Il Bilancio delle Competenze: per una definizione del concetto (prima diapositiva) La nozione di “Bilancio” (seconda diapositiva) Il Bilancio delle competenze rappresenta un percorso di valutazione della situazione attuale e potenziale del lavoratore, che si conclude con l’elaborazione di un progetto che consenta lo sviluppo professionale della persona. 1. Bilancio ed Orientamento: quale rapporto? (terza diapositiva) In primo luogo, bisogna porgere l’attenzione sulla differenza tra il concetto di orientamento e quello più recente di Bilancio. Il primo elemento che prendiamo in considerazione per distinguere i due concetti è: obiettivi da essi perseguiti. 1. Obiettivo dell’orientamento e della pratica orientativa è quello di pervenire all’elaborazione, da parte dello stesso soggetto, di un progetto personale o professionale di sviluppo e di cambiamento; 2. Obiettivo del Bilancio è, invece, quello di permettere, all’individuo che vi si sottopone, di fare il punto (da cui la scelta del termine “Bilancio”) della propria situazione personale e professionale in funzione di una determinata domanda e di un determinato contesto (S. Michel, 1993). 1.1. (quarta diapositiva) Da queste prime definizioni emerge in maniera evidente la differenza e la relazione che unisce le due pratiche analizzate: • il Bilancio si rivolge al passato dell’individuo; • l’orientamento, teso all’elaborazione di un progetto, risulta proiettato verso il futuro e lo sviluppo del soggetto. Quindi si può dire che il Bilancio si trova all’interno del processo di orientamento come momento preposto alla valutazione delle risorse possedute dall’individuo. (quinta diapositiva) Il Bilancio consiste in uno strumento di analisi delle esperienze passate del soggetto allo scopo di “conteggiare” e mettere sui “due piatti della bilancia” i punti di forza e di debolezza acquisiti nel corso dell’intera vita professionale ed extra-professionale. Il Bilancio risulta indirizzato verso i criteri: - della misura, - della valutazione - del giudizio. Può essere rappresentato dall’immagine di una fotografia che rende conto di ciò che l’individuo possiede e di ciò che non possiede in un dato momento della sua vita (S. Michel, 1993). (diapositiva sei) L’obiettivo del Bilancio è, in primo luogo, quello di valutare il valore di un individuo analizzando e riconoscendo le competenze, gli interessi e le motivazioni che egli possiede ma di cui può non essere consapevole fino a quel momento. (diapositiva sette) Il Bilancio può essere inteso quale strumento utilizzato in un determinato momento del processo di orientamento al fine di fornire quegli elementi necessari all’elaborazione o alla conferma di un progetto di sviluppo che investe l’avvenire dell’individuo; esso può situarsi: (diapositiva otto) - sia nella fase propriamente finalizzata all’elaborazione del progetto, come supporto di riflessione, di analisi e di misura; - sia nella fase successiva della sua concretizzazione, come strumento di conferma delle piste di lavoro precedentemente costruite. Per svolgere una attività di bilancio delle competenze su di un soggetto c’è bisogno di un esperto specialista, il quale deve dare un giudizio sul soggetto attraverso una misurazione oggettiva e statica di uno “status quo”. (diapositiva 9) Per giungere alla definizione di un bilancio riguardo un soggetto si distinguono due pratiche: “Bilancio puro” ed “Orientamento puro”. (Diapositiva 10) - “orientamento puro” si indirizza verso il perseguimento di due scopi principali: l’elaborazione di un progetto e, attraverso questo processo, il raggiungimento di una maggiore autonomia da parte del soggetto che vi si sottopone. Esso si basa essenzialmente sul fornire degli strumenti di autovalutazione attraverso i quali gli individui, in modo autonomo e responsabile, diventano capaci di giungere ad una valutazione obiettiva su di sé, sulla situazione personale e professionale in cui si trovano, sulle risorse di cui dispongono, sui vincoli imposti dall’ambiente e sulle possibilità concrete offerte dal mondo del lavoro: tutti elementi indispensabili per permettere l’elaborazione di un progetto personale e professionale che, tenendo conto del passato e delle condizioni del presente, sappia proiettarsi verso l’avvenire in un’ottica di sviluppo e superamento positivo di situazioni di transizione. (Diapositiva 11) - “Bilancio puro”: esso consiste in un intervento che ha per finalità quella di posizionare gli individui, cioè di valutarli attraverso dei criteri oggettivi per poterli poi confrontare. Questo modello rinvia essenzialmente a degli strumenti di valutazione che devono soddisfare certe condizioni scientifiche di base e rispondere ai requisiti della fedeltà, della validità e della pertinenza rispetto all’oggetto che intendono misurare; questi strumenti vengono quindi utilizzati da un esperto per misurare il più obiettivamente possibile le caratteristiche individui che si sottopongono al Bilancio. degli Il Bilancio secondo la legge (diapositiva 12) La pratica del Bilancio delle Competenze e prevista e disciplinata da una legge francese; essa ci permetterà di fare chiarezza sull’argomento e sul concetto di “Bilancio”. Il testo fondamentale della legge n° 91-1405 del 31/12/1991, riporta questa definizione: 1.2. “Le azioni di Bilancio di Competenze permettono ai lavoratori di analizzare le proprie competenze professionali e personali, così come le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di determinare un progetto professionale e, se necessario, un progetto di formazione”. Ulteriori precisazioni legislative vengono apportate dalla Delegazione alla Formazione Professionale (DFP) del Ministero del Lavoro in una circolare (Cir. DFP. N° 93/13 del 19/3/1993). All’interno di tale documento ritroviamo un ulteriore tentativo di definizione e precisazione legale: “un Bilancio di Competenze deve permettere al lavoratore di passare in rassegna tutte le sue attività professionali allo scopo di: fare il punto sulle sue esperienze personali e professionali; reperire e valutare le sue acquisizioni legate al lavoro, alla formazione e alla vita sociale; meglio identificare i suoi saperi, le sue competenze ed attitudini; scoprire le sue potenzialità inesplorate; raccogliere e strutturare gli elementi che gli consentono di elaborare un progetto professionale e personale; gestire al meglio le sue risorse personali; organizzare le sue priorità professionali; utilizzare al meglio le sue risorse nella negoziazione dell’impiego o nelle scelte di carriera.” In un altro articolo dello stesso documento, la DFP assimila la realizzazione del Bilancio delle Competenze ad un procedimento attraverso il quale “l’individuo modifica il rapporto che ha con il suo ambiente professionale; diventa un compagno, un attore della gestione della sua carriera. Gli permette di anticipare e definire la propria linea di azione e, nel caso di sviluppo di gestione professionale, di posizionarsi chiaramente, di trovarcisi e prenderci posto: In questo spirito, il Bilancio delle Competenze deve integrare totalmente e contemporaneamente una dimensione retrospettiva (identificare le grandi tappe di un percorso professionale per reperire le competenze acquisite, i centri di interesse, le motivazioni) ed una dimensione prospettica (formulare scelte, confrontarle alle realtà interne ed esterne)”. Da queste definizioni appare immediato che “contrariamente a quello che potrebbe lasciar intendere la parola bilancio, il Bilancio di Competenze è ben definito come un processo di azioni, e non come una constatazione di realizzazioni, esperienze, performances passate” (M. Joras, 1995). All’interno di tali definizioni possiamo quindi ritrovare la compresenza di elementi che appartengono sia al modello dell’ “orientamento puro”, sia a quello del “bilancio puro”: da una parte, infatti, si richiama la logica all’orientamento attraverso la messa in evidenza di un processo di ricostruzione di sé che vede l’individuo direttamente coinvolto nella fase di esplorazione delle proprie risorse in vista della determinazione attiva delle proprie possibilità di evoluzione professionale; dall’altra, invece, si sottolinea l’importanza di una valutazione oggettiva delle competenze e delle attitudini individuali che consente l’elaborazione di un progetto personale e professionale che, attraverso un’analisi attenta ed accurata di tutte le potenzialità spendibili da parte del soggetto, possa renderlo consapevole delle sue concrete possibilità di sviluppo. (diapositiva 13) Nasce così un nuovo modello di bilancio, una forma ibrida, detta “Bilancio di orientamento”. Esso si configura come una pratica orientativa mirata all’acquisizione di consapevolezza di sé, da parte del richiedente, attraverso il riconoscimento e la validazione delle sue capacità e competenze. Questo processo include, tra uno dei suoi momenti fondamentali, la fase del bilancio vero e proprio la quale non costituisce più il fine dell’intero processo, bensì solo un mezzo particolarmente adatto per raggiungere l’obiettivo finale consistente nel favorire lo sviluppo personale e professionale, e quindi l’occupabilità, dei lavoratori. Il Bilancio o i Bilanci? Nonostante l’esistenza di una definizione legislativa che stabilisce ciò che deve essere inteso per “Bilancio”, rimangono molti aspetti indefiniti che, interpretati ed utilizzati diversamente, danno luogo ad una miriade di applicazioni eterogenee per finalità, strumenti, utenti e per il significato stesso attribuito al termine “Bilancio”. (diapositiva 14) Si possono pertanto distinguere diversi 1.3. tipologie di bilancio in base alle finalità che lo stesso lavoratore intende produrre: Bilancio di orientamento: attraverso l’aiuto a prendere coscienza della propria identità e attraverso un lavoro sull’immagine di sé, l’individuo è condotto alla valorizzazione del suo potenziale e all’elaborazione di un proprio progetto di sviluppo; ✓ Bilancio di valutazione: fase determinante e prioritaria di una qualsiasi azione formativa, consistente nell’identificazione delle caratteristiche individuali suscettibili di essere investite in un processo di sviluppo e di cambiamento; ✓ Bilancio psicopedagogico: precisando il percorso formativo in funzione degli obiettivi di qualificazione ricercati ed adattando le sue modalità alle caratteristiche personali precedentemente definite, permette di adeguare tale percorso in funzione dei risultati osservati. ✓ 2. Il concetto di “competenza” (diapositiva 15) In questi anni il concetto di competenza si è trovato ad essere, sempre più, al centro dell’attenzione e dell’interesse di dibattiti tecnico-scientifico- istituzionali di diversa natura, all’interno di ambiti professionali e culturali differenti, tra cui: ✓ La politica di Gestione delle Risorse Umane, che vede emergere in maniera sempre crescente, l’importanza della soggettività della risorsa “uomo” come potenziale da scoprire, sviluppare, valorizzare ed utilizzare all’interno delle organizzazioni, a discapito della logica tradizionale centrata sulla mansione e sul compito lavorativo; ✓ Il dibattito istituzionale sulla Riforma del sistema formativo, indirizzato verso una logica di maggiore flessibilità in funzione dei cambiamenti del mercato del lavoro ed attento, tra gli altri problemi, a quello dell’istituzione di un sistema nazionale per la certificazione delle competenze e dei percorsi formativi; ✓ Il dibattito sulla riforma dei Servizi per l’Impiego e sul ruolo dell’orientamento professionale. Dall’analisi della posizione al concetto di competenza “Oggi non si amministrano