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appunti Macchine elettriche

Prof. Andrea CAVAGNINO
Appunti delle lezioni
MACCHINE ELETTRICHE
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
PROF. ANDREA CAVAGNINO
II
MACCHINE ELETTRICHE
SOMMARIO
In queste note sono riportati gli argomenti illustrati durante le lezioni del corso di “Macchine
Elettriche” per allievi meccanici ed energetici del secondo anno di Ingegneria del Politecnico
di Torino. I presenti appunti sono stati tratti, a volte integralmente ed a volte operando
opportune semplificazioni, dalle dispense del corso di Macchine Elettriche tenuto dal prof.
Mario Lazzari per gli allievi elettrici. È doveroso ringraziare il professore per la disponibilità
dimostrata.
Il corso, di natura propedeutica, presenta i principi di funzionamento e le prestazioni ottenibili
a regime delle principali macchine elettriche. Non saranno presentati aspetti dinamici, quali
avviamenti, guasti, ecc. Si noti che anche le regolazioni saranno analizzate come stati
successivi di regime.
A valle di una parte introduttiva (della durata di circa 8 ore di lezione durante la quale
verranno richiamate/presentate nozioni utili alla comprensione successiva), si tratteranno le
seguenti macchine elettriche:
La macchina a corrente continua
8 ore di lezione e 4 ore di esercitazione
Il trasformatore (monofase e trifase)
10 ore di lezione e 4 ore di esercitazione
Il motore asincrono trifase
12 ore di lezione e 4 ore di esercitazione
La macchina sincrona
4 ore di lezione
All’inizio del corso saranno assegnati alcuni temi di esame e vari esercizi utili per la
preparazione della prova scritta.
Vista la natura propedeutica del corso, oltre agli appunti forniti si può fare riferimento a
qualsiasi libro sulle macchine elettriche, anche dedicato alle scuole medie superiori. Nella
tabella seguente sono riportati alcuni testi relativi agli argomenti trattati.
Appunti di teoria unificata delle macchine elettriche rotanti (1) - Martinelli
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Argomenti fondamentali di macchine elettriche - 1995 - Guadagni Gualtiero Piccoli Eleonora - Spiegel - - € 4,13
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elettronica e telecomunicazioni e per gli Ist. Professionali - Del Rosso Mauro Cupido - - € 13,43
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Elettrotecnica e macchine elettriche. Per gli Ist. tecnici industriali indirizzo
elettronica e telecomunicazioni e gli Ist. professionali - 2002 - Bobbio Giampiero Sammarco Santo - Petrini Editore - - € 27,15
Elettrotecnica e macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 2003 - Bobbio
Giampiero - Sammarco Santo - Petrini Editore - - € 28,00
III
PROF. ANDREA CAVAGNINO
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industriali - 1998 - Baldan Giovanni - Durano Giuseppe - CEDAM - - € 10,33
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MACCHINE ELETTRICHE
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Meccanica degli azionamenti - Vol. 1 : Azionamenti elettrici - G. Legnani - M
Tiboni - R. Adamini - Esculapio
Si ricorda la possibilità di reperire materiale didattico, cataloghi di macchine e materiali nel
web. Alcuni siti interessanti[1] sono i seguenti:
http://www.electroportal.net/
http://www.barrascarpetta.org/m_0_s0/01_ele.htm
http://www.unipv.it/energy/conversione/index.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Ingegneria_elettrica
http://corsiadistanzaold.polito.it/cetem/corsi/db/07BNMH/esercitazioni.html
http://corsiadistanzaold.polito.it/cetem/corsi/db/9320H/esercitazioni.html
http://web.tiscali.it/egidiorezzaghi/
[1]
Attivi al momento della stesura di questi appunti.
V
Capitolo
1
INTRODUZIONE
1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia elettrica
Nella moderna tecnologia, l’energia elettrica assume un importante ruolo di intermediario.
Nonostante che nella maggior parte dei casi l’energia si presenti sotto forme diverse, sia come
disponibilità che come utilizzo (es. meccanica, termica), risulta conveniente il passaggio
intermedio alla forma elettrica in quanto l’energia elettrica è facilmente trasportabile e
controllabile con relativa facilità, affidabilità ed efficienza.
Si definisce macchina elettrica un dispositivo in grado di convertire l’energia elettrica tramite
l’interposizione, a livello macroscopico, di un campo elettromagnetico. Secondo questa
definizione esempi di macchine elettriche sono:
i trasformatori (conversione da energia elettrica ad energia elettrica);
i motori, i generatori, gli elettromagneti (conversione dell’energia elettrica ad energia
meccanica e viceversa).
Oggigiorno è possibile convertire l’energia elettrica in energia elettrica tramite dispositivi che
utilizzano componenti a semiconduttori. In tal caso esiste ancora l’interposizione di campi
elettrici e magnetici di accoppiamento, ma a livello microscopico (a livello atomico). In tal
caso si parla di conversione statica dell’energia e di convertitori statici o convertitori
elettronici di potenza.
La conversione elettromeccanica dell’energia comporta la trasformazione di energia elettrica
in energia meccanica o viceversa. L’accoppiamento tra i due sistemi avviene tramite un
campo elettromagnetico. In generale, sono presenti sia il campo magnetico che quello
elettrico ed è proprio l’energia immagazzinata in tali campi o meglio la sua tendenza a
liberarsi ed a compiere lavoro che permette la conversione. Una rappresentazione schematica
della conversione elettromeccanica dell’energia è la seguente, dove le frecce grigie
rappresentano i flussi di energia.
Sistema
Campo di
Sistema
Elettrico
accoppiamento
Meccanico
Perdite elettriche (RI2)
Perdite dovute al campo
Perdite meccaniche
Schema di principio della conversione elettromeccanica dell’energia.
1
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Ovviamente il rendimento della trasformazione non è unitario a causa delle perdite indicate.
Si osservi la reversibilità della conversione (frecce grigie bidirezionali). Ne consegue
l’esistenza sia di generatori elettrici, sia di motori elettrici.
La conversione elettromeccanica dell’energia risulta possibile grazie all’esistenza in natura di
fenomeni fisici che legano da una parte i campi elettromagnetici e dall’altra le forze
meccaniche. I principali fenomeni utilizzati in pratica sono i seguenti:
1. Forza meccanica su conduttori percorsi da corrente quando sono immersi in un
campo magnetico. La conversione è reversibile poiché in un conduttore in
movimento in un campo magnetico nasce una tensione indotta.
2. Forza meccanica su materiali ferromagnetici quando sono immersi in un campo
magnetico. Tale forza tende ad allinearlo con il campo ed a spostarlo dove il
campo è più intenso. Riferendosi ad un campo magnetico generato da un
avvolgimento percorso da corrente si può osservare che la conversione è
reversibile in quanto lo spostamento del materiale produce una variazione del
flusso concatenato con l’avvolgimento e quindi una tensione indotta in
quest’ultimo.
3. Forza meccanica sulle armature di un condensatore carico e sul dielettrico
immerso nel campo elettrico. Anche in questo caso la conversione è reversibile
perché il movimento delle armature o del dielettrico si traduce in un
cambiamento della carica e/o della tensione.
4. Effetto piezoelettrico: quando certi cristalli vengono opportunamente deformati
generano un campo elettrico e quando viene applicato un campo elettrico si
deformano. Anche se le deformazioni sono di piccola entità, la forza associata
può essere elevata.
5. Magnetostrizione: la maggior parte dei materiali ferromagnetici evidenzia una
deformazione sotto l’azione di un campo magnetico e viceversa.
Durante il corso verranno analizzati solo i primi due fenomeni ed il loro utilizzo nelle
macchine elettriche.
1.2 – Richiami di elettromagnetismo
I fenomeni magnetici sono descritti nello spazio tramite due grandezze vettoriali: l’intensità
del campo magnetico H (in A/m) e l’induzione magnetica B (in T o Wb/m2). Nei mezzi
magneticamente inerti queste due grandezze sono dipendenti l’una dall’altra secondo la
relazione (1.1), nota come caratteristica costitutiva del mezzo.
B = µ⋅H
(1.1)
ove µ è la permeabilità magnetica del mezzo (nel vuoto µ = µo = 4π ⋅10-7 H/m )
Si ricorda che i campi vettoriali di B ed H devono rispettare le seguenti equazioni di Maxwell:
∇⋅B = 0
(II equazione di Maxwell in forma differenziale)
∧
(1.2)
∇ H = J (IV equazione di Maxwell in forma differenziale[1])
(1.3)
2
dove il vettore J è il vettore densità di corrente (in A/m ). La relazione (1.3) evidenzia come le
correnti elettriche siano le sorgenti del campo magnetico.
[1]
2
Valida per campi magnetici stazionari o quasi stazionari.
MACCHINE ELETTRICHE
Nelle applicazioni dell’elettromagnetismo può essere utile interpretare il ruolo di queste due
grandezze secondo il seguente schema di pensiero:
1. la corrente (eccitazione) produce il campo H (legge della circuitazione magnetica);
2. il campo H produce l’induzione B (caratteristica costitutiva del mezzo);
3. l’induzione B produce effetti elettrici (tensioni indotte) e meccaniche (forze) (leggi di
Lenz e Lorentz).
1.2.1 - Legge della circuitazione magnetica
Si supponga presente in una regione dello
spazio una corrente descritta in ogni punto
da un vettore densità J. Scelta una
qualunque linea chiusa l nella regione
suddetta, si definisca con I il valore della
corrente che attraversa la superficie S
delimitata dal contorno l. Il valore della
corrente è definito dal seguente integrale:
J
dS
H
dl
Legge della circuitazione magnetica
I = ∫ J ×dS
(1.4)
S
La legge della circuitazione, che lega il campo magnetico alla corrente che lo produce, è
definita dalla seguente identità[2]:
I = ∫ H × dl
(1.5)
l
Osservazione:
In generale la legge della circuitazione, espressa dalla relazione (1.5), non è sufficiente da sola
a definire in ogni punto dello spazio il modulo e il verso del campo magnetico in funzione
della corrente. Solo in particolari condizioni di simmetria geometrica, ove si possano
ipotizzare a priori la forma delle linee di campo e la costanza del campo lungo una linea, si
può calcolare attraverso l’equazione (1.5) il valore del campo magnetico.
Esempio: conduttore rettilineo indefinito percorso da corrente
Con riferimento alla figura a fianco e sulla base di
considerazioni sulla simmetria del problema, si osserva
che le linee di campo devono essere delle circonferenze
concentriche giacenti su piani ortogonali al conduttore.
Inoltre, il campo deve avere un’intensità costante lungo
ciascuna circonferenza. In questo caso, applicando la legge
della circuitazione si ottiene:
I = H ⋅ 2πr
[2]
⇒
H=
I
2πr
I
r
H
Scrivendo la IV equazione di Maxwell in forma integrale ed applicando il teorema di Stockes si ottiene:
∧
∫ H × dl = ∫ ∇
l = ∂S
S
H × dS = ∫ J × dS = I
S
3
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Esempio: avvolgimento toroidale
Nel caso di un avvolgimento uniformemente distribuito su
un anello e percorso dalla corrente I, considerazioni
generali di simmetria consentono di esprimere il campo
magnetico nella seguente forma:
NI = H ⋅ 2πr
⇒
H=
I
N
NI
2πr
H
r
Esternamente all’avvolgimento il campo magnetico è
nullo poiché qualsiasi linea chiusa non concatena
corrente.
Esempio: solenoide rettilineo infinito
∆l
In questo caso le considerazioni di simmetria del
problema permettono di concludere che il campo è
confinato all’interno del solenoide. Inoltre il
campo risulta uniforme su una sezione ortogonale
all’asse del solenoide. Si noti che un solenoide
rettilineo indefinito può essere interpretato come
un avvolgimento realizzato su un anello di raggio
infinito.
l
H
Nella figura sono indicate alcune spire percorse da una corrente I (dove il pallino indica una
corrente uscente dal piano del disegno e la crocetta una corrente entrante). Sia l la linea chiusa
su cui si esegue la circuitazione ed N il numero di spire contenute in essa. Si noti che in
questo esempio la linea su cui si esegue la circuitazione non coincide completamente con una
linea di campo.
Applicando la legge della circuitazione su ogni tratto della linea scelta si ottiene:
∑ H tratto × l tratto
= N ⋅I
⇒ H ⋅ ∆l = N ⋅ I
⇒
H=
N
⋅I = n⋅I
∆l
dove n rappresenta la densità lineare di conduttori.
Osservazione:
Negli esempi precedenti il verso del vettore campo magnetico viene determinato in base al
verso della corrente secondo la regola della mano destra (o del cavatappi).
Regola della mano destra
Figura di sinistra: il pollice viene allineato alla direzione assunta positiva per la
corrente, le dita indicano il verso positivo del campo magnetico.
Figura di destra: le dita vengono allineate alla direzione assunta positiva per la
corrente (corrente uscente in rosso, corrente entrante in blu), il pollice indica il
verso positivo del campo magnetico.
4
MACCHINE ELETTRICHE
1.2.2 – Relazione costitutiva del mezzo
Rappresenta come sono legati il vettore induzione magnetica e il vettore campo magnetico. In
mezzi magneticamente inerti si ha:
B = µ ⋅ H = µr ⋅ µ0 ⋅ H
(1.6)
dove µr = µ/µ0 è la permeabilità relativa del mezzo.
Per materiali ferromagnetici la relazione (1.6) è una relazione non lineare in quanto la
permeabilità di questi materiali viene a dipende dal valore del campo (µr = µr(H)).
1.2.3 - Effetti dell’induzione. Flusso e leggi di Lenz e Lorentz
Come indicato in precedenza, in presenza di induzione
magnetica esiste la possibilità di indurre tensioni nei
conduttori (denominate Forze Elettro Motrici, F.e.m.) e
di creare forze meccaniche agenti su di essi.
E’ conveniente definire il flusso del vettore B attraverso
una superficie S delimitata da un contorno c (vedi
figura). Tale grandezza viene calcolata nel modo
seguente.
Φ = ∫ B × dS
B
dS
S
c
(1.7)
S
ove il simbolo × è l’operatore prodotto scalare tra vettori.
Nel caso in cui il valore del vettore induzione sia costante in tutti i punti della superficie
(campo uniforme), e la sua direzione sia normale alla superficie, l’espressione (1.7) si
semplifica nella seguente:
Φ = B⋅S
Φ1 Flusso uscente da S1
S1
Φ1=Φ2
S2
Φ2 Flusso entrante in S2
Poiché il vettore B è solenoidale ( ∇ ⋅ B = 0 ) le
sue linee di campo sono chiuse. Ne consegue
che il valore del flusso attraverso una
superficie S non dipende dalla forma della
superficie, ma esclusivamente dal suo
contorno. Se la superficie è chiusa (contorno
nullo) il valore fornito dalla (1.7) è
identicamente nullo, come schematizzato nella
figura a fianco.
Si definisce tubo di flusso la porzione di spazio delimitata dalle linee di induzione che
passano per un contorno c. Poiché l’induzione B è solenoidale (linee di campo chiuse), il
flusso di B presente nel tubo è costante e, pertanto, dove la sezione del tubo aumenta,
l’induzione diminuisce di valore e viceversa (figura 1.1).
5
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il concetto di tubo di flusso è utile per introdurre il
significato di flusso concatenato (Λ) con un circuito
elettrico.
Si consideri una bobina di N spire. Il flusso
concatenato con la bobina è la somma dei flussi che
attraversano le singole spire.
Riferendosi alla figura 1.2, nell’ipotesi che ciascuna
spira della bobina concateni lo stesso flusso Φ delle
altre, il flusso concatenato si esprime come:
Λ=N⋅Φ
linea di induzione
B1
c
B2
(1.8)
Fig. 1.1: Tubo di flusso
Tubo di flusso
Λ = ΝΦ
N
Φ
Fig. 1.2: Concetto di flusso concatenato
Fig. 1.3: esempio delle linee di induzione create da
una bobina
In figura 1.3 è rappresentato l’andamento delle linee di induzione create da una bobina. Si
noti come esistano delle linee che interessano localmente le singole spire e non tutta la
bobina.
Nelle macchine elettriche la produzione di un campo magnetico di induzione B è
fondamentale nella conversione dell’energia. L’induzione magnetica interviene infatti in due
forme diverse nella conversione dell’energia:
Produzione di f.e.m. indotta in un circuito elettrico.
Produzione di una forza meccanica.
Il primo effetto si può convenientemente analizzare, secondo i casi, attraverso una delle
seguenti leggi:
e=±
dΛ
dt
dE = v ∧ B × dl
dove:
B, Λ
v, dl
6
(Legge di Lenz – f.e.m trasformatorica)
(Legge di Lorentz – f.e.m. mozionale)
(1.9)
(1.10)
sono l’induzione magnetica e il flusso concatenato con il circuito elettrico;
sono la velocità e la lunghezza del conduttore.
MACCHINE ELETTRICHE
Il secondo effetto si può valutare secondo l’espressione (1.11), dove I rappresenta la corrente
che fluisce nel conduttore.
dF = I ∧ B × dl
(Legge di Lorentz)
(1.11)
Si noti che se le grandezze vettoriali nelle relazioni (1.10) e (1.11) sono mutuamente
perpendicolari tra loro nello spazio, si ottengono le seguenti espressioni:
dE = ν ⋅ B ⋅ dl
dF = I ⋅ B ⋅ dl
Nelle leggi di Lorentz, per posizionare il verso della forza (o la polarità della f..e.m. indotta)
note le direzioni dell’induzione e della corrente (o dell’induzione e della velocità), si usa la
regola della mano sinistra (vedi figura).
Regola della mano sinistra
Osservazione:
La legge di Lenz indica che se il flusso concatenato da un avvolgimento varia nel tempo
allora in questo si induce una tensione. Il segno corretto da usare nella (1.9) dipende dalla
convenzione di segno adottata per studiare il circuito elettrico.
Si ricorda infatti che la forza elettromotrice indotta tende a far circolare nel circuito elettrico
una corrente che si oppone alla causa che la ha generata, ovvero alla variazione temporale del
flusso concatenato.
Si considerino quindi le seguenti due possibilità, dove le frecce indicate nei disegni indicano i
versi assunti convenzionalmente positivi per le relative grandezze.
Convenzione di segno degli utilizzatori
Φ(t)
i(t)
R
Equazione alla maglia: v(t ) = R ⋅ i (t ) + e(t )
Allora deve risultare: e = +
dΛ
dt
Infatti:
v(t)
e(t)
Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E > 0
(rispetto alla freccia) per opporsi
alla variazione di corrente.
Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E < 0
(rispetto alla freccia) per opporsi
alla variazione di corrente.
7
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Convenzione di segno dei generatori
i(t)
Equazione alla maglia: v(t ) = − R ⋅ i (t ) + e(t )
R
Allora deve risultare: e = −
e(t)
v(t)
dΛ
dt
Infatti:
Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E < 0
(rispetto alla freccia) per opporsi alla
variazione di corrente.
Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E > 0
(rispetto alla freccia) per opporsi alla
variazione di corrente.
Φ(t)
Osservazione:
Si comprende come, per produrre gli stessi effetti in termini di f.e.m. ovvero di forza
meccanica, l’utilizzo di un materiale ad alta permeabilità riduca notevolmente le correnti di
eccitazione necessarie. Per questo motivo i circuiti magnetici delle macchine elettriche sono
realizzati con materiali ferromagnetici.
≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈
Nella tabella seguente sono riportati le principali grandezze, con le relative unità di misura,
usate per descrivere i fenomeni elettromagnetici.
Unità di misura delle principali grandezze elettromagnetiche
Grandezza
Corrente
Densità di corrente
Campo magnetico
Flusso magnetico
Induzione magnetica
Induttanza di un avvolgimento
Permeabilità magnetica
Riluttanza di un circuito magnetico
Forza magnetomotrice
8
Simbolo
I
J, δ
H
Φ
B
L
µ
ℜ
A, NI
Unità di misura
[A] - ampere
[A/m2]
[A/m]
[Wb] - weber
[T]- tesla o [Wb/m2]
[H] - henry
[H/m]
[H-1]
[A] o [A⋅spire]
MACCHINE ELETTRICHE
1.3 – Classificazione dei materiali magnetici
In un materiale magneticamente inerte (vuoto, aria,...) tra H e B intercorre una relazione di
pura proporzionalità espressa dalla (1.6). I valori della permeabilità magnetica sono, in questi
casi, molto prossimi a µo e la definizione di B, nella descrizione del fenomeno magnetico,
sarebbe ridondante rispetto alla definizione di H.
In generale, dal punto di vista magnetico i materiali sono classificati nel seguente modo:
Materiali diamagnetici:
µr < 1 (≈ 1)
Materiali paramagnetici:
µr > 1 (≈ 1)
Materiali ferromagnetici:
µr elevata (102 ÷ 104) e funzione del campo H.
I primi due tipi sono di scarsa utilità nelle applicazioni, mentre i materiali ferromagnetici
rivestono un ruolo fondamentale nella realizzazione delle macchine elettriche.
1.3.1 Materiali ferromagnetici
I materiali ferromagnetici risultano attivi dal punto di vista magnetico, in quanto partecipano
alla magnetizzazione attraverso la propria struttura cristallina, interagendo con il campo
magnetico prodotto esternamente. Le modalità di azione sono giustificabili in forma intuitiva
attraverso l’analisi del comportamento magnetico della particolare struttura a domini
magnetici tipica di questi materiali.
Definizione:
Un dominio magnetico è costituito da un insieme di atomi i cui ‘spin’ elettronici sono
orientati tutti nello stesso verso. Internamente al dominio esiste pertanto un campo magnetico
dotato di un orientamento preferenziale. A causa del disordine naturale, i vari domini risultano
polarizzati magneticamente in modo casuale e non danno luogo ad un effetto combinato
macroscopico come schematizzato nella figura di sinistra.
Campo
esterno
Schema di polarizzazione di un materiale ferromagnetico
Tuttavia, sotto l’azione di un campo magnetico esterno, i domini tendono a disporsi in modo
da favorire il campo eccitante. Questo può avvenire sia attraverso uno spostamento delle
pareti di separazione, volto a favorire l’allargamento dei domini già polarizzati nel verso del
campo esterno, sia attraverso una rotazione in verso concorde con il campo della
polarizzazione del singolo dominio. L’azione si produce in modo graduale ed è legata
all’intensità del campo eccitante. Per campi particolarmente intensi si può arrivare al
completo orientamento del materiale (fenomeno della saturazione). L’effetto magnetico
prodotto in termini macroscopici equivale alla presenza nel materiale di una corrente nascosta
che tende a rafforzare l’effetto della corrente di eccitazione esterna.
9
PROF. ANDREA CAVAGNINO
corrente
di eccitazione
Hspin
B
corrente
equivalente
di spin
I
H
e-
Ih
Ispin
ωspin
l
a)
b)
a) Rappresentazione dello spin
b) Corrente equivalente di spin
Nella applicazione della legge della circuitazione (1.5) occorrerebbe tenere conto anche di
questa corrente nascosta per poter valutare il campo risultante prodotto dall’azione del
materiale magnetico. Poiché questa corrente risulta di difficile valutazione si preferisce
attribuire a B l’effetto risultante generato dal materiale magnetico e dalla corrente di
eccitazione, lasciando ad H il significato di campo originato dalla sola corrente di eccitazione.
I = ∫ H × dl
l
I + Ih = ∫
Ne consegue che per i materiali ferromagnetici
deve essere fornita la relazione B=B(H). Tale
andamento, per un materiale magnetizzato per la
prima volta, variando il campo da un valore nullo
fino ad uno massimo, è indicato nella figura a
fianco. La caratteristica indicata viene denominata
curva di prima magnetizzazione.
La pendenza massima della caratteristica di
magnetizzazione di un materiale ferromagnetico
risulta dell’ordine di 103÷104 volte la pendenza
della caratteristica magnetica del vuoto. Questo
significa che, per produrre uguali valori di
induzione, vengono richiesti valori del campo (e
quindi della corrente di eccitazione) 104 volte più
piccoli nel ferro di quelli necessari nel vuoto
(ovvero nell’aria).
Diminuendo con continuità il campo H dal valore
massimo a zero non si ripercorre più la
caratteristica di prima magnetizzazione a causa
degli attriti nei moti di orientamento dei domini.
l
B
× dl
µ0
B
Ginocchio
saturazione
magnetica
permeabilità
ridotta
permeabilità
elevata
H
Curva di prima magnetizzazione
Br
Si noti che annullando il campo esterno rimane un
orientamento residuo dei domini e quindi un valore
di induzione residua (Br). Per annullare l’induzione
residua si deve applicare al materiale un campo esterno negativo (cioè di verso opposto al
precedente), denominato campo coercitivo (Hc).
10
MACCHINE ELETTRICHE
Ciclo di isteresi simmetrico
Sulla base di quanto esposto, sottoponendo il materiale ad una magnetizzazione alternativa
(ad esempio sinusoidale) si percorrerà un ciclo. Tale ciclo viene denominato ciclo di isteresi.
L’area del ciclo d’isteresi (in giallo) assume il significato di energia per unità di volume
perduta nel materiale per un ciclo completo di magnetizzazione. Tale dissipazione di energia è
imputabile agli attriti connessi con il movimento delle pareti dei domini; essa assume
un’espressione del tipo:
Ei = K i ⋅ B η
(1.12)
ove Ki ed η dipendono dal tipo di materiale. Tipicamente η varia tra 1.6 e 2.2.
Si definisce curva di normale magnetizzazione del materiale il luogo dei punti costituito dai
vertici dei cicli di isteresi simmetrici di ampiezza crescente.
Curva di normale magnetizzazione (quadrati)
11
PROF. ANDREA CAVAGNINO
I materiali ferromagnetici vengono a loro volta classificati in due famiglie a seconda della
forma del loro ciclo di isteresi:
Materiali magnetici dolci.
Materiali magnetici duri.
Materiale magnetico dolce
Materiale magnetico duro
I primi sono caratterizzati da un ciclo di isteresi stretto e molto pendente (cioè con
permeabilità molto elevate) e vengono utilizzati nella realizzazione dei circuiti magnetici delle
macchine elettriche (in forma massiccia per flussi costanti o in forma laminata per flussi
variabili nel tempo).
I materiali magnetici duri sono invece caratterizzati da un ciclo di isteresi molto ampio con
valori di induzione residua e campo coercitivo elevati. Vengono utilizzati per la realizzazione
di magneti permanenti. Vista la forma del loro ciclo di isteresi, questi materiali non possono
essere eccitati con campi alternativi in quanto le perdite per isteresi sarebbero troppo elevate.
I materiali ferromagnetici previsti per lavorare con flussi variabili nel tempo sono laminati. Si
parla quindi di lamiere magnetiche. Le lamiere magnetiche per macchine elettriche si
dividono in due tipi:
Lamiere a grani non orientati
Lamiere a grani orientati
In entrambi i tipi viene aggiunta una opportuna percentuale di silicio per limitare le perdite in
presenza di magnetizzazione variabile.
Le lamiere a grani orientati, grazie ad una opportuna tecnica di laminazione, garantiscono
lungo la direzione della laminazione ottime prestazioni sia in termini di permeabilità che di
perdite. Ne consegue che esse devono essere utilizzate quando la direzione del campo
magnetico è determinata (ad esempio nel circuito magnetico dei trasformatori).
12
MACCHINE ELETTRICHE
1.4 - Perdite nei materiali magnetici eccitati in c.a.
Quando un materiale ferromagnetico viene magnetizzato con un campo alternato (ovvero le
correnti di eccitazione sono alternate) si verificano perdite di potenza originate dalla
variazione nel tempo del campo magnetico. Queste perdite sono da collegare a due fenomeni
distinti:
l’isteresi magnetica
la circolazione di correnti parassite.
1.4.1 - Perdite per isteresi.
Le perdite di potenza dovute all’isteresi magnetica sono associate all’energia dissipata
dall’unità di volume del materiale per descrivere un ciclo di isteresi completo. Questa energia
è descritta dalla relazione (1.12). Se la magnetizzazione alternativa avviene con una frequenza
f, le perdite specifiche di potenza (espresse in W/kg) per isteresi sono esprimibili nel modo
seguente:
Pi = K ⋅ Bη ⋅ f
(1.13)
Per ridurre questo tipo di perdite occorre ridurre l’area del ciclo di isteresi del materiale.
Questo viene usualmente ottenuto con l’impiego di lamiere di ferro legato al silicio.
1.4.2 - Perdite per correnti parassite.
Quando nel materiale ferromagnetico il flusso è
variabile nel tempo, oltre all’isteresi magnetica
occorre considerare un altro fenomeno. Infatti nel
materiale magnetico si induce, per la legge di Lenz
una f.e.m. che tende a contrastare in ogni istante la
variazione del flusso. In regime sinusoidale, questa
f.e.m. assume un valore proporzionale alla
pulsazione ω e all’ampiezza dell’oscillazione del
flusso, ovvero dell’induzione B presente nel ferro.
Φ(t)
E ∝ω ⋅B
Poiché il ferro è anche un materiale conduttore, la
f.e.m. prodotta dà origine a correnti di circolazione,
che risultano limitate dalla resistenza ohmica offerta
dal materiale. La potenza specifica perduta per
effetto Joule in questo fenomeno è esprimibile in
linea di massima nel seguente modo:
E2
ω2 B 2
Pcp =
∝
Req
Req
Andamento delle correnti parassite
(linee nere) all’interno di un
materiale ferromagnetico massiccio
(1.14)
dove Req rappresenta la resistenza equivalente del nucleo al passaggio delle correnti indotte.
Allo scopo di limitare questo tipo di perdite si può intervenire in due modi sul materiale:
• aumento della resistività del materiale (ad esempio attraverso l’impiego di percentuali di
silicio dal 2% al 6% );
• laminazione del nucleo parallelamente alla direzione del campo magnetico, in modo
da offrire piccole sezioni al passaggio delle correnti parassite con conseguente
incremento della resistenza equivalente.
13
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Φ(t)
Φ(t)
SI
NO
Laminazione dei circuiti magnetici
1.4.3 - Cifra di perdita di una lamiera magnetica
Le perdite complessive di potenza che si producono in un chilogrammo di materiale
magnetico in conseguenza della magnetizzazione alternativa possono essere espresse
attraverso una relazione del seguente tipo:
Psp = k ⋅ B η ⋅ f + h ⋅ B 2 ⋅ f
2
(1.15)
ove f è la frequenza della corrente di eccitazione che crea il campo e B è l’ampiezza
dell’oscillazione dell’induzione (valore massimo). Psp indica le perdite specifiche ed è
espressa in W/kg.
10
Perdite spec. a 50 Hz (W/kg)
0,65 mm
0,65 mm
0,50 mm
1
0,50 mm
0,35 mm
B (Tesla)
0,1
0,5
1
1,5
2
Perdite specifiche tipiche di lamiere magnetiche di diverso spessore e diverso
tenore di silicio
Si definisce cifra di perdita di una lamiera magnetica la potenza perduta in un chilogrammo
di materiale sottoposto a magnetizzazione sinusoidale di ampiezza Bmax = 1 T, alla frequenza
di 50 Hz.
14
MACCHINE ELETTRICHE
Oggigiorno, in considerazione alle prestazioni garantite dalle lamiere disponibili sul mercato
ed al loro utilizzo, la cifra di perdita viene anche riferita ad una magnetizzazione sinusoidale a
50 Hz di ampiezza massima di1.5 T.
Nota
Le lamiere magnetiche a grani non orientati vengono commercialmente denominate con un
codice di 4 cifre in cui le prime due cifre indicano la cifra di perdita a 1.5 T moltiplicata per
dieci, mentre le ultime due cifre indicano lo spessore di laminazione in centesimi di
millimetro.
Esempio
Il codice 2535 descrive una lamiera da 2.5 W/kg a 1.5 T di spessore uguale a 0.35 mm.
2.0
Induzione (B), [T]
1.5
Lamierino 2535 (non orientato)
1.0
Lamierino M6T35 (grano orientato)
0.5
Campo (H), [A/m]
0.0
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
Caratteristica B-H a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)
4.0
Psp a 50 Hz [W/kg]
3.5
Lamierino 2535 (non orientato)
3.0
Lamierino M6T35 (grano orientato)
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
Induzione (B), [T]
0.0
0.00
0.20
0.40
0.60
0.80
1.00
1.20
1.40
1.60
1.80
2.00
Perdite specifiche a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)
15
PROF. ANDREA CAVAGNINO
1.5- Materiali conduttori
Nelle macchine elettriche i conduttori vengono utilizzati per realizzare gli avvolgimenti. I
principali tipi di conduttori utilizzati sono il rame e l’alluminio.
I materiali conduttori sono caratterizzati da un basso valore della resistività ρ. I migliori
materiali conduttori presentano valori di resistività dell’ordine di 10-8 Ωm.
La resistenza [Ω] che un conduttore di lunghezza l e sezione trasversale A presenta al
passaggio di corrente vale:
l
(1.16)
A
Quando il conduttore è attraversato da una corrente I, uniformemente distribuita nella sua
sezione, dissipa sotto forma di calore una potenza data da:
R=ρ
Pj = R ⋅ I 2
(Perdite Joule, [W])
(1.17)
e si scalda di conseguenza raggiungendo temperature tanto più elevate, quanto più alta è la
corrente.
Si definisce densità di corrente δ (A/m2) il rapporto tra la corrente e la sezione del conduttore:
I
(Densità di corrente, [A/m2])
(1.18)
A
Le perdite in un conduttore possono essere espresse in funzione della densità di corrente nel
seguente modo:
δ=
Pj = R ⋅ I 2 = ρ
l
⋅ (δ ⋅ A)2 = ρ ⋅ δ 2 ⋅ volume
A
(1.19)
Questa espressione delle perdite è analoga all’espressione delle perdite che si verificano in un
materiale magnetico (vedi relazione 1.14).
I valori di B per il ferro e di δ per i conduttori assumono quindi il significato di indici di
sfruttamento dei materiali: maggiore è il loro valore maggiori sono le perdite nei materiali.
1.5.1 - Riscaldamento dei conduttori
Le perdite che si verificano nei conduttori al passaggio di corrente provocano un aumento
della temperatura. Immaginando che lo scambio termico tra il conduttore e l’ambiente
esterno, alla temperatura θa, avvenga esclusivamente secondo la legge convezione (vedi
paragrafo 1.11), la temperatura raggiunta dal conduttore a regime risulta data da:
θc = θa +
Pj
k⋅S
(1.20)
dove S è la superficie attraverso cui avviene lo scambio termico con l’ambiente e k è il
coefficiente di scambio termico.
Appare pertanto chiaro che, più bassa è la resistività del materiale con cui è realizzato il
conduttore, minore risulta la sua sovratemperatura a parità di corrente. In altri termini, a parità
di sovratemperatura raggiunta, maggiore risulta il valore di corrente che il conduttore può
sopportare.
Il limite massimo di temperatura tollerabile per un conduttore è generalmente dettato dal tipo
di materiale usato per l’isolamento. Gli isolanti con cui sono rivestiti i conduttori subiscono
un degrado chimico (invecchiamento) tanto più veloce quanto maggiore è la loro temperatura
di lavoro. Per questo motivo gli isolanti vengono divisi in classi caratterizzate dalla massima
temperatura di impiego (vedi paragrafo 1.6).
16
MACCHINE ELETTRICHE
Il riscaldamento di un conduttore, oltre a portare ad un più rapido degrado dell’isolamento,
provoca anche un aumento del valore della resistività ρ. Tale aumento è espresso dalla
seguente formula attraverso il coefficiente di temperatura α caratteristico del materiale:


ρ(θ ) = ρ ( 0)1 +
θ

α
(1.21)
dove ρ(0) è la resistività del materiale a 0 °C (vedi tabella seguente).
Il gradiente positivo della resistività con la temperatura, può portare in qualche raro caso, a
fenomeni di instabilità termica e ad un accrescimento della temperatura dei conduttori oltre
ogni limite con conseguente distruzione dell’isolamento e dell’apparecchiatura.
La temperatura di regime di un conduttore può infatti essere calcolata usando le relazioni
1.19, 1.20 e 1.21 nel modo seguente:
ρ0 δ volume 
2
θc 
1 +  =

α
θa +
ρ0δ 2 volume
k⋅S
(1.22)
k⋅S
ρ0δ volume
1−
α ⋅k⋅S
I fenomeni di instabilità termica si verificano quando il denominatore della frazione (1.22)
diventa prossimo a zero. Dall’analisi dell’espressione (1.22) si osserva che il rischio può
diventare consistente in presenza di alti valori di perdita (grossi volumi di rame sfruttati ad
alta densità di corrente) e bassi valori di superfici di scambio termico e di coefficiente di
scambio.
θc = θa +
Materiale
Rame
Alluminio
2
Principali materiali conduttori
Resistività a 0 °C
Coefficiente Temperatura
ρ [Ω⋅m]
α [°C]
0.0159e-6
234.5
0.0258e-6
230.0
Peso specifico
γ [kg/m3]
8890
2650
1.5.2 - Effetto pelle
La resistenza di un conduttore calcolata secondo la (1.16) risulta corretta solo se la corrente è
distribuita uniformemente entro la sezione A del conduttore. Questo accade sempre quando la
corrente è continua, quando invece la corrente è alternata o comunque variabile nel tempo si
osserva che sua la distribuzione internamente al conduttore non è più uniforme, ma tende ad
addensarsi sulla sua superficie esterna dando luogo al così detto “effetto pelle” (skin effect).
Per comprendere questo fenomeno si pensi di suddividere idealmente la sezione del
conduttore in un certo numero di strati concentrici di eguale area, come illustrato nella figura
seguente, in modo che ciascuno strato presenti la stessa resistenza per unità di lunghezza.
Occorre osservare che, in presenza di corrente elettrica, dentro e fuori dal conduttore viene
generato un campo magnetico le cui linee di campo concatenano in misura diversa i diversi
strati concentrici.
Gli strati più interni sono circondati ovviamente da un numero maggiore di linee di campo
degli strati più esterni. Si può quindi asserire, sia pure in modo approssimativo, che gli strati
più interni sono caratterizzati da una induttanza[3] maggiore rispetto agli strati più esterni.
[3]
Il coefficiente di autoinduttanza o induttanza è definito come il rapporto tra flusso autoconcatenato e la
corrente che circola nel conduttore. Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.7.1.
17
PROF. ANDREA CAVAGNINO
L’insieme degli strati può essere schematicamente rappresentato attraverso diversi rami di
circuito in parallelo. Ciascun ramo possiede lo stesso valore di resistenza, ma ha una
induttanza L diversa a seconda della profondità ( con riferimento alla figura seguente risulta:
L1 > L2 > L3 > L4 ).
Campo magnetico
1
R
L1
R
L2
R
L3
R
L4
i1
i2
2
3
4
i
i3
i4
Suddivisione della sezione retta del conduttore in strati di eguale area
Quando il conduttore è attraversato da una corrente costante nel tempo, il ruolo delle
induttanze è nullo e la corrente tra gli strati viene ripartita in ragione inversa delle resistenze.
La distribuzione di corrente risulta in questo caso uniforme.
Se la corrente che percorre il conduttore è alternata sinusoidale di pulsazione ω, la corrente
nei vari strati si ripartisce in ragione inversa delle singole impedenze R + jωLi. A causa del
diverso valore della parte induttiva delle impedenze dei diversi strati, la corrente tende ad
addensarsi verso la parte più esterna del conduttore.
La disuniformità di distribuzione si accentua al crescere della frequenza della corrente ed, in
conseguenza di questo fatto, la resistenza apparente e le perdite del conduttore per effetto
Joule aumentano. Infatti, si può ritenere che a causa dell’addensamento superficiale della
corrente non tutta la sezione del conduttore venga utilizzata per il passaggio della corrente e
quindi nella formula (1.16) che definisce la resistenza, l’area utile A risulta ridotta rispetto
all’area geometrica.
Il fenomeno dell’effetto pelle si presenta come un aspetto negativo nella conduzione di
correnti alternate in quanto produce maggiori dissipazioni di energia, tuttavia in diverse
applicazioni può essere sfruttato vantaggiosamente.
Ad esempio, nel caso di apparecchiature elettromedicali che prevedano il passaggio di
corrente nel corpo umano, l’impiego di frequenze elevate consente di fare in modo che la
corrente si distribuisca sulla pelle del corpo anziché andare ad interessare fibre muscolari o
nervose in profondità con ovvii rischi per l’incolumità del paziente.
Nel caso di processi di tempra superficiale di particolari metallici, l’impiego di correnti ad alta
frequenza viene utilmente sfruttato per produrre riscaldamenti localizzati sulla superficie dei
pezzi: regolando la frequenza si può dosare in modo estremamente semplice lo spessore di
penetrazione della corrente e lo spessore della zona temprata.
Molti motori asincroni usano in misura maggiore o minore questo fenomeno per apportare le
modifiche desiderate alla forma delle caratteristiche di coppia in funzione della velocità.
18
MACCHINE ELETTRICHE
1.6 – Materiali isolanti
I materiali isolanti hanno il compito di isolare elettricamente le parti in tensione
(avvolgimenti) dalle altre parti della macchina (circuiti magnetici, carcassa, ..). Ovviamente,
gli isolanti servono anche per isolare tra loro le singole spire di un avvolgimento ed
avvolgimenti diversi.
Il funzionamento e la durata delle macchine elettriche dipendono essenzialmente dagli isolanti
che costituiscono la parte più sensibile alle sollecitazioni termiche, dielettriche e meccaniche.
Infatti, mentre l'usura degli organi di meccanici (cuscinetti, commutatori, spazzole, …) e
quindi i corrispondenti guasti sono relativamente prevedibili ed evitabili, grazie ad una
corretta manutenzione, non altrettanto succede per i guasti dovuti alle alterazioni degli isolanti
causate da riscaldamento, sovratensioni e sollecitazioni meccaniche.
Le principali proprietà degli isolanti sono:
la rigidità dielettrica (il più alto valore del gradiente di tensione che il materiale può
sopportare senza che avvenga la scarica)
costante dielettrica
la conducibilità termica.
Alcuni esempi di isolanti usati nelle macchine elettriche sono la carta ed il cartone, la mica, le
resine, gli smalti, le vernici, il vetro, le plastiche, ecc. Esistono anche isolanti liquidi (oli) e
gassosi (azoto, esafluoruro di zolfo, …)
Le norme CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) definiscono alcune classi di isolamento in
base alla massima temperatura che gli isolanti elettrici possono sopportare senza perdere le
loro proprietà dielettriche. Le classi di isolamento sono codificate con una lettera. Quelle di
maggior interesse nella realizzazione delle macchine elettriche solo la classe F (temperatura
massima = 155°C) e la classe H (temperatura massima = 180 °C).
1.7 – Elettromagneti - circuiti magnetici
Un elettromagnete è una struttura costituita da un nucleo di materiale ferromagnetico,
destinata a convogliare il flusso magnetico prodotto da un avvolgimento di eccitazione
percorso da corrente alternata o continua. Molto spesso l’elettromagnete può essere trattato,
dal punto di vista del campo magnetico, come un tubo di flusso; infatti, l’alta permeabilità del
materiale ferromagnetico fa in modo che l’induzione magnetica sia presente esclusivamente
entro la struttura fisica dell’elettromagnete.
Le diverse macchine elettriche sono interpretabili
come elettromagneti dotati di diverse forme
circuitali e di diverse modalità di eccitazione.
Si consideri l’elettromagnete elementare
illustrato nella figura a fianco, formato da una
struttura in materiale ferromagnetico (nucleo),
intercalata con uno strato in aria (traferro) e da
una bobina di eccitazione.
Si consideri la linea media del tubo di flusso alla
quale applicare la legge della circuitazione (linea
tratteggiata).
Si ipotizza la costanza della sezione del tratto in
ferro e del traferro lungo la linea media.
Sm
I
lt
Ll m
St
Elettromagnete
Circuito magnetico con traferro
19
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Si indichino con:
l t, l m
lunghezze medie del circuito in aria e in ferro;
St, Sm
aree delle sezioni del traferro e del ferro (trasversali alla linea media);
N, I
numero di spire e corrente della bobina.
Il calcolo dell’elettromagnete consiste nella determinazione della caratteristica di eccitazione,
ovvero nella determinazione della relazione tra il flusso prodotto dall’elettromagnete e la
corrente nella bobina.
Il procedimento si basa sul seguente algoritmo:
1. - Si fissa un valore di flusso Φ nel circuito magnetico.
2. - Si determinano le induzioni presenti nel traferro e nel ferro attraverso le relazioni:
Bt =
Φ
;
St
Bm =
Φ
Sm
3. - Dalla caratteristica magnetica del materiale ferromagnetico si ricava il valore del campo
magnetico nel nucleo (si ricorda la non linearità del materiale, Hm=Hm(Bm)). Il campo al
traferro si calcola immediatamente come:
Ht =
Bt
µ0
4. - Dalla legge della circuitazione magnetica (1.5) si ricava il prodotto NI (corrente
concatenata alla linea di circuitazione). Grazie all’ipotesi che il circuito magnetico sia
costituito da tronchi a sezione costante e che in ogni tronco il campo sia uniforme ed
ortogonale alla sezione, la legge della circuitazione assume l’espressione seguente:
N ⋅ I = H m l m + H t lt
(1.23)
5. - Si ripete il procedimento per diversi valori di flusso e si riportano i risultati in un
diagramma, che rappresenta la caratteristica magnetica dell’elettromagnete (molte volte
si diagramma il flusso concatenato con la bobina anziché il flusso nel circuito
magnetico).
caduta di tensione magnetica al traferro
Φ
Ht⋅lt
Hm⋅lm
caduta di tensione magnetica nel ferro
f.m.m necessaria per produrre il flusso Φ
NI
Caratteristica magnetica dell’elettromagnete
La retta trattgiata nella figura precedente viene denominata retta di traferro. Si osservi che
Per piccoli valori del flusso e quindi dell’induzione, il ferro mette in gioco valori molto
modesti di campo. Come conseguenza la quota preponderante di caduta di tensione magnetica
è da imputare al traferro (si parla di “effetto linearizzante” dei traferri). Per alti valori del
20
MACCHINE ELETTRICHE
flusso e quindi di induzione, la caduta di tensione magnetica nel ferro non è più trascurabile a
causa della saturazione.
Si noti che la caratteristica magnetica dell’elettromagnete non è la curva di
magnetizzazione del materiale magnetico. Infatti, la prima caratteristica si può interpretare
come una proprietà “macroscopica” dell’elettromagnete, mentre la seconda è una proprietà
“puntuale” del materiale ferromagnetico utilizzato nella costruzione dell’elettromagnete.
I termini che compaiono nella relazione (1.23) vengono definiti nel seguente modo:
Il prodotto NI viene definito forza magnetomotrice applicata al circuito magnetico.
I prodotti Htlt e Hmlm vengono definiti cadute di tensione magnetica.
Se nell’espressione (1.23) si esprimono i valori del campo direttamente attraverso i valori del
flusso, si ottiene la seguente importante espressione:
N⋅I =
lm
l
Φ + t Φ = ℜm ⋅ Φ + ℜt ⋅ Φ
µ ⋅ Sm
µ0 ⋅ S t
La relazione (1.24) è nota come legge di
Hopkinson. Le grandezze ℜ = l / (µ S) vengono
denominate riluttanze magnetiche del tronco e si
misurano in H-1. Se il tronco avesse una sezione
non costante lungo la linea media di circuitazione
la riluttanza assume la seguente formulazione:
(1.24)
ltronco
Φ
S(l)
1
⋅ dl
(
)
µ
⋅
S
l
l
ℜ=∫
Si osservi che la corrente concatenata con la linea di circuitazione può quindi venire
determinata in due modi equivalenti. Ad esempio, nel caso di più forze magnetomotrici agenti
sulla linea di circuitazione si può scrivere:
 ∑ H tronco × l tronco
tronchi

I Concatenata = ∑ N k ⋅ I k = 

k
ℜ
⋅ Φ tronco
 ∑ tronco
tronchi

Legge della circuitazione
Legge di Hopkinson
Il problema della non linearità del ferro rimane inalterato in entrambe le formulazioni. Infatti,
nella legge della circuitazione è contenuto nel valore Htronco = Htronco(Btronco), mentre nella
seconda equazione è contenuto nel valore µtronco = µ(Btronco). Ne consegue che non è possibile
calcolare il flusso in un elettromagnete quando viene fornito il valore della forza
megnetomotrice (NI). Infatti, non essendo noto il flusso, non è possibile determinare il valore
dell’induzione e quindi i valori di campo o i valori di permeabilità. Questo problema non
lineare viene quindi risolto per via indiretta calcolando preliminarmente la caratteristica
magnetica dell’elettromagnete. Successivamente si valuta per via grafica il flusso che
compete alla forza magnetomotrice fornita.
L’espressione (1.24) permette di definire un’analogia formale tra i circuiti magnetici e quelli
elettrici. Infatti, la (1.24) si può interpretare come la legge di Ohm assegnando alle grandezze
il seguente significato:
Forza magnetomotrice (NI) ⇒ tensione (V)
Riluttanza (ℜ) ⇒ resistenza (R)
Flusso Φ ⇒ corrente (I)
21
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Nel caso dell’elettromagnete finora considerato, l’analogia formale permette di definire la
seguente rete elettrica (si noti l’uso delle grandezze magnetiche anche nella rete equivalente).
ℜm
I
NI
ℜt
Φ
Poiché si possono applicare le tecniche di risoluzione note per le reti elettriche, l’impiego
dell’analogia tra reti magnetiche ed elettriche è particolarmente interessante per giungere
velocemente alla possibile soluzione di circuiti magnetici complessi. Si osservi inoltre che la
rete elettrica equivalente conserva la “topografia” della rete magnetica di partenza (stesse
“connessioni” dei tronchi).
Ad esempio, una volta identificati i tronchi del circuito magnetico, la definizione della rete
elettrica equivalente per il seguente elettromagnete risulta immediata. Si osservino i versi
assegnati alle F.m.m. (regola della mano destra)
ℜ
N1
Φ
Φ1
N2
I1
ℜ1
I2
ℜt
Φ2
Φ1
Φ
+
ℜ2
Φ2
N2 I2
N1I1
+
1.7.1 – Coefficiente di autoinduttanza e mutua induttanza
Si consideri una bobina percorsa da corrente. Il coefficiente di autoinduttanza (o
semplicemente induttanza) della bobina è il rapporto tra il flusso concatenato alla bobina e la
corrente che lo genera (da qui i termini autoinduttanza e flusso autoconcatenato).
L=
Λ N ⋅Φ
=
I
I
(1.25)
Ricordando la legge di Hopkinson (NI = ℜeqΦ), la relazione (1.25) può essere riscritta nel
seguente modo:
Λ N ⋅Φ N N ⋅ I
N2
= ⋅
L= =
=
I
I
I ℜ eq ℜ eq
(1.26)
L’unità di misura dell’induttanza è l’Henry ([H] = [Wb/A] = [Vs/A] = [Ω s]). Si noti che in
presenza di materiali magnetici non lineari anche l’induttanza è un parametro non lineare per
gli stessi motivi per cui non lo è la riluttanza. La formulazione attraverso la riluttanza,
evidenzia l’influenza sul valore di induttanza delle dimensioni dell’elettromagnete e della
permeabilità equivalente del circuito magnetico.
22
MACCHINE ELETTRICHE
Osservazione
Φp
Nella figura a fianco sono schematizzate le line di
campo di una bobina avvolta su un nucleo
ferromagnetico. Esiste un flusso concatenato alla bobina
che non passa nel nucleo e si richiude nell’aria
circostante. Tale flusso viene denominato flusso disperso
(Φd). Il flusso all’interno del nucleo viene generalmente
interpretato come flusso principale (Φp).
Ne consegue che il flusso concatenato totale con la bobina vale:
(
Φd
)
Λ = N ⋅ Φ p + Φd = Λ p + Λd
e l’autoinduttanza della bobina risulta:
L=
N2 N2
Λ Λ p Λd
=
+
=
+
= L p + Ld
I
I
I
ℜ p ℜd
(1.27)
dove Ld è l’induttanza di dispersione dell’avvolgimento.
Il parametro ℜd è la riluttanza del tubo di flusso in cui passano i flussi dispersi. Poiché tali
flussi evolvono in gran parte in aria, la riluttanza di dispersione non è influenzata da fenomeni
di saturazione. Si noti che il calcolo analitico di ℜd è in generale molto complesso vista la
difficoltà di definire la lunghezza e la sezione del relativo tubo di flusso.
I coefficienti di muta induttanza servono per calcolare il flusso concatenato con una bobina
creato da un altro avvolgimento. Si noti che tale flusso esiste anche quando la bobina non è
percorsa da corrente. Si consideri la seguente situazione:
Le due bobine (di N1 e N2 spire) sono caratterizzate ciascuna dalla loro induttanza calcolabile
come indicato in precedenza. Per valutare correttamente il flusso concatenato con ogni bobina
si deve tener conto del flusso “mutuamente” scambiato.
Si ipotizzi nulla la corrente nell’avvolgimento di destra, il flusso concatenato con la bobina 2
dovuto alla corrente I1 vale:
N ⋅I
N ⋅N
(1.28)
Λ c 2 = N 2 ⋅ Φ c 2 = N 2 ⋅ 1 1 = 2 1 ⋅ I1 = M 21 ⋅ I
ℜx
ℜx
dove ℜx è la riluttanza del tubo di flusso comune alle due bobine (indicato in azzurro).
23
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il coefficiente M21 è il coefficiente di mutua induttanza del circuito 2 rispetto al circuito 1.
Ripetendo il calcolo considerando l’avvolgimento 2 percorso da corrente e calcolando il
flusso concatenato con la bobina 1 si ricaverà il coefficiente M12. Tale coefficiente risulterà
numericamente uguale a M21.
Si noti che al coefficiente di mutua induttanza risulta negativo quando il flusso scambiato tra
le bobine ha direzione opposta a quella assunta convenzionalmente positiva per ogni singola
bobina. Invece il coefficiente di autoinduttanza è un parametro sempre positivo.
Definiti i coefficienti di mutua induttanza, il flusso concatenato totale di ciascun
avvolgimento può essere valutato nel modo seguente:
Λ1 = L1 ⋅ I1 + M 12 ⋅ I 2


