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bilancio di competenza

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Il Bilancio delle Competenze: per una definizione del
concetto (prima diapositiva)
La nozione di “Bilancio” (seconda diapositiva)
Il Bilancio delle competenze rappresenta un percorso di
valutazione della situazione attuale e potenziale del lavoratore, che
si conclude con l’elaborazione di un progetto che consenta lo sviluppo
professionale della persona.
1.
Bilancio ed Orientamento: quale rapporto? (terza diapositiva)
In primo luogo, bisogna porgere l’attenzione sulla differenza tra il
concetto di orientamento e quello più recente di Bilancio.
Il primo elemento che prendiamo in considerazione per
distinguere i due concetti è: obiettivi da essi perseguiti.
1. Obiettivo dell’orientamento e della pratica orientativa è
quello di pervenire all’elaborazione, da parte dello stesso
soggetto, di un progetto personale o professionale di sviluppo
e di cambiamento;
2. Obiettivo del Bilancio è, invece, quello di permettere,
all’individuo che vi si sottopone, di fare il punto (da cui la
scelta del termine “Bilancio”) della propria situazione
personale e professionale in funzione di una determinata
domanda e di un determinato contesto (S. Michel, 1993).
1.1.
(quarta diapositiva) Da queste prime definizioni emerge in
maniera evidente la differenza e la relazione che unisce le
due pratiche analizzate:
• il Bilancio si rivolge al passato dell’individuo;
• l’orientamento, teso all’elaborazione di un progetto,
risulta proiettato verso il futuro e lo sviluppo del soggetto.
Quindi si può dire che il Bilancio si trova all’interno del
processo di orientamento come momento preposto alla
valutazione delle risorse possedute dall’individuo.
(quinta diapositiva) Il Bilancio consiste in uno strumento di
analisi delle esperienze passate del soggetto allo scopo di
“conteggiare” e mettere sui “due piatti della bilancia” i punti
di forza e di debolezza acquisiti nel corso dell’intera vita
professionale ed extra-professionale.
Il Bilancio risulta indirizzato verso i criteri:
- della misura,
- della valutazione
- del giudizio.
Può essere rappresentato dall’immagine di una
fotografia che rende conto di ciò che l’individuo possiede
e di ciò che non possiede in un dato momento della sua vita
(S. Michel, 1993).
(diapositiva sei) L’obiettivo del Bilancio è, in primo
luogo, quello di valutare il valore di un individuo
analizzando e riconoscendo le competenze, gli interessi e le
motivazioni che egli possiede ma di cui può non essere
consapevole fino a quel momento.
(diapositiva sette) Il Bilancio può essere inteso quale
strumento utilizzato in un determinato momento del
processo di orientamento al fine di fornire quegli elementi
necessari all’elaborazione o alla conferma di un progetto di
sviluppo che investe l’avvenire dell’individuo; esso può
situarsi:
(diapositiva otto)
- sia nella fase propriamente finalizzata all’elaborazione
del progetto, come supporto di riflessione, di analisi e di
misura;
- sia nella fase successiva della sua concretizzazione,
come strumento di conferma delle piste di lavoro
precedentemente costruite.
Per svolgere una attività di bilancio delle competenze su di
un soggetto c’è bisogno di un esperto specialista, il quale
deve dare un giudizio sul soggetto attraverso una
misurazione oggettiva e statica di uno “status quo”.
(diapositiva 9) Per giungere alla definizione di un
bilancio riguardo un soggetto si distinguono due
pratiche: “Bilancio puro” ed “Orientamento puro”.
(Diapositiva 10)
- “orientamento puro” si indirizza verso il perseguimento
di due scopi principali: l’elaborazione di un progetto e,
attraverso questo processo, il raggiungimento di una
maggiore autonomia da parte del soggetto che vi si
sottopone.
Esso si basa essenzialmente sul fornire degli strumenti
di autovalutazione attraverso i quali gli individui, in
modo autonomo e responsabile, diventano capaci di giungere
ad una valutazione obiettiva su di sé, sulla situazione
personale e professionale in cui si trovano, sulle risorse di
cui dispongono, sui vincoli imposti dall’ambiente e sulle
possibilità concrete offerte dal mondo del lavoro: tutti
elementi indispensabili per permettere l’elaborazione di
un progetto personale e professionale che, tenendo conto
del passato e delle condizioni del presente, sappia
proiettarsi verso l’avvenire in un’ottica di sviluppo e
superamento positivo di situazioni di transizione.
(Diapositiva 11)
- “Bilancio puro”: esso consiste in un intervento che ha per
finalità quella di posizionare gli individui, cioè di valutarli
attraverso dei criteri oggettivi per poterli poi confrontare.
Questo modello rinvia essenzialmente a degli strumenti di
valutazione che devono soddisfare certe condizioni
scientifiche di base e rispondere ai requisiti della fedeltà,
della validità e della pertinenza rispetto all’oggetto che
intendono misurare; questi strumenti vengono quindi
utilizzati da un esperto per misurare il più
obiettivamente possibile le caratteristiche
individui che si sottopongono al Bilancio.
degli
Il Bilancio secondo la legge (diapositiva 12)
La pratica del Bilancio delle Competenze e prevista e
disciplinata da una legge francese; essa ci permetterà di
fare chiarezza sull’argomento e sul concetto di “Bilancio”.
Il testo fondamentale della legge n° 91-1405 del 31/12/1991,
riporta questa definizione:
1.2.
“Le azioni di Bilancio di Competenze permettono
ai lavoratori di analizzare le proprie competenze
professionali e personali, così come le proprie
attitudini e motivazioni, allo scopo di determinare
un progetto professionale e, se necessario, un
progetto di formazione”.
Ulteriori precisazioni legislative vengono apportate dalla
Delegazione alla Formazione Professionale (DFP) del
Ministero del Lavoro in una circolare (Cir. DFP. N° 93/13 del
19/3/1993).
All’interno di tale documento ritroviamo un ulteriore
tentativo di definizione e precisazione legale:
“un Bilancio di Competenze deve permettere al
lavoratore di passare in rassegna tutte le sue attività
professionali allo scopo di: fare il punto sulle sue
esperienze personali e professionali; reperire e
valutare le sue acquisizioni legate al lavoro, alla
formazione e alla vita sociale; meglio identificare i
suoi saperi, le sue competenze ed attitudini; scoprire
le sue potenzialità inesplorate; raccogliere e
strutturare gli elementi che gli consentono di
elaborare un progetto professionale e personale;
gestire al meglio le sue risorse personali; organizzare
le sue priorità professionali; utilizzare al meglio le
sue risorse nella negoziazione dell’impiego o nelle
scelte di carriera.”
In un altro articolo dello stesso documento, la DFP
assimila la realizzazione del Bilancio delle Competenze
ad un procedimento attraverso il quale
“l’individuo modifica il rapporto che ha con il suo
ambiente professionale; diventa un compagno, un
attore della gestione della sua carriera. Gli permette
di anticipare e definire la propria linea di azione e,
nel caso di sviluppo di gestione professionale, di
posizionarsi chiaramente, di trovarcisi e prenderci
posto: In questo spirito, il Bilancio delle
Competenze
deve
integrare
totalmente
e
contemporaneamente
una
dimensione
retrospettiva (identificare le grandi tappe di un
percorso professionale per reperire le competenze
acquisite, i centri di interesse, le motivazioni) ed una
dimensione prospettica (formulare scelte, confrontarle
alle realtà interne ed esterne)”.
Da
queste
definizioni
appare
immediato
che
“contrariamente a quello che potrebbe lasciar intendere la
parola bilancio, il Bilancio di Competenze è ben definito come
un processo di azioni, e non come una constatazione di
realizzazioni, esperienze, performances passate” (M.
Joras, 1995).
All’interno di tali definizioni possiamo quindi ritrovare la
compresenza di elementi che appartengono sia al modello
dell’ “orientamento puro”, sia a quello del “bilancio puro”:
da una parte, infatti, si richiama la logica
all’orientamento attraverso la messa in evidenza di un
processo di ricostruzione di sé che vede l’individuo
direttamente coinvolto nella fase di esplorazione delle proprie
risorse in vista della determinazione attiva delle proprie
possibilità di evoluzione professionale; dall’altra, invece,
si sottolinea l’importanza di una valutazione oggettiva delle
competenze e delle attitudini individuali che consente
l’elaborazione di un progetto personale e professionale che,
attraverso un’analisi attenta ed accurata di tutte le
potenzialità spendibili da parte del soggetto, possa
renderlo consapevole delle sue concrete possibilità di
sviluppo.
(diapositiva 13)
Nasce così un nuovo modello di bilancio, una forma
ibrida, detta
“Bilancio di orientamento”.
Esso si configura come una pratica orientativa mirata
all’acquisizione di consapevolezza di sé, da parte del
richiedente, attraverso il riconoscimento e la validazione delle
sue capacità e competenze.
Questo processo include, tra uno dei suoi momenti
fondamentali, la fase del bilancio vero e proprio la quale non
costituisce più il fine dell’intero processo, bensì solo un
mezzo particolarmente adatto per raggiungere l’obiettivo
finale consistente nel favorire lo sviluppo personale e
professionale, e quindi l’occupabilità, dei lavoratori.
Il Bilancio o i Bilanci?
Nonostante l’esistenza di una definizione legislativa che
stabilisce ciò che deve essere inteso per “Bilancio”,
rimangono molti aspetti indefiniti che, interpretati ed
utilizzati diversamente, danno luogo ad una miriade di
applicazioni eterogenee per finalità, strumenti, utenti e per
il significato stesso attribuito al termine “Bilancio”.
(diapositiva 14) Si possono pertanto distinguere diversi
1.3.
tipologie di bilancio in base alle finalità che lo stesso
lavoratore intende produrre:
Bilancio di orientamento: attraverso l’aiuto a prendere
coscienza della propria identità e attraverso un lavoro
sull’immagine di sé, l’individuo è condotto alla
valorizzazione del suo potenziale e all’elaborazione di un
proprio progetto di sviluppo;
✓ Bilancio di valutazione: fase determinante e
prioritaria di una qualsiasi azione formativa,
consistente nell’identificazione delle caratteristiche
individuali suscettibili di essere investite in un processo di
sviluppo e di cambiamento;
✓ Bilancio
psicopedagogico: precisando il percorso
formativo in funzione degli obiettivi di qualificazione
ricercati ed adattando le sue modalità alle caratteristiche
personali precedentemente definite, permette di adeguare
tale percorso in funzione dei risultati osservati.
✓
2.
Il concetto di “competenza” (diapositiva 15)
In questi anni il concetto di competenza si è trovato ad
essere, sempre più, al centro dell’attenzione e dell’interesse di
dibattiti tecnico-scientifico- istituzionali di diversa natura,
all’interno di ambiti professionali e culturali differenti,
tra cui:
✓ La politica di Gestione delle Risorse Umane, che vede
emergere in maniera sempre crescente, l’importanza della
soggettività della risorsa “uomo” come potenziale da
scoprire, sviluppare, valorizzare ed utilizzare all’interno
delle organizzazioni, a discapito della logica tradizionale
centrata sulla mansione e sul compito lavorativo;
✓ Il dibattito istituzionale sulla Riforma del sistema
formativo, indirizzato verso una logica di maggiore
flessibilità in funzione dei cambiamenti del mercato del
lavoro ed attento, tra gli altri problemi, a quello
dell’istituzione di un sistema nazionale per la certificazione
delle competenze e dei percorsi formativi;
✓ Il dibattito sulla riforma dei Servizi per l’Impiego e sul
ruolo dell’orientamento professionale.
