico
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za vorticosa amalgama segmenti di tragedie diverse, condensa gli
snodi della vicenda, dà corpo ai diversi personaggi con una recitazione mobile e duttile, con continui cambi di voce e di registro,
con il solo ausilio di pochi oggetti di scena e due fantocci (Tiresia
“veggente cecato” e il vecchio Edipo altrettanto “cecato” nel finale). L’impasto linguistico creato da Grossi mescola efficacemente espressioni da commedia dell’arte, inflessioni dialettali, stilemi e ritmi del cunto siciliano, grammelot alla Dario Fo, parodie e
storpiature, false etimologie e giochi di parole. Accentuando il carattere ingenuo e ignorante del servo-messaggero, in particolare,
Grossi deforma comicamente anche nomi di personaggi e luoghi:
così ad esempio l’oracolo di Delfi diventa “Oran-culo” (l’attore
voltandosi e piegandosi a novanta gradi mostra le terga al pubblico) o la meta finale di Edipo da “Colono”, sobborgo di Atene,
diventa “Cologno” (comune della periferia di Milano).
L’ossatura drammaturgica è data dunque dai discorsi del messaggero, e tramite lui si esprimono talvolta il coro e gli altri personaggi, filtrati dal suo punto di vista dominante; anche il suo carattere è ibrido e ambivalente, in quanto racconta fatti che a prima vista riguardano altri, non familiari ma estranei, eppure in realtà comprende e comunica a livello intuitivo ed emotivo le ragioni intime dei protagonisti e i sentimenti individuali e collettivi,
alternando momenti autenticamente comici ad altri patetici. Un
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PARTE PRIMA
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esempio perfetto in tal senso è la contrapposizione tra i nemici
schierati alle porte di Tebe, descritti a uno a uno, e i relativi avversari tebani scelti da Eteocle: Grossi dapprima accentua i toni
comici nella descrizione degli eroi e nei commenti attribuibili al
coro; sostituisce la commozione alla risata man mano che affronta lo scontro fratricida, il problema della sepoltura di Polinice –
qui solamente accennato – il pellegrinaggio e la sparizione di Edipo, fino all’intenso finale dove riso e pianto si mescolano indistintamente.
5.
La nostra rassegna, in conclusione, ci ha permesso di ve-
rificare come l’affermazione di Heiner Müller nel 1975 in qualche
modo registri e preannunci fermenti che segnano la scena internazionale dalla seconda metà degli anni settanta fino ai giorni nostri, specie per i nuovi filoni interpretativi di riscritture e allestimenti che coinvolgono i miti degli Atridi e quelli legati a Edipo.
Per quest’ultimo, in particolare, appaiono interessanti i rifacimenti
coevi a Müller – Dürrenmatt (1976), Testori (1977), Berkoff
(1980) – sia in sé sia in quanto anticipano tendenze destinate a
svilupparsi nei decenni successivi. I testi citati e analizzati si differenziano molto dall’originale e tra loro: a seconda dei casi piegano
la storia di Edipo alle proprie esigenze, nelle linee generali o nei
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Edipo tragicomico
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minimi dettagli; si discostano dai modelli antichi modificando la
sequenza e relazione degli eventi, gli antefatti, i rapporti tra il protagonista e gli altri personaggi; cambiano, tagliano o aggiungono
parti anche sostanziali della storia, incluso il finale, e comunque
ne rovesciano il segno. Il protagonista di Berkoff, ad esempio, da
una situazione iniziale squallida e deprimente approda al successo
personale negli affari e nell’amore. Dürrenmatt invece fa vacillare
i presupposti stessi della storia, facendo provocatoriamente di Edipo la vittima di una Pizia lunatica, simbolo del caso, per accentuare l’isolamento dell’eroe, e di ogni uomo, togliendogli il conforto di un destino, ancorché maligno, di un senso ultimo o di
un’istanza superiore. Drammaturghi come Testori lo eleggono a
emblema del parricida consapevole e del figlio incestuoso, mentre
altri come Dix e Fantoni caricano i lati comici del personaggio, ne
attenuano gli errori, riducendo le sue colpe a debolezze più comuni e non estranee agli spettatori moderni: in questo modo fanno leva sull’empatia e sulla compassione, in qualche modo ‘salvano l’anima’ a lui e a noi stessi.