più degli impiegati o degli uomini, bensì delle competenze”: così S. Michel (1993) sintetizza la situazione attuale in cui, dopo aver invaso la gestione delle Risorse Umane e l’impresa, le competenze riguardano ora anche il settore pubblico dell’impiego. Il concetto di competenza oggigiorno è fondamentale per tutte le aziende pubbliche o private che siano,; infatti con la mondializzazione dell’economia, l’accelerazione dei mutamenti tecnologici e l’invasione dell’informatica, nelle aziende sono subentrate problematiche che hanno costretto le aziende stesse ad affrontare problemi nuovi come quello della soppressione progressiva di impieghi tradizionali, centrati soprattutto su attività operative manuali e mentali meccaniche e ripetitive, e l’emergenza di nuovi tipi di impiego, costituiti da mestieri composti e dinamici, attività trasversali e di gestione del sistema di informazione; in secondo luogo, emergono i nuovi fenomeni della disoccupazione, dell’esclusione dal mondo del lavoro e dei processi di mobilità, interna ed esterna, in cui si trovano coinvolti un numero sempre maggiore di aziende e lavoratori. In questo contesto, ciò che diventa indispensabile è la capacità di raggiungere una certa flessibilità nell’uso e nella gestione della mano d’opera, concentrandosi sui processi di formazione continua e di riconversione dei lavoratori; ma, in particolare, diventa necessario, da parte delle aziende, imparare a conoscere, analizzare e valutare le risorse umane esistenti al loro interno, per poterle utilizzare al meglio e per procedere ad un adeguamento costante degli impieghi e 2.1. delle competenze, e, da parte del lavoratore, acquisire consapevolezza del proprio potenziale e delle proprie competenze per poter gestire, in modo autonomo e responsabile, l’evoluzione della propria carriera professionale. La competenza si pone, quindi, come concetto chiave in seno alle nuove politiche di gestione delle Risorse Umane, nelle decisioni riguardanti la selezione, la formazione ed i piani di carriera aziendali, e nelle pratiche di orientamento professionale. In tale contesto di cambiamento quello che acquista sempre più rilevanza è, infatti, quello che le persone sanno fare; l’acquisizione, il mantenimento e lo sviluppo delle competenze e delle capacità strategiche rappresentano, quindi, le nuove sfide nel campo della gestione delle Risorse Umane. “L’organizzazione del futuro sarà costruita sulle persone; si punterà sempre meno sulle mansioni [...]: questo comporta una crescente attenzione alla competenza del personale; utilizzare le persone come cellule dell’organizzazione significa costruire le organizzazioni sul contributo personale e specifico di ciascun collaboratore, in altre parole, sulla sua competenza” (A. Carretta, M.M. Dalziel e A. Mitrani, 1992). È proprio per rispondere a queste nuove esigenze che nasce, nei primi Anni ‘70, quello che in psicologia organizzativa viene definito come “movimento delle competenze”; Dopo aver richiamato, per sommi capi, i fattori che hanno progressivamente condotto a passare da una centratura sul lavoro ad una centratura sul soggetto al lavoro, e, quindi, sulle competenze da esso possedute e mobilitate, diventa fondamentale riflettere ora sui diversi significati che a questo termine sono stati attribuiti, per potersi rendere conto di quanto la mancanza di una definizione di partenza chiara ed univoca possa condurre ad ambiguità ed incongruenze. Approcci e modelli teorici alla competenza Innanzitutto diamo una definizione di competenza: “Per competenza intendiamo una caratteristica individuale causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito” (R.E. Boyatzis, 1982 in L.M. Spencer- S.M. Spencer, 1995); da questa prima definizione emerge con chiarezza la dimensione di nesso causale che lega il concetto di competenza a quello di azione riuscita; in altri termini, la competenza è “ciò che soggiace all’azione riuscita, ciò che permette di agire in modo positivo, efficace, riuscito e competitivo...” (S. Michel, 1993); quello che resta da chiarire e da determinare con maggiore precisione è ciò che viene inteso per “caratteristiche individuali”, cioè quali sono i fattori che consentono alla persona di agire in modo competente, e quindi con successo, in una mansione o in un compito; in altri termini, si tratta di determinare gli elementi che concorrono all’efficacia di un comportamento professionale. (diapositiva 16) Pertanto si distinguono sei grandi approcci alla competenza: 2.2. Approccio basato sulle attitudini: Secondo quest’approccio, la competenza risulterebbe assimilabile al concetto di capacità, definita come “la possibilità di riuscita nell’esecuzione di un compito o di una prestazione lavorativa” (H. Pieron, in C. Levy- Leboyer, J.C. Sperandio, 1993). * La competenza consiste, quindi, nella messa in atto delle attitudini, cioè di quelle disposizioni individuali che costituiscono il substrato, il fondamento e la condizione di sviluppo di una capacità; in altri termini, l’attitudine, preesistente alla capacità, sarebbe una sorta di “propensione a...” che rappresenta una “capacità virtuale” o potenziale (W. Levati, 1993). Le attitudini, quindi, essendo la base delle competenze, sono anche esplicative delle stesse; si suppone dunque che senza attitudini non ci possa essere competenza e, in maniera ancora più estrema, se ci sono le attitudini, c’è riuscita (S. Michel, 1993). Approccio basato sui saperi: Questo approccio sostiene che ciò che conduce e spiega l’azione riuscita è il possesso di conoscenze. Le competenze si riducono, in questo caso, a dei “saperi messi in atto”; é il sapere ciò che permette di riuscire, quindi, “più io so, più sono competente” (S. Michel, 1993). All’interno di tale concezione diventa possibile stabilire una gerarchia di competenze sulla base del livello di padronanza delle conoscenze sottostanti alla competenza stessa: il diploma ed i titoli di studio diventano, quindi, prove fondamentali che attestano e provano il possesso di competenze. * Approccio basato sui saper-fare: All’interno di questo approccio, la competenza viene assimilata all’azione, in particolare all’azione riuscita; essa viene, infatti, definita come un “saper fare operazionale valido”, mettendo così in rilievo la dimensione della messa in opera e collegando strettamente la competenza al fatto che il saper fare deve essere praticato, visibile e misurabile. * Approccio basato sui comportamenti/saper-essere: Tale approccio attribuisce un peso determinante, nella * spiegazione dell’azione riuscita, al comportamento che, a sua volta, risulta strettamente collegato alla personalità dell’individuo (saper essere); il comportamento include dei saperi e dei saper fare, ma, secondo questo approccio, essi non bastano per ottenere una competenza: quest’ultima, infatti, è resa tale proprio dalla presenza di particolari tratti di personalità, disposizioni personali e motivazioni, che rendono l’individuo capace di utilizzare, in modo competente, tutte le risorse di cui dispone. Approccio basato su saperi, saper-fare e saper-essere: All’interno di quest’approccio possiamo far rientrare la definizione di competenza fornita da M. Pellerey (1983), secondo il quale essa indica “l’insieme strutturato di conoscenze, abilità ed atteggiamenti necessari per l’efficace svolgimento di un compito lavorativo”. * Approccio basato sulle competenze cognitive: Secondo tale approccio la competenza rappresenta la capacità di risolvere un problema in modo efficace in un determinato contesto. La competenza, quindi, non è ciò che si fa, bensì il modo attraverso cui si perviene a farlo in modo soddisfacente; tale approccio si rifà alle strategie di risoluzione dei problemi, che sono considerate i fattori esplicativi dell’azione riuscita. La competenza, in altri termini, è la combinazione di diversi fattori tra i quali quelli che giocano il ruolo più importante di integrazione e di guida dell’azione, sono i processi intellettuali. Tale approccio introduce, inoltre, un concetto molto importante: quello secondo il quale la competenza non esiste in sé, ma deve sempre essere situata in rapporto ad un problema particolare e all’interno di un contesto specifico di riferimento. * Inoltre è possibile rintracciare, nell’analisi dei fattori che intervengono nella riuscita dell’azione, tre differenti tipi di “contenuti” della competenza: (fattori per definire un comportamento competente) – quelle che vengono chiamate, dalla psicologia cognitiva, con il nome di conoscenze dichiarative (o “know-what”) e che si riferiscono al sapere di tipo teorico, nozionistico ed accademico; in particolare, in questo contesto, esse indicano un bagaglio di conoscenze circa il lavoro, i compiti, il ruolo, il contesto, l’azienda; – le conoscenze procedurali (o “know-how”), che riguardano invece i metodi, le procedure, i ragionamenti sul “come fare”, e che si costruiscono, al contrario delle precedenti, attraverso le azioni e le esperienze; tali conoscenze segnano e contraddistinguono profondamente l’individuo, che le immagazzina nella memoria a lungo termine e le utilizza nell’affronto di tutte quelle situazioni che richiedono una risoluzione di problemi; – infine, ma non meno importanti, quelle che possiamo genericamente indicare con il nome di disposizioni individuali nei confronti del lavoro, e che comprendono attitudini (mentali, fisiche e sensoriali), motivazioni, valori, rappresentazioni ed atteggiamenti nei confronti del lavoro e fattori strettamente connessi all’identità personale, alla stima e all’immagine di sé. Questi fattori concorrono alla messa in atto di un comportamento competente. (Diapositiva 17) Tornando al concetto di “caratteristica individuale” posta all’interno della definizione di competenza e considerata come il fattore fondante e costitutivo della competenza, scopriamo che essa comprende, al suo interno, un insieme più vasto di caratteristiche specifiche ed, in particolare, si ritiene che la competenza includa 5 diversi aspetti della persona che la possiede: – Motivazioni: “Interesse ricorrente per la situazione o condizione di un obiettivo, presente nella mente e che spinge, dirige e seleziona il comportamento dell’individuo” (D. McClelland, 1971 in L.M. Spencer- S.M. Spencer, 1995); in altre parole le motivazioni costituiscono gli schemi mentali, i bisogni e le spinte interiori che inducono una persona ad agire per il raggiungimento di determinati obiettivi desiderati. – Tratti: “Caratteristiche fisiche ed una generale disposizione a comportarsi o a reagire in un determinato modo ad una situazione o ad una informazione” (L.M. Spencer-S.M. Spencer, 1995). Possono essere considerate caratteristiche appartenenti a questa categoria: Velocità di riflessi, resistenza allo stress e alla fatica, autocontrollo e spirito d’iniziativa, per esempio. – Immagine di sé: tale caratteristica individuale si riferisce all’insieme degli atteggiamenti e dei valori personali, connessi con il concetto di sé; essa risulta collegata anche alla percezione del ruolo e delle norme sociali, cioè di quei comportamenti considerati socialmente accettabili e desiderabili. La fiducia in sé e la convinzione di riuscire in qualsiasi tipo di situazione fanno parte del concetto di sé. – Conoscenze: esse vengono definite come le informazioni che una persona possiede circa un’area specifica; includono conoscenze riguardanti discipline o argomenti specifici, fatti e procedure. Indicano, quindi, ciò che una persona deve sapere per poter raggiungere gli obiettivi di uno specifico lavoro. – Capacità (Skills): tali caratteristiche si riferiscono alle capacità cognitive (ad esempio il pensiero analitico o il pensiero concettuale) e comportamentali di eseguire un determinato compito fisico o intellettuale. Altra definizione di competenza viene offerta dagli studi di R.W. White (1959) secondo il quale la competenza consiste in una generale capacità, conseguita lentamente attraverso prolungate e continue azioni di apprendimento, dell’organismo di interagire efficacemente con l’ambiente; la motivazione è ciò che spinge gli individui a mettere in atto delle azioni che gli consentano di apprendere come migliorare la capacità di padronanza dell’ambiente (in A. Battistelli, 1996). (diapositiva 18) Approccio cognitivo e competenze trasversali B. Sire (1996, in N. Jolis, 1997) propone una tipologia di competenze che distingue: – Competenze teoriche: saperi acquisiti durante la formazione iniziale e continua; – Competenze pratiche: saperi metodologici, tecnici ed organizzativi acquisiti durante l’esperienza lavorativa; – Competenze sociali: esprimono contemporaneamente l’impegno nei confronti dell’organizzazione e le competenze manageriali e comunicative; – Competenze cognitive: insieme delle attitudini (trattare le informazioni, saperle formalizzare, saper valutare una situazione...) alla risoluzione dei problemi in un dato contesto organizzativo. Importante è anche l’approccio cognitivo alla competenza elaborato da S. Michel e M. Ledru (S. Michel e M. Ledru, 1990); questi autori definiscono la competenza come “la capacità di risolvere dei problemi efficacemente in un * dato contesto professionale, in modo da rispondere alle richieste dell’organizzazione”; essa si riferisce, dunque, alle strategie di risoluzione dei problemi messe in atto dagli individui in contesti particolari, e che costituiscono i fattori esplicativi del modo attraverso cui si perviene ad agire in modo soddisfacente. Queste strategie di risoluzione dei problemi rinviano ai processi intellettuali messi in atto quando ci si trova di fronte ad un compito da risolvere; sono proprio tali processi intellettuali, di ordine cognitivo, che guidano l’azione integrando, in una combinazione originale, funzione dello specifico contesto, tutte le competenze e le conoscenze dell’individuo. (diapositiva 19) In particolare, gli autori individuano tre criteri attraverso cui analizzare la competenza: Processi intellettivi: Si parte dal presupposto che quando si arriva alla soluzione di un problema, di qualsiasi natura esso sia, è stato attuato un processo intellettivo (S. Michel, 1993); tali processi sono degli schemi di azione mentali che costituiscono una logica, un modo di fare e di trattare le informazioni relative alla situazione e quelle già possedute dal soggetto, una guida ed un metodo per agire e trovare le soluzioni. Questi processi, costruiti nell’azione attraverso l’esperienza, sono in gran parte incoscienti ed automatizzati e, di conseguenza, vengono trasferiti spontaneamente da un contesto all’altro. A. È possibile raggruppare questi processi in tre grandi famiglie utilizzando come criterio di discriminazione la rappresentazione della soluzione che il soggetto sviluppa nella sua mente quando ragiona: – Applicazione: tale processo è messo in atto ogniqualvolta la procedura di risoluzione del problema è perfettamente definita, l’individuo ha una rappresentazione chiara della soluzione e si riferisce costantemente a delle norme, a delle procedure e ad un modello teorico che gli permettono di sapere sempre dove si trova e cosa deve fare (S. Michel, M. Ledru, 1990); – Adattamento: tale processo si caratterizza per una rappresentazione relativamente chiara della soluzione, in quanto si suppone esistano molteplici possibilità di soluzione allo stesso problema; si tratta, quindi, di scegliere e trasferire la soluzione che si dimostra più adatta al contesto, alle circostanze e alle condizioni attuali (S. Michel, 1993); – Creazione: in questo caso non è presente una rappresentazione della soluzione, in quanto essa è nuova, originale e da scoprire; diventa dunque impossibile riferirsi a delle norme, ad un modello qualunque o a delle regole prestabilite: si tratta di innovare, inventare e creare delle soluzioni (S. Michel, 1993). I saperi di riferimento: Questo criterio permette di comprendere il contesto di riferimento nel quale il lavoratore risolve il problema; in effetti, “se i procedimenti intellettivi costituiscono la dinamica del processo di risoluzione del problema, il quadro di riferimento costituisce il paesaggio nel quale si svolge questa dinamica” (S. Michel e M. Ledru, 1995). Questo quadro di riferimento contiene le informazioni ed i campi di conoscenza che consentono la riuscita nell’azione: i saperi di riferimento rappresentano, infatti, il raggruppamento delle conoscenze indispensabili al successo nell’impiego; essi costituiscono la “biblioteca di base che permette di comprendere, di agire e di apprendere all’interno dell’impiego” (S. Michel e M. Ledru, 1995). Tali saperi non si riferiscono a delle conoscenze particolari e specifiche, bensì a delle “famiglie di conoscenze” stabili che forniscono gli schemi esplicativi a B. partire dai quali verranno integrate tutte le altre nozioni. La relazione con il tempo e con lo spazio: Si tratta della possibilità di analizzare la forma che assume la complessità delle attività richieste da un impiego; tale criterio, infatti, fa riferimento al campo di informazioni e alla complessità delle operazioni mentali, necessarie alla risoluzione dei problemi nel corso dell’attività; la complessità viene considerata in termini di: – spazio: con riferimento alla quantità di elementi da prendere in considerazione e alla varietà delle informazioni da gestire nell’atto della risoluzione del problema; essendo impossibile contare il numero di tali elementi, “si analizzerà lo spazio quasi geografico che viene chiamato in causa al momento della soluzione del problema” (S. Michel, 1993), differenziando almeno quattro livelli distinti: lo spazio circoscritto dell’équipe a cui appartiene l’individuo, lo spazio allargato costituito dall’insieme di più unità di lavoro, lo spazio che include l’intera impresa o, per finire, la spazio che coincide con l’ambiente esterno all’azienda; – tempo: la relazione con il tempo riguarda le prospettive temporali nelle quali il soggetto si situa al momento dell’atto di risoluzione del problema; tale criterio si riferisce alla rappresentazione interiore e spontanea dell’individuo legata allo svolgimento dell’azione nel tempo. Normalmente tale proiezione viene distinta in breve, medio o lungo termine. C. L’interazione relazionale: Tale criterio fa riferimento al tipo di relazioni necessarie, durante lo svolgimento dell’attività, per la risoluzione dei problemi che si pongono; esso non riguarda tanto la dimensione psicoaffettiva o sociale (difficile da misurare) D. dell’aspetto relazionale, bensì il tentativo di capire se e come è necessario entrare in interazione con altre persone per gestire le informazioni coinvolte nel processo intellettivo di risoluzione dei problemi o, in altri termini, se esiste la necessità di integrare, nel processo cognitivo, la dimensione relazionale. L’interazione relazionale viene analizzata attraverso due indicatori: – la frequenza: si riferisce alla quantità di interazioni necessarie per agire efficacemente e si analizza in rapporto al tempo trascorso in interazione, distinguendo due livelli: interazione rara o interazione frequente. – la natura: è possibile riconoscere tre tipi di interazione: “a fianco” (quando il lavoro necessita di integrazione e scambi regolari di informazioni provenienti da altre persone), “frontale” (caratterizzante tutte le relazioni di vendita, negoziazione, accoglienza...) e “con” (quando si tratta di lavori di équipe che implicano una stretta collaborazione e l’integrazione di diverse logiche di pensiero nello svolgimento dell’attività) (S. Michel e M. Ledru, 1995). La competenza nel Bilancio di Competenze (diapositiva 20) La competenza rappresenta il risultato di un processo di continua costruzione personale, complessa ed articolata: “è il soggetto che percepisce la sua competenza, fa il suo Bilancio di Competenze, mette in atto comportamenti competenti e che, intervenendo ed interagendo con il suo contesto professionale, acquisisce, sviluppa e costruisce la sua competenza” (A. Battistelli, 1996). Un secondo elemento costante è quello della contestualità o contingenza della competenza: essa si esprime, infatti, come fattore strettamente collegato al contesto (professionale ed organizzativo) nel quale si manifesta la performance, funzione delle contingenze della situazione e 2.3. degli scopi perseguiti dall’attività e, perciò, inseparabile dall’azione attraverso la quale si esprime e che ne consente l’attualizzazione. È possibile recuperare queste caratteristiche comuni e costitutive della nozione di competenza anche riprendendo la definizione, di alcuni studiosi, secondo cui la competenza indica “un insieme di conoscenze, capacità di azione e di comportamenti strutturati e mobilitati in funzione di uno scopo ed in un contesto determinato”. (diapositiva 21) La legge francese garantisce una definizione del concetto di competenza; infatti la L. 900-2, riguardante le disposizioni relative al Bilancio di Competenze, della legge n° 91-1405 del 31/12/1991, intitolata “Disposizioni in merito ai diritti individuali e collettivi in materia di formazione”. Tale articolo afferma che le azioni miranti alla realizzazione di un Bilancio di Competenze “hanno per obiettivo quello di permettere ai lavoratori di analizzare le loro competenze professionali e personali come le loro attitudini e motivazioni” allo scopo di definire un progetto professionale o, se è il caso, un progetto formativo. Vengono quindi messe in campo tre differenti nozioni – competenze professionali e personali, attitudini e motivazioni – senza, tuttavia, che vengano fornite delle indicazioni più precise circa le loro singole definizioni, le differenze che le caratterizzano ed i loro eventuali rapporti. Pero nella circolare DFP n°93/13 del 19/3/1993 del Ministero del Lavoro ci sono dei chiarimenti “un Bilancio di Competenze deve permettere al lavoratore di passare in rassegna tutte le sue attività professionali allo scopo di: fare il punto sulle sue esperienze personali e professionali; reperire e valutare le sue acquisizioni legate al lavoro, alla formazione e alla vita sociale; meglio identificare i suoi saperi, le sue competenze ed attitudini; scoprire le sue potenzialità inesplorate; raccogliere e strutturare gli elementi che gli consentono di elaborare un progetto professionale e personale; gestire al meglio le sue risorse personali; organizzare le sue priorità professionali; utilizzare al meglio le sue risorse nella negoziazione dell’impiego o nelle scelte di carriera.” Dalla distinzione operata tra le nozioni di “saperi”, “competenze” ed “attitudini” emerge l’idea che esse indichino delle risorse personali di diversa natura: i saperi esprimono, infatti, apprendimenti di conoscenze, le competenze la loro adattabilità ad una pratica professionale, e le attitudini le capacità (fisiche, psicomotorie, verbali e mentali) dell’individuo di mettere in opera le competenze, supportate dai saperi, in una situazione di lavoro. (diapositiva 22) Importante è anche la concezione di competenza, fornita da C. Levy- Leboyer intesa come repertorio di comportamenti che, mettendo in opera in modo integrato attitudini, tratti di personalità e conoscenze