Dall’analisi della posizione al concetto di competenza
“Oggi non si amministrano più degli impiegati o degli
uomini, bensì delle competenze”: così S. Michel (1993)
sintetizza la situazione attuale in cui, dopo aver invaso la
gestione delle Risorse Umane e l’impresa, le competenze
riguardano ora anche il settore pubblico dell’impiego.
Il concetto di competenza oggigiorno è fondamentale per
tutte le aziende pubbliche o private che siano,; infatti
con la mondializzazione dell’economia, l’accelerazione dei
mutamenti tecnologici e l’invasione dell’informatica,
nelle aziende sono subentrate problematiche che hanno
costretto le aziende stesse ad affrontare problemi nuovi
come quello della soppressione progressiva di impieghi
tradizionali, centrati soprattutto su attività operative
manuali e mentali meccaniche e ripetitive, e
l’emergenza di nuovi tipi di impiego, costituiti da
mestieri composti e dinamici, attività trasversali e di
gestione del sistema di informazione; in secondo luogo,
emergono i nuovi fenomeni della disoccupazione,
dell’esclusione dal mondo del lavoro e dei processi di
mobilità, interna ed esterna, in cui si trovano coinvolti un
numero sempre maggiore di aziende e lavoratori.
In questo contesto, ciò che diventa indispensabile è la
capacità di raggiungere una certa flessibilità nell’uso e nella
gestione della mano d’opera, concentrandosi sui processi
di formazione continua e di riconversione dei lavoratori; ma,
in particolare, diventa necessario, da parte delle aziende,
imparare a conoscere, analizzare e valutare le risorse umane
esistenti al loro interno, per poterle utilizzare al meglio e per
procedere ad un adeguamento costante degli impieghi e
2.1.
delle competenze, e, da parte del lavoratore, acquisire
consapevolezza del proprio potenziale e delle proprie
competenze per poter gestire, in modo autonomo e
responsabile, l’evoluzione della propria carriera
professionale.
La competenza si pone, quindi, come concetto
chiave in seno alle nuove politiche di gestione delle
Risorse Umane, nelle decisioni riguardanti la selezione,
la formazione ed i piani di carriera aziendali, e nelle
pratiche di orientamento professionale.
In tale contesto di cambiamento quello che acquista
sempre più rilevanza è, infatti, quello che le persone
sanno fare; l’acquisizione, il mantenimento e lo sviluppo
delle
competenze e delle capacità strategiche
rappresentano, quindi, le nuove sfide nel campo della
gestione delle Risorse Umane.
“L’organizzazione del futuro sarà costruita sulle persone;
si punterà sempre meno sulle mansioni [...]: questo
comporta una crescente attenzione alla competenza del
personale; utilizzare le persone come cellule
dell’organizzazione significa costruire le organizzazioni sul
contributo personale e specifico di ciascun collaboratore, in
altre parole, sulla sua competenza” (A. Carretta, M.M.
Dalziel e A. Mitrani, 1992).
È proprio per rispondere a queste nuove esigenze che nasce,
nei primi Anni ‘70, quello che in psicologia organizzativa
viene definito come “movimento delle competenze”;
Dopo aver richiamato, per sommi capi, i fattori che hanno
progressivamente condotto a passare da una centratura sul
lavoro ad una centratura sul soggetto al lavoro, e, quindi,
sulle competenze da esso possedute e mobilitate, diventa
fondamentale riflettere ora sui diversi significati che a
questo termine sono stati attribuiti, per potersi rendere
conto di quanto la mancanza di una definizione di
partenza chiara ed univoca possa condurre ad ambiguità
ed incongruenze.
Approcci e modelli teorici alla competenza
Innanzitutto diamo una definizione di competenza: “Per
competenza intendiamo una caratteristica individuale
causalmente collegata ad una performance efficace o
superiore in una mansione o in una situazione, e che è
misurata sulla base di un criterio prestabilito” (R.E.
Boyatzis, 1982 in L.M. Spencer- S.M. Spencer, 1995); da
questa prima definizione emerge con chiarezza la
dimensione di nesso causale che lega il concetto di
competenza a quello di azione riuscita; in altri termini, la
competenza è “ciò che soggiace all’azione riuscita, ciò che
permette di agire in modo positivo, efficace, riuscito e
competitivo...” (S. Michel, 1993); quello che resta da chiarire
e da determinare con maggiore precisione è ciò che viene
inteso per “caratteristiche individuali”, cioè quali sono
i fattori che consentono alla persona di agire in modo
competente, e quindi con successo, in una mansione o in
un compito; in altri termini, si tratta di determinare gli
elementi che concorrono all’efficacia di un comportamento
professionale.
(diapositiva 16) Pertanto si distinguono sei grandi
approcci alla competenza:
2.2.
Approccio basato sulle attitudini:
Secondo quest’approccio, la competenza risulterebbe
assimilabile al concetto di capacità, definita come “la
possibilità di riuscita nell’esecuzione di un compito o di una
prestazione lavorativa” (H. Pieron, in C. Levy- Leboyer,
J.C. Sperandio, 1993).
*
La competenza consiste, quindi, nella messa in atto delle
attitudini, cioè di quelle disposizioni individuali che
costituiscono il substrato, il fondamento e la condizione di
sviluppo di una capacità; in altri termini, l’attitudine,
preesistente alla capacità, sarebbe una sorta di
“propensione a...” che rappresenta una “capacità virtuale” o
potenziale (W. Levati, 1993). Le attitudini, quindi, essendo
la base delle competenze, sono anche esplicative delle
stesse; si suppone dunque che senza attitudini non ci possa
essere competenza e, in maniera ancora più estrema, se ci
sono le attitudini, c’è riuscita (S. Michel, 1993).
Approccio basato sui saperi:
Questo approccio sostiene che ciò che conduce e spiega
l’azione riuscita è il possesso di conoscenze. Le competenze
si riducono, in questo caso, a dei “saperi messi in atto”; é il
sapere ciò che permette di riuscire, quindi, “più io so, più
sono competente” (S. Michel, 1993). All’interno di tale
concezione diventa possibile stabilire una gerarchia di
competenze sulla base del livello di padronanza delle
conoscenze sottostanti alla competenza stessa: il diploma ed
i titoli di studio diventano, quindi, prove fondamentali
che attestano e provano il possesso di competenze.
*
Approccio basato sui saper-fare:
All’interno di questo approccio, la competenza viene
assimilata all’azione, in particolare all’azione riuscita;
essa viene, infatti, definita come un “saper fare
operazionale valido”, mettendo così in rilievo la
dimensione della messa in opera e collegando strettamente
la competenza al fatto che il saper fare deve essere
praticato, visibile e misurabile.
*
Approccio basato sui comportamenti/saper-essere:
Tale approccio attribuisce un peso determinante, nella
*
spiegazione dell’azione riuscita, al comportamento che, a
sua volta, risulta strettamente collegato alla personalità
dell’individuo (saper essere); il comportamento include dei
saperi e dei saper fare, ma, secondo questo approccio, essi
non bastano per ottenere una competenza: quest’ultima,
infatti, è resa tale proprio dalla presenza di particolari
tratti di personalità, disposizioni personali e motivazioni,
che rendono l’individuo capace di utilizzare, in modo
competente, tutte le risorse di cui dispone.
Approccio basato su saperi, saper-fare e saper-essere:
All’interno di quest’approccio possiamo far rientrare la
definizione di competenza fornita da M. Pellerey (1983),
secondo il quale essa indica “l’insieme strutturato di
conoscenze, abilità ed atteggiamenti necessari per l’efficace
svolgimento di un compito lavorativo”.
*
Approccio basato sulle competenze cognitive:
Secondo tale approccio la competenza rappresenta la
capacità di risolvere un problema in modo efficace in un
determinato contesto. La competenza, quindi, non è ciò
che si fa, bensì il modo attraverso cui si perviene a farlo in
modo soddisfacente; tale approccio si rifà alle strategie di
risoluzione dei problemi, che sono considerate i fattori
esplicativi dell’azione riuscita. La competenza, in altri
termini, è la combinazione di diversi fattori tra i quali
quelli che giocano il ruolo più importante di integrazione
e di guida dell’azione, sono i processi intellettuali. Tale
approccio introduce, inoltre, un concetto molto importante:
quello secondo il quale la competenza non esiste in sé, ma
deve sempre essere situata in rapporto ad un problema
particolare e all’interno di un contesto specifico di
riferimento.
*
Inoltre è possibile rintracciare, nell’analisi dei fattori che
intervengono nella riuscita dell’azione, tre differenti tipi di
“contenuti” della competenza: (fattori per definire un
comportamento competente)
– quelle che vengono chiamate, dalla psicologia cognitiva, con il
nome di
conoscenze dichiarative (o “know-what”) e che si riferiscono
al sapere di tipo teorico, nozionistico ed accademico; in
particolare, in questo contesto, esse indicano un bagaglio
di conoscenze circa il lavoro, i compiti, il ruolo, il
contesto, l’azienda;
– le conoscenze procedurali (o “know-how”), che
riguardano invece i metodi, le procedure, i ragionamenti
sul “come fare”, e che si costruiscono, al contrario delle
precedenti, attraverso le azioni e le esperienze; tali
conoscenze
segnano
e
contraddistinguono
profondamente l’individuo, che le immagazzina nella
memoria a lungo termine e le utilizza nell’affronto di
tutte quelle situazioni che richiedono una risoluzione di
problemi;
– infine, ma non meno importanti, quelle che possiamo
genericamente indicare con il nome di disposizioni
individuali nei confronti del lavoro, e che comprendono
attitudini (mentali, fisiche e sensoriali), motivazioni,
valori, rappresentazioni ed atteggiamenti nei confronti del
lavoro e fattori strettamente connessi all’identità personale,
alla stima e all’immagine di sé.
Questi fattori concorrono alla messa in atto di un
comportamento competente.
(Diapositiva 17)
Tornando al concetto di “caratteristica individuale” posta
all’interno della definizione di competenza e considerata come
il fattore fondante e costitutivo della competenza,
scopriamo che essa comprende, al suo interno, un
insieme più vasto di caratteristiche specifiche ed, in
particolare, si ritiene che la competenza includa 5
diversi aspetti della persona che la possiede:
– Motivazioni: “Interesse ricorrente per la situazione o
condizione di un obiettivo, presente nella mente e che
spinge, dirige e seleziona il comportamento dell’individuo”
(D. McClelland, 1971 in L.M. Spencer- S.M. Spencer, 1995);
in altre parole le motivazioni costituiscono gli schemi
mentali, i bisogni e le spinte interiori che inducono una
persona ad agire per il raggiungimento di determinati
obiettivi desiderati.
– Tratti: “Caratteristiche fisiche ed una generale
disposizione a comportarsi o a reagire in un determinato
modo ad una situazione o ad una informazione” (L.M.
Spencer-S.M. Spencer, 1995).
Possono essere considerate caratteristiche appartenenti a
questa categoria: Velocità di riflessi, resistenza allo
stress e alla fatica, autocontrollo e spirito d’iniziativa, per
esempio.
– Immagine di sé: tale caratteristica individuale si
riferisce all’insieme degli atteggiamenti e dei valori
personali, connessi con il concetto di sé; essa risulta
collegata anche alla percezione del ruolo e delle norme
sociali, cioè di quei comportamenti considerati socialmente
accettabili e desiderabili. La fiducia in sé e la
convinzione di riuscire in qualsiasi tipo di situazione
fanno parte del concetto di sé.
– Conoscenze:
esse vengono definite come le
informazioni che una persona possiede circa un’area
specifica; includono conoscenze riguardanti discipline o
argomenti specifici, fatti e procedure. Indicano, quindi, ciò
che una persona deve sapere per poter raggiungere gli
obiettivi di uno specifico lavoro.