Tutti gli autori considerati, sconfinando nel comico o tragicomico, contribuiscono a rendere Edipo autenticamente ‘contemporaneo’ e fruibile da un pubblico più ampio e trasversale, con la mediazione della riscrittura e dell’allestimento. E in questo modo riescono a sottrarre l’eroe al suo destino più crudele e ineluttabile:
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non la cecità, ma l’oblio. Gli restituiscono quell’umanità che forse
ha perso in decenni di interpretazioni e riletture, soprattutto colte;
gli garantiscono una nuova vita, dentro e fuori scena, ispirando a
loro volta parodie e filiazioni tragicomiche, grottesche o decisamente comiche. Grazie a queste Edipo, più di altri personaggi
tragici, gode di una straordinaria popolarità sotto forme e in ambiti diversi, come mostrano gli esempi recenti: anche grazie a loro, forse, la sua storia è un archetipo tanto forte e persistente da
valicare i confini della tragedia greca e l’alveo tradizionale delle
sedi antiche e degli spettacoli classici.
Su quest’ultimo punto la nostra indagine, tuttora in corso, trova il
suo completamento nel citato convegno Edipo Classico e contemporaneo. Le storie di Edipo tra riscritture e performance (Ravenna, 24-25
marzo 2010), negli studi degli stessi partecipanti e in quelli citati
in bibliografia, in particolare per la lunga progenie di Edipo al di
fuori del teatro, nel fumetto e nel cinema. Nel novero dei discendenti – in continuo aumento e non elencabili qui – figurano per
primi come ‘figli legittimi’ i drammi o film dichiaratamente ispirati
a Sofocle o a varianti consacrate del mito, talvolta con l’aggiunta
degli antefatti (per esempio l’Edipo Re di Pasolini).45 A un secondo
45
Si vedano i due contributi dedicati al cinema nel citato convegno ravennate su
Edipo, e i riferimenti in bibliografia (su Pasolini, in particolare, Fabbro, a cura
di, 2004; Fusillo, 2007; Berti - García Morcillo (edited by), 2008, pp. 89-115; Castillo - Knippschild - García Morcillo - Herreros, editores, 2008, pp. 253-261).
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Edipo tragicomico
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livello possiamo collocare i figli illegittimi o ‘nipoti’ di Edipo comico o tragicomico, ossia le parodie indirette, o di secondo grado:
ad esempio Woody Allen – che si rifà spesso all’antichità classica
e alla tragedia greca per raffigurare complessi rapporti familiari,
specie attraverso il filtro della psicanalisi – ricorre a Edipo per citazioni dirette o indirette più o meno estese, in opere come Dio
(God, 1975) dove Fidippide deve portare un messaggio al re Edipo, nell’episodio Edipo relitto di New York Stories (1989), nel film
La dea dell’amore (Mighty Aphrodite, 1995) dove la vicenda del protagonista, alla ricerca della vera madre del figlio adottivo, è scandita da intermezzi corali girati nel teatro antico di Taormina.
Ancora più indiretto, ma ben riconoscibile, è il modello edipico
nella saga di Guerre Stellari di George Lucas, sia nella prima trilogia
incentrata sul conflitto tra Luke e il suo “Padre Oscuro” – (il ‘nome parlante’ inglese è Dark Vather) – sia nella trilogia prequel dedicata a quest’ultimo (i cosiddetti “Episodi 1-3”). Il fascino dell’antieroe ‘nero’ è tale da elevarlo a sua volta ad archetipo, come dimostrano i numerosi epigoni, riferimenti e rifacimenti – con l’effetto
a catena di cui si diceva sopra – nei modi e nelle forme più disparate: sono oggetto di parodia sia la trilogia di Lucas (Balle spaziali di
Mel Brooks, 1987), sia il momento specifico del riconoscimento
reciproco tra Luke e suo padre, citato ad esempio nel cartone animato Pixar Toy Story (1995) e in un episodio dei Simpson (III serie,
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PARTE PRIMA
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numero 12: dopo aver visto Guerre stellari Homer, uscendo dal cinema, commenta ad alta voce la sorpresa del riconoscimento tra
padre e figlio, e così ‘guasta’ il finale agli spettatori in coda per lo
spettacolo successivo).