acquisite attraverso le esperienze, rende l’individuo capace di eseguire una prestazione efficace in un contesto determinato. Grafico n°1 Da tale modo d’intendere la competenza derivano, quindi, delle importanti conseguenze sul significato e sull’utilità del Bilancio di Competenze; innanzitutto, sottolineando il ruolo dell’esperienza (personale e professionale) nella costruzione della competenza, si enfatizza la sua importanza come mezzo di sviluppo personale e la sua valenza formatrice; In secondo luogo, ciò che viene messo in rilievo dall’approccio di C. Levy-Leboyer è l’enorme importanza dell’immagine di sé, costruita dall’individuo sulla base delle sue esperienze personali, professionali e sociali, nell’influenzare ed indirizzare la dinamica delle azioni individuali prima, durante e dopo un percorso di Bilancio. Pertanto ciò che costituisce fattore determinante all’interno del discorso sul Bilancio di Competenze, è il fatto che è proprio questa immagine di sé a determinare, in gran parte, i comportamenti sociali dell’individuo in termini di influenza sul modo di percepire se stesso e gli altri, sulle strategie sociali adottate, sul modo in cui egli reagisce alle informazioni su di sé provenienti da altri e, soprattutto, sugli obiettivi che egli si fissa e lo sforzo che impegna per la loro realizzazione, cioè sulla motivazione. Il Bilancio di Competenze presuppone l’idea che l’individuo che vi si sottopone possieda un’immagine di sé e delle proprie competenze falsa o, almeno, incompleta, incerta ed imprecisa. In altri termini, l’immagine che gli adulti si costruiscono di loro stessi attraverso un’autovalutazione spontanea, nel corso della loro vita attiva, necessita di essere migliorata e completata attraverso l’apporto di altre informazioni e di confronti sociali. Il Bilancio di Competenze, quindi, risponde a questa esigenza ed interferisce con l’immagine di sé, costruita dalle persone, in diversi modi: prima di tutto, esso può aiutare l’individuo a scoprire ed interpretare i diversi livelli implicati nella propria concezione di sé, fornendogli anche un supporto nello sviluppo di tecniche cognitive che gli consentano di effettuare un’autovalutazione più oggettiva; può, inoltre, attraverso l’apporto di basi di confronto sociale differenti, arricchire le fonti da cui l’individuo riceve informazioni su di sé, mettendolo di fronte ad aspetti della propria identità esistenti ma sempre negati o sottovalutati, ed aiutarlo ad integrarle ed interpretarle in modo da confermare o modificare l’immagine di sé precedentemente elaborata. In altre parole l’idea che sottostà al Bilancio delle Competenze è quella secondo cui non è sufficiente possedere delle competenze, ma è necessario, ai fini di un loro adeguato ed efficace utilizzo, identificarle correttamente e completamente, sapere come e quando metterle in atto ed, infine, elaborare un’immagine chiara e precisa delle proprie capacità e dei propri limiti. Il Bilancio di Competenze ha per scopo, infatti, quello di rendere gli individui consapevoli del potenziale personale a loro disposizione, sviluppando in loro quelle tecniche cognitive necessarie per descriversi ed autovalutarsi e facendogli prendere coscienza del reale peso che le diverse cause (di ordine personale o situazionale) giocano sul successo/insuccesso dei loro comportamenti passati, in modo da concentrare le proprie energie sulle possibilità esistenti per migliorarsi nel futuro, senza lasciarsi influenzare da percezioni negative circa le proprie capacità. 3. La Metodologia del Bilancio di Competenze Le linee di fondo (diapositiva 23) Rispetto alla finalità che il Bilancio si propone di raggiungere – consentire a qualunque lavoratore, in qualsiasi condizione professionale e lavorativa, di fare il punto sulle proprie competenze e risorse personali, allo scopo di elaborare un progetto di sviluppo professionale –, è 3.1. possibile mettere in rilievo alcuni punti fondamentali caratterizzanti la metodologia utilizzata e condivisi da tutti i differenti approcci esaminati. Innanzitutto è importante sottolineare la centralità del soggetto nell’intero processo, sia durante l’analisi e la valutazione delle proprie competenze, che durante la fase di elaborazione del progetto di sviluppo. Il Bilancio, infatti, risponde a domande ed esigenze che partono dall’individuo stesso e che si riferiscono alla sua necessità di ricevere delle informazioni che gli consentano di giungere ad una migliore e più approfondita conoscenza di sé; tale richiesta, che deve essere formalmente esplicitata nella fase preliminare dell’intervento, attraverso la stipulazione di un contratto, nasce dalla volontà e dall’intenzione della persona di gestire in prima persona il proprio sviluppo di carriera. È fondamentale, quindi, per un esito efficace dell’azione di Bilancio, che l’individuo sia disponibile, poiché fortemente motivato, ad accettare ed affrontare attivamente tutti i cambiamenti che si dovessero rendere necessari per la propria crescita personale e professionale. Da questo punto di vista, infatti, un soggetto che si sottopone ad un Bilancio di Competenze è un soggetto che percepisce l’esistenza di una relazione inadeguata tra sé ed il proprio ambiente di lavoro; il Bilancio, quindi, si configura come un’azione di cambiamento nella misura in cui, aiutando l’individuo ad aumentare le proprie capacità di autovalutazione, va ad influire sull’immagine che egli si è costruito di se stesso e sulle rappresentazioni che si è costruito circa le condizioni e le opportunità professionali in cui si trova, modificando, di conseguenza, anche il rapporto tra sé ed il contesto lavorativo. (diapositiva 24) Come evidenzia A. Selvatici (1997) un intervento di Bilancio incide significativamente su almeno tre aspetti: – Il sistema di rappresentazioni: “l’insieme più o meno organizzato di opinioni, credenze, sentimenti che la persona ha su di sé (sulle proprie capacità, conoscenze, interessi e motivazioni) e sul contesto professionale e lavorativo”; – La definizione del problema: “il modo in cui la persona interpreta e da significato agli elementi della situazione in cui si trova e all’inadeguatezza del rapporto tra sé ed il lavoro attuale”; – La configurazione dello scopo: “l’insieme delle soluzioni possibili e degli elementi di tali soluzioni, così come la persona riesce a prefigurarli all’inizio dell’azione di Bilancio”. (diapositiva 25) Quindi per il bilancio delle competenze è necessario: - La disponibilità del soggetto; - La disponibilità al cambiamento; - La sua partecipazione attiva; - Il suo contributo attivo e responsabile durante l’intero percorso di bilancio. Infatti ciò che è importante è che la persona, nel corso dell’intervento, arrivi a comprendere meglio sé ed il suo rapporto con il contesto lavorativo e che diventi consapevole della sua possibilità di mobilitare e trasferire le proprie competenze da un contesto all’altro. A questo scopo diventa fondamentale, nella metodologia del Bilancio di Competenze, sviluppare capacità di autodiagnosi, di ricomposizione e valorizzazione dell’immagine di sé al fine di accrescere la propria autostima e la propria autonomia nel gestire la propria carriera e realizzare un progetto professionale. Un ulteriore aspetto di metodo che accomuna tutte le azioni di Bilancio è la loro finalizzazione operativa che si manifesta attraverso l’elaborazione di un progetto professionale concreto e realistico; L’elaborazione del progetto professionale deve sfociare in un vero e proprio piano d’azione di sviluppo professionale, costruito sulla base di un’attenta esplorazione delle opportunità fornite dal contesto e dal confronto tra queste opportunità ed i vincoli e le risorse possedute dal soggetto, in modo da evidenziare ed indicare con precisione i passi da effettuare per la sua messa in atto e per la realizzazione concreta dello sviluppo personale e professionale auspicato. Si possono differenziare diversi modelli di bilancio o meglio si possono distinguere diversi approcci per la realizzazione di un bilancio di competenza. Approcci e strumenti di misura (diapositiva 26) Esistono, infatti, molteplici modi di effettuazione di un Bilancio di Competenze, anche perché esso si indirizza verso una tipologia di utenza molto diversificata (disoccupati senza qualifiche formali in cerca di un ricollocamento sul mercato del lavoro, lavoratori altamente qualificati coinvolti in processo di riconversione o di mobilità interna all’azienda...) per età, titolo di studio, formazione, posizione lavorativa o livello di qualifica. Distinguiamo, quindi, quattro approcci: 3.2. Approccio relazionale Tale approccio si basa sulla relazione interpersonale, tra soggetto ed operatore, come mezzo fondamentale per la conoscenza di sé; all’interno di tale visione, il Bilancio viene considerato come un’azione direttamente collegata agli interventi, già ampiamente diffusi e sperimentati, di supporto ad adulti in difficoltà, specialmente nel quadro del ricollocamento di disoccupati. I presupposti di partenza su cui esso poggia possono essenzialmente ricondursi ai seguenti: – La conoscenza di sé e la consapevolezza delle proprie risorse costituiscono degli elementi essenziali nel processo orientativo e nella gestione del proprio percorso professionale. – Gli individui sono in grado di risolvere autonomamente i propri problemi: il sostegno consiste, quindi, nell’aiutarli a fare il punto su di sé, non sostituendosi ad essi nella presa di decisioni o fornendogli dei consigli da “esperti”, bensì rendendoli attori del proprio apprendimento, del proprio divenire professionale e dell’elaborazione del percorso d’orientamento, “portandoli ad appropriarsi del proprio futuro” (C. Levy-Leboyer, 1993). In questo senso il processo che conduce all’elaborazione del progetto professionale diventa più rilevante del progetto stesso. – L’intervento del consigliere si inscrive nel quadro di una domanda di tipo affettivo proveniente dal soggetto che ha bisogno di riacquisire valore ai propri occhi e di aumentare la stima che ha di se stesso. – La relazione che si instaura tra il soggetto e l’operatore è, fondamentalmente, di tipo non direttivo, empatica e centrata sul cliente. Il ruolo del consigliere consiste, essenzialmente, non tanto nel fornire l’opinione di un esperto, bensì nell’apportare l’appoggio dello sguardo dell’altro, in quanto “è nel confronto con l’altro che l’individuo prende coscienza di sé” (J. Aubret, F. Aubret e C. Damiani 1990, in C. Levy-Leboyer, 1993). Gli strumenti maggiormente adatti a sostenere tali presupposti sono il colloquio (soprattutto nella forma non direttiva), le tecniche di gruppo ed il materiale di aiuto al processo autobiografico. I colloqui non direttivi, infatti, si rivelano particolarmente efficaci all’interno di tale approccio in quanto servono ad aiutare il soggetto ad analizzare e comprendere da sé i propri problemi, parlandone del tutto liberamente; l’obiettivo che essi si prefiggono di raggiungere è quello di sviluppare un processo di maturazione psicologica e di valorizzazione dell’immagine che il soggetto si è costruito di se stesso, attraverso la riformulazione, da parte del consulente, delle problematiche, delle attese e delle priorità espresse dall’intervistato; tale riformulazione, infatti, permette all’individuo di prendere maggiormente coscienza di ciò che egli stesso ha espresso, in modo informale, circa la descrizione e la percezione della propria situazione personale e professionale. Le tecniche di gruppo hanno per scopo quello di aiutare la persona, attraverso il confronto