–
Capacità (Skills): tali caratteristiche si riferiscono
alle capacità cognitive (ad esempio il pensiero analitico o il
pensiero concettuale) e comportamentali di eseguire un
determinato compito fisico o intellettuale.
Altra definizione di competenza viene offerta dagli studi di
R.W. White (1959) secondo il quale la competenza
consiste in una generale capacità, conseguita
lentamente attraverso prolungate e continue
azioni di apprendimento, dell’organismo di interagire
efficacemente con l’ambiente; la motivazione è ciò che
spinge gli individui a mettere in atto delle azioni che
gli consentano di apprendere come migliorare la
capacità di padronanza dell’ambiente (in A.
Battistelli, 1996).
(diapositiva 18)
Approccio cognitivo e competenze trasversali
B. Sire (1996, in N. Jolis, 1997) propone una tipologia di
competenze che distingue:
– Competenze teoriche: saperi acquisiti durante la
formazione iniziale e continua;
– Competenze pratiche: saperi metodologici, tecnici ed
organizzativi acquisiti durante l’esperienza lavorativa;
– Competenze sociali: esprimono contemporaneamente
l’impegno nei confronti dell’organizzazione e le
competenze manageriali e comunicative;
– Competenze cognitive: insieme delle attitudini (trattare le
informazioni, saperle formalizzare, saper valutare una
situazione...) alla risoluzione dei problemi in un dato
contesto organizzativo.
Importante è anche l’approccio cognitivo alla competenza
elaborato da S. Michel e M. Ledru (S. Michel e M. Ledru,
1990); questi autori definiscono la competenza come “la
capacità di risolvere dei problemi efficacemente in un
*
dato contesto professionale, in modo da rispondere
alle richieste dell’organizzazione”; essa si riferisce,
dunque, alle strategie di risoluzione dei problemi
messe in atto dagli individui in contesti particolari,
e che costituiscono i fattori esplicativi del modo
attraverso cui si perviene ad agire in modo
soddisfacente. Queste strategie di risoluzione dei
problemi rinviano ai processi intellettuali messi in atto
quando ci si trova di fronte ad un compito da risolvere; sono
proprio tali processi intellettuali, di ordine cognitivo, che
guidano l’azione integrando, in una combinazione
originale, funzione dello specifico contesto, tutte le
competenze e le conoscenze dell’individuo.
(diapositiva 19) In particolare, gli autori individuano tre
criteri attraverso cui analizzare la competenza:
Processi intellettivi:
Si parte dal presupposto che quando si arriva alla
soluzione di un problema, di qualsiasi natura esso sia, è
stato attuato un processo intellettivo (S. Michel, 1993);
tali processi sono degli schemi di azione mentali che
costituiscono una logica, un modo di fare e di trattare le
informazioni relative alla situazione e quelle già possedute
dal soggetto, una guida ed un metodo per agire e trovare le
soluzioni. Questi processi, costruiti nell’azione attraverso
l’esperienza, sono in gran parte incoscienti ed automatizzati e,
di conseguenza, vengono trasferiti spontaneamente da un
contesto all’altro.
A.
È possibile raggruppare questi processi in tre grandi famiglie
utilizzando
come
criterio
di
discriminazione
la
rappresentazione della soluzione che il soggetto sviluppa
nella sua mente quando ragiona:
– Applicazione: tale processo è messo in atto ogniqualvolta
la procedura di risoluzione del problema è perfettamente
definita, l’individuo ha una rappresentazione chiara della
soluzione e si riferisce costantemente a delle norme, a delle
procedure e ad un modello teorico che gli permettono di
sapere sempre dove si trova e cosa deve fare (S. Michel, M.
Ledru, 1990);
– Adattamento: tale processo si caratterizza per una
rappresentazione relativamente chiara della soluzione, in
quanto si suppone esistano molteplici possibilità di soluzione
allo stesso problema; si tratta, quindi, di scegliere e
trasferire la soluzione che si dimostra più adatta al
contesto, alle circostanze e alle condizioni attuali (S. Michel,
1993);
– Creazione: in questo caso non è presente una
rappresentazione della soluzione, in quanto essa è nuova,
originale e da scoprire; diventa dunque impossibile
riferirsi a delle norme, ad un modello qualunque o a delle
regole prestabilite: si tratta di innovare, inventare e creare
delle soluzioni (S. Michel, 1993).
I saperi di riferimento:
Questo criterio permette di comprendere il contesto di
riferimento nel quale il lavoratore risolve il problema; in
effetti, “se i procedimenti intellettivi costituiscono la
dinamica del processo di risoluzione del problema, il
quadro di riferimento costituisce il paesaggio nel quale si
svolge questa dinamica” (S. Michel e M. Ledru, 1995).
Questo quadro di riferimento contiene le informazioni ed
i campi di conoscenza che consentono la riuscita
nell’azione: i saperi di riferimento rappresentano, infatti, il
raggruppamento delle conoscenze indispensabili al
successo nell’impiego; essi costituiscono la “biblioteca di
base che permette di comprendere, di agire e di apprendere
all’interno dell’impiego” (S. Michel e
M. Ledru, 1995). Tali saperi non si riferiscono a delle
conoscenze particolari e specifiche, bensì a delle “famiglie
di conoscenze” stabili che forniscono gli schemi esplicativi a
B.
partire dai quali verranno integrate tutte le altre nozioni.
La relazione con il tempo e con lo spazio:
Si tratta della possibilità di analizzare la forma che
assume la complessità delle attività richieste da un
impiego; tale criterio, infatti, fa riferimento al campo di
informazioni e alla complessità delle operazioni mentali,
necessarie alla risoluzione dei problemi nel corso
dell’attività; la complessità viene considerata in termini
di:
– spazio: con riferimento alla quantità di elementi da
prendere in considerazione e alla varietà delle
informazioni da gestire nell’atto della risoluzione del
problema; essendo impossibile contare il numero di tali
elementi, “si analizzerà lo spazio quasi geografico che
viene chiamato in causa al momento della soluzione del
problema” (S. Michel, 1993), differenziando almeno
quattro livelli distinti: lo spazio circoscritto dell’équipe a
cui appartiene l’individuo, lo spazio allargato costituito
dall’insieme di più unità di lavoro, lo spazio che include
l’intera impresa o, per finire, la spazio che coincide con
l’ambiente esterno all’azienda;
– tempo: la relazione con il tempo riguarda le prospettive
temporali nelle quali il soggetto si situa al momento
dell’atto di risoluzione del problema; tale criterio si
riferisce alla rappresentazione interiore e spontanea
dell’individuo legata allo svolgimento dell’azione nel tempo.
Normalmente tale proiezione viene distinta in breve, medio
o lungo termine.
C.
L’interazione relazionale:
Tale criterio fa riferimento al tipo di relazioni necessarie,
durante lo svolgimento dell’attività, per la risoluzione dei
problemi che si pongono; esso non riguarda tanto la
dimensione psicoaffettiva o sociale (difficile da misurare)
D.
dell’aspetto relazionale, bensì il tentativo di capire se e come
è necessario entrare in interazione con altre persone per
gestire le informazioni coinvolte nel processo intellettivo di
risoluzione dei problemi o, in altri termini, se esiste la
necessità di integrare, nel processo cognitivo, la
dimensione relazionale.
L’interazione relazionale viene analizzata attraverso due
indicatori:
– la frequenza: si riferisce alla quantità di interazioni
necessarie per agire efficacemente e si analizza in
rapporto al tempo trascorso in interazione, distinguendo
due livelli: interazione rara o interazione frequente.
– la natura: è possibile riconoscere tre tipi di
interazione: “a fianco” (quando il lavoro necessita di
integrazione e scambi regolari di informazioni provenienti
da altre persone), “frontale” (caratterizzante tutte le
relazioni di vendita, negoziazione, accoglienza...) e “con”
(quando si tratta di lavori di équipe che implicano una
stretta collaborazione e l’integrazione di diverse logiche
di pensiero nello svolgimento dell’attività) (S. Michel e
M. Ledru, 1995).
La competenza nel Bilancio di Competenze (diapositiva 20)
La competenza rappresenta il risultato di un processo di
continua costruzione personale, complessa ed articolata: “è
il soggetto che percepisce la sua competenza, fa il suo
Bilancio di Competenze, mette in atto comportamenti
competenti e che, intervenendo ed interagendo con il suo
contesto professionale, acquisisce, sviluppa e costruisce la
sua competenza” (A. Battistelli, 1996).
Un secondo elemento costante è quello della contestualità
o contingenza della competenza: essa si esprime,
infatti, come fattore strettamente collegato al contesto
(professionale ed organizzativo) nel quale si manifesta la
performance, funzione delle contingenze della situazione e
2.3.
degli scopi perseguiti dall’attività e, perciò, inseparabile
dall’azione attraverso la quale si esprime e che ne
consente l’attualizzazione.
È possibile recuperare queste caratteristiche comuni e
costitutive della nozione di competenza anche riprendendo la
definizione, di alcuni studiosi, secondo cui la competenza
indica “un insieme di conoscenze, capacità di azione e di
comportamenti strutturati e mobilitati in funzione di uno
scopo ed in un contesto determinato”.
(diapositiva 21) La legge francese garantisce una
definizione del concetto di competenza; infatti la L. 900-2,
riguardante le disposizioni relative al Bilancio di
Competenze, della legge n° 91-1405 del 31/12/1991,
intitolata “Disposizioni in merito ai diritti individuali e
collettivi in materia di formazione”. Tale articolo afferma
che le azioni miranti alla realizzazione di un Bilancio di
Competenze
“hanno per obiettivo quello di permettere ai lavoratori di
analizzare le loro competenze professionali e personali
come le loro attitudini e motivazioni”
allo scopo di definire un progetto professionale o, se è il
caso, un progetto formativo.
Vengono quindi messe in campo tre differenti nozioni –
competenze professionali e personali, attitudini e
motivazioni – senza, tuttavia, che vengano fornite delle
indicazioni più precise circa le loro singole definizioni, le
differenze che le caratterizzano ed i loro eventuali rapporti.
Pero nella circolare DFP n°93/13 del 19/3/1993 del
Ministero del Lavoro ci sono dei chiarimenti
“un Bilancio di Competenze deve permettere al lavoratore di
passare in rassegna tutte le sue attività professionali allo
scopo di: fare il punto sulle sue esperienze personali e
professionali; reperire e valutare le sue acquisizioni legate
al lavoro, alla formazione e alla vita sociale; meglio
identificare i suoi saperi, le sue competenze ed attitudini;
scoprire le sue potenzialità inesplorate; raccogliere e
strutturare gli elementi che gli consentono di elaborare un
progetto professionale e personale; gestire al meglio le sue
risorse personali; organizzare le sue priorità professionali;
utilizzare al meglio le sue risorse nella negoziazione
dell’impiego o nelle scelte di carriera.”
Dalla distinzione operata tra le nozioni di “saperi”,
“competenze” ed “attitudini” emerge l’idea che esse
indichino delle risorse personali di diversa natura: i
saperi esprimono, infatti, apprendimenti di conoscenze, le
competenze la loro adattabilità ad una pratica
professionale, e le attitudini le capacità (fisiche,
psicomotorie, verbali e mentali) dell’individuo di mettere
in opera le competenze, supportate dai saperi, in una
situazione di lavoro.