Λ = M ⋅ I + L ⋅ I
21 1
2 2
 2
(1.29)
Esempio
Φ2
Φ1
I1
I2
Φ3
N1
N2
ℜ3
ℜ2
ℜ1
Con I1 > 0 e I2 = 0
Φ1 =
Φ2 =
N1 ⋅ I1
ℜ eq1
N1 ⋅ I 1
ℜ*eq
dove
ℜ eq1 = ℜ1 +
dove
ℜ*eq =
ℜ 2 ⋅ ℜ3
ℜ 2 + ℜ3
ℜ1 ⋅ ℜ 2 + ℜ1 ⋅ ℜ 3 + ℜ 2 ⋅ ℜ 3
ℜ3
Calcolando i flussi concatenati delle bobine ed applicando le definizioni date si ottengono i
seguenti coefficienti:
L1 =
N12
ℜ eq1
M 21 = +
N 2 ⋅ N1
ℜ*eq
Si osservi che il parametro M21 è positivo in quanto il flusso Φ2 è concorde al flusso creato
dalla bobina due quando in questa si invia una corrente positiva rispetto alla freccia indicata
(regola della mano destra).
Con I1 = 0 e I2 > 0
Φ2 =
24
N2 ⋅ I2
ℜ eq 2
dove
ℜ eq 2 = ℜ 2 +
ℜ1 ⋅ ℜ 3
ℜ1 + ℜ 3
MACCHINE ELETTRICHE
Φ1 =
N2 ⋅ I2
ℜ*eq =
dove
ℜ*eq
ℜ1 ⋅ ℜ 2 + ℜ1 ⋅ ℜ 3 + ℜ 2 ⋅ ℜ 3
ℜ3
Ne consegue:
L2 =
N 22
ℜ eq 2
N ⋅N
M 12 = + 1 2 = M 21
ℜ*eq
1.7.2 – Circuiti magnetici eccitati con magneti permanenti
Per produrre flusso costante risulta
particolarmente utile nelle costruzioni
elettromeccaniche l’impiego di magneti
permanenti. Con questa soluzione si evita
di dover predisporre avvolgimenti di
eccitazione percorsi da corrente continua e
si ottengono costruzioni più compatte ed
energeticamente più efficienti. I materiali
per magneti permanenti sono dotati di un
ampio ciclo di isteresi, che consente loro di
mantenere valori di induzione elevati
anche in assenza di eccitazione esterna.
Si definisce induzione residua del magnete
permanente l’induzione prodotta in assenza
di campo di eccitazione e il campo
coercitivo del magnete permanente il
campo
di
segno
opposto
alla
magnetizzazione che occorre applicare
perché l’induzione del magnete si annulli.
Curve B-H di alcuni tipi di magneti permanenti
Caratteristiche di pregio per imagneti permanenti sono alti valori dell’induzione residua e del
campo coercitivo. Il calcolo di un magnete permanente consiste nella determinazione del
punto di lavoro del magnete (Hm ,Bm) in relazione alla geometria del circuito magnetico in cui
è inserito. Ovvero, fissato il punto di lavoro (Hm,Bm) consiste nella determinazione del
volume di magnete necessario a produrre al traferro il flusso desiderato.
traferro
Bm
Punto di lavoro del
magnete a carico
Br induzione residua
St, lt
Retta di traferro
ciclo di isteresi
lm
Sm
Hm
Hc campo coercitivo
Magnete permanente
Magnete permanente e suo impiego
25
PROF. ANDREA CAVAGNINO
1.7.2.1 - Calcolo del punto di lavoro del magnete
Per il calcolo del punto di lavoro di un magnete si segue la stessa tecnica del calcolo
dell’elettromagnete e ci si avvale dell’applicazione delle due leggi fondamentali
dell’elettromagnetismo:
la legge della circuitazione magnetica;
la solenoidalità dell’induzione.
Con riferimento allo schema di magnete permanente rappresentato nella figura precedente si
può scrivere:
H m l m + H t lt = 0;
Bm S m = Bt S t
Ricordando che Bt = µ0 H t , si ottiene la seguente relazione tra Bm ed Hm:
Bm = - µ0 H m
lm S t
lt S m
(1.30)
Questa relazione (retta di traferro) unitamente al ciclo di isteresi del materiale consente di
determinare il punto di funzionamento del magnete.
È possibile fare le seguenti osservazioni:
Il campo magnetico Hm internamente al magnete ha segno opposto all’induzione (si
tratta quindi di un campo smagnetizzante).
Un aumento della lunghezza del traferro comporta un aumento del campo
smagnetizzante ed un abbassamento dell’induzione e del flusso forniti dal magnete.
Valori elevati di campo coercitivo ovvero di lunghezze di magnete consentono una
maggiore stabilità dell’induzione prodotta da variazioni di lunghezza di traferro.
1.7.2.2 - Scelta delle dimensioni del magnete
Fissati i valori Bm, Hm sulla curva caratteristica del magnete, si possono agevolmente
determinare le dimensioni Sm, lm necessarie a produrre un determinato valore di flusso Φt in
un traferro di lunghezza lt e sezione St.
Infatti:
Sm =
Φ t Bt S t
=
;
Bm
Bm
lm =
H t lt
Bl
= tt
µ0 H m
Hm
Bm
Hm*Bm=cost
Punto di massimo
sfruttamento
t
i
Hm
Punto di massima energia del magnete permanente
26
MACCHINE ELETTRICHE
Il volume di magnete Vm necessario allo scopo risulta dato da:
Bt S t H t lt
Bt2Vt
Vm = S m l m =
⋅
=
µ0 H m Bm
Bm H m
(1.31)
dove Vt è il volume del traferro.
La (1.31) indica che per ridurre al minimo il volume di magnete, la scelta del punto di lavoro
(Hm ,Bm) va eseguita in modo che sia massimo il prodotto Bm ⋅ Hm (vedi figura precedente ).
NdFeB
SmCo
NdFeB
Alnico
Ceramic
Flexible
Br
Tesla
1.28
1.05
0.68
1.25
0.39
0.16
Materiali per magneti permanenti
Hc
Br/Hc
(BH)max
A/m
H/m
kJ/m3
978803
1.30772E-06
400
732113
1.43421E-06
260
459958
1.4784E-06
100
50930
2.45437E-05
55
254648
1.53153E-06
35
109021
1.46761E-06
6
Tmax
°C
150
300
150
540
300
100
1.8 – Energia immagazzinata nel campo magnetico
Nel campo magnetico viene immagazzinata (e non dissipata) una energia per unità di volume
pari a:
wm =
1
1 B2 1
⋅B⋅H = ⋅
= ⋅µ⋅ H 2
2
2 µ
2
[J/m3]
(1.32)
La relazione (1.32) vale per un materiale magnetico lineare, contraddistinto cioè da una
permeabilità costante. L’energia specifica wm si interpreta sul piano B-H del materiale come
l’area indicata nella figura seguente:
B
B = µ⋅H
H
wm
tg(α) = µ
dvolume
H
Interpretazione grafica dell’energia magnetica
Nei circuiti magnetici con traferri, la quota maggiore
di energia magnetica è immagazzinata nelle parti in
aria. Si consideri l’elettromagnete schematizzato a
fianco. Assumendo uguali la sezione del ferro e
quella dell’aria, l’induzione in questi due tronchi è la
stessa (l’elettromagnete si può considerare un tubo di
flusso). Poiché la permeabilità del ferro è molto
maggiore di quella dell’aria si ha che la maggior
parte dell’energia magnetica si trova nel tratto in
aria, come si desume dalla (1.33).
Sf
I
lt
St
lf
27
PROF. ANDREA CAVAGNINO
1 B2
1 B2
wm = wm ferro + wm aria = ⋅
+ ⋅
2 µ ferro 2 µ 0
(1.33)
Finora si è ragionato in termini di energia per unità di volume. Per ottenere l’energia
immagazzinata nell’elettromagnete è necessario integrare l’espressione (1.32) sul volume del
circuito magnetico. Si ottiene:
1
1
1
1
Wm = ∫
⋅ B ⋅ H ⋅ dvol = ⋅ ∫ H ⋅ dl ⋅ ∫ B ⋅ dS = ⋅ ( N ⋅ I ) ⋅ Φ = ⋅ Φ c ⋅ I
2
2 l
2
2
Volume
S
dove Φ è il flusso principale nel circuito magnetico e Φc è il flusso concatenato con la bobina.
Ricordando che il flusso concatenato con la bobina vale Φc = L I, si ricava la seguente
relazione:
Wm =
1
⋅L⋅I2
2
[J]
(1.34)
La relazione (1.34) vale solo per mezzi magneticamente lineari.
Per due avvolgimenti mutuamenti accoppiati (si ricordi la (1.29)), il calcolo porta alla
seguente definizione di energia magnetica (valida sempre per mezzi lineari).
Wm =
1
1
⋅ L1 ⋅ I12 + ⋅ L2 ⋅ I 22 + M 12 ⋅ I1 ⋅ I 2
2
2
(1.35)
Osservazione
Nel caso in cui il materiale costituente il circuito magnetico abbia caratteristica non lineare, la
definizione dell’energia per unità di volume risulta più complessa e data dalla seguente
formulazione integrale.
wm =
B Lavoro
∫ H ⋅ dB
0
L’interpretazione grafica dell’energia specifica sul piano B-H è analoga a quella indicata nel
caso di mezzi lineari.
B
B
BLavoro
BLavoro
wm
wm’
H
HLavoro
H
HLavoro
Interpretazione grafica dell’energia e della coenergia
La grandezza wm’ si chiama coenergia ed è definita dal seguente intergrale:
'
wm
=
H Lavoro
∫ B ⋅ dH
0
28
MACCHINE ELETTRICHE
La coenergia non ha il significato fisico di una energia e si può considerare come una
grandezza accessoria utile nei calcoli delle forze e delle coppie. Si osservi come nel caso di
mezzi lineari energia e coenergia coincidano.
1.8.1 – Forze meccaniche
La presenza di energia immagazzinata nel campo magnetico implica la possibilità di
scambiare forze tra le varie parti costituenti il circuito magnetico.
Tali azioni meccaniche possono essere ricavate dall’energia (o dalla coenergia) applicando il
principio dei lavori virtuali. Si può dimostrare che valgono le seguenti relazioni.
F =−
∂Wm
∂Wm'
=+
∂x
∂x
(nel caso di spostamento lineare tra le parti)
C=−
∂Wm
∂Wm'
=+
∂θ
∂θ
(nel caso di rotazione tra le parti)
Si noti che nelle formule precedenti compaiono le energie (coenergie) immagazzinate
nell’elettromagnete e non le energie (coenergie) per unità di volume.
1.9 – Classificazione delle macchine elettriche
Le macchine elettriche possono essere classificate in vari modi. Un primo modo può essere in
base al tipo di trasformazione energetica che attuano.
Conversione energetica
Energia elettrica ⇒ Energia elettrica
Energia elettrica ⇒ Energia meccanica
Energia meccanica ⇒ Energia elettrica
Esempi
Trasformatori
Convertitori elettronici di potenza
Motori elettrici in corrente continua
Motori elettrici in corrente alternata
Generatori in corrente continua (dinamo)
Generatori in corrente alternata (alternatori)
Un’altra possibile classificazione è la seguente:

Statiche


Macchine Elettriche 
Rotanti










Trasformatori
Convertitori elettronici di potenza
in corrente continua
 Sincrone
in corrente alternata 
 Asincrone o ad induzione
Le macchine sincrone sono macchine rotanti in grado di fornire coppia solo ad una
determinata velocità (denominata velocità di sincronismo). Le macchine asincrone sono
invece in grado di fornire coppia a velocità diverse da quelle di sincronismo.
Anche se non verranno trattati nel corso, conviene definire e classificare i convertitori
elettronici di potenza utilizzati per comandare i motori elettrici in continua ed in alternata. Si
ricorda che questi dispositivi permettono di regolare la velocità di rotazione del motore con
elevata efficienza ed elevate prestazioni dinamiche.
29
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Classificazione dei convertitori elettronici di potenza
Non controllati
Alternata ⇒ Continua Ponti raddrizzatori Semicontrollati
Total controllati
Variano la tensione efficace e
Continua ⇒ Alternata Inverter
frequenza in uscita
Ad un quadrante
A due quadranti
Continua ⇒ Continua Chopper
A quattro quadranti
1.9.1 – Convenzioni di segno per motori e generatori
Per studiare l’azione meccanica all’asse delle macchine rotanti si adottano le convenzioni di
segno indicate nella figura seguente (dove T, dall’inglese torque, indica la coppia).
Convenzioni di segno: (a) azione motrice nei motori, (b) azione frenante nei generatori.
Si noti che la convenzione di segno assunta al “morsetto meccanico” è indipendente da quella
assunta per studiare i “morsetti elettrici” della macchina. In ogni caso, conviene usare ai
morsetti elettrici della macchina la convenzione di segno degli utilizzatori elettrici (vedi
paragrafo 1.2.3) quando si studia un motore. Conviene invece usare ai morsetti elettrici la
convenzione dei generatori quando si studia una macchina che sta funzionando come
generatore (azione frenante).
Se si opera questa scelta i flussi di energia sono concordi alle frecce riportate nella figura
precedente.
30
MACCHINE ELETTRICHE
1.10 - Grandezze di targa e criteri di similitudine nelle
macchine elettriche
1.10.1 - Grandezze di targa
Le macchine elettriche e le apparecchiature elettriche sono caratterizzate attraverso una targa
che ne contraddistingue i limiti di impiego. Le principali grandezze comunemente riportate
nella targa sono la tensione nominale, la corrente nominale e la potenza nominale.
Tensione nominale
La tensione nominale di un’apparecchiatura elettrica è il valore di tensione di alimentazione
idoneo al suo corretto funzionamento. Le implicazioni fisiche relative al valore di tensione
nominale possono variare da un tipo di apparecchiatura ad un altro. In alcuni casi la tensione
nominale può avere relazione con il grado di rigidità dielettrica degli isolanti impiegati, in
altri casi può essere legata a problemi di funzionalità meccanica od elettrica (motori a corrente
continua), in altri ancora può essere associata a condizioni di tenuta a polarizzazione inversa
di semiconduttori (convertitori elettronici di potenza).
Tuttavia, nel caso delle macchine elettriche in c.a. (trasformatori, motori), la tensione
nominale è particolarmente legata allo sfruttamento magnetico del ferro.
Ad esempio, considerando l’avvolgimento primario di un trasformatore durante il
funzionamento a vuoto, risulta che tra la tensione di alimentazione ed il flusso concatenato
con l’avvolgimento esiste, in condizioni di regime sinusoidale, la seguente relazione:
V = ω⋅ N ⋅
Φ max
2
≅ 4.44 ⋅ f ⋅ N ⋅ Φ max
(1.36)
Quindi la tensione di alimentazione determina il flusso presente nella struttura magnetica del
trasformatore. Alimentare il primario del trasformatore con valori di tensione diversi dal
valore nominale significare far funzionare il trasformatore in condizioni magnetiche diverse.
V’ Φ’
Vnom Φnom
P’
P
i
imagn
i’magn
Caratteristica di eccitazione del trasformatore a vuoto
E’ noto che al crescere del flusso in un elettromagnete la corrente magnetizzante cresce
secondo una caratteristica di eccitazione affetta da saturazione come illustrato indicativamente
in figura. In un trasformatore correttamente progettato la tensione nominale è fissata in modo
che il suo circuito magnetico lavori poco sopra il ginocchio della caratteristica. In tal modo si
ottiene il compromesso tra il raggiungimento di elevati valori di flusso ed il contenimento
della corrente magnetizzante.
Se si alimenta il trasformatore ad una tensione anche poco più alta del valore nominale si
rischia di assorbire una corrente a vuoto molto elevata con conseguente aumento delle perdite
nei conduttori dell’avvolgimento e riduzione dell’efficienza del trasformatore. Valutazioni
analoghe possono essere condotte per i motori in corrente alternata.
31
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Corrente nominale
Il concetto di corrente nominale è usualmente collegato con l’effetto Joule che si manifesta in
un conduttore percorso da corrente. La corrente nominale di un’apparecchiatura elettrica è
quel valore di corrente che in condizioni convenzionali di impiego produce un riscaldamento
tollerabile dall’apparecchiatura. In linea di massima si può affermare che il valore di corrente
nominale di un’apparecchiatura elettrica è condizionato dal tipo di isolamento utilizzato per i
conduttori e dal sistema di smaltimento del calore prodotto.
Temperatura di regime termico
Temperatura limite
θ(t)
Corrente nominale per servizio
continuativo
θ(t)
Corrente nominale per servizio
intermittente
Andamento delle temperature dei conduttori per diverse condizioni di servizio
Va osservato inoltre che per apparecchiature destinate a particolari tipi di servizi non
continuativi il valore nominale della corrente può essere correlato al particolare tipo di
servizio. Uno stesso motore potrebbe essere targato con un valore di corrente nominale più
basso se è previsto per un funzionamento continuativo, ovvero con un valore di corrente più
elevato, se è previsto che il tipo di servizio sia discontinuo o intermittente. In questo secondo
caso, infatti, la temperatura dei conduttori potrebbe mantenersi costantemente inferiore a
quella di regime termico come illustrato nella figura precedente.
Va inoltre evidenziato che, nel caso di motori auto-ventilati e destinati a funzionare a velocità
diverse, molto spesso il valore di corrente nominale diventa funzione della velocità di
rotazione in quanto le temperature del motore mutano in conseguenza delle mutate condizioni
di ventilazione.
Riassumendo il valore di corrente nominale dipende dalle seguenti considerazioni:
sezione del conduttore;
tipo di isolamento e temperatura massima sopportata;
tipo di raffreddamento (irraggiamento, convezione, ventilazione forzata, etc.) a cui è
soggetto l’avvolgimento;
tipo di servizio dell’avvolgimento (continuativo, intermittente, etc.).
Potenza nominale
In generale la potenza nominale di una apparecchiatura elettrica è la potenza utile fornita in
uscita quando l’apparecchiatura sia alimentata alla tensione nominale e sia caricata in modo
da assorbire la corrente nominale. Pertanto è evidente che il concetto e il valore di potenza
nominale di una apparecchiatura risulta condizionato dagli stessi fattori che condizionano la
definizione di corrente nominale.
Nel caso delle macchine elettriche, quando la potenza utile di uscita è una potenza elettrica,
essa viene espressa come potenza apparente in kVA (trasformatore, alternatore) o come
potenza attiva in kW (dinamo) secondo che si tratti di potenza erogata in alternata oppure in
continua. Quando la potenza fornita in uscita è una potenza meccanica (tutti i motori) la
potenza nominale è sempre espressa in kW.
32
MACCHINE ELETTRICHE
1.10.2 - Relazioni tra potenza e dimensioni delle macchine elettriche
Sulla base di quanto discusso sinora è possibile stabilire una relazione tra la potenza nominale
e le dimensioni di una macchina elettrica sulla base di alcune ipotesi preliminari.
Si supponga di voler costruire una macchina elettrica prendendo come modello un esemplare
già costruito ed alterandone secondo un rapporto σ tutte le dimensioni. Nell’eseguire questa
operazione si immagini di mantenere inalterati gli indici di sfruttamento dei materiali attivi
(ferro e rame). Tali indici sono rappresentati rispettivamente dai valori di induzione nominale
Bnom e di densità di corrente nominale δnom usati nell’esemplare preso a modello. Ci si chiede
quali saranno le caratteristiche nominali della nuova macchina.
Si prenda innanzitutto in considerazione la potenza nominale della nuova macchina. Occorre a
questo punto eseguire una considerazione sulla espressione della potenza nominale. Per
macchine che producono energia elettrica, come il trasformatore, la potenza nominale è
esprimibile attraverso il prodotto di grandezze elettriche:
S nom = qVnom ⋅ I nom dove q dipende dal numero di fasi
(1.37)
mentre per i motori elettrici la potenza nominale è esprimibile attraverso grandezze
meccaniche:
Pnom = Cnom ⋅ ω nom
(1.38)
Relazione tra grandezze nominali e dimensioni del trasformatore
In questo caso l’espressione della potenza può essere riportata agli indici di sfruttamento dei
materiali attivi attraverso l’esame del significato di tensione e corrente nominale:
S nom = qNωΦ nom ⋅ I nom = qωBnom ⋅ δ nom S fe ⋅ NS cu
(1.39)
ove Sfe ed NScu sono rispettivamente la sezione del nucleo magnetico destinato a contenere il
flusso e l’area della finestra destinata a contenere le N spire degli avvolgimenti destinati a
portare la corrente. Se nel processo di similitudine geometrica non alterano ne la frequenza di
alimentazione né gli indici di sfruttamento, la macchina copiata in scala σ :1 per le dimensioni
lineari viene ad avere grandezze di targa fornite dalle relazioni seguenti (nel caso che il
numero di spire N resti invariato):
S ' nom = σ 4 S nom ;
V ' nom = σ 2V nom ;
I ' nom = σ 2 I nom
(1.40)
Si può quindi asserire che tendenzialmente la potenza nominale di un trasformatore cresce con
la quarta potenza delle dimensioni lineari. Se nel processo di copiatura si volesse mantenere
invariato il valore di tensione nominale della macchina sarebbe sufficiente modificare il
numero di spire degli avvolgimenti in base al seguente criterio:
V ' nom = Vnom
⇒ N ' ωΦ' nom = NωΦ nom
e poiché:
Φ' nom = σ 2 Φ nom
⇒ N'=
N
σ2
In tal caso la sezione dei conduttori dell’avvolgimento aumenterebbe ulteriormente nel
rapporto σ2 e la nuova corrente nominale risulterebbe:
I ' nom = σ 4 I nom
Una ulteriore importante considerazione può essere condotta osservando la (1.37): la
dipendenza della potenza nominale di un trasformatore dalla frequenza di alimentazione oltre
che dalle dimensioni. Se alimentassimo ad esempio il nostro modello ad una frequenza doppia
33
PROF. ANDREA CAVAGNINO
rispetto a quella prevista, lasciandone inalterate le dimensioni e gli indici di sfruttamento,
potremmo ottenere dalla stessa macchina una potenza doppia, ovvero a parità di potenza
richiesta potremmo utilizzare una macchina più piccola.
Questo principio è sfruttato quando si vogliano ridurre i rapporti peso/potenza delle
apparecchiature elettriche in corrente alternata. Per questo motivo ad esempio negli impianti
di bordo di aeromobili la frequenza utilizzata è di 400 Hz.
Relazione tra potenza nominale e dimensioni di un motore
Analoghe valutazioni possono essere condotte nel caso dei motori elettrici. Infatti la coppia
prodotta risulta generalmente collegabile al prodotto del flusso di macchina con la corrente
nei conduttori secondo una relazione del tipo:
Cnom = kNΦ nom ⋅ I nom = kBnom ⋅ δ nom S fe ⋅ NS cu
(1.41)
Da questa relazione si osserva che le dimensioni del motore dipendono in realtà dalla coppia e
non dalla potenza. Con deduzioni analoghe a quelle condotte per il trasformatore si può
giungere ai seguenti risultati:
C' nom = σ 4 Cnom ;
V ' nom = σ 2V nom ;
I ' nom = σ 2 I nom
(1.42)
Il ruolo della velocità in questo caso è analogo al ruolo della frequenza nel caso del
trasformatore: a parità di potenza motori più veloci sono più piccoli.
1.10.3 - Altre influenze delle dimensioni sulle caratteristiche delle macchine
elettriche
Gli aspetti dimensionali influenzano anche altre caratteristiche importanti delle macchine
elettriche. Si considerino le perdite presenti nei materiali attivi delle macchine. In base a
quanto visto ai paragrafi 1.4 e 1.5, sia le perdite nel ferro che quelle nel rame sono
proporzionali ai volumi dei rispettivi materiali attivi una volta fissati gli indici di sfruttamento
B e δ. Con riferimento al rapporto di similitudine lineare σ si può quindi dedurre:
P' cu + P' fe = σ 3 ( Pcu + Pfe )
(1.43)
Le perdite nel rame Pcu e nel ferro Pfe aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della
macchina. Per macchine simili si può quindi prevedere una dipendenza delle perdite
complessive dalla potenza nominale del tipo:
3
4
Pperduta = Pnom
(1.44)
Nella tabella e nei grafici che seguono si può osservare come tale dipendenza sia rispettata
con buona approssimazione per tutta una famiglia di trasformatori attualmente in commercio.
La relazione (1.44) in particolare indica che al crescere della potenza di una macchina
elettrica il suo rendimento tende a migliorare. Appare inoltre evidente come anche i rapporti
peso-potenza e costo-potenza migliorino riducendosi al crescere delle dimensioni.
Queste valutazioni spiegano il motivo per cui, laddove non siano presenti esigenze di altra
natura, sia preferibile attuare la trasformazione di energia attraverso una unica macchina di
grandi dimensioni anziché attraverso più macchine di dimensioni e potenza inferiori.
34
MACCHINE ELETTRICHE
Targa di trasformatori da distribuzione con isolamento in resina V1n/V2n = 20[kV]/400[V]
25
0.992
Pfe [kW]
Pcu [kW]
0.990
20
Rendimento
0.988
0.7631
Pcu = 50.191Snom
0.986
15
0.984
10
0.982
0.7373
0.980
Pfe = 14.786Snom
5
0.978
Snom [kVA]
0
1000
2000
3000
Snom [kVA]
0.976
4000
0
1000
2000
3000
4000
Andamento delle perdite e del rendimento in funzione della potenza nominale in una famiglia
di trasformatori da distribuzione.
Tuttavia la crescita dimensionale delle macchine non può procedere indefinitamente.
Limitazioni di tipo meccanico e di trasportabilità condizionano le massime potenze
raggiungibili con una unica unità.
Anche considerazioni termiche suggeriscono di non eccedere nelle dimensioni. Infatti, per
quanto osservato, le perdite aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della macchina,
mentre le superfici naturali di scambio termico attraverso le quali il calore prodotto deve
essere smaltito crescono solo con il quadrato delle dimensioni.
La sovratemperatura della macchina crescerebbe quindi linearmente con le dimensioni
secondo l’espressione[4]:
θ '−θamb =
P' fe + P' cu
k ⋅ S'
=
σ 3 ( Pfe + Pcu )
k ⋅σ 2S
= σ (θ − θamb )
(1.45)
Questo fatto spiega il motivo per cui le grandi macchine elettriche abbiano bisogno di
particolari circuiti di raffreddamento ed anche il motivo per cui gli indici di sfruttamento dei
materiali attivi non possano essere mantenuti costanti al crescere delle dimensioni, ma
debbano essere opportunamente ridotti.
[4]
Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.11
35
PROF. ANDREA CAVAGNINO
1.11 – Riscaldamento delle macchine elettriche e modello
termico semplificato
Durante il funzionamento, una macchina elettrica dissipa una potenza totale Pd dovuta a
diversi fenomeni. Ad esempio, nei trasformatori si hanno le perdite nel ferro e nel rame,
mentre nelle macchine rotanti si devono considerare, oltre alle perdite precedenti, anche le
perdite per attrito e ventilazione.
In ogni caso l’energia dissipata degrada in calore provocando un riscaldamento della
macchina. Durante il transitorio di riscaldamento, una parte di calore viene accumulato
internamente alla macchina provocando l’aumento della sua temperatura θ ed una parte viene
scambiata con l’ambiente esterno.
Assumendo che lo scambio termico verso l’ambiente avvenga solo per convezione,
l’equazione differenziale che descrive il transitorio di riscaldamento è la seguente:
dQ = Pd ⋅ dt = c ⋅ G ⋅ dθ + k ⋅ S ⋅ θ ⋅ dt
(1.46)
Calore scambiato con l’esterno
Calore accumulato
dove dQ è la quantità di calore prodotta nell’intervallo di tempo dt, c è il calore specifico
equivalente, G è la massa dell’apparato, S è la superficie di scambio verso l’ambiente e k il
coefficiente di scambio termico.
In condizioni di regime termico, non si ha più accumulo di calore e tutta l’energia dissipata
viene ceduta all’ambiente esterno. In questa condizione, assumendo la temperatura
dell’ambiente pari a θa, la temperatura raggiunta vale:
θ regime = θ a +
Pd
= θ a + ∆θ regime
k⋅S
(1.47)
Durante il transitorio di riscaldamento, la temperatura θ(t) viene determinata risolvendo
l’equazione (1.46)[5].
P
θ(t ) = θ a + d
k ⋅S
t