sociale e l’arricchimento delle informazioni su di sé, nel riconoscimento delle proprie competenze e delle proprie risorse. Il gruppo, infatti, svolge un importante ruolo nei processi di costruzione dell’identità e di sviluppo personale, influendo profondamente, attraverso il confronto con persone aventi lo stesso tipo di problemi, su ciascuno dei suoi membri. La ricostruzione dell’autobiografia riguarda la stesura del percorso personale che include il periodo di formazione e quello della vita attiva. Attraverso tale strumento si tenta di facilitare contemporaneamente il riconoscimento della propria identità e la presa di coscienza delle proprie competenze descritte attraverso il racconto delle proprie esperienze professionali passate (es.: le “storie di vita”). Il portafoglio di competenze rappresenta un esempio particolarmente adatto al Bilancio di Competenze: esso consiste in un dossier composto da schede distinte che vertono su aree specifiche relative alle esperienze e alle acquisizioni del soggetto, e che lo aiutano a fare il punto sulle risorse di cui dispone e sulle concrete possibilità di evoluzione professionale che gli si prospettano. Approccio differenziale Un secondo tipo di approccio che può caratterizzare le pratiche di Bilancio è quello che trae spunto ed origine dalla psicologia differenziale, una branca della psicologia che si pone come scopo quello di misurare le differenze interindividuali. Possiamo sintetizzare i presupposti su cui si fonda tale approccio, in questo modo: – Gli individui differiscono tra loro per una serie di fattoricaratteristiche relativamente stabili nel tempo; – Queste differenze interindividuali (che non è possibile osservare) si traducono in comportamenti e performance di vario tipo, osservabili, misurabili e confrontabili; – La misurazione di tali differenze deve essere rigorosa e basata su criteri oggettivi e scientifici, cioè non deve in alcun modo dipendere dalle caratteristiche della persona che misura o della situazione; – Gli strumenti e le tecniche utilizzate, di conseguenza, devono possedere le qualità metriche indispensabili (fedeltà, validità ed affidabilità) ad una misurazione rigorosa. In particolare, la definizione delle caratteristiche individuali che spiegano le differenze osservate a livello di comportamenti e di condotte lavorative, è il risultato di sofisticate ricerche che si appoggiano su metodi statistici ed, in particolare, sull’analisi fattoriale. Il punto focale di tale approccio sono, quindi, proprio gli strumenti che rendono possibile questa misurazione attenta e rigorosa delle caratteristiche personali (attitudini, tratti di personalità, conoscenze ed abilità). Negli strumenti più utilizzati da questo modello rientrano i test (attitudinali, di personalità...), i questionari strutturati e le tecniche di osservazione sistematica del comportamento. Tra le numerose prove esistenti, suscettibili di essere utilizzate nel Bilancio di Competenze, ricordiamo i test di conoscenza, quelli attitudinali (es.: test di attitudine motoria, test d’intelligenza, test d’attitudine verbale...), i questionari di personalità (i cui risultati si traducono in termini di “profilo”), i questionari d’interessi, le scale di valori, i test situazionali (osservazione sistematica dell’individuo posto in una situazione artificiale, di fronte ad un compito da svolgere o un problema da risolvere) oppure osservazioni di comportamenti durante esercitazioni (individuali o di gruppo) di simulazione dell’attività professionale. L’utilità di questi strumenti all’interno di un intervento di Bilancio è sicuramente innegabile in quanto essi sono in grado di fornire dei dati assolutamente validi, precisi ed attendibili su vari aspetti della personalità dell’individuo, coinvolti nel processo di valutazione. Approccio ergonomico Tale approccio, che si concentra sui processi di costruzione e sviluppo della competenza attraverso l’esperienza lavorativa, ci permette di precisare il legame che unisce le conoscenze, le attitudini ed i tratti di personalità, oggetto d’analisi dell’approccio differenziale, alle competenze vere e proprie. Il presupposto di partenza, infatti, è che attitudini, conoscenze e qualità personali costituiscono le caratteristiche individuali che rendono possibile, attraverso le esperienze accumulate, l’acquisizione delle competenze e l’esecuzione efficace dei rispettivi compiti. Le competenze, quindi, pur richiedendo come condizione indispensabile di sviluppo il possesso di tali caratteristiche personali, non possono essere ridotte ad una somma di attitudini, conoscenze e tratti di personalità, in quanto esse implicano un’esperienza ed una padronanza reale del compito e mettono in gioco rappresentazioni ed immagini operative della situazione, costruite ed apprese progressivamente dal soggetto nel corso del proprio lavoro. Le competenze, strettamente legate ad un’attività professionale, costituiscono, dunque, delle procedure d’uso delle informazioni possedute dal soggetto che gli permettono di affrontare un compito o una situazione guidato da una rappresentazione che integra i suoi saperi in modo funzionale e adattivo al risultato da raggiungere. Il ruolo dell’esperienza nell’acquisizione delle competenze è, quindi, fondamentale anche se non sufficiente in quanto per poter trarre delle lezioni efficaci da essa, è necessario che l’individuo possieda delle conoscenze di base e delle attitudini indispensabili; questo problema rinvia allo studio del ruolo svolto dalle attitudini nell’apprendimento delle competenze: molte ricerche sull’apprendimento di compiti relativamente semplici hanno, infatti, dimostrato l’importanza delle attitudini (specie di quelle intellettuali e cognitive) soprattutto nella prima fase dell’apprendimento, quando sono necessari un’attenzione ed un controllo cognitivo costanti. Successivamente, il ruolo giocato dalle attitudini generali diminuisce e l’individuo, raggiungendo la fase di automatizzazione del compito, acquisisce la competenza che gli consente di eseguirlo in modo ottimale senza dover ricorrere continuamente alle funzioni intellettuali. Approccio basato sull’immagine di sé Tale approccio è volto ad esplicitare, modificare o completare l’immagine che l’individuo ha di se stesso. Quando il soggetto si trova posto di fronte ad una serie di dati nuovi e contraddittori rispetto all’idea che egli ha di sé, reagisce non tanto rifiutandosi di prendere in considerazione tali informazioni, quanto mettendo in atto uno sforzo attivo per integrarle, attraverso varie procedure cognitive, all’interno di quelle già possedute, in modo da non modificare, se non per migliorarla, l’immagine di sé preesistente. Tali meccanismi cognitivi contribuiscono, quindi, a rinforzare l’idea, molto spesso erronea, vaga, condizionata o incompleta, che il soggetto ha di sé, delle proprie capacità e delle proprie possibilità di sviluppo ed evoluzione professionale, limitando, in questo modo, le probabilità di investimenti sicuri in progetti professionali che, basandosi su informazioni realistiche ed obiettive, possano portare a concreti successi nella gestione della propria carriera. Il Bilancio di Competenze offre al lavoratore, dunque, una grande opportunità di esplicitare e prendere coscienza in modo obiettivo e realistico, attraverso il confronto sociale, di quelle che sono le risorse da giocare, i limiti da superare e le competenze da sviluppare, aumentando, così, anche la fiducia in se stesso e canalizzando consapevolmente tutte le forze di cui dispone, spinto da una motivazione forte, nell’elaborazione e nella realizzazione del progetto di sviluppo. Gli strumenti utilizzati per svolgere tale approccio sono: le scale di stima di sé (comprendenti tabelle di stima di sé generale, e tabelle di stima di sé specifiche, riguardanti ruoli o attività precisi), questionari composti da liste di aggettivi da scegliere che conducono alla stesura di profili individuali, descrizioni o liste di tratti di personalità che il soggetto deve classificare ed ordinare secondo le proprie priorità ed i differenziali semantici. Tali strumenti rappresentano un aiuto fondamentale per il soggetto in quanto gli forniscono una serie di quesiti e di risposte, tra cui scegliere, già definite, strutturate e predeterminate che lo conducono a riflettere su aspetti di sé di cui spesso non è neanche consapevole, costringendolo a prenderli in considerazione e ad autovalutarsi rispetto ad essi; in questo modo l’idea vaga, confusa ed indefinita di sé che conduceva le sue azioni, comincia a prendere forma e a diventare consapevole e, di conseguenza, inizia a diventare oggetto di un eventuale lavoro di sviluppo che il soggetto è disposto a compiere su se stesso. A conclusione di quest’analisi volta ad evidenziare gli aspetti teorici e metodologici relativi al concetto di Bilancio di Competenze ci sembra utile introdurre, come elemento chiave di paragone, la descrizione e l’analisi di uno dei modelli più sviluppati di Bilancio di Competenze: il modello francese. II parte Il Bilancio delle Competenze: gli orientamenti del modello francese Le origini del Bilancio di Competenze ed il contesto istituzionale- normativo di riferimento 1. Il Bilancio di Competenze, nella sua accezione originale e legale, nasce in Francia come azione finalizzata: - allo sviluppo della professionalità; - alla formazione continua; - alle azioni di politica attiva. Le prime origini del Bilancio di Competenze si possono far risalire almeno agli Anni ‘70, quando la legislazione francese ha introdotto i presupposti che sono alla base del Bilancio di Competenze. A causa dei continui mutamenti del mercato del lavoro e vista la necessità di procedere ad un adeguamento e ad una modernizzazione delle politiche e delle metodologie di valutazione e gestione del personale, i responsabili della formazione continua, operanti nelle grandi imprese e nell’équipe del Ministero del Lavoro, s’interrogano sui cambiamenti da apportare alla politica esistente in merito alla formazione professionale permanente. In quest’ottica le parti sociali e lo Stato pervengono alla creazione, all’inizio degli Anni ‘70, di un sistema di gestione delle politiche di formazione, introducendo il diritto (e non più la semplice possibilità) del dipendente di assentarsi dall’impresa per seguire un intervento formativo durante l’orario di lavoro, e l’inserimento della formazione professionale all’interno del quadro di educazione permanente, istituzionalizzando, così, le politiche di formazione continua, che rappresentano infatti due testi base. Attraverso di essi, cioè, viene formalmente riconosciuto a giovani ed adulti il diritto ad una formazione continua (finanziata dalle imprese e controllata dallo Stato) ai fini di consentire un migliore adeguamento alle mutevoli condizioni tecnologiche e lavorative; viene inoltre promosso lo sviluppo di studi e di procedure di valutazione dei requisiti professionali e di riconoscimento/validazione di conoscenze apprese in formazione, esperienze lavorative e competenze professionali. Successivamente, a partire dal 1982, di fronte al moltiplicarsi di situazioni di ristrutturazione industriale, la Delegazione alla formazione professionale (DFP) del Ministero del Lavoro comincia ad ipotizzare e prefigurare delle misure e degli interventi adatti alla situazione pervenendo anche, nel 1986, all’elaborazione di un dispositivo (Circolare DFP del 17/3/1986) volto alla creazione e alla sperimentazione di “Centri Interistituzionali di Bilancio personale e professionale”, allo scopo di aiutare il