(diapositiva 22) Importante è anche la concezione di
competenza, fornita da C. Levy- Leboyer intesa come
repertorio di comportamenti che, mettendo in opera in modo
integrato attitudini, tratti di personalità e conoscenze
acquisite attraverso le esperienze, rende l’individuo
capace di eseguire una prestazione efficace in un contesto
determinato.
Grafico n°1
Da tale modo d’intendere la competenza derivano,
quindi, delle importanti conseguenze sul significato e
sull’utilità del Bilancio di Competenze; innanzitutto,
sottolineando il ruolo dell’esperienza (personale e
professionale) nella costruzione della competenza, si
enfatizza la sua importanza come mezzo di sviluppo
personale e la sua valenza formatrice;
In secondo luogo, ciò che viene messo in rilievo
dall’approccio di C. Levy-Leboyer è l’enorme importanza
dell’immagine di sé, costruita dall’individuo sulla base
delle sue esperienze personali, professionali e sociali,
nell’influenzare ed indirizzare la dinamica delle azioni
individuali prima, durante e dopo un percorso di Bilancio.
Pertanto ciò che costituisce fattore determinante
all’interno del discorso sul Bilancio di Competenze, è il fatto
che è proprio questa immagine di sé a determinare, in
gran parte, i comportamenti sociali dell’individuo in
termini di influenza sul modo di percepire se stesso e gli
altri, sulle strategie sociali adottate, sul modo in cui egli
reagisce alle informazioni su di sé provenienti da altri e,
soprattutto, sugli obiettivi che egli si fissa e lo sforzo che
impegna per la loro realizzazione, cioè sulla motivazione.
Il Bilancio di Competenze presuppone l’idea che l’individuo che vi si
sottopone possieda un’immagine di sé e delle proprie
competenze falsa o, almeno, incompleta, incerta ed imprecisa.
In altri termini, l’immagine che gli adulti si costruiscono di
loro stessi attraverso un’autovalutazione spontanea, nel
corso della loro vita attiva, necessita di essere migliorata e
completata attraverso l’apporto di altre informazioni e di
confronti sociali. Il Bilancio di Competenze, quindi,
risponde a questa esigenza ed interferisce con l’immagine
di sé, costruita dalle persone, in diversi modi: prima di tutto,
esso può aiutare l’individuo a scoprire ed interpretare i
diversi livelli implicati nella propria concezione di sé,
fornendogli anche un supporto nello sviluppo di tecniche
cognitive
che
gli
consentano
di
effettuare
un’autovalutazione più oggettiva; può, inoltre, attraverso
l’apporto di basi di confronto sociale differenti, arricchire le
fonti da cui l’individuo riceve informazioni su di sé,
mettendolo di fronte ad aspetti della propria identità
esistenti ma sempre negati o sottovalutati, ed aiutarlo ad
integrarle ed interpretarle in modo da confermare o
modificare l’immagine di sé precedentemente elaborata.
In altre parole l’idea che sottostà al Bilancio delle
Competenze è quella secondo cui non è sufficiente possedere
delle competenze, ma è necessario, ai fini di un loro adeguato
ed efficace utilizzo, identificarle correttamente e
completamente, sapere come e quando metterle in atto ed,
infine, elaborare un’immagine chiara e precisa delle
proprie capacità e dei propri limiti.
Il Bilancio di Competenze ha per scopo, infatti, quello di
rendere gli individui consapevoli del potenziale
personale a loro disposizione, sviluppando in loro quelle
tecniche cognitive necessarie per descriversi ed autovalutarsi
e facendogli prendere coscienza del reale peso che le diverse
cause (di ordine personale o situazionale) giocano sul
successo/insuccesso dei loro comportamenti passati, in
modo da concentrare le proprie energie sulle possibilità
esistenti per migliorarsi nel futuro, senza lasciarsi
influenzare da percezioni negative circa le proprie
capacità.
3.
La Metodologia del Bilancio di Competenze
Le linee di fondo (diapositiva 23)
Rispetto alla finalità che il Bilancio si propone di
raggiungere – consentire a qualunque lavoratore, in
qualsiasi condizione professionale e lavorativa, di fare il
punto sulle proprie competenze e risorse personali, allo
scopo di elaborare un progetto di sviluppo professionale –, è
3.1.
possibile mettere in rilievo alcuni punti fondamentali
caratterizzanti la metodologia utilizzata e condivisi da tutti
i differenti approcci esaminati.
Innanzitutto è importante sottolineare la centralità del
soggetto nell’intero processo, sia durante l’analisi e la
valutazione delle proprie competenze, che durante la fase di
elaborazione del progetto di sviluppo.
Il Bilancio, infatti, risponde a domande ed esigenze che
partono dall’individuo stesso e che si riferiscono alla sua
necessità di ricevere delle informazioni che gli consentano
di giungere ad una migliore e più approfondita conoscenza
di sé; tale richiesta, che deve essere formalmente esplicitata
nella fase preliminare dell’intervento, attraverso la
stipulazione di un contratto, nasce dalla volontà e
dall’intenzione della persona di gestire in prima persona
il proprio sviluppo di carriera.
È fondamentale, quindi, per un esito efficace dell’azione di
Bilancio, che l’individuo sia disponibile, poiché fortemente
motivato, ad accettare ed affrontare attivamente tutti i
cambiamenti che si dovessero rendere necessari per la
propria crescita personale e professionale.
Da questo punto di vista, infatti, un soggetto che si
sottopone ad un Bilancio di Competenze è un soggetto
che percepisce l’esistenza di una relazione inadeguata tra
sé ed il proprio ambiente di lavoro; il Bilancio, quindi, si
configura come un’azione di cambiamento nella misura in
cui, aiutando l’individuo ad aumentare le proprie capacità
di autovalutazione, va ad influire sull’immagine che egli
si è costruito di se stesso e sulle rappresentazioni che
si è costruito circa le condizioni e le opportunità
professionali in cui si trova, modificando, di
conseguenza, anche il rapporto tra sé ed il contesto
lavorativo.
(diapositiva 24) Come evidenzia A. Selvatici (1997) un
intervento di Bilancio incide significativamente su almeno
tre aspetti:
– Il sistema di rappresentazioni: “l’insieme più o meno
organizzato di opinioni, credenze, sentimenti che la persona
ha su di sé (sulle proprie capacità, conoscenze, interessi e
motivazioni) e sul contesto professionale e lavorativo”;
– La definizione del problema: “il modo in cui la persona
interpreta e da significato agli elementi della situazione
in cui si trova e all’inadeguatezza del rapporto tra sé ed
il lavoro attuale”;
– La configurazione dello scopo: “l’insieme delle soluzioni
possibili e degli elementi di tali soluzioni, così come la
persona riesce a prefigurarli all’inizio dell’azione di
Bilancio”.
(diapositiva 25) Quindi per il bilancio delle competenze è
necessario:
- La disponibilità del soggetto;
- La disponibilità al cambiamento;
- La sua partecipazione attiva;
- Il suo contributo attivo e responsabile durante l’intero
percorso di bilancio.
Infatti ciò che è importante è che la persona, nel corso
dell’intervento, arrivi a comprendere meglio sé ed il suo
rapporto con il contesto lavorativo e che diventi consapevole
della sua possibilità di mobilitare e trasferire le proprie
competenze da un contesto all’altro.
A questo scopo diventa fondamentale, nella metodologia
del Bilancio di Competenze, sviluppare capacità di
autodiagnosi,
di
ricomposizione
e
valorizzazione
dell’immagine di sé al fine di accrescere la propria autostima
e la propria autonomia nel gestire la propria carriera e
realizzare un progetto professionale.
Un ulteriore aspetto di metodo che accomuna tutte le azioni
di Bilancio è la loro finalizzazione operativa che si manifesta
attraverso l’elaborazione di un progetto professionale
concreto e realistico; L’elaborazione del progetto
professionale deve sfociare in un vero e proprio piano
d’azione di sviluppo professionale, costruito sulla base di
un’attenta esplorazione delle opportunità fornite dal
contesto e dal confronto tra queste opportunità ed i vincoli
e le risorse possedute dal soggetto, in modo da evidenziare ed
indicare con precisione i passi da effettuare per la sua messa
in atto e per la realizzazione concreta dello sviluppo
personale e professionale auspicato.
Si possono differenziare diversi modelli di bilancio o meglio
si possono distinguere diversi approcci per la realizzazione
di un bilancio di competenza.
Approcci e strumenti di misura (diapositiva 26)
Esistono, infatti, molteplici modi di effettuazione di un
Bilancio di Competenze, anche perché esso si indirizza
verso una tipologia di utenza molto diversificata
(disoccupati senza qualifiche formali in cerca di un
ricollocamento sul mercato del lavoro, lavoratori altamente
qualificati coinvolti in processo di riconversione o di
mobilità interna all’azienda...) per età, titolo di studio,
formazione, posizione lavorativa o livello di qualifica.
Distinguiamo, quindi, quattro approcci:
3.2.
Approccio relazionale
Tale approccio si basa sulla relazione interpersonale,
tra soggetto ed operatore, come mezzo fondamentale per
la conoscenza di sé; all’interno di tale visione, il Bilancio
viene considerato come un’azione direttamente collegata
agli interventi, già ampiamente diffusi e sperimentati, di
supporto ad adulti in difficoltà, specialmente nel quadro
del ricollocamento di disoccupati.
I presupposti di partenza su cui esso poggia possono
essenzialmente ricondursi ai seguenti:
– La conoscenza di sé e la consapevolezza delle proprie
risorse costituiscono degli elementi essenziali nel processo
orientativo e nella gestione del proprio percorso
professionale.
– Gli
individui sono in grado di risolvere
autonomamente i propri problemi: il sostegno consiste,
quindi, nell’aiutarli a fare il punto su di sé, non sostituendosi
ad essi nella presa di decisioni o fornendogli dei consigli da
“esperti”, bensì rendendoli attori del proprio apprendimento,
del proprio divenire professionale e dell’elaborazione del
percorso d’orientamento, “portandoli ad appropriarsi del
proprio futuro” (C. Levy-Leboyer, 1993). In questo senso
il processo che conduce all’elaborazione del progetto
professionale diventa più rilevante del progetto stesso.
– L’intervento del consigliere si inscrive nel quadro di una
domanda di tipo affettivo proveniente dal soggetto che ha
bisogno di riacquisire valore ai propri occhi e di aumentare
la stima che ha di se stesso.
– La relazione che si instaura tra il soggetto e
l’operatore è, fondamentalmente, di tipo non direttivo,
empatica e centrata sul cliente. Il ruolo del consigliere
consiste, essenzialmente, non tanto nel fornire l’opinione di
un esperto, bensì nell’apportare l’appoggio dello sguardo
dell’altro, in quanto “è nel confronto con l’altro che
l’individuo prende coscienza di sé” (J. Aubret, F. Aubret e C.
Damiani 1990, in C. Levy-Leboyer, 1993).
Gli strumenti maggiormente adatti a sostenere tali
presupposti sono il colloquio (soprattutto nella forma non
direttiva), le tecniche di gruppo ed il materiale di aiuto
al processo autobiografico.
I colloqui non direttivi, infatti, si rivelano particolarmente
efficaci all’interno di tale approccio in quanto servono ad
aiutare il soggetto ad analizzare e comprendere da sé i
propri problemi, parlandone del tutto liberamente;
l’obiettivo che essi si prefiggono di raggiungere è quello di
sviluppare un processo di maturazione psicologica e di
valorizzazione dell’immagine che il soggetto si è costruito
di se stesso, attraverso la riformulazione, da parte del
consulente, delle problematiche, delle attese e delle priorità
espresse dall’intervistato; tale riformulazione, infatti,
permette all’individuo di prendere maggiormente coscienza
di ciò che egli stesso ha espresso, in modo informale, circa
la descrizione e la percezione della propria situazione
personale e professionale.