− 

τ
⋅ 1 − e 




(1.48)
c ⋅G
rappresenta la costante di tempo termica durante il riscaldamento.
k ⋅S
L’equazione (1.46) permette di definire un’analogia tra i fenomeni termici e le reti elettriche.
In particolare, facendo le seguenti posizioni:
dove τ =
Potenza dissipata (Pd) ⇒ Corrente elettrica (I)
Temperatura (θ) ⇒ Tensione (V)
Resistenza termica ( Rth =
1
, in [°C/W]) ⇒ Resistenza elettrica (R)
k ⋅S
Capacità termica (Cth = c⋅G, in [J/°C]) ⇒ Capacità elettrica (C)
[5]
Si assume che all’istante t = 0 la temperatura della macchina sia pari a quella ambiente: θ(t) = θa.
36
MACCHINE ELETTRICHE
è possibile definire la seguente rete elettrica equivalente.
Rth
∆θ(t)
Pd
θ(t)
Cth
+
θa
Modello termico semplificato di una macchina elettrica
In termini di circuito equivalente la costante di tempo termica risulta essere il prodotto della
capacità e della resistenza termica.
Si noti che il modello termico presentato non è in grado di descrivere le temperature delle
varie parti della macchina (ad esempio, avvolgimenti, nucleo, carcassa,…). Qualora si volesse
avere un’indicazione delle temperature interne bisogna derivare un modello termico molto più
complesso che evidenzi i diversi percorsi per i flussi di calore all’interno della macchina. La
difficoltà principale risiede nel determinare i valori delle resistenze termiche che descrivono
gli scambi termici.
37
Capitolo
2
LA MACCHINA A CORRENTE CONTINUA
2.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
La macchina a corrente continua converte l’energia elettrica fornita da un generatore elettrico
di corrente continua in energia meccanica (motore a corrente continua), o, viceversa, l’energia
meccanica fornita da un motore primo in energia elettrica in corrente continua (generatore a
corrente continua o dinamo). Oggi l’uso della macchina in corrente continua come generatore
elettrico è raro, più diffuso è invece il suo impiego come motore elettrico.
Tuttavia anche come motore la diffusione di questa macchina è in lenta ma continua
riduzione. Occorre infatti osservare che, mentre in passato il motore a corrente continua
aveva dei campi di impiego specifici (trazione elettrica, regolazione di velocità, attuazione di
posizione) in cui rappresentava la soluzione tecnicamente più valida, oggi, anche in questi
settori, questo tipo di motore subisce la concorrenza dei più robusti motori elettrici in corrente
alternata. Ciò si deve alla disponibilità di strutture di conversione dell’energia elettrica in c.a.,
capaci di regolare la frequenza e l’ampiezza della tensione di alimentazione, con le quali si
possono ottenere da motori a induzione o da motori sincroni le stesse regolazioni tipiche del
motore a c.c.
Il funzionamento è basato sul principio della macchina elettromagnetica di Pacinotti (1865)
rappresentata schematicamente nella figura seguente. In tale macchina il rotore, costituito da
un cilindro forato, reca un avvolgimento ad elica, uniformemente distribuito lungo il cilindro
e chiuso su se stesso.
1
2
Anello di Pacinotti
3
4
5
6
7
8
1. Spazzola
2. Espansione polare
3. Traferro
4. Avvolgimento di armatura
5. Rotore
6. Statore
7. Corrente di armatura
8. Giogo di statore
9. Avvolgimento di eccitazione
10. Corrente di eccitazione
9
10
39
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Nel funzionamento da generatore, per effetto della rotazione dell’anello nel campo magnetico
prodotto dall’avvolgimento di eccitazione, si inducono sui conduttori esterni
dell’avvolgimento di armatura delle f.e.m. secondo la legge:
E = B ⋅ l ⋅ω ⋅ r
dove:
B
valore dell’induzione al traferro,
l
lunghezza attiva del conduttore[1],
ω
velocità angolare di rotazione del rotore,
r
raggio esterno del rotore.
Queste f.e.m. possono essere raccolte attraverso spazzole striscianti a contatto diretto con i
conduttori esterni al cilindro.
Nel funzionamento da motore, la corrente inviata tramite le spazzole all’avvolgimento genera,
per interazione col campo magnetico prodotto dall’eccitazione, l’azione elettromeccanica
richiesta. Infatti, secondo la legge di Lorentz, la coppia che si genera sul un conduttore
esterno quando esso è percorso dalla corrente I, vale:
C = B ⋅ I ⋅l ⋅r
La coppia totale sviluppata dalla macchina è ottenibile come somma dei diversi contributi
elementari sopra descritti.
Tuttavia, ormai da lungo tempo la struttura elettromagnetica dell’anello di Pacinotti illustrata
precedentemente è divenuta obsoleta; in particolare sono stati abbandonati gli indotti ad
anello. I motivi di questa scelta sono i seguenti:
Necessità di un migliore ancoraggio dell’avvolgimento contro le forze centrifughe e
tangenziali sui conduttori.
Necessità di ridurre il traferro della macchina (al fine di ridurre le correnti di
eccitazione).
Opportunità di spostare l’azione meccanica sulla dentatura in ferro della struttura di
rotore, anziché sui conduttori.
Possibilità di utilizzare nella conversione elettromeccanica dell’energia anche i
conduttori che nella struttura ad anello fungevano esclusivamente da conduttori passivi
di ritorno per la corrente.
Nella figura seguente è rappresentata, in forma semplificata, la struttura di una macchina di
concezione moderna. Le parti principali della struttura sono l’induttore, l’indotto e il
commutatore a lamelle (o collettore).
[1]
Si definisce lunghezza attiva del conduttore di un avvolgimento quella porzione del conduttore che si trova
affacciata al traferro ed immersa nel campo magnetico della macchina. Nell’anello di Pacinotti, la lunghezza
attiva è la lunghezza assiale del conduttore esterno al cilindro di rotore.
40
MACCHINE ELETTRICHE
Spazzola
Espansione polare
Traferro
Avvolgimento di armatura
Rotore
Statore
Nucleo polare
Avvolgimento di campo
Corona di statore
Commutatore a lamelle
Macchina a corrente continua ad una coppia polare
2.1.1 - Induttore
L’induttore è la parte della macchina destinata a produrre il campo magnetico necessario ad
attivare il fenomeno di conversione elettromeccanica dell’energia. Esso costituisce
normalmente la parte fissa della macchina e viene spesso indicato con il termine statore.
Sull’induttore sono disposti, a intervalli regolari, i poli magnetici (alternativamente un nord ed
un sud nelle macchine a più coppie polari).
Ciascun polo è una struttura saliente costituta da:
Il nucleo polare attorno al quale è avvolta la bobina di eccitazione o di campo. Tali
bobine, percorse nel verso opportuno da corrente continua, producono le polarità
magnetiche richieste. Il nucleo polare può essere realizzato in forma massiccia o
laminata.
Dall’espansione polare, o scarpa polare, destinata a distribuire il campo magnetico in
una porzione più ampia della circonferenza di traferro. Ove presente, l’espansione
polare è sempre laminata a causa del fenomeno dello spennellamento di flusso[2].
I poli magnetici sono tra loro collegati attraverso la corona o giogo di statore, che funge da
strada preferenziale per la richiusura delle linee di campo.
Il giogo di statore è realizzato in materiale ferromagnetico con struttura per lo più massiccia
(ad esempio, si utilizzano tubi di ferro fucinato). Tuttavia, quando si prevede una
alimentazione attraverso convertitori statici (chopper, ponti raddrizzatori, etc.), lo statore deve
essere totalmente laminato. Infatti, queste sorgenti forniscono tensioni continue ricche di
disturbi a frequenza più o meno alta e conseguentemente le correnti ed i flussi da esse generati
sono affetti da pulsazioni che possono produrre nel ferro massiccio dell’induttore forti
circolazioni di correnti parassite. Nel caso in cui la corona sia laminata, essa assume una
forma poligonale piuttosto che cilindrica, proprio a causa delle esigenze legate al processo di
laminazione (come indicato in figura).
[2]
Brusche variazioni di flusso che si hanno sulla superficie delle espansioni polari quando il rotore gira. Tali
variazioni sono dovute alla presenza delle cave di rotore.
41
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il numero di poli, sempre pari, può variare da 2 a 4 a qualche decina nelle macchine di elevata
coppia. L’aumento del numero di poli consente in generale una riduzione della sezione della
corona di statore in conseguenza del maggior frazionamento del flusso utile.
Si definisce passo polare τp l’estensione angolare di una polarità magnetica dell’induttore. Ne
consegue che il passo polare dell’induttore dipende dal numero di poli secondo la seguente
relazione:
τp =
2π
Np
dove Np è il numero di poli.
Nei motori di piccola taglia il flusso magnetico di induttore può essere generato da magneti
permanenti. Alcune possibili strutture magnetiche sono indicate nella figura seguente.
Passo polare
a)
b)
c)
d)
Strutture di motori a corrente continua a due coppie polari e
percorso del flusso generato dall’induttore.
a)
b)
c)
d)
Motore eccitato elettricamente
Motore a magneti permanenti superficiali
Motore a magneti permanenti interni
Motore a magneti permanenti a concentrazione di flusso
Nel caso di magneti permanenti la scelta della geometria di induttore può essere dettata dalle
caratteristiche del magnete. Ad esempio, la soluzione c), che prevede un maggiore sviluppo
del magnete in lunghezza, si adatta a magneti con alto valore di induzione residua ma basso
campo coercitivo (es. magneti Alnico), mentre la soluzione d) (magneti corti e larghi ) può
essere utile con l’impiego di materiali a basso valore di induzione residua e con elevato
campo coercitivo (es. ferriti).
42
MACCHINE ELETTRICHE
2.1.2 Indotto e commutatore
L’indotto della macchina costituisce la parte rotante interna (denominata anche rotore o
armatura). Esso è un cilindro di materiale ferromagnetico formato da lamierini al fine di
ridurre le perdite per correnti parassite e per isteresi che si generano durante la rotazione nel
campo magnetico induttore. L’indotto è regolarmente scanalato lungo la sua periferia. Tali
scanalature sono dette cave ed hanno il compito di contenere i conduttori che costituiscono
l’avvolgimento d’indotto (o avvolgimento di armatura). Le parti in ferro tra due cave contigue
vengono denominate denti.
a)
b)
c)
Lamierino di indotto e forme tipiche di cava
a)
b)
c)
cava rettangolare aperta
cava rettangolare semichiusa
cava semichiusa sub-trapezia.
L’avvolgimento di armatura (o semplicemente armatura) viene distribuito nelle cave ed è
realizzato come un’elica chiusa su se stessa (vedi figura seguente).
1
12
Conduttori strato esterno
2
11
11
3
4
10 9
8
12
7
1
6
2
3
4
10
9
5
Conduttori strato interno
8
5
6
7
Fig. 2.1 - Sistemazione dell’avvolgimento ad elica in
doppio strato per una macchina ad una coppia polare.
Tale avvolgimento può pensarsi originato dall’avvolgimento ad elica iniziale dell’anello di
Pacinotti immaginando di trasportare i conduttori che si trovano nel foro interno dell’anello
sul lato esterno diametralmente opposto. In tal modo questi conduttori, che nella macchina di
primitiva avevano esclusivamente il ruolo passivo di richiusura delle spire, vengono ora ad
assumere anche la funzione attiva di conversione elettromeccanica attuata dai conduttori
affacciati al traferro.
Tipicamente la realizzazione dell’avvolgimento di indotto prevede la formazione di due strati
di conduttori nella cava: uno strato superiore (vicino al traferro) ed uno strato interno (nella
parte più interna della cava); i due lati di ciascuna bobina (detti anche tratti attivi perché unici
responsabili della conversione elettromeccanica) sono costituiti da uno o più conduttori
43
PROF. ANDREA CAVAGNINO
appartenenti alternativamente allo strato esterno e allo strato interno, come illustrato nella
figura seguente.
Possibili configurazioni delle bobine:
a)
b)
con rotazione di 180° del conduttore
senza rotazione del conduttore
Le singole bobine possono inoltre essere formate da un’unica spira o da più spire in serie e la
loro estensione angolare deve essere prossima all’estensione del passo polare dell’induttore,
in modo da concatenare il maggior flusso possibile.
Ciascuna bobina possiede, su uno dei due collegamenti frontali, la connessione ad una lamella
del commutatore a lamelle (o collettore), che, congiuntamente alle spazzole, rappresenta
l’organo di adduzione della corrente all’avvolgimento.
Conduttori di due
diverse bobine
a)
b)
Forcella
Lamella
Isolamento
tra lamelle
Collettore
Collegamenti dei conduttori al collettore.
a) avvolgimento in piattina
b) avvolgimento in filo
Nella figura seguente è rappresentato l’avvolgimento di Figura 2.1 secondo uno schema che
evidenzia il collegamento delle singole bobine alle lamelle del collettore e la loro posizione
rispetto alle polarità di induttore.
44
MACCHINE ELETTRICHE
Bobina
12
1
3
2
5
4
7
6
8
Lato inferiore
Lato superiore
SUD
NORD
10 11 12 1
Collettore
1
10 11 12
9
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Spazzole
Avvolgimento su 12 cave: connessioni al collettore e distribuzione
della corrente nei conduttori (relativo allo schema di Fig. 2.1).
Nelle macchine a più coppie polari l’avvolgimento può essere costruito in due forme diverse:
avvolgimento embricato o parallelo
avvolgimento ondulato o serie
a)
NORD
SUD
NORD
SUD
b)
NORD
SUD
NORD
SUD
a) Avvolgimento embricato
b) Avvolgimento ondulato
Come illustrato in figura, l’avvolgimento embricato si sviluppa in modo che le spire
successive giacciano sotto la stessa coppia polare, mentre nell’avvolgimento ondulato le spire
successive si trovano sotto coppie polari successive.
45
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Dal punto di vista del collegamento al collettore, se si parte da una lamella si giunge alla
lamella successiva:
nel caso dell’avvolgimento embricato, dopo aver percorso una singola bobina sotto
una coppia polare;
nel caso dell’avvolgimento ondulato, dopo aver percorso un giro completo dell’indotto
e tante bobine quante sono le coppie polari della macchina.
a)
b)
Bobine formate da più spire in serie
a) Avvolgimento embricato
b) Avvolgimento ondulato
Nell’avvolgimento embricato, la f.e.m. prodotta sui conduttori dal moto dell’indotto rispetto
all’induttore viene raccolta in parallelo per ogni coppia polare della macchina (di qui la
dizione parallelo riservata all’avvolgimento embricato).
Nell’avvolgimento ondulato, i conduttori presenti sotto ciascun polo sono collegati in serie e
la f.e.m. raccolta è la somma delle f.e.m. indotte sotto ciascuna coppia polare (di qui il
termine di serie usato per l’avvolgimento ondulato).
Dal punto di vista della scelta tra le due possibili soluzioni di avvolgimento descritte si può
asserire, in linea di principio, che l’avvolgimento embricato è adatto per macchine con
tensione di armatura modesta e corrente elevata (a parità di corrente nei conduttori di indotto,
la corrente ricavata dalla macchina è la somma delle correnti provenienti da ciascuno dei
paralleli); l’avvolgimento ondulato, a parità di numero complessivo di conduttori, è invece in
grado di fornire f.e.m. più elevate e pertanto questo avvolgimento si adatta a macchine per
tensioni alte[3].
[3]
A proposito dei termini tensioni elevate e correnti elevate occorre precisare che il concetto di elevato è
puramente indicativo e fortemente dipendente dalle dimensioni geometriche della macchina. Più corretto sarebbe
l’impiego del termine ‘più elevate’ ove la comparazione è quella relativa ai due avvolgimenti realizzati con lo
stesso numero e sezione di conduttori.
46
MACCHINE ELETTRICHE
2.1.3 - Immagini di particolari costruttivi
A conclusione di questa parte introduttiva, si riportano alcune immagini di particolari
costruttivi per meglio comprendere la struttura dell’indotto delle macchine a corrente
continua.
Esempi di rotori finiti
Possibile realizzazione del commutatore: incastro a coda di rondine e schema di assemblaggio.
Esempi di spazzole
Le spazzole vengono montate sopra dei portaspazzole e strisciando sul commutatore
permettono di addurre corrente all’avvolgimento di armatura. Ovviamente le spazzole devono
essere costituite da materiale conduttore. Per ridurre l’attrito al contatto strisciante, le spazzole
vengono realizzate in grafite. A seconda dei livelli di tensione e corrente cui sono soggette, le
spazzole vengono realizzate in metalgrafite (rame e grafite), in grafite pura o in elettrografite
(grafite trattata in forno elettrico). Si noti che la grafite non è un conduttore ohmico, ovvero
non rispetta la legge di Ohm. In pratica, alla spazzola si ha una caduta di tensione circa
costante al variare della corrente che l’attraversa (indicativamente circa 1 V a spazzola).
47
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.2 – Campo magnetico al traferro
Durante il funzionamento a carico, il campo magnetico presente al traferro della macchina è
prodotto sia dalla corrente dell’avvolgimento di eccitazione (induttore) che dalla corrente
dell’avvolgimento di armatura (indotto). Nell’ipotesi di poter trascurare i fenomeni di
saturazione magnetica, il campo generato congiuntamente dalla corrente di statore
(eccitazione) e dalla corrente di rotore (reazione d’indotto) può essere pensato come
sovrapposizione degli effetti dovuti alle singole azioni.
2.2.1 – Campo magnetico dovuto alla corrente di eccitazione
Se ad essere alimentato è esclusivamente l’avvolgimento di eccitazione, l’andamento tipico
del campo magnetico prodotto è quello illustrato nella figura seguente. Le linee di campo
costituiscono tendenzialmente un insieme simmetrico rispetto all’asse polare della macchina,
come testimonia anche il tracciato della componente radiale dell’induzione al traferro.
Lievi dissimmetrie possono prodursi durante la rotazione del rotore a causa della diversa
posizione assunta dalle cave rispetto al polo di statore. Queste dissimmetrie hanno una
periodicità pari ad un passo cava[4] e, durante il funzionamento, sono l’origine di disturbi sulla
coppia e sulla f.e.m. generata dalla macchina.
Come si osserva dalla figura, la presenza delle scanalature di indotto produce una riduzione
locale dell’induzione al traferro la cui entità dipende direttamente dall’apertura delle cave ed
inversamente dall’altezza del traferro sotto i poli. Questo fenomeno, oltre ai disturbi cui si è
accennato, produce anche un aumento della riluttanza del circuito magnetico della macchina
rispetto al valore che si avrebbe se la superficie di indotto fosse liscia. Nei calcoli magnetici il
suo effetto viene cumulativamente tenuto in conto attraverso un coefficiente moltiplicativo,
maggiore di uno, da applicare alla lunghezza geometrica di traferro (Coefficiente di Carter).
Asse neutro
a)
b)
Br,traferro
Br,media
α
α
Asse polare
0
90
180
270
Campo prodotto dalla corrente di eccitazione in una macchina a due poli.
a)
b)
Distribuzione delle linee di campo
Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro (il
tracciato grigio si riferisce ad una rotazione antioraria di 7.5° della
posizione del rotore)
Si osservi che la variazione della posizione degli “intagli” nella forma d’onda di induzione al
traferro, che si ottiene quando il rotore gira, è responsabile del cosiddetto “fenomeno dello
spennellamento di flusso” sulle espansioni polari.
[4]
Si definisce il passo cava di indotto il rapporto tra la circonferenza di rotore ed il numero di cave.
48
MACCHINE ELETTRICHE
2.2.2 – Campo magnetico dovuto alla corrente di armatura
Nella figura seguente sono illustrati i tracciati delle linee di campo e dell’induzione radiale al
traferro qualora sia alimentato solo l’avvolgimento di indotto. L’adduzione, attraverso le
spazzole, di una corrente nell’avvolgimento di armatura fa si che i conduttori, che si trovano a
destra dell’asse neutro nel piano della sezione, siano percorsi da corrente uscente (o entrante),
mentre i conduttori della metà destra dell’avvolgimento sono percorsi da corrente di segno
opposto. Da questo punto di vista, l’avvolgimento di armatura può essere interpretato come
un solenoide avente come asse l’asse neutro della macchina.
In altre parole, il commutatore a lamelle fa sì che la distribuzione spaziale di corrente
nell’avvolgimento di armatura sia fissa nel tempo, anche quando il rotore della macchina è
posto in rotazione (per maggiori dettagli si veda il paragrafo 2.3.1).
Il campo prodotto è, ancora una volta, tendenzialmente simmetrico e diretto secondo l’asse
neutro della macchina ed, a causa di questa simmetria, si può ritenere che il flusso prodotto da
questo campo non si concateni con l’avvolgimento di eccitazione se non per le piccole
dissimmetrie generate dal moto di rotazione delle cave.
Questo fatto si riassume nell’affermazione che i due avvolgimenti della macchina in corrente
continua sono magneticamente disaccoppiati. In realtà, tale l’affermazione deve essere
attenuata attraverso le seguenti condizioni:
il numero delle cave deve essere molto elevato;
la posizione delle spazzole deve essere quella teorica (asse neutro);
devono essere assenti fenomeni di saturazione magnetica.
Tensione
magnetica
Asse neutro
a)
b)
2
Br,traferro
α
1
Asse polare
1
3
0
90
180
270
2
3
Campo prodotto dalla corrente di armatura in una macchina a due poli.
a)
b)
Distribuzione delle linee di campo.
Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro e della
f.m.m. al traferro.
La distribuzione dell’induzione radiale lungo il traferro assume, in questo caso, un tipico
andamento a scalinata. Per spiegare questo andamento è opportuno ricorrere al concetto di
distribuzione della tensione magnetica prodotta al traferro (usualmente detta semplicemente
f.m.m. al traferro).
A questo scopo si indichi con Ic la corrente presente in ciascuna cava e si supponga infinita la
permeabilità del ferro della macchina.
49
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Con riferimento alla figura, si scriva la legge della circuitazione magnetica relativa alle linee
di campo relative ai denti identificati dai numeri 1, 2, 3. Grazie alla simmetria del problema, il
risultato è così riassumibile:
∫ H × dl
≈ H 1 ⋅ 2lt1 = 5 I c
∫ H × dl
≈ H 2 ⋅ 2lt 2 = 3I c
∫ H × dl
≈ H 3 ⋅ 2lt 3 = I c
1
2
3
dove lt1, lt2 ed lt3 sono le lunghezze in aria delle corrispondenti linee di campo.
La differenza di potenziale magnetico o tensione magnetica esistente tra superficie di statore e
superficie dei denti affacciati 1,2,3 risulta definita da:
5
Ic
2
3
A2 = H 2 ⋅ lt 2 = I c
2
1
A3 = H 3 ⋅ lt 3 = I c
2
A1 = H 1 ⋅ lt1 =
(2.1)
Il diagramma della tensione magnetica o della f.m.m. al traferro è riportato con linea
tratteggiata nella figura precedente. Il corrispondente diagramma del campo magnetico
(ovvero dell’induzione magnetica) può essere ricavato, in forma approssimata dalle relazioni
precedenti, per divisione della f.m.m. per la lunghezza stimata del corrispondente traferro. Nel
caso considerato, il campo sotto i denti 2 e 3 risulta particolarmente intenso e proporzionale al
diagramma di f.m.m. in quanto il traferro relativo è modesto ed uguale per i due denti. Per il
dente 1, che si trova nel vano interpolare, il traferro corrispondente è più elevato ed il campo
magnetico risultante risulta più debole anche a fronte di un maggior valore di f.m.m.
Nel caso di macchine con numero elevato di cave la gradinata di f.m.m., prodotta dalla
corrente di indotto, diventa particolarmente fitta e può essere più semplicemente rappresentata
da un’onda triangolare, come illustrato qui di seguito.
Asse neutro
α
F.m.m. al traferro prodotta dalla corrente di armatura.
Il diagramma indicato si riferisce alla macchina ad una coppia di poli: per macchine a più
coppie polari tale diagramma si ripete nell’arco dei 360°, tante volte quante sono le coppie
polari.
50
MACCHINE ELETTRICHE
2.2.3 – Campo magnetico risultante
Come indicato in precedenza, in condizioni di linearità magnetica tale andamento può essere
valutato sovrapponendo gli effetti delle due correnti, ovvero sommando punto a punto lungo il
traferro le componenti radiali del campo di eccitazione e del campo di armatura.
L’effetto della contemporanea presenza di corrente nel circuito di eccitazione e nel circuito di
indotto provoca una distorsione nella simmetria del campo come illustrato, a titolo di
esempio, nella figura seguente.
In particolare il campo magnetico sotto le espansioni polari non è più “costante”, ma tende a
rafforzarsi sotto una metà di ciascun polo e ad indebolirsi sotto l’altra metà. La parte di polo
principale che viene rafforzata o indebolita dipende dal verso della corrente di armatura.
Si noti che dove i campi vengono rafforzati ci possono essere fenomeni di saturazione
magnetica. Questo aspetto sarà meglio analizzato in seguito (cfr. paragrafo 2.8.2).
Asse neutro
a)
α
Br
b)
90
Passo polare
180
270
α
Campo prodotto dalla corrente di eccitazione e di armatura in una macchina a due poli.
a)
b)
Distribuzione delle linee di campo.
Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro e della f.m.m. al traferro.
51
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.3 - Principio di funzionamento della macchina a corrente
continua.
Il principio di funzionamento della macchina in corrente continua si basa sulle leggi di
Lorentz di interazione tra campi magnetici e correnti elettriche. Nella figura seguente viene
evidenziato il principio di conversione elettromeccanica dell’energia elettrica che scaturisce
da queste leggi.
Si consideri un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza l, mobile con velocità v in senso
trasversale e perpendicolarmente ad un campo magnetico di induzione costante B. Le leggi
dell’interazione elettromagnetica sono descritte dalle seguenti relazioni:
F = I ∧ B ⋅l
(2.2)
E = v ∧ B ⋅l
F ed E sono rispettivamente la forza meccanica e la f.e.m. prodotte sul tratto di conduttore
considerato.
B
B
F
F
E
v
v
E
caso A
i
caso B
i
Azioni elettrodinamiche su un conduttore percorso da corrente e mobile in un campo magnetico
Nel semplice caso in cui i vettori v, I e B formino una terna trirettangola, i prodotti vettoriali
che compaiono nelle equazioni (2.2) diventano semplici prodotti algebrici. Si osserva
facilmente che la potenza elettrica e la potenza meccanica associata a questo embrione di
macchina assumono lo stesso valore assoluto.
Pmeccanica = F ⋅ v = I ⋅ B ⋅ l ⋅ v
(2.3)
Pelettrica = E ⋅ I = v ⋅ B ⋅ l ⋅ I
Le equazioni (2.3) rappresentano le basi della conversione della potenza da meccanica ad
elettrica o viceversa e tale fenomeno elementare viene riprodotto nella macchina in corrente
continua. Si considerino ora i due casi riportati in figura.
Caso A
Per realizzare praticamente il caso A è necessario alimentare dall’esterno il tratto di
conduttore con un generatore di tensione di valore sufficiente a far circolare la corrente I nel
conduttore contro la f.e.m. indotta E. In questo caso la forza agisce sul conduttore nello stesso
verso della velocità; questo significa che il conduttore, a fronte della potenza elettrica
assorbita dal generatore esterno produce potenza meccanica. Si ha quindi un funzionamento
da motore.
52
MACCHINE ELETTRICHE
Caso B
In termini pratici si può pensare di realizzare questo caso attraverso il collegamento del
conduttore ad un carico elettrico (ad esempio, una resistenza). La f.e.m. indotta fa circolare
corrente nel conduttore e nel carico e, tale corrente ha lo stesso verso della f.e.m. La forza
prodotta sul conduttore e la velocità hanno segno opposto. Questo significa che, mentre il
conduttore produce potenza elettrica, richiede potenza meccanica per potersi muovere. Il
comportamento è quello tipico del generatore.
2.3.1 – Ripartizione della corrente nell’avvolgimento di armatura
In figura è rappresentato lo schema di una macchina a due poli, dotata di un avvolgimento
ripartito in 6 cave di rotore. Nella figura di sinistra sono evidenziati i collegamenti
dell’avvolgimento sviluppati in piano; nella parte destra della figura è rappresentato lo
sviluppo di una delle due vie interne dell’avvolgimento. Le connessioni frontali (lato
collettore) sono riportate con linee spesse, mentre le connessioni posteriori sono in tratto
sottile.
Si può osservare che la corrente Ia di una spazzola si distribuisce per la quota Ia/2 nelle due
metà dell’avvolgimento che hanno origine dalla lamella a contatto con la spazzola. Le due
metà dell’avvolgimento hanno termine nella lamella diametralmente opposta a quella di
ingresso, dove si trova la spazzola destinata al recupero della corrente Ia.
Durante il moto di rotazione dell’avvolgimento, essendo fissa la posizione delle spazzole, le
varie lamelle verranno, in successione, a passare in contatto con le spazzole e, per questo, i
punti di immissione e di emissione della corrente varieranno in riferimento all’avvolgimento,
ma resteranno fissi rispetto alla struttura di statore.
In ogni istante e per qualunque posizione del rotore, in una sezione trasversale dell’armatura
osserviamo conduttori percorsi da corrente entrante nel piano del disegno in metà
circonferenza della macchina e conduttori percorsi da corrente uscente nell’altra metà. Le due
metà sono simmetriche rispetto all’asse teorico delle spazzole che viene detto asse neutro o
asse di commutazione.
Asse neutro
1
11
12
2
11 12
1 2
S
3 4
5 6
7 8
N
9 10
11 12
1 2
N
S
6
Ia/2
5
3
10
4
1
9
4
Ia/2
Ia/2
6
1
2
3
4
-
5
6
1
2
6
Ia
Ia
5
Asse polare
3
8
7
Distribuzione della corrente nei conduttori di armatura
53
PROF. ANDREA CAVAGNINO
In generale:
se l’armatura è articolata in a coppie di vie interne e se Ia è la corrente alle spazzole
(corrente di armatura), la corrente nei singoli conduttori dell’avvolgimento vale:
Iz =
Ia
2a
se la macchina a p coppie polari e le spazzole sono nella posizione teorica[5], i
conduttori che si trovano sotto poli omonimi sono percorsi da corrente nello stesso
verso.
Polo
Nord
Polo
Sud
Assi neutri e posizione
teorica delle spazzole
Verso della corrente nei
conduttori attivi
Polo
Sud
Polo
Nord
Posizione teorica delle spazzole nella macchina a 4 poli.
(Le spazzole tratteggiate sono obbligatorie solo per l’avvolgimento embricato)
2.3.2 – Azione meccanica
Per la formulazione dell’azione meccanica prodotta dalla macchina in corrente continua è
essenziale che siano contemporaneamente presenti il campo magnetico al traferro (prodotto
dall’induttore) e la corrente nei conduttori di armatura (introdotta attraverso le spazzole).
Lo studio verrà impostato attraverso le relazioni elettrodinamiche (2.2) supponendo che i
conduttori attivi di armatura siano disposti sulla superficie dell’indotto (come avviene, ad
esempio, nel caso dell’anello di Pacinotti). Gli effetti delle scanalature di rotore vengono
considerati esclusivamente al fine della determinazione di un traferro equivalente della
macchina[6].
[5]
Si ricorda che la posizione teorica delle spazzole è quella che consente di raccogliere la massima f.e.m. indotta
nell’avvolgimento. Tale posizione coincide con gli assi interpolari della macchina. Nel caso dell’anello di
Pacinotti, con spazzole montate sulla periferia dell’anello e a diretto contatto con i conduttori attivi, la posizione
teorica coincide con la posizione effettiva. Nel caso di macchine a collettore, per esigenze costruttive, la
posizione reale delle spazzole appare ruotata di 90° elettrici rispetto alla posizione teorica.
[6]
Una trattazione più rigorosa dovrebbe in realtà prevedere la diversa ripartizione del campo magnetico tra denti
e cave di rotore e la conseguente suddivisione dell’azione meccanica tra denti e conduttori. In questo caso un
approccio più corretto all’analisi del problema dovrebbe essere basato sulla determinazione della pressione
magnetica che si esercita sulle superfici dell’indotto e dell’avvolgimento. Tuttavia le ipotesi introdotte
conducono ad un risultato finale complessivamente corretto e consentono una maggiore semplicità di analisi dei
fenomeni.
54
MACCHINE ELETTRICHE
Con riferimento alla figura seguente, raffigurante la sezione trasversale di una macchina a
corrente continua a due poli, si assumano le seguenti convenzioni di segno:
La corrente Iz = Ia/2 nei conduttori è positiva se uscente dal piano della sezione
(contrassegno •)
La componente radiale dell’induzione al traferro è positiva quando passa del polo di
statore al rotore
Ia
Asse neutro
B(α)
Bi
Fi
Iz
ai
Bi
-Iz
α
αi
Iz
Ia
Azioni elettromeccaniche nella macchina a corrente continua
Con riferimento alla figura, B(α) rappresenta una generica distribuzione di induzione al
traferro, comunque prodotta. Il diagramma di B(α) deve rispettare esclusivamente la
condizione di solenoidalità dell’induzione; esso deve essere ad area nulla sull’arco di 360°.
Sia Bi il valore di detta distribuzione in corrispondenza ad un generico conduttore in posizione
αi.
La forza elementare Fi che si esercita sul conduttore, in base alla prima delle (2.2), è orientata
tangenzialmente al rotore e vale in modulo:
Fi = Bi ⋅ l ⋅ I z
dove l è la lunghezza attiva del conduttore.
(2.4)
Il momento della forza Fi rispetto all’asse di rotazione può essere scritto come:
M i = Fi ⋅ r = Bi ⋅ l ⋅ I z ⋅ r
(2.5)
dove r è il raggio del rotore
Il verso della forza e del suo momento sono determinati in base alla regola della mano sinistra
(cfr. paragrafo 1.2.3).
Il valore del momento esercitato sul conduttore in esame non è costante al variare della
posizione angolare del conduttore; esso dipende dal valore locale Bi della componente radiale
dell'induzione al traferro. Durante un giro completo del conduttore (tenuto conto che il valore
medio dell’induzione tra 0 e π è uguale al valor medio dell’induzione tra π e 2π a causa della
ricordata solenoidalità del vettore B) il valore medio di tale momento risulta:
M i , medio = Bmedio ( 0 −π ) ⋅ l ⋅ r ⋅ I z =
1
π
Φu ⋅ I z
(2.6)
Φu viene definito flusso utile o flusso di macchina e la sua definizione discende dall’integrale
che definisce l’induzione media nella (2.6).
55
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il flusso di macchina o flusso utile è il flusso della distribuzione di induzione al traferro che
attraversa la sezione del rotore al piano delle spazzole.
Se si indica con Z il numero totale di conduttori attivi dell’avvolgimento, la coppia media
sviluppata dalla macchina a due poli vale:
Z
Cmedia =
Z
Z
∑ M i ,medio = π Φ u I z = 2π Φ u I a
(2.7)
i =1
Nel caso generale di macchine con p coppie polari ed a coppie di vie interne, se Φu mantiene
il significato di flusso utile relativo ad un polo, la coppia media vale:
Cmedia =
Z p
IaΦu
2π a
(2.8)
Conglobando i dati di avvolgimento in una costante k, l’espressione (2.8) assume la seguente
formulazione finale.
C media = kΦ u ⋅ I a
(2.9)
Coppia
L’equazione (2.9) esprime il valore medio della
istantanea
coppia sviluppata dalla macchina su una
Coppia
rotazione completa. In realtà la coppia non è
media
costante nell’arco di un giro completo del
rotore; infatti, come osservato, la coppia
complessiva risulta dalla somma di contributi
Mi
non costanti dovuti ai singoli conduttori, come
illustrato nella figura a fianco.
Fortunatamente, grazie allo sfasamento
α
regolare di tali contributi, il disturbo totale
presente è tanto più modesto quanto maggiore è
Disturbo residuo presente sulla coppia
il numero Z di conduttori disposti sulla periferia
complessiva della macchina
di indotto. Ovviamente la sua frequenza è
proporzionale a Z.
In realtà, nelle macchine i cui conduttori sono sistemati in cave, sia il contributo complessivo
dato dai conduttori alla coppia media, sia il disturbo residuo illustrato in figura sono
trascurabili. In queste macchine la maggior parte dell’azione meccanica si esercita sul ferro
dei denti. Tuttavia, anche in questo caso, si producono irregolarità sulla coppia istantanea
prodotta dalla macchina.
Quando il rotore è scanalato, infatti, la riluttanza presentata al traferro dal circuito magnetico
della macchina risente delle variazioni di posizione reciproca tra espansioni polari ed aperture
di cava durante il moto della macchina. Queste variazioni di riluttanza producono una
disturbo sulla coppia che è funzione non solo al numero complessivo delle cave, ma anche
alla loro apertura. Per ridurre questo disturbo possono essere convenienti le seguenti opzioni
costruttive:
adozione di cave del tipo semi-chiuso,
idonea scelta del numero di cave di indotto (numero dispari di cave per coppia polare),
inclinazione delle cave rispetto all’asse di rotazione (in modo da graduare ed attenuare
il transitorio di attacco o distacco tra bordo del dente e bordo dell’espansione polare).
E’ bene sottolineare a questo punto che il flusso utile, che compare nell’equazione (2.5) e
successive, non deve essere confuso con il flusso prodotto dalla sola corrente di eccitazione di
56
MACCHINE ELETTRICHE
induttore. Φu è infatti il flusso relativo alla distribuzione di induzione che si genera nella
macchina a carico (si osservi a questo proposito il diagramma riportato al paragrafo 2.2.3).
In questo senso esso dipende non solo dall’azione del circuito di eccitazione, ma anche
dall’azione della stessa corrente di armatura Ia (reazione di indotto).
In linea generale si può ritenere:
Φ u = Φ u (I ecc , I a )
(2.10)
Tuttavia, come si è osservato al paragrafo 2.2, il campo magnetico prodotto dalla corrente di
armatura non produce flusso attraverso il piano delle spazzole e quindi non è in grado di dare
contributo al flusso utile (vedi figura al paragrafo 2.2.2).
In assenza di fenomeni di non linearità magnetica (saturazione), grazie al principio di
sovrapposizione degli effetti, si può ritenere che il flusso utile corrisponda solo alla quota
prodotta dall’avvolgimento di eccitazione ed, in questo caso, è lecito scrivere:
Φ u = Φ u (I ecc )
(2.11)
Sotto quest’ipotesi, il valore di Φu che compare nelle equazioni precedenti è di fatto
indipendente dalla corrente di armatura[7].
2.3.3 Azione elettrica
Si supponga ora che il rotore venga posto in rotazione dall’esterno alla velocità angolare ω e
che l’avvolgimento di armatura non sia alimentato. In questo caso non si avrà corrente nei
conduttori, ma la rotazione nel campo magnetico indurrà negli stessi forze-elettromotrici.
Lo schema di di questa situazione è riportato nella figura seguente.
Asse neutro
B(α)
Bi
ai
Ea
Bi
Ei
Ei
ω
α
αi
Passo
polare
Azioni elettriche nella macchina a corrente continua
I conduttori di armatura sono rappresentati attraverso le loro sezioni. I conduttori
contrassegnati con punti indicano che la f.e.m indotta è uscente dal piano della sezione; i
[7]
Si noti che la relazione (2.11) è valida quando si trascura la saturazione per analizzare il fenomeno della
reazione di indotto. Il legame tra il flusso utile e corrente di eccitazione è generalmente non lineare proprio a
causa della saturazione in quanto il circuito magnetico di eccitazione è caratterizzato da traferri molto corti.
57
PROF. ANDREA CAVAGNINO
conduttori contrassegnati con + indicano f.e.m. entrante nel piano della sezione (regola della
mano sinistra).
Con riferimento alla figura, indicato con Bi il valore dell’induzione al traferro in
corrispondenza ad un generico conduttore, il verso e il modulo della f.e.m. elementare Ei
indotta sul conduttore, si ottengono dalla seconda equazione delle (2.2). Il valore è espresso
da:
Ei = Bi ⋅ l ⋅ r ⋅ ω
(2.12)
L’impiego della (2.12) per la determinazione della f.e.m. può tuttavia essere fuorviante
quando i conduttori sono disposti entro cave. In questo caso, infatti, diventa problematico
valutare sia il valore di Bi nel conduttore, sia definire correttamente la velocità relativa del
conduttore rispetto alle linee del campo.
E’ opportuno a questo punto, per definire senza equivoci il valore della f.e.m. indotta, riferirsi
al concetto di spira e di flusso concatenato.
Come osservato in precedenza, ad ogni conduttore disposto su un lato dell’armatura ne
corrisponde un secondo sull’altro lato in posizione diametrale; i due conduttori formano
perciò una spira che si muove nel campo magnetico presente al traferro.
La variazione del flusso concatenato dalla spira, quando questa ruota di 180° a partire dal
piano neutro vale:
∆Φ = 2Φ u
dove Φu è lo stesso flusso utile già definito al paragrafo precedente per descrivere l’azione
meccanica della macchina.
La f.e.m. media indotta nella spira vale, secondo la legge di Lenz:
E s , media =
dove ∆T =
2Φ u
∆Φ
=
∆T
∆T
π
è il tempo necessario per compiere la rotazione di 180°. In definitiva la f.e.m.
ω
media sviluppata da una spira è data da:
E s ,media =
2Φ u
π
ω
Se, come al solito, Z è il numero totale di conduttori dell’indotto e Z/2 il numero di conduttori
di ciascuna delle due vie interne in parallelo dell’avvolgimento il numero complessivo di
spire di una via interna vale Z/4. Poiché le spire di una via interna sono in serie tra loro, la
f.e.m. media complessivamente raccolta alle spazzole è data da:
E a ,media =
Z
Φ uω
2π
(2.13)
Nel caso di una macchina dotata di p coppie polari e di a coppie di vie interne la (2.13) risulta:
E a ,media =
Z p
Φ uω
2π a
(2.14)
In analogia a quanto visto per l’azione meccanica, introducendo la costante di avvolgimento k,
la f.e.m generata alle spazzole diventa:
E a, media = kΦ u ⋅ ω
58
(2.15)
MACCHINE ELETTRICHE
Il valore della f.e.m. non dipende dalla eventuale corrente che circola nei singoli conduttori.
Ovviamente, anche per la f.e.m. come per la coppia occorre distinguere tra a f.e.m. istantanea
e la f.e.m. media data dalla (2.15). La presenza delle cave di rotore e la non uniforme
distribuzione dell’induzione al traferro causano nella f.e.m. raccolta alle spazzole delle
ondulazioni di disturbo.
2.3.4 – La conversione elettromeccanica nella macchina a corrente continua
Le equazioni (2.9) e (2.15) sono fondamentali per lo studio del funzionamento della macchina
a corrente continua, in quanto descrivono il modo in cui avviene la conversione
elettromeccanica. Anche per la macchina nel suo complesso vale l’equilibrio di potenze visto
per la macchina elementare e descritto dalle equazioni (2.3). Infatti si osserva che, in
qualunque condizione di funzionamento, vale sempre la seguente identità:
E a ⋅ I a = k ⋅ Φ u ⋅ ω ⋅ I a = kΦ u ⋅ I a ⋅ ω = C ⋅ ω ⇒
Ea ⋅ I a = C ⋅ ω
(2.16)
Si ricorda il significato delle grandezze che compaiono in questa relazione:
Φ flusso al traferro in corrispondenza ad un passo polare della macchina;
Ea f.e.m. prodotta alle spazzole del circuito di armatura in conseguenza della rotazione;
C coppia prodotta all’albero dalla corrente Ia che viene addotta alle spazzole;
k costante di avvolgimento.
Il verso della f.e.m dipende dal segno della velocità di rotazione. Se si inverte la velocità
cambia conseguentemente il verso della f.e.m complessiva indotta nell’avvolgimento. In
maniera analoga, il segno della coppia dipende dal verso della corrente: invertendo il verso di
quest’ultima la coppia si inverte di segno.
Per macchine a magneti permanenti, in cui il flusso utile è praticamente costante, si è soliti
definire il termine k⋅Φu come costante di coppia (kT) ovvero costante di f.e.m. (kv) della
macchina.
In accordo a quanto specificato al paragrafo 1.9.1,
quando la macchina funziona come motore il verso
della coppia prodotta e della velocità angolare
coincidono (caso a). Questo significa che la
macchina trasferisce al rotore potenza meccanica. In
questa
situazione,
la
f.e.m.
indotta
nell’avvolgimento di armatura deve contrastare la
corrente che lo percorre. L’avvolgimento assorbe
quindi potenza elettrica.
Quando la macchina funziona come generatore, il
verso della coppia prodotta e della velocità angolare
sono discordi (caso b). Questo significa che alla
macchina deve essere somministrata potenza
meccanica per farla restare in rotazione. In questo
caso, la f.e.m. indotta nell’avvolgimento di
armatura risulta concorde con la corrente che lo
percorre. L’avvolgimento eroga quindi potenza al
circuito elettrico esterno.
a)
Ia
ω
Ea
C
Motore a c.c.
Potenza
b)
Ia
ω
Ea
C
Generatore
a c.c.
Potenza
Schema di funzionamento
a) motore
b) generatore
59
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.4 - Caratteristiche elettromeccaniche della macchina a
corrente continua
Poiché la macchina a corrente continua è oggi impiegata principalmente per la conversione
dell’energia elettrica in energia meccanica, nel seguito verranno esaminati unicamente gli
aspetti caratteristici del suo funzionamento come motore. In particolare verranno esaminate le
caratteristiche funzionali del motore nelle ipotesi semplificative di assenza di fenomeni di
saturazione magnetica e di perdite meccaniche e nel ferro.
Nell’impiego come motore, assume fondamentale importanza la conoscenza del modo in cui
esso è in grado di esprimere l’azione meccanica in funzione dell’alimentazione e della
velocità. Nel caso di un motore elettrico, la caratterizzazione può essere convenientemente
fornita attraverso le cosiddette caratteristiche elettromeccaniche. Con tale termine si
intendono generalmente le espressioni (o i diagrammi) della coppia erogata, della corrente
assorbita, della potenza elettrica e meccanica, del rendimento in funzione della velocità
angolare o del numero di giri al minuto dell’albero.
Le caratteristiche elettromeccaniche di un motore a corrente continua sono variabili in
relazione alla sua eccitazione, all’alimentazione dell’armatura ed anche al modo in cui i due
circuiti possono essere interconnessi. Nei paragrafi successivi si analizzerà il comportamento
del motore nei seguenti due casi di collegamento:
Motore ad eccitazione separata.
Motore ad eccitazione serie.
Motore ad eccitazione separata
Quando l’alimentazione è fornita separatamente al circuito di eccitazione e al circuito di
armatura attraverso due sorgenti ideali di tensione, secondo lo schema raffigurato in figura, il
motore viene detto ad eccitazione separata.
Ia
Va
Iecc
Armatura
Campo
Vecc
Schema di alimentazione di un motore a corrente continua con armatura ed eccitazione indipendenti.
In questo tipo di configurazione le tensioni e correnti che alimentano il circuito di armatura e
il circuito di eccitazione sono regolabili in modo indipendente una dall’altra.
Il motore ad eccitazione separata costituisce, oggi, la tipologia più comune di motore a
corrente continua usato in ambito industriale. In questa tipologia di macchina si possono far
rientrare, in particolare, anche i motori a magneti permanenti, in cui il circuito elettrico di
eccitazione è sostituito da magneti permanenti. Ovviamente in quest’ultimo caso, a fronte ai
vantaggi di non dover provvedere ad una alimentazione esterna e alla assenza di dissipazione
termica sulla resistenza dell’avvolgimento di eccitazione, si perde la possibilità di regolare il
flusso utile di macchina.
60
MACCHINE ELETTRICHE
Motore ad eccitazione serie
Nel motore ad eccitazione serie i due avvolgimenti (armatura, campo) sono collegati in serie
ed alimentati attraverso un’unica sorgente; essi sono quindi percorsi dalla stessa corrente.
Questo tipo di collegamento condiziona le dimensioni dei conduttori dell’avvolgimento di
eccitazione che dovranno essere adeguate a sopportare l’intera corrente di armatura.
Tipicamente la f.m.m. di eccitazione è in questo caso ottenuta con un numero contenuto di
spire di grande sezione. Al contrario, nel caso di eccitazione separata, lo stesso valore di
f.m.m può essere realizzato con un numero maggiore di spire percorse da corrente più piccola
e quindi la sezione dei conduttori risulta contenuta e le bobine di eccitazione possono essere
realizzate con minore difficoltà.
Ia
Iecc=Ia
Va
Armatura
Campo
Schema di alimentazione di un motore a corrente continua con armatura ed eccitazione in serie.
Questo tipo di collegamento ha trovato, in passato, particolare fortuna nel campo della
trazione elettrica; oggi esso è caduto in disuso. Attuali applicazioni del motore ad eccitazione
serie sono limitate a motorizzazioni di potenza ridotta (ad esempio, avviamento di motori a
scoppio). Una particolarità del motore ad eccitazione serie è quella di poter funzionare sia in
corrente continua che in corrente alternata. Come motore in c.a. esso trova oggi una discreta
diffusione nel campo delle motorizzazioni monofase per applicazioni domestiche o per
apparecchiature portatili. In questi casi viene convenzionalmente denominato motore
monofase a collettore o motore universale.
In passato hanno trovato applicazione anche motori con collegamenti diversi tra armatura e
campo (motori ad eccitazione derivata, motori ad eccitazione composta serie-parallelo etc.);
per lo più queste configurazioni sono state studiate per modificare e rendere più idonee alle
diverse applicazioni le caratteristiche elettromeccaniche dei motori. Oggi queste forme non
sono più in uso; solo nel caso di motori ad eccitazione separata può essere presente un
secondo avvolgimento di eccitazione, in serie con l’armatura, con l’esclusivo compito di
stabilizzare la caratteristica di coppia ( serie stabilizzatrice).
61
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.4.1 – Motore ad eccitazione separata
Con riferimento ad una generica condizione di funzionamento a regime, si indichino con:
Ra .........il valore di resistenza dell’avvolgimento di armatura misurato tra le spazzole,
Recc ......il valore di resistenza dell’avvolgimento di eccitazione,
Va .........il valore di tensione di alimentazione di armatura,
Vecc ....... il valore della tensione di eccitazione,
Ia ..........il valore della corrente di armatura,
Iecc.........il valore della corrente di eccitazione,
ω........... la velocità angolare del motore espressa in rad/s,
C........... la coppia prodotta.
Essendo assenti, per ipotesi, i fenomeni di non linearità magnetica (ovvero ammettendo la
proporzionalità tra flusso e corrente), il flusso utile prodotto al traferro della macchina dalla
sola corrente di eccitazione risulta essere:
Φ u = M ⋅ I ecc
(2.17)
Ricordando le relazioni (2.9) e (2.15), le equazioni dei due circuiti elettrici di armatura e di
eccitazione e l’espressione della coppia possono essere così descritte:
Vecc = Recc ⋅ I ecc
Φ u = M ⋅ I ecc
(2.18)
Va = Ra ⋅ I a + Ea = Ra ⋅ I a + kΦ u ⋅ ω
C = kΦ u ⋅ I a
Il circuito elettrico equivalente a regime dell’armatura del motore è illustrato nella figura
seguente.
Ra
Ia
Va
Ea=kΦu(Iecc)⋅ω
Circuito equivalente dell’armatura del motore ad eccitazione separata
Se si conoscono le condizioni di alimentazione dell’armatura e del circuito di eccitazione (Va
e Iecc) e data la velocità angolare del rotore, si possono determinare i valore della corrente di
armatura e della coppia con le seguenti relazioni:
Ia =
Va − kΦ u ⋅ ω
;
Ra
V − kΦ u ⋅ ω
C = kΦ u ⋅ I a = kΦ u ⋅ a
Ra
62
con Φ u = M ⋅ I ecc
(2.19)
MACCHINE ELETTRICHE
Coppia di spunto:
Csp= kΦ⋅Va/Ra
Corrente di spunto:
Ia,sp=Va/Ra
C=C(ω)
Ia=Ia(ω)
Velocità a vuoto:
ω0=Va/kΦ
ω
Caratteristiche elettromeccaniche del motore ad eccitazione separata
Con le convenzioni di segno usate, valori positivi di corrente e di coppia corrispondono ad un
funzionamento della macchina come motore.
Le relazioni (2.19) consentono di calcolare le due principali caratteristiche elettromeccaniche
del motore (coppia motrice C e corrente di armatura Ia) in funzione della velocità di rotazione;
entrambe le caratteristiche sono rappresentate da linee rette come illustrato nella figura
precedente. Ciascuna retta incrocia gli assi coordinati in due punti che rappresentano per la
macchina altrettante condizioni di funzionamento di interesse.
Condizione di spunto o di avviamento (ω = 0)
I valori di coppia e di corrente relativi al funzionamento del motore con rotore fermo sono
dati da:
I a , sp =
C sp
Va
Ra
V
= kΦ u ⋅ a ;
Ra
(2.20)
con Φ u = M ⋅ I ecc
La corrente di spunto del motore dipende dalla tensione di armatura. Essa è limitata
esclusivamente dalla resistenza dell’avvolgimento indotto e dalla caduta di tensione al
contatto spazzola – lamella. Il suo valore è tipicamente elevato e non risulta sopportabile per
troppo tempo dal motore. Nel caso di motori a magneti permanenti occorre spesso ridurre
l’entità di tale corrente per evitare danni permanenti al magnete.
La coppia di spunto dipende dalla corrente di spunto e dal flusso utile del motore; essa è
pertanto influenzata dalla tensione di armatura e dalla tensione di eccitazione.
Condizione di funzionamento a vuoto (Ia = 0, C = 0)
Sia la corrente di armatura che la coppia si annullano per un determinato valore della velocità
di rotazione della macchina: questo accade quando la f.e.m. Ea uguaglia il valore della
tensione di alimentazione. In questo caso si dice che la macchina funziona a vuoto. La
velocità di rotazione del funzionamento a vuoto vale:
ω 0=
Va
kΦ u
(2.21)
63
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Essa dipende sia dalla tensione di armatura che dal flusso utile (cioè dalla corrente di
eccitazione).
Osservando le caratteristiche elettromeccaniche di corrente e di coppia, si nota che le
rispettive rette rappresentative attraversano tre dei quattro quadranti in cui il piano viene
diviso dagli assi coordinati. Ciascuno di questi quadranti contraddistingue un particolare
modo operativo del motore. In particolare, si può osservare:
1° quadrante
Coppia, corrente e velocità di rotazione sono positive; il motore assorbe potenza elettrica
(Va⋅Ia>0) ed eroga potenza meccanica (C⋅ω >0). Questo è il quadrante di riferimento per il
funzionamento della macchina come motore. Si può affermare che per velocità comprese tra 0
(spunto) e ω0 (funzionamento a vuoto) la macchina funziona come motore elettrico.
4° quadrante
Per velocità superiori ad ω0, le caratteristiche di coppia e corrente passano nel quarto
quadrante; entrambe le grandezze cambiano segno; la macchina funziona come dinamo, cioè
come generatore elettrico (Pelettrica <0, Pmeccanica<0).
In queste condizioni operative la f.e.m. sviluppata dal motore (Ea) risulta superiore alla
tensione di alimentazione (Va) e, con riferimento al circuito equivalente, la corrente cambia
segno e con essa cambia il verso del flusso di potenza. Questo tipo di funzionamento può
venire impiegato in fasi di frenatura (la coppia sviluppata dal motore è contraria al moto) per
consentire il recupero dell’energia cinetica o di posizione dei carichi meccanici.
Si può affermare che per velocità superiori ad ω0 (funzionamento a vuoto) la macchina
funziona come freno rigenerativo.
2° quadrante
Per velocità negative le caratteristiche passano nel secondo quadrante; in questa zona coppia e
corrente restano positive e quindi si inverte esclusivamente la potenza meccanica.
La macchina assorbe sia potenza elettrica che meccanica e dissipa entrambe le potenze sulla
sua resistenza di armatura. Tale funzionamento è da evitare accuratamente, perchè la
conversione elettromeccanica dell’energia diventa in realtà una doppia conversione elettrotermica e meccano-termica che porterebbe la macchina a temperature insostenibili e quindi al
suo danneggiamento.
Funzionamento a carico
Le caratteristiche elettromeccaniche descritte dalle formule (2.19) rappresentano i valori di
coppia e corrente relativi ad un funzionamento a regime del motore a ciascuna delle velocità
prescelte. In questo senso queste caratteristiche vengono definite caratteristiche stazionarie
del motore; esse non sono in teoria in grado di rivelare il comportamento dinamico del motore
(ad esempio, l’avviamento del motore non è correttamente rappresentabile attraverso le curve
e le relazioni suddette). Tuttavia, nella presunzione di poter trascurare i fenomeni che
intervengono durante il transitorio, risulta possibile impiegare tali relazioni per analizzare
alcune fasi dinamiche di funzionamento del motore.
Si supponga di voler studiare l’avviamento del motore, quando all’albero sia applicato un
carico meccanico caratterizzato da una coppia resistente (Cr) variabile con la velocità come
illustrato nella figura seguente.
64
MACCHINE ELETTRICHE
C
Cm
Punto di
equilibrio
J⋅dω/dt
Cr
ω
ωe
Punto di lavoro del motore e del carico
Indicato con J il momento di inerzia complessivo del motore e del carico, per ogni velocità di
rotazione del sistema si può descriverne l’accelerazione angolare secondo la relazione:
C − Cr
dω
= m
dt
J
(2.22)
Dagli andamenti delle due curve di coppia (Cm del motore e Cr del carico) è possibile valutare
l’accelerazione angolare del sistema. Con riferimento alla figura si osserva che
l’accelerazione iniziale è positiva e porta il sistema (motore – carico) ad aumentare la velocità
fino a quando la coppia motrice e la coppia resistente non si eguagliano. Il punto di
intersezione tra le due caratteristiche è un punto di equilibrio dinamico (punto di lavoro). In
base alla (2.22), nel punto di lavoro l’accelerazione si annulla ed il sistema permane in
rotazione alla velocità di equilibrio ωe. Qualunque deviazione del sistema, in termini di
velocità, da ωe viene contrastata da una coppia di squilibrio (Cm - Cr ) di segno opposto che
tende a ricondurre il sistema al punto di equilibrio. Questo fatto viene annotato dicendo che il
punto di lavoro è un punto stabile.
Poiché i carichi meccanici tipici esercitano coppie resistenti costanti, o crescenti con la
velocità di rotazione, del tipo illustrato in figura, le loro intersezioni con la caratteristica del
motore sono tutte stabili; di qui l’affermazione, non esattamente rigorosa, che la caratteristica
di coppia del motore ad eccitazione separata è una caratteristica stabile.
Regolazioni di velocità del motore ad eccitazione separata
Il motore a corrente continua con eccitazione separata presenta una doppia possibilità di
regolazione delle grandezze di alimentazione:
regolazione di armatura: ovvero, variazione della tensione di alimentazione Va
regolazione di campo: ovvero, variazione del flusso utile attraverso la regolazione
della tensione di eccitazione.
Gli effetti delle due regolazioni si desumono facilmente dalle equazioni (2.19) e sono
qualitativamente indicati nella figura seguente.
La regolazione di armatura provoca una semplice traslazione delle caratteristiche di coppia e
di corrente; in particolare, aumentando la tensione di alimentazione aumentano in proporzione
la coppia allo spunto, la corrente allo spunto e la velocità di funzionamento a vuoto della
macchina. Si noti, infatti, che il coefficiente angolare delle caratteristiche non dipende dalla
tensione di alimentazione.
In relazione al punto di lavoro a carico, l’aumento della tensione di armatura provoca un
aumento della velocità di rotazione (ω’>ω).
65
PROF. ANDREA CAVAGNINO
C & Ia
C & Ia
a)
Cm (Φ+∆Φ)
Cm (Φ)
Va+∆Va
Ιa (Φ+∆Φ)
Va
Ιa (Φ)
Cr
Cr
ω
ω
b)
ω’
ωr
ω’ ω
Regolazione di velocità della macchina ad eccitazione separata
a) Regolazione di armatura
b) Regolazione di campo
La regolazione di campo produce invece una roto-traslazione della caratteristica di coppia ed
una rotazione della caratteristica di corrente. In particolare al crescere del flusso di eccitazione
diminuisce la velocità di funzionamento a vuoto del motore ed aumenta la sua coppia di
spunto. La corrente di spunto non viene modificata da questa regolazione.
In relazione al punto di lavoro a carico, la diminuzione del flusso utile di macchina provoca
generalmente un aumento della velocità di rotazione (ω > ω’). La diminuzione del flusso,
attuata tramite la diminuzione della corrente di eccitazione, viene indicata con il termine
“deflussaggio”. Si noti che in assenza di coppia resistente, se il flusso venisse annullato
mantenendo applicata la tensione di armatura, il motore ruoterebbe ad una velocità
teoricamente infinita. Tale condizione, assolutamente da evitare, viene indicata come fuga in
velocità del motore a corrente continua.
Per i motori a magneti permanenti è, ovviamente, possibile la sola regolazione di armatura.
Negli azionamenti [8]dei motori a corrente continua, queste due possibilità di regolazione
intrinseche della macchina vengono generalmente combinate per ottenere due campi di
regolazione della velocità:
Regolazione della velocità a coppia costante.
Regolazione della velocità a potenza costante.
La prima regolazione, attuata controllando la tensione di armatura e mantenendo il flusso utile
costante, permette di garantire la costanza di una prestazione in coppia (ad esempio la coppia
nominale) da velocità nulla fino ad una velocità denominata velocità base (ωb). Questa
velocità viene realizzata applicando al motore la massima tensione di armatura disponibile
(saturazione in tensione dell’azionamento). Durante la regolazione a coppia costante, la
corrente assorbita dal motore è anch’essa costante, in quanto il flusso utile è costante.
Per aumentare la velocità oltre la velocità base, si ammette una diminuzione della prestazione
di coppia desiderata attuando un deflussaggio della macchina. Diminuendo il flusso utile e
mantenendo la tensione di armatura costante è possibile ottenere un campo di regolazione a
potenza costante tra la ωb e la velocità massima prevista. Per far ciò si deve diminuire il flusso
in modo inversamente proporzionale alla velocità. Infatti, se si vuole una potenza all’asse
costante, la coppia deve risultare inversamente proporzionale alla velocità. Risulta
conveniente realizzare questa condizione mantenendo costante la corrente assorbita, come
[8]
Si definisce azionamento di un motore elettrico il sistema costituito da un convertitore elettronico di potenza,
dal motore e da un sistema di controllo che aziona il motore al fine di realizzare determinate leggi del moto.
66
MACCHINE ELETTRICHE
indicato nelle relazioni (2.23). Ovviamente, questo tipo di regolazione risulta applicabile
solo se il carico meccanico richiede una potenza costante al variare della velocità (ad
esempio, lavorazioni di tornitura, aspi avvolgitori,…).
 E a = kΦ u ⋅ ω = costante

V − Ea

1
⇒ I a = a
= costante ⇒ C = kΦ u ⋅ I a ∝ 1
kΦ u ∝
ω
ω
R
a

 Passe = C ⋅ ω = E a ⋅ I a = costante
(2.23)
La figura seguente illustra i campi di regolazione della velocità a coppia ed a potenza
costante. Si noti che tutti i punti sotto la caratteristica di coppia limite indicata sono punti
operativi: in tali punti il motore assorbirà una corrente minore di quella che compete alla
prestazione di coppia scelta.
C
Va aumenta
C*
a)
Φu diminuisce
ωb
ωmax
ω
Passe, Va
Ia
b)
Φu, C
ωb
ωmax
ω
Regolazione di velocità a coppia ed a potenza costante
a)
Andamento della prestazione in coppia
b)
Potenza all’asse, corrente d’armatura e flusso utile
67
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Analisi approssimata di alcuni effetti dinamici delle regolazioni
Si supponga che il motore a corrente continua sia alimentato a tensione Va e caricato con una
coppia resistente Cr. Il punto di funzionamento, che descrive il sistema nel piano C-ω, è
rappresentato dal punto P in cui si incrociano la caratteristica del motore e quella del carico
meccanico (vedi figura seguente).
dω
= 0 e la velocità del sistema si
In questo punto si verifica la condizione Cm − C r = J
dt
mantiene costante.
C
Cm
Ia
C’m
Ea C ω
Va
P’
P
Cr
ω
ω’
ω
Q
Va
Ia
Va
Ea
C ω
Va-∆Va
Transitorio meccanico di regolazione
Se ad un certo istante la tensione di armatura viene ridotta di una quantità ∆Va, con l’intento di
portare il motore a lavorare ad una velocità più bassa ω', la nuova caratteristica di coppia
valida per il motore diventa C’m. Considerando che i transitori elettrici sono molto più veloci
di quelli meccanici e che, a causa dell’inerzia, il motore non può ridurre istantaneamente la
sua velocità, il punto di funzionamento si sposta transitoriamente nel punto Q. In questa fase
la coppia del motore e la coppia resistente non si fanno più equilibrio; la coppia risultante è
negativa e tende a frenare il motore in base alla legge:
C ' m −Cr = J
dω
<0
dt
Il punto di funzionamento tenderà a spostarsi da Q verso P’, nuovo punto di equilibrio.
Durante tutto l’intervallo di tempo in cui la coppia C’m del motore è negativa, il motore
funziona da generatore elettrico convertendo in forma elettrica, attraverso l’azione frenante,
parte dell’energia cinetica presente nell’inerzia del sistema. Questo sistema di frenatura viene
spesso definito frenatura con recupero o frenatura rigenerativa.
Analogo fenomeno può avvenire anche nel caso della regolazione di campo. E’ importante
osservare che, nelle fasi di regolazione di velocità, il motore a corrente continua può
esercitare la sua azione non solo come motore (nelle fasi di accelerazione) ma anche come
freno non dissipativo (nelle fasi di decelerazione). Tale prerogativa, unitamente alla
semplicità della tecnica di comando, ha consentito a questo motore di assumere un ruolo di
rilievo nelle realizzazioni che richiedono l’erogazione di potenza meccanica in estesi campi di
velocità.
68
MACCHINE ELETTRICHE
2.4.2 – Motore ad eccitazione serie
Un modo alternativo con cui provvedere alla eccitazione della macchina a corrente continua
consiste nel connettere l’avvolgimento di eccitazione in serie all’avvolgimento di armatura,
secondo lo schema indicato al paragrafo 2.4 e qui di seguito riportato.
Rt
Ia
Va
Ea=kΦu(Ia)⋅ω
Circuito equivalente dell’armatura del motore ad eccitazione serie
Il circuito equivalente non è sostanzialmente diverso da quello della macchina ad eccitazione
separata. Le differenze tra i due circuiti equivalenti sono contenute nell’espressione della
resistenza Rt e del flusso Φu.
Rt = Ra+Recc
somma della resistenza di armatura e di eccitazione;
Φu = Φu(Ia)
flusso utile.
Per poter valutare l’espressione della corrente e della coppia messe in gioco da questa
macchina, occorre poter esplicitare la legge che lega il flusso Φu alla corrente Ia ; questa legge
è, nella realtà, non lineare; tuttavia, se si approssima la caratteristica di eccitazione della
macchina in modo lineare (coefficiente M costante), si possono scrivere le seguenti equazioni
approssimate per la coppia e la corrente:
Φ u (I a ) = M ⋅ I a ;
Ea = k ⋅ M ⋅ I a ⋅ ω
Va = Rt ⋅ I a + k ⋅ M ⋅ I a ⋅ ω
Ea
C = k ⋅ M ⋅ I a2
Le caratteristiche elettromeccaniche di corrente,
f.e.m., coppia in funzione della velocità sono
espresse da:
Ia =
Va
Rt + k ⋅ M ⋅ ω
Ea =
k ⋅ M ⋅ω
⋅ Va
Rt + k ⋅ M ⋅ ω


Va

C = k ⋅ M 
 Rt + k ⋅ M ⋅ ω 
Ia - saturazione
Ia
(2.24)
2
ω
Caratteristiche di corrente e di f.e.m per un
motore ad eccitazione serie.
In figura è riportato l’andamento della corrente di armatura assorbita da un motore ad
eccitazione serie al variare della velocità di rotazione. In linea a tratti è riportato l’andamento
della corrente quando si tiene conto della non-linearità magnetica dell’eccitazione.
69
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Nella figura seguente sono invece illustrati gli andamenti della coppia sviluppata dalla
macchina e della potenza meccanica erogata al variare della velocità di rotazione.
Potenza
Coppia
Caratteristiche di coppia e di potenza per
un motore ad eccitazione serie.
Se si tiene conto della saturazione del circuito di
eccitazione, la coppia di avviamento fornita dal
motore diminuisce rispetto al caso di legame
lineare tra flusso e corrente di armatura. Ciò è
desumibile dall’ultima relazione in (2.24)
imponendo velocità nulla ed osservando che in
presenza di saturazione (correnti di armatura
elevate) il coefficiente M diminuisce. Nella figura a
fianco sono illustrati gli andamenti qualitativi della
caratteristica di coppia in presenza (linea
tratteggiata) o meno (linea continua) di saturazione
magnetica del circuito di eccitazione.
C
Saturazione
Csp*
ω
Effetto della saturazione sulla
caratteristica di coppia
La coppia e la corrente di una macchina a eccitazione serie sono sempre positive. La potenza
erogata resta in pratica costante in un ampio intervallo di velocità di rotazione e la macchina
funziona sempre come motore. A fronte di queste caratteristiche il motore ad eccitazione serie
è stato a lungo utilizzato per la trazione elettrica.
Si noti che la caratteristica di coppia non passa nel quarto quadrante del piano C-ω; ne
consegue che questo motore, al contrario di quello a eccitazione separata, non è in grado di
frenare il carico meccanico.
Occorre osservare e ricordare che questo tipo di motore produce sempre coppia qualunque sia
la velocità di rotazione e, pertanto, in assenza di coppia resistente applicata all’albero rischia
di raggiungere velocità eccessive che possono provocarne la distruzione (problema della fuga
in velocità).
Motore ad eccitazione serie in corrente alternata
I motori ad eccitazione serie possono funzionare anche in corrente alternata, grazie al fatto
che il segno della coppia non dipende dal segno della tensione di alimentazione (vedi 2.24).
Qualora il motore venga utilizzato in alternata, il circuito magnetico di statore e quello di
rotore devono essere totalmente laminati per limitare le perdite nel ferro.
L’equazione elettrica di armatura, in regime sinusoidale di pulsazione ωe, si scrive nel modo
seguente:
70
MACCHINE ELETTRICHE
V = (Rt ⋅ + jω e Lt ) ⋅ I + kM ⋅ I ⋅ ω =  R + kM ⋅ ω  ⋅ I + jω e Lt ⋅ I
 t