lavoratore ad identificare, definire e valutare le proprie acquisizioni professionali derivanti dalle sue esperienze formative, lavorative, personali e sociali, e a costruire, sulla base di questo, un progetto di sviluppo professionale e/o formativo. Tali centri, chiamati successivamente “Centri Interistituzionali di Bilancio di Competenze”, o C.I.B.C., costituiscono delle strutture riconosciute dallo Stato e raggruppanti figure professionali di diverso tipo (consulenti d’orientamento, formatori, esperti dell’occupazione, psicologi...) ed appartenenti a differenti istituzioni che si prestano, a vario titolo, all’organizzazione e all’effettuazione di un percorso di Bilancio. Il successo ottenuto dalle attività e dalle iniziative svolte da tali centri portarono, successivamente, alla creazione del dispositivo di Bilancio di Competenze. Tale dispositivo viene prefigurato nella Circolare n° 1944 del 14/6/1989 che offre la possibilità a tutte le persone che lo desiderano (giovani o adulti, lavoratori o disoccupati) di effettuare il proprio Bilancio di Competenze allo scopo di favorire una migliore gestione del proprio avvenire professionale; Successivamente esso trova piena e completa legittimazione nell’Accordo Nazionale Interprofessionale del 3/7/1991 relativo alla formazione e al perfezionamento professionale, che segna un momento fondamentale in materia di formazione professionale continua: esso, infatti, introduce la nozione di congedo di Bilancio di Competenze, che “ha per obiettivo quello di permettere a tutti i lavoratori nel corso della loro vita professionale di partecipare ad un’azione di Bilancio di Competenze, indipendentemente da quelle realizzate per iniziativa dell’impresa” (Art. 321); nello stesso articolo, inoltre, viene precisata la finalità del Bilancio di Competenze che consiste nel “permettere al lavoratore di analizzare le sue competenze professionali ed individuali così come le sue potenzialità mobilitabili nel quadro di un progetto professionale o di un progetto di formazione” e si stabilisce che “l’azione di Bilancio di Competenze da luogo ad un documento di sintesi destinato ad uso esclusivo del lavoratore” (Art. 32-1). Tale provvedimento dispone, quindi, un vero e proprio diritto di ogni lavoratore ad un’autorizzazione di assenza retribuita, per un massimo di 24 ore, per la partecipazione ad azioni di Bilancio di Competenze, esprimendo anche, in questo modo, la possibilità che egli possiede di divenire il vero ed unico responsabile dell’intero processo formativo e di sviluppo. Si stabilisce, inoltre, che il lavoratore ha diritto a richiedere nuovamente un congedo di Bilancio di Competenze dopo un periodo di cinque anni dalla precedente richiesta, evidenziando, così, le concezioni di apprendimento continuo e formazione permanente sottostanti alla normativa. Quindi l’Accordo Nazionale Interprofessionale del 3/7/1991 garantisce: - il diritto di ogni lavoratore ad essere autorizzato ad assentarsi dal posto di lavoro per 24 ore per partecipare alle azioni di bilancio di competenza – il tutto retribuito; - il diritto a richiedere dopo cinque anni dalla precedente richiesta una ulteriore autorizzazione al congedo per bilancio di competenza. Le disposizioni dell’Accordo del 3/7/1991 sono state ulteriormente riprese, ampliate ed approfondite dalla legge n°91-1405 del 31/12/1991 che, all’interno del capitolo dedicato alle disposizioni relative al Bilancio di Competenze, completa l’art. L. 900-2 del codice del lavoro affermando che “le azioni che permettono di realizzare un Bilancio di Competenze entrano ugualmente nel campo di applicazione delle disposizioni relative alla formazione professionale continua”. Tale normativa prevede anche la possibilità che l’intervento di bilancio sia richiesto dal datore di lavoro, all’interno del piano di formazione attuato dall’impresa, alla condizione imprescindibile che il lavoratore esprima il suo personale consenso. I contenuti di tale normativa si traducono, successivamente, in una serie di disposizioni regolamentari, decreti e circolari che, confermando il ruolo di questo nuovo strumento di gestione delle carriere e dei progetti individuali di sviluppo professionale, ne identificano le condizioni di funzionamento. Tra i documenti più importanti si possono menzionare: i. il decreto attuativo della legge del 1991 (decreto n°921075 del 2/10/1992); ii. la circolare della DFP (cir. n°93/13 del 19/3/1993), che precisano ulteriormente i termini e stabiliscono le regole di utilizzo del dispositivo di Bilancio di Competenze sia nell’ambito del congedo individuale di Bilancio di Competenze che in quello del piano di formazione dell’impresa. Da questo quadro emerge, quindi, come le prime attività di Bilancio di Competenze vengano realizzate, a partire dagli Anni ‘80, nell’ambito di servizi pubblici di orientamento e di formazione. iii.Il dispositivo del Bilancio di Competenze L’ampio repertorio di normative e regolamentazioni esistenti nell’ambito delle azioni di Bilancio di Competenze ci permette: 1. di poter conoscere e descrivere le regole, i diritti ed i doveri di tutti gli attori complessivamente coinvolti nel processo; 2. di approfondire anche quali sono le procedure standard attraverso le quali le strutture e gli organismi interessati realizzano un Bilancio di Competenze. a. Attori ed organismi coinvolti nel processo Gli attori e le strutture che, a vario titolo, vengono interpellati per il bilancio delle competenze, sono classificabili in cinque gruppi, aventi ognuno funzioni, responsabilità ed obblighi differenti, ed interagenti tra loro all’interno di un complesso sistema di funzionamento: Lavoratori o beneficiari del Bilancio di Competenze: Secondo la legge i destinatari di azioni di Bilancio di Competenze sono: * 1. Tutti i lavoratori, qualunque livello di qualifica essi possiedano, che abbiano maturato un’anzianità lavorativa di almeno cinque anni (periodo che si riduce in casi particolari come quello di lavoratori a bassa qualificazione); in questo caso, quindi, il lavoratore ha il diritto di richiedere e di usufruire gratuitamente di un “congedo di Bilancio di Competenze” normalmente retribuito, all’interno delle sue ore lavorative. Tale diritto si rinnova dopo un periodo di cinque anni, oppure in concomitanza di cambiamenti di lavoro. Inizialmente, dunque, tale intervento nasce come servizio rivolto in particolare ai lavoratori dipendenti adulti che hanno già maturato un’esperienza professionale. Successivamente esso viene esteso ad un’utenza diversificata per età e stato occupazionale (giovani in cerca di prima occupazione, disoccupati in cerca di lavoro...) assumendo, così, anche i connotati di un’azione orientativa e d’aiuto all’inserimento lavorativo. In ogni casoil lavoratore occupa un posto centrale all’interno del dispositivo poiché egli può essere contemporaneamente richiedente, beneficiario ed, in qualche caso, persino finanziatore del proprio Bilancio; egli, inoltre, è al cuore dell’intero processo in quanto: – il Bilancio di Competenze non può essere attuato senza il suo consenso anche nel caso in cui esso rientri nel piano di formazione stabilito dall’impresa; – egli è il cofirmatario della convenzione tripartita (tra lavoratore, organismo erogatore del bilancio ed organismo paritetico oppure datore di lavoro) obbligatoria prima di ogni azione di Bilancio; tale convenzione costituisce il contratto iniziale che impegna e corresponsabilizza tutte le parti nell’intervento e deve essere stipulata sia nel caso di congedo di Bilancio che in quello di piano di formazione dell’impresa; egli può interrompere il Bilancio di Competenze nella fase preliminare; – egli è considerato come l’unico responsabile e destinatario delle conclusioni dettagliate e del documento di sintesi prodotto dall’azione di Bilancio; – egli rimane sempre attore della propria autovalutazione, con il supporto tecnico fornito dall’organismo prestatario; – egli è colui il quale struttura ed elabora il suo progetto di sviluppo, dopo aver preso coscienza delle proprie – competenze, aver considerato le sue aspirazioni e le sue motivazioni professionali e personali; – egli è anche, infine, colui che può decidere se dare un seguito all’azione di Bilancio: è, infatti, il solo che ha la facoltà di trasmettere, a sua scelta, le informazioni riguardanti i risultati del Bilancio al suo datore di lavoro come a qualsiasi altro possibile interlocutore della sua vita personale e professionale. È evidente, da questo insieme di regole, che la legge tutela in misura massima i diritti del lavoratore beneficiario di un Bilancio di Competenze, in quanto lo considera il solo che, ultimamente, può decidere della realizzazione e dell’utilizzo del suo Bilancio, essendone l’unico ed assoluto proprietario e responsabile. Datori di lavoro: Il datore di lavoro può richiedere, all’interno di un piano di formazione della sua impresa e previo consenso del lavoratore, che venga realizzata un’azione di Bilancio di Competenze a favore di un suo dipendente; in questo caso egli è anche il finanziatore principale di tale intervento e ha la facoltà di scegliere l’organismo prestatario del servizio. Nel caso in cui, invece, sia il lavoratore stesso a richiedere il permesso di assentarsi per usufruire di un intervento di Bilancio, egli è tenuto a rilasciare il congedo di Bilancio di Competenze, remunerando normalmente il dipendente. Il suo contributo di finanziamento dell’intervento, in questo caso, deve essere versato all’OPACIF. * Organismi paritetici patrocinatori: Essi rappresentano l’insieme degli organismi (OPACIF) che svolgono essenzialmente un ruolo amministrativo e finanziario per quanto riguarda i Bilanci di Competenze. * Essi, infatti, si preoccupano di valutare la validità degli organismi prestatari di azioni di Bilancio, segnalando su un apposito elenco i nominativi di quelli ritenuti idonei ed adeguati alla realizzazione della prestazione. Gli organismi paritetici hanno la funzione di controllare che la struttura erogatrice del servizio di Bilancio rispetti determinati presupposti: requisiti (relativi alle risorse materiali e tecniche possedute, alla qualità degli strumenti adottati, alle modalità di esecuzione del procedimento, alle esperienze e alla professionalità delle persone incaricate, all’esistenza e alle caratteristiche della convenzione tripartita e del documento finale di sintesi...) ; principi (di trasparenza, relativo alle condizioni di realizzazione e alle metodologie proposte, di comunicazione, relativo alle informazioni fornite al beneficiario circa la situazione lavorativa attuale, e di fiducia, rispetto alla confidenzialità del processo e dei risultati) che garantiscono l’efficacia del processo. Tali organismi, inoltre, hanno la facoltà di accogliere o di rifiutare la richiesta di finanziamento dell’intervento di Bilancio proveniente dal lavoratore. Organismi prestatari: Sono quelle strutture che sono state riconosciute dagli organismi paritetici e dalla Regione come idonee ed abilitate ad erogare il servizio del Bilancio di Competenze. * Esse sono strutture specialistiche, sia pubbliche che private, sempre esterne alle imprese, le quali, per legge, non possono erogare direttamente la prestazione. Essi vengono scelti, tra la lista proposta dall’organismo paritetico per la realizzazione del Bilancio di Competenze dal lavoratore o dal suo datore di lavoro, a seconda della provenienza della richiesta. Essi devono: 1. disporre di una struttura ben identificata e destinata esclusivamente alla realizzazione di Bilanci di Competenze e di azioni