Le tecniche di gruppo hanno per scopo quello di aiutare la
persona, attraverso il confronto sociale e l’arricchimento
delle informazioni su di sé, nel riconoscimento delle proprie
competenze e delle proprie risorse. Il gruppo, infatti, svolge
un importante ruolo nei processi di costruzione dell’identità
e di sviluppo personale, influendo profondamente, attraverso
il confronto con persone aventi lo stesso tipo di problemi, su
ciascuno dei suoi membri.
La ricostruzione dell’autobiografia riguarda la stesura del
percorso personale che include il periodo di formazione e
quello della vita attiva. Attraverso tale strumento si
tenta di facilitare contemporaneamente il riconoscimento
della propria identità e la presa di coscienza delle proprie
competenze descritte attraverso il racconto delle proprie
esperienze professionali passate (es.: le “storie di vita”).
Il portafoglio di competenze rappresenta un esempio
particolarmente adatto al Bilancio di Competenze: esso
consiste in un dossier composto da schede distinte che
vertono su aree specifiche relative alle esperienze e alle
acquisizioni del soggetto, e che lo aiutano a fare il punto sulle
risorse di cui dispone e sulle concrete possibilità di
evoluzione professionale che gli si prospettano.
Approccio differenziale
Un secondo tipo di approccio che può caratterizzare le
pratiche di Bilancio è quello che trae spunto ed origine dalla
psicologia differenziale, una branca della psicologia che
si pone come scopo quello di misurare le differenze
interindividuali. Possiamo sintetizzare i presupposti su cui
si fonda tale approccio, in questo modo:
– Gli individui differiscono tra loro per una serie di fattoricaratteristiche relativamente stabili nel tempo;
– Queste differenze interindividuali (che non è possibile
osservare) si traducono in comportamenti e performance di
vario tipo, osservabili, misurabili e confrontabili;
– La misurazione di tali differenze deve essere rigorosa
e basata su criteri oggettivi e scientifici, cioè non deve in
alcun modo dipendere dalle caratteristiche della persona
che misura o della situazione;
– Gli strumenti e le tecniche utilizzate, di conseguenza,
devono possedere le qualità metriche indispensabili (fedeltà,
validità ed affidabilità) ad una misurazione rigorosa.
In particolare, la definizione delle caratteristiche
individuali che spiegano le differenze osservate a livello di
comportamenti e di condotte lavorative, è il risultato di
sofisticate ricerche che si appoggiano su metodi statistici ed,
in particolare, sull’analisi fattoriale.
Il punto focale di tale approccio sono, quindi, proprio gli
strumenti che rendono possibile questa misurazione attenta
e rigorosa delle caratteristiche personali (attitudini, tratti di
personalità, conoscenze ed abilità). Negli strumenti più
utilizzati da questo modello rientrano i test (attitudinali,
di personalità...), i questionari strutturati e le tecniche
di osservazione sistematica del comportamento.
Tra le numerose prove esistenti, suscettibili di essere
utilizzate nel Bilancio di Competenze, ricordiamo i test di
conoscenza, quelli attitudinali (es.: test di attitudine
motoria, test d’intelligenza, test d’attitudine verbale...), i
questionari di personalità (i cui risultati si traducono in
termini di “profilo”), i questionari d’interessi, le scale di
valori, i test situazionali (osservazione sistematica
dell’individuo posto in una situazione artificiale, di fronte
ad un compito da svolgere o un problema da risolvere)
oppure
osservazioni
di
comportamenti
durante
esercitazioni (individuali o di gruppo) di simulazione
dell’attività professionale.
L’utilità di questi strumenti all’interno di un intervento di
Bilancio è sicuramente innegabile in quanto essi sono in
grado di fornire dei dati assolutamente validi, precisi ed
attendibili su vari aspetti della personalità
dell’individuo, coinvolti nel processo di valutazione.
Approccio ergonomico
Tale approccio, che si concentra sui processi di
costruzione e sviluppo della competenza attraverso
l’esperienza lavorativa, ci permette di precisare il legame
che unisce le conoscenze, le attitudini ed i tratti di
personalità, oggetto d’analisi dell’approccio differenziale,
alle competenze vere e proprie.
Il presupposto di partenza, infatti, è che attitudini,
conoscenze e qualità personali costituiscono le caratteristiche
individuali che rendono possibile, attraverso le esperienze
accumulate, l’acquisizione delle competenze e l’esecuzione
efficace dei rispettivi compiti.
Le competenze, quindi, pur richiedendo come condizione
indispensabile di sviluppo il possesso di tali caratteristiche
personali, non possono essere ridotte ad una somma di attitudini,
conoscenze e tratti di personalità, in quanto esse implicano
un’esperienza ed una padronanza reale del compito e mettono in
gioco rappresentazioni ed immagini operative della situazione,
costruite ed apprese progressivamente dal soggetto nel corso del
proprio lavoro. Le competenze, strettamente legate ad
un’attività professionale, costituiscono, dunque, delle procedure
d’uso delle informazioni possedute dal soggetto che gli permettono
di affrontare un compito o una situazione guidato da una
rappresentazione che integra i suoi saperi in modo funzionale
e adattivo al risultato da raggiungere. Il ruolo dell’esperienza
nell’acquisizione delle competenze è, quindi, fondamentale anche
se non sufficiente in quanto per poter trarre delle lezioni
efficaci da essa, è necessario che l’individuo possieda delle
conoscenze di base e delle attitudini indispensabili; questo
problema rinvia allo studio del ruolo svolto dalle attitudini
nell’apprendimento
delle
competenze:
molte
ricerche
sull’apprendimento di compiti relativamente semplici hanno,
infatti, dimostrato l’importanza delle attitudini (specie di quelle
intellettuali e cognitive) soprattutto nella prima fase
dell’apprendimento, quando sono necessari un’attenzione ed un
controllo cognitivo costanti. Successivamente, il ruolo giocato
dalle attitudini generali diminuisce e l’individuo, raggiungendo
la fase di automatizzazione del compito, acquisisce la
competenza che gli consente di eseguirlo in modo ottimale senza
dover ricorrere continuamente alle funzioni intellettuali.
Approccio basato sull’immagine di sé
Tale approccio è volto ad esplicitare, modificare o
completare l’immagine che l’individuo ha di se stesso.
Quando il soggetto si trova posto di fronte ad una serie di
dati nuovi e contraddittori rispetto all’idea che egli ha di sé,
reagisce non tanto rifiutandosi di prendere in
considerazione tali informazioni, quanto mettendo in atto uno
sforzo attivo per integrarle, attraverso varie procedure
cognitive, all’interno di quelle già possedute, in modo da
non modificare, se non per migliorarla, l’immagine di sé
preesistente. Tali meccanismi cognitivi contribuiscono,
quindi, a rinforzare l’idea, molto spesso erronea, vaga,
condizionata o incompleta, che il soggetto ha di sé, delle
proprie capacità e delle proprie possibilità di sviluppo ed
evoluzione professionale, limitando, in questo modo, le
probabilità di investimenti sicuri in progetti professionali
che, basandosi su informazioni realistiche ed obiettive,
possano portare a concreti successi nella gestione della
propria carriera.
Il Bilancio di Competenze offre al lavoratore, dunque,
una grande opportunità di esplicitare e prendere
coscienza in modo obiettivo e realistico, attraverso il
confronto sociale, di quelle che sono le risorse da giocare, i
limiti da superare e le competenze da sviluppare,
aumentando, così, anche la fiducia in se stesso e
canalizzando consapevolmente tutte le forze di cui dispone,
spinto da una motivazione forte, nell’elaborazione e nella
realizzazione del progetto di sviluppo.
Gli strumenti utilizzati per svolgere tale approccio sono: le
scale di stima di sé (comprendenti tabelle di stima di sé
generale, e tabelle di stima di sé specifiche, riguardanti ruoli
o attività precisi), questionari composti da liste di
aggettivi da scegliere che conducono alla stesura di profili
individuali, descrizioni o liste di tratti di personalità che il
soggetto deve classificare ed ordinare secondo le proprie
priorità ed i differenziali semantici.
Tali strumenti rappresentano un aiuto fondamentale per il
soggetto in quanto gli forniscono una serie di quesiti e di
risposte, tra cui scegliere, già definite, strutturate e
predeterminate che lo conducono a riflettere su aspetti di
sé di cui spesso non è neanche consapevole,
costringendolo a prenderli in considerazione e ad
autovalutarsi rispetto ad essi; in questo modo l’idea vaga,
confusa ed indefinita di sé che conduceva le sue azioni,
comincia a prendere forma e a diventare consapevole e, di
conseguenza, inizia a diventare oggetto di un eventuale
lavoro di sviluppo che il soggetto è disposto a compiere su
se stesso.
A conclusione di quest’analisi volta ad evidenziare gli
aspetti teorici e metodologici relativi al concetto di Bilancio
di Competenze ci sembra utile introdurre, come elemento
chiave di paragone, la descrizione e l’analisi di uno dei
modelli più sviluppati di Bilancio di Competenze: il
modello francese.
II parte
Il Bilancio delle Competenze:
gli orientamenti del modello francese
Le origini del Bilancio di Competenze ed il contesto
istituzionale- normativo di riferimento
1.
Il Bilancio di Competenze, nella sua accezione originale e
legale, nasce in Francia come azione finalizzata:
-
allo sviluppo della professionalità;
- alla formazione continua;
- alle azioni di politica attiva.
Le prime origini del Bilancio di Competenze si possono
far risalire almeno agli Anni ‘70, quando la legislazione
francese ha introdotto i presupposti che sono alla base del
Bilancio di Competenze.
A causa dei continui mutamenti del mercato del lavoro e vista
la necessità di procedere ad un adeguamento e ad una
modernizzazione delle politiche e delle metodologie di
valutazione e gestione del personale, i responsabili della
formazione continua, operanti nelle grandi imprese e
nell’équipe del Ministero del Lavoro, s’interrogano sui
cambiamenti da apportare alla politica esistente in
merito alla formazione professionale permanente.
In quest’ottica le parti sociali e lo Stato pervengono alla
creazione, all’inizio degli Anni ‘70, di un sistema di gestione
delle politiche di formazione, introducendo il diritto (e non
più la semplice possibilità) del dipendente di assentarsi
dall’impresa per seguire un intervento formativo durante
l’orario di lavoro, e l’inserimento della formazione
professionale all’interno del quadro di educazione permanente,
istituzionalizzando, così, le politiche di formazione
continua, che rappresentano infatti due testi base.
Attraverso di essi, cioè, viene formalmente riconosciuto a
giovani ed adulti il diritto ad una formazione continua
(finanziata dalle imprese e controllata dallo Stato) ai fini
di consentire un migliore adeguamento alle mutevoli
condizioni tecnologiche e lavorative; viene inoltre promosso
lo sviluppo di studi e di procedure di valutazione dei
requisiti professionali e di riconoscimento/validazione di
conoscenze apprese in formazione, esperienze lavorative e
competenze professionali.
Successivamente, a partire dal 1982, di fronte al
moltiplicarsi di situazioni di ristrutturazione industriale, la
Delegazione alla formazione professionale (DFP) del
Ministero del Lavoro comincia ad ipotizzare e prefigurare
delle misure e degli interventi adatti alla situazione
pervenendo anche, nel 1986, all’elaborazione di un
dispositivo (Circolare DFP del 17/3/1986) volto alla creazione
e alla sperimentazione di “Centri Interistituzionali di
Bilancio personale e professionale”, allo scopo di aiutare il
lavoratore ad identificare, definire e valutare le proprie
acquisizioni professionali derivanti dalle sue esperienze
formative, lavorative, personali e sociali, e a costruire,
sulla base di questo, un progetto di sviluppo professionale
e/o formativo.