(2.25)
Il termine Lt rappresenta l’induttanza
A
complessiva dei due avvolgimenti di
armatura ed eccitazione disposti in serie.
Tale
termine
non
è
stato
jωeLt I
precedentemente
considerato
nello
P
studio del funzionamento a regime in
V
Q
corrente continua, poiché è noto che in
P’ I
(Rt+ kMω)I
quelle
condizioni
l’induttanza
è
ω= 0
ininfluente. In regime sinusoidale tale
Ispunto
termine riveste invece una influenza non
trascurabile.
L’equazione (2.25) permette di definire
Q’
il diagramma vettoriale riportato a
fianco.
O
B
V/ jωeLt
In ogni condizione di funzionamento il
ω= ∞
vettore tensione di alimentazione V è
equilibrato da due cadute di tensione
Motore universale a collettore: diagramma vettoriale
ortogonali OP’ e P’A.
Pertanto, al variare della velocità di rotazione ω il punto P’ si sposta su una semicirconferenza
di diametro OA = V. Per variazioni di ω da 0 a ∞ il punto P’ descrive l’arco Q’P’A. Il punto
A corrisponde al funzionamento teorico a velocità infinita ed il punto Q’ corrisponde al
motore fermo.
Il vettore corrente risulta in fase con il segmento OP’ ed il suo estremo P si muove su
sull’arco OPQ di una semicirconferenza di diametro OB= V/jωLt. Infatti se si considerano i
due triangoli rettangoli simili OP’A ed OPB risulta la seguente relazione tra moduli:
OB OP
;
=
OA P' A
OP =
V / ωLt
OB
⋅ P' A =
⋅ ωLt I = I
OA
V
Nel normale funzionamento del motore il punto P, che rappresenta l’estremo del vettore
corrente, si sposta sull’arco OPQ della circonferenza. Q è il punto corrispondente al motore
fermo ed O è il punto teorico per velocità infinita in cui la corrente assorbita si annulla.
La corrente assorbita in termini di vettore e di modulo è data da:
I=
V
;
Rt + kM ⋅ ω + jω e Lt
I=
V
(Rt + kM ⋅ ω )2 + (ω e Lt )2
(2.26)
mentre la coppia media erogata si ricava dal seguente bilancio di potenze (il simbolo x
rappresenta il prodotto scalare tra vettori):
(
)
Pe = V × I = Rt ⋅ I × I + jωLt ⋅ I × I + kM ⋅ ω ⋅ I × I
Potenza
elettrica
entrante
Perdite
Joule
Potenza reattiva
Valor medio=0
(2.27)
Potenza
meccanica
Dalla potenza meccanica si ottiene la seguente espressione della coppia sviluppata:
2
C = kM ⋅ I =
kM ⋅ V 2
(Rt + kM ⋅ ω )2 + (ω e Lt )2
(2.28)
71
PROF. ANDREA CAVAGNINO
L’espressione (2.28) fornisce il valor medio della
coppia prodotta dal motore a collettore; in realtà la
coppia istantanea risulta pulsante; essa si annulla ad
ogni passaggio per zero della corrente alternata di
armatura. Ne consegue che l’ondulazione di coppia
è ad una frequenza doppia di quella
dell’alimentazione.
Nella figura a fianco sono illustrati gli andamenti
qualitativi della coppia media e della corrente
efficace in funzione della velocità.
Corrente
Coppia
ω
Motore universale a collettore:
diagramma della coppia media e della
corrente efficace.
72
MACCHINE ELETTRICHE
2.5 – Quadranti di funzionamento del motore a corrente
continua
Per l’impiego dei motori in c.c. si fa solitamente uso del concetto di quadranti di possibile
funzionamento del motore.
II quadrante
Cm.ω < 0
Freno indietro
Caratteristiche di
coppia
Cm.ω > 0
Motore indietro
III quadrante
Cm
I quadrante
II quadrante
Cm.ω > 0
Motore avanti
Va.Ιa < 0
Generatore
P1(ω1, C1)
Ia
I quadrante
Va.Ιa > 0
Utilizzatore
P2(V2, I2)
ω
Va
Cm.ω < 0
Freno avanti
IV quadrante
Va.Ιa > 0
Utilizzatore
III quadrante
Va.Ιa < 0
Generatore
IV quadrante
Definizione dei quadranti sul piano C-ω e sul piano Ia-Va
Il concetto di quadrante può essere legato alla partizione del piano delle condizioni operative
della macchina attraverso i due assi ortogonali coppia (Cm) e velocità (ω) del motore. Il
significato di quadrante è, in questo caso, di natura meccanica. I punti del piano sono
identificati da coordinate misurate parallelamente agli assi di riferimento, essi definiscono le
condizioni operative della macchina in termini di velocità e di coppia.
Su questo piano è possibile identificare le zone in cui la macchina funziona come freno o
come motore (vedi figura di sinistra).
Ma il concetto di quadrante può avere anche valenza elettrica e la partizione del piano
operativo può essere eseguita sulla base della tensione e della corrente di armatura. Il
significato di quadrante è legato in questo caso al verso dell’assorbimento di potenza elettrica
dalla sorgente di alimentazione e al segno di tensione e corrente, come illustrato nel
diagramma a destra della figura.
Per poter valutare le condizioni operative della macchina sia dal punto di vista elettrico che
meccanico sarebbe utile poter sovrapporre i due quadranti. Questa operazione non è
immediatamente possibile. Per fare in modo che i punti del piano possano essere interpretati
sia in termini sia meccanici che elettrici occorre deformare uno dei due piani. Nella figura
seguente viene illustrata la modalità di sovrapposizione.
Si riportino nel piano un sistema di assi ortogonali per le grandezze meccaniche (Cm,ω). Su
tale piano si disegni quindi la caratteristica di coppia del motore corrispondente alla tensione
di alimentazione nulla[9]. La retta così ottenuta può essere interpretata come asse Ia, mentre
l’asse della tensione Va risulta sovrapposto all’asse delle velocità del motore.
La graduazione di questi nuovi assi del “piano elettrico” è ottenuta in relazione agli assi
meccanici secondo la regola seguente, dove ω0 è la velocità a vuoto del motore.
Va = kΦ u ⋅ ω0 ;
Ia =
Cm
kΦ u
[9]
Si ricorda che questa caratteristica corrisponde al funzionamento del motore con le spazzole chiuse in corto
circuito.
73
PROF. ANDREA CAVAGNINO
II quadrante
c)
Ia
I quadrante
Cm
a)
b)
I1
P1
C1
ω1
d)
III quadrante
e)
Va
V1
ω
ω01
f)
IV quadrante
Sovrapposizione dei quadranti meccanici ed elettrici.
Con riferimento alla figura, il punto P1, che rappresenta le condizioni operative del motore,
può essere letto in temini meccanici: C1,ω1 sulla coppia di assi ortogonali, oppure in termini
elettrici sulla coppia di assi obliqui.
Dalla rappresentazione appare evidente che i quadranti elettrici non sono sovrapponibili
esattamente ai quadranti meccanici: sono possibili, in realtà, 6 condizioni operative diverse
della macchina a corrente continua. Tali condizioni sono individuabili nelle regioni
contrassegnate dalle lettere a), b), c), d), e), f) nella figura.
In particolare è possibile osservare quanto segue:
zona a) – La macchina funziona con coppia e velocità positive; tensione di alimentazione e
corrente sono anch’esse positive. La potenza elettrica (positiva) è realmente assorbita dalla
macchina e la potenza meccanica (positiva) è corrispondentemente ceduta al carico. La
macchina funziona da motore in marcia avanti. Questa zona è quella tipica di funzionamento
per i motori a c.c..
zona b) – La macchina funziona con coppia positiva e velocità negativa; tensione e corrente
sono entrambe positive. La potenza elettrica (positiva) è realmente assorbita dalla macchina e
la potenza meccanica (negativa) è anch’essa assorbita. Questa condizione è anomala, infatti
entrambe le forme di energia vengono contemporaneamente assorbite e cedute sotto forma di
calore dissipato principalmente sulla resistenza di armatura. I punti operativi corrispondenti a
questa zona sono da evitare accuratamente perché inefficienti dal punto di vista della
conversione elettromeccanica e pericolosi per il surriscaldamento della macchina.
zona f) – La macchina funziona con coppia negativa e velocità positiva; la tensione di
alimentazione è positiva mentre la corrente assorbita è negativa. Dal bilancio delle potenze si
evince che a fronte di una potenza meccanica (negativa) fornita alla macchina esiste una
potenza elettrica ceduta dalla macchina alla sorgente di alimentazione. La macchina funziona
come freno dal punto di vista meccanico e come generatore dal punto di vista elettrico. Questa
zona viene spesso usata per produrre una frenatura rigenerativa del carico meccanico
collegato al motore.
Le zone d), e), c) sono corrispondenti ordinatamente alle zone a), b), f) quando la macchina
sia alimentata con tensioni negative per il funzionamento in marcia invertita.
74
MACCHINE ELETTRICHE
Nella figura seguente sono riepilogate le considerazioni di cui ai punti precedenti.
Freno dissipativo
Pe > 0 Pm < 0
2° quadrante
1° quadrante
Cm
Freno generatore indietro
Pe < 0 Pm < 0
Va = 0
Va < 0 Ia > 0
Cm > 0 ω < 0
Motore indietro
Pe > 0 Pm > 0
Motore avanti
Pe > 0 Pm > 0
Va>0
Va <0
Va > 0 Ia > 0
Cm > 0 ω > 0
ω
Freno generatore avanti
Pe < 0 Pm < 0
Va > 0 Ia < 0
Cm < 0 ω > 0
Va < 0 Ia < 0
Cm < 0 ω < 0
3° quadrante
4° quadrante
Freno dissipativo
Pe > 0 Pm < 0
Zone operative del motore in corrente continua
Per far funzionare il motore in un certo punto nei quadranti operativi indicati, il convertitore
elettronico di potenza deve essere in grado di poter fornire la tensione e la corrente (in valore
e segno) richieste. Ad esempio, se l’applicazione impone di lavorare in tutti e quattro i
quadranti, si deve usare un convertitore capace di invertire sia il segno della tensione media
che della corrente media fornita al motore.
75
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.6 – Perdite e rendimento del motore a corrente continua
Nel processo di conversione elettromeccanica dell’energia del motore a c.c. sono presenti
inevitabili perdite di potenza; l’energia associata viene dissipata sotto forma di calore.
L’identificazione e la valutazione quantitativa di queste perdite è importante sia dal punto di
vista dell’economia di esercizio della macchina sia dal punto di vista tecnico del
contenimento delle sovratemperature raggiunte.
Nel caso di una macchina a corrente continua, le perdite possono essere suddivise nelle
seguenti voci:
Pja
Perdite Joule di armatura.
Pje
Perdite Joule di eccitazione (ove presente).
Pfe
Perdite nel ferro.
Pmecc Perdite meccaniche.
Pertanto il bilancio energetico può essere scritto, secondo il funzionamento da motore o da
generatore, nel seguente modo:
Pi = P ja + P je + P fe + Pmecc + Pu = ∑ Perdite + Pu
(2.29)
dove, nel caso di funzionamento da motore:
Pi ..... è la potenza elettrica complessiva di alimentazione dei due circuiti di armatura Pa e
di eccitazione Pe;
Pu .... è la potenza meccanica utile resa disponibile all’albero della macchina per
l’applicazione[10].
mentre, nel caso di funzionamento da generatore,
Pi ..... è la potenza complessiva assorbita pari alla somma della meccanica Pm fornita
all’albero della macchina e della potenza elettrica di eccitazione Pe,
Pu .... .è la potenza elettrica erogata ai morsetti del circuito di armatura Pa.
Si definisce rendimento della macchina il rapporto tra la potenza utile (meccanica o elettrica)
e la potenza fornita in ingresso (elettrica o meccanica):
η=
Pu
Pi
(2.30)
Si noti che il rendimento di un motore si annulla in corrispondenza all’annullarsi della
potenza meccanica, ovvero per ω = 0 ( motore fermo) e per ω = ω0 (funzionamento a vuoto).
Il rendimento per una dinamo si annulla quando si annulla la potenza elettrica erogata ai
morsetti di armatura, ovvero per ω = ω0 (funzionamento a vuoto) e, idealmente, per ω = ∞.
Il rendimento di una macchina varia necessariamente in funzione del carico meccanico
applicato e della velocità di rotazione, ed una corretta valutazione del suo valore richiede
un’analisi delle singole voci di perdita.
[10]
76
Si ricorda che in condizioni nominali la potenza meccanica fornita all’asse è la potenza nominale del motore.
MACCHINE ELETTRICHE
Perdite Joule nel circuito di armatura
Queste perdite sono sostanzialmente legate alla resistenza presentata dall’avvolgimento di
armatura ed il loro valore cresce quadraticamente con la corrente assorbita dal circuito[11].
Pja = Ra I a2
(2.31)
Una considerazione più precisa del meccanismo di adduzione della corrente a tale circuito
porta ad una valutazione leggermente diversa di questa voce di perdita. Infatti la presenza del
contatto strisciante spazzola-lamella introduce una caduta di tensione anomala nel circuito.
Questa caduta, indicata con il simbolo ∆Vs, non rispetta la legge di Ohm, ma tende ad essere
indipendente dalla corrente. Un rilievo volt-amperometrico eseguito alle spazzole del motore
fermo, o ruotante molto lentamente, fornisce tipicamente un andamento di tensione applicata
e corrente assorbita del tipo illustrato nella figura seguente; la caratteristica mostra una
dipendenza lineare tra tensione e corrente, ma non passa per l’origine. L’intercetta sull’asse
delle tensioni può essere interpretata come caduta di tensione di contatto spazzola-lamella.
Il diagramma ottenuto risponde alla seguente approssimazione:
∆Va = ∆Vs + Ra ⋅ I a
(2.32)
Da questo punto di vista, la potenza dissipata nel circuito di armatura assume la seguente
formulazione:
Pja = ∆Vs I a + Ra I a2
La resistenza Ra è la resistenza ohmica complessiva
dell’avvolgimento di armatura e di eventuali altri
avvolgimenti ausiliari in serie al circuito di armatura
(ad esempio, l’avvolgimento di eccitazione nel motore
ad eccitazione serie).
Il valore di Ra deve essere riportato alla temperatura
dell’avvolgimento.
Le formule di riporto sono le stesse già viste al
paragrafo 1.5.1 e devono essere applicate al solo
contributo Ohmico. La caduta di tensione al contatto,
infatti, non risente delle variazioni di temperatura in
modo facilmente determinabile.
(2.33)
∆Va
RaIa
∆Vs
Ia
Caratteristica tensione- corrente del
circuito di armatura
Perdite Joule nel circuito di eccitazione
Le perdite nel circuito di eccitazione, qualora non comprese nelle perdite di armatura (come
nel caso del motore ad eccitazione serie), sono determinabili semplicemente attraverso
l’espressione:
Pje = Re I e2
(2.34)
con ovvio significato dei simboli.
Anch’esse devono essere riportate alla temperatura di normale funzionamento del motore.
Queste perdite sono identicamente nulle nel caso di motori a magneti permanenti e, in
generale, costituiscono una voce costante nel bilancio energetico del motore.
[11]
Se all’avvolgimento di armatura sono collegati in serie altri avvolgimenti ausiliari (serie, serie stabilizzatrice,
avvolgimenti compensatori, avvolgimenti di commutazione, etc.) la loro resistenza deve essere compresa nella
(2.31).
77
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Perdite nel ferro
In un motore a corrente continua le perdite nel ferro sono localizzate principalmente sul rotore
a causa del suo movimento rispetto al campo magnetico. Tuttavia anche nello statore possono
verificarsi delle perdite. Esse sono da correlare sostanzialmente ai fenomeni dell’isteresi e
delle correnti parassite.
Tuttavia, in questo caso, verrà operata una diversa classificazione in relazione alle modalità in
cui i due fenomeni dissipativi (isteresi e correnti parassite) vengono originati.
Si distingue, pertanto, tra:
Perdite rotazionali: questa voce costituisce il termine principale delle perdite nel ferro;
essa comprende le perdite dovute al moto dell’indotto nel campo magnetico originato
complessivamente dalla macchina. Questo tipo di perdite ha sede nel rotore ed è
associabile a fenomeni di correnti parassite e di isteresi. Tuttavia anche sulle
espansioni polari dello statore possono esistere perdite dovute alle pulsazioni locali
prodotte dal moto dei denti di indotto sotto le espansioni polari. L’effetto è quello di
sottrarre potenza alla rotazione attraverso la produzione di una coppia contraria al
moto e proporzionale al flusso di macchina e alla velocità di rotazione. Per ridurre
questa tipologia di perdite i motori a corrente continua sono costruiti con rotore ed
espansioni polari laminate.
Perdite trasformatoriche. Oggi, più frequentemente che in passato, i motori a corrente
continua sono sottoposti ad alimentazione tramite convertitori statici. Le forme d’onda
della corrente che circola nell’armatura possiede in questi casi un contenuto armonico
residuo non trascurabile. Come conseguenza, il flusso Λa concatenato con
l’avvolgimento di armatura non è costante nel tempo. I tubi di flusso, in cui il flusso
concatenato Λa è idealmente decomponibile, interessano nel loro percorso non
solamente il rotore, ma anche i gioghi e le espansioni polari di statore come è stato
illustrato al paragrafo 2.2.2. Se Λa è variabile nel tempo esso induce pulsazione di
induzione nelle parti di macchina citate e conseguenti perdite per isteresi e correnti
parassite di tipo trasformatorico. Per contenere queste perdite, i motori in c.c. che sono
destinati ad alimentazione tramite convertitori elettronici, hanno, oltre al rotore, anche
lo statore completamente laminato. Le perdite nel ferro di tipo trasformatorico non
dipendono dalla rotazione del motore; esse sono presenti nella macchina anche a
rotore fermo. Sono invece nulle, anche se il rotore è in movimento, purché la corrente
di armatura sia ben livellata.
Quando il circuito di eccitazione viene alimentato tramite un convertitore statico si
hanno perdite nel ferro di tipo trasformatorico nel circuito magnetico di eccitazione.
Perdite meccaniche
Quando il rotore è in movimento si hanno delle perdite meccaniche; esse si suddividono in
perdite per attrito (alle spazzole ed ai cuscinetti) e perdite per ventilazione (dovute all’aria
posta in rotazione dal motore). Le coppie d’attrito sono poco influenzate dalla velocità di
rotazione, mentre quelle di ventilazione dipendono, in prima approssimazione, dal quadrato
della velocità di rotazione. Ne consegue che le perdite meccaniche dalla velocità secondo le
seguenti relazioni.
Pattrito = C attrito ⋅ ω ∝ ω
Pventilazione = C ventilazione ⋅ ω ∝ ω3
78
MACCHINE ELETTRICHE
2.6.1 – Funzionamento a vuoto reale
La condizione di funzionamento a vuoto analizzata al paragrafo 2.4.1 è da indentersi come
una condizione di funzionamento a vuoto ideale, in quanto si erano ipotizzate nulle le perdite
nel ferro e le perdite meccaniche. Si ricorda che, in detta condizione di funzionamento, il
motore non assorbe corrente e ruota ad una velocità ω0 = Va / kΦu.
In realtà, a causa delle perdite nel ferro e delle perdite meccaniche, il motore dovrà assorbire
una corrente per mantenersi in rotazione anche quando non eroga coppia al carico. Tale
corrente si chiama corrente a vuoto (Ia0)
Riferendosi ad un motore ad eccitazione separata, il bilancio di potenza relativo al
funzionamento a vuoto reale diventa:
Pi = P ja 0 + P je + P fe + Pmecc = P ja 0 + P je + P0
(2.35)
dove P ja 0 = Ra ⋅ I a20 è la potenza dissipata a vuoto sulla resistenza di armatura e
P0 = P fe + Pmecc è il termine di potenza a vuoto. Tale potenza può essere scritta come:
P0 = E0 ⋅ I a 0 = kΦ u ⋅ ω'0 ⋅ I a 0
(2.36)
dove ω0’ è la velocità di rotazione durante il funzionamento a vuoto reale. Si noti che tale
velocità è necessariamente minore della velocità a vuoto ideale ω0.
Il motore deve generare una coppia a vuoto C0 per sopperire alle perdite meccaniche, in
accordo alla (2.37). Tale coppia è “consumata” internamente al motore.
P
C 0 = kΦ u ⋅ I a 0 = 0
ω'0
(2.37)
Considerando costante la potenza P0 al variare della velocità, la coppia utile (netta) fornita
all’asse durante il funzionamento a carico vale:
Cu = C m − C 0 = kΦ u ⋅ (I a − I a 0 )
(2.38)
La corrente (Ia - Ia0) rappresenta, pertanto, la quota della corrente di armatura che risulta
disponibile per la produzione di coppia utile all’albero del motore.
79
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.7 – Problema dell’avviamento del motore a corrente
continua
Nonostante il motore a corrente continua sua un motore in grado di avviarsi da solo, la fase di
avviamento può non essere tollerata dalla macchina in virtù delle forti correnti di spunto
assorbite. Si ricorda infatti che la corrente allo spunto vale:
V
I sp = a
Ra
La resistenza di armatura (o la resistenza totale nel caso di motori ad eccitazione serie) ha
valori generalmente bassi e solo lei limita la corrente durante l’avviamento.
La relazione precedente indica come procedere per limitare la corrente di avviamento. La
strade percorribili sono ovviamente due:
Diminuzione della tensione di alimentazione grazie ad una sorgente di alimentazione
regolabile.
Aumento della resistenza del circuito tramite l’interposizione di un reostato di
avviamento tra l’alimentazione e il motore.
La prima prima soluzione richiede un convertitore elettronico di potenza adatto e costituisce
un tecnica energeticamente efficiente. La seconda soluzione, di costi più contenuti, ha il
difetto di dissipare potenza nel reostato di avviamento e quindi, nel caso di frequenti
avviamenti, di ridurre il rendimento del sistema.
Ra
Ia
R1
R2
R3
Va
Ea= kΦu⋅ω
Reostato di avviamento a tratti
Generalmente si utilizzano reostati costituiti da più tratti di resistenze, come indicato in
figura. Tramite un selettore è possibile inserire un certo valore di resistenza oppure escludere
totalmente il reostato.
Il reostato e quindi i suoi tratti, vengono dimensionati in modo da assorbire una corrente
compresa tra un determinato valore massimo ed uno minimo, come indicato nella figura
seguente. Ad ogni esclusione di una resistenza la velocità di rotazione si mantiene
praticamente costante grazie all’inerzia meccanica. Durante il transitorio si percorrono le parti
di caratteristica indicate in grassetto nella figura, fino ad arrivare al punto di lavoro imposto
dalla coppia resistente con reostato totalmente escluso.
E’ immediato osservare:
R1 + R2 + R3 =
Va
− Ra
(2.39)
V − (Ra + R x ) ⋅ I Min
ω* = a
kΦ u
(2.40)
I max
dove ω* rappresenta la massima velocità raggiungibile con la corrente minima e un valore di
resistenza inserita pari a Rx.
80
MACCHINE ELETTRICHE
Ia, Cm
Ra+R1+R2
Ra+R1
Ra
Imax
Imin
Ra+R1+R2+R3
Cresistente
ω
ω0 =Va / kΦu
Avviamento del motore a corrente continua ad eccitazione
separata tramite reostato
Osservando la figura, si comprende che la limitazione reostatica della corrente di avviamento
può anche essere utilizzata come metodo di regolazione della velocità durante il
funzionamento a carico (intesezioni della caratteristica di coppia resistente con le
caratteristiche di coppia motrice con resistenze inserite). Questa tecnica di regolazione,
utilizzata in trazione ferroviaria e tramviaria, è ormai in declino in quanto risultano poco
convenienti dal punto di vista energetico.
81
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.8 – Fenomeni di saturazione magnetica nella macchina a
corrente continua. Reazione d’indotto
I fenomeni di saturazione del ferro, che costituisce la struttura magnetica della macchina in
c.c., possono assumere importanza rilevante nella determinazione delle caratteristiche
elettromeccaniche della macchina.
Il meccanismo della saturazione è legato alla f.m.m complessivamente sviluppata dai due
avvolgimenti della macchina ed è di natura complessa. Per poterne meglio comprendere le
caratteristiche si analizzeranno separatamente i fenomeni collegati alla sola azione della
corrente di eccitazione e i fenomeni legati all’azione congiunta della corrente di eccitazione e
della corrente di armatura.
2.8.1 – Saturazione del circuito di eccitazione e caratteristica di eccitazione
Questo fenomeno è rilevabile durante il funzionamento a vuoto della macchina, quando, cioè,
l’avvolgimento di armatura non è percorso da corrente e l’unica corrente presente è quella di
eccitazione. Si ricorda che il circuito magnetico dell’eccitazione è caratterizzato da traferri
ridotti (localizzati tra le espansioni polari ed il rotore); ne consegue che l’influenza dei
fenomeni di saturazione per questo circuito sono, in generale, evidenti.
La saturazione del circuito magnetico provocata dalla corrente di eccitazione, si manifesta
nella non linearità della caratteristica del flusso di macchina Φu = Φu (Ie), oltreché nella non
linearità del flusso concatenato con l’avvolgimento di eccitazione:
Λ e = Lσ I e + N e Φ u (I e )
(2.41)
Ne rappresenta il numero di spire totale dell’avvolgimento di eccitazione. Nella (2.41) il
termine induttivo Lσ si riferisce al contributo relativo a quei tubi di flusso che non
attraversano il traferro, ma si richiudono localmente attorno ai conduttori delle bobine di
eccitazione. Dato il prevalente percorso in aria, questi contributi dipendono linearmente dalla
corrente di eccitazione. Il flusso utile, invece, non dipende linearmente dalla corrente. Questa
non-linearità è facilmente rilevabile attraverso una prova a vuoto della macchina usata come
generatore elettrico. L’apparato sperimentale che consente di valutare la dipendenza del flusso
utile dalla corrente di eccitazione è illustrato in figura.
Tachimetro
ω
Macchina C.C.
Motore C.A.
eccitazione
Ea
Voltmetro
giunto
Iecc
Amperometro
Prova a vuoto della macchina a corrente continua.
82
MACCHINE ELETTRICHE
La macchina è messa in rotazione, a velocità angolare costante, attraverso un motore
ausiliario. La sua eccitazione viene fornita da un generatore di tensione continua variabile. Si
procede quindi ad una misura contemporanea della la corrente di eccitazione (Iecc), della f.e.m.
prodotta alle spazzole (E0) e della velocità di rotazione (ω).
Poiché, come è noto, la relazione tra flusso utile e f.e.m. indotta vale:
E0
(costante di coppia o di f.e.m.),
(2.42)
ω
il valore kΦu può essere facilmente determinato nella misura; esso può quindi essere posto in
relazione con la corrente di eccitazione utilizzata. La prova ripetuta per diversi valori della
corrente di eccitazione consente di tracciare graficamente una legge che descrive l’influenza
della saturazione magnetica nel funzionamento a vuoto della macchina. Un tipico andamento
di tale caratteristica, denominata caratteristica di eccitazione o caratteristica a vuoto, è
indicata nella figura seguente.
kΦ u =
E0 ∝Φu
P
ω‘
E’0=kΦuω’
E0=kΦuω
Q
ω
Effetto di
magnetizzazione
residua dei poli
Range tipico per
l’eccitazione
nominale
Iec
O
Caratteristiche di eccitazione della macchina a corrente continua
per due velocità di rotazione diverse (ω’ > ω).
Nella figura non è riportato il valore del flusso utile, bensì, direttamente, il valore (ad esso
proporzionale) della f.e.m. indotta misurata alla velocità di rotazione costante ω.
Si può osservare l’effetto della saturazione magnetica del ferro: la f.e.m. tende a crescere
sempre meno rapidamente al crescere della corrente di eccitazione. Per questo motivo il
valore di corrente di eccitazione nominale della macchina corrisponde ad un punto della
caratteristica di eccitazione situato poco sopra il ginocchio della curva.
E’ inoltre da sottolineare che, anche in assenza di eccitazione, la macchina può fornire una
f.e.m. a causa della magnetizzazione residua dei poli.
Dalla caratteristica sperimentale, relativa alla velocità di rotazione ω, sono immediatamente
deducibili, attraverso un processo di similitudine, le caratteristiche analoghe relative a diverse
velocità di rotazione. In figura è illustrato il metodo per ricavare il valore di f.e.m. che sarebbe
prodotto dalla macchina qualora ruotasse ad una velocità ω’ > ω.
La relazione tra i segmenti OP ed OQ è la seguente:
OP = OQ ⋅
ω'
ω
(2.43)
83
PROF. ANDREA CAVAGNINO
La conoscenza della caratteristica di eccitazione della macchina permette di calcolare
immediatamente il valore della costante di coppia (ovvero di f.e.m.) della macchina in
corrispondenza ad ogni valore della corrente di eccitazione (in accordo alla relazione (2.42)).
Essa, spesso, è sufficiente per la soluzione di molti problemi relativi al funzionamento della
macchina a vuoto oppure con carichi sufficientemente ridotti da poter ritenere trascurabili gli
effetti aggiuntivi di saturazione dovuti alla corrente di armatura
Ricordando il tracciato del campo riportato al paragrafo 2.2.1, si può osservare che le linee di
campo, prodotte dalla sola azione di eccitazione, si concatenano praticamente tutte con
l’avvolgimento di eccitazione. Ne consegue che, al crescere della corrente di eccitazione la
saturazione magnetica si manifesta simultaneamente, e praticamente nella stessa misura, per
tutti i tubi di flusso del tracciato di campo. I diagrammi di campo, e quindi di induzione al
traferro, mantengono la stessa forma, ma le loro ampiezze non variano in modo proporzionale
con la corrente di eccitazione.
2.8.2 - Saturazione dovuta all’azione congiunta dell’eccitazione e dell’armatura
Come già indicato brevemente al paragrafo 2.2.3, quando la macchina in c.c. funziona a
carico sono congiuntamente presenti la corrente di eccitazione e la corrente di armatura. Il
fenomeno della saturazione si manifesta in forma localizzata e la sua analisi risulta più
complessa.
Analizzando il problema per gradi, si osserva
α
che il campo prodotto dalla corrente di
armatura (reazione d’indotto) ha andamento
trasversale rispetto al campo prodotto dalla
corrente di eccitazione (figura a). In questa
a)
figura è riprodotta, qualitativamente, la
distribuzione delle linee di campo nel caso di
un indotto liscio (privo di cave).
Si può osservare che, lungo il traferro e sotto
le espansioni polari, la direzione delle linee di
campo magnetico è radiale esattamente come
α
nel caso di sola eccitazione.
In assenza di saturazione magnetica,
l’intensità del campo magnetico risultante al
traferro può essere valutata come semplice
b)
somma algebrica dei campi prodotti dai due
avvolgimenti della macchina. Se si osservano
i versi del campo dei due tracciati di
eccitazione e di armatura (paragrafi 2.2.1 e
2.2.2), si nota che, sotto metà espansione
polare essi sono equiversi, mentre sotto l’altra
Reazione d’indotto
metà sono opposti. Quindi il campo risultante
a) Linee di campo dovute alla sola reazione d’indotto.
al traferro si rafforza sotto mezzo polo e
b) Campo risultante da eccitazione e reazione d’indotto.
corrispondentemente si indebolisce nella
parte restante.
Questo effetto è detto ‘azione distorcente della reazione d’indotto’ ed è illustrato nella figura.
Si osservi inoltre che l’asse neutro (definito come l’asse geometrico passante per i punti dove
si annula il campo risultante al traferro) non coincide più con l’asse interpolare, ma risulta
ruotato rispetto a quest’ultimo.
84
MACCHINE ELETTRICHE
E’ evidente che in assenza di saturazione, e in conseguenza della simmetria delle azioni di
eccitazione e di reazione d’indotto, l’entità del rafforzamento del campo sotto mezza
espansione polare è compensata dal corrispondente indebolimento sotto l’altra metà. Il flusso
utile, cioè il flusso complessivo che attraversa il piano neutro, non viene modificato. In questa
situazione risulta che il flusso utile non dipende dalla corrente di armatura, ma solo da quella
di eccitazione, ovvero Φu = Φu (Ie).
Nella realtà, nelle zone di rafforzamento del campo possono subentrare fenomeni di
saturazione che limitano localmente proprio la crescita del campo o dell’induzione. Questa
saturazione locale della macchina, implica che l’entità del rafforzamento del campo sotto
mezza espansione polare è minore dal corrispondente indebolimento sotto l’altra metà
Tutto ciò comporta una riduzione del flusso complessivo che attraversa il piano delle
spazzole, ed una conseguente riduzione del valore di f.e.m. e di coppia forniti dal motore. Il
fenomeno descritto prende il nome di effetto smagnetizzante della reazione d’indotto.
Dal punto di vista pratico, quanto detto si può riassumere nel seguente legame funzionale:
Φ u = Φ u (I ecc ; I a )
(2.44)
Sulla base di quanto riportato, è possibile osservare che:
L’entità della smagnetizzazione è tanto maggiore quanto più è elevata la corrente di
armatura. Per bassi valori di quest’ultima l’effetto è generalmente trascurabile.
L’effetto smagnetizzante della reazione di indotto può essere quantificato come una
riduzione equivalente della corrente di eccitazione. Ad esempio, se Ie0 è la corrente del
circuito di eccitazione cui corrisponde a vuoto il flusso Φu0, si può definire una nuova
corrente I’e < Ie0 che, percorrendo l’avvolgimento di eccitazione, provoca una
riduzione di flusso eguale a quella prodotta dalla reazione d’indotto.
Il flusso concatenato dall’avvolgimento di eccitazione, che dipende dal flusso utile
secondo la (2.41), risente delle variazioni della corrente di armatura. Quindi si può
affermare che, a causa della saturazione dovuta alla reazione d’indotto, i due
avvolgimenti della macchina risultano magneticamente accoppiati.
L’accoppiamento è tale che la presenza della corrente su un’asse, qualunque sia il suo
verso, provoca sempre un’azione di tipo smagnetizzante per l’altro asse.
2.8.2.1 - Caratteristiche elettromeccaniche a regime in presenza di saturazione
Al paragrafo precedente è stato chiarito che, nel passaggio da vuoto a carico, il motore a
corrente continua subisce una smagnetizzazione parziale del flusso utile.
Se gli effetti della reazione di indotto sono intensi, si può assistere ad una deformazione della
caratteristica della corrente di armatura e della coppia prodotta al variare della velocità di
rotazione. La figura seguente illustra qualitativamente la deformazione della caratteristica Cω del motore a causa del fenomeno considerato.
Carichi meccanici, che intercettino la caratteristica del motore in corrispondenza di questo
intervallo, non possono dar luogo ad un funzionamento stabile e producono pertanto un
funzionamento irregolare lungo un ciclo limite indicato in figura.
Lo studio della stabilità di funzionamento del motore in queste condizioni è abbastanza
complicato, in quanto le variazioni di flusso utile si ripercuotono sull’avvolgimento di
eccitazione e, pertanto i due circuiti della macchina non possono essere ritenuti disaccoppiati.
85
PROF. ANDREA CAVAGNINO
C
Caratteristica di
coppia per
saturazione
Pendenza
positiva
Caratteristica di
coppia ideale
C
Zona di instabilità
Coppia
motore
Coppia
carico
ω
ω0
ω
Deformazione della caratteristica di coppia per effetto della smagnetizzazione (a sinistra)
Instabilità meccanica del motore (a destra)
Per eliminare o quanto meno ridurre questo disturbo, vengono usualmente adottate diverse
soluzioni:
Aumento del traferro in corrispondenza dei corni polari di uscita.
Nella figura a fianco è rappresentata la
configurazione tipica dell’espansione
polare atta a ridurre l’influenza della
reazione d’indotto sul flusso utile.
Questa soluzione comporta come
conseguenza la necessità di maggiorare
la f.m.m. di eccitazione per compensare
la riduzione del flusso utile prodotta
dall’aumento del traferro medio.
Incremento del
traferro
Asse polare
Aumento del traferro
Avvolgimento ausilario di eccitazione serie (serie stabilizzatrice)
Il motore può essere dotato di un circuito
Serie stabilizzatrice
supplementare di eccitazione, che
controbilanci l’effetto smagnetizzante
Eccitazione principale
della corrente di armatura. Questo
circuito vien tipicamente realizzato con
Ia
alcune spire percorse dalla corrente di
armatura e disposte sui nuclei polari
della
macchina
come
illustrato
schematicamente in figura.
Per evitare, che con l’inversione della
Asse polare
corrente d'armatura, il fenomeno si
ripresenti
nel
funzionamento
da
Inserzione di una eccitazione serie per la
generatore o, soprattutto, da motore in
stabilizzazione meccanica.
marcia indietro, occorre che la corrente
nella serie stabilizzatrice continui a
produrre lo stesso effetto della corrente
principale di eccitazione. Uno schema
d'inserzione tipico può pertanto essere realizzato con un ponte a diodi come illustrato.
86
MACCHINE ELETTRICHE
Poli ausiliari
Si dispongono dei poli ausiliari a statore posizionati sugli assi interpolari della
macchina. Le bobine montate sui poli ausiliari sono percorse dalla corrente di armatura.
Il principio di funzionamento è analogo a quello degli avvolgimenti compensatori: si
cerca di annullare il campo dovuto alla reazione di indotto posizionando le bobine
ausiliarie sull’asse dell’avvolgimento di armatura in modo che creino un campo opposto
al precedente. In questo modo si ottiene una compensazione “globale” della reazione
d’indotto (gli avvolgimenti compensatori attuano invece una compensazione “locale”).
Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 2.9, relativo al problema della commutazione.
Avvolgimenti di compensazione.
Questa soluzione è da ritenersi quella più efficiente nella soluzione del problema, ma è
anche la meno economica e per questo viene adottata solo su macchine di grosse
potenza.
Le espansioni polari della macchina vengono scanalate e nelle cave viene distribuito un
avvolgimento percorso dalla stessa corrente di armatura, ma in modo tale che i suoi
conduttori siano percorsi dalla corrente in senso opposto a quella dei conduttori di
indotto affacciati. In figura è schematizzata una tipica conformazione dei poli principali
atta a realizzare l’avvolgimento di compensazione.
La presenza dei conduttori disposti nelle espansioni polari e percorsi da corrente di
armatura fa in modo che le linee di campo del tipo illustrato al paragrafo 2.8.2, che
sarebbero prodotte dalla reazione d’indotto, non siano più sostenute da alcuna f.m.m.
Pertanto l’effetto distorcente sotto le espansioni polari viene eliminato e con esso
decadono i problemi di saturazione e smagnetizzazione locale.
Eccitazione
Avvolgimento
compensatore
Avvolgimento di
armatura
Linea di campo di
reazione d’indotto
Disposizione degli avvolgimenti compensatori
87
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.8.2.2 – Effetto della reazione di indotto sulle macchine a magneti permanenti
Nei motori, che utilizzano magneti permanenti per produrre l’eccitazione, il problema della
distorsione di campo, provocata dalla reazione d’indotto, riveste un’importanza particolare e
di natura diversa da quella descritta al paragrafo precedente.
Occorre premettere che i tipi di magneti permanenti impiegati sono classificabili, di norma,
nelle seguenti tre famiglie:
Magneti AlNiCo
Magneti ceramici, ferriti
Magneti al Samario-Cobalto e Neodimio-Ferro-Boro (terre rare)
Nella figura sono illustrate le curve di smagnetizzazione tipiche per questi materiali.
B [T]
1.4
1.2
1
SmCo e NdFeBo
0.8
Alnico 8 Alnico 5
0.6
0.4
Sr Ferrite
400
350
0.2
Ba Ferrite
H [kA/m]
300
250
200
150
100
50
0
0
Caratteristiche di magneti permanenti
Un magnete permanente, destinato all’eccitazione di un motore in c.c., lavora generalmente
nel 2° quadrante del piano B-H del suo ciclo di isteresi e, nel caso di funzionamento a vuoto
del motore, il punto di lavoro è definito dall’intersezione della caratteristica magnetica del
magnete permanente con la ‘retta di traferro’ (si riveda il paragrafo1.7.2.1).
Bm
Escursione del punto di
lavoro del magnete
B
Caratteristica del
magnete
Br
A
Hm
Hc
Effetto della reazione di indotto sul punto di lavoro del magnete
88
MACCHINE ELETTRICHE
Come visto nel paragrafo 2.8.2, quando il motore viene caricato, la reazione d’indotto tende a
modificare la distribuzione di campo sotto i poli di eccitazione. Quindi le diverse porzioni del
magnete affacciate al traferro vengono ad essere sottoposte ad una azione di magnetizzazionesmagnetizzazione. Il punto di lavoro del magnete nel piano Bm, Hm non è più unico, ma una
porzione del magnete tenderà a sovramagnetizzarsi per l’azione concorde della reazione
d’indotto (punto B della figura precedente) e l’altra porzione subirà, invece, una
smagnetizzazione per la corrispondente azione discorde della reazione d’indotto (punto A).
Quando il motore torna al suo funzionamento a vuoto e la reazione d’indotto scompare, la
porzione di magnete che aveva subito la smagnetizzazione non riesce a tornare esattamente
alle condizioni iniziali a causa dell’isteresi magnetica del materiale. Come schematizzato
nella figura precedente, la curva di ritorno del magnete per il punto A risulta più bassa della
curva di andata. Come conseguenza il flusso prodotto dal magnete permanente subisce
un’attenuazione definitiva. Nel gergo si dice che il motore si è “smagnetizzato”.
Solitamente i costruttori di motori sottopongono il magnete, montato sulla macchina, ad un
ciclo di stabilizzazione sottoponendolo a successive fasi di lavoro con correnti di armatura di
segno opposto.
Bm
B1
Ciclo minore di stabilizzazione
Caratteristica del
magnete
Br
A1
Punto di lavoro
stabilizzato
Hm
Hc
Stabilizzazione del magnete
In conseguenza di questa operazione il magnete non lavora più sulla sua caratteristica
originaria, ma su un ciclo di isteresi parziale (ciclo minore) leggermente più basso, come
illustrato in figura.
Pertanto, se si ha cura di mantenere l’impiego del motore con assorbimenti contenuti di
corrente, il magnete non subirà alcun degrado significativo delle sue prestazioni. Se invece la
corrente assorbita supera i limiti consentiti dal processo di stabilizzazione, l’effetto
smagnetizzante risulta permanente e il magnete recupererà solo una parte della sua induzione
al cessare dell’azione smagnetizzante. In questo caso il motore non sarà più in grado di
funzionare correttamente alla sua potenza di targa.
I costruttori forniscono il valore di corrente massima tollerabile dal motore da questo punto di
vista sotto la voce massima corrente prima della smagnetizzazione.
Poiché il ciclo minore di stabilizzazione del magnete è tipicamente poco pronunciato ed
approssimabile con un andamento di tipo rettilineo e il traferro equivalente (aria + magnete) è
molto alto, non si osservano i vistosi fenomeni di riduzione del flusso utile tipici del
funzionamento a carico dei motori con eccitazione elettrica. Per questo motivi nei motori a
magneti permanenti è possibile definire, indipendentemente dal carico e con una certa
precisione (tipicamente entro il 10%), un coefficiente di proporzionalità tra corrente
d’armatura e coppia (Costante di coppia, KT [N.m/A]) ovvero un coefficiente di
proporzionalità tra velocità e f.e.m. di armatura (Costante di f.e.m., KV [V.s/rad]).
89
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Le due costanti assumono rigorosamente lo stesso valore se descritte in un sistema coerente di
unità di misura e misurate nelle stesse condizioni operative del motore:
KV [V ⋅ s/rad ] ≡ K T [N ⋅ m/A]
Per rendere più robusti i motori contro i rischi di smagnetizzazione sono state proposte ed
adottate diverse soluzioni costruttive. Esse sono basate, in generale sull’allontanamento del
magnete dalla zona in cui si manifesta l’effetto distorcente della reazione d’indotto.
Nella figura seguente sono illustrate alcune di queste possibili disposizioni dei magneti.
Queste forme costruttive sono in grado di proteggere il magnete contro il rischio di
smagnetizzazione, ma consentono una più facile saturazione della dentatura di rotore ed una
maggiore variabilità della costante di coppia nel passaggio da vuoto a carico.
Magnete
Ferro
Reazione
d’indotto
Magnete
Reazione
d’indotto
Magnete
Possibili disposizioni dei magneti per migliorare la
robustezza alla smagnetizzazione
90
MACCHINE ELETTRICHE
2.9 – La commutazione
Le spazzole ed il collettore forniscono il mezzo
con cui addurre la corrente all’avvolgimento di
armatura. Durante il moto, le spazzole strisciano
± I/2
I/2
I/2
sulla superficie del collettore e mediante questo
contatto la corrente è commutata tra le diverse
lamelle agli istanti appropriati perché il motore
N
2
3
1
possa produrre la coppia richiesta.
Il termine commutazione indica l’inversione
della corrente nei conduttori dell’avvolgimento
I
di armatura quando la spira o la bobina, a cui
appartengono, viene messa in cortocircuito
Commutazione
attraverso il contatto simultaneo dei suoi
terminali con la spazzola (vedi figura).
Questo fenomeno è molto importante e costituisce un evento molto delicato nel
funzionamento della macchina in corrente continua. La sua ottimizzazione è molto spesso
affidata a soluzioni empiriche e basate sull’esperienza più che su valutazioni matematiche.
Lo studio matematico e sperimentale è infatti complicato dalla molteplicità dei fenomeni che
intervengono, dalla variabilità e, spesso, dalla aleatorietà dei parametri.
Tra i diversi fattori che influenzano il fenomeno si possono citare i seguenti:
Tipo di materiale della spazzola.
Tipo di materiale del collettore.
Pressione delle spazzole sulle lamelle.
Densità di corrente nella zona di contatto spazzola-lamella.
Condizioni ambientali come temperatura, umidità, etc.
Tuttavia, nel seguito, si cercherà di fornire una rappresentazione semplificata, ma utile a
definire le principali problematiche della commutazione e a giustificare le metodologie atte a
correggere gli eventuali difetti.
2.9.1 – La commutazione ideale o per resistenza
Si immagini che, durante il moto di rotazione della macchina, nella spira che commuta non
siano presenti f.e.m. indotte di alcun genere: né di natura rotazionale (Lorentz), né di natura
trasformatorica (Lenz). In questo caso il fenomeno ideale sarà regolato esclusivamente dalla
resistenza. Per la trattazione si assumeranno le seguenti ulteriori ipotesi semplificative:
La larghezza della spazzola è uguale alla larghezza di una lamella.
L’unica resistenza presa in considerazione è quella della spazzola.
Il regime di correnti nella restante parte dell’avvolgimento non è perturbato dalla
commutazione.
Riferendosi alla sequenza temporale illustra nella figura seguente, si indichi con T la durata di
una commutazione, cioè l’intervallo di tempo impiegato, nel moto di rotazione, dalla lamella
2 del collettore a sostituirsi alla lamella 1 sotto la spazzola. In questo intervallo di tempo la
corrente nella spira, che fa capo alle lamelle 1 e 2, si inverte di segno.
91
PROF. ANDREA CAVAGNINO
I/2
I/2
I/2
I/2
I/2
i
i1
N
1
2
N
3
1
S1
I
i2
2
I/2
N
3
I/2
1
I/2
3
2
S2
I
I
Sequenza di commutazione
In un certo istante t, compreso tra 0 e T , la spazzola tocca entrambe le lamelle 1 e 2. La
corrente I della spazzola, nelle ipotesi precedentemente descritte, si ripartisce tra le due
lamelle nelle quote i1, i2 proporzionali alle aree (S1,S2) di spazzola affacciata alle due lamelle.
Si può quindi scrivere la seguente relazione:
t 