Tra le filiazioni indirette vale la pena di citare infine un raro esempio di satira nostrana che ha per protagonista Edipo, e per di
più in bilico tra teatro e altri media: dalla trasmissione televisiva
RaiOt di Sabina Guzzanti, sospesa dopo la prima puntata
nell’autunno 2003, scaturiscono il film-documentario Viva Zapatero! (2005) e lo spettacolo teatrale Reperto RaiOt (2004), pubblicato
anche nella collana “Bur Senzafiltro” come libro e dvd (Guzzanti,
2005). Qui l’autrice si ispira a un dibattito realmente accaduto tra
Giuliano Ferrara e Aldo Grasso (il primo paragona la cosiddetta
‘tv del dolore’ alla tragedia greca, il secondo non rifiuta tout court il
paragone, con sdegno, ma ne fa puramente una questione di linguaggio ‘alto’) e ne raccoglie la provocazione collocando l’eroe
tragico tra i cosiddetti ‘casi umani’, morbosamente vampirizzati
dalla tv-verità e sottoposti a un radicale ‘abbassamento’. Su queste
premesse si basa l’immaginaria intervista di Maria De Filippi a
Edipo, in cui la Guzzanti imita impietosamente la conduttrice e il
suo pubblico, riporta l’intera vicenda a una quotidianità surreale e
triviale, fa del parricida incestuoso un perfetto esempio dei ‘mostri’ che ogni giorno si esibiscono in televisione – compatiti, deri-
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Edipo tragicomico
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si, assolti, ‘consumati’ dal pubblico – suscitando al più momentaneo clamore, subito spento in una sostanziale indifferenza.46
Questi ultimi esempi, sebbene solamente accennati, meriterebbero maggiore attenzione per la varietà, per la grande distanza dal
modello, in termini di genere e di pubblico, per la fulminea brevità con cui vi alludono, senza precluderne il riconoscimento a fruitori non colti ed eterogenei. La presenza seppure implicita di Edipo in simili ambiti conferma la popolarità e persistenza
dell’archetipo, da un lato, ma anche la sua indubbia adattabilità a
un contesto comico o tragicomico. Venticinque secoli dopo Aristofane, dunque, sembra allargarsi sempre più – ben oltre la cerchia dei classicisti – la nostra frequentazione non di uno, ma di
tanti Edipi che riescono (perfino) a farci ridere.47
46
47
Cf. Guzzanti, 2005, e l’estratto online su Youtube.com – <http://www.youtu
be.com/watch?v=zbe6tegTzUw> – che comprende l’intervista a Edipo e la
premessa (il dibattito tra Grasso e Ferrara). Ringrazio Patrizia Pinotti per la segnalazione.
La mia ricerca su Edipo è iniziata molti anni fa al Teatro Olimpico di Vicenza
(si veda Curi - Treu, a cura di, 1997, pp. 13ss.), è continuata all’Università di Pavia con il CRIMTA e prosegue grazie al citato convegno Edipo Classico e Contemporaneo (Ravenna, 24-25 marzo 2010): vorrei quindi ringraziare Umberto Curi e
Maurizio Scaparro, Anna Beltrametti e il CRIMTA, gli organizzatori e i relatori
del convegno ravennate, Marco Grossi e lo staff del Teatro Verdi di Milano,
Maddalena Giovannelli e “Stratagemmi”.
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PARTE PRIMA
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