Tali
centri,
chiamati
successivamente
“Centri
Interistituzionali di Bilancio di Competenze”, o C.I.B.C.,
costituiscono delle strutture riconosciute dallo Stato e
raggruppanti figure professionali di diverso tipo
(consulenti
d’orientamento,
formatori,
esperti
dell’occupazione, psicologi...) ed appartenenti a
differenti istituzioni che si prestano, a vario titolo,
all’organizzazione e all’effettuazione di un percorso di Bilancio.
Il successo ottenuto dalle attività e dalle iniziative svolte da
tali centri portarono, successivamente, alla creazione del
dispositivo di Bilancio di Competenze.
Tale dispositivo viene prefigurato nella Circolare n° 1944
del 14/6/1989 che offre la possibilità a tutte le persone che
lo desiderano (giovani o adulti, lavoratori o disoccupati)
di effettuare il proprio Bilancio di Competenze allo scopo di
favorire una migliore gestione del proprio avvenire
professionale;
Successivamente esso trova piena e completa legittimazione
nell’Accordo
Nazionale
Interprofessionale
del
3/7/1991 relativo alla formazione e al perfezionamento
professionale, che segna un momento fondamentale in
materia di formazione professionale continua: esso, infatti,
introduce la nozione di congedo di Bilancio di Competenze,
che
“ha per obiettivo quello di permettere a tutti i lavoratori nel
corso della loro vita professionale di partecipare ad
un’azione di Bilancio di Competenze, indipendentemente
da quelle realizzate per iniziativa dell’impresa” (Art. 321);
nello stesso articolo, inoltre, viene precisata la finalità del
Bilancio di Competenze che consiste nel
“permettere al lavoratore di analizzare le sue competenze
professionali ed individuali così come le sue potenzialità
mobilitabili nel quadro di un progetto professionale o di un
progetto di formazione”
e si stabilisce che
“l’azione di Bilancio di Competenze da luogo ad un
documento di sintesi destinato ad uso esclusivo del
lavoratore” (Art. 32-1).
Tale provvedimento dispone, quindi, un vero e proprio
diritto di ogni lavoratore ad un’autorizzazione di assenza
retribuita, per un massimo di 24 ore, per la partecipazione
ad azioni di Bilancio di Competenze, esprimendo anche,
in questo modo, la possibilità che egli possiede di divenire
il vero ed unico responsabile dell’intero processo formativo
e di sviluppo.
Si stabilisce, inoltre, che il lavoratore ha diritto a
richiedere nuovamente un congedo di Bilancio di
Competenze dopo un periodo di cinque anni dalla
precedente richiesta, evidenziando, così, le concezioni di
apprendimento continuo e formazione permanente
sottostanti alla normativa.
Quindi l’Accordo Nazionale Interprofessionale del
3/7/1991 garantisce:
- il diritto di ogni lavoratore ad essere
autorizzato ad assentarsi dal posto di
lavoro per 24 ore per partecipare alle
azioni di bilancio di competenza – il tutto
retribuito;
- il diritto a richiedere dopo cinque anni
dalla precedente richiesta una ulteriore
autorizzazione al congedo per bilancio di
competenza.
Le disposizioni dell’Accordo del 3/7/1991 sono state
ulteriormente riprese, ampliate ed approfondite dalla legge
n°91-1405 del 31/12/1991 che, all’interno del capitolo
dedicato alle disposizioni relative al Bilancio di Competenze,
completa l’art. L. 900-2 del codice del lavoro affermando
che
“le azioni che permettono di realizzare un Bilancio di
Competenze entrano ugualmente nel campo di applicazione
delle disposizioni relative alla formazione professionale
continua”.
Tale normativa prevede anche la possibilità che l’intervento
di bilancio sia richiesto dal datore di lavoro, all’interno
del piano di formazione attuato dall’impresa, alla
condizione imprescindibile che il lavoratore esprima il suo
personale consenso.
I contenuti di tale normativa si traducono,
successivamente,
in
una
serie di disposizioni
regolamentari, decreti e circolari che, confermando il ruolo
di questo nuovo strumento di gestione delle carriere e dei
progetti individuali di sviluppo professionale, ne
identificano le condizioni di funzionamento.
Tra i documenti più importanti si possono menzionare:
i. il decreto attuativo della legge del 1991 (decreto n°921075 del 2/10/1992);
ii. la circolare della DFP (cir. n°93/13 del 19/3/1993),
che precisano ulteriormente i termini e stabiliscono le
regole di utilizzo del dispositivo di Bilancio di
Competenze sia nell’ambito del congedo individuale di
Bilancio di Competenze che in quello del piano di
formazione dell’impresa.
Da questo quadro emerge, quindi, come le prime attività di
Bilancio di Competenze vengano realizzate, a partire dagli
Anni ‘80, nell’ambito di servizi pubblici di orientamento e di
formazione.
iii.Il dispositivo del Bilancio di Competenze
L’ampio repertorio di normative e regolamentazioni esistenti
nell’ambito delle azioni di Bilancio di Competenze ci
permette:
1. di poter conoscere e descrivere le regole, i diritti ed i
doveri di tutti gli attori complessivamente coinvolti nel
processo;
2. di approfondire anche quali sono le procedure standard
attraverso le quali le strutture e gli organismi interessati
realizzano un Bilancio di Competenze.
a. Attori ed organismi coinvolti nel processo
Gli attori e le strutture che, a vario titolo, vengono
interpellati per il bilancio delle competenze, sono
classificabili in cinque gruppi, aventi ognuno funzioni,
responsabilità ed obblighi differenti, ed interagenti tra loro
all’interno di un complesso sistema di funzionamento:
Lavoratori o beneficiari del Bilancio di Competenze:
Secondo la legge i destinatari di azioni di Bilancio di
Competenze sono:
*
1. Tutti i lavoratori, qualunque livello di qualifica
essi possiedano, che abbiano maturato un’anzianità
lavorativa di almeno cinque anni (periodo che si riduce
in casi particolari come quello di lavoratori a bassa
qualificazione); in questo caso, quindi, il lavoratore
ha il diritto di richiedere e di usufruire
gratuitamente di un “congedo di Bilancio di
Competenze” normalmente retribuito, all’interno
delle sue ore lavorative. Tale diritto si rinnova dopo un
periodo di cinque anni, oppure in concomitanza di
cambiamenti di lavoro.
Inizialmente, dunque, tale intervento nasce come
servizio rivolto in particolare ai lavoratori dipendenti
adulti che hanno già maturato un’esperienza
professionale.
Successivamente esso viene esteso ad un’utenza
diversificata per età e stato occupazionale (giovani in
cerca di prima occupazione, disoccupati in cerca di
lavoro...) assumendo, così, anche i connotati di
un’azione orientativa e d’aiuto all’inserimento
lavorativo.
In ogni casoil lavoratore occupa un posto centrale
all’interno del dispositivo poiché egli può essere
contemporaneamente richiedente, beneficiario ed, in
qualche caso, persino finanziatore del proprio Bilancio; egli,
inoltre, è al cuore dell’intero processo in quanto:
– il Bilancio di Competenze non può essere attuato senza il
suo consenso anche nel caso in cui esso rientri nel piano
di formazione stabilito dall’impresa;
– egli è il cofirmatario della convenzione tripartita (tra
lavoratore, organismo erogatore del bilancio ed organismo
paritetico oppure datore di lavoro) obbligatoria prima di ogni
azione di Bilancio; tale convenzione costituisce il
contratto iniziale che impegna e corresponsabilizza tutte le
parti nell’intervento e deve essere stipulata sia nel caso di
congedo di Bilancio che in quello di piano di formazione
dell’impresa;
egli può interrompere il Bilancio di Competenze nella fase preliminare;
– egli è considerato come l’unico responsabile e
destinatario delle conclusioni dettagliate e del documento
di sintesi prodotto dall’azione di Bilancio;
– egli
rimane
sempre
attore
della
propria
autovalutazione, con il supporto tecnico fornito
dall’organismo prestatario;
– egli è colui il quale struttura ed elabora il suo progetto
di sviluppo, dopo aver preso coscienza delle proprie
–
competenze, aver considerato le sue aspirazioni e le sue
motivazioni professionali e personali;
– egli è anche, infine, colui che può decidere se dare un
seguito all’azione di Bilancio: è, infatti, il solo che ha la
facoltà di trasmettere, a sua scelta, le informazioni
riguardanti i risultati del Bilancio al suo datore di lavoro
come a qualsiasi altro possibile interlocutore della sua vita
personale e professionale.
È evidente, da questo insieme di regole, che la legge tutela
in misura massima i diritti del lavoratore beneficiario di un
Bilancio di Competenze, in quanto lo considera il solo che,
ultimamente, può decidere della realizzazione e
dell’utilizzo del suo Bilancio, essendone l’unico ed assoluto
proprietario e responsabile.
Datori di lavoro:
Il datore di lavoro può richiedere, all’interno di un piano di
formazione della sua impresa e previo consenso del
lavoratore, che venga realizzata un’azione di Bilancio di
Competenze a favore di un suo dipendente; in questo caso
egli è anche il finanziatore principale di tale intervento e ha
la facoltà di scegliere l’organismo prestatario del servizio.
Nel caso in cui, invece, sia il lavoratore stesso a richiedere il
permesso di assentarsi per usufruire di un intervento di
Bilancio, egli è tenuto a rilasciare il congedo di Bilancio
di Competenze, remunerando normalmente il
dipendente. Il suo contributo di finanziamento
dell’intervento, in questo caso, deve essere versato
all’OPACIF.
*
Organismi paritetici patrocinatori:
Essi rappresentano l’insieme degli organismi (OPACIF) che
svolgono essenzialmente un ruolo amministrativo e
finanziario per quanto riguarda i Bilanci di Competenze.
*
Essi, infatti, si preoccupano di valutare la validità degli
organismi prestatari di azioni di Bilancio, segnalando su un
apposito elenco i nominativi di quelli ritenuti idonei ed
adeguati alla realizzazione della prestazione.
Gli organismi paritetici hanno la funzione di controllare che la
struttura erogatrice del servizio di Bilancio rispetti
determinati presupposti:
requisiti (relativi alle risorse materiali e tecniche
possedute, alla qualità degli strumenti adottati, alle
modalità di esecuzione del procedimento, alle esperienze
e alla professionalità delle persone incaricate,
all’esistenza e alle caratteristiche della convenzione
tripartita e del documento finale di sintesi...) ;
principi (di trasparenza, relativo alle condizioni di
realizzazione e alle metodologie proposte, di
comunicazione, relativo alle informazioni fornite al
beneficiario circa la situazione lavorativa attuale, e di
fiducia, rispetto alla confidenzialità del processo e dei
risultati) che garantiscono l’efficacia del processo.
Tali organismi, inoltre, hanno la facoltà di accogliere o di
rifiutare la richiesta di finanziamento dell’intervento di
Bilancio proveniente dal lavoratore.
Organismi prestatari:
Sono quelle strutture che sono state riconosciute dagli
organismi paritetici e dalla Regione come idonee ed abilitate
ad erogare il servizio del Bilancio di Competenze.
*
Esse sono strutture specialistiche, sia pubbliche che private,
sempre esterne alle imprese, le quali, per legge, non possono
erogare direttamente la prestazione. Essi vengono scelti,
tra la lista proposta dall’organismo paritetico per la
realizzazione del Bilancio di Competenze dal lavoratore o
dal suo datore di lavoro, a seconda della provenienza della
richiesta.