i1 = I  1 − ;
T

i2 = I
t
T
(2.45)
La corrente i nella spira in commutazione vale:
i = i1 −
I
I
I
t 
= − i2 = 1 − 2 
T
2 2
2
(2.46)
In questo caso si parla di commutazione lineare, in quanto l’andamento delle correnti
coinvolte nella commutazione hanno un andamento lineare nel tempo, come indicato nella
figura a fianco.
1.00
Il valore delle correnti i1 ed i2 nelle
lamelle risultano in ogni istante
proporzionale alla sezione di contatto
0.75
i2
con la spazzola; pertanto la densità di
corrente sul contatto spazzola0.50
i
collettore rimane costante durante
i1
tutta la commutazione.
0.25
i1
i
I
= 2 = = cost.
S1 S 2 S
Quando la spazzola abbandona la
lamella, nello stesso istante si annulla
la corrente nella lamella.
Una commutazione, che avvenga
secondo questa regola, viene anche
detta commutazione completa.
0.00
S2
S1
-0.25
-0.50
0
0.2
0.4
0.6
0.8 t/T
1
Andamento delle correnti nella commutazione lineare
2.9.2 – La commutazione in presenza di fenomeni induttivi
Alcuni fenomeni intervengono a modificare le condizioni ideali di commutazione descritte nel
punto precedente; in generale si tratta di fenomeni di natura induttiva che tendono a
peggiorarne lo svolgimento.
Nella spira che commuta risultano infatti presenti due tipi di f.e.m. che tendono a ritardare
l’inversione della corrente i.
92
MACCHINE ELETTRICHE
Una prima f.e.m. è causata dall’induttanza della spira; questa f.e.m. risponde alla legge di
Lenz e si oppone alla variazione del flusso prodotto dalla corrente i e, come conseguenza, si
oppone a qualunque variazione della corrente stessa.
di
(2.47)
dt
Tale f.e.m. è detta tensione di reattanza.
Una seconda f.e.m. è, invece, causata dalla presenza di campo magnetico radiale nella zona di
commutazione. Tale campo magnetico è quello generato dalla reazione d’indotto nel piano
interpolare della macchina (cfr. paragrafo 2.8.2); esso produce a causa della rotazione una
f.e.m. nei conduttori che sono in fase di commutazione. Anche questa f.e.m., si oppone,
sempre e indipendentemente dalle condizioni di funzionamento della macchina, all’inversione
della corrente. Sulla base della legge di Lorentz, essa risulta proporzionale all’induzione e alla
velocità di rotazione:
EL = −L
ER = K R BRω
(2.48)
dove:
ω
è la velocità angolare del motore;
KR
è una costante che dipende dalla lunghezza complessiva dei conduttori in fase
di commutazione e dal raggio del rotore;
BR
è il valore di induzione magnetica prodotto dalla reazione d’indotto nella zona
di commutazione.
Questa f.e.m. è chiamata f.e.m. di reazione d’indotto,
L’influenza, che entrambe queste f.e.m. hanno sullo sviluppo della commutazione, consiste in
un’azione di ritardo, come illustrato qualitativamente nella seguente figura, in cui sono
riportati i tipici andamenti delle correnti i1, i2 ed i in presenza di questi fenomeni induttivi.
a)
i1
i2
J1
0 .2
0.4
b)
i1
0.6
0.8
i2
I/2
i
i1
i
0.0
I
S1
0
0.0
0 .2
0.4
0.6
0.8
1.0
Commutazione in presenza di f.e.m. indotte.
a) Commutazione completa
b) Commutazione incompleta.
A sinistra è illustrata l’esecuzione di una commutazione completa: all’istante finale T in cui la
spazzola abbandona la lamella 1, nonostante il ritardo introdotto dai fenomeni induttivi, la
corrente nella lamella 1 si annulla. A destra è presentato, invece, il caso di una commutazione
incompleta: l’effetto del ritardo è più pesante e fa sì che, quando la spazzola abbandona la
lamella 1, la corrente di lamella non si sia ancora annullata. In questo caso il transitorio
perdura oltre il tempo T e la corrente tra i due elementi che non sono più a contatto si
manifesta come arco elettrico.
93
PROF. ANDREA CAVAGNINO
La presenza di arco elettrico (scintille) in fase di commutazione crea un serio problema per il
corretto funzionamento della macchina a corrente continua, in quanto accelera l’usura di
spazzole e collettore, e, in casi estremi, può portare al cortocircuito tra le due spazzole di
polarità opposta attraverso la propagazione degli archi elettrici lungo tutto il collettore (flash
al collettore).
Nella figura precedente (a sinistra) è riportato l’andamento della densità di corrente (J1) nella
zona di contatto tra spazzola e lamella 1.
J1 =
i1
I
>
S1 S
(2.49)
Si osservi come l’effetto ritardante possa provocare un forte addensamento della corrente
nella zona di spazzola a contatto con la lamella che viene abbandonata. L’accrescimento della
densità della corrente provoca nella zona di contatto, oltre al surriscaldamento, anche un
aumento del campo elettrico (si ricordi la relazione E = ρJ che lega il campo elettrico E al
campo di corrente di densità J; dove ρ è la resistività del materiale). Se il campo elettrico
supera i limiti di rigidità del dielettrico circostante (aria) si ottiene l’innesco di un arco
elettrico tra spazzola e lamella ancor prima che il contatto reciproco sia cessato.
Dalla precedente discussione si evidenziano le seguenti considerazioni generali:
Innanzitutto, si sottolinea la notevole importanza assunta dalla resistenza delle
spazzole nel garantire una buona commutazione. Si verifica dall’esperienza che la
scelta di spazzole di maggiore resistività consente spesso di risolvere i problemi di una
cattiva commutazione. D’altra parte un’operazione di questo tipo porta
necessariamente a peggiorare le perdite del motore.
Un’operazione equivalente all’aumento della resistenza del contatto spazzola-lamella,
ai fini della commutazione, può consistere in una riduzione della induttanza della spira
in commutazione o in un aumento del tempo T di commutazione.
•
La riduzione dell’induttanza può essere ottenuta attraverso un opportuno disegno
della sezione delle cave (cave aperte); oppure attraverso l’adozione ( soprattutto
nel campo dei piccoli servomotori) di circuiti di indotto in aria (iron-less rotors)
•
L’aumento del tempo T di commutazione (ovviamente a pari velocità di
rotazione ) si ottiene dimensionando la spazzola in modo che sia estesa per più
di una lamella. Con questo si ha anche il vantaggio di ridurre la densità di
corrente nella spazzola. Se però la spazzola ricopre più di una lamella, la
commutazione non riguarda più una sola spira alla volta e la descrizione del
fenomeno di commutazione si complica ulteriormente. Infatti sulla spira in
commutazione vengono, in questo caso, ad agire oltre alla f.e.m. di auto
induttanza, anche le f.e.m. di mutua induttanza prodotte dalle altre spire vicine,
anch’esse in fase di commutazione. La tensione di reattanza che agisce su una
spira, risulta dalla somma di contributi sfasati nel tempo durante l’arco di
commutazione.
Una riduzione sensibile della densità di corrente al termine della commutazione e un
corrispondente miglioramento delle condizioni di commutazione possono essere
ottenuti attraverso l'iniezione, nella spira che commuta, di una f.e.m. atta a favorire
l’inversione della corrente. Questa operazione può essere attuata in modi diversi:
•
94
Attraverso la predisposizione di poli ausiliari o poli di commutazione. I poli
ausiliari vengono disposti con asse coincidente con l’asse interpolare della
macchina (vedi figura seguente); essi sono eccitati attraverso un avvolgimento
MACCHINE ELETTRICHE
Disposizione dei poli ausiliari in una macchina a quattro poli
percorso dalla stessa corrente di armatura, in modo da produrre, nella zona di
commutazione, un campo magnetico di verso e intensità tali da controbilanciare
le f.e.m. che contrastano la commutazione.
•
Attraverso uno spostamento delle spazzole rispetto alla zona neutra, in modo da
sfruttare le linee di campo prodotte dai poli principali per produrre la f.e.m.
desiderata. Lo spostamento utile delle spazzole deve purtroppo avvenire in
direzioni opposte secondo che la macchina funzioni da motore o da generatore:
- nella direzione di marcia nel funzionamento come generatore;
- in direzione opposta al senso di marcia nel funzionamento da motore.
Tale accorgimento non può essere utilizzato quando la macchina è prevista per
ruotare in entrambi i sensi di marcia.
A conclusione sull’argomento conviene sottolineare che il fenomeno della commutazione
limita in potenza le macchina a corrente in continua in quanto:
la commutazione peggiora all’aumentare della velocità di rotazione;
la commutazione peggiora all’aumentare della corrente di armatura (o della coppia
prodotta).
Nel piano Ia , ω , ( o equivalentemente
nel piano C , ω) per un motore ad
eccitazione fissa o a magneti
permanenti, i limiti di impiego imposti
dalla necessità di una buona
commutazione sono del tipo illustrato
nella figura a fianco.
C,Ia
Limiti di buona
commutazione
Zona di corretto
uso delle
caratteristiche
del motore
ω
Limiti di impiego del motore imposti dalla commutazione
95
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2. 10 – Applicazioni del motore a corrente continua
Occorre premettere che il motore in c.c. è un motore ‘delicato’ e non economico, se
raffrontato con i più robusti motori in c.a.. La presenza del commutatore (organo tipico ed
esclusivo di questo motore) e l’adduzione della corrente attraverso contatti striscianti possono
renderne problematico l’impiego in ambienti particolari (atmosfere umide, esplosive, etc.).
Pertanto i tradizionali settori di impiego del motore a corrente continua sono da correlare
esclusivamente alla preminente necessità di regolazione della velocità prevista
dall’applicazione. E’ proprio la semplicità di regolazione delle caratteristiche
elettromeccaniche di questo motore il motivo che ne ha favorito lo sviluppo e l’uso in molti
settori dell’ingegneria.
Va, per altro, osservato che oggi, grazie allo sviluppo e alla sempre maggiore affidabilità di
strutture di alimentazione in grado di variare la frequenza e l’ampiezza della tensione
alternata, molte delle funzioni di regolazione, esclusive di questo motore, sono diventate
patrimonio anche dei motori in corrente alternata. Si assiste oggi ad una lenta ma inesorabile
sostituzione del motore in c.c. con altri tipi di motori, che non presentano gli svantaggi
sopraccitati. E’ prevedibile che il motore in corrente continua non scomparirà del tutto dalle
applicazioni dell’ingegneria, ma sicuramente la sua diffusione è destinata a diminuire.
Nel seguito viene proposta una classificazione dei principali campi di impiego di questo
motore.
Parlando di motori in c.c. occorre distinguere fra alcune distinte tipologie, che sono da
correlare al tipo di applicazione e alla forma costruttiva del motore. Queste tipologie
rispondono alle seguenti denominazioni:
Servomotori
Micromotori e piccoli motori a magneti permanenti
Motori ad eccitazione separata
Sotto la voce servomotori sono compresi quei motori a magneti permanenti, generalmente di
potenza ridotta o frazionaria (101-103 watt), destinati ad essere alimentati (esclusivamente
sull’armatura) attraverso una sorgente di tensione regolabile. Il tipo di regolazione prevede,
come caratteristica comune, il controllo della coppia e della corrente.
Questi motori sono destinati ad assolvere compiti di posizionamento di organi meccanici e a
produrre ripetute e frequenti regolazioni di velocità. Spesso queste macchine vengono
indicate, nel gergo, col nome di ‘motori per assi’ (con chiaro riferimento agli assi di
movimentazione e posizionamento delle macchine utensili ).
Le problematiche su cui si basa la loro scelta sono inerenti alle fasi transitorie di
funzionamento tipiche del loro impiego: accelerazione, decelerazione, prontezza
nell’esecuzione dei comandi, regolarità di marcia etc. Il carico principale con cui sono caricati
è tipicamente un carico inerziale.
Sotto la voce micromotori e piccoli motori a magneti permanenti si possono riunire quei
motori destinati ad applicazioni di piccola potenza (10-1-102 watt) che non richiedono un
controllo molto sofisticato della velocità (ad esempio, motori per alzacristalli elettrici).
Sotto la voce motori ad eccitazione separata possono essere riunite tutte quelle macchine il
cui compito fondamentale è quello di produrre la coppia motrice e la potenza meccanica
necessarie ad espletare una lavorazione meccanica (motori per mandrini) o, più in generale,
quello di produrre la potenza meccanica primaria necessaria all’applicazione (motori per
trazione, sollevamento, etc.). Queste macchine sono tipicamente di potenza più elevata delle
precedenti (103-106 watt) e vengono dotate di un circuito di campo ad alimentazione separata.
Tipicamente è prevedibile, infatti, per questi motori l’opportunità di una doppia regolazione,
96
MACCHINE ELETTRICHE
sia della tensione di armatura, sia della tensione di eccitazione. Per questa classe di macchine
possono essere predisposti, in relazione alla potenza, gli avvolgimenti ausiliari discussi nei
capitoli precedenti: serie stabilizzatrice, avvolgimenti di compensazione, avvolgimenti per i
poli ausiliari o di commutazione.
Non saranno prese in considerazione le applicazioni, ormai obsolete, della macchina a
corrente continua come generatore elettrico. Va tuttavia ricordato che, anche parlando
esclusivamente di motori, il funzionamento come freno rigenerativo di questa macchina è
estremamente importante sia sotto l’aspetto energetico che sotto l’aspetto della dinamica.
2.10.1 – Riferimento normativi
Le Norme IEC definiscono diverse grandezze che possono essere specificate per identificare
le corrette condizioni di funzionamento dei motori in c.c.; tuttavia non tutte queste grandezze
vengono prese in considerazione nella caratterizzazione dei diversi tipi di motori. Pertanto,
per ciascuna tipologia di macchina saranno fornite e illustrate nel seguito le specifiche tipiche
presenti nei cataloghi dei costruttori. Da un punto di vista generale si possono ricordare le
seguenti definizioni.
Potenza nominale, (Pn) [W]
Potenza utile disponibile all’albero del motore. Questa potenza è quella al netto delle perdite
meccaniche e di ventilazione proprie del motore. Il valore di potenza nominale che il
costruttore assegna alla macchina deve essere riferito al tipo di servizio cui la macchina è
destinata. La potenza nominale è il prodotto della coppia nominale per la velocità nominale.
Tipo di servizio [Sx]
Le Norme prevedono 10 differenti tipologie di servizio per i motori elettrici in generale e per
il motore in c.c. in particolare. I tipi di servizio vengono identificati dalle sigle S1-…- S10. Nel
seguito vengono illustrati i tipi di servizio più frequenti:
Servizio S1 o servizio continuativo
Funzionamento a carico costante del motore per un
tempo superiore a quello necessario per raggiungere
il regime termico. E’ il tipo di servizio più frequente
per i motori elettrici e ad esso si fa riferimento in
mancanza di altre indicazioni.
Servizio S2 o servizio di durata limitata
Funzionamento del motore a carico costante per un
tempo prefissato, insufficiente a raggiungere la
temperatura di regime termico. Deve essere presente
una successiva fase di riposo del motore di durata
tale da riportare il motore alla temperatura ambiente.
All’indicazione S2 deve essere associata la durata
del servizio, ad esempio:
S2 60 min
Servizio S1
P carico
Pv
t
Θmax
Θambiente
Servizio S2
t
P carico
Pv
t
Θmax
Θambiente
t
97
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Servizio S3 o servizio intermittente
Sequenza di cicli operativi identici costituiti da fasi a
carico costante e da fasi di riposo. Si deve poter
ritenere ininfluente sulla sovratemperatura la fase di
avviamento. Si ricorda che la condizione di riposo si
ottiene con motore non alimentato.
All’indicazione S2 deve essere associato il fattore di
intermittenza, ad esempio, S3 25%
Servizio S3
P carico
Tciclo
Pv
t
Θmax
t
Tcarico
Triposo
Servizio S4 ed S5
Questi tipi di servizio sono identici al servizio S3, ma nei due casi non possono essere
trascurate, dal punto di vista termico, le fasi di avviamento (S4) e le fasi di frenatura elettrica
(S5). Accanto al rapporto di intermittenza occorre specificare i momenti di inerzia (JM) del
motore e del carico (Jext). Ad esempio: S5 25% JM = 0.15 kg.m2 Jext = 0.7 kg.m2.
Servizio S6 o servizio ininterrotto periodico con carico intermittente
Sequenza di cicli operativi identici costituiti da fasi
a carico costante e da fasi di funzionamento a vuoto.
Non esiste tempo di riposo. Nel funzionamento a
vuoto il motore assorbe ancora potenza elettrica, ma
in misura ridotta, e ridotte sono anche le perdite.
All’indicazione S6 deve essere associato il fattore di
intermittenza, ad esempio, S6 25%
Servizio S6
P carico
Tciclo
Pv
t
Θmax
t
Tcarico
Tvuoto
E’ da tenere presente che la durata di vita di un motore elettrico coincide con la durata di vita
del suo isolamento. I materiali isolanti infatti degradano le loro caratteristiche meccanicochimiche con il tempo e la temperatura di esercizio. Più alta è la temperatura cui è sottoposto
l’isolante, più veloci sono le reazioni chimiche di ossidazione che vedono coinvolte le sue
molecole, più rapidamente il materiale isolante perde elasticità, tende a diventare fragile e a
sgretolarsi, venendo meno al suo compito e provocando il corto circuito dei conduttori o la
perdita di isolamento verso massa.
Pertanto è opportuno che l’attribuzione della potenza nominale ad una particolare classe di
servizio coincida con un valore del carico costante (applicato secondo i modi previsti dal
servizio) che consente di contenere la sovratemperatura degli avvolgimenti entro i valori di
sicurezza previsti per il particolare tipo di isolante impiegato.
Le Norme IEC prescrivono che al sistema di isolamento, usato nelle macchine elettriche, si
debba assegnare una classificazione termica definita per mezzo di lettere. A ciascuna lettera
corrisponde uno specifico valore limite di sovratemperatura ammissibile.
Nella tabella seguente è riportato, a titolo puramente indicativo, uno stralcio delle prescrizioni
normative valide per gli avvolgimenti di armatura di motori in c.c.
Classificazione termica isolamento
CLASSE
SOVRATEMPERATURE [°C]
98
A
60
E
75
B
85
F
H
105 125
MACCHINE ELETTRICHE
Per i motori in corrente continua previsti per essere alimentati attraverso convertitori statici di
tensione esistono dati di targa specifici. Le sorgenti statiche di conversione quali i ponti a
diodi, ad SCR e i chopper producono una tensione continua ondulata o parzializzata come
illustrato in figura.
va
va
Ponte a diodi
va
Ponte a SCR
t
t
Chopper
t
Tipiche forme d’onda delle tensioni continue prodotte da sorgenti statiche di alimentazione.
Conseguentemente la corrente assorbita dal motore non è esattamente costante ma risulta
generalmente affetta da una ondulazione (ripple), che può aumentare la dissipazione di
potenza sulla resistenza dell’avvolgimento e può peggiorare le condizioni di commutazione
del motore.
I motori, per cui è previsto questo tipo di alimentazione, possono riportare, tra le indicazioni
di targa, i seguenti fattori di qualità richiesti alla sorgente.
Fattore di forma della corrente di armatura
Viene così definito il rapporto tra il massimo valore efficace ammissibile per la corrente di
armatura Irms,max,N e il suo valore medio IavgN.
K fN =
I rms, maxN
I avgN
Fattore di ondulazione della corrente di armatura
Rapporto tra l’ampiezza picco-picco dell’ondulazione di corrente tollerata e la corrente media
nominale della macchina.
I
− I min
qi = max
I avgN
I motori di potenza nominale superiore a 5 kW sono di norma previsti per funzionare con un
alimentatore statico specificato e, se il costruttore lo ritiene necessario, con una induttanza
aggiuntiva idonea a livellare l’ondulazione della corrente. In questo caso, tipo e caratteristiche
dell’alimentatore associato al motore devono comparire sulla targa del motore.
Per motori di potenza inferiore ai 5kW possono essere progettati senza riferimento ad uno
specifico convertitore e possono quindi essere impiegati, con o senza induttanza di
spianamento, con qualunque tipo di sorgente a condizione che il fattore di forma della
corrente sia contenuto entro il limite massimo KfN specificato. E’ in ogni caso raccomandato
che il fattore di ondulazione della corrente qi sia inferiore a 0.1.
99
PROF. ANDREA CAVAGNINO
2.10.2 – Servomotori in corrente continua
Si tratta di motori c.c. eccitati con magneti permanenti: le loro forme costruttive (nonché le
caratteristiche elettromeccaniche) sono fortemente condizionate dalla tipologia del magnete
adottato e dalla sua disposizione. L’impiego dei magneti, anziché di un avvolgimento di
eccitazione, consente costruzioni estremamente compatte e dotate di una migliore efficienza
energetica. Inoltre, poiché a questi motori vengono spesso richieste accelerazioni angolari
esasperate, è opportuno che il flusso utile sia il massimo possibile per poter esprimere la
massima coppia con correnti di armatura di valore contenuto e quindi con perdite Joule
ridotte. D’altra parte l’adozione di magneti permanenti comporta i noti rischi di
smagnetizzazione da parte della reazione d’indotto (cfr. paragrafo 2.8.2.2) e, pertanto, la
disposizione, la forma ed il materiale dei magneti devono essere idonei a ridurre questi rischi.
I magneti AlNiCo possiedono in generale una buona induzione residua, ma il loro campo
coercitivo è modesto; per evitare smagnetizzazione la loro forma deve risultare allungata.
Le ferriti hanno generalmente bassi valori di induzione residua, ma campi coercitivi
relativamente alti. Sono magneti stabili e a basso rischio di smagnetizzazione, ma, per poter
produrre un flusso utile adeguato, devono essere estesi nel senso trasversale.
I magneti alle terre rare (Samario-Cobalto e Neodimio-Ferro-Boro) sono magneti che
uniscono ad elevati valori di induzione residua, alti valori di campo coercitivo. Da questo
punto di vista sono i materiali migliori, ma il loro costo ne limita l’impiego.
2.10.2.1 – Caratteristiche dei servomotori
Nei dati forniti a catalogo dai costruttori di servomotori vengono tipicamente indicate diverse
grandezze atte a caratterizzare il prodotto e a facilitarne la scelta. Purtroppo, non esiste una
normativa che sia in grado di unificare il significato e i metodi di misura da adottare per la
valutazione di questi dati. E’ quindi utile porre molta attenzione nel confronto tra motori di
produttori diversi.
Nel seguito viene illustrato il significato delle grandezze più ricorrenti che caratterizzano un
servomotore.
Tensione nominale di alimentazione, [V]
Tensione nominale applicata al motore alla quale vengono riferite tutte le caratteristiche.
Coppia continuativa, [Nm]
La coppia continuativa è quella che il motore può sviluppare indefinitamente senza eccedere i
limiti termici specificati per l’avvolgimento. I limiti termici sono, di regola, relativi ad una
vita media di 20.000 h dell’isolamento. Il valore di coppia continuativa è anche basato sulle
condizioni ambientali di temperatura e sulle modalità di asportazione del calore prodotto dal
motore. Alcuni costruttori forniscono un diagramma della coppia continuativa in funzione
della velocità di rotazione, infatti le sovratemperature raggiunte dal motore a parità di coppia
prodotta possono essere influenzate alle basse velocità da una minore autoventilazione ed alle
alte velocità da un aumento delle perdite nel ferro.
La coppia continuativa corrisponde alla coppia nominale del motore per servizio S1. Nel caso
di impiego del motore in un servizio periodico intermittente, occorre confrontare con questo
valore la coppia efficace del ciclo di servizio e cioè la media quadratica della coppia del
carico nel ciclo. Alle volte la coppia continuativa è definita in condizioni di rotore bloccato: in
questo caso si parla di coppia continuativa allo stallo.
Corrente continuativa o corrente nominale, [A]
E’ il valore di corrente richiesto dal motore per sviluppare la coppia continuativa.
100
MACCHINE ELETTRICHE
Potenza nominale, [W]
E’ la potenza meccanica massima sviluppabile all’albero del motore in condizioni
continuative.
Coppia di picco o coppia massima, [Nm]
La coppia di picco di un servomotore è la massima coppia che il motore può erogare in corrette
condizioni di impiego per un tempo sufficientemente breve da impedire il surriscaldamento del
motore.
Purtroppo il concetto di corrette condizioni di funzionamento può essere basato su diversi
fattori. Il più comune di questi è il limite massimo imposto alla corrente per prevenire la
smagnetizzazione del motore. Un limite meno drastico per la coppia di picco può essere
basato sul valore di coppia che (ad esempio a causa della saturazione magnetica) fa uscire
dalla linearità per oltre il 10% la relazione coppia-corrente del motore. In alcuni casi il limite
di coppia massima viene fatto dipendere dal tempo. In altri casi viene considerata come
coppia massima quella erogabile dal motore in condizioni di rotore bloccato.
A causa di questa diversità di definizioni è importante valutare approfonditamente il
significato del valore numerico riportato a catalogo.
Corrente di picco, [A]
E’ il valore di corrente che il motore assorbe per sviluppare la coppia di picco
Velocità a vuoto o velocità massima, [rad/s]
Massima velocità raggiungibile a vuoto alla tensione nominale. Alcuni costruttori definiscono
invece come velocità massima del motore quella alla tensione nominale e a carico nominale.
Coefficiente di attrito viscoso, (Fi) [Nm.s/rad]
Sotto questa voce è riportato il rapporto tra la quota di coppia resistente interna il cui valore è
circa proporzionale alla velocità di rotazione e la stessa velocità. Tipicamente questo
coefficiente è imputabile alle perdite per correnti parassite nel ferro di rotore.
Coppia di attrito statico, (Cf) [Nm]
E’ la coppia risultante dagli attriti dovuti alle spazzole, ai cuscinetti e alle perdite per isteresi
del ferro rotorico. Questa coppia è ragionevolmente indipendente dalla velocità.
Corrente a vuoto, [A]
Assorbimento di corrente del motore in assenza di carico alla tensione nominale. Questo valore
dipende dall’insieme delle coppie di attrito statico e viscoso ed è, pertanto, fortemente
influenzato dalle condizioni di lubrificazione, dalla temperatura e dal tipo e pressione delle
spazzole e dalla velocità di rotazione.
Esso fornisce indirettamente la coppia di attrito C0 del motore alla velocità massima:
C 0 = Fi ⋅ ω0 + C f = K T ⋅ I a 0
Costante di coppia, (KT) [Nm/A]
E’ il rapporto costante tra coppia sviluppata e la corrente corrispondentemente assorbita. Dal
punto di vista teorico la coppia di cui si tratta dovrebbe essere quella interna al motore, ancora
al lordo della coppia di attrito. Pertanto la coppia utile del motore dovrebbe essere valutabile
secondo la relazione seguente:
C u = K T ⋅ (I a − I a 0 )
In realtà, molto spesso la costante di coppia viene determinata come rapporto tra coppia utile
e corrente di armatura, confidando nel ridotto valore degli attriti.
101
PROF. ANDREA CAVAGNINO
La costante di coppia decresce con la temperatura: infatti, il flusso utile prodotto dai magneti
diminuisce con la temperatura in ragione di 0.01-0.2% per grado.
La costante di coppia decresce anche con il valore di corrente di armatura in misura maggiore
o minore in relazione alla struttura del motore ed alla qualità dei magneti. Tipicamente la
diminuzione è contenuta entro un campo del 10%.
Costante di f.e.m., (KE) [V.s/rad]
Rapporto tra la f.e.m. sviluppata dall’armatura e la velocità di rotazione. I valori di KT e KE
sono coincidenti se le unità di misura appartengono ad un sistema coerente e se la misura
viene eseguita nelle stesse condizioni operative del motore.
Costante del motore, (Km) [Nm/W0.5]
La costante del motore è definita come rapporto tra la coppia di picco e la radice quadrata
delle corrispondenti perdite di armatura:
T pk
Km =
Ra I 2pk
Questo rapporto indica la capacità del motore di produrre coppia a fronte delle perdite. La sua
indicazione compare frequentemente nella caratterizzazione dei servomotori che sono
destinati a funzionare a velocità nulla, o che devono essere accoppiati senza riduttori
intermedi al carico (Servomotori di coppia).
Resistenza di armatura, [Ω]
Resistenza misurata ai terminali di armatura (spazzole comprese). Questo valore dipende dalla
temperatura.
Induttanza di armatura, [H]
Induttanza presentata dall’avvolgimento di armatura.
Inerzia di rotore, (Jr) [kg.m2]
Momento d’inerzia del rotore.
Costante di tempo elettrica, [s]
Questa grandezza è di derivazione matematica dalle altre grandezze di targa:
La
Ra
τe =
Costante di tempo meccanica, [s]
Anche questa grandezza è di derivazione matematica dalle altre grandezze di targa:
τm =
Ra ⋅ J r
KT ⋅ K E
Accelerazione angolare, [rad/s2]
Massima accelerazione angolare realizzabile dal motore nel funzionamento senza carico. E’
generalmente una grandezza derivata dalla seguente relazione:
α=
102
Tmax
Jr
MACCHINE ELETTRICHE
Resistenza termica, (Rth) [°C/W]
E’ la resistenza che si oppone al flusso di calore dal motore all’ambiente esterno. Consente di
calcolare la sovratemperatura raggiunta, in condizione di regime termico, dall’avvolgimento
di armatura rispetto all’ambiente.
∆θ = Rth ⋅ Ra I a2
Costante di tempo termica, (τth) [s]
Costante di tempo che regola il transitorio termico del 1° ordine del motore:
(
∆θ (t ) = Rth ⋅ Ra I a2 ⋅ 1 − e −t / τ th
)
E’ utilizzabile per stimare le sovratemperature raggiunte dall’armatura in condizioni di carico
intermittenti o transitorie.
Massima temperatura di rotore, [°C]
Valore massimo della temperatura sopportabile dal motore. Tale limite è correlato alla vita
dell’isolamento e/o alla stabilità dei magneti.
103
Capitolo
3
IL TRASFORMATORE
3.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
Il trasformatore è una macchina elettrica statica, priva cioè di elementi rotanti, che trasforma
la potenza elettrica in corrente alternata, alterando i valori di tensione e di corrente con cui
essa viene erogata. Come verrà meglio chiarito in seguito, il principio di funzionamento del
trasformatore si basa sulla legge dell’induzione elettromagnetica (legge di Lenz) tra circuiti
mutuamente accoppiati. Ne consegue che il trasformatore non può funzionare con
alimentazioni in corrente continua, ma necessita di alimentazioni variabili nel tempo.
Pur non convertendo l’energia elettrica in energia meccanica, come avviene per le macchine
elettriche rotanti, esso riveste un ruolo essenziale nell’ambito elettrico. Grazie alle sue
prerogative è infatti possibile produrre, trasportare e distribuire l’energia elettrica ai valori di
tensione più convenienti dal punto di vista tecnico ed economico. Tipicamente, infatti, il
trasformatore permette la possibilità di generare l'energia elettrica alla tensione più economica
per i generatori (indicativamente 10 kV), di trasmetterla alla tensione più economica per i
sistemi di trasmissione (230 - 400 kV) e di utilizzarla alla tensione più adatta per i dispositivi
utilizzatori (230-400 V).
Le applicazioni del trasformatore sono tuttavia ben più ampie di quelle che riguardano
strettamente l’aspetto energetico. Il trasformatore può, di caso in caso, svolgere ruoli diversi:
isolamento galvanico fra due circuiti, adattamento di impedenze, misurazione di tensioni e
correnti, etc.
Esso è realizzato da due parti fondamentali:
il nucleo magnetico;
gli avvolgimenti.
Il nucleo ha il compito di ottimizzare l’accoppiamento magnetico tra gli avvolgimenti, come
indicato in figura.
Schema di principio del trasformatore monofase
105
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Se si alimenta uno dei due avvolgimenti (primario) con una tensione alternata, nel nucleo
nasce un flusso magnetico alternato la cui ampiezza dipende dalla tensione di alimentazione,
dalla frequenza e dal numero di spire dell’avvolgimento. Grazie all’azione del nucleo, questo
flusso si concatena quasi per intero con il secondo avvolgimento (secondario) e induce in esso
una f.e.m. la cui ampiezza dipende dal numero di spire secondarie e dalla frequenza.
Scegliendo opportunamente i numeri di spire primarie e secondarie è possibile variare il
valore del rapporto tra la tensione di alimentazione primaria e la tensione indotta secondaria.
Il nucleo del trasformatore è normalmente costruito con materiale magnetico ad alta
permeabilità. Questo consente di ottenere un buon accoppiamento magnetico tra i due circuiti
e allo stesso tempo consente di contenere il valore della corrente assorbita a primario per
produrre il flusso necessario.
Trasformatori in aria (ovvero senza nucleo ferromagnetico) possono trovare applicazione in
circuiti di piccola potenza e comunque solo in corrispondenza a frequenze di alimentazione
molto alte.
3.1.1 – Il nucleo per trasformatori monofasi
Il nucleo del trasformatore viene realizzato in forma laminata al fine di ridurre le perdite per
correnti parassite che sono generate dall’alternanza del flusso. Vengono di regola impiegati
lamierini al silicio i cui spessori possono variare da 0.28 mm a 0.5 mm. I valori più bassi sono
usati nelle macchine di più grande dimensione. Tipicamente si usano lamierini a cristalli
orientati, in quanto la direzione dei flusso nelle varie parti del nucleo è ben determinata.
Per la realizzazione di piccoli trasformatori monofase sono generalmente disponibili sul
mercato tranciati sagomati a C, ad E, ad U ed a I attraverso i quali è possibile comporre la
forma desiderata del nucleo magnetico (vedi figura a, b, c). Per piccoli trasformatori
alimentati in alta frequenza si utilizzano nuclei stampati realizzati in ferriti dolci. Nelle
macchine più grandi i lamierini sono tranciati in forma rettangolare nelle dimensioni
desiderate (Figura d).
Nella struttura si distinguono colonne e gioghi. Le colonne sono le parti a sviluppo
generalmente verticale attorno alle quali vengono avvolte le bobine. I gioghi costituiscono la
richiusura del circuito magnetico tra le colonne.
a)
b)
c)
d)
Nuclei tipici per trasformatori monofase.
a) Nucleo a mantello realizzato con tranciati ad E
b) Nucleo ad O realizzato con tranciati a C
c) Nucleo realizzato con lamierini U,I
d) Nucleo assemblato con lamierini rettangolari
Nelle macchine di minore potenza, la sezione delle colonne e dei gioghi è di forma quadrata, e
le bobine primarie e secondarie sono avvolte, generalmente sovrapposte una all’altra sulla
stessa colonna, seguendo la forma della sezione, come illustrato nella figura seguente. Nelle
macchine di potenza maggiore, le bobine vengono sagomate in forma cilindrica a sezione
circolare (principalmente per problemi di piegatura dei conduttori che possono assumere
106
MACCHINE ELETTRICHE
dimensioni rilevanti). In tal caso, per ottenere una migliore utilizzazione degli spazi le sezioni
delle colonne vengono ad assumere tipiche forme a gradinata. In macchine di grande potenza,
le sezioni in ferro delle colonne possono essere interrotte da canali di raffreddamento per
agevolare lo smaltimento del calore dovuto alle perdite nel ferro. Nella figura seguente si
osservi la laminazione della sezione. Ovviamente, tra le bobine ed il nucleo si inseriscono dei
cartocci isolanti. Generalmente, per macchine di media e grossa potenza, la gradinata
realizzata per le colonne viene replicata anche nei gioghi.
A.
C.
B.
Tipi di sezioni delle colonne dei trasformatori.
A) sezione quadrata
B) sezione a gradini
C) sezione a gradini con canali di raffreddamento
Un problema importante, nella realizzazione della struttura magnetica del trasformatore, è
costituito dalla necessità di ridurre i tratti in aria nelle zone di congiunzione tra colonne e
gioghi. Tali tratti, detti traferri, portano ad un incremento della f.m.m. necessaria ad
magnetizzare il trasformatore in condizioni di flusso nominale e di conseguenza portano ad un
incremento della corrente a vuoto della macchina.
Si possono prevedere diverse soluzioni costruttive in relazione all’importanza della macchina.
andamento
linee di
delle
campo
possibile percorso delle
correnti parassite
b)
a)
Tipi di giunti tra colonne e gioghi
a) Giunti sovrapposti
b) Giunti intrecciati
Costruzione a giunti sovrapposti o piallati
In questo caso i gioghi vengono sovrapposti alle colonne
con la semplice interposizione di un sottile strato
isolante. Lo strato isolante si rende necessario per evitare
la formazione di grosse maglie in cortocircuito nella
zona di giunzione come illustrato nella figura precedente.
Queste maglie originate da un non perfetto allineamento
107
PROF. ANDREA CAVAGNINO
delle lamiere del giogo con quelle della colonna, favoriscono la circolazione di intense
correnti parassite con conseguenti anomali effetti termici localizzati.
Costruzione a giunti intrecciati
Per ridurre il traferro che consegue alla
costruzione a giunti sovrapposti, si può usare
una tecnica di formazione dei giunti basata
sull’intreccio di lamierini di colonna e di
giogo, come indicato in figura. In tal caso il
passaggio del flusso da colonna a giogo è
facilitato dalla possibilità di percorsi
trasversali tra lamierini. Il traferro equivalente della connessione si riduce sensibilmente
rispetto al caso precedente, ma possono nascere perdite maggiori per correnti parassite
connesse con la componente trasversale dell’induzione magnetica nelle zone di passaggio del
flusso tra lamierini contigui.
Costruzione a giunti inclinati
Questa soluzione costruttiva è adottata quando si usino lamiere a
grani orientati. In questo caso, al fine di sfruttare la maggiore
permeabilità magnetica del materiale e le minori perdite che esso
presenta secondo l’asse di laminazione, i lamierini di gioghi e
colonne terminano con un taglio a 45° in modo da ridurre al
minimo le componenti dell’induzione nella direzione trasversale al
verso di laminazione. Per la realizzazione di giunti inclinati di tipo
intrecciato sono possibili anche soluzioni con tagli a 30 e 60 gradi.
B
Principio dei di giunti inclinati a 45°
direzioni di
laminazione
3.1.2 – Le bobine
Gli avvolgimenti vengono realizzate in bobine, generalmente di forma cilindrica quando
vengono avvolte con una bobinatrice. Gli avvolgimenti primari e secondari di un
trasformatore vengono normalmente disposti sulla stessa colonna, al fine di ridurre i flussi
dispersi. Essi possono essere realizzati in modi diversi.
Avvolgimento a bobine concentriche
Le due bobine sono realizzate in forma di due strati cilindrici concentrici, separati da uno strato
isolante e da un canale di raffreddamento, come indicato nella figura a) seguente. Normalmente
l’avvolgimento ad alta tensione risulta esterno, per consentire un migliore coordinamento
dell’isolamento tra gli avvolgimenti e rispetto al nucleo.
Questa soluzione si applica a quei casi in cui lo sviluppo della colonna è verticale. In tal modo
la posizione verticale, assunta dal canale di raffreddamento, agevola i moti convettivi del
fluido refrigerante (ad esempio, aria, gas od olio).
108
MACCHINE ELETTRICHE
a)
b)
c)
Disposizione degli avvolgimenti primari e secondari
a) Bobine concentriche
b) Bobine concentriche intercalate
c) Bobine discoidali intercalate
Per diminuire ulteriormente i flussi dispersi tra gli avvolgimenti primari e secondari, la bobina
a bassa tensione può essere realizzata in due parti ed intercalata a questa viene inserita la
bobina ad alta tensione (figura b).
Avvolgimento a bobine discoidali
Questa soluzione prevede un frazionamento dell’avvolgimento primario e secondario in più
bobine di piccola altezza e di sviluppo prevalentemente radiale (figura c).
Bobine primarie e secondarie sono alternate con interposizione di strati isolanti lungo la
colonna. La disposizione intercalata consente di migliorare l’accoppiamento dei due
avvolgimenti. Tale tecnica costruttiva viene utilizzata, in particolare, dove le colonne del
trasformatore hanno sviluppo orizzontale; in questo modo gli spazi tra le bobine consentono
una migliore circolazione ai moti convettivi del fluido refrigerante.
3.1.3 – Il nucleo per trasformatori trifasi
Il trasferimento di energia elettrica tra due reti trifasi a tensione diversa può essere eseguita
impiegando tre trasformatori monofasi identici e connettendo opportunamente i primari ed i
secondari al fine di realizzare un sistema trifase. Ad esempio, la figura seguente schematizza
tre trasformatori monofasi con primari collegati a triangolo. L’utilizzo di tre unità monofasi
comporta dei vantaggi in termini di continuità di servizio e di maggiore facilità di trasporto
nel caso di potenze molto elevate. Esiste però lo svantaggio di usare una grande quantità di
materiale per la realizzazione del circuito magnetico.
Esempio di realizzazione di un trasformatore trifase con tre unità monofasi.
109
PROF. ANDREA CAVAGNINO
In realtà, nel caso di trasformatori trifase, è possibile realizzare un unico nucleo magnetico
capace di alloggiare sulle sue colonne sia il sistema trifase primario sia quello secondario.
Sono possibili diverse soluzioni.
Nucleo a tre colonne
Si immagini di “collegare a stella” i tre nuclei monofasi indicati in precedenza (figura a)
seguente). La somma dei tre flussi nella colonna centrale, nel caso comune di un sistema di
alimentazione trifase simmetrico, è nulla. Ne consegue che tale colonna può essere eliminata
(figura b). Successivamente la struttura si può poi semplificare, a scapito della perfetta
simmetria magnetica, eliminando i gioghi di una colonna e rendendo il nucleo complanare
(figura c).
⇒
⇒
a)
b)
c)
Sintesi del nucleo trifase a tre colonne a partire da tre nuclei monofasi
Il nucleo a tre colonne è quello più utilizzato in ambito delle applicazioni industriali. Si noti
che su ciascuna colonna viene avvolta una fase del sistema primario ed una fase del sistema
trifase secondario.
Nucleo a cinque colonne
Se si immagina, invece, di “collegare a triangolo” i tre nuclei monofase (figura seguente),
essendo il flusso nei gioghi pari a 1 3 quello nelle colonne, si può ridurre la sezione e quindi
l'altezza dei gioghi. Se si taglia uno dei tre gioghi ed, una volta disposta la struttura su di un
piano, si richiude ai due estremi il giogo tagliato, si ottiene un nucleo planare a cinque
colonne (figura b). Ovviamente, rispetto alla struttura di partenza, si deve mettere in conto
una modesta perdita di simmetria del circuito magnetico. Il nucleo a cinque colonne, rispetto a
quello a tre colonne, presenta una minore altezza dei gioghi. Ciò comporta, nel caso di
trasformatori di grossa potenza, un vantaggio dal punto di vista del trasporto.
Nella costruzione a 5 colonne solo le colonne centrali sono destinate alle bobine; quelle
laterali servono come vie di richiusura per il flusso.
⇒
a)
b)
Sintesi del nucleo trifase a cinque colonne a partire da tre nuclei monofasi
110
MACCHINE ELETTRICHE
Nucleo a mantello o corazzato
In figura è schematizzata la struttura di un nucleo trifase a
mantello. Tale nucleo può essere pensato come l’unione di
tre nuclei monofasi a mantello. Anche questa soluzione
comporta il contenimento dell’altezza dell’unità trifase. Nel
nucleo a mantello le bobine di fase sono disposte con asse
orizzontale sulla colonna centrale.
Nucleo a mantello trifase.
Osservazione
Indipendentemente dal tipo di soluzione adottata per la costruzione del nucleo, gli
avvolgimenti trifasi primari e secondari possono essere collegati a stella, a triangolo o a zigzag, come illustrato nella figura seguente. I trasformatori di grossa potenza hanno
generalmente il lato ad alta tensione connesso a stella (Y) e quello a bassa tensione a triangolo
(d). I trasformatori di distribuzione che devono alimentare anche carichi monofasi presentano
invece una configurazione opposta, in modo che il neutro sia disponibile nel lato bassa
tensione.
Esempio di collegamento delle bobine primarie e secondarie
111
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.1.4 – Esempi di trasformatori e particolari costruttivi
Trasformatori monofasi di piccola potenza
Realizzazione con nucleo toroidale (a sinistra), con nucleo a mantello (a destra)
Assemblaggio di un trasformatore monofase a colonne
Dettaglio della bobina primaria e secondaria (a sinistra)
Realizzazione del giogo superiore dopo l’inserzione delle bobine (a destra)
Trasformatori trifasi a tre colonne di piccola potenza
Dettaglio delle bobine e della sezione delle colonne, con giogo superiore rimosso (a sinistra)
Esempio di trasformatore isolato a secco (a destra)
112
MACCHINE ELETTRICHE
Esempio di sezione a gradinata di una colonna
Trasformatore trifase MT/BT da distribuzione (connessioni: ∆y)
Bobine MT impregnate in resina
113
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Trasformatori da distribuzione MT/BT
Isolamento a secco (a sinistra)
A bagno d’olio (a destra)
Esempio di trasformatore di grande potenza MT/AT
114
MACCHINE ELETTRICHE
3.2 – Trasformatore ideale e principio di funzionamento
Dal punto di vista didattico risulta conveniente analizzare il principio di funzionamento del
trasformatore considerando inizialmente il trasformatore ideale. Il trasformatore ideale gode
delle seguenti proprietà.
Assenza di perdite Joule negli avvolgimenti primari e secondari, ovverro la
resistenza ohmica delle bobine è nulla.
Assenza di perdite nel ferro, ovvero la resistività elettrica del lamierino
magnetico costituente il nucleo è infinita ed il ciclo di isteresi del materiale ha
area nulla.
Riluttanza principale del nucleo magnetico nulla, ovvero la permeabilità
magnetica dei lamierini è infinita. Tale condizione implica che il flusso
magnetico generato dagli avvolgimenti è confinato solo nel circuito magnetico
(flusso principale) e sono assenti flussi dispersi dalle singole bobine.
Riferendosi al caso monofase, la struttutura del trasformatore ideale ed il relativo simbolo da
utilizzare nei circuiti elettrici è riportato nella figura seguente.
i1
v1
i2
e1
e2
v2
Struttura del trasformatore monofase ideale (sopra) e simbolo elettrotecnico corrispondente (sotto).
Si osservi che nello studio si adotterà la convenzione di segno degli utilizzatori al primario e
quella dei generatori al secondario. Questa scelta non è l’unica possibile, ma risulta intuitiva
osservando che il trasformatore costituisce un carico per la rete di alimentazione a monte,
mentre si può considerare un generatore per la rete connessa al secondario.
Si applichi una tensione v1(t) al primario. Grazie alle ipotesi indicate, nel nucleo magnetico si
avrà un flusso principale ΦP e la forza elettromotrice indotta nella bobina primaria
controbilancerà esattamente la tensione imposta. Analogamente a secondario la tensione ai
morsetti (v2) sarà pari alla f.e.m. e2. Si può quindi scrivere:
v1 = e1 = +
dΦ p
dλ1
= + N1 ⋅
dt
dt
(3.1)
115
PROF. ANDREA CAVAGNINO
e2 = −
dλ 2
dΦ P
= −N2 ⋅
= v2
dt
dt
(3.2)
Le relazioni precedenti sono vere anche quando il trasformatore ideale non eroga corrente al
secondario, cioe’ durante il suo funzionamento a vuoto.
Riferendosi al caso comune di alimentazione sinusoidale a frequenza f è possibile utilizzare i
fasori per scrivere le equazioni. Assumento arbitrariamente il flusso principale con fase nulla
all’istante t = 0, si può scrivere:
)
)
Φ P = Φ P ⋅ sen(ωt )
⇒ Φ P = Φ P ∠0
)
dove Φ P rappresenta l’ampiezza massima della sinusoide (ampiezze del fasore) di flusso
principale. Ne consegue che le tensioni efficaci indotte sulle bobine diventano:
)
)
)
2π ⋅ f
⋅ N1 ⋅ Φ P = + j
⋅ N1 ⋅ Φ P = + j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N1 ⋅ Φ P
2
2
)
)
)
jω
2π ⋅ f
E2 = −
⋅ N 2 ⋅ ΦP = − j
⋅ N 2 ⋅ Φ P = − j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N 2 ⋅ Φ P
2
2
E1 = +
jω
(3.3)
(3.4)
Nelle equazioni precedenti si tiene conto che i moduli dei fasori rappresentativi di grandezze
elettriche sono i valori efficaci delle stesse, mentre per le grandezze magnetiche si usa il
valore massimo.
È possibile osservare che il rapporto tra i moduli delle f.e.m. indotte vale:
V
E1 N1
=
=t = 1
V2
E2 N 2
(3.5)
dove t è il rapporto spire o di trasformazione del trasformatore monofase. Come sarà chiarito
meglio in seguito, l’ultima uguaglianza nella (3.5) è rigorosa solo nel caso di trasformatore
monofase.
Considerando il funzionamento a carico (interruttore chiuso nella figura della pagina
precedente) si può scrivere la legge della circuitazione magnetica alla linea media
dell’elettromagnete (si osservino il verso con cui sono avvolte le bobine nella figura indicata).
N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P = 0 ⇒ I1 = −
N2
⋅ I2
N1
(3.6)
dove ℜP ,riluttanza del nucleo, è nulla per ipotesi. Si osservi che la relazione (3.6) vale sia in
temini di grandezze istantanee che in termini di fasori.
Ne consegue che anche i moduli delle correnti primaria e secondaria sono legate dal rapporto
spire.
I1 N 2 1
=
=
I 2 N1 t
(3.7)
Utilizzando il rapporto di trasformazione di tensione (3.5) e quello in corrente (3,7), si ottiene
l’uguaglianza tra la potenza apparente assorbita ed erogata dal trasformatore.
E1 ⋅ I1 = E 2 ⋅ I 2
(3.8)
Dalla (3.8) si intuisce immediatamente la modalità secondo cui la potenza elettrica, che
transita attraverso la macchina, viene alterata nei suoi due fattori principali, la tensione e la
116
MACCHINE ELETTRICHE
corrente in modo inversamente proporzionale. Dove si hanno alte tensioni si hanno basse
correnti e viceversa.
Poiché il trasformatore ideale al suo interno
non dissipa alcuna potenza attiva (macchina a
rendimento unitario) ed non impegna nessuna
potenza reattiva, si ha l’immediata uguaglianza
del triangolo delle potenze ai morsetti primari
e secondari.
V1 = E1 = +j 4.44 N1 f ΦP
Nella figura a fianco è riportato il diagramma
vettoriale a carico del trasformatore ideale,
nell’ipotesi di un trasformatore abbassatore (t
= N1 / N2 >1). Si ricorda che lo sfasamento tra
tensione e corrente secondaria è imposto
dall’argomento dell’impedenza di carico (ϕ2).
Ovviamente, per tracciare il diagramma
vettoriale a vuoto (nessun carico al secondario)
basta cancellare i due fasori delle correnti.
ϕ2
I1 = -N1 / N2 I2
ΦP
ϕ2
V2 = E2 = -j 4.44 N2 f ΦP
I2
Diagramma vettoriale a carico
del trasformatore ideale
3.3 – Trasformatore reale e circuito equivalente
Lo studio del trasformatore reale viene introdotto eliminando una alla volta le condizioni di
idealità indicate al paragrafo precedente.
Riluttanza principale del nucleo magnetico non nulla – Concetto di corrente magnetizzante
del trasformatore.
Il nucleo magnetico di un trasformatore presenta una riluttanza magnetica non nulla. Ciò
significa che per sostenere il flusso magnetico principale nel nucleo si deve impegnare una
forza magnemotrice. Riconsiderando lo schema dell’elettromagnete, si puo scrivere:
N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P > 0
È prassi comune associare le amperspire
necessarie per magnetizzare il nucleo al solo
avvolgimento primario grazie alla definizione
( ℜP )
della corrente magnetizzante Im. In altre
parole la corrente magnetizzante primaria ha
il compito esclusivo di produrre il flusso principale di macchina.
La relazione precedente permette di definire la corrente di magnetizzazione nel seguente
modo:
N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P = N1 ⋅ I m
I m = I1 +

 N
N2
⋅ I 2 = I1 −  − 2 ⋅ I 2  = I1 − I 2'
N1

 N1
(3.9)
(3.10)
117
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Nella relazione (3.9) la corrente I2’ = - (N2 / N1) I2 è interpretabile come la corrente secondaria
riportata al lato primario del trasformatore.
Durante il funzionamento a vuoto della macchina la corrente erogata al secondario è nulla; ne
consegue che il primario assorbirà una corrente pari alla corrente magnetizzante.
Si noti che la corrente magnetizzante è di piccola entità rispetto alle correnti primaria e
secondaria di normale utilizzo del trasformatore. Infatti, essendo il nucleo realizzato in
materiale ferromagnetico con traferri dovuti a giunti di piccola entità, la riluttanza principale
risulta essere molto piccola. Quindi, per sostenere il flusso principale servono poche
amperspire ed una corrente percentualmente piccola (pochi percento delle correnti nominali).
Dalla (3.10) si può ricavare il flusso principale, ottenedo:
ΦP =
N1 ⋅ I m
ℜP
(3.11)
Sostituendo la (3.11) nella equazione della forza elettromotrice primaria (3.3) si ottiene, in
termini di valori efficaci:
N12
E1 = + j ⋅ 2 ⋅ π ⋅ f ⋅
⋅ I m = + j ⋅ ω ⋅ Lm ⋅ I m
ℜP
(3.12)
La (3.12) indica che la corrente magnetizzante, fluendo nella reattanza di magnetizzazione
Xm = ω Lm, da luogo ad una caduta pari ad E1.
Sulla base di quanto finora indicato, gli effetti di un nucleo con riluttanza non nulla (equazioni
(3.10) e (3.12)) permettono di definire il seguente circuito equivalente del trasformatore.
I1
I’2
I2
t :1
Im
V1
Xm
E1
E2
V2
Circuito equivalente che tiene conto della corrente di magnetizzazione
Si sottolinea il fatto che per creare il flusso nel nucleo non viene dissipata potenza attiva, ma
si impegna solo potenza reattiva nella reattanza Xm.
Perdite nel ferro – Concetto di corrente a vuoto del trasformatore
Il nucleo del trasformatore, costituito di materiale ferromagnetico, è sede di perdite nel ferro
in quanto il flusso magnetico al suo interno è variabile nel tempo. Le perdite nel ferro
vengono generalmente suddivisa in due contributi:
Perdite per isteresi.
Perdite per correnti parassite.
118
MACCHINE ELETTRICHE
Questo argomento verrà approfondito maggiormente nel seguito; per il momento, in prima
approssimazione, si può asserire che le perdite nel ferro dipendono cumulativamente dal
flusso principale secondo la seguente relazione:
P fe ∝ B 2 ∝ Φ 2P ∝ E12
Per tenere conto di queste perdite attraverso il circuito equivalente, si usa introdurre una
resistenza fittizia di opportuno valore Rfe in parallelo all’induttanza di magnetizzazione.
Infatti, la presenza di tensione ai capi di Xm indica l’esistenza di flusso nel nucleo e quindi di
perdite.
Il valore di questa resistenza è scelto in modo che essa dissipi formalmente la potenza Pfe
perduta nel nucleo. Pertanto Rfe deve soddisfare la relazione seguente:
P fe
E12
=
R fe
Il circuito equivalente del trasformatore che tiene conto delle perdite nel ferro è riportato nella
figura seguente.
I1
I’2
Ife
V1
Rfe
I2
t :1
Im
Xm
E1
E2
V2
I0
Rappresentazione equivalente delle perdite nel ferro.
In assenza del carico a secondario, il trasformatore assorbe al primario una corrente pari alla
somma della corrente magnetizzante e della corrente rappresentativa delle perdite nel ferro.
Tale corrente viene denominata corrente a vuoto I0. La corrente a vuoto risulta di piccola
entità rispetto alle correnti I1 e I2 di normale utilizzo della macchina.
Ovviamente il trasformatore continua a dissipare le perdite nel ferro sia nel funzionamento a
carico che durante quello a vuoto (Pfe = Rfe Ife2 = E12/Rfe).
Flussi dispersi degli avvolgimenti primario e secondario
In un trasformatore reale, esistono dei flussi non confinati
esclusivamente nel nucleo magnetico. Tali flussi, denominati
flussi dispersi evolvono principalmente in aria e si concatenano
con una singola bobina. Tali flussi non sono utili alla conversione
elettromagnetica dell’energia tra primario e secondario.
Per tenere conto dei flussi dispersi nel circuito equivalente si deve
osservare che quest’ultimi partepano alla produzione di flusso
concatenato dell’avvolgimento e quindi alla nascita di forza
elettromotrice. Con riferimento all’avvolgimento primario si può
scrivere:
119
PROF. ANDREA CAVAGNINO
(
λ 1 = N1 ⋅ Φ p + Φ d 1
v1 = e1 tot = +
)
(3.13)
dΦ p
dΦ d1
dλ1
= + N1 ⋅
+ N1 ⋅
dt
dt
dt
(3.14)
Il flusso disperso può essere messo in relazione alla corrente che lo crea secondo la relazione:
Φ d1 = =
N1 ⋅ I 1
ℜ d1
(3.15)
dove ℜd1 rappresenta la riluttanza del circuito magnetico in cui evolve il flusso disperso (la
cui determinazione è generalmente complicata).
Sostituendo la (3.15) nella (3.14) e riferendosi al regime sinusoidale, si può esprimere il
fasore della tensione primaria nel seguente modo:
V1 = E1 tot =
N12
+ jω ⋅ N1 ⋅ Φ p + jω ⋅ N1 ⋅ Φ d1 = E1 + jω ⋅
⋅ I1 = E1 + jω ⋅ Ld1 ⋅ I1
ℜ d1
2
1
(
)
In termini di circuito equivalente i flussi dispersi primari vengono modellizzati tramite una
reattanza di dispersione primaria Xd1 = ω Ld1 percorsa dalla corrente I1. Anche in questo caso
si ricorda che per sostenere un flusso non si dissipa potenza attiva, ma si deve mettere in
conto una caduta di tensione reattiva.
Applicando gli stessi ragionamenti all’avvolgimento secondario si può disegnare il seguente
circuito equivalente.
I1
Xd1
I’2
Ife
V1
Rfe
Xd2
t :1
I2
Im
Xm
E1
E2
V2
Rappresentazione circuitale dei flussi dispersi.
Perdite negli avvolgimenti primari e secondari
L’ultima condizione di idealità da rimuovere è l’assenza di resistenza ohmica degli
avvolgimenti.
Quando si considera la resistenza delle bobine (R1 ed R2), le equazioni di tensione alle maglie
primarie e secondarie diventano:
V 1 = R 1 ⋅ I 1 + jω ⋅ Ld1 ⋅ I 1 + E 1
E 2 = R 2 ⋅ I 2 + jω ⋅ Ld 2 ⋅ I 2 + V 2
La presenza di perdite Joule negli avvolgimenti viene tenuta in conto inserendo le rispettive
resistenze(1) serie nel circuito equivalente.
(1)
Il valore delle resistenze risulta maggiore del valore misurato con il metodo volt-amperometrico in corrente
continua perché, con alimentazione alternata, si hanno fenomeni di addensamento di corrente nella sezione dei
conduttori. Ciò comporta un aumento della resistenza equivalente degli stessi. Il fenomeno di addensamento è
tanto più gravoso quanto è più alta la sezione del conduttore e la frequenza di alimentazione.
120
MACCHINE ELETTRICHE
I1
R1
Xd1
I’2
Ife
V1
Rfe
Xd2
t :1
R2
I2
Im
Xm
E1
E2
V2
Circuito equivalente del trasformatore reale.
Considerando il circuito equivalente che descrive il trasformatore reale, risulta immediato
tracciare il diagramma vettoriale che ne descrive il funzionamento a carico (I2 >0) in regime
sinusoidale. Qui di seguito viene ripotato il diagramma vettoriale per un trasformatore
abbassatore (t = N1 / N2 >1). Si ricorda che l’angolo ϕ2 è l’argomento dell’impedenza
collegata al secondario del trasformatore. Si lascia al lettore la stesura del diagramma
vettoriale per il funzionamento a vuoto.
j Xd1 I1
V1
R1 I1
E1
ϕ1 ≠ ϕ2
I 2’
I1
I0
ΦP
ϕ2
I2
I0
V2
R2 I2
E2
j Xd2 I2
IFe
Im
Diagramma vettoriale a carico
121
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il diagramma vettoriale del funzionamento a carico del trasformatore riportato nella figura
precedente è disegnato in forma qualitativa: alcune grandezze vettoriali sono state
forzatamente ingrandite rispetto alla realtà per pure esigenze di rappresentazione. In
particolare:
La corrente I0 risulta normalmente di due, tre ordini di grandezza inferiore alle normali
correnti di carico (I2 ,I1), pertanto la corrente secondaria I2 riportata al primario e la
corrente primaria sono circa coincidenti ( I1 ≅ I 2' ).
Le cadute di tensione primarie ∆V1 e secondarie ∆V2 (sui parametri in serie del circuito
equivalente: R1, Xd, R2, Xd2) assommano in genere a poche unità percentuali delle
rispettive tensioni di lavoro degli avvolgimenti.
Per riassumere alcuni concetti introdotti nel presente paragrafo si ritiene utile riportare le
seguenti riflessioni conclusive:
Le reattanze di dispersione sono legate ai flussi dispersi dei due avvolgimenti, mentre
la reattanza di magnetizzazione è correlata al flusso principale del trasformatore.
Poiché i flussi dispersi hanno un percorso prevalente in aria, mentre il flusso
principale si svolge completamente in ferro, le reattanze di dispersione sono di 2-3
ordini di grandezza inferiori alla reattanza di magnetizzazione.
Poiché i valori di resistenza R1 e di reattanza Xσ1 sono tipicamente modesti, si
possono, in prima approssimazione, trascurare le relative cadute di tensione e, quindi,
si può pensare che la tensione di alimentazione V1 equivalga alla sola f.e.m. E1:
)
V 1 ≈ E1 = + j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N1 ⋅ Φ P
Questa relazione sottolinea il fatto che il flusso principale del trasformatore viene
imposto dalla tensione di alimentazione primaria e resta praticamente costante (o,
comunque, poco variabile) al variare della corrente di carico I2.
Per questo motivo si afferma comunemente che il trasformatore in regime sinusoidale
di funzionamento lavora a flusso costante.
Nel funzionamento a vuoto la corrente erogata al secondario è nulla ed il trasformatore
equivale ad una reattanza di elevato valore (in prima approssimazione pari a Xm). La
corrente I1 assorbita, in queste condizioni, dal trasformatore è molto piccola rispetto
alle normali correnti di carico (I1 vuoto ≈ 0).
Quando il secondario del trasformatore viene chiuso su un carico, la corrente I2
erogata dalla seconda bobina ha, sul circuito della prima bobina, un effetto di reazione
rappresentata dalla corrente I2’ del circuito equivalente. L’azione di questa corrente è
tendenzialmente di tipo smagnetizzante: esso tende a ridurre l’entità della corrente
magnetizzante Im ed il relativo flusso principale.
La potenziale alterazione del flusso principale e la conseguente riduzione della f.e.m.
E1 provoca uno squilibrio tra V1 ed E1 e, da parte del primario, un maggiore
assorbimento di corrente che tende a ripristinare il valore del flusso e della f.e.m. E1.
La corrente I1 primaria, che ripristina le condizioni di flusso principale, è data da:
I 1 = I m + I '2 .
Nella presente trattazione lo studio del funzionamento del trasformatore è stato
condotto in termini di circuito equivalente. Poiché il trasformatore è sostanzialmente
un circuito accoppiato, ci si potrebbe basare, in modo del tutto equivalente, sulla teoria
generale dei circuiti accoppiatti.
In realtà, i vantaggi nell’usare il circuito equivalente sono molteplici. Essi sono da
riferire ad una maggiore aderenza del circuito equivalente agli aspetti costruttivi e alle
esigenze di misura. Ma una considerazione, in particolare, assume un ruolo decisivo.
122
MACCHINE ELETTRICHE
Le equazioni che descrivono il comportamento di due circuiti accoppiati diventano
fortemente non lineari e di difficile interpretazione (variazione dei parametri di auto e
mutua induttanza in funzione delle correnti I1 e I2 dei due circuiti). Viceversa, grazie al
circuito equivalente è possibile confinare queste non linearità praticamente in un solo
parametro, la reattanza di magnetizzazione, e di stabilire la variabilità di questo
parametro in funzione di una sola grandezza (la corrente magnetizzante). Inoltre, visto
l’elevato valore assunto dal parametro Xm, il circuito equivalente consente di
evidenziare le condizioni di funzionamento del trasformatore in cui l’influenza dei
fenomeni di saturazione magnetica è fondamentale (funzionamento a vuoto) e quelle
in cui tale influenza è irrilevante (funzionamento a carico).
123
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.4 – Modifiche del circuito equivalente del trasformatore
Il circuito equivalente ricavato al paragrafo precedente, e qui di seguito nuovamente riportato
per chiarezza, può essere opportunamente semplificato riportando alcuni parametri dal
primario al secondario o viceversa. Occorre subito chiarire che lo stesso parametro assume
valori numerici diversi nel caso venga riferito al primario oppure al secondario.
Z1
I1
I’2
Z2
t:1
I2
I0
V1
Z0
E1
E2
V2
Circuito equivalente del trasformatore.
Z1 = R1 + j ⋅ X d1
Impedenza dell’avvolgimento primario
Z 2 = R2 + j ⋅ X d 2
Impedenza dell’avvolgimento secondario
R ⋅ j⋅ Xm
Z 0 = R Fe // X m = Fe
= R0 + j ⋅ X 0
Impedenza a vuoto riferita al primario
R Fe + j ⋅ X m
Qualora tutte le impedenze posizionate a monte del trasformatore ideale (Z1 e Z0) vengono
riportate a secondario, alterandone opportunamente i valori, si dice che i parametri primari
sono riportati a secondario e che il circuito equivalente ottenuto è anch’esso riportato a
secondario. Viceversa se il trasformatore ideale è spostato a valle del circuito, occorre
modificare opportunamente i parametri del circuito secondario: in questo caso si dice che i
parametri secondari sono riportati a primario e che il circuito equivalente ottenuto è
anch’esso riportato a primario. Le due soluzioni sono perfettamente equivalenti e la scelta può
essere dettata da puri motivi di comodo.
Nel seguito si propone una soluzione intermedia tra queste due possibilità. Si mantiene
l’impedenza a vuoto Z0 al primario e si riporta a secondario la sola impedenza Z1. Il circuito
equivalente che si otterrà dopo le modifiche risulta particolarmente comodo per gli esercizi di
calcolo.
La prima semplificazione introdotta è lo spostamento dell’impedenza a vuoto Z0 a monte
dell’impedenza Z1 del primario, come indicato nella figura seguente. Questo spostamento può
essere facilmente giustificato ricordando che:
l’impedenza Z0 è molto più grande dell’impedenza Z1.
il valore della corrente a vuoto I0 è molto minore della corrente di normale
funzionamento a carico I1 (circa 1÷5%)
Ne consegue che, a spostamento avvenuto, gli errori che si commettono nel calcolo della
corrente a vuoto e nella caduta di tensione sull’impedenza Z1 sono del tutto trascurabili ai fini
pratici.
124
MACCHINE ELETTRICHE
Z1
I1
I’2
Z2
t:1
I2
I0
V1
Z0
E2
E1
V2
Circuito equivalente del trasformatore: spostamento dell’impedenza Z0.
Riporto a secondario dell’impedenza primaria Z1
Affinchè il modello risponda ancora correttamente dopo lo spostamento dell’impedenza
primaria al secondario, si deve garantire che la nuova impedenza dissipi la stessa potenza
attiva ed impegni la stessa potenza reattiva.
Questo concetto di equivalenza, porta a scrivere:
2

 ' 
 R ' ' =  I 2  ⋅ R = R1
Resistenza primaria riportata a secondario
1 
1

2


'2
'' 2
I
t
2
R1 ⋅ I 2 = R1 ⋅ I 2
 



 ⇒ 


2
2
 I 2' 
 ''
X d1 ⋅ I 2' = X 1' 'd ⋅ I 22 
X 1d
 X 1d =   ⋅ X 1d = 2 Reattanza primaria riportata a secondario
t

 I2 
Ne consegue che per riportare l’impedenza primaria al secondario si deve dividere per il
rapporto spire al quadrato. Ovviamente, se si vuole riportare l’impedenza secondaria Z2 al
primario (ottenendo l’impedenza equivalente Z2’ ) la si deve moltiplicare per il rapporto spire
al quadrato(1).
L’impedenza Z1’’ risulta connessa in serie all’impedenza del secondario. L’impedenza
equivalente serie viene denominata impedenza di cortocircuito riferita al secondario (o più
brevemente impedenza di cortocircuito secondaria). Risulta possibile valutare l’impedenza di
cortocircuito primaria moltiplicando per t2 quella secondaria.
I1
I’2
Z’’cc= Z’’1+ Z2
t:1
I2
I0
V1
Z0
E1
E2
V2
Circuito equivalente del trasformatorecon impedenza ci cortocircuito riferita al secondario
(1)
Secondo il ragionamento indicato, il riporto dell’impedenza a vuoto da primario a secondario si esegue con la
stessa regola.
125
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Osservazione
L’operazione di riporto a primario/secondario delle impedenze trova una peculiare applicazione nell’impiego del
trasformatore come adattatore di impedenze.
Ad esempio, l’amplificatore di un impianto HIFI è progettato per lavorare su altoparlanti dotati di impedenza
nominale pari a 16 Ω. Dovendo collegare all’amplificatore delle casse acustiche di impedenza pari a 8Ω si può
interporre tra l’amplificatore e le casse un trasformatore con un opportuno rapporto di trasformazione che renda
compatibile l’impedenza del carico all’amplificatore.
t:1
Cassa
8Ω
Amplificatore
Immaginando ideale il funzionamento del trasformatore, il riporto a primario dell’impedenza della cassa
fornisce:
Z 'cassa = t 2 Z cassa 
16
⇒ t=
≅ 1.41