di valutazione o orientamento professionale; 2. utilizzare dei metodi e delle tecniche valide ed affidabili, messe in atto da personale qualificato; 3. attenersi al rispetto della legge per quanto riguarda il segreto professionale e la distruzione del documento di sintesi una volta concluso il processo di Bilancio (salvo domanda contraria espressa esplicitamente dal beneficiario); 4. rispettare le differenti fasi del Bilancio; 5. trasmettere periodicamente al prefetto della Regione e agli organismi paritetici un resoconto statistico e finanziario delle attività di Bilancio messe in atto. Tra le strutture erogatrici più diffuse ricordiamo i CIBC, Centri Interistituzionali di Bilancio di Competenze. Tali strutture, autonome sul piano gestionale ed amministrativo, raccolgono, al loro interno, rappresentanti delle organizzazioni ANPE (Agenzia per l’impiego) ed AFPA (Associazione per la formazione permanente). Stato e Regioni: Il prefetto della Regione deve garantire la validità degli organismi prestatari, controllare le dichiarazioni che gli vengono fornite dagli organismi paritetici e dalle strutture erogatrici, e verificare la realizzazione del seguito dell’azione di Bilancio stabilito dai prestatari al momento della stipulazione della convenzione tripartita. Lo Stato, inoltre, contribuisce, a parziale copertura delle spese di funzionamento del dispositivo, fornendo un contributo finanziario agli organismi prestatari. * Per quanto riguarda i controlli effettuati dallo Stato, la legge afferma che “i controlli amministrativi e finanziari sulle attività degli organismi prestatari del Bilancio di Competenze si esercitano nelle stesse condizioni di quelli esercitati nei confronti degli organismi di formazione” (Art. R. 900-8 del decreto del 2/10/1992). Tra gli obblighi che devono essere rispettati e sull’assolvimento dei quali è previsto un forte controllo da parte delle autorità dello Stato, rivestono una particolare importanza le norme di carattere deontologico. b. Regole deontologiche Le azioni che costituiscono un processo di Bilancio sono sottoposte a degli obblighi deontologici che sono rigidamente stabiliti dalla regolamentazione in tema di Bilancio di Competenze. Queste regole deontologiche, secondo la DFP, concernono soprattutto i seguenti argomenti: – Il rispetto del consenso, volontariamente espresso, del beneficiario per la realizzazione del Bilancio; – La stipulazione di una convenzione tripartita tra il beneficiario, l’organismo prestatario ed il soggetto richiedente ufficialmente (il datore di lavoro o l’organismo paritetico); nel caso il lavoratore si faccia personalmente carico della prestazione, tale convenzione può assumere una forma bipartita; – Il rispetto del segreto professionale nei confronti di tutte le informazioni emergenti nel corso del Bilancio; – La natura delle domande e delle valutazioni fatte al beneficiario: tutte le informazioni richieste devono presentare un legame diretto e necessario con l’obiettivo del Bilancio, così come esso è stato definito dalla legge; il lavoratore, a queste condizioni, è tenuto, da parte sua, a rispondere in assoluta buona fede; – Il Bilancio deve essere organizzato in tre fasi ben distinte ed identificabili; La nozione di possesso dei risultati: il beneficiario è l’unico destinatario dei risultati del documento di sintesi elaborato alla conclusione dell’azione di Bilancio; – La comunicazione integrale dei risultati al beneficiario, cui devono essere restituite la totalità delle informazioni raccolte; – La stesura del documento di sintesi da parte del prestatario sotto la sua unica responsabilità; tale elaborato deve essere sottoposto all’attenzione del beneficiario, prima della sua redazione finale, per eventuali correzioni; – Ricorso a metodi e tecniche affidabili messe in atto da personale qualificato. – iv.Il processo del Bilancio di Competenze a. Finalità e modalità del processo La DFP definisce la realizzazione del Bilancio di Competenze un procedimento attraverso il quale l’individuo impara a modificare il rapporto che intrattiene con il suo ambiente professionale e a diventare attore nella gestione della propria carriera. Tale processo, quindi, gli consente di anticipare i suoi cambiamenti e la sua evoluzione professionale, di definire la propria linea d’azione e di posizionarsi chiaramente all’interno dell’impresa o del mercato del lavoro. Il procedimento per raggiungere i propri scopi deve presentare una una dimensione retrospettiva ed una dimensione prospettica, che devono essere integrate ed assimilate durante l’intero percorso di Bilancio. Per favorire una presa di coscienza realistica della situazione presente e delle eventuali prospettive cui essa apre, infatti, è necessario: definire il contesto dell’impresa ed il mercato del lavoro esistente; – scoprire le prospettive evolutive potenziali e desiderate; – identificare gli elementi chiave del processo di cambiamento nel quale il soggetto è coinvolto. Per quanto riguarda la dimensione retrospettiva, il processo di Bilancio di Competenze dovrà ripercorrere le grandi tappe del percorso professionale dell’individuo, aiutandolo a: – valutare le sue conoscenze generali e professionali, i suoi saper-fare e le sue attitudini; – diventare consapevole dei suoi valori, interessi, aspirazioni e motivazioni; – scoprire le sue risorse e le sue potenzialità inesplorate. – Infine tale processo si pone, come ultima finalità, quella di produrre, come effetti concreti ed immediati: – l’elaborazione di una strategia mirante ad un inserimento professionale duraturo; – il tentativo di migliorare ed approfondire, in seno ad una determinata attività lavorativa, le competenze richieste e possedute, o di acquisire, eventualmente, delle competenze mancanti ma necessarie all’esercizio di possibili attività future; – la preparazione a processi di mobilità interni o esterni all’impresa verso impieghi di livello e responsabilità più elevati; – la volontà, da parte del lavoratore, di una ricerca continua di formazione ed accompagnamento specifici per processi di riconversione e cambiamento di funzioni lavorative. In altri termini, tale processo dovrebbe essere in grado, nella sua globalità, di fornire al lavoratore beneficiario la misura della sua “impiegabilità” che rappresenta “la capacità individuale di mantenersi nello stato di trovare un nuovo impiego, all’interno o all’esterno dell’attività esercitata attualmente. b. Le fasi del processo Il Bilancio di Competenze si caratterizza come percorso, cioè come un insieme di attività e di azioni suddivise in fasi, che la stessa normativa (Decreto n°92-1075 del 2/10/1992, Art. R. 900-1) prevede ed identifica. Essa indica, infatti, che un Bilancio di Competenze, deve comprendere le tre fasi seguenti: Fase preliminare-esplorativa: In questa fase avviene il primo contatto diretto tra il lavoratore e la struttura erogatrice del servizio. 1) Lo scopo fondamentale di questo primo momento è quello di raccogliere tutte le informazioni e gli elementi necessari alla formalizzazione della domanda di Bilancio. L’articolo menzionato sancisce che gli obiettivi della fase preliminare consistono nel: confermare l’impegno del lavoratore beneficiario nel processo di sviluppo; B) definire ed analizzare la natura dei suoi bisogni; C) informarlo delle condizioni di svolgimento del Bilancio di Competenze e dei metodi e tecniche che verranno utilizzate nel corso del procedimento. A) Sostanzialmente questa prima fase dell’intervento risulta essere essenziale in quanto è il momento in cui si decide che tipo di Bilancio deve essere effettuato e quali sono gli scopi che devono essere raggiunti; si tratta, in primo luogo, di identificare, attraverso un colloquio di accoglienza, la natura del problema e dei bisogni dell’individuo, analizzando ed esplicitando le ragioni profonde di tipo personale, sociale e professionale che stanno alla base della richiesta di prestazione. Questa fase si conclude, poi, con la stipulazione del contratto, relativo alle condizioni di realizzazione e alle modalità di utilizzo dei risultati del Bilancio, che viene stabilito tra le diverse parti coinvolte (lavoratore, servizio erogatore e organismo paritario o impresa) le quali, attraverso di esso, si impegnano a rispettarne i termini e a collaborare tra loro. Questo primo incontro, quindi, risulta determinante perché stabilisce le basi e le condizioni del processo e, soprattutto, perché fornisce l’occasione di verificare la piena adesione del beneficiario all’intervento, condizione essenziale per un’azione di Bilancio fondata su una partecipazione attiva, costante e responsabile del consultante. Fase investigativa: Questa fase è la fase di Bilancio in senso stretto, cioè è il momento in cui, a partire dagli elementi emergersi nella fase precedente di analisi dei bisogni, si esercita l’attività di ricostruzione, analisi e valutazione delle competenze. Essa, quindi, viene condotta in funzione degli obiettivi inizialmente stabiliti dai firmatari della convenzione. 2) Oltre ad essere, quindi, una fase completamente e fortemente personalizzata, perché costruita su misura per le specifiche caratteristiche della persona e della situazione coinvolte, essa si rivela, per sua natura, anche evolutiva, in quanto si arricchisce e si costruisce progressivamente nel corso del processo, in conseguenza degli avvenimenti che si producono e delle informazioni che si aggiungono durante il suo svolgimento. In particolare la legge stabilisce che la fase investigativa deve permettere al beneficiario di: analizzare le sue motivazioni ed i suoi interessi professionali e personali; B) identificare le sue competenze e le sue attitudini professionali e personali e, se è il caso, valutare le sue conoscenze generali; C) determinare le sue possibilità di evoluzione professionale. A) Mi sembra importante sottolineare il fatto che l’analisi, prevista in questa fase, si concentra, oltre che sulla valutazione delle diverse componenti della personalità (attitudini, valori, interessi, motivazioni..), sulla valutazione delle conoscenze e soprattutto delle esperienze professionali (abilità e competenze) del soggetto. Fase conclusiva: Questa fase, condotta attraverso dei colloqui personalizzati, deve permettere al beneficiario di: 3) venire a conoscenza dei risultati dettagliati prodotti dalla fase investigativa; B) identificare i fattori suscettibili di favorire od ostacolare la realizzazione di un progetto professionale o, se è necessario, di un progetto di formazione; C) prevedere le principali tappe della messa in opera di questo progetto. A) Tutti i dati raccolti devono essere restituiti al beneficiario attraverso dei colloqui individuali ed attraverso un documento di sintesi, a suo uso esclusivo, previsto obbligatoriamente dall’Art. L. 900-4-1. Tale documento deve essere redatto dall’operatore incaricato di prestare il servizio e deve contenere tutte le spiegazioni e le conclusioni relative alle fasi precedenti. Una volta completato, tale documento deve essere discusso con il beneficiario del Bilancio per raccogliere le sue osservazioni in merito e, alla fine, consegnatogli definitivamente per l’utilizzo che egli stesso riterrà di farne. Tale fase rappresenta, quindi, un momento di sintesi durante il quale il soggetto, una volta riappropriatosi dell’insieme complessivo dei risultati del Bilancio emersi precedentemente, viene aiutato e guidato dal soggetto prestatario, ad estrarre e valutare gli elementi in grado di favorire od ostacolare la realizzazione del proprio progetto di sviluppo, concentrandosi, in