Essi devono:
1. disporre di una struttura ben identificata e destinata
esclusivamente alla realizzazione di Bilanci di
Competenze e di azioni di valutazione o orientamento
professionale;
2. utilizzare dei metodi e delle tecniche valide ed affidabili,
messe in atto da personale qualificato;
3. attenersi al rispetto della legge per quanto riguarda il
segreto professionale e la distruzione del documento di
sintesi una volta concluso il processo di Bilancio (salvo
domanda contraria espressa esplicitamente dal
beneficiario);
4. rispettare le differenti fasi del Bilancio;
5. trasmettere periodicamente al prefetto della Regione e
agli organismi paritetici un resoconto statistico e
finanziario delle attività di Bilancio messe in atto.
Tra le strutture erogatrici più diffuse ricordiamo i CIBC,
Centri Interistituzionali di Bilancio di Competenze.
Tali strutture, autonome sul piano gestionale ed
amministrativo,
raccolgono,
al
loro
interno,
rappresentanti delle organizzazioni ANPE (Agenzia per
l’impiego) ed AFPA (Associazione per la formazione
permanente).
Stato e Regioni:
Il prefetto della Regione deve garantire la validità degli
organismi prestatari, controllare le dichiarazioni che gli
vengono fornite dagli organismi paritetici e dalle
strutture erogatrici, e verificare la realizzazione del
seguito dell’azione di Bilancio stabilito dai prestatari al
momento della stipulazione della convenzione tripartita. Lo
Stato, inoltre, contribuisce, a parziale copertura delle
spese di funzionamento del dispositivo, fornendo un
contributo finanziario agli organismi prestatari.
*
Per quanto riguarda i controlli effettuati dallo Stato, la
legge afferma che
“i controlli amministrativi e finanziari sulle attività degli
organismi prestatari del Bilancio di Competenze si
esercitano nelle stesse condizioni di quelli esercitati nei
confronti degli organismi di formazione” (Art. R. 900-8 del
decreto del 2/10/1992).
Tra gli obblighi che devono essere rispettati e
sull’assolvimento dei quali è previsto un forte controllo da
parte delle autorità dello Stato, rivestono una particolare
importanza le norme di carattere deontologico.
b. Regole deontologiche
Le azioni che costituiscono un processo di Bilancio sono
sottoposte a degli obblighi deontologici che sono
rigidamente stabiliti dalla regolamentazione in tema di
Bilancio di Competenze.
Queste regole deontologiche, secondo la DFP, concernono
soprattutto i seguenti argomenti:
– Il rispetto del consenso, volontariamente espresso, del
beneficiario per la realizzazione del Bilancio;
– La stipulazione di una convenzione tripartita tra il
beneficiario, l’organismo prestatario ed il soggetto
richiedente ufficialmente (il datore di lavoro o l’organismo
paritetico); nel caso il lavoratore si faccia personalmente
carico della prestazione, tale convenzione può assumere una
forma bipartita;
– Il rispetto del segreto professionale nei confronti di
tutte le informazioni emergenti nel corso del Bilancio;
– La natura delle domande e delle valutazioni fatte al
beneficiario: tutte le informazioni richieste devono
presentare un legame diretto e necessario con l’obiettivo
del Bilancio, così come esso è stato definito dalla legge; il
lavoratore, a queste condizioni, è tenuto, da parte sua, a
rispondere in assoluta buona fede;
– Il Bilancio deve essere organizzato in tre fasi ben
distinte ed identificabili;
La nozione di possesso dei risultati: il beneficiario è l’unico
destinatario dei risultati del documento di sintesi
elaborato alla conclusione dell’azione di Bilancio;
– La comunicazione integrale dei risultati al beneficiario,
cui devono essere restituite la totalità delle informazioni
raccolte;
– La stesura del documento di sintesi da parte del
prestatario sotto la sua unica responsabilità; tale
elaborato deve essere sottoposto all’attenzione del
beneficiario, prima della sua redazione finale, per
eventuali correzioni;
– Ricorso a metodi e tecniche affidabili messe in atto da
personale qualificato.
–
iv.Il processo del Bilancio di Competenze
a. Finalità e modalità del processo
La DFP definisce la realizzazione del Bilancio di
Competenze un procedimento attraverso il quale
l’individuo impara a modificare il rapporto che
intrattiene con il suo ambiente professionale e a
diventare attore nella gestione della propria
carriera.
Tale processo, quindi, gli consente di anticipare i suoi
cambiamenti e la sua evoluzione professionale, di
definire la propria linea d’azione e di posizionarsi
chiaramente all’interno dell’impresa o del mercato del
lavoro.
Il procedimento per raggiungere i propri scopi deve
presentare una una dimensione retrospettiva ed una
dimensione prospettica, che devono essere integrate ed
assimilate durante l’intero percorso di Bilancio. Per
favorire una presa di coscienza realistica della situazione
presente e delle eventuali prospettive cui essa apre, infatti,
è necessario:
definire il contesto dell’impresa ed il mercato del lavoro esistente;
– scoprire le prospettive evolutive potenziali e desiderate;
– identificare
gli elementi chiave del processo di
cambiamento nel quale il soggetto è coinvolto.
Per quanto riguarda la dimensione retrospettiva, il processo di
Bilancio di Competenze dovrà ripercorrere le grandi
tappe del percorso professionale dell’individuo,
aiutandolo a:
– valutare le sue conoscenze generali e professionali, i suoi
saper-fare e le sue attitudini;
– diventare consapevole dei suoi valori, interessi,
aspirazioni e motivazioni;
– scoprire le sue risorse e le sue potenzialità inesplorate.
–
Infine tale processo si pone, come ultima finalità, quella di
produrre, come effetti concreti ed immediati:
– l’elaborazione di una strategia mirante ad un inserimento
professionale duraturo;
– il tentativo di migliorare ed approfondire, in seno ad una
determinata attività lavorativa, le competenze richieste e
possedute, o di acquisire, eventualmente, delle competenze
mancanti ma necessarie all’esercizio di possibili attività
future;
– la preparazione a processi di mobilità interni o esterni
all’impresa verso impieghi di livello e responsabilità più
elevati;
– la volontà, da parte del lavoratore, di una ricerca
continua di formazione ed accompagnamento specifici per
processi di riconversione e cambiamento di funzioni
lavorative.
In altri termini, tale processo dovrebbe essere in grado,
nella sua globalità, di fornire al lavoratore beneficiario
la misura della sua “impiegabilità” che rappresenta “la
capacità individuale di mantenersi nello stato di trovare
un nuovo impiego, all’interno o all’esterno dell’attività
esercitata attualmente.
b. Le fasi del processo
Il Bilancio di Competenze si caratterizza come percorso, cioè
come un insieme di attività e di azioni suddivise in fasi, che
la stessa normativa (Decreto n°92-1075 del 2/10/1992, Art.
R. 900-1) prevede ed identifica. Essa indica, infatti, che un
Bilancio di Competenze, deve comprendere le tre fasi
seguenti:
Fase preliminare-esplorativa:
In questa fase avviene il primo contatto diretto tra il
lavoratore e la struttura erogatrice del servizio.
1)
Lo scopo fondamentale di questo primo momento è quello
di raccogliere tutte le informazioni e gli elementi
necessari alla formalizzazione della domanda di
Bilancio.
L’articolo menzionato sancisce che gli obiettivi della fase
preliminare consistono nel:
confermare l’impegno del lavoratore beneficiario nel
processo di sviluppo;
B) definire ed analizzare la natura dei suoi bisogni;
C) informarlo delle condizioni di svolgimento del Bilancio
di Competenze e dei metodi e tecniche che verranno utilizzate
nel corso del procedimento.
A)
Sostanzialmente questa prima fase dell’intervento
risulta essere essenziale in quanto è il momento in cui si
decide che tipo di Bilancio deve essere effettuato e quali
sono gli scopi che devono essere raggiunti;
si tratta, in primo luogo, di identificare, attraverso un
colloquio di accoglienza, la natura del problema e dei
bisogni dell’individuo, analizzando ed esplicitando le
ragioni profonde di tipo personale, sociale e professionale
che stanno alla base della richiesta di prestazione.
Questa fase si conclude, poi, con la stipulazione del
contratto, relativo alle condizioni di realizzazione e alle
modalità di utilizzo dei risultati del Bilancio, che viene
stabilito tra le diverse parti coinvolte (lavoratore,
servizio erogatore e organismo paritario o impresa) le
quali, attraverso di esso, si impegnano a rispettarne i
termini e a collaborare tra loro.
Questo primo incontro, quindi, risulta determinante perché
stabilisce le basi e le condizioni del processo e, soprattutto,
perché fornisce l’occasione di verificare la piena adesione del
beneficiario all’intervento, condizione essenziale per
un’azione di Bilancio fondata su una partecipazione attiva,
costante e responsabile del consultante.
Fase investigativa:
Questa fase è la fase di Bilancio in senso stretto, cioè è il
momento in cui, a partire dagli elementi emergersi nella
fase precedente di analisi dei bisogni, si esercita l’attività di
ricostruzione, analisi e valutazione delle competenze.
Essa, quindi, viene condotta in funzione degli obiettivi
inizialmente stabiliti dai firmatari della convenzione.
2)
Oltre ad essere, quindi, una fase completamente e
fortemente personalizzata, perché costruita su misura per
le specifiche caratteristiche della persona e della situazione
coinvolte, essa si rivela, per sua natura, anche evolutiva, in
quanto si arricchisce e si costruisce progressivamente
nel corso del processo, in conseguenza degli avvenimenti
che si producono e delle informazioni che si aggiungono
durante il suo svolgimento.
In particolare la legge stabilisce che la fase investigativa
deve permettere al beneficiario di:
analizzare le sue motivazioni ed i suoi interessi
professionali e personali;
B) identificare le sue competenze e le sue attitudini
professionali e personali e, se è il caso, valutare le sue
conoscenze generali;
C) determinare le sue possibilità di evoluzione professionale.
A)
Mi sembra importante sottolineare il fatto che l’analisi,
prevista in questa fase, si concentra, oltre che sulla
valutazione delle diverse componenti della personalità
(attitudini, valori, interessi, motivazioni..), sulla valutazione
delle conoscenze e soprattutto delle esperienze
professionali (abilità e competenze) del soggetto.
Fase conclusiva:
Questa fase, condotta attraverso dei colloqui
personalizzati, deve permettere al beneficiario di:
3)
venire a conoscenza dei risultati dettagliati prodotti
dalla fase investigativa;
B) identificare i fattori suscettibili di favorire od
ostacolare la realizzazione di un progetto professionale o,
se è necessario, di un progetto di formazione;
C) prevedere le principali tappe della messa in opera di questo
progetto.
A)
Tutti i dati raccolti devono essere restituiti al beneficiario
attraverso dei colloqui individuali ed attraverso un
documento di sintesi, a suo uso esclusivo, previsto
obbligatoriamente dall’Art. L. 900-4-1.
Tale documento deve essere redatto dall’operatore incaricato
di prestare il servizio e deve contenere tutte le spiegazioni e
le conclusioni relative alle fasi precedenti.
Una volta completato, tale documento deve essere
discusso con il beneficiario del Bilancio per raccogliere le
sue osservazioni in merito e, alla fine, consegnatogli
definitivamente per l’utilizzo che egli stesso riterrà di farne.