2
8

16Ω = t ⋅ 8Ω

3.4.1 Significato fisico delle operazioni di riporto a primario/secondario
Le relazioni che legano tra loro i parametri del circuito equivalente del trasformatore nelle
operazioni di riporto da un lato all’altro della macchina possono essere interpretate
‘fisicamente’ attraverso l’introduzione di un concetto di equivalenza tra gli avvolgimenti di
un trasformatore. Tale concetto estende la sua validità, non solo ai trasformatori, ma anche
alle altre macchine elettriche.
Si può dimostrare che il riporto dei parametri resistivi e induttivi di una bobina primaria di N1
spire al secondario (bobina di N2 spire), corrisponde a riavvolgere la bobina primaria con lo
stesso numero di spire della bobina secondaria. In questa operazione ideale di riavvolgimento
devono restare inalterati il flusso presente nel nucleo del trasformatore e la sezione trasversale
della bobina.
Per chiarire il significato di queste affermazioni si prenda in considerazione l’avvolgimento
primario di un trasformatore monofase (vedi figura) caratterizzato dai seguenti parametri e
dalle seguenti caratteristiche geometriche:
R1 ......... resistenza dell’avvolgimento,
Xd1 ........ reattanza di dispersione,
Xm......... reattanza di magnetizzazione primaria,
A1 ......... sezione netta di rame della bobina,
N1 ......... numero di spire dell’avvolgimento primario.
N2 ........ numero di spire dell’avvolgimento secondario.
t............ rapporto spire o di trasformazione.
126
A1
N2
N1
Geometria degli avvolgimenti del trasformatore
MACCHINE ELETTRICHE
Sulla base dei dati sopra esposti, si può ritenere che la sezione e la lunghezza complessiva del
filo conduttore impiegato per la realizzazione dell’avvolgimento primario valgano:
A1
;
lc1 = N1l s , m
N1
dove ls,m è la lunghezza della spira media.
Quindi la resistenza R1 dell’avvolgimento risulta legata alle dimensioni geometriche ed al
numero di pire della bobina secondo la relazione:
S c1 =
N12
ls,m
A1
R1 = ρ
Dovendo riavvolgere la suddetta bobina con N2 spire e volendo usare completamente la
sezione A1 disponibile, si potrà usare un conduttore la cui sezione e la cui lunghezza
complessiva sono date da:
A1
;
N2
S " c1 =
l "c1 = N 2 l s , m
e, conseguentemente la resistenza R”1 del nuovo avvolgimento vale:
R"1 = ρ
R
N2
N 22
l s, m = 2 R1 = 1
A1
t2
N12
Anche per i parametri induttivi della bobina vale una regola analoga, infatti:
X d1 =
N12
ℜ d1
N 2
Xm = 1
ℜp
2
N22  N2 
 X d1
=
ℜ d1  N1 
⇒
X "d 1 =
⇒
N 2 N 
X "m = 2 =  2  X m
ℜ p  N1 
2
I valori R”1 , X”d1 e X”m dei parametri della nuova bobina sono legati ai corrispondenti valori
della bobina originaria dalle stesse relazioni che regolano il riporto di questi ultimi ad un
secondario di N2 spire.
Inoltre, se si indica con V1n il valore efficace della tensione normale di alimentazione per
l’avvolgimento primario originario di N1 spire, è noto che tale valore è legato al flusso
principale concatenato con l’avvolgimento dalla relazione:
V1n ≅ 4.44 fN1Φ p , max
L’avvolgimento di N2 spire avrà come tensione corrispondente, a parità di flusso (quindi ad
eguale sfruttamento magnetico del nucleo), la seguente tensione normale:
V "1n ≅ 4.44 fN 2 Φ p , max =
N2
V1n
N1
(3.16)
Volendo, inoltre, utilizzare nei conduttori della nuova bobina la stessa densità di corrente
utilizzata nella bobina originaria, varrà la seguente relazione:
I " n1
S"
N
= c1 = 1
I n1
S c1
N2
(3.17)
127
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Le relazioni (3.16) e (3.17), oltre a confermare ulteriormente l’equivalenza tra l’operazione di
riporto a secondario e l’operazione di riavvolgimento della bobina, sottolineano il fatto
importante che il nuovo avvolgimento, realizzato con le indicazioni sopra specificate, è in
grado di trasformare la stessa potenza apparente dell’avvolgimento originario:
V "1n I "1n = V1n I1n
Il concetto di equivalenza non si esplica soltanto nel fatto che i due diversi avvolgimenti
primari possiedono (a pari sfruttamento del ferro del nucleo e del rame dei conduttori) la
stessa potenza caratteristica. Ma, dalle relazioni precedenti, si evince che, se la vecchia bobina
primaria venisse effettivamente sostituita con la nuova bobina di N2 spire e se venisse alterata
corrispondentemente alla (3.16) la tensione di alimentazione (in modo che il rapporto spire
del trasformatore risultante diventi unitario), un osservatore posto sul secondario del
trasformatore non noterebbe alcuna differenza di funzionamento.
Il circuito equivalente riportato a secondario del nuovo trasformatore (a rapporto di
trasformazione unitario) sarebbe identico al vecchio circuito equivalente. Ovviamente, per la
simmetria della macchina, ragionamenti identici potrebbero essere sviluppati qualora fosse
coinvolto
nelle
modifiche
R”1 X”d1
Xd2
R2
l’avvolgimento secondario anziché il
I”1n
I2n
primario.
Si può pertanto affermare che il
rapporto spire di un trasformatore, pur
V”1n
X”m
V2n
avendo una importanza fondamentale
nelle applicazioni pratiche, risulta di
fatto ininfluente nella trattazione del
funzionamento.
La
teoria
del
funzionamento del trasformatore
Circuito equivalente riportato a secondario.
potrebbe
comodamente
essere
sviluppata fissando tale rapporto al
valore unitario (N1=N2).
Riassumendo si può affermare che l’operazione di riporto a secondario (primario) dei
parametri primari (secondari) di un trasformatore a rapporto spire t equivale a riavvolgere per
la stessa potenza il primario (secondario) con lo stesso numero di spire del secondario
(primario) in modo da studiare un trasformatore a rapporto spire unitario.
Si può dimostrare che la quantità di rame impiegata nella costruzione dei due avvolgimenti
sarebbe sempre esattamente la stessa. Nei normali trasformatori queste regole sono sempre
verificate con una certa approssimazione e i parametri di un lato di macchina sono circa
uguali ai parametri dell’altro lato, una volta eseguito il riporto.
128
MACCHINE ELETTRICHE
3.5 – Determinazione dei parametri del circuito equivalente
I parametri del circuito equivalente possono essere determinati tramite opportune prove
sperimentali. In ogni caso, i trasformatori devono essere sottoposti a prove che ne
garantiscano la conformità ai dati di targa e alle specifiche di ordinazione. Tali prove, eseguite
di norma presso le officine del costruttore, devono essere condotte ad una temperatura
ambiente compresa tra 10°C e 40°C e per la loro esecuzione deve essere usata strumentazione
conforme alle norme 4.11 ISO 9001.
Poiché alcuni risultati di prova sono sensibili alla temperatura, si richiede spesso che essi
siano riportati ad una temperatura convenzionale. Tipicamente, questa temperatura vale 75°C
per i trasformatori raffreddati in olio e può invece essere stabilita d’accordo tra cliente e
costruttore per trasformatori a secco.
Le prove tipiche cui può essere sottoposto un trasformatore si possono suddividere in:
Prove di routine o di accettazione
Prove di tipo
Prove speciali
Per ciascuna di queste tipologie le norme CEI 14-4.1 prevedono una serie di misure
convenzionali. In questo paragrafo verranno illustrate le principali prove di routine che
vengono, con maggior frequenza, condotte su trasformatori e che permettono la
determinazione dei parametri del modello. Nel seguito si fa riferimento al trasformatore
monofase; le differenze rispetto al caso trifase saranno specificate in seguito.
3.5.1 – Misura della resistenza degli avvolgimenti
Questa prova è necessaria per la valutazione delle perdite a carico, per la valutazione della
tensione di corto circuito e delle sovratemperature medie degli avvolgimenti.
La misura va eseguita con il trasformatore non alimentato da almeno 3 ore ed in equilibrio
termico con l’ambiente ed i valori di resistenza ottenuti vanno riferiti alla temperatura
ambiente. Per il calcolo della resistenza si può usare un metodo volt-amperometrico: si
alimenta la coppia di morsetti della singola bobina con un generatore di tensione costante e si
misurano il valore di tensione e di corrente a carico dell’avvolgimento.
La resistenza cercata è ottenuta dalla legge di Ohm.
Ravv =
V prova
I prova
(3.18)
La corrente di prova non deve superare il 10% della corrente nominale dell’avvolgimento, per
evitare che il riscaldamento, conseguente alle inevitabili perdite, alteri sensibilmente la
temperatura durante la sessione di misure.
3.5.2 – Prova a vuoto
Lo scopo di questa prova è quello di valutare le perdite e la corrente assorbita al primario nel
funzionamento a vuoto. Questa prova permette di determinare la resistenza equivalente delle
perdite nel ferro e la reattanza di magnetizzazione che costituiscono l’impedenza a vuoto Z0.
La prova a vuoto viene effettuata alimentando un avvolgimento della macchina alla sua
tensione nominale e lasciando aperti i morsetti dell’altro avvolgimento. E’ praticamente
indifferente, ai fini dei risultati, alimentare il trasformatore dall’avvolgimento primario o da
quello secondario: l’avvolgimento che si assume come primario può essere scelto in relazione
alle caratteristiche della sorgente di alimentazione disponibile presso il laboratorio di prova.
129
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Le norme prescrivono che le tensioni di alimentazione devono essere ‘sinusoidali’ e
specificano la ‘sinusoidalità’ stessa tramite alcuni parametri (distorsione armonica, fattore di
forma, …).
Lo schema del circuito per la prova a vuoto è illustrato nella figura sottostante.
A
Rete
sinusoidale
W
V1
Variatore di
tensione
Sezione di misura
lato
V2
Trasformatore in
prova
Sezione di misura
secondaria
Schema di misura per la prova a vuoto sul trasformatore monofase
Il trasformatore in prova è alimentato da una rete alternata ‘sinusoidale’ a tensione fissa
attraverso un regolatore di tensione. Questo regolatore consiste, tipicamente, in un
autotrasformatore a rapporto di trasformazione variabile con continuità. La possibilità di
regolazione introdotta si rende necessaria per adeguare con precisione la tensione con cui si
alimenta il primario al valore nominale relativo all’avvolgimento trasformatore in prova. Le
Norme consigliano di eseguire le misure per diversi valori di tensione di alimentazione
attorno al valore nominale in modo da ridurre eventuali errori accidentali e ottenere una
determinazione più precisa della condizione nominale.
La sezione di misura lato alimentazione consiste di un amperometro (A), di un voltmetro (V1)
e di un wattmetro (W). Attraverso questi strumenti si rilevano i valori di corrente I10, di
tensione V1 e di potenza attiva P0 assorbita dal trasformatore nelle condizioni di prova.
Ai morsetti dell’avvolgimento non alimentato può essere misurata con un voltmetro (V2) la
tensione secondaria a vuoto V20.
Questa misura consente di determinare il rapporto di trasformazione della macchina. Esso
vale:
t =
V1
V20
(3.19)
Il valore del rapporto di trasformazione dedotto dalle misure è ampiamente stabile al variare
della tensione di alimentazione attorno al valore nominale.
Elaborazione della prova a vuoto
Durante il funzionamento a vuoto la presenza dell’impedenza Z1 = R1 + jXd1 è del tutto
trascurabile. Infatti, la corrente a vuoto è generalmente piccola (pochi percento delle correnti
nominali) e l’impedenza Z1 da luogo ad una caduta di tensione di pochi percento della
tensione nominale quando è percorsa da correnti dell’ordine della corrente nominale. Ne
consegue che durante la prova, le cadute sull’impedenza Z1 sono dell’ordine di pochi per
mille della tensione nominale. Per l’elaborazione della prova si può quindi far riferimento al
seguente circuito equivalente semplificato.
130
MACCHINE ELETTRICHE
I10
R1
I’2=0
Xd1
Ife
V1 prova
Xd2
t :1
R2
I2=0
Im
Rfe
Xm
E1
E2
V20
Circuito equivalente del trasformatore per descrivere il funzionamento a vuoto.
Si considerino il set di valori misurati {V1 prova, I10, P0}. Sulla base del circuito equivalente
indicato si possono fare le seguenti valutazioni:
V1 prova 2
R Fe =
Xm =
P0
V1 prova 2
dove
Q0
=
=
V1 prova
I10 ⋅ cos(ϕ 0 )
V1 prova 2
P0 ⋅ tg (ϕ 0 )
cos(ϕ 0 ) =
=
V1 prova
I10 ⋅ sin (ϕ 0 )
P0
V1 prova ⋅ I10
Si ricorda nuovamente che i risultati di prova devono essere valutati alla tensione
nominale (V1prova = V1N).
I risultati di prova sono generalmente espressi in valore percentuale (rispetto a grandezze di
targa) per svincolare il calcolo dei parametri dal lato utilizzato durante la prova. Tali valori
percentuali valutati nel seguente modo:
I0 % =
P0 % =
I 0 lato prova
I N lato prova
* 100
P0
* 100
SN
(corrente a vuto percentuale)
(perdite a vuoto percentuali, riferite alla potenza
nominale SN [kVA] del trasformatore)
Esempio
Le prove eseguite su un piccolo trasformatore monofase di potenza pari a 3kVA hanno dato i
seguenti risultati:
V1N [V]
380
I10 [A]
0.327
P0 [W]
46.6
V20 [V]
386.3
Il valore della resistenza equivalente alle perdite nel ferro e della reattanza di magnetizzazione
sono:
RFe = 3099 Ω
Xm = 1253 Ω
131
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Al contrario del rapporto di trasformazione, i valori di RFe ed Xm , desunti dalla prova a vuoto
tramite le relazioni precedenti, sono fortemente influenzati dal valore di tensione di
alimentazione V1prova. Per questo motivo le Norme impongono che il loro valore deve essere
determinato in corrispondenza della tensione nominale dell’avvolgimento, come illustrato
nella figura seguente.
RFe, Xm [Ω]
t
3500
1.0
t
0.9
3000
0.8
Rfe
2500
0.7
Xm
0.6
2000
0.5
1500
0.4
1000
0.3
0.2
V1prova =V1N
500
V1prova [V]
0
0
100
200
300
0.1
0.0
400
Rapporto di trasformazione, resistenza delle perdite nel ferro e reattanza di
magnetizzazione del trasformatore in funzione della tensione di alimentazione
3.5.2 – Prova in cortocircuito
Questa prova serve a determinare le perdite dovute al carico ed il valore della tensione di
cortocircuito (vedi paragrafo 3.6). La misura può essere condotta a temperatura ambiente, ma
i risultati devono essere riportati alla temperatura convenzionale prevista per la macchina.
Per eseguire la prova si pongono direttamente in corto circuito i terminali di linea di uno dei
due avvolgimenti e si alimenta l’altro alla frequenza nominale e misurando, nel
contemporaneamente, le correnti, la potenza assorbita e le tensioni applicate.
La tensione di prova deve essere tale da far circolare la corrente nominale nei due
avvolgimenti. Tuttavia, in caso di difficoltà, possono essere condotte prove a valori ridotti di
corrente. In questo caso i risultati devono essere riportati al valore di corrente di riferimento.
Lo schema di prova è del tutto analogo a quello visto per la prova a vuoto, salvo per il fatto
che i morsetti dell’avvolgimento non alimentato sono cortocircuitati.
A
Rete
sinusoidale
I1
W
V
Variatore di
tensione
Sezione di misura
lato
Trasformatore in
prova
Avvolgimento in
cortocircuito
Schema di misura per la prova in corto circuito sul trasformatore monofase
132
MACCHINE ELETTRICHE
Ovviamente la tensione da applicare all’avvolgimento alimentato, perché in esso circoli la
corrente nominale, risulta essere una frazione modesta (poche unità per cento) della tensione
nominale dell’avvolgimento e, come conseguenza, il flusso principale si riduce nella stessa
misura e le perdite nel ferro (che variano quadraticamente con il flusso e con la tensione di
alimentazione) si riducono in misura maggiore (poche unità per diecimila). Tale osservazione
giustifica il fatto di trascurare, nell’elaborazione della prova, l’impedenza a vuoto Z0.
I2cc = I2N
R’’1
X’’d1
Xd2
R2
V2cc
Circuito equivalente del trasformatore in corto circuito riportato a secondario.
Si può ritenere che la potenza assorbita e letta sui wattmetri rappresenti, in pratica,
esclusivamente le perdite Joule nei conduttori delle bobine primaria e secondaria. In figura è
riportato il circuito equivalente monofase semplificato valido per la prova in corto circuito Il
calcolo dei parametri del circuito equivalente viene condotto secondo il seguente
procedimento.
Dati misurati:
V2cc = V1cc / t
: tensione di cortocircuito secondaria
I2cc = I2N
: corrente nominale secondaria
Pcc
: potenza di cortocircuito
Elaborazione:
V
R ' 'cc = R1' ' + R2 = 2cc cos(ϕ cc ) =
I 2N
Pcc
I 22N
V
X ' 'cc = X ' ' d1 + X d 2 = 2cc sin (ϕ cc ) =
I 2N
dove
cos(ϕ cc ) =
Qcc
I 22N
=
Pcc ⋅ tg (ϕ cc )
I 22N
Pcc
V2cc I 2 N
Anche per la prova in cortocircuito risulta conveniente riferire i valori misurati a grandezze di
targa. I valori percentuali permettono infatti di svincolare il calcolo dei parametri dal lato del
trasformatore su cui si esegue la prova (come dimostrato al paragrafo 3.6).
vcc % =
Vcc lato prova
⋅ 100
V N lato prova
P
Pcc % = cc ⋅ 100
SN
133
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Durante la prova non viene usualmente rilevata la corrente sul lato in corto circuito; tuttavia
questa corrente è immediatamente deducibile dalla corrente misurata e dal rapporto di
trasformazione.
I valori della resistenza e reattanza di corto circuito del trasformatore risultano ampiamente
indipendenti dalla tensione e dalla corrente di alimentazione, ma il termine resistivo è
influenzato dalla temperatura a cui si trovano gli avvolgimenti. Per questo motivo le Norme
prescrivono il riporto dei risultati ad una temperatura convenzionale Tc.
Questa operazione è relativamente complicata in quanto, anche a parità di temperatura, la
resistenza di cortocircuito misurata in corrente alternata è maggiore di quella misurata in
corrente continua (a causa del fenomeno di addensamento di corrente che si verifica nei
conduttori percorsi da corrente alternata). Pertanto il valore misurato di R’’cc congloba un
termine ‘ohmico’ (misura in corrente continua) ed un termine ‘addizionale’ (valutabile per
differenza da una misura in alternata ed una in continua eseguite alla stessa temperatura T0).
Senza entrare nel dettaglio, il riporto di temperatura del resistenza di cortocircuito alla
temperatura convenzionale deve avvenire secondo la modalità indicata dalla relazione (3.20).
R (T )
Rc.a. (Tc ) = add 0 + K T ⋅ Rohm (T0 )
KT
235 + Tc

rame
 K T = 235 + T
0
(3.20)
dove 
225 + Tc
KT =
alluminio

225 + T0
Una volta riportata la resistenza di cortocircuito alla temperatura convenzionale Tc, si devono
ricalcolare i valori di perdita, di impedenza e di tensione di corto circuito riferendoli alla
temperatura convenzionale e alla corrente nominale dell’avvolgimento primario.
Pcc (Tc ) = R' 'cc (Tc ) ⋅ I 22N
2
Z ' 'cc (Tc ) = R' ' cc (Tc )2 + X ' ' cc
V2cc (Tc ) = Z ' ' cc (Tc ) ⋅ I 2 N
134
MACCHINE ELETTRICHE
3.6 – Tensione di cortocircuito
Si definisce inoltre tensione di cortocircuito del trasformatore, riferita ad uno dei suoi
avvolgimenti, la tensione che occorre applicare all’avvolgimento di riferimento, essendo
l’altro avvolgimento chiuso in corto circuito, perché la rispettiva corrente nominale circoli in
entrambi gli avvolgimenti.
Per un trasformatore monofase, le tensioni di corto circuito riferite rispettivamente a primario
e a secondario valgono,:
V1cc = Z 'cc I1N
(3.21)
V2cc = Z "cc I 2 N
dove I1N ed I2N sono le correnti nominali dei due avvolgimenti.
Usualmente i due valori forniti dalle (3.21) vengono indicati da un unico valore in termini
percentuali; a questo scopo si definisce tensione di corto circuito percentuale del
trasformatore il rapporto, espresso in centesimi, tra la tensione di corto circuito e la tensione
nominale dell’avvolgimento di riferimento(1):
V
V
vcc % = 1cc ⋅ 100 = 2cc ⋅ 100
V1N
V20
(3.22)
L’uguaglianza dei due valori si giustifica in base alle relazione seguenti:
I
V2cc
= Z "cc 2 N ;
V20
V20
I 1N
N
= 2;
I 2N
N1
V1N
N
= 1;
V20
N2
2
I
V
V2cc  N1 
 Z "cc 1N = 1cc
= 
V1N V1N
V20  N 2 
Poiché il valore dell’impedenza di cortocircuito è piccolo, la tensione di cortocircuito è
percentualmente piccola (3÷10 %) rispetto alla tensione nominale di riferimento.
Si noti che la tensione di cortocircuito coincide numericamente con la caduta di tensione
sull’impedenza di cortocircuito solo se il trasformatore lavora con correnti nominali.
Esempio
Si considerino i seguenti dati caratteristici di un trasformatore monofase.
Dati di targa:
SN :
V1N :
V20 :
10 [kVA]
380.0 [V]
227.6 [V]
N1/N2 : 1.67
I1N
: 26.3 [A]
I2N
: 43.9 [A]
Funzionamento a vuoto:
I10
: 0.41 [A]
P0
: 81.9 [W]
Parametri del circuito equivalente:
RFe
Xm
R”1
R2
= 1765 [Ω]
= 1100. [Ω]
= 0.062 [Ω]
= 0.048 [Ω]
(riferita al primario)
(riferita al primario)
X”d1 = 0.059 [Ω]
Xd2 = 0.059 [Ω]
(riferita al secondario)
(riferita al secondario)
(1)
Come sarà riportato meglio nel seguito la tensione nominale secondaria è la tensione a vuoto del trasformatore
quando quest’ultimo è alimentato alla sua tensione nominale primaria V1n.
135
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Sulla base dei dati sopra riportati si possono fare le seguenti valutazioni:
Valore percentuale della tensione di cortocircuito
Riferendosi al secondario, si può scrivere
''
Z cc
=
(R"1 + R2 )2 + ( X "d1 + X d 2 )2
= 0.112 + 0.118 2 = 0.161 Ω
''
''
Vcc
= Z cc
⋅ I 2 N = 0.161 ⋅ 43.9 = 7.01 V
V ''
7.01
Vcc % = cc ⋅ 100 =
⋅ 100 = 3.1 %
V20
227.6
Riferendosi al primario, si ottiene:
'
=
Z cc
(R1 + R2' )2 + (X d1 + X d' 2 )2 = t 2 ⋅ Z cc'' = 1.67 2 ⋅ 0.161 = 0.449 Ω
'
'
= Z cc
⋅ I1N = 0.449 ⋅ 26.3 = 11.81 V
Vcc
V'
11.81
⋅ 100 = 3.1 %
Vcc % = cc ⋅ 100 =
380
V1N
Valore percentuale della corrente a vuoto primaria rispetto alla corrente nominale
I
0.41
i0 % = 10 ⋅ 100 =
⋅ 100 = 1.56 %
26.3
I 1N
136
MACCHINE ELETTRICHE
3.7 – Caduta di tensione del trasformatore da vuoto a carico
Si definisce caduta di tensione del
trasformatore, ovvero caduta di tensione
industriale del trasformatore, la differenza
algebrica tra il modulo della tensione ai
morsetti secondari a vuoto e il modulo della
tensione ai morsetti secondari quando il
trasformatore eroga una corrente di carico.
R”cc
P
C
V”1=V20
jX”cc I2
B
X”cc
I”1
I2
A
R”cc I2
V2
V”1
V2
I2
ϕ2
Calcolo della caduta di tensione industriale
O
La caduta di tensione industriale è definita da:
∆V = V20 − V2
(3.23)
Per il calcolo è opportuno riferirsi al circuito equivalente semplificato del trasformatore di
figura ed al corrispondente diagramma vettoriale a carico. Si possono scrivere le seguenti
relazioni:
OC = V2 + I 2 ⋅ (R"cc cos ϕ 2 + X "cc senϕ 2 )
PC = I 2 ⋅ (− R"cc senϕ 2 + X "cc cos ϕ 2 )
da cui:
V2 = V202 − (R"cc sen ϕ 2 − X "cc cos ϕ 2 ) I 22 − (R"cc cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2 ≅
2
(R"cc sen ϕ 2 − X "cc cosϕ 2 )2 I 22 − (R"
cc cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2
2 ⋅ V20
Pertanto l’espressione (3.23) è calcolabile come segue:
≅ V20 −
∆V ≅
(R"cc sen ϕ 2 − X "cc cos ϕ 2 )2 I 22 + (R"
2 ⋅ V20
cc
cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2
(3.24)
Una relazione più semplice di quella ora ricavata viene usata per il calcolo della caduta di
tensione nel caso, per altro frequente, in cui il segmento OC possa essere confuso con la
tensione a vuoto V20. In questo caso si ha immediatamente che:
∆V ≅ I 2 (R"cc cos ϕ 2 + X "cc senϕ 2 )
(3.25)
137
PROF. ANDREA CAVAGNINO
La variazione di tensione ai morsetti secondari del trasformatore, quando questo eroga
corrente su un carico, è praticamente proporzionale all’entità della corrente stessa; tuttavia
essa dipende, in misura non indifferente, anche dal fattore di potenza del carico. In
particolare, dalla (3.25) si deduce facilmente che, nel caso di carico prevalentemente
capacitivo (ϕ2 < 0), la caduta di tensione può diventare negativa: in questo caso, nel passaggio
da vuoto a carico, la tensione secondaria aumenta anziché diminuire.
Esempio
Si riprenda in esame il trasformatore monofase presentato al paragrafo precedente. Si
supponga di voler calcolare la tensione presente ai morsetti secondari del trasformatore
quando esso eroga la corrente nominale secondaria con un fattore di potenza pari a 0.8 in
ritardo.
La resistenza e la reattanza di corto circuito secondario valgono rispettivamente:
R”cc = R”1 + R2 = (0.062 + 0.048) = 0.110 Ω
X”cc = X”d1 + X d 2 = (0.059 + 0.059 ) = 0.118 Ω
La tensione a vuoto e la corrente nominale secondaria valgono rispettivamente:
V20 = 227.6 V;
I 2 N = 43.9 A
Applicando la (3.24) si calcola la caduta di tensione industriale e quindi per decremento dalla
tensione a vuoto si ottiene la tensione a carico:
∆V ≅
(0.11 × 0.6 − 0.118 × 0.8)2 × 43.9 2
2 ⋅ 227.6
+ (0.110 × 0.8 + 0.118 × 0.6) × 43.9 =
= ( 0.003 + 6.971) ≈ 7.0 V
Tensione a carico : V2 = 227.6 - 7.0 = 220.6 V
Si può osservare la modesta correzione apportata dall’uso della (3.24) al valore calcolato con
la relazione semplificata (3.25).
138
MACCHINE ELETTRICHE
3.8 – Rendimento del trasformatore
Il rendimento di un trasformatore è definito come rapporto tra la potenza attiva erogata dal
secondario e la potenza attiva corrispondentemente assorbita al primario. La differenza tra le
due potenze è costituita dalle perdite all’interno della macchina. Si noti che per un
trasformatore a pieno carico le perdite sono normalmente una piccola frazione della potenza
trasformata. In altre parole, il trasformatore è una macchina con rendimenti molto elevati.
Le perdite di un trasformatore consistono essenzialmente di due voci:
Perdite nel ferro, PFe, presenti nel nucleo magnetico a causa dei fenomeni di isteresi e
di correnti parassite, dovuti alla magnetizzazione alternata. Queste perdite sono da
ritenere praticamente costanti per ampie variazioni della corrente di carico. Dipendono
invece dalla tensione di alimentazione della macchina, come si può facilmente
desumere dal circuito equivalente.
Perdite nel rame, Pcu, localizzate negli avvolgimenti primario e secondario, sono
dipendenti dalla corrente di carico e possono essere espresse dalla seguente relazione,
conformemente alla definizione di impedenza di cortocircuito secondaria:
Pcu = R"cc ⋅I 22
(3.26)
Si noti che la corrente secondaria indicata in (3.26) è la corrente erogata dal
trasformatore nelle condizioni di carico specificate e non è, in generale, la corrente
nominale secondaria. Introducendo il fattore di carico α del trasformatore, definito
come il rapporto tra la corrente effettivamente erogata al carico e la corrente nominale
del trasformatore, la (3.26) può essere riscritta nel seguente modo.
 I 
Pcu = R"cc ⋅I 22 = R"cc ⋅I 22N ⋅  2 
 I 2N 
2
= α 2 ⋅ R"cc ⋅I 22N = α 2 ⋅ Pcc
(3.27)
dove Pcc sono le perdite di cortocircuito (valore specificato a targa).
Il rendimento del trasformatore monofase può quindi essere calcolato come:
η=
Putile
V2 I 2 cos ϕ 2
≅
Putile + P fe + Pcu V2 I 2 cos ϕ 2 + R"cc I 2 + PFe
2
(3.28)
La (3.28) indica che il rendimento del trasformatore risulta nullo in due condizioni:
a vuoto, in quanto è nulla la corrente I2, ma sono presenti le perdite nel ferro e quelle
nel rame primario (quest’ultime generalmente trascurabili);
in cortocircuito, in quanto è nulla la tensione V2.
Per valori di corrente di carico intermedi tra zero e la corrente di cortocircuito il rendimento
presenta un massimo.
Per semplificare la ricerca del fattore di carico che massimizza il rendimento per un certo
valore del fattore di potenza del carico applicato (cosϕ2), conviene introdurre il concetto di
rendimento convenzionale. Nelle normali condizioni di impiego del trasformatore si può
ragionevolmente trascurare la caduta di tensione sull’impedenze di cortocircuito secondaria;
ovvero si può ritenere che la tensione V2 ai morsetti secondari sia costante al variare della
corrente di carico e pari al valore della tensione secondaria a vuoto (V2 ≈ V20). Inoltre, è
generalmente verificato che la tensione di alimentazione del trasformatore è pari alla tensione
139
PROF. ANDREA CAVAGNINO
nominale primaria della macchina: ciò implica che le perdite nel ferro sono uguali alle perdite
a vuoto (specificate sulla targa).
Il rendimento convenzionale si può quindi scrivere nel seguente modo:
ηconvenzionale =
ηconvenzionale =
V20 I 2 cos ϕ 2
V20 I 2 cos ϕ 2 + R"cc I 22 + P0
α ⋅ S N ⋅ cos ϕ 2
=
α ⋅ V20 I 2 N cos ϕ 2
α ⋅ V20 I 2 N cos ϕ 2 + α 2 Pcc + P0
(3.29)
α ⋅ S N ⋅ cos ϕ 2 + α 2 Pcc + P0
Fissato il fattore di potenza del carico, è facile dimostrare che il rendimento convenzionale
raggiunge il suo valore massimo per un fattore di carico pari a:
α η max =
P0
Pcc
(3.30)
Quindi il rendimento massimo si realizza per un valore di corrente di carico tale che le
perdite nel rame (e non di cortocircuito) uguaglino le perdite nel ferro.
Normalmente, in fase di progetto si opera una ripartizione delle perdite nel ferro e nel rame in
modo che il rendimento massimo si raggiunga quando il trasformatore eroga circa i ¾ della
corrente nominale (αηmax = 0.75). In virtù del fatto che la curva di rendimento è abbastanza
piatta nell’intorno del suo massimo, questa scelta porta ad avere un buon compromesso
energetico anche a carichi minori e maggiori del carico che massimizza il rendimento. Si
tenga inoltre presente che un utente acquista generalmente un trasformatore leggermente
sovradimensionato rispetto alle sue reali esigenze.
Sulla base della (3.29) si può ritenere che il massimo rendimento assoluto si realizza nel caso
di carico resistivo puro (cos ϕ2 = 1). In realtà, se si tenesse conto della caduta di tensione che
si verifica nel passaggio da vuoto a carico del trasformatore, il massimo rendimento assoluto
si otterrebbe in corrispondenza ad un carico leggermente capacitivo (cos ϕ < 1).
Nella figura seguente vengono riportate le curve tipiche di rendimento di un trasformatore per
diversi valori del fattore di potenza del carico (si noti la scala logaritmica per le ascisse).
1,0
cos ϕ =1.00
0,9
cos ϕ =0.90
cos ϕ =0.80
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,01
0,10
α
1,00
10,00
Curve di rendimento del trasformatore al variare del fattore di carico α = I2 / I2N e
per diversi fattori di potenza del carico.
140
MACCHINE ELETTRICHE
In termini assoluti, il rendimento di un trasformatore è estremamente elevato: 0.95÷0.99 in
dipendenza della potenza nominale della macchina, dove i valori più elevati sono tipici dei
trasformatori di grossa potenza.
Nonostante il rendimento sia elevato, le potenza gestite dai grandi trasformatori di trasporto e
distribuzione dell’energia elettrica sono elevate (centinaia di kVA), per cui in termini assoluti
anche
le
perdite
dissipate,
determinabile
secondo
la
relazione
∑ Perdite = Pcu + PFe = (1 − η) ⋅ Passorbita , risultano altrettanto elevate. Per questo motivo i
grandi trasformatori richiedono complessi sistemi di raffreddamento per smaltire il calore
generato dalle perdite.
I trasformatori da distribuzione vedono variare, nell’arco della giornata, il carico richiesto dal
pieno valore a frazioni modeste di esso. Tipicamente, in questi trasformatori la corrente di
massimo rendimento è scelta pari a circa metà, o anche meno, la corrente nominale, in modo
da mantenere buoni valori di rendimento in un’ampia gamma di carichi. Da questo punto di
vista il rendimento massimo del trasformatore assume un significato puramente indicativo
della qualità del trasformatore.
Dal punto di vista generale, e cioè in una valutazione economica globale delle perdite
introdotte dal trasformatore, interessa il calcolo dell’energia consumata nell’arco di un intero
ciclo di utilizzo della macchina.
Tale ciclo ha usualmente durata giornaliera. Per poter valutare l’efficienza reale del
trasformatore occorre conoscerne il diagramma di carico (correnti e fattori di potenza relativi)
nell'arco delle 24 ore. In questo caso, indicati con I2i e cosϕi i valori di corrente e fattore di
potenza mediamente assorbiti nel generico intervallo di tempo ∆Ti , si possono valutare sia le
energie mediamente dissipate nel periodo T del ciclo, sia la potenza media nel ciclo nel
seguente modo.
(
)
Energia dissipata nel ciclo = ∑ R ' ' cc I 22i + PFe ⋅ ∆Ti
Energia erogata nel ciclo = ∑ V2 I 2i cos ϕ i ⋅ ∆Ti ≅ ∑ V20 I 2i cos ϕi ⋅ ∆Ti
Perditemedie =
Putilemedia =
Energia dissipata nel ciclo
T
Energia erogata nel ciclo
T
Il rendimento effettivo del trasformatore durante il ciclo di lavoro considerato si ottiene dal
seguente rapporto:
η eff =
Putilemedia
Putilemedia + Perditemedie
(3.31)
141
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.9 – Grandezze di targa e aspetti dimensionali
3.9.1 Generalità
Le Norme CEI distinguono diverse classi di trasformatori in base alla loro potenza ed al loro
impiego:
Trasformatori di potenza (CEI-14)
Sono i trasformatori destinati ai processi di trasporto e distribuzione dell’energia
elettrica. Le Norme ne danno la seguente definizione: “ Macchina statica con due o più
avvolgimenti che, per induzione elettromagnetica, trasforma un sistema di tensione e
corrente alternata in un altro sistema generalmente di differenti valori di tensione e
corrente, alla stessa frequenza, allo scopo di trasmettere la potenza elettrica.”
Trasformatori di misura (CEI-38)
I trasformatori di misura sono “Trasformatori destinati ad alimentare strumenti di
misura, contatori, relè o apparecchi analoghi”. I principali tipi di questa categoria
sono:
I.
i trasformatori di tensione (TV) usati per convertire, secondo una costante di
proporzionalità, le tensioni da misurare a valori compatibili con gli strumenti di
misura.
II.
i trasformatori di corrente (TA) impiegati per convertire, secondo una costante
di proporzionalità, le correnti da misurare a valori compatibili con gli strumenti
di misura.
Trasformatori di separazione (CEI-96)
Sono trasformatori “con uno o più avvolgimenti primari separati dagli avvolgimenti
secondari mediante almeno un isolamento fondamentale”. Tra gli impieghi più diffusi
di questi trasformatori (generalmente di potenza non elevata) si possono citare i
seguenti:
I.
alimentazione di bordo di apparecchiature elettriche;
II.
separazione elettrica di circuiti;
III.
adattamento della tensione al carico;
IV.
isolamento e sicurezza di un circuito elettrico.
Trasformatori di conversione (CEI-14)
Sono trasformatori destinati ad essere integrati in strutture di conversione a
semiconduttori dell’energia elettrica. Le Norme distinguono due tipi di applicazione
fondamentali:
142
I.
Applicazioni con tensione praticamente sinusoidale, in cui il convertitore è
tipicamente un circuito di raddrizzamento posto al secondario del
trasformatore.
II.
Applicazioni con tensione non sinusoidale, in cui il primario del trasformatore
è alimentato con forma d’onda distorta di tensione prodotta da un convertitore
(tipicamente un inverter) comandato in c.a. a frequenza variabile.
MACCHINE ELETTRICHE
I trasformatori, come tutte le apparecchiature elettriche, sono caratterizzati attraverso una
targa che ne definisce le normali condizioni di funzionamento attraverso la specificazione dei
valori normali delle principali grandezze di alimentazione e di carico.
Le principali grandezze che verranno discusse nel seguito sono: la tensione nominale, la
corrente nominale e la potenza nominale.
Tensione nominale
Il concetto di tensione nominale di un trasformatore è in realtà un concetto associato ai singoli
avvolgimenti dello stesso. Per un trasformatore esistono tanti valori nominali di tensione
quanti sono gli avvolgimenti di cui è dotato.
Le Norme CEI stabiliscono, nel caso dei trasformatori di potenza, che la tensione nominale di
un avvolgimento (VN) è la: “tensione specificata per essere applicata o indotta in
funzionamento a vuoto fra i terminali di linea di un avvolgimento …. Per un avvolgimento
trifase è la tensione fra i terminali di linea” (concatenata).
E ancora: “Nel funzionamento a vuoto, le tensioni nominali di tutti gli avvolgimenti
compaiono simultaneamente quando la tensione applicata ad uno di questi ha il suo valore
nominale.”
Queste definizioni non hanno validità per tutti i tipi di trasformatori; ad esempio, nel caso di
trasformatori di isolamento, la definizione di tensione nominale per gli avvolgimenti indotti è
leggermente diversa: “Tensione nominale secondaria è la tensione, assegnata dal costruttore
al trasformatore, quando il trasformatore è alimentato alla tensione primaria nominale, alla
frequenza nominale, con la corrente secondaria nominale e fattore di potenza nominale”.
Fatte salve queste diverse definizioni, resta il fatto che la tensione nominale primaria o
tensione nominale di alimentazione del trasformatore è una grandezza molto importante per il
corretto impiego di questa macchina. Da un punto di vista puramente astratto si potrebbe
pensare che un trasformatore possa essere convenientemente impiegato, per soddisfare
richieste diverse di tensione secondaria, qualora se ne vari corrispondentemente la tensione di
alimentazione. Un’operazione di questo tipo prevederebbe di alimentare il trasformatore a
valori di tensione diversa da quella definita dal costruttore. Tale operazione può essere lecita,
ma occorre tenere presenti le implicazioni fisiche del concetto di tensione nominale.
Tali implicazioni riguardano non tanto i problemi di rigidità dielettrica degli isolamenti,
quanto lo sfruttamento magnetico del nucleo in ferro con cui l’avvolgimento si concatena.
Se, ad esempio, si considera l’avvolgimento primario di un trasformatore durante il
funzionamento a vuoto, è noto che tra la tensione di alimentazione ed il flusso concatenato
con l’avvolgimento esiste, in condizioni di regime sinusoidale, la seguente relazione:
V =ω ⋅N ⋅
Φ max
2
≅ 4.44 fNΦ max
Quindi la tensione di alimentazione
determina il flusso presente nella
struttura magnetica del trasformatore.
Alimentare
il
primario
del
trasformatore con valori di tensione
diversi dal valore nominale significa
far funzionare il trasformatore in
condizioni magnetiche diverse da
quelle previste dal costruttore.
V’ Φ’
Vnom Φnom
P’
P
i
imagn
i’magn
Caratteristica di eccitazione del trasformatore a vuoto
143
PROF. ANDREA CAVAGNINO
E’ noto che, al crescere del flusso in un elettromagnete, la corrente magnetizzante cresce
secondo una caratteristica di eccitazione affetta da saturazione come illustrato indicativamente
nella figura precedente. In un trasformatore correttamente progettato la tensione nominale è
fissata in modo che il suo circuito magnetico lavori poco sopra il ginocchio della
caratteristica: in tal modo si ottiene il compromesso tra il raggiungimento di elevati valori di
flusso ed il contenimento della corrente magnetizzante.
Se si alimentasse il trasformatore ad una tensione più alta del valore nominale si rischierebbe
di assorbire una corrente a vuoto molto elevata con conseguente aumento delle perdite nei
conduttori dell’avvolgimento e riduzione dell’efficienza del trasformatore.
Viceversa se si alimentasse il primario ad una tensione più bassa del valore normale, non si
avrebbero gli inconvenienti sopra descritti, ma il ferro del trasformatore sarebbe sotto
sfruttato magneticamente e conseguentemente anche la macchina sarebbe male utilizzata
rispetto alle sue potenzialità.
L’espressione della tensione (pagina precedente) evidenzia che il concetto di tensione normale
di alimentazione è legato anche alla frequenza. In particolare, fermo restando lo sfruttamento
del ferro del nucleo, al variare della frequenza di alimentazione si dovrebbe variare
corrispondentemente il valore della tensione normale. Il condizionale è necessario poiché un
aumento della frequenza di alimentazione a parità di flusso provocherebbe un aumento
consistente delle perdite nel ferro(1); è quindi prudente ridurre gradualmente il flusso normale
del trasformatore al crescere della frequenza al fine di mantenere inalterate le perdite.
Potenza nominale
Il trasformatore deve avere una potenza nominale assegnata per ciascun avvolgimento che
deve essere riportata sulla targa. Questo è un valore di riferimento per le garanzie e le prove
concernenti le perdite a carico ed il riscaldamento.
Le Norme CEI definiscono la potenza nominale (SN) come “valore convenzionale della
potenza apparente assegnata ad un avvolgimento che, insieme con la tensione nominale
dell’avvolgimento, ne definisce la sua corrente nominale”.
Le Norme aggiungono inoltre che: “per trasformatori di potenza a due avvolgimenti il valore
di potenza nominale è uguale per entrambi gli avvolgimenti e questo valore costituisce la
potenza nominale del trasformatore. Nel caso di trasformatori a più avvolgimenti, la metà
della somma aritmetica delle potenze nominali di tutti gli avvolgimenti fornisce
un’indicazione grossolana del dimensionamento del trasformatore equivalente a due
avvolgimenti”.
Il concetto di potenza di dimensionamento di un trasformatore e la sua relazione con il
concetto di potenza nominale sarà illustrato al paragrafo 3.9.2.
Per chiarire il concetto di potenza nominale le Norme aggiungono che, “quando al primario
del trasformatore è applicata la tensione nominale e al secondario circola la corrispondente
corrente nominale, il trasformatore opera alla sua potenza nominale”.
Appare evidente da questa definizione normativa che, quando il trasformatore opera in
condizioni di potenza nominale, la potenza apparente che esso fornisce al carico, è diversa
dalla potenza nominale. Tale differenza è da imputare alla differenza di valori tra la tensione
nominale secondaria (tensione a vuoto) e la tensione secondaria operativa (tensione a carico).
Il trasformatore deve essere adatto a trasmettere la sua potenza nominale senza eccedere i
limiti di temperatura previsti per il suo funzionamento.
(1)
Si riveda la dipendenza delle perdite nel ferro per correnti parassite ed isteresi dalla frequenza al paragrafo 1.4.
144
MACCHINE ELETTRICHE
Appare evidente dalle sopra esposte definizioni che:
il concetto di potenza nominale del trasformatore è strettamente dipendente, dal punto
di vista progettuale e normativo, dai valori di tensione e corrente nominali dei singoli
avvolgimenti.
Il valore di potenza nominale attribuibile ad un trasformatore è fisicamente collegato al
riscaldamento che la macchina subisce a carico, in conseguenza delle perdite nel rame
e nel ferro.
Da quest’ultimo punto si evince l’utilità di definire la potenza nominale del
trasformatore in termini di potenza apparente (VA) e non di potenza attiva (W). Da
quanto visto al paragrafo 3.8 il trasformatore si riscalda:
1. per effetto di perdite nel rame che dipendono dal quadrato della corrente efficace di
carico;
2. per effetto di perdite nel ferro che dipendono dal quadrato del valore efficace della
tensione di alimentazione.
Nessuna rilevanza ha lo sfasamento tra tensione e corrente erogata nella determinazione
delle perdite totali e nel riscaldamento della macchina.
I valori di potenza nominale fino a 10 MVA sono generalmente unificati secondo una serie
preferenziale di numeri:
… - 1 – 1.25 – 1.6 – 2.0 – 2.5 – 3.15 – 4.0 – 5.0 – 6.3 – 8.0 –10.0 - …
Corrente nominale
Corrente nominale (IN) di un avvolgimento è la “corrente che passa per un terminale di linea
di un avvolgimento e che si ricava dalla potenza nominale (SN) e dalla tensione nominale (VN)
dell’avvolgimento”.
La corrente nominale si calcola secondo le seguenti relazioni:
S
IN = N
VN
IN =
per avvolgimenti monofase
(3.32)
SN
per avvolgimenti trifase
3V N
Il significato di corrente nominale è usualmente collegato con l’effetto Joule che si manifesta
in un conduttore percorso da corrente. La corrente nominale di un avvolgimento è quel valore
di corrente che in condizioni normali di alimentazione produce un riscaldamento tollerabile,
dove il concetto di riscaldamento tollerabile è identificato da una temperatura massima
ammissibile per l’avvolgimento (fissata dagli isolanti).
In pratica e con una certa approssimazione, si può ritenere che valga la seguente relazione
lineare tra perdite Joule e la sovratemperatura dell’avvolgimento.
∆θ = θ − θ amb =
2
Rb I eff
K S ⋅ Sb
(3.33)
dove:
θamb .......temperatura ambiente;
Rb ..........resistenza dell’avvolgimento;
145
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Ieff .........corrente efficace dell’avvolgimento;
KS .........coefficiente di scambio termico dell’avvolgimento;
Sb ..........superficie dell’avvolgimento verso l’ambiente.
Quindi la corrente nominale risulterebbe valutabile dalla seguente espressione:
IN =
K S ⋅ S b (θ lim − θ amb )
Rb
(3.34)
La (3.34) ha una valenza puramente qualitativa, tuttavia essa fornisce precise indicazioni
generali sulle grandezze che possono influenzare la definizione della corrente ammissibile o
corrente nominale dell’avvolgimento. Infatti, si può osservare che la corrente nominale
dell’avvolgimento:
cresce al diminuire della resistenza (aumento della sezione del conduttore);
cresce al crescere della superficie di scambio termico Sb (avvolgimento suddiviso in più
strati separati da canali di raffreddamento);
cresce al migliorare del coefficiente di scambio termico (raffreddamento in aria per
convezione naturale, in aria per circolazione forzata, in olio etc.)
cresce al crescere della temperatura limite ammissibile θlim (isolamento in olio,
isolamento in classe A,B,F,H )
Va osservato infine che, per trasformatori destinati a particolari tipi di servizio non
continuativo, il valore nominale della corrente può essere correlato al particolare tipo di
utilizzo. Le Norme prevedono i seguenti tipi di servizio:
Funzionamento continuativo è il funzionamento per un periodo illimitato.
Funzionamento temporaneo è un funzionamento per un periodo determinato a partire
dalla temperatura ambiente, con gli intervalli tra ciascun periodo di funzionamento
sufficienti da permettere all’apparecchio di tornare ad una temperatura simile alla
temperatura ambiente.
Funzionamento intermittente è un funzionamento in una serie di cicli identici
specificati.
Il valore di corrente nominale di uno stesso avvolgimento può risultare conseguentemente più
basso se è previsto un funzionamento continuo del trasformatore, ovvero più elevato, se è
previsto che il tipo di servizio sia temporaneo o intermittente come illustrato in figura.
θ∞ di regime termico
θlim
θ(t)
IN per servizio continuo
θ(t)
Corrente nominale
per servizio
intermittente
Andamento delle temperature dei conduttori per diverse condizioni di servizio
146
MACCHINE ELETTRICHE
3.9.2 Potenza di dimensionamento di un trasformatore
Sulla base di quanto discusso sinora è possibile stabilire una relazione tra la potenza nominale
e le dimensioni di un trasformatore sulla base di alcune ipotesi preliminari.
Si consideri allo scopo un trasformatore monofase di cui siano date la potenza nominale SN, le
tensioni nominali primaria e secondaria V1N, V20. Le correnti nominali, primaria e secondaria
sono desumibili dalla seguente relazione:
S N = V1N I1N = V2 N I 2 N
(3.35)
Indicati con ΦN e con BN rispettivamente i valori massimi del flusso nominale e
dell’induzione nominale si può scrivere:
1
~
ˆ = 1 N ωBˆ S
V1N =
N1ωΦ
N
1
N fe
2
2
1
~
ˆ = 1 N ωBˆ S
V2 N =
N 2 ωΦ
N
2
N fe
2
2
(3.36)
dove:
~, ^
N1, N2
ω = 2π ⋅ f
indicano rispettivamente valori efficaci e valori massimi;
sono i numeri di spire degli avvolgimenti primari e secondari;
è la pulsazione elettrica di alimentazione;
Sfe
è la sezione netta di ferro del nucleo del trasformatore.
Le espressioni (3.36) pongono in relazione le tensioni nominali degli avvolgimenti del
trasformatore con i principali parametri geometrici dell’avvolgimento (N1) e del nucleo (Sfe),
attraverso la frequenza d’alimentazione e l’impostazione di un opportuno valore d’induzione
(BN).
Per quanto concerne la scelta di BN, va detto che essa è frutto di un compromesso: un valore
troppo piccolo comporta grandi sezioni di nucleo e/o elevati numeri di spire
dell’avvolgimento; viceversa, alti valori d’induzione possono portare a saturazione del ferro
con conseguente eccessivo aumento della corrente magnetizzante e delle perdite. Tipicamente
i valori di induzione usati nelle costruzioni si attestano tra i valori 1.2 T ÷ 1.9 T, in relazione
alla taglia del trasformatore e alla qualità del materiale magnetico.
Dalle (3.36) è possibile anche osservare che al crescere della frequenza di alimentazione
l’avvolgimento viene a rimpicciolire. Questo fatto è tipico non solo del trasformatore ma di
tutte le macchine elettriche in alternata.
Un secondo gruppo di relazioni riguarda le dimensioni dei conduttori con cui vengono
costruiti gli avvolgimenti. La sezione dei conduttori deve essere adeguata alle correnti
nominali. Il problema della scelta della sezione del conduttore in funzione della corrente che
esso dovrà sopportare è collegato al problema del riscaldamento dell’avvolgimento, alla
temperatura massima di funzionamento dell’isolamento, alle modalità di asportazione del
calore prodotto per effetto Joule. Tuttavia si può ritenere che un parametro mediamente
significativo delle condizioni termiche sia la densità di corrente efficace J adottata nel
dimensionamento dei conduttori. In questi termini e ritenendo di usare la stessa densità di
corrente per i conduttori dei due avvolgimenti, si possono scrivere le seguenti relazioni:
~
~
I1N
I 2N
S c1 = ~ ; S c 2 = ~ ;
(3.37)
J
J
dove:
Sc1, Sc2
sono rispettivamente le sezioni dei conduttori primari e secondari.
147
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Se si considera la definizione di potenza nominale rappresentata dalle (3.35) e si sostituisce
alle tensioni e correnti nominali le loro espressioni (3.36) e (3.37), si ottiene:
SN =
1
~
~
N1ωBˆ N S fe J S c1 =
N 2 ωBˆ N S fe J S c 2
2
2
1
(3.38)
Tenendo presente che, in base alla (3.38), i prodotti N1Sc1 ed N2 Sc2 sono circa uguali, si può
osservare che essi rappresentano la sezione netta di rame delle bobine primarie e secondarie,
come illustrato nella figura seguente.
Sfe
Sa1
Sa2
Dimensioni del ferro e del rame del trasformatore
Sa1 = N1Sc1 e Sa2 = N2Sc2 rappresentano la richiesta netta di spazio per poter collocare i due
avvolgimenti entro la finestra del nucleo. Occorre precisare, a questo proposito, che Sa1, Sa2,
Sfe sono tutte sezioni nette di materiale; nella realtà gli ingombri così definiti devono essere
maggiorati in base alla possibilità di stipare il materiale attivo: ferro e rame. Al momento
questo aspetto non è rilevante; supporremo quindi che lo stipamento sia perfetto e che
ingombri netti e lordi coincidano.
Indicando con l’unico simbolo Sa la sezione delle due bobine, la (3.38) potrà essere scritta nel
modo seguente:
SN =
1
2
~
ω ⋅ Bˆ N ⋅ J ⋅ S fe ⋅ S a
(3.39)
Questa espressione assume un significato importante. Essa può essere assunta come base per
il dimensionamento del trasformatore. Infatti, supponendo di aver definito, sulla base delle
considerazioni sopra delineate, gli indici di sfruttamento dei due materiali attivi (BN : densità
di flusso per il ferro, J: densità di corrente per i conduttori), la (3.39) pone in relazione la
potenza nominale del trasformatore con le principali dimensioni e trasforma il problema di
dimensionamento in un problema strettamente geometrico.
Per questo motivo la potenza nominale del trasformatore assume, almeno in questo caso, il
significato di potenza di dimensionamento.
Questa coincidenza di concetti è valida quando i due avvolgimenti del trasformatore devono
trasferire la stessa potenza elettrica. Quando il trasformatore è dotato di più avvolgimenti di
potenza diversa, o quando i due avvolgimenti non hanno la stessa potenza nominale, la
sezione di rame di ciascun avvolgimento e il corrispondente ingombro sarà commisurato alla
rispettiva potenza.
148
MACCHINE ELETTRICHE
Pertanto il trasformatore non avrà una potenza nominale unica, ma tante potenze nominali
diverse quanti sono gli avvolgimenti.
La potenza di dimensionamento in questo caso dovrà essere definita come segue:
S dim =
~
 S + S a 2 + L + S an 
ω ⋅ Bˆ N ⋅ J ⋅ S fe ⋅  a1