particolare, sul confronto tra competenze e debolezze possedute, da una parte, e richieste ambientali, dall’altra. A questo punto si ritiene che l’individuo sia in grado di elaborare un piano di azione che preveda mezzi, azioni, tappe ed attività da mettere in atto per raggiungere quegli obiettivi evolutivi di sviluppo che è arrivato a definire. La restituzione dei risultati ha lo scopo di permettere all’individuo di autovalutarsi nuovamente e prendere coscienza degli scarti esistenti tra l’immagine che egli possiede (o meglio possedeva) di sé e quella che l’esperto gli consegna come l’immagine che è emersa di lui durante il Bilancio. Questa nuova percezione di sé permette al beneficiario di attivare un processo di cambiamento ed elaborare un progetto personale, sociale e professionale (che può consistere, per esempio, in un cambiamento di lavoro o nel frequentare un corso di formazione) realistico e coerente, raggiungendo, così, l’obiettivo finale del processo di Bilancio di Competenze. La durata complessiva di un percorso di Bilancio così strutturato varia tra le 16 e le 24 ore, limite stabilito dalla legge come durata massima di un congedo di Bilancio di Competenze retribuito. Bisogna, inoltre, aggiungere che a queste tre fasi, stabilite obbligatoriamente dalla legge, ne può seguire una quarta chiamata, appunto, “seguito” o “fase di accompagnamento”: a distanza di sei mesi dal termine della realizzazione del Bilancio di Competenze, infatti, il lavoratore beneficiario ha la possibilità di richiedere un nuovo intervento come verifica o eventuale rimessa a punto del proprio progetto. c. Gli strumenti utilizzati nel processo Tra il vasto repertorio di strumenti esistenti per la valutazione della persona, quelli che si rivelano particolarmente adatti alla conduzione di un percorso di Bilancio e tra i quali il prestatario sceglie, in funzione degli obiettivi e delle fasi del percorso, quelli più utili agli scopi da raggiungere, possiamo sicuramente includere i seguenti: Il colloquio: esso si presenta come uno degli strumenti fondamentali del Bilancio di Competenze, in quanto, attraverso di esso, si esprime la relazione di aiuto e di chiarificazione svolta dall’operatore nel corso dell’intero processo. La tecnica del colloquio faccia a faccia, con tutte le sue varianti, costituisce uno degli strumenti essenziali per entrare in interazione con il beneficiario e controllare le implicazioni affettive ed i sistemi di difesa che il processo di Bilancio scatena nella persona. In particolare, il colloquio svolge tre funzioni essenziali: una funzione di scambio di informazioni tra intervistatore ed intervistato; una funzione maieutica nel far emergere dal soggetto la sua “immagine di sé”, le sue aspettative ed i suoi progetti; una funzione di osservazione, da parte dell’esperto, di comportamenti e reazioni messi in atto dal consultante. Nella prima fase il colloquio di accoglienza, che assume, normalmente una forma semi-direttiva, si pone lo scopo di definire e determinare il problema del soggetto, attraverso la raccolta di informazioni utili. Nella fase successiva il colloquio, detto diagnostico, tende ad analizzare più profondamente le motivazioni, le aspirazioni e le diverse esperienze professionali possedute dal soggetto, anche con il supporto di semplici strumenti di autovalutazione (dei valori, degli interessi, dell’autostima...); nella fase finale, invece, il colloquio assume una forma non-direttiva e si trasforma in strumento attraverso il quale il consultante e l’esperto sintetizzano ed interpretano le informazioni raccolte, incitano il confronto tra l’immagine che il soggetto ha di sé e gli elementi della realtà emersi durante il processo, incoraggiando, così, l’emergere di nuove prospettive di sviluppo. Gli itinerari autobiografici: rappresentano l’insieme delle tecniche che orientano l’individuo verso la spiegazione, l’analisi e la ricostruzione del proprio passato esperienziale. Tale categoria include, per esempio, l’analisi dei curricula vitae, delle biografie e delle storie di vita (narrazione di elementi e tappe significative della vita familiare, sociale e professionale) in cui si guida il soggetto ad esplorare il suo passato ed il suo presente attraverso delle domande finalizzate a fargli ricostruire la logica dell’evolversi delle diverse tappe e della traiettoria professionale, sottolineando i fili conduttori che la contraddistinguono. Queste inchieste anamnestiche, che hanno per finalità quella di portare alla memoria del soggetto il suo passato, permettono di circoscrivere la storia e l’itinerario professionale del soggetto, facendo emergere degli elementi salienti ai fini dell’elaborazione del progetto di sviluppo. Sempre all’interno di tale gruppo di strumenti possiamo ricordare l’utilizzo di schede che facilitano la ricostruzione delle esperienze personali e lavorative: si tratta di schede e dossier di descrizione delle attività svolte, dei ruoli ricoperti e delle relative competenze esercitate; tali strumenti aiutano il soggetto a riconoscere ed esplicitare in modo chiaro delle abilità, delle conoscenze e delle competenze acquisite ma di cui non aveva piena consapevolezza, indirizzandolo anche verso quelle attività future che richiedono l’impiego di tale patrimonio di risorse da lui possedute. Particolare importanza, per un Bilancio di Competenze, riveste la tecnica di costruzione del cosiddetto “portafoglio di competenze”; questa metodologia permette al consultante di costruire da sé il proprio dossier, di appropriarsi dell’insieme delle sue conoscenze, abilità e competenze, organizzandole e valorizzandole con lo scopo di investirle attivamente in un progetto futuro di sviluppo formativo e professionale. i test ed i questionari: questi strumenti, malgrado il loro utilizzo sia ancora soggetto a molte controversie, vengono affiancati ai precedenti per la valutazione diagnostica e standardizzata di varie componenti della personalità; essi vengono somministrati a discrezione dell’esperto che sceglie quelli più adatti per stabilire una valutazione oggettiva di competenze intellettuali e caratteristiche della personalità del soggetto, da confrontare con le caratteristiche medie della popolazione di riferimento (la popolazione di appartenenza dell’individuo). Tra gli strumenti psicodiagnostici maggiormente utilizzati rientrano i test di personalità, di interessi, di valori ed i test d’efficienza (per esempio test d’intelligenza ed attitudinali). Le simulazioni e le prove professionali: sono situazioni artificiali che riproducono, per quanto è possibile, il contesto ed i problemi incontrabili sul lavoro. Tali situazioni si rivelano molto utili ai fini della valutazione delle competenze, in quanto l’esperto ha la possibilità di osservare direttamente le capacità di adattamento dell’individuo ad un ambiente complesso, le risorse applicate nell’esecuzione di un compito specifico, i suoi comportamenti sociali e le strategie di risoluzione dei problemi che egli mette in atto. Tra le tecniche più conosciute ci sono gli studi di caso, le simulazioni, i giochi d’impresa ed i lavori di gruppo. d. I risultati del processo L’intero e complesso processo di Bilancio di Competenze si conclude con la restituzione dei risultati raggiunti al destinatario dell’intervento che ha la facoltà di usufruirne nel modo che ritiene più opportuno. La legge stabilisce che al termine della fase conclusiva del Bilancio di Competenze venga elaborato, da parte dell’organismo prestatario, un documento di sintesi che non può comportare indicazioni diverse da quelle così definite (Art. L. 900-4-1, Art. R. 900-2): – Le circostanze nelle quali si è sviluppato il Bilancio di Competenze; Le competenze e le attitudini del beneficiario che riguardino le prospettive evolutive considerate; – Gli elementi costitutivi del suo progetto professionale o, eventualmente, del suo progetto di formazione e le principali tappe previste per la sua realizzazione. – Per quanto riguarda il primo contenuto del documento, una circolare della DFP del 1993 precisa che per “indicazioni circa le circostanze” del Bilancio di Competenze si deve intendere: il chiarimento e la spiegazione dell’origine della domanda, attraverso un riassunto della fase preliminare dell’intervento ed una descrizione dei termini stabiliti nella convenzione tripartita iniziale, e la descrizione delle condizioni di realizzazione della prestazione: fasi proposte, durata delle azioni, metodi e strumenti utilizzati, concetti di competenza privilegiati, luoghi ed orari della prestazione. In riferimento alla seconda parte del documento di sintesi, le competenze e le attitudini che devono essere riportate devono riferirsi unicamente alle prospettive di evoluzione considerate; si tratta, quindi, di descrivere i punti di forza e quelli di debolezza dell’individuo, le sue risorse e le competenze da acquisire o sviluppare e di confrontarle con le risorse necessarie per la realizzazione del progetto di sviluppo elaborato. Il documento include, in questo modo, il “portafoglio di competenze” che descrive l’insieme delle competenze acquisite dalla persona e le potenzialità sviluppate nel corso della sua storia personale e professionale; esso rappresenta il ritratto, l’autobiografia dell’individuo comprendendo i principali apprendimenti delle esperienze di vita e di lavoro, le competenze acquisite ufficialmente e le competenze acquisite, ma non ancora validate. Tale documento che, se opportunamente costruito, può costituire la base per il riconoscimento di crediti professionali, rappresenta, per il soggetto, una sorta di memoria-guida del lavoro di analisi fatto su se stesso durante il processo di bilancio, e lo sostiene nelle azioni di messa in opera del progetto stesso. Per finire, il documento di sintesi deve contenere anche gli elementi costitutivi del progetto professionale di sviluppo considerato. La definizione, da parte del beneficiario, di un progetto di sviluppo dimostra il suo impegno in un processo evolutivo, la sua volontà di muoversi e mobilitare tutte le sue risorse per fare una scelta di cambiamento o adattamento professionale o, ancora, per ammettere la necessità di un progetto formativo d’accompagnamento. Tale progetto nasce dal confronto tra l’ambiente professionale (contesto d’impresa o mercato del lavoro) e le caratteristiche personali dell’individuo che, a questo punto, deve essere in grado di organizzare le sue priorità professionali, di utilizzare nel migliore dei modi le sue capacità nelle scelte di carriera e, dunque, di gestire efficacemente le sue risorse personali. Il progetto professionale, così elaborato, deve descrivere gli obiettivi di sviluppo professionale e/o formativo decisi dall’individuo ed indicare i mezzi, le azioni e le fasi di attività che devono essere attuati per il raggiungimento degli obiettivi indicati. Il documento di sintesi, così composto, deve essere stilato dall’organismo prestatario sotto la sua unica responsabilità e consegnato, prima della sua redazione finale, al soggetto beneficiario per permettergli di fare delle eventuali osservazioni e correzioni. Esso, inoltre, costituisce un documento strettamente personale e riservato all’unico destinatario che è il soggetto stesso il quale può decidere se trasmettere i risultati del Bilancio ad un terzo soggetto oppure no (come stabilito dalla convenzione tripartita iniziale); il centro prestatario, infatti, è tenuto, salvo domanda contraria del beneficiario, a distruggere, al termine dell’intervento, tutte le informazioni ed i dati contenuti nel documento.