Tale fase rappresenta, quindi, un momento di sintesi
durante il quale il soggetto, una volta riappropriatosi
dell’insieme complessivo dei risultati del Bilancio emersi
precedentemente, viene aiutato e guidato dal soggetto
prestatario, ad estrarre e valutare gli elementi in grado
di favorire od ostacolare la realizzazione del proprio
progetto di sviluppo, concentrandosi, in particolare, sul
confronto tra competenze e debolezze possedute, da una
parte, e richieste ambientali, dall’altra. A questo punto si
ritiene che l’individuo sia in grado di elaborare un piano di
azione che preveda mezzi, azioni, tappe ed attività da
mettere in atto per raggiungere quegli obiettivi evolutivi di
sviluppo che è arrivato a definire.
La restituzione dei risultati ha lo scopo di permettere
all’individuo di autovalutarsi nuovamente e prendere
coscienza degli scarti esistenti tra l’immagine che egli
possiede (o meglio possedeva) di sé e quella che l’esperto
gli consegna come l’immagine che è emersa di lui durante
il Bilancio.
Questa nuova percezione di sé permette al beneficiario
di attivare un processo di cambiamento ed elaborare un
progetto personale, sociale e professionale (che può
consistere, per esempio, in un cambiamento di lavoro o nel
frequentare un corso di formazione) realistico e coerente,
raggiungendo, così, l’obiettivo finale del processo di Bilancio
di Competenze.
La durata complessiva di un percorso di Bilancio così
strutturato varia tra le 16 e le 24 ore, limite stabilito dalla
legge come durata massima di un congedo di Bilancio di
Competenze retribuito.
Bisogna, inoltre, aggiungere che a queste tre fasi,
stabilite obbligatoriamente dalla legge, ne può seguire
una quarta chiamata, appunto, “seguito” o “fase di
accompagnamento”: a distanza di sei mesi dal termine
della realizzazione del Bilancio di Competenze, infatti,
il lavoratore beneficiario ha la possibilità di richiedere un
nuovo intervento come verifica o eventuale rimessa a
punto del proprio progetto.
c. Gli strumenti utilizzati nel processo
Tra il vasto repertorio di strumenti esistenti per la
valutazione della persona, quelli che si rivelano
particolarmente adatti alla conduzione di un percorso di
Bilancio e tra i quali il prestatario sceglie, in funzione degli
obiettivi e delle fasi del percorso, quelli più utili agli scopi da
raggiungere, possiamo sicuramente includere i seguenti:
 Il colloquio: esso si presenta come uno degli strumenti
fondamentali del Bilancio di Competenze, in quanto,
attraverso di esso, si esprime la relazione di aiuto e di
chiarificazione svolta dall’operatore nel corso dell’intero
processo. La tecnica del colloquio faccia a faccia, con tutte le
sue varianti, costituisce uno degli strumenti essenziali per
entrare in interazione con il beneficiario e controllare le
implicazioni affettive ed i sistemi di difesa che il processo di
Bilancio scatena nella persona. In particolare, il colloquio
svolge tre funzioni essenziali: una funzione di scambio di
informazioni tra intervistatore ed intervistato; una funzione
maieutica nel far emergere dal soggetto la sua “immagine di
sé”, le sue aspettative ed i suoi progetti; una funzione di
osservazione, da parte dell’esperto, di comportamenti e
reazioni messi in atto dal consultante.
Nella prima fase il colloquio di accoglienza, che assume,
normalmente una forma semi-direttiva, si pone lo scopo di
definire e determinare il problema del soggetto, attraverso la
raccolta di informazioni utili. Nella fase successiva il
colloquio, detto diagnostico, tende ad analizzare più
profondamente le motivazioni, le aspirazioni e le diverse
esperienze professionali possedute dal soggetto, anche con il
supporto di semplici strumenti di autovalutazione (dei
valori, degli interessi, dell’autostima...); nella fase finale,
invece, il colloquio assume una forma non-direttiva e si
trasforma in strumento attraverso il quale il consultante e
l’esperto sintetizzano ed interpretano le informazioni
raccolte, incitano il confronto tra l’immagine che il soggetto
ha di sé e gli elementi della realtà emersi durante il processo,
incoraggiando, così, l’emergere di nuove prospettive di
sviluppo.
 Gli itinerari autobiografici: rappresentano l’insieme
delle tecniche che orientano l’individuo verso la spiegazione,
l’analisi e la ricostruzione del proprio passato esperienziale.
Tale categoria include, per esempio, l’analisi dei curricula
vitae, delle biografie e delle storie di vita (narrazione di
elementi e tappe significative della vita familiare, sociale e
professionale) in cui si guida il soggetto ad esplorare il suo
passato ed il suo presente attraverso delle domande
finalizzate a fargli ricostruire la logica dell’evolversi delle
diverse tappe e della traiettoria professionale,
sottolineando i fili conduttori che la contraddistinguono.
Queste inchieste anamnestiche, che hanno per finalità quella
di portare alla memoria del soggetto il suo passato,
permettono di circoscrivere la storia e l’itinerario
professionale del soggetto, facendo emergere degli elementi
salienti ai fini dell’elaborazione del progetto di sviluppo.
Sempre all’interno di tale gruppo di strumenti possiamo
ricordare l’utilizzo di schede che facilitano la
ricostruzione delle esperienze personali e lavorative: si
tratta di schede e dossier di descrizione delle attività svolte,
dei ruoli ricoperti e delle relative competenze esercitate; tali
strumenti aiutano il soggetto a riconoscere ed esplicitare in
modo chiaro delle abilità, delle conoscenze e delle
competenze acquisite ma di cui non aveva piena
consapevolezza, indirizzandolo anche verso quelle attività
future che richiedono l’impiego di tale patrimonio di risorse
da lui possedute. Particolare importanza, per un Bilancio di
Competenze, riveste la tecnica di costruzione del
cosiddetto
“portafoglio
di
competenze”; questa
metodologia permette al consultante di costruire da sé il
proprio dossier, di appropriarsi dell’insieme delle sue
conoscenze, abilità e competenze, organizzandole e
valorizzandole con lo scopo di investirle attivamente in un
progetto futuro di sviluppo formativo e professionale.
 i test ed i questionari: questi strumenti, malgrado il
loro utilizzo sia ancora soggetto a molte controversie,
vengono affiancati ai precedenti per la valutazione
diagnostica e standardizzata di varie componenti della
personalità; essi vengono somministrati a discrezione
dell’esperto che sceglie quelli più adatti per stabilire una
valutazione oggettiva di competenze intellettuali e
caratteristiche della personalità del soggetto, da confrontare
con le caratteristiche medie della popolazione di
riferimento (la popolazione di appartenenza dell’individuo).
Tra gli strumenti psicodiagnostici maggiormente utilizzati
rientrano i test di personalità, di interessi, di valori ed i test
d’efficienza (per esempio test d’intelligenza ed
attitudinali).
 Le simulazioni e le prove professionali: sono
situazioni artificiali che riproducono, per quanto è
possibile, il contesto ed i problemi incontrabili sul lavoro.
Tali situazioni si rivelano molto utili ai fini della
valutazione delle competenze, in quanto l’esperto ha la
possibilità di osservare direttamente le capacità di
adattamento dell’individuo ad un ambiente complesso, le
risorse applicate nell’esecuzione di un compito specifico,
i suoi comportamenti sociali e le strategie di risoluzione
dei problemi che egli mette in atto. Tra le tecniche più
conosciute ci sono gli studi di caso, le simulazioni, i giochi
d’impresa ed i lavori di gruppo.
d. I risultati del processo
L’intero e complesso processo di Bilancio di Competenze si
conclude con la restituzione dei risultati raggiunti al
destinatario dell’intervento che ha la facoltà di usufruirne
nel modo che ritiene più opportuno.
La legge stabilisce che al termine della fase conclusiva del
Bilancio di Competenze venga elaborato, da parte
dell’organismo prestatario, un documento di sintesi che
non può comportare indicazioni diverse da quelle così
definite (Art. L. 900-4-1, Art. R. 900-2):
– Le circostanze nelle quali si è sviluppato il Bilancio di
Competenze;
Le competenze e le attitudini del beneficiario che
riguardino le prospettive evolutive considerate;
–
Gli elementi costitutivi del suo progetto professionale
o, eventualmente, del suo progetto di formazione e le
principali tappe previste per la sua realizzazione.
–
Per quanto riguarda il primo contenuto del documento, una
circolare della DFP del 1993 precisa che per “indicazioni
circa le circostanze” del Bilancio di Competenze si deve
intendere: il chiarimento e la spiegazione dell’origine della
domanda, attraverso un riassunto della fase preliminare
dell’intervento ed una descrizione dei termini stabiliti nella
convenzione tripartita iniziale, e la descrizione delle
condizioni di realizzazione della prestazione: fasi
proposte, durata delle azioni, metodi e strumenti
utilizzati, concetti di competenza privilegiati, luoghi ed
orari della prestazione.
In riferimento alla seconda parte del documento di
sintesi, le competenze e le attitudini che devono essere
riportate devono riferirsi unicamente alle prospettive di
evoluzione considerate; si tratta, quindi, di descrivere i
punti di forza e quelli di debolezza dell’individuo, le sue
risorse e le competenze da acquisire o sviluppare e di
confrontarle con le risorse necessarie per la realizzazione
del progetto di sviluppo elaborato. Il documento include,
in questo modo, il “portafoglio di competenze” che
descrive l’insieme delle competenze acquisite dalla
persona e le potenzialità sviluppate nel corso della sua storia
personale e professionale; esso rappresenta il ritratto,
l’autobiografia dell’individuo comprendendo i principali
apprendimenti delle esperienze di vita e di lavoro, le
competenze acquisite ufficialmente e le competenze
acquisite, ma non ancora validate.
Tale documento che, se opportunamente costruito, può
costituire la base per il riconoscimento di crediti
professionali, rappresenta, per il soggetto, una sorta di
memoria-guida del lavoro di analisi fatto su se stesso
durante il processo di bilancio, e lo sostiene nelle azioni di
messa in opera del progetto stesso.
Per finire, il documento di sintesi deve contenere anche gli
elementi costitutivi del progetto professionale di
sviluppo considerato. La definizione, da parte del
beneficiario, di un progetto di sviluppo dimostra il suo
impegno in un processo evolutivo, la sua volontà di
muoversi e mobilitare tutte le sue risorse per fare una
scelta di cambiamento o adattamento professionale o,
ancora, per ammettere la necessità di un progetto formativo
d’accompagnamento. Tale progetto nasce dal confronto tra
l’ambiente professionale (contesto d’impresa o mercato del
lavoro) e le caratteristiche personali dell’individuo che, a
questo punto, deve essere in grado di organizzare le sue
priorità professionali, di utilizzare nel migliore dei modi le
sue capacità nelle scelte di carriera e, dunque, di gestire
efficacemente le sue risorse personali. Il progetto
professionale, così elaborato, deve descrivere gli
obiettivi di sviluppo professionale e/o formativo decisi
dall’individuo ed indicare i mezzi, le azioni e le fasi di
attività che devono essere attuati per il raggiungimento
degli obiettivi indicati.
Il documento di sintesi, così composto, deve essere
stilato dall’organismo prestatario sotto la sua unica
responsabilità e consegnato, prima della sua redazione finale,
al soggetto beneficiario per permettergli di fare delle
eventuali osservazioni e correzioni. Esso, inoltre, costituisce
un documento strettamente personale e riservato all’unico
destinatario che è il soggetto stesso il quale può decidere se
trasmettere i risultati del Bilancio ad un terzo soggetto
oppure no (come stabilito dalla convenzione tripartita
iniziale); il centro prestatario, infatti, è tenuto, salvo
domanda contraria del beneficiario, a distruggere, al termine
dell’intervento, tutte le informazioni ed i dati contenuti nel
documento.
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