n
2


1
(3.40)
Tornando alla relazione (3.39) si può osservare facilmente che il problema geometrico, che
tale relazione pone, non ha un’unica soluzione. A parità di sfruttamento dei materiali attivi e
di potenza nominale richiesta si possono prospettare soluzioni che prevedano sezioni di ferro
maggiori e corrispondentemente sezioni di rame minori, o viceversa. Questo grado di libertà
può essere sfruttato per fornire al trasformatore caratteristiche particolari. A titolo d’esempio
ed in linea generale si può sottolineare quanto segue.
Una maggiorazione di Sfe e la corrispondente riduzione di Scu comportano:
un aumento del volume di ferro,
una riduzione del volume di rame,
un aumento delle perdite a vuoto,
una riduzione delle perdite a carico,
una riduzione delle reattanze di dispersione,
una riduzione della tensione di corto circuito.
3.9.3 Considerazioni di scala sul trasformatore
Queste considerazioni riguardano la possibilità di prevedere come si modificano le
caratteristiche funzionali e i parametri di un trasformatore, quando se ne varino le dimensioni
e si lascino inalterati gli indici di sfruttamento dei materiali attivi (induzione BN nel ferro e
densità di corrente J nei conduttori ). Attraverso ragionamenti basati sui concetti di scala è
possibile non solo procedere ad un pre-dimensionamento estremamente rapido di esemplari di
potenza diversa, ma anche rendere ragione di alcuni aspetti peculiari e di alcuni limiti
concernenti i trasformatori.
Si supponga di voler costruire un trasformatore prendendo come modello un esemplare già
costruito ed alterandone secondo un rapporto fisso λ tutte le dimensioni. Nell’eseguire questa
operazione si immagini di mantenere inalterati i valori di induzione nominale BN e di densità
di corrente nominale J usati nell’esemplare preso a modello.
Ci si chiede quali saranno le caratteristiche della nuova macchina. Per il nuovo trasformatore
verranno presi in esame nel seguito i valori delle grandezze nominali, dei parametri del
circuito equivalente, delle perdite, del rendimento e delle sovratemperature raggiunte. Questi
valori verranno contrassegnati con apice per distinguerli da quelli relativi al modello di
partenza.
Potenza nominale
Secondo quanto visto al precedente paragrafo e in base alla (3.39) la potenza nominale
dipende dal prodotto di due aree: Sfe ed Sa; tale prodotto varia con la 4a potenza delle
dimensioni lineari del trasformatore e pertanto, dato il rapporto di similitudine lineare λ, si
ottiene:
S' N = λ4 ⋅ S N
(3.41)
149
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Tensione nominale
Analogamente, sulla base della (3.36), la tensione nominale di ciascun avvolgimento varia in
relazione alla sezione del nucleo e al numero di spire secondo la seguente relazione:
1
VN =
2
NωBˆ N S fe
(3.42)
Se nel processo di copiatura non si altera il numero di spire (N’ = N) la tensione nominale
cresce quadraticamente col rapporto di similitudine:
V ' N = λ2 ⋅ V N
(3.43)
Se nel processo di copiatura si vuole mantenere invariato il valore di tensione nominale della
macchina, sarebbe sufficiente modificare il numero di spire degli avvolgimenti in base al
seguente criterio:
N'=
N
λ2
→ V ' N = VN
In generale, se si pensa di alterare il numero di spire dell’avvolgimento secondo un rapporto
ν = N’/N, dalla (3.42) si ha:
V ' N = ν ⋅ λ2 ⋅ V N
Corrente nominale
L’espressione della corrente nominale è fornita dalla relazione:
S
IN = a JN
N
(3.44)
In tal caso la sezione dei conduttori dell’avvolgimento aumenta proporzionalmente con la
sezione della bobina e inversamente al numero di spire:
I 'N =
λ2
IN
ν
(3.45)
Corrente magnetizzante
La corrente magnetizzante è, come noto, la corrente necessaria a produrre il campo magnetico
nel nucleo del trasformatore. Nota l’induzione nominale BN nel nucleo e nota la caratteristica
magnetica del ferro, tale corrente (se si trascurano i piccoli traferri tra le giunzioni del nucleo)
è esprimibile nella seguente forma:
( )
NIˆm ≅ l fe ⋅ H fe Bˆ N
(3.46)
dove lfe è la lunghezza della linea media di campo nel nucleo.
Conseguentemente la relazione tra nuova e vecchia corrente magnetizzante è data da:
λ
(3.47)
Im
ν
Si osserva che la corrente magnetizzante cresce meno rapidamente della corrente nominale
dell’avvolgimento al crescere delle dimensioni del trasformatore.
Il suo valore, riferito percentualmente alla corrente nominale, varia secondo la seguente
espressione:
I 'm =
150
MACCHINE ELETTRICHE
i 'm % =
1
λ
im %
(3.48)
Si deduce che trasformatori di grossa potenza hanno una corrente magnetizzante percentuale
tendenzialmente più piccola rispetto ai trasformatori di piccola potenza.
Pesi, perdite e rendimento
Il peso dei materiali attivi del trasformatore e del trasformatore nel suo complesso varia con i
rispettivi volumi. Quindi:
G ' fe = λ3G fe ;
G ' cu = λ3Gcu ;
G ' tot = λ3Gtot
(3.49)
conseguentemente, poiché le perdite nei materiali attivi, a parità di indici di sfruttamento,
dipendono dal peso degli stessi, si ottiene:
P ' fe = λ3 Pfe ;
P ' j , cu = λ3 Pj , cu ;
P ' tot = λ3 Ptot
(3.50)
Il fatto che perdite e pesi varino con la 3a potenza del rapporto di similitudine λ,
congiuntamente alla considerazione che la potenza nominale del trasformatore varia con la 4a
potenza dello stesso , chiarisce le ragioni per cui i trasformatori hanno rapporti Potenza/Peso e
rendimenti tanto più elevati quanto maggiore è la loro potenza nominale. Un unico grande
trasformatore pesa meno, consuma meno energia e costa meno di un gruppo di trasformatori
più piccoli di potenza complessiva equivalente.
Temperature
Le sovratemperature raggiunte da un trasformatore nel funzionamento a carico a causa delle
perdite, dipendono dalla capacità dello stesso di smaltire il calore prodotto verso l’ambiente
esterno. Una relazione estremamente semplice per descrivere il fenomeno di trasmissione del
calore può essere la seguente:
∆θ =
Ptot
K S ⋅ St
(3.51)
dove:
∆θ.........è la sovratemperatura media tra il trasformatore e l’ambiente,
Ptot ........sono le perdite totali del trasformatore,
KS .........è il coefficiente di scambio termico,
St ..........è la superficie attraverso cui viene trasmesso il calore.
Poiché le perdite del trasformatore crescono con la 3a potenza delle dimensioni lineari, mentre
le superfici naturali di scambio termico crescono solo con il quadrato delle dimensioni,
risulta:
∆θ ' = λ ⋅ ∆θ
(3.52)
Più grande è il trasformatore, maggiori difficoltà si incontrano a raffreddarlo.
Per questo motivo, mentre piccoli trasformatori non hanno particolari dispositivi, se non la
convezione naturale dell’aria circostante, per provvedere al loro raffreddamento, i grandi
trasformatori hanno sistemi sofisticati di raffreddamento basati sia sull’aumento delle
superfici di scambio (canali di ventilazione, superfici radianti alettate, etc.), sia sul
miglioramento del coefficiente di scambio (raffreddamento in olio a circolazione naturale, a
circolazione forzata, etc.).
151
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Parametri del circuito equivalente
N 2 ⋅ lm
Sa
Resistenza di bobina:
R= ρ
Resistenza perdite ferro:
V2
R fe = N
P fe
Xd =
Reattanza di dispersione:
Reattanza di magnetizzazione: X m =
→
N2
ℜd
R' =
ν2
R
λ
→
R' fe = ν 2 λ R fe
→
X 'd = ν 2 λ X d
N ⋅ S fe Bˆ N
~
2I m
→
X 'm = ν 2 λ X m
Sulla base di queste ultime relazioni si può osservare che, al crescere delle dimensioni del
trasformatore la resistenza di cortocircuito tende a diminuire mentre la reattanza di corto
circuito aumenta; pertanto l’impedenza di cortocircuito di un grande trasformatore assume un
carattere prevalentemente reattivo e la tensione di corto circuito risulta:
Vcc ≈ X cc I N
→
V 'cc = νλ 3Vcc
(3.53)
mentre il corrispondente valore percentuale varia nel modo seguente:
V
vcc % = 100 cc
VN
→
v'cc % = λ ⋅ vcc %
(3.54)
Al crescere delle dimensioni e della potenza del trasformatore il valore della tensione
percentuale di corto circuito, sia pure molto lentamente, aumenta. Nei trasformatori di grossa
taglia esso può risultare eccessivo ed occorre in questo caso ricorrere ad artifici costruttivi che
consentano di ridurre le reattanze di dispersione (ad esempio, adottando avvolgimenti a
bobine primarie e secondarie intercalate)
Le valutazioni di scala fin qui svolte forniscono informazioni sullo sviluppo naturale della
crescita di dimensioni del trasformatore qualora venissero mantenuti inalterati gli sfruttamenti
dei materiali e le proporzioni geometriche della macchina. Ovviamente non tutte le tendenze
sopra esposte possono essere accettate in modo acritico in fase di progetto e quindi correttivi
diversi dovranno essere presi per riportare lo sviluppo del dimensionamento entro i binari
delle particolari esigenze di impiego.
Nella seguente tabella sono riportati i dati di una famiglia di trasformatori da distribuzione
isolati in resina.
Targa di trasformatori da distribuzione con isolamento in resina V1n/V20 = 20[kV]/400[V]
SN [kVA]
100
160
250
315
400
500
630
800
1000
1250
1600
2000
2500
3150
Perdite Fe [kW]
0.46
0.65
0.88
1.03
1.20
1.40
1.65
2.00
2.30
2.80
3.10
4.00
5.00
6.30
Perdite Cu 75° [kW]
1.80
2.30
3.40
4.00
4.80
5.70
6.80
8.20
9.60
11.5
14.0
17.5
20.0
23.0
Perdite Cu 120°
2.05
2.70
3.80
4.60
5.50
6.50
7.80
9.40
11.0
13.1
16.0
20.0
23.0
26.0
Vcc % a 75°
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
7
Io %
2.5
2.3
2
1.8
1.5
1.5
1.3
1.3
1.2
1.2
1.2
1.1
1
1
152
MACCHINE ELETTRICHE
I diagrammi riportati qui di seguito illustrano gli andamenti delle perdite nel ferro, nel rame
ed il rendimento in funzione della potenza nominale delle macchine, ad illustrazione ed a
parziale conferma delle deduzioni sopra riportate.
Pcu, 30
Pfe
im3%
[kW]
25
2.5
0.992
0.990
im % = 8.68 Sr-0.28
Rendimento
20
Pcu = 0.058 Sr0.76
2
0.988
0.986
0.984
0.982
0.980
15
1.5
10
1
5
0.978
0.5
Pf e = 0.0148 Sr0.74
Sr [kVA]
0.976
0
0
1000
2000
3000
4000
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0
3500
Andamento della corrente magnetizzante percentuale, delle perdite e del rendimento in
funzione della potenza nominale in una famiglia di trasformatori da distribuzione.
Sulla base delle relazioni (3.41), (3.48) e (3.50) dovrebbe risultare:
0.75
P fe = K fe ⋅ S N
0.75
Pcu = K cu ⋅ S N
− 0.25
im % = K im ⋅ S N
In effetti, le indicazioni ottenute da interpolazione delle distribuzioni non differiscono molto
dagli andamenti ideali.
153
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.10 – Trasformatore trifase
Poiché l’energia elettrica è prodotta, trasportata e distribuita con sistemi trifasi caratterizzati
ognuno da un diverso livello di tensione nasce l’esigenza di interconnetterli tramite
trasformatori trifasi.
In linea di principio la connessione di due reti trifasi potrebbe essere ottenuta attraverso
l’impiego di tre trasformatori monofase. Un esempio di questa possibilità è riportato nella
figura seguente. In questo caso, le tre bobine del sistema trifase primario sono collegate a
stella così come quelle del sistema secondario: ciascun trasformatore provvede quindi alla
conversione di potenza di una singola fase.
r
s
t
R
S
T
Trasformazione con tre trasformatori monofase e connessione a stella.
Questa soluzione si rivela dispendiosa, ingombrante e, nella stragrande maggioranza dei casi,
non necessaria. Al paragrafo 3.1.3 è stato chiarito come sia possibile realizzare un’unica
struttura di trasformatore trifase sfruttando le simmetrie del sistema trifase stesso. Infatti, la
somma di tre flussi sinusoidali egualmente sfasati e di eguale ampiezza è nulla. La figura
seguente illustra nuovamente le strutture dei nuclei magnetici per trasformatori trifasi
commentate al paragrafo indicato.
a tre colonne
a cinque colonne
corazzato
Nuclei magnetici di trasformatori trifase.
La struttura a 3 colonne è quella usualmente impiegata nella trasformazione MT-BT. La
colonna centrale del trasformatore si trova in una posizione magneticamente asimmetrica
rispetto alle altre due, pertanto la struttura viene anche detta asimmetrica a tre colonne.
Nella figura seguente è rappresentato lo schema un tipico trasformatore trifase a 3 colonne e
sono evidenziati i possibili percorsi dei flussi e la disposizione delle bobine primarie e
secondarie. Si noti che ogni colonna porta l’avvolgimento primario e secondario di una fase.
154
MACCHINE ELETTRICHE
N2
N1
Φo
ΦpR
ΦpS
flusso
omopolare
ΦpT
Trasformatore trifase e schema dei percorsi di flusso principale e omopolare
Con riferimento alla figura si indicano con ΦpR , ΦpS , ΦpT i flussi principali che, in ciascuna
colonna, si concatenano con entrambe le bobine primarie e secondarie delle rispettive fasi del
trasformatore.
Se la somma dei tre flussi principali non risulta nulla in ogni istante di tempo, si deve
prevedere un percorso in aria per la richiusura delle linee di campo. Questo flusso, che si
richiude tra giogo superiore e giogo inferiore del trasformatore con un percorso esterno alla
struttura magnetica, viene detto flusso omopolare. Il flusso omeopolare può essere
responsabile di eventuali interferenze e disturbi su apparecchiature e circuiti posti in
prossimità del trasformatore.
3.10.1 – Trasformatore trifase con alimentazione simmetrica e carico
equilibrato. Circuito equivalente del trasformatore trifase.
Il funzionamento in regime sinusoidale del trasformatore trifase viene analizzato solo nel caso
in cui il sistema di alimentazione sia simmetrico ed il carico connesso al secondario sia
equilibrato (carico costituito da tre impedenze uguali in modulo e fase). In queste condizioni
la macchina trifase lavora come tre trasformatori monofasi indipendenti. Ne consegue che
anche il circuito equivalente descrittivo del funzionamento di una fase coinciderà con il
circuito equivalente della macchina monofase.
A rigore, per poter considerare valide le affermazioni precedenti, sono necessarie ulteriori
ipotesi per il trasformatore. In particolare si suppone che:
Simmetria magnetica delle tre fasi: il percorso delle linee di flusso di ciascuna fase è
identico a quello delle altre fasi.
Linearità magnetica del nucleo: il ferro del nucleo viene considerato esente da
fenomeni di non linearità e di isteresi.
Uguaglianza elettrica delle fasi primarie e secondarie: le tre bobine primarie
possiedono la stessa resistenza e la stessa reattanza di dispersione. Inoltre sono tutte e
tre costituite da N1 spire. Analogamente le tre bobine secondarie sono identiche in
termini di resistenza, reattanza di dispersione e numero spire (N2).
155
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Per fissare le idee si ipotizzi inizialmente che sia le bobine primarie che le bobine secondarie
siano connesse a stella (come sarà meglio specificato in seguito tale connessione viene
indicata connessione Yy). Anche le impedenze che costituiscono il carico del trasformatore
siano collegate a stella.
Grazie alle ipotesi fatte il conduttore di neutro al secondario non è necessario in quanto non è
percorso da corrente (stella dei fasori delle correnti secondarie equilibrata, tensione VNN’ = 0).
V2 fase
V1 fase
R
I1
V1
N
S
s
T
V2 carico
I2
r
Zc
V2
V2
Zc
t
N’
Zc
Configurazione elettrica del trasformatore trifase: connessione Yy (sistema simmetrico ed equilibrato)
I1R
I2S
I3T
V1R
V2S
V3T
I1r
I2s
I3t
V1r
V2s
V3T
Φ0
ΦpT
ΦpR
ΦpS
Struttura magnetica del trasformatore
Sono rappresentate le grandezze elettriche di fase di ogni bobina.
Le figure precedenti rappresentano, rispettivamente, lo schema delle connessioni elettriche del
trasformatore e del carico, la struttura magnetica ed i percorsi dei flussi principali di
macchina.
Grazie alle ipotesi di simmetria magnetica ed elettrica indicate in precedenza, si possono fare
le seguenti considerazioni:
Il flusso omeopolare è nullo: Φ pR + Φ pS + Φ pT = Φ 0 = 0
Tutte le terne delle grandezze elettriche (tensioni di fase primarie e secondarie,
correnti primarie e secondarie) sono a somma nulla.
Pertanto ogni colonna (fase) del trasformatore risulta disaccoppiata dalle altre e lavora come
un trasformatore monofase con rapporto di trasformazione pari al rapporto spire N1 / N2.
È immediato osservare che il rapporto di trasformazione del trasformatore trifase con
connessione Yy, definito come il rapporto della tensione nominale concatenata primaria e la
tensione a vuoto concatenata secondaria, coincida con il rapporto spire. Si presti però
attenzione che questa non è una regola generale: quando il collegamento del primario è
diverso da quello del secondario, il rapporto di trasformazione non coincide con il rapporto
spire.
156
MACCHINE ELETTRICHE
Tornando al caso in studio, si può quindi definire il seguente circuito equivalente monofase a
stella, ovvero descrittivo del funzionamento di una singola fase del sistema. Tale circuito
permette di calcolare le grandezze di fase (tensioni e correnti) di un trasformatore trifase con
collegamento Yy. Le potenze gestite dal trasformatore trifase sono tre volte le potenze
calcolabili dal circuito equivalente monofase.
I1
I’2
t:1
Z’’cc= Z’’1+ Z2
I2
I0
V1 fase = V1/
3
V20 fase = V20/
Z0
3
V2 fase = V2/
3
Circuito equivalente monofase a stella del trasformatore
(impedenza ci cortocircuito riferita al secondario)
Nelle applicazioni di calcolo si farà sempre riferimento al circuito equivalente monofase
a stella, indipendentemente dall’effettivo tipo di collegamento delle bobine primarie e
secondarie. Ciò è possibile a patto che il riporto dei parametri avvenga con il rapporto di
trasformazione della connessione reale t = V1N/V20 (e non del rapporto spire, n = N1 / N2).
Ovviamente anche l’elaborazione della prova a vuoto e della prova in cortocircuito deve
essere eseguita pensando ad un collegamento equivalente Yy del trasformatore.
Per completezza si riporta il circuito equivalente trifase del trasformatore Yy, nel caso
simmetrico ed equilibrato finora considerato.
V1 fase
R
I1
V1
t :1
V20 fase
I2
V2 carico
Z’’cc
Z’’cc
T
Z’’cc
Z0
Z0
Zc
V2
V20
S
r
s
t
Zc
Zc
Z0
Circuito equivalente del trasformatore trifase: connessione Yy (sistema simmetrico ed equilibrato)
157
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.10.1.1 – Formule per il trasformatore trifase
Il funzionamento in regime sinusoidale del trasformatore trifase è risolto con il circuito
equivalente monofase a stella indicato alla pagina precedente. Ne consegue che tutte le
argomentazioni proposte per il trasformatore monofase rimangono vere anche per la macchina
trifase. Si ritiene però cosa utile fornire una raccolta di formule relativa al caso trifase da usare
negli esercizi di calcolo.
Grandezze di targa
Potenza nominale, [VA]
S N = 3 ⋅ V1N ⋅ I1N = 3 ⋅ V20 ⋅ I 2 N
Tensione nominale primaria (concatenata), [V]
V1N
Tensione nominale secondaria (concatenata), [V] V20
Corrente nominale primaria (di linea), [A]
I1N
Corrente nominale secondaria (di linea), [A]
I2N
Rapporto spire
n = N1 N 2
Rapporto di trasformazione
t = V1N V20
Prova a vuoto (eseguita alla tensione nominale, parametri riferiti al primario)(1)
Dati di prova
{V1N, I0, P0}
Fattore di potenza a vuoto
cos(ϕ 0 ) =
Potenza reattiva a vuoto, [VAR]
Q0 = P0 ⋅ tg (ϕ 0 )
P0
3 ⋅ V1N ⋅ I 0
V2
Resistenza equivalente delle perdite nel ferro, [Ω] R Fe = 1N
P0
Reattanza di magnetizzazione, [Ω]
V12N
Xm =
Q0
Impedenza a vuoto, [Ω]
Z 0 = R Fe // j ⋅ X m =
Corrente percentuale a vuoto, [%]
I0 % =
Potenza percentuale a vuoto, [%]
P0 % =
(1)
I 0 lato prova
I N lato prova
R Fe ⋅ j ⋅ X m
R Fe + j ⋅ X m
⋅ 100
P0
⋅ 100
SN
Per la misura della potenza (trifase) nella prova a vuoto ed in cortocircuito si utilizzano, tipicamente, due
wattmetri (inserzione Aron).
158
MACCHINE ELETTRICHE
Prova in cortocircuito (eseguita alla corrente nominale, parametri riferiti al secondario)
Dati di prova
{V2cc, I2N, Pcc}
Fattore di potenza di cortocircuito
cos(ϕ cc ) =
Potenza reattiva di cortocircuito, [VAR]
Qcc = Pcc ⋅ tg (ϕ cc )
Resistenza di cortocircuito secondaria, [Ω]
''
Rcc
=
Reattanza di cortocircuito secondaria, [Ω]
''
''
X cc
= Rcc
⋅ tg (ϕ cc ) =
Impedenza di cortocircuito, [Ω]
''
''
''
''
Z cc = Rcc
+ j ⋅ X cc
= Rcc
+ X cc
Tensione percentuale di cortocircuito, [%]
vcc % =
Potenza percentuale di cortocircuito, [%]
P
Pcc % = cc ⋅ 100
SN
Pcc
3 ⋅ V2cc ⋅ I 2 N
Pcc
3 ⋅ I 22N
Qcc
3 ⋅ I 22N
2
''
Vcc lato prova
V N lato prova
2
∠ϕ cc
⋅ 100
Tensione di cortocircuito
''
V2cc = 3 ⋅ Z cc
⋅ I 2N ;
'
V1cc = 3 ⋅ Z cc
⋅ I1N
Caduta di tensione da vuoto a carico (caduta di tensione industriale)
(
)
''
''
∆Vindustriale = V20 − V2 ≅ 3 ⋅ I 2 Rcc
⋅ cos(ϕ 2 ) + X cc
⋅ sin (ϕ 2 )
Corrente di cortocircuito (alla tensione nominale, guasto trifase franco)
I1cc =
V1N
'
3 ⋅ Z cc
;
I 2cc =
V20
''
3 ⋅ Z cc
Rendimento e rendimento convenzionale
η=
Perogata
Perogata + ∑ Perdite
ηconvenzionale =
=
3 ⋅ V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 )
''
⋅ I 22 + PFe
3 ⋅ V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 ) + 3 ⋅ Rcc
α ⋅ S N ⋅ cos(ϕ 2 )
α ⋅ S N ⋅ cos(ϕ 2 ) + α 2 ⋅ Pcc + P0
dove α è il fattore di carico (α = I2 / I2N).
159
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.10.2 – Collegamenti del trasformatore trifase e rapporto di trasformazione.
La struttura trifase degli avvolgimenti primari e secondari del trasformatore consente diversi
modi di connessione degli stessi alla rete di alimentazione ed al carico. Le due forme di
connessione usate più frequentemente sono quelle denominate rispettivamente stella (simbolo
Y per il primario e y per il secondario) e triangolo (simbolo D o d). Tuttavia, anche se più
raramente, viene usata anche la connessione a zig-zag (simbolo Z o z). Queste possibilità di
connessione portano ad alcune differenziazioni tipiche rispetto ai trasformatori monofase.
Connessione a stella
I1_linea
I2_linea
V12_linea
1
2
I1_fase
V23_linea
I3_linea
3
I2_fase
V31_linea
I3_fase
V2fas
V1fas
1
I1_linea=I1_fase
V1_fase
V12_linea
V3_fase V2_fase
3
V3fas
V23_linea
I2_linea=I2_fase I3_linea=I3_fase
2
Connessione a stella: relazioni tra grandezze di linea e di fase
Nel caso di alimentazione e carico simmetrici, valgono le seguenti relazioni:
V fase =
Vlinea
I fase = I linea ;
;
3
(3.55)
Connessione a triangolo
I1_linea
1
I2_linea
V12_linea
2
I1_fase
I3_linea
V23_linea
I2_fase
1
V12_linea=V1_fase
3
1
I1_fase
I3_fase
I1_linea
I2_linea
I3_fase
V1_fase
e
V2_fase
3
V3_fase
V31_linea=V3_fase
2
V23_linea=V2_fase
3
I2_fase
I2_linea
2
Connessione a triangolo: relazioni tra grandezze di linea e di fase
Nel caso di alimentazione e carico simmetrici valgono le seguenti relazioni:
V fase = Vlinea ;
160
I fase =
I linea
3
;
(3.56)
MACCHINE ELETTRICHE
Connessione a zig-zag
I1_linea
1
I2_linea
V12_linea
2
V1_fase
I1_fase
V23_linea
V2_fase
I2_fase
I3_linea
3
V3_fase
V1_fase
- E”2
I3_fase
E’1= E”1
E’1
E’1
E’2
E’3
E’2= E”2
E’3
E’3= E”3
E’2
V2_fase
-E”3
- E”1
E”1
E”2
E”3
V3_fase
Connessione a zig-zag: relazioni tra grandezze di linea e di fase
Nell’avvolgimento a zig-zag ciascuna fase consta di due semi-bobine disposte su colonne
diverse e collegate in senso opposto. Detta E la forza elettromotrice indotta in una semibobina
la tensione di fase può essere ricostruita secondo il diagramma precedente.
In questo caso si ottiene:
V fase = 3E
(3.57)
Nel caso di alimentazione e carico simmetrici, valgono le seguenti relazioni:
V fase =
Vlinea
3
;
I fase = I linea ;
(3.58)
A livello costruttivo, la connessione a stella è, in generale, preferibile rispetto alla
connessione a triangolo, specie negli avvolgimenti per alta tensione. Nel collegamento a
stella, a parità di tensione concatenata, la tensione che si localizza sulla bobina è √3 volte
inferiore a quella che si localizza sulla bobina del triangolo. Questo consente di ridurre
l’isolamento e di sfruttare meglio lo spazio a disposizione per l’avvolgimento.
Per quanto concerne, invece, il peso di materiale conduttore impiegato non ci sono differenze
tra i due tipi di connessione: se nella connessione a stella si ha un avvolgimento che necessita
di meno spire (in ragione di √3) rispetto al triangolo, in quest’ultimo la sezione del conduttore
è inferiore (sempre nella stessa ragione di √3) per il fatto che la corrente nel lato del triangolo
è inferiore alla corrente di linea.
La connessione a triangolo viene preferita alla connessione a stella quando il trasformatore
lavora in condizioni squilibrate ed origina un flusso omeopolare. Senza sviluppare i dettagli
del caso, l’avvolgimento a triangolo è in grado di reagire al flusso omopolare e di ridurre lo
squilibrio di flussi. Anche la connessione a zig-zag può essere utilizzata per quest’ultimo
scopo, ma la sua realizzazione prevede (a parità di potenza gestita dall’avvolgimento) un
maggior peso di rame ed un maggiore ingombro.
161
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Analizzando il diagramma di tensioni dell’avvolgimento a zig-zag, si osserva che, se si
ricollegano le 6 bobine dello zig-zag in modo da realizzare un normale collegamento a stella
con bobine di fase tutte sulla rispettiva colonna, si otterrebbe un avvolgimento caratterizzato
dalla stessa corrente ma con una tensione di fase pari a 2E ( anziché √3E ). Questo significa
che a parità di tensione complessiva di fase l’avvolgimento a zig-zag richiede una quantità di
rame pari a 2/√3 volte la quantità impiegata nella costruzione di un avvolgimento a stella.
Questo tipo di connessione è piuttosto raro ed, in quanto tale, non sarà più considerato nel
seguito.
È importante osservare che, quando il collegamento primario è dello stesso tipo del
secondario (trasformatori Yy e trasformatori Dd), il rapporto di trasformazione corrisponde al
rapporto delle spire tra la bobina primaria (N1)e la bobina secondaria (N2).
V
N
t = 1N = 1 = n
V20 N 2
Nel caso in cui il collegamento primario è diverso da quello secondario (trasformatori Yd e
trasformatori Dy), il rapporto di trasformazione di un trasformatore non corrisponde al
rapporto delle spire tra la bobina primaria e la bobina secondaria. In particolare, per i
trasformatori del tipo Yd, il rapporto di trasformazione vale:
V
t = 1N =
V20
3 ⋅ V1N Fase
V20 Fase
= 3⋅
N1
= 3⋅n
N2
(3.59)
mentre per i trasformatori del tipo Dy esso vale
V
t = 1N =
V20
162
V1N Fase
3 ⋅ V20 Fase
=
N1
1
=
⋅n
3 N2
3
1
⋅
(3.60)
MACCHINE ELETTRICHE
3.10.3 – Gruppo di appartenenza di un trasformatore trifase.
Le diverse possibilità di connessione degli avvolgimenti di un trasformatore trifase possono
dare origine ad uno sfasamento tra la terna delle tensioni primarie e la terna delle
corrispondenti tensioni secondarie.
A titolo di illustrativo, nella figura seguente è rappresentato il caso di un trasformatore con
collegamento primario a triangolo e secondario a stella. Dall’esame della figura si osserva
che, mentre la terna delle tensioni di fase primarie E’ e secondarie E” sono in fase tra loro(1),
la terna delle tensioni concatenate secondarie, a causa delle diverse connessioni, è ruotata di
un angolo pari a 330° in verso orario rispetto alla terna primaria. In altre parole, la terna di
tensioni concatenate secondarie ritarda di 330° elettrici rispetto alla corrispondente terna
primaria.
V’31
2’
1’
E’1
3’
V’12
V’12
V’23
V’12
E’1
E’2
V”31
2”
1”
V”12
E”1
V”23
E”2
E’3
E’3
E’2
E”1
3”
V”12
V”12
330°
E”3
E”3
E”2
Connessione Dy11
Si definisce gruppo di un trasformatore trifase la sigla letterale che identifica il tipo di
connessione degli avvolgimenti primari e secondari e l’indice numerico che identifica il
multiplo di 30° di cui la terna delle tensioni secondarie ritarda (cioè è ruotata in verso
orario) rispetto alla terna corrispondente delle tensioni primarie. Nell’esempio di figura, il
trasformatore è indicato con la sigla Dy11.
Cambiando il tipo di collegamento e la numerazione dei morsetti corrispondenti primari e
secondari è possibile realizzare dodici diversi valori dell’angolo di rotazione della terna di
tensioni secondarie, rispetto alla terna primaria. I dodici valori dell’angolo di rotazione sono
multipli di 30° e possono essere disegnati come le ore sul quadrante di un orologio.
Si definiscono i gruppi omonimi i gruppi caratterizzati dalla stessa lettera per primario e
secondario (ad esempio Yy, Dd). Viceversa, i gruppi eteronomi sono caratterizzati da lettere
diverse per primario e secondario (ad esempio Yd, Dy). I gruppi omonimi danno origine
esclusivamente a indici pari, mentre i gruppi eteronimi danno origine esclusivamente ad indici
dispari.
Dal punto di vista delle applicazioni i gruppi più rilevanti sono rappresentati dai gruppi 0 ed
11.
(1)
Si ricorda che ogni fase è avvolta sulla stessa colonna.
163
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Osservazione
Le norme CEI considerano gruppi normali i seguenti:
Gruppo
normale
0
5
6
11
Sfasamento
0°
150°
180°
330°
Possibili
collegamenti
Dd – Yy - Dz
Dy – Yd - Yz
Dd – Yy – Dz
Dy – Yd - Yz
Gli altri gruppi possono essere ricondotti ai gruppi normali effettuando una permutazione
ciclica dei nomi dei morsetti. Si osservi come questa operazione non richieda nessuna
modifica dei collegamenti interni del trasformatore. La modifica del gruppo normale di un
trasformatore richiede invece il “cambio fisico” delle sue connessioni interne.
Gruppo
normale
0
5
6
11
164
Gruppi riconducibili per permutazione
ciclica dei nomi dei morsetti
4, 8
1, 9
2, 10
3, 7
MACCHINE ELETTRICHE
3.11 – Parallelo di trasformatori
Due o più trasformatori funzionano in parallelo quando sono alimentati dalla stessa rete
primaria ed erogano potenza sullo stesso carico.
Nell’utilizzo dell’energia elettrica può spesso accadere che si debbano disporre in parallelo
più trasformatori per alimentare l’utenza elettrica. Questa esigenza può avere diverse origini:
Necessità di affiancare ad un trasformatore esistente un secondo trasformatore per
sopperire alle aumentate richieste di potenza da parte dell’utenza.
Necessità di frazionare la richiesta di potenza del carico attraverso più trasformatori, in
modo da garantire una continuità di servizio anche in caso di guasto di una macchina.
Opportunità di migliorare il rendimento della trasformazione adeguando di volta in
volta al carico richiesto il numero di trasformatori in servizio.
A fronte dei vantaggi citati vanno tuttavia enumerati anche alcuni svantaggi, che derivano da
questo tipo di scelta:
Occorre ricordare che l’impiego di una sola macchina di potenza corrispondente alla
potenza complessivamente richiesta dall’utenza, è più economico, in termini di
acquisto, rispetto all’impiego di più macchine di potenza inferiore.
L’impiego di più trasformatori in parallelo comporta una riduzione dell’impedenza di
cortocircuito complessiva, con aumento conseguente delle correnti di guasto in caso di
cortocircuito al secondario e maggior costo delle relative protezioni.
Sbarre
primarie
Sbarre
secondarie
Carico
Schema unifilare di due trasformatori trifasi in parallelo
Perché due o più trasformatori possano funzionare correttamente in parallelo, occorre che
siano rispettate alcune condizioni. La trattazione qui condotta si riferisce al caso di
trasformatori trifase, ma le conclusioni raggiunte possono essere estese anche al caso di
trasformatori monofase.
Per comodità di studio l’analisi è eseguita in due passi successivi:
funzionamento in parallelo a vuoto
funzionamento in parallelo a carico.
165
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Funzionamento in parallelo a vuoto
I trasformatori in parallelo funzionano a vuoto quando nessun carico viene richiesto alle
sbarre secondarie.
Condizione di corretto funzionamento: Nel funzionamento a vuoto non deve essere presente
corrente di circolazione tra i secondari dei trasformatori. Ovviamente, in queste condizioni,
una corrente di circolazione tra i diversi trasformatori provoca un’inutile dissipazione di
energia. Qualora non fosse possibile l’esatto annullamento della corrente di circolazione,
quest’ultima deve essere piccola (dell’ordine delle correnti a vuoto delle macchine).
Per rispettare la condizione di corretto funzionamento a vuoto si devono soddisfare i seguenti
requisiti:
Poiché i trasformatori devono essere alimentati dalla stessa rete primaria, occorre che
abbiano lo stesso valore di tensione nominale primaria.
Poiché, a vuoto, non deve circolare corrente nel secondario dei trasformatori, è
necessario che le tensioni secondarie a vuoto siano uguali in modulo e fase.
Questa condizione può essere anche enunciata in modo più articolato:
• I trasformatori devono avere la stessa tensione nominale secondaria, cioè lo stesso
rapporto di trasformazione.
• I trasformatori devono essere collegati in modo da presentare le tensioni
secondarie in fase (collegamento dei morsetti corrispondenti). Questo implica,
per i trasformatori trifasi, l’appartenenza allo stesso gruppo.
Le condizioni qui di sopra riportate si possono comprendere più facilmente facendo
riferimento al seguente circuito equivalente valido per due trasformatori in parallelo durante il
funzionamento a vuoto. I parametri dei due trasformatori vengono identificati,
rispettivamente, con i pedici A e B.
Z’’cc_A
tA : 1
I10_A
Icirc = 0
Z’’cc_B
1 : tB
I0A
V1 fase = V1N/
3
I0B
V20 fase A =
Z0A
I10_B
V20_A/
3
V20 fase B =
V2 fase_A = V2 fase_B
V20_B/
3
Z0B V1 fase = V1N/
Circuito equivalente monofase a vuoto di due trasformatori connessi in parallelo
166
3
MACCHINE ELETTRICHE
Funzionamento in parallelo a carico (ottimizzazione del parallelo)
Il parallelo dei trasformatori funziona a carico quando alle sbarre secondarie viene prelevata
una corrente Ic.
Condizioni di corretto funzionamento:
a) Nel funzionamento a carico ciascun trasformatore deve erogare una quota della
corrente di carico proporzionale alla propria corrente nominale secondaria. In questo
modo si evita il rischio che qualche trasformatore possa essere sovraccaricato rispetto
agli altri con conseguente surriscaldamento dei suoi avvolgimenti.
b) Ciascun trasformatore deve erogare la propria quota di corrente in fase con quella
erogata dalle altre macchine ed in fase con la corrente di carico Ic. Se questo accade, i
trasformatori erogano ciascuno la minima corrente possibile a parità di corrente di
carico, come indicato nella figura seguente.
I2A
I2B
Ic
I2A
I2B
Ic
Composizione delle correnti dei singoli trasformatori nella corrente di
carico in presenza o meno della condizione di minime correnti erogate
Per comprendere i requisiti da richiedere ai trasformatori A e B per garantire le condizioni
descritte ai punti a) e b), conviene considerare il loro circuito equivalente monofase a carico.
Lo schema del funzionamento in parallelo è rappresentato nella figura seguente.
Z’’cc_A
tA : 1
I1A
I2A
I0A
V1 fase = V1N/
3
I2B
Z’’cc_B
1 : tB
I0B
IC
V20 fase A =
Z0A
V20_A/
I1B
V20 fase B =
V2 fase
3
ZC
V20_B/
3
Z0B V1 fase = V1N/
3
Circuito equivalente monofase a carico di due trasformatori connessi in parallelo
Questo circuito equivalente può essere semplificato pensando al circuito equivalente di
Thevenin visto dall’impedenza di carico. Dalle nozioni acquisite durante il corso di
elettrotecnica è facile disegnare tale circuito equivalente.
''
''
Z eq = Z ccA // Z ccB =
''
V eq = V 20 A − Z ccA ⋅
''
''
''
''
Z ccA ⋅ Z ccB
Z ccA + Z ccB
V 20 A − V 20 B
''
''
Z ccA + Z ccB
(tensioni di fase)
167
PROF. ANDREA CAVAGNINO
X”ccA
R”ccA
I2A
Ic
X”ccB
R”ccB
I2B
Veq fase
Zeq
V2 fase Zc
Cercuito equivalente di Thevenin ai capi dell’impedenza di carico
Composizione delle correnti dei singoli trasformatori
Si noti che, in assenza di corrente di circolazione a vuoto nei secondari (cioè quando
V 20 A = V 20 B ), si ha che V eq = V 20 A = V 20 B .
La corrente IC del carico si ripartisce nelle quote I2A e I2B nei due trasformatori. Queste quote
possono facilmente essere calcolate a partire dalle impedenze di cortocircuito dei
trasformatori:
''
Z ccA
⋅ I2A
=
''
Z ccB
⋅ I 2B
⇒
''
I 2 A Z ccB
=
''
I 2 B Z ccA
(3.61)
L’espressione (3.61) è da ritenersi valida vettorialmente, pertanto le due correnti I2A ed I2B
risultano in fase se le due impedenze di cortocircuito ZccA , ZccB hanno lo stesso argomento.
Quindi la condizione b) viene verificata se ϕccA = ϕccB.
Inoltre, per rispettare la condizione a), i moduli delle due correnti I2A ed I2B devono essere
nello stesso rapporto delle rispettive correnti nominali dei due trasformatori:
I 2A I 2N A
=
I 2B I 2N B
(3.62)
Dalla (3.61) e (3.62) discende pertanto la seguente relazione:
''
''
I 2 N A ⋅ Z ccA
= I 2 N B ⋅ Z ccB
(3.63)
Ricordando la definizione di tensione di cortocircuito di un trasformatore si può affermare che
la condizione a) è verificata se i due trasformatori hanno la stessa tensione di
cortocircuito ( VccA = VccB ).(1)
(1)
Sia in termini assoluti che percentuali in quanto i due trasformatori hanno la stessa tensione nominale.
168
MACCHINE ELETTRICHE
3.12 – Autotrasformatore
Quando il rapporto di trasformazione di un trasformatore è prossimo all’unità può essere utile
ricorrere ad una tecnica costruttiva degli avvolgimenti che consenta di ridurre notevolmente la
quantità di rame necessaria alla loro realizzazione. Allo scopo di comprendere questa
possibilità si faccia riferimento alla figura seguente(1).
Si esamini il trasformatore monofase a due avvolgimenti illustrato in a). Esso consta di due
avvolgimenti separati di N1 e N2 spire. Per fissare le idee si supponga N1>N2; le tensioni
nominali V1N e V20 sono commisurate ai numeri di spire, mentre le correnti nominali I1N e I2N
e le sezioni di avvolgimento sono inversamente proporzionali al numero di spire. Secondo
quanto visto a paragrafo 3.9.2, la potenza di dimensionamento dei due avvolgimenti è
identica; essa coincide con la potenza di dimensionamento del trasformatore:
S d = V1N ⋅ I1N = V20 ⋅ I 2 N
I1N
I1N
I1N
V1N
(3.64)
N2
a)
V1N - V20
N1- N2
I2N
N1
V1N
V20
I2N
I1N
I2N V20
N2
b)
N1- N2 I1N
V1N - V20
I2N
V1N
N2
I2N -I1N
V20
c)
Passaggio ideale dal trasformatore all’autotrasformatore
Si pensi ora di suddividere l’intero avvolgimento primario in due sezioni formate
rispettivamente da N2 e da N1-N2 spire; la porzione di avvolgimento primario di N2 spire
risulta, punto per punto, equipotenziale con l’avvolgimento secondario e quindi questa
porzione potrebbe essere collegata in parallelo con l’avvolgimento secondario senza alterare il
funzionamento del trasformatore ( vedi figura b) ).
I due avvolgimenti così connessi sono percorsi dalle rispettive correnti I1N ed I2N in sensi
opposti. Essi possono essere sostituiti da un unico avvolgimento comune di N2 spire percorso
dalla differenza delle due correnti, come evidenziato in figura c). Le spire dell’avvolgimento
comune dovranno possedere una sezione adeguata al passaggio della corrente I2N - I1N.
La struttura di figura c) viene chiamata autotrasformatore e il suo funzionamento è del tutto
equivalente a quello del trasformatore di partenza.
Il vantaggio che appare evidente nella soluzione proposta consiste in un minor peso di rame
negli avvolgimenti a parità di potenza nominale della macchina. A fronte di questo vantaggio
occorre tuttavia rinunciare all’isolamento tra rete di alimentazione primaria e rete secondaria
che, invece, verrebbe garantita dall’impiego del trasformatore.
La riduzione di dimensioni e di costo relativa all’impiego di un autotrasformatore può
utilmente essere evidenziata attraverso il concetto di potenza di dimensionamento, introdotto
al paragrafo 3.9.2. La relazione (3.64) definisce la potenza di dimensionamento del
trasformatore. La potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore equivalente si può
calcolare come media della potenza di dimensionamento dei suoi due avvolgimenti.
Poiché le N1-N2 spire del primario sono percorse dalla corrente I1N e sono soggette alla
tensione V1N -V20 , la corrispondente potenza di dimensionamento vale:
(1)
Nel seguito si farà riferimento solo ad autotrasformatori monofasi; ovviamente esistono anche
autotrasformatori trifasi.
169
PROF. ANDREA CAVAGNINO
S d1 = (V1N − V20 ) ⋅ I1N
(3.65)
Le restanti N2 spire comuni sono percorse dalla corrente I2N – I1N e sono sottoposte alla
tensione V20. La loro potenza di dimensionamento vale:
S d 2 = (I 2 N − I1N ) ⋅ V20
(3.66)
E’ noto che, in un trasformatore, i rapporti tra le tensioni nominali primarie e secondarie, e i
rapporti tra le correnti nominali sono legate al rapporto di trasformazione. Ne consegue che le
relazioni (3.65) e (3.66) possono essere riscritte nella seguente forma:
 N 
S d1 = 1 − 2  ⋅ V1N I1N
N1 

N

 N 
S d 2 =  1 − 1V20 I1N = 1 − 2  ⋅ V1N I1N
N1 
 N2


Le potenze di dimensionamento delle due parti dell’avvolgimento dell’autotrasformatore sono
uguali tra loro. La potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore coincide quindi con la
potenza di dimensionamento di uno qualunque dei suoi due avvolgimenti.
In definitiva, dal confronto con il trasformatore equivalente e avendo indicato con Sda la
potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore, vale quanto segue:

N 
S da =  1 − 2  ⋅ S d
N1 

(3.67)
Il risparmio in termini di costruzione, conseguibile attraverso l’autotrasformatore è legato al
rapporto di trasformazione desiderato. Più prossimo all’unità è questo rapporto, più piccola
risulta la potenza di dimensionamento rispetto alla potenza nominale.
Dall’uguaglianza delle due potenze Sd1 e Sd2 e quindi dalla relazione:
(V1N
− V20 ) ⋅ I1N = (I 2 N − I1N ) ⋅ V20
(3.68)
si può osservare che la potenza relativa al tratto di bobina comune è uguale alla potenza della
restante parte di bobina. Dal mero punto di vista del dimensionamento, tutto accade come se
lo scambio di potenza trasformatorico (cioè per via elettromagnetica) avvenisse tra la parte
comune di avvolgimento e la restante parte; l’entità di questo scambio fittizio di potenza
costituisce la potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore.
E’ importante sottolineare che, contrariamente a quanto potrebbe suggerire lo schema di
collegamento illustrato nella figura c) riportata alla pagina precedente, l’auto trasformatore ha
un ruolo completamente diverso dal partitore di tensione induttivo realizzato con due induttori
disaccoppiati. In quest’ultimo non è infatti presente l’effetto trasformatorico dovuto al mutuo
accoppiamento degli avvolgimenti.
I1
I1
Q1
I2
S1
V1
Q2
V2
a)
I2
S1
S2
V2
V1
b)
a) Partitore induttivo
b) Autotrasformatore
170
S2
MACCHINE ELETTRICHE
A questo proposito è sufficiente osservare che nel partitore induttivo è presente un impiego di
potenza reattiva da parte delle due induttanze del partitore mentre nell’autotrasformatore
esiste equilibrio tra le potenze apparenti in ingresso ed uscita; questo equilibrio è perfetto
nell’autotrasformatore ideale (perdite Joule nulle, flussi dispersi nulli):
S1 = S 2
Inoltre l’autotrasformatore può funzionare non solo come abbassatore di tensione ma anche
come elevatore di tensione quando il flusso di potenza si inverte rispetto a quello
rappresentato in figura b). La stessa cosa non può avvenire nella struttura del partitore
induttivo formato da due reattori disaccoppiati magneticamente.
Ritornando al concetto di potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore è utile
affrontare la genesi di questo tipo di macchina da un secondo punto di vista. Occorre notare
che, in realtà, l’autotrasformatore non è una macchina diversa dal trasformatore, ma può
essere riguardato come il risultato di un diverso collegamento degli avvolgimenti di un
normale trasformatore. Un normale trasformatore può essere connesso come
autotrasformatore se si dispone l’avvolgimento secondario in serie con l’avvolgimento
primario come illustrato qui di seguito.
t:1
I1N
I’1N
I2N
V20
V1N
a) trasformatore
I1N
V1N
t:1
I2N
V20
V’20
b) autotrasformatore
Collegamenti da trasformatore e da autotrasformatore
Sotto questo aspetto è naturale osservare che le macchine che compaiono in figura sono in
realtà la stessa macchina e conseguentemente la potenza di dimensionamento è unica e può
essere immediatamente calcolata sulla base della configurazione normale; in questo caso essa
coincide con la potenza elettrica trasferita:
S d = S N = V1N I1N = V20 I 2 N
(3.69)
dove Sd è la potenza di dimensionamento ed SN è la potenza apparente trasferita.
Nel collegamento come autotrasformatore la potenza trasferita risulta invece superiore alla
potenza di dimensionamento. Fermi restando i valori delle tensioni e delle correnti nelle due
bobine si ottiene:
S ' N = V1N I '1N = V ' 20 I 2 N
171
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Ne consegue che:
 1
 1
S ' N = V1N ⋅ (I1N + I 2 N ) = V1N I1N 1 +  = S N 1 + 
 t
 t
(3.70)
Queste relazioni sono perfettamente in linea con la (3.67) se si tiene presente il significato
attribuito al rapporto di trasformazione t. E’ evidente che, più piccolo è il valore di t,
maggiore risulta il guadagno in termini di potenza trasferibile nel collegamento
autrasformatorico.
Per rendersi conto dell’entità del guadagno in termini di potenza elettrica trasformata nella
connessione normale e nella connessione da autotrasformatore, si consideri seguente esempio
numerico.
Sia dato un trasformatore monofase caratterizzato, in collegamento normale, dai seguenti dati:
S N = 5 kVA
V1N /V20 = 200 / 10 V
vcc % = 5
Le correnti nominali dei due avvolgimenti valgono:
5000
A = 25 A
200
5000
I 2N =
A = 500 A
10
I1N =
Nel collegamento da autotrasformatore le tensioni nominali e le correnti nominali risultano:
V '1N = 200 V
I '1N = 500 + 25 = 525 A
V ' 20 = 210 V
I ' 2 N = 500 A
e la potenza nominale corrispondente vale:
S ' N = 200 × 525 VA = 105 kVA
Il circuito equivalente dell’autotrasformatore è analogo a quello del trasformatore, tuttavia
qualche osservazione specifica deve essere fatta circa la determinazione dell’impedenza e
della tensione percentuale di cortocircuito.
Poiché l’autotrasformatore è interpretabile come semplice modifica del collegamento dei due
avvolgimenti di un trasformatore, il suo circuito equivalente può essere dedotto da quello del
trasformatore normale attraverso il metodo illustrato in figura.
Z”cc I2N
h V1N
1 : 1+h
1:h
I1N
V1N
Z”cc I2N
h V1N
I1N
I’1N
V2
V1N
a) Circuito equivalente trasformatore
b) autotrasformatore
V’2
I’1N
V1N
(1+h)V1N
V’2
c) Circuito equivalente autotrasformatore
Circuito equivalente dell’autotrasformatore
172
Z”cc I2N
MACCHINE ELETTRICHE
Dalla figura precedente si osserva che l’impedenza di cortocircuito misurata al secondario ha
lo stesso valore sia per il trasformatore in collegamento normale sia per il trasformatore
collegato da autotrasformatore. Al contrario la tensione nominale secondaria è nettamente
diversa:
V20 = h ⋅ V1N
trasformatore
V ' 20 = (1 + h ) ⋅ V1N
autotrasformatore
Si noti che h rappresenta l’inverso del rapporto di trasformazione t = V1N / V20 del
trasformatore equivalente. Le relazioni precedenti indicano che, nel caso di cortocircuito del
secondario, le correnti di cortocircuito siano nettamente diverse:
h ⋅ V1N
Z "cc
I 2cc =
trasformatore
(1 + h ) ⋅ V1N
I 2cc =
Z "cc
autotrasformatore
Se il valore di h è particolarmente piccolo (ovvero il rapporto di trasformazione
dell’autotrasformatore è prossimo all’unità), la corrente di cortocircuito in connessione
autotrasformatorica diventa molto elevata. Questo fatto viene riassunto dal raffronto tra i
valori della tensione percentuale di cortocircuito nei due casi:
vcc % auto =
h
⋅ vcc % trasf
1+ h
E’ evidente che l’autotrasformatore non è in grado di limitare le correnti di guasto della rete in
cui è inserito nella stessa misura dei normali trasformatori. Ovviamente, qualora si debba
limitare la corrente di corto circuito a valori più modesti occorre aumentare artificiosamente
l’induttanza di dispersione della macchina. Con riferimento al caso numerico
precedentemente illustrato si possono eseguire le seguenti valutazioni.
Dati di targa del trasformatore normale:
S N = 5 kVA
V1N /V20 = 200 / 10 V
vcc % = 10
Le correnti nominali dei due avvolgimenti valgono:
I1N =
5 000
A = 25 A
200
I 2N =
5 000
A = 500 A
10
L’impedenza e la corrente di cortocircuito secondaria valgono:
Z "cc =
0.1 × 10
Ω = 0.002 Ω
500
I 2 cc =
10
A = 5 000 A
0.002
Nel collegamento da autotrasformatore l’impedenza di cortocircuito ha lo stesso valore, ma la
corrente di cortocircuito vale:
I ' 2cc =
210
A = 105 000 A
0.002
e la tensione percentuale di cortocircuito:
v' cc % =
0.002 × 500
× 100 ≅ 0.48%
210
173
PROF. ANDREA CAVAGNINO
3.13 – Funzionamento a vuoto del trasformatore monofase
Un trasformatore funziona a vuoto quando i morsetti secondari non sono collegati ad alcun
carico e pertanto la corrente secondaria I2 è nulla. In queste condizioni la corrente assorbita
dal primario serve a produrre il flusso di magnetizzazione della macchina e la potenza
dissipata nel ferro. Essa risulta molto piccola rispetto al valore nominale della corrente
primaria ( ordine di grandezza : 10-2 I1nom) e viene definita corrente a vuoto.
Nel normale funzionamento a carico lo studio del trasformatore può essere condotto senza
particolari cautele riguardo ai fenomeni di saturazione e di isteresi e, pertanto, il modello che
lo rappresenta è un modello lineare riconducibile, nella maggior parte dei casi di interesse
pratico, alla semplice impedenza di cortocircuito. Nel funzionamento a vuoto i fenomeni di
non linearità magnetica e le eventuali dissimmetrie della struttura geometrica del nucleo
svolgono un ruolo importante e non possono essere trascurati.
Il problema generale affrontato in questo paragrafo è la determinazione della corrente
magnetizzante del trasformatore: della sua forma d’onda e del suo contenuto armonico. E’
fondamentale, a questo scopo, la conoscenza della caratteristica di magnetizzazione delle
varie parti della struttura magnetica del trasformatore.
Nel caso del trasformatore monofase la caratteristica di eccitazione è unica, essa rappresenta
la relazione tra il flusso principale (flusso interno al nucleo in ferro che si concatena con la
bobina primaria) e la caduta di tensione magnetica A che questo flusso genera nel circuito
magnetico e che viene equilibrata dalla f.m.m. N⋅i messa in gioco dall’avvolgimento (vedi
figura)
ϕp
ϕp
i
N
A=Ni
Struttura magnetica e caratteristiche di magnetizzazione del trasformatore monofase.
La corrente assorbita dal trasformatore durante il funzionamento a vuoto, risulta normalmente
molto contenuta. Tuttavia la sua forma d’onda è fortemente distorta, anche quando la tensione
di alimentazione è perfettamente sinusoidale.
Questo fatto è da addebitare al fenomeno di saturazione del materiale magnetico del nucleo ed
esso è tanto più evidente, quanto più alto è il valore di induzione che corrisponde alle
condizioni di alimentazione nominali.
Per comprendere meglio il meccanismo che origina la distorsione della corrente assorbita, si
supponga di poter trascurare, nel funzionamento a vuoto, le cadute di tensione sulla resistenza
e sulla reattanza di dispersione dell’avvolgimento primario. Se la tensione di alimentazione
primaria è sinusoidale si può pertanto scrivere:
V1 max cos(ωt ) ≅ N 1
dϕ p
dt
ed il flusso risulta:
ϕ p (t ) = Φ p max sen(ωt )
174
V
dove : Φ p max = 1 max
N1 ⋅ ω
(3.71)
MACCHINE ELETTRICHE
Questa relazione sottolinea come il flusso principale presente nel trasformatore dipenda dalla
tensione di alimentazione, e come la forma d’onda di quest’ultima determini la forma d’onda
del flusso. Qualunque variazione nell’ampiezza della tensione sinusoidale comporta una
analoga variazione della ampiezza del flusso principale.
Φp
caratteristica di eccitazione
ϕp(t)
t
i0
i10(t)
t
Forma d’onda della corrente a vuoto: effetto della saturazione magnetica.
Noto l’andamento temporale del flusso, si può facilmente ricavare, attraverso la caratteristica
di magnetizzazione, la forma d’onda della corrente necessaria a sostenerlo. La figura
precedente mostra il metodo grafico che consente l’operazione.
Poiché la caratteristica di eccitazione è simmetrica rispetto all’origine, le armoniche della
corrente magnetizzante sono solamente di ordine dispari. E’ evidente la presenza di una terza
armonica, che risulta tanto più elevata quanto più spinta è la saturazione del nucleo
magnetico.
i 0 (t ) = I 1max sen(ωt ) + I 3max sen(3ωt ) + I 5max sen(5ωt ) + L
(3.72)
Tutte le componenti armoniche sono in fase con l’onda di flusso sinusoidale. L’ampiezza
della corrente magnetizzante cresce in modo non lineare al crescere della tensione di
alimentazione e del flusso di macchina. Alla tensione nominale, i valori efficace e di picco di
tale corrente sono molto modesti, ma, se si aumenta il valore della tensione, a causa della
saturazione, il valore di picco della corrente cresce molto rapidamente e, sia pure in misura
leggermente inferiore, cresce il valore efficace.
Queste valutazioni e la costruzione illustrata in figura consentono di determinare in forma
molto rozza la corrente assorbita a vuoto dal trasformatore. L’unico valore ragionevolmente
attendibile, desumibile da queste valutazioni, è il valore massimo della corrente.
In realtà, nel funzionamento a vuoto, il trasformatore non si comporta esattamente come un
induttore privo di perdite. Sono stati discussi, in precedenti paragrafi, i fenomeni che portano
il trasformatore a dissipare, a vuoto, una certa quota di potenza.
Se portiamo in relazione il flusso istantaneo che si produce in un nucleo monofase in funzione
della corrispondente corrente istantanea i0(t) assorbita dall’avvolgimento di eccitazione, si
osserva che nel piano ϕ, i0 il diagramma è rappresentato non da una semplice linea, bensì da
una curva chiusa detta “ciclo di isteresi dinamico del nucleo”. L’area di tale ciclo è
determinata non solo dalle vere e proprie perdite per isteresi, ma anche dalle perdite per
correnti parassite.
175
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Caratteristica di
eccitazione
Cicli di isteresi
dinamici
Cicli di isteresi dinamici simmetrici per diversi valori del flusso
massimo in un nucleo monofase.
In figura sono riportati diversi cicli di isteresi dinamici prodotti da alimentazione del nucleo
con tensioni sinusoidali a 50 Hz di ampiezza diversa rilevati su un nucleo di un trasformatore
monofase. Il luogo dei vertici di tali cicli di isteresi costituisce la caratteristica di eccitazione
del nucleo (caratteristica di normale eccitazione) a cui sin qui si è fatto riferimento.
Volendo fornire una precisa caratterizzazione della forma d’onda della corrente assorbita a
vuoto a diversi valori della tensione di alimentazione, occorrerebbe conoscere con esattezza la
forma di tutti i possibili cicli di isteresi simmetrici del nucleo. In questo caso la
determinazione della forma della corrente dovrebbe avvenire secondo una costruzione
leggermente diversa da quella indicata in precedenza.
Φp
caratteristica di normale
eccitazione
ϕp(t)
Ciclo di isteresi dinamico
t
I10
effetto dell’isteresi
i10(t)
t
Forma d’onda della corrente a vuoto: effetto
dell’isteresi magnetica.
176
MACCHINE ELETTRICHE
Nella figura precedente è evidenziato un andamento più realistico della corrente a vuoto
basato sull’impiego del ciclo di isteresi dinamico anziché sulla caratteristica di normale
eccitazione del nucleo. Fin quando la magnetizzazione alternativa del nucleo è simmetrica
anche i cicli di isteresi sono simmetrici. Questo porta ad affermare che il contenuto armonico
della corrente a vuoto non cambia rispetto a quanto detto precedentemente; le armoniche della
corrente sono ancora solo armoniche di ordine dispari. L’effetto dell’isteresi dinamica è
quello di sfasare in anticipo la corrente a vuoto rispetto al flusso, come illustrato nella figura
citata e di alterare l’ampiezza delle armoniche di corrente.
i0 ( t ) = I '1max sen(ωt + ϕ1 ) + I ' 3max sen( 3ωt + ϕ 3 ) + I '5max sen(5ωt + ϕ 5 ) + L
Osservazione
Nei trasformatori trifasi il calcolo della corrente magnetizzante è generalmente più complesso.
Basti sapere che la forma d’onda della corrente dipende dal tipo di struttura magnetica del
trasformatore (simmetrica, asimmetrica, a 3 o a 5 colonne, a mantello), dal tipo di
collegamento dell’avvolgimento primario e, in certi casi, anche dalla connessione
dell’avvolgimento secondario.
177
Capitolo
4
IL CAMPO MAGNETICO ROTANTE
4.1 – Interpretazione intuitiva del campo magnetico rotante
Prima di procedere nello studio del campo magnetico rotante vero e proprio, si prova a darne
una interpretazione qualitativa. In particolare, si vuole illustrare come sia possibile scambiare
una coppia tra due strutture coassiali. Questo aspetto è la base della conversione
elettromeccanica dell’energia che si attua nelle macchine rotanti in alternata.
A tal scopo si consideri la struttura rappresentata in figura, costituita da due parti pseudo
cilindriche in materiale ferromagnetico con permeabilità infinita, coassiali ed entrambe libere
di muoversi attorno al loro asse (indicato in figura dalla crocetta). Sia la struttura esterna che
quella interna portano dei magneti permanenti magnetizzati come indicato. Le parti ferrose
hanno il compito di convogliare il flusso prodotto dai magneti nella zona d’aria che separa le
due parti rotanti. Tale zona d’aria viene indicata con il termine di traferro.
In assenza di attriti e di coppie
frenanti esterne applicate alle due
strutture, se si porta in rotazione alla
velocità ω una parte del dispositivo
traferro
(agendo dall’esterno), l’altra parte
ω
rimarrà rigidamente agganciata a
questa nella posizione illustrata.
ω
Pertanto la parte non azionata
S
N
N
dall’esterno ruoterà anch’essa alla
velocità ω. Per le ipotesi fatte,
l’operatore esterno non deve fornire
S
N
S
coppia, così come nessuna coppia è
scambiata tra le due parti.
Ovviamente i campi magnetici
generati dai magneti ruotano, rispetto
ad un riferimento fisso sempre alla
velocità ω.
Si supponga, per semplicità, che la
Struttura dimostrativa per l’analisi del campo rotante
parte azionata dall’esterno sia quella
esterna. Se si applica una coppia
frenante alla parte interna, questa,
dopo un transitorio legato ai momenti di inerzia in gioco, ritarderà di angolo γ costante nel
tempo, ovvero entrambe le strutture continueranno a girare alla velocità imposta. Ovviamente
in questo caso l’operatore dovrà fornire una coppia motrice alla parte esterna pari alla coppia
frenante applicata alla struttura interna.
179
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il dispositivo si comporta quindi come un
γ
giunto elastico con una torsione tra l’albero
di ingresso e quello di uscita che dipende
dalla coppia trasmessa. La massima coppia
trasmettibile dal dispositivo si ha per una
ω
angolo γ = 90°. Se l’angolo di ritardo
ω
diventa maggiore di 90°, la coppia
diminuisce, ma rimane positiva. Se si
oltrepassano i 180° la coppia si inverte di
segno opponendosi al moto imposto.
Qualora si applicasse una coppia frenante
maggiore della coppia massima ottenibile
per interazione tra i due campi magnetici
(creati dai magneti sulla parte esterna ed
interna), la parte interna ruoterebbe ad una
velocità diversa da quella imposta per la
Ritardo tra le due parti (ovvero delle due
parte esterna. Il modo relativo tra le due
magnetizzazioni) a seguito di una coppia
parti farà sì che l’angolo γ vari nel tempo.
frenante applicata alla parte interna.
Ne consegue che la coppia scambiata tra le
due strutture sarebbe di natura alternata con
valor medio nullo. In questa situazione i due alberi sarebbero disaccoppiati ed il “giunto”
perderebbe la sua funzionalità.
Sulla base di quanto sinora esposto, si può intuire che, se si riesce a creare un campo
magnetico rotante al traferro, una struttura libera di ruotare e dotata anch’essa di una
magnetizzazione può “agganciarsi” a tale campo espletando una azione meccanica. Risulta
altrettanto intuitivo che in una macchina elettrica rotante il campo magnetico rotante deve
essere creato da una struttura fissa nello spazio. Si vedrà tra breve che ciò è possibile usando
un sistema di avvolgimenti fissi nello spazio, opportunamente sfasati e percorsi da correnti
alternate sfasate nel tempo.
Si ribadisce nuovamente il concetto che lo scambio di coppia tra le due magnetizzazioni
rotanti può avvenire solo se tali magnetizzazioni sono sincrone tra loro. In caso contrario la
coppia media scambiata tra le due parti è nulla.
A fianco è schematizzata la struttura
generalmente utilizzata nella costruzione
delle macchine elettriche rotanti. Si tratta
di due cilindri coassiali di materiale
ferromagnetico: il cilindro esterno fisso,
denominato statore, ed il cilindro interno
libero di ruotare sul suo asse (rotore). Lo
statore ed il rotore sono separati da una
zona d’aria molto stretta denominata
traferro.
La zona di statore affacciata al rotore
porta gli avvolgimenti di statore che
hanno il compito di creare il campo
magnetico rotante nel traferro.
statore
avvolgimenti
di statore
traferro
rotore
albero
Tipica struttura per macchina elettrica rotante
180
MACCHINE ELETTRICHE
4.2 – Distribuzione di F.m.m e di campo al traferro
Lungo il traferro di una macchina elettrica rotante sono normalmente distribuiti, su un arco
più o meno ampio, e almeno su una delle due parti della macchina (statore, rotore),
avvolgimenti percorsi da corrente.
In un avvolgimento si distinguono i cosiddetti tratti attivi e le cosiddette connessioni frontali
o testate (vedi figura seguente). I primi sono costituiti da conduttori affacciati al traferro e
disposti, nelle macchine usuali, in direzione prevalentemente assiale dentro scanalature (cave,
realizzate nel cilindro ferroso di statore) ed ad essi è demandato il compito di produrre,
attraverso l’interazione con il campo magnetico presente al traferro, l’azione elettromeccanica
tipica della macchina. Le seconde hanno semplicemente il compito di consentire alla corrente
di richiudersi e di passare da un tratto attivo all’altro; esse non hanno, in linea generale,
alcuna influenza diretta sulla conversione elettromeccanica dell’energia.
Guardando una sezione della macchina perpendicolare all’asse, un avvolgimento ideale risulta
costituito da due zone formate ciascuna da gruppi di cave contigue, che ospitano
rispettivamente conduttori percorsi da corrente entrante nel piano della sezione e conduttori
percorsi da corrente uscente. Dal punto di vista puramente funzionale della macchina non ha
alcuna rilevanza come e quali conduttori di una zona risultino collegati ai conduttori dell’altra
zona, purché il collegamento esista e sia corretto. Rilevante, invece, è la distribuzione dei
tratti attivi dell’avvolgimento lungo il traferro. Dal modo in cui i tratti attivi sono disposti
dipendono infatti, sia la progressione della caduta di tensione magnetica tra statore e rotore,
nota come ‘distribuzione di f.m.m. al traferro’, sia la produzione di f.e.m. indotta
nell’avvolgimento dalle variazioni del flusso concatenato.
Nei paragrafi seguenti verrà affrontato il problema della determinazione delle distribuzioni di
f.m.m. prodotte da avvolgimenti di cui sia nota la distribuzione geometrica dei tratti attivi. Le
determinazioni condotte si basano su alcune ipotesi semplificative:
Spessore del traferro costante.
Permeabilità del ferro infinita: questa ipotesi consente di ritenere che la f.m.m.
prodotta da un avvolgimento cada tutta nell’attraversamento del traferro.
Apertura delle cave infinitesima: questa ipotesi consente di schematizzare i
conduttori contenuti in una cava, come se fossero privi di dimensioni trasversali e
pertanto assimilabili a conduttori puntiformi concentrati in corrispondenza alla
mezzeria della cava al traferro.
Andate
Tratti attivi
Connessioni
frontali
Circonferenza di
traferro
Ritorni
Conformazione di un avvolgimento distribuito
181
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.2.1 – Distribuzione di F.m.m prodotta da una bobina diametrale
Statore
Traferro
Rotore
Bobina di
N1 spire in
serie
Fondamentale
N1I/2
2 N1I/π
α
µr>>1
0
π
2π
Linee di campo
α
µr>>1
F.m.m. di una bobina diametrale formata da N1 spire percorse
dalla corrente I.
Si consideri la struttura elettromagnetica illustrata in figura rappresentante una bobina di N1
spire in serie. I conduttori di andata (a sinistra, percorsi da corrente uscente dal piano della
figura) ed i conduttori di ritorno (a destra, percorsi da corrente entrante dal piano della figura)
della bobina siano collocati in posizione diametrale e percorsi dalla corrente I. Per il momento
si consideri che I sia una corrente continua fittizia con il solo compito di evidenziare la
distribuzione di F.m.m.
Data la simmetria della struttura, si può ritenere che le linee di campo magnetico, prodotte
dalla bobina, abbiano l’andamento qualitativo illustrato nella parte sinistra della figura.
Secondo la legge della circuitazione magnetica, la f.m.m. concatenata da ciascuna linea di
campo vale in valore assoluto 0.5⋅N1 I. Tale f.m.m. serve a compensare la caduta di tensione
magnetica nei due attraversamenti di traferro relativi ad ogni linea di campo. Pertanto,
tenendo conto del verso delle linee di campo, la distribuzione di caduta di tensione magnetica
lungo la circonferenza di traferro (detta distribuzione di f.m.m. al traferro) assume la forma ad
onda quadra illustrata nel diagramma a destra. La convenzione di segno è scelta in modo da
considerare positiva la distribuzione di f.m.m., quando le linee di campo vanno da statore a
rotore.
A(α ) =
N1
I ⋅ sqw (α )
2
(4.1)
La distribuzione A(α) può essere scomposta in serie di armoniche spaziali secondo Fourier:
A(α ) =
4 N1 ⋅ I sin (h ⋅ α )
⋅
h
h =1,3,5,7,... π 2
∑
(4.2)
Ai fini dello studio semplificato delle macchine a campo rotante assume particolare rilevanza
l’armonica fondamentale della distribuzione di f.m.m.
A fondamentale (α ) = A1 sin (α );
A1 =
4 N1
I
π 2
(4.3)
La (4.3) rappresenta la distribuzione fondamentale di f.m.m. al traferro prodotta da una
bobina diametrale concentrata, formata da N1 spire (ovvero da 2 N1 lati attivi).
182
MACCHINE ELETTRICHE
4.2.2 – Distribuzione di F.m.m prodotta da un avvolgimento distribuito.
3
1
β
2
−
Fondamentale risultante
Distribuzione risultante
Bobina 1
Bobina 2
Bobina 3
3
2
−β
0 β
π
2π
α
1
α
F.m.m. di una avvolgimento formato dalla serie di 3 bobine diametrali uguali
e dislocate di un angolo β lungo il traferro.
Normalmente, nelle macchine elettriche a campo rotante, gli avvolgimenti sono frazionati in
più bobine, che vengono distribuite entro scanalature disposte regolarmente lungo il traferro.
In figura è illustrata l’azione magnetica prodotta da un avvolgimento formato da 3 bobine
diametrali uguali, disposte in tre cave successive sfasate di un angolo β lungo il traferro.
Si indichi con q il numero di cave in cui sono distribuiti uniformemente le N1 spire
dell’avvolgimento (ne consegue che in ogni cava saranno presenti N1/q spire). Sia inoltre β
l’angolo di cui sono sfasate le q cave di andata e le corrispondenti q cave di ritorno.
In questa configurazione, la distribuzione spaziale di f.m.m. complessivamente prodotta dalla
corrente I che percorre l’avvolgimento si ottiene dalla somma di q onde quadre sfasate di un
angolo β, come illustrato nel diagramma a destra nella figura per il caso q = 3.
A =
N1
I
2⋅q
q
Arisultante (α ) = A∑ sqw(α + i ⋅ β )
i =1
Il valore massimo della distribuzione vale ancora:
Amax =
N1
I
2
(4.4)
Dovendo valutare l’ampiezza della componente fondamentale della distribuzione di f.m.m.
generata dall’avvolgimento frazionato in q bobine dislocate reciprocamente di β radianti,
occorre ricordare che la distribuzione cercata è la somma delle q distribuzioni sinusoidali
associate alle singole bobine diametrali e il cui valore è dato dalla (4.3). Ciascuna
distribuzione sinusoidale è rappresentabile con un vettore di ampiezza (4.3) orientato secondo
l’asse della rispettiva bobina, come verrà chiarito al paragrafo 4.2.5. La distribuzione
fondamentale di f.m.m. risultante può essere ottenuta dalla somma vettoriale secondo il
metodo illustrato nella figura seguente.
183
PROF. ANDREA CAVAGNINO
F.m.m. di una bobina: A1
0
β
1
2
β
r
Arisultante
q ⋅β
q-1
q
Costruzione vettoriale della f.m.m. risultante di un avvolgimento distribuito.
La circonferenza in cui è iscritta la poligonale dei vettori f.m.m. ha raggio:
r=
A1
;
2 ⋅ sin (β / 2)
dove
A1 =
4 N1
⋅I
π 2⋅q
e l’ampiezza della F.m.m. fondamentale risultante vale:
A fondamentale = 2r sin (q ⋅ β / 2 ) =
4 N1 ⋅ I sin (q ⋅ β / 2 )
⋅
π 2
q ⋅ sin (β / 2 )
(4.5)
L’ampiezza della fondamentale di f.m.m. al traferro prodotta da un avvolgimento formato da
N1 spire distribuite in q cave diametrali sfasate di un angolo β è data dalla seguente relazione
generale:
A fondamentale = K d ⋅
2
⋅ N1 ⋅ I
π
(4.6)
dove Kd è detto coefficiente di distribuzione dell’avvolgimento e vale:
Kd =
sin (q ⋅ β / 2 )
q ⋅ sin (β / 2 )
Coefficiente di distribuzione
q
1
2
3
4
5
6
8
∞
184
Motore
trifase
Kd
1.0000
0.9659
0.9598
0.9577
0.9567
0.9561
0.9556
0.9549
(4.7)
A titolo di esempio, nella tabella sono indicati i diversi valori
del coefficiente di distribuzione per avvolgimenti di fase
distribuiti di motori trifase. I coefficienti sono calcolati sotto
l’ipotesi di cave distribuite uniformemente; in questo caso
l’angolo β viene a dipendere dal numero q di cave per fase e dal
numero m di fasi secondo la regola seguente:
β=
2π
2π
=
N cave 2m ⋅ q
La tabella testimonia che un avvolgimento di N1 spire
distribuito in q cave genera una fondamentale di F.m.m minore
della fondamentale che si avrebbe se le stesse spire fossero
concentrate in una sola bobina diametrale (q = 1).
Da questo ragionamento si potrebbe erroneamente concludere
che non sia conveniente suddividere un avvolgimento su più
cave contigue.
MACCHINE ELETTRICHE
Ciò non è vero perché la distribuzione reale complessiva di F.m.m. al traferro, prodotta da un
avvolgimento distribuito in cave, possiede, oltre all’armonica fondamentale (4.6), tutta una
schiera di armoniche di ordine dispari conseguenti alla scomposizione in serie di Fourier
dell’onda quadra, che costituisce il mattone base della distribuzione su q cave (si veda
l’equazione (4.2)).
Queste armoniche vengono viste, nello studio delle macchine elettriche, come effetti
secondari della magnetizzazione prodotta dall’avvolgimento. Tali effetti sono generalmente
indesiderati e sono considerati come disturbi. Senza entrare nel dettaglio, si afferma che una
maggior distribuzione dell’avvolgimento permette di ridurre l’ampiezza delle armoniche
spaziali di F.m.m di ordine superiore. Si osservi che la distribuzione risultante di F.m.m al
traferro disegnata all’inizio del paragrafo 4.2.2 per q = 3 è “più vicina ad una sinusoide” in
confronto con la distribuzione ad onda quadra prodotta da una bobina diametrale (paragrafo
4.2.1).
La relazione (4.6) è una espressione fondamentale per la descrizione dell’effetto
magnetizzante prodotto da un avvolgimento distribuito. Attraverso questa relazione,
qualunque avvolgimento può essere identificato attraverso un numero di spire equivalenti N’
definito da(1):
N1' = K d
2
⋅ N1
π
(4.8)
N1’ viene sinteticamente definito numero equivalente di spire ai fini della produzione di
f.m.m.. Attraverso la conoscenza del numero N1’ e della corrente I che percorre
l’avvolgimento è possibile ricavare immediatamente l’ampiezza dell’armonica fondamentale
di f.m.m. generata al traferro:
A fondamentale (α ) = N1' ⋅ I ⋅ sin (α )
(4.9)
Due avvolgimenti diversi, che siano caratterizzati dallo stesso numero N1’, potranno essere
considerati identici (equivalenti) limitatamente ai fini della valutazione dei fenomeni legati
alla distribuzione fondamentale del campo al traferro.
(1)
In verità, nella relazione (4.8) dovrebbe comparire il coefficiente di avvolgimento anziché quello di
distribuzione. Non si ritiene utile aggiungere altro sull’argomento
185
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.2.3 – Avvolgimenti a più coppie polari.
Nelle analisi fin qui svolte si è sempre ipotizzato di trattare con avvolgimenti costituiti da
spire diametrali. Per questi avvolgimenti si è osservato che la distribuzione di f.m.m. generata
al traferro presenta una unica alternanza di segno; l’avvolgimento viene detto, in questo caso,
avvolgimento ad una coppia polare (p = numero paia poli =1).
Per motivi che saranno più chiari in seguito, nelle macchine a campo rotante vengono spesso
impiegati avvolgimenti dotati di più coppie polari (p > 1). In questo caso la distribuzione di
f.m.m. presenta più alternanze di segno in un giro completo. Ne consegue che lungo la
circonferenza del traferro sono ravvisabili più coppie polarità di magnetiche Nord-Sud.
Nella forma più semplice le polarità dell’avvolgimento vengono realizzate per ripetizione
ciclica lungo il traferro della disposizione dei tratti attivi di un avvolgimento ad una coppia
polare secondo un procedimento di principio schematizzato nella figura seguente.
β/3
β/2
β
ideale di realizzazione di un
P=Processo
1
P=2avvolgimento a p coppie polari per
P=3
deformazione dell’avvolgimento ad una coppia polare
Nella figura seguente vengono rappresentate le linee di campo al traferro e la distribuzione di
F.m.m per un avvolgimento a due poli formato di N1 spire in serie.
Avvolgimento
p=2
Fondamentale
N1I/4
α
µr>>1
α
µr>>1
N1I/π
0
π
2π
Linee di campo
F.m.m. e linee di campo di un avvolgimento a 2 coppie polari
Immaginando di collegare in serie i p avvolgimenti, in modo che i conduttori attivi siano
attraversati dalla stessa corrente I, e indicando con N1 il numero complessivo di spire
utilizzate per realizzare l’avvolgimento a p coppie polari, l’espressione generale della
distribuzione fondamentale di f.m.m., prodotta da un avvolgimento a p coppie polari, può
essere posta nella seguente forma generale.
186
MACCHINE ELETTRICHE
A fondamentale = K d ⋅
2 N1 ⋅ I
π p
(4.10)
Per quanto concerne il calcolo del coefficiente di distribuzione Kd, occorre osservare che
l’angolo β, introdotto dallo sfasamento delle cave, deve essere valutato non più in termini di
rotazione geometrica, bensì in termini di rotazione elettrica. A questo scopo è utile introdurre
il concetto di angolo elettrico come prodotto del valore geometrico di β per il numero di
coppie polari:
βe = p ⋅ β
(4.11)
Il coefficiente di avvolgimento per un avvolgimento a p coppie polari mantiene la stessa
espressione formale ricavata nel caso di macchina a 2 poli (p = 1), se all’angolo geometrico β
si sostituisce l’angolo elettrico βe .
Le relazioni (4.7), (4.8) e (4.9), che descrivono la distribuzione fondamentale di f.m.m. per
una sola coppia polare, possono essere riscritte nella seguente forma più generale, che tiene
conto del numero di polarità elettriche dell’avvolgimento.
Kd =
sin (q ⋅ β e / 2 )
q ⋅ sin (β e / 2 )
Coefficiente di avvolgimento
(4.12)
2 N1
⋅
π p
Numero equivalente di spire
(4.13)
N1' = K d ⋅
A fondamentale (α ) = N1' ⋅ I ⋅ sin ( p ⋅ α ) Distribuzione fondamentale di f.m.m. (4.14)
L’introduzione del concetto di angolo elettrico è estremamente utile, in quanto consente di
ricondurre lo studio di un avvolgimento a p coppie polari allo studio di un avvolgimento a una
sola coppia polare.
Tutte le relazioni, che coinvolgono funzioni angolari di angoli al traferro (α, β, etc.) nella
descrizione della distribuzione della f.m.m. relativa alla macchina a 2 poli, risultano ancora
valide per avvolgimenti a più coppie polari se, al posto dell’angolo ‘meccanico’, si introduce
l’angolo elettrico.
187
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.2.4 – Relazione tra distribuzione di F.m.m e campo al traferro
Nella trattazione seguente verranno introdotte alcune ipotesi semplificative relative alla
produzione di campo magnetico al traferro come conseguenza della presenza di una
distribuzione di f.m.m. generata da uno o più avvolgimenti eccitati.
In primo luogo si ritiene di poter trascurare l’effetto della saturazione magnetica del ferro che
costituisce la struttura magnetica della macchina. In tal caso la distribuzione di f.m.m.
considerata al capitolo precedente deve compensare esclusivamente la caduta di tensione
magnetica attraverso il traferro.
In secondo luogo si suppone che la struttura magnetica stessa sia isotropa, cioè presenti lo
stesso spessore di traferro in tutte le direzioni: macchina a traferro costante.
Sotto queste condizioni è usualmente possibile scrivere una relazione semplice tra
distribuzione di f.m.m. e distribuzione di induzione magnetica lungo la circonferenza di
traferro esprimibile nella forma seguente:
Bt (α ) = µ 0 ⋅ H t (α ) = µ 0 ⋅
A(α )
lt
(4.15)
Se lo spessore lt di traferro fosse realmente costante con la coordinata α, le due distribuzioni
di f.m.m. e di campo sarebbero simili come illustrato dalla relazione (4.15). In questa
situazione l’ampiezza della fondamentale di induzione al traferro vale:
Bˆ t fondamentale = µ 0 ⋅ Hˆ t fondamentale = µ 0 ⋅
Aˆ fondametale
(4.16)
lt
Con il simbolo ∧ si esprimono le ampiezze massime delle relative distribuzioni sinusoidali
spaziali.
Nella realtà, le cave che ospitano gli avvolgimenti non presentano una apertura trascurabile e
di conseguenza la lunghezza equivalente di traferro da inserire nella (4.15) risulta anch’essa
funzione di α.
In corrispondenza dell’apertura di una cava il campo magnetico si indebolisce rispetto alla
mezzeria del dente (parte in ferro tra due cave consecutive). Immaginando scanalata una sola
delle superfici del traferro, e ritenendo liscia l’altra, un andamento qualitativo della forza
magnetomotrice e del campo magnetico al traferro è riportato qui di seguito.
Fondamentale della f.m.m.
Distribuzione della f.m.m.
Distribuzione reale del campo
Fondamentale del campo
α
0
30
60
90
120
150
180
210
240
270
300
330
Effetto dell’apertura delle cave sul tracciato del campo magnetico al traferro.
188
360
MACCHINE ELETTRICHE
La figura precedente indica che, mentre la distribuzione di F.m.m resta sempre la classica
gradinata (la cui fondamentale si può valutare con le relazioni fornite ai paragrafi precedenti),
l’andamento del tracciato di campo presenta dei “buchi” a causa della presenza delle cave. Ne
consegue che tale distribuzione avrà una fondamentale inferiore a quella calcolabile tramite la
(4.16).
Nella pratica, si tiene conto di questa diminuzione di fondamentale di campo tramite un
coefficiente moltiplicativo (> 1) applicato alla lunghezza geometrica di traferro. Ovvero, dal
punto di vista delle fondamentali, si suppone che la presenza delle cave porti ad un aumento
della lunghezza equivalente di traferro. Tale coefficiente è noto con il nome di coefficiente di
Carter Kc; una formulazione del fattore di Carter può essere reperita sui testi di costruzioni
elettromeccaniche.
Sulla base di quanto esposto la fondamentale di induzione al traferro dovrà essere valutata
secondo la (4.17).
Bˆ t fondamentale = µ 0 ⋅ Hˆ t fondamentale = µ 0 ⋅
Aˆ fondametale
K c ⋅ lt
(4.17)
189
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.2.5 – Rappresentazione vettoriale delle distribuzioni spaziali al traferro create
da un avvolgimento distribuito.
Le distribuzioni fondamentali di F.m.m. e di campo magnetico lungo il traferro possono, in
quanto sinusoidi, essere rappresentati da dei vettori spaziali. Si noti subito che un vettore
spaziale non è una fasore. Il vettore spaziale descrive una distribuzione spaziale lungo il
traferro, mentre un fasore descrive una grandezza sinusoidale nel tempo.
Si consideri l’avvolgimento distribuito di N1 spire rappresentato in figura. Inviando una
corrente con il segno specificato, le linee di campo hanno l’andamento indicato (regola della
mano destra). Il massimo positivo della distribuzione fondamentale di F.m.m e di campo al
traferro si trova per α = 90°, cioè sull’asse dell’avvolgimento (paragrafo 4.2.1 e 4.2.4). Si
ricorda che la convenzione di segno è scelta in modo da considerare positiva la distribuzione
di f.m.m., quando le linee di campo vanno da statore a rotore.
Il vettore spaziale del campo magnetico si disegna sull’asse dell’avvolgimento, con il verso
della freccia diretto verso il massimo positivo della fondamentale. Invertendo il segno di
corrente nell’avvolgimento, si inverte il verso del vettore spaziale.
N1 conduttori di andata
distribuiti in q cave
Asse dell’avvolgimento
N1 conduttori di ritorno
distribuiti in q cave
Piano dell’avvolgimento
+I
-I
α
Ht
Vettore spaziale rappresentante la distribuzione spaziale di campo
magnetico al traferro per un avvolgimento distribuito
Si ricorda che l’ampiezza massima delle distribuzioni fondamentali al traferro si calcolano nel
seguente modo:
)
)
A fondamentale = N1' ⋅ I
)
)
N1' ⋅ I
H t fondamentale =
lt
Generalmente, per evitare di disegnare l’avvolgimento distribuito sul cerchio di traferro, si
ricorre a due possibili rappresentazioni schematiche. In particolare, si adotta una delle
seguenti rappresentazioni:
Spira simbolo (posizionata sul piano dell’avvolgimento).
Avvolgimento “concentrato” (posizionato sull’asse dell’avvolgimento).
190
MACCHINE ELETTRICHE
b)
a)
N1’
α
α
Ht sen(α)
Ht sen(α)
α
Ht
α
Ht
N1’
a)
b)
Rappresentazione di un avvolgimento distribuito
mediante spira simbolo posizionata sul piano dell’avvolgimento
mediante avvolgimento concentrato posizionato sull’asse dell’avvolgimento
+I
In figura sono illustrate le due possibilità di rappresentazione dell’avvolgimento distribuito. A
fronte di una corrente positiva il vettore campo risulta orientato come illustrato in figura. Si
noti che compito dell’avvolgimento è di generare una fondamentale di campo al traferro. Per
tale ragione è caratterizzato dal numero di spire equivalenti N1’ ai fini della produzione di
F.m.m. (vedi figura).
La rappresentazione della fondamentale del campo magnetico al traferro tramite un vettore
spaziale risulta molto utile quando ci sono più avvolgimenti eccitati nella macchina. Grazie
all’ipotesi di linearità magnetica, il campo risultante generato da tutti gli avvolgimenti si
ottiene componendo i vettori spaziali dei singoli avvolgimenti.
Si ricorda invece che, anche in presenza di fenomeni di saturazione, è sempre possibile
comporre i vettori spaziali di F.m.m al traferro.
191
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.3 – Campo magnetico al traferro generato da un
avvolgimento distribuito alimentato in corrente
alternata.
Fino ad ora la corrente inviata nell’avvolgimento distribuito era supposta continua, cioè di
valore costante nel tempo. La distribuzione spaziale di campo al traferro prodotta dalla
corrente rimane quindi fissa nello spazio ad ogni istante di tempo. Si ricorda che per un
avvolgimento a p coppie polari tale distribuzione vale:
N1' ⋅ I
⋅ sin ( p ⋅ α )
H t fondamentale (α ) =
lt
(4.18)
Si supponga ora di inviare nell’avvolgimento una corrente sinusoidale del tipo:
)
i (t ) = 2 ⋅ I ⋅ cos(2 ⋅ π ⋅ f ⋅ t ) = I ⋅ cos(ω ⋅ t )
(4.19)
dove I rappresenta il valore efficace della corrente.
La distribuzione spaziale del campo al traferro verrà a dipendere, istante per istante, dal valore
della corrente. Formalmente basta sostituire l’espressione (4.19) nella (4.18).
)
N1' ⋅ I
⋅ sin ( p ⋅ α ) ⋅ cos(ω ⋅ t )
(4.20)
H t fondamentale (α, t ) =
lt
La (4.20) indica che il valore del campo
in un certo punto α lungo il traferro varia
con il valore istantaneo di corrente.
La figura a lato illustra la variazione del
vettore spaziale di campo al traferro al
variare della corrente nel tempo. Si noti
che l’ampiezza ed il verso del vettore
pulsano alla frequenza f della corrente,
ma la direzione rimane quella dell’asse
dell’avvolgimento. Quindi i massimi
della sinusoide spaziale di campo al
traferro si trovano sempre sull’asse
dell’avvolgimento. Nella figura Ht max
rappresenta il valore del campo per la
massima corrente positiva.
i(t)
t
Ht max
α
La relazione (4.20) può essere riscritta in un modo diverso ricordando la relazione
sin ( x ) ⋅ cos( y ) =
1
[sin (x + y ) + sin (x − y )]
2
Si ottiene:
)
)
N1' ⋅ I
N1' ⋅ I
⋅ sin ( p ⋅ α − ω ⋅ t )
⋅ sin ( p ⋅ α + ω ⋅ t ) +
H t fondamentale (α, t ) =
2 ⋅ lt
2 ⋅ lt
(4.21)
La (4.21) permette di scrivere il campo pulsante al traferro come la somma di due funzioni
che dipendono dal tempo e dallo spazio. È noto dai corsi di fisica che tali funzioni sono delle
onde, cioè delle sinusoidi di ampiezza costante i cui zeri si muovono (nel caso in studio
ruotano al traferro) nello spazio ad una certa velocità.
192
MACCHINE ELETTRICHE
La velocità di rotazione di queste due onde si può determinare valutandone la posizione degli
zeri, come indicato qui di seguito:
Prima onda:
sin ( p ⋅ α + ω ⋅ t )
⇒
p ⋅ α* + ω ⋅ t = 0
⇒ α* = −
ω⋅t
p
⇒
dα *
ω
=−
dt
p
⇒
dα *
ω
=+
dt
p
Seconda onda
sin ( p ⋅ α − ω ⋅ t )
⇒
ω⋅t
⇒ α =+
p
*
*
p ⋅ α − ω⋅t = 0
Le due onde ruotano quindi alla stessa velocità ma in versi diversi. Si parla, in gergo, di due
campi controrotanti. La velocità di rotazione risulta pari alla pulsazione della corrente di
alimentazione dell’avvolgimento divisa per il numero di paia poli.
La trasformazione trigonometrica usata in precedenza dimostra che un campo
magnetico con distribuzione sinusoidale fissa nello spazio e pulsante sinusoidalmente nel
tempo può essere scomposto in due onde controrotanti di campo magnetico di ampiezza
costante nel tempo (pari a metà dell’ampiezza di Ht max).
La figura seguente illustra la trasformazione usata in termini di vettori spaziali, dove H + e H sono i due campi controrotanti riportati a secondo membro dell’equazione (4.21).
i(t)
t
Ht max
+ω
H
+
Ht
H
-
-ω
H
+ω
+
H-ω
H+
Ht = 0
+ω
-ω
H+ω
H+
-ω
H-
Ht
-ω
H-
+ω
H+
Ht max
Rappresentazioni di un campo sinusoidale pulsante al traferro in termini di due
campi sinusoidali controrotanti di ampiezza fissa.
193
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.4 – Campo magnetico al traferro generato da un
avvolgimento polifase (trifase) alimentato in corrente
alternata – Campo magnetico rotante.
Nei motori elettrici, come nei generatori in c.a., l’avvolgimento disposto sullo statore è nella
grande maggioranza dei casi un avvolgimento trifase. In questo caso il numero di cave di
statore è tipicamente multiplo di 6 e del numero di paia poli p:
NS = 6 ⋅ q ⋅ p
in modo da poter ospitare 3 avvolgimenti monofase identici distribuiti ciascuno su 2q cave per
polo e con assi di simmetria sfasati di 120° secondo lo schema simbolico di figura. Si ossevi
che alla q cave di andata e di ritorno di una singola fase competono sempre 60° elettrici,
mentre in angoli meccanici corrispondono 60°/p.
1
i1(t)
120° 120°
i2(t)
120°
2
i3(t)
3
Disposizione una coppia polare completa di un avvolgimento trifase
Si supponga l’avvolgimento trifase formato da tre avvolgimenti monofase (fasi) identici tra
loro e sfasati di 120° elettrici. Ogni fase sia caratterizzata dallo stesso numero N1 di spire in
serie, dallo stesso numero di poli e quindi dallo stesso numero di spire equivalenti N1’ ai fini
della produzione di forza magnetomotrice al traferro (vedi relazione (4.13)).
Le tre fasi siano percorse da una terna simmetrica di correnti sinusoidali:
2π 

ik +1 (t ) = Iˆ cos ω ⋅ t − k ⋅ ;
3 

k = 0,1,2
(4.22)
e siano disposte sequenzialmente lungo il traferro, come illustrato nella precedente figura.
Si consideri esclusivamente la distribuzione fondamentale di F.m.m. prodotta al traferro da
ciascuna fase.
Scegliendo opportunamente l’origine della coordinata angolare α, per il generico
avvolgimento di fase di ordine k si ha:
2π 

Ak +1 (α, t ) = N1' sin  p ⋅ α − k
 ⋅ ik (t );
3 

194
N'= Kd ⋅
2 N1
π p
(4.23)
MACCHINE ELETTRICHE
Da quanti riportato al paragrafo precedente, la (4.23) rappresenta un’onda sinusoidale di
F.m.m. stazionaria nello spazio e di ampiezza variabile nel tempo in proporzione al valore
istantaneo ik(t) della corrente che la genera. Tale onda spaziale presenta il suo massimo in
corrispondenza dell’asse dell’avvolgimento della fase considerata e, se la corrente varia
sinusoidalmente con pulsazione ω , l’ampiezza di quest’onda varia nel tempo con legge
sinusoidale di pulsazione ω .
Ciascuna fase dell’avvolgimento genera, in questo modo, una propria onda di f.m.m. dislocata
lungo il traferro in relazione alla sua posizione spaziale, e pulsante con una legge temporale
regolata dalla corrispondente corrente.
L’azione risultante in termini di F.m.m. al traferro è ottenibile come somma spazio-temporale
delle singole azioni e la relativa distribuzione di induzione, è descritta dalla seguente
relazione:
µ
2π 
2π 


Bt (α, t ) = 0 N1' ⋅ Iˆ ∑ sin  p ⋅ α − k

 ⋅ cos ω ⋅ t − k
3 
lt
3 


k = 0,1, 2
(4.24)
Riapplicando ad ogni prodotto della sommatoria la trasformazione trigonometrica usata al
paragrafo precedente si ottiene, dopo alcuni semplici passaggi, la seguente espressione:
3 µ0
⋅
⋅ N1' ⋅ Iˆ ⋅ sin ( pα − ω ⋅ t )
(4.25)
2 lt
Tale espressione fornisce la descrizione, in funzione della coordinata α e del tempo t,
dell’induzione al traferro. La relazione (4.25) è ancora l’equazione di un’onda a distribuzione
sinusoidale lungo il traferro, ma quest’onda non è più stazionaria e la sua fase spaziale varia
nel tempo con legge ω t/p. Quindi la (4.25) sintetizza il concetto di campo magnetico rotante.
Bt (α, t ) =
Bt
t=0 t=t1
t=t2
α
ω t1/p
ω t2/p
Rappresentazione della rotazione dell’onda di induzione
lungo il traferro
Per quanto osservato e con l’ausilio della figura si può asserire che l’onda di campo, prodotta
da un avvolgimento trifase alimentato con una terna simmetrica di correnti alternate
sinusoidali di pulsazione ω, ruota lungo il traferro con velocità angolare pari alla pulsazione
delle correnti diviso il numero di paia poli.
In particolare, le espressioni (4.23) e (4.25) evidenziano i seguenti aspetti:
A parità di numero complessivo di spire, l’ampiezza dell’onda di f.m.m. prodotta
dall’avvolgimento è inversamente proporzionale al numero di coppie polari.
Un avvolgimento trifase, a p coppie polari, produce al traferro un campo magnetico
dotato dello stesso numero di polarità dell’avvolgimento.
L’onda di campo viaggia lungo il traferro con una velocità angolare ω/p (nello studio
delle macchine rotanti in alternata tale velocità viene chiamata velocità di
sincronismo, ωs).
195
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Come conseguenza si può affermare che la velocità del campo rotante può essere impostata,
sia pure in modo discreto, attraverso la scelta di un opportuno numero di coppie polari
dell’avvolgimento. Questo aspetto riveste una particolare importanza dal punto di vista
tecnico, come sarà chiaro nello studio del funzionamento delle principali macchine a campo
rotante.
Fase 1
Â
Distribuzione Bt(α,t)
ωt
i1(t)
Bt
Î
i1(t)
i2(t)
i3(t)
Fase 2
Fase 3
L’onda fondamentale di induzione generata dall’avvolgimento polifase, come qualunque
distribuzione sinusoidale (e come già fattto per la distribuzione sinusoidale di campo al
traferro), può convenientemente essere rappresentata simbolicamente attraverso un vettore.
Sia Bt il vettore associato alla sinusoide del campo al traferro; il modulo di questo vettore sia
uguale all’ampiezza della distribuzione spaziale e il suo orientamento corrisponda alla
posizione del massimo della distribuzione come illustrato in Figura.
Con lo stesso procedimento può essere definito il vettore A, rappresentativo della
distribuzione sinusoidale di F.m.m. che dà origine all’onda di induzione. Tra i due vettori A e
Bt intercorre, in condizioni di linearità magnetica, la seguente relazione:
µ
Bˆ t = 0 A
lt
(4.26)
In una macchina a traferro costante i vettori A e Bt sono in fase tra loro. Il vettore A è
determinato, in modulo e fase, dall’ampiezza e dalla posizione della distribuzione
fondamentale di f.m.m. prodotta dall’avvolgimento polifase. Esso è dipendente, quindi,
dall’ampiezza e dalla fase temporale del sistema simmetrico delle correnti che alimentano
l’avvolgimento.
Alla luce di quest’ultima osservazione si può introdurre convenzionalmente nel diagramma di
figura un vettore I, in fase con il vettore A e legato ad esso dalla seguente relazione, dove m è
il numero delle fasi:
ˆ = m N ' ⋅ Iˆ
A
1
2
(4.27)
Il significato attribuibile a questo nuovo vettore è diverso da quello dei vettori A e Bt; mentre
questi descrivono distribuzioni spaziali lungo il traferro delle corrispondenti grandezze, il
nuovo vettore I è suscettibile di una diversa interpretazione geometrica: esso rappresenta con
le sue proiezioni sugli assi delle singole fasi dell’avvolgimento polifase i valori istantanei
delle rispettive correnti.
196
MACCHINE ELETTRICHE
La trasformazione trigonometrica che permette di scrivere la (4.25) può essere interpretata
graficamente tramite i vettori spaziali (in particolare tramite i due vettori controrotanti di ogni
fase) come illustrato nella figura seguente. Per comodità grafiche conviene riferirsi all’istante
di tempo t = 0. Le correnti istantanee valgono, coerentemente con la (4.22):
i1 (0 ) = Iˆ;
i2 (0 ) = − Iˆ 2 ;
i3 (0 ) = − Iˆ 2 ;
Per decidere il verso di rotazione dei vettori controrotanti, si osservi che all’istante t = 0+, la
corrente i1(t) diminuisce leggermente mantenendosi positiva, la corrente i2(t) aumenta
(risultando “meno” negativa) e la corrente i3(t) diminuisce (risultando “più” negativa).
i1(0)
B1
+
B
B -1
1
+ω
-ω
B+3
B+2
B2
+ω
B3
-ω
B -2
B -3
+ω
-ω
i2(0)
i3(0)
B1+
B -1
+ω
B+2
+ω
+ω
B+3
-ω
Bt=3/2 B1 max
Somma nulla in ogni
punto α del traferro
-ω
B -3
-ω
B -2
Genesi del campo rotante dalla composizione dei campi pulsanti di ogni fase
197
PROF. ANDREA CAVAGNINO
4.4.1 – Cenni sul campo rotante in avvolgimenti a gabbia
L’avvolgimento a gabbia di scoiattolo viene
utilizzato nella costruzione dell’avvolgimento
rotorico nei motori asincroni. Una sua
Sbarre
schematizzazione è riportata in figura.
La gabbia di scoiattolo è classificabile come
un caso atipico d’avvolgimento polifase.
Infatti ogni conduttore (sbarra) della gabbia è
percorso da una propria corrente, diversa da
quelle che percorrono i conduttori vicini, ed è
per questo interpretabile come fase
dell’avvolgimento.
Un avvolgimento a gabbia è, da questo punto
Anelli
di
vista,
un
avvolgimento
polifase
caratterizzato da un numero di fasi m uguale
Gabbia di scoiattolo
al numero di sbarre NR e ciascuna fase è
costituita da un unico conduttore (numero di
conduttori in serie per fase Zf = Zc= 1).
Inoltre l’avvolgimento a gabbia non possiede un numero di polarità proprio, come accade per
un avvolgimento tradizionale. Il sistema di correnti, che percorrono i conduttori, è indotto
dal campo rotante al traferro, prodotto generalmente da un altro avvolgimento di tipo
convenzionale, e ne riflette automaticamente il numero di coppie polari p.
In questa trattazione ci limiteremo ad analizzare gli effetti magnetici, prodotti da questa
struttura, quando le sbarre siano percorse da un sistema di correnti indotte da una campo con
una coppia di paia poli.
Per valutare la distribuzione fondamentale di f.m.m. prodotta complessivamente dalla gabbia,
si supponga che le NR sbarre siano percorse da un sistema polifase regolare di correnti di
sequenza:

2π
ik (t ) = Iˆ cos ω ⋅ t − k ⋅
NR


;

k = 0,1,2,3, L , N R − 1
(4.28)
occorre sommare i contributi fondamentali di f.m.m. prodotti ciascuna sbarra:

2π 
 ⋅ ik (t );
Ak (α, t ) = N1' ⋅ sin  α − k
N R 

N1' =
1
π
(4.29)
Si ricorda che il numero N’1 è il numero di spire equivalenti, ai fini della produzione
dell’onda fondamentale di f.m.m., ad una singola sbarra della gabbia.
Operando in modo analogo al caso dell’avvolgimento trifase, la distribuzione fondamentale di
induzione al traferro può essere descritta dalla seguente relazione:


µ0 ' ˆ
2π 
2π 
 ⋅ cos ω ⋅ t − k

sin  α − k
N1 ⋅ I
∑
lt
N
N
R
R

k =0,1,2..N R −1 
e il risultato dei calcoli fornisce la seguente espressione per l’onda fondamentale di f.m.m.
prodotta dalla gabbia.
Bt ,
Bt ,
198
NR
NR
(α, t ) =
(α, t ) =
N R µ0 ' ˆ
N1 ⋅ I sin (α − ω ⋅ t )
2 lt
(4.30)
MACCHINE ELETTRICHE
Tale espressione è formalmente simile alla (4.25), eccezion fatta per il coefficiente NR /2, che
sostituisce il coefficiente 3/2 dell’avvolgimento trifase. In effetti, la gabbia si comporta come
un avvolgimento polifase formato da NR fasi, costituite ciascuna da un unico tratto attivo.
La trattazione, nel caso in cui il numero di coppie polari del campo induttore, che origina le
correnti di sbarra, fosse uguale a p, porterebbe alla seguente formulazione del campo rotante:
Bt , N R (α, t ) =
N R µ0 1 ˆ
⋅ I sin ( pα − ω ⋅ t )
2 lt π ⋅ p
(4.31)
.
4.5 – Flusso di macchina
Si definisce flusso di macchina o flusso di un polo il valore del flusso della componente
fondamentale della distribuzione di induzione al traferro attraverso la superficie relativa ad un
polo magnetico. Se Bt è l’ampiezza della distribuzione e Rt ed La sono rispettivamente raggio
al traferro e lunghezza attiva dei conduttori, nel caso della macchina a una coppia polare si
può scrivere:
π
ˆ u = Bˆ t sinα ⋅ Rt La dα ;
Φ
∫
ˆ u = Bˆ t ⋅ 2 Rt La
Φ
(4.32)
0
Se la macchina possiede p coppie polari il flusso di macchina vale:
π
ˆu =
Φ
P
∫ Bˆ t sin pα ⋅ Rt La dα;
0
ˆ u = Bˆ t ⋅ 2 Rt La
Φ
p
(4.33)
Tale flusso viene anche definito flusso utile al traferro, per il motivo che ad esso possono
essere imputate le azioni di conversione dell’energia elettrica operate dalle macchine a campo
rotante.
Anche il flusso utile può essere rappresentato convenzionalmente con un vettore che risulta
orientato come il vettore Bt.
Φu
Bt
Φu
Bt(α)
B̂t
Bt
α
passo polare
Definizione del flusso utile al traferro e sua rappresentazione vettoriale
199
Capitolo
5
IL MOTORE ASINCRONO
5.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
La macchina asincrona utilizza il principio del campo rotante introdotto da Galileo Ferraris
nel 1885. Il campo magnetico, prodotto da un avvolgimento polifase ancorato ad una struttura
magnetica fissa (statore), induce un sistema di f.e.m. e di correnti in un avvolgimento polifase
ancorato alla struttura magnetica mobile (rotore).
L’interazione tra il campo rotante ed il sistema di correnti rotoriche indotte produce un effetto
meccanico di trascinamento del rotore. Questo effetto si esplica attraverso la generazione di
una coppia motrice che tende a sincronizzare il rotore con il campo rotante induttore.
Naturalmente, qualora il rotore risultasse possedere la stessa velocità del campo di statore
(generalmente indicata con il termine velocità di sincronismo, ωs), verrebbero meno i
fenomeni di induzione e la stessa coppia motrice si annullerebbe.
Questa macchina necessita, per poter attuare la conversione elettromeccanica, della presenza
di uno scorrimento tra rotore e campo: di qui il nome di macchina asincrona.
Come tutte le altre macchine elettriche, anche la macchina asincrona può funzionare sia da
motore, sia da generatore elettrico. Quest’ultima possibilità richiede, tuttavia, che la macchina
sia allacciata ad una rete in grado di provvedere alla generazione del campo rotante e che il
rotore sia trascinato a velocità ipersincrona attraverso l’impiego di un motore primo.
Oggi la macchina asincrona trova le sue principali applicazioni come motore elettrico: si parla
quindi di motore asincrono o motore a induzione.
I motori a induzione sono tra i motori elettrici più diffusi nel campo dello sfruttamento
industriale dell’energia elettrica a fini meccanici. Nei paesi industrializzati si stima che una
percentuale compresa tra il 40% ed il 60% dell’energia elettrica globalmente prodotta venga
utilizzata dai motori a induzione.
5.1.1 – Aspetti costruttivi
Struttura magnetica
I motori asincroni presentano una struttura magnetica, destinata a contenere il flusso generato
dagli avvolgimenti, realizzata in ferro laminato (vedi figura seguente). Tale struttura
magnetica è costituita in due parti concentriche, mobili l’una rispetto all’altra, separate da un
sottile strato d’aria denominato traferro.
La parte esterna, solitamente fissa, viene chiamata statore.
La parte interna, mobile e solidale con l’albero del motore, viene detta rotore.
201
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Corona statore
Cave rotore
Carcassa
Corona rotore
Foro
Raggio traferro
Cave statore
Struttura magnetica di un motore asincrono
Sia lo statore che il rotore presentano, lungo il traferro, le scanalature destinate a contenere gli
avvolgimenti della macchina. Tali scanalature vengono chiamate cave. Le parti in ferro tra
due cave contigue vengono chiamate denti e servono per convogliare il flusso dal traferro alle
corone di statore o rotore. A volte le corone sono chiamate gioghi. Le due parti vengono
tranciate direttamente, o in passi successivi, sulla stessa lamiera; i dischi così ottenuti,
completi di cave e di fori, vengono impilati nel numero sufficiente a ottenere la lunghezza
desiderata del motore.
Le due pile di lamiere di statore e di rotore vengono dette comunemente pacco statorico e
pacco rotorico. Entrambi i pacchi possono essere continui o, nelle taglie più grandi, interrotti
da canali di ventilazione trasversali.
Il pacco rotorico viene reso solidale all’albero (accoppiamento a chiavetta, a giunto mille
righe , etc.) mentre il pacco statorico è inserito con forzamento a caldo o con altri
collegamenti in una carcassa metallica (acciaio, ghisa, alluminio). Tale carcassa è quasi
sempre alettata al fine di favorire lo smaltimento del calore, anche grazie ad un flusso assiale
di aria prodotto da una ventola solidale all’albero del motore.
Molto spesso, per motivi legati alla soppressione o riduzione di disturbi di funzionamento del
motore, al pacco di lamiere di rotore (più raramente al pacco di statore) viene data una
rotazione continua in modo che ciascun lamierino si presenti leggermente ruotato di un
piccolo angolo rispetto al precedente. In tal modo si ottengono strutture dette a cave inclinate.
In assenza di questa operazione si parla di pacco a cave diritte.
Avvolgimenti
Tipicamente un motore asincrono industriale possiede un avvolgimento di tipo trifase sullo
statore ed un avvolgimento trifase o una gabbia di scoiattolo sul rotore.
L’avvolgimento di statore è tipicamente organizzato in bobine preformate in filo o in piattina
di rame smaltato. I lati delle bobine (tratti attivi) vengono inseriti nelle cave attraverso le
aperture che devono avere larghezza adeguata a favorire l’operazione.
I principi e le fini di ciascuna fase vengono riportati alla morsettiera, posta sulla carcassa, in
modo sfalsato, come illustrato nella figura seguente.
202
MACCHINE ELETTRICHE
W2
U1
U2
V1
V2
U1
V1
W1
W2
U2
V2
Collegamenti di morsettiera
W1
Sistema degli avvolgimenti statorici e disposizione dei morsetti in morsettiera
In questa maniera è possibile collegare le tre fasi nella configurazione a stella ( connessione a
tratto continuo in figura) ovvero a triangolo (connessione a tratteggio nella stessa figura).
Il motore può essere alimentato con tensioni diverse. Ad esempio, se le fasi sono
dimensionate singolarmente per una tensione di 230 V, il motore connesso a triangolo potrà
essere alimentato da una rete trifase con tensione di linea (concatenata) pari a 230 V; se il
motore è invece collegato a stella, potrà essere alimentato da una rete trifase a 400 V
concatenati. La duplice possibilità di collegamento Y/D può inoltre essere utilizzata per
risolvere alcuni problemi di avviamento, come sarà illustrato in seguito.
Nella figura precedente si possono osservare le testate di avvolgimento o connessioni frontali,
cioè i tratti di avvolgimento che non sono inseriti all’interno delle cave. Questi conduttori
hanno il compito di richiudere opportunamente le spire per realizzare la distribuzione voluta
di corrente nei tratti attivi di avvolgimento. Le testate non servono quindi per la conversione
elettromeccanica dell’energia che si attua al traferro della macchina.
Per quanto riguarda il rotore esistono due tipologie di avvolgimento.
Rotore avvolto
Rotore a gabbia
Nel primo caso l’avvolgimento è tipicamente trifase e deve avere lo stesso numero di polarità
dello statore; anch’esso è organizzato in bobine inserite nelle cave di rotore. In questo caso le
cave rotoriche devono essere del tipo aperto o semichiuso, come illustrato alla fine di questo
paragrafo.
Nei motori a rotore avvolto viene sfruttata la possibilità di accedere agli avvolgimenti rotorici
attraverso dei contatti striscianti (spazzole) e degli anelli a cui fanno capo i terminali liberi
delle tre fasi di rotore, come illustrato schematicamente in figura.
Legature di testata
anelli
Pacco di rotore a
cave inclinate
Testate dell’avvolgimento
Configurazione di principio di un rotore avvolto.
203
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Questa soluzione costruttiva, abbastanza in uso in passato, è oggi praticamente abbandonata
nei motori industriali. Motori asincroni a rotore avvolto vengono ancora costruiti
esclusivamente per grosse taglie di potenza, laddove si pensi di realizzare una regolazione di
velocità del motore con interventi sull’avvolgimento rotorico.
Oggi, nel campo delle applicazioni industriali, la tipologia di motori a induzione più
impiegata prevede la versione a gabbia di scoiattolo dell’avvolgimento rotorico.
Anelli di corto-circuito
Alette di
ventilazione interna
Motore con rotore a gabbia presso-fusa
Il nome di questo tipo di avvolgimento derivata dall’idea che se si eliminassero i lamierini di
rotore, le sbarre e gli anelli di cortocircuito relizzerebbero una struttura simile a quella delle
ruote per far giocare i criceti e gli scoiattoli (vedi figura al paragrafo 5.1.2).
Tale gabbia viene realizzata, almeno per le taglie di potenza orientativamente inferiori ai 250
kW, in alluminio attraverso un processo di pressofusione. Questo procedimento è
estremamente veloce e vantaggioso, in termini economici, per una vasta produzione di serie;
esso consiste nell’iniettare alluminio fuso, sotto pressione, nelle scanalature del rotore con
l’ausilio di appositi stampi. In questa maniera in un'unica operazione vengono realizzate sia le
sbarre che gli anelli terminali di corto circuito della gabbia. La struttura del rotore appare
come quella raffigurata in figura. La tecnica di pressofusione permette di realizzare forme di
cava anche molto complesse.
Il numero di sbarre della gabbia deve essere convenientemente scelto in relazione al numero
di poli e di cave dello statore, al fine di ridurre possibili disturbi o irregolarità di
funzionamento. La possibili combinazioni sono riportate nella tabella seguente.
N. poli
N. cave statore 18
14
16
N. cave rotore 22
24
26
Cave di rotore compatibili
2
4
24 30 36 24 36 48 36
16 22 24 18 26 30 26
20 24 28 30 30 40 28
28 37 42 32 42 54 44
29
46 34 46 58 45
30
62 46
32
6
54
38
40
64
68
70
72
8
72 36 48
52 44 34
56 46 36
58
38
92
60
94
72
54
58
86
90
96
Nel caso di motori asincroni ‘general purpose’, si ricorre spesso ad un disegno di cava di
rotore particolarmente sviluppato in senso radiale (motori a cave profonde), oppure a
soluzioni a gabbie multiple concentriche, come illustrato nella figura seguente. Questi
accorgimenti consentono di ottenere buone prerogative di avviamento, come verrà spiegato in
seguito.
204
MACCHINE ELETTRICHE
a)
b)
c)
d)
e)
Forme di cave rotoriche
a) cava aperta
d) cava profonda
b) cava semichiusa
e) cave per doppia gabbia
c) cave chiuse
5.1.2 – Immagini del motore asincrono trifase
Assemblaggio del pacco statorico e dell’avvolgimento di statore
Spaccato di un motore ad induzione a gabbia di scoiatttolo
205
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Esploso di un motore asincrono a gabbia
Motore asincrono a rotore avvolto (a sinistra) ed a gabbia (a destra)
Sbarre di rotore
Esempio di gabbia di scoiattolo
Anelli di cortocircuito
206
MACCHINE ELETTRICHE
5.2 – Principio di funzionamento e circuito equivalente
Nello studio semplificato del funzionamento a regime della macchina asincrona, affrontato in
questo paragrafo, si farà costantemente riferimento, per aderenza alle tipologie di macchine
più importanti a livello applicativo, ad uno statore dotato di avvolgimento trifase. Nessuna
ipotesi viene fatta circa la connessione a stella o a triangolo delle bobine; tensioni e correnti di
statore sono pertanto da intendersi come tensioni e correnti di fase.
Per il rotore si tenderà a prescindere dal numero di fasi e l’avvolgimento potrà essere
interpretato indifferentemente, sia come avvolgimento trifase, sia come avvolgimento
polifase.
Occorre ricordare che questa generalità della trattazione è possibile se si accetta di trascurare,
dal punto di vista della conversione elettromeccanica dell’energia, gli effetti delle armoniche
spaziali di F.m.m prodotte dagli avvolgimenti reali. In altre parole, lo studio considera solo le
fondamentali delle distribuzioni spaziali al traferro definite al capitolo 4.
5.2.1 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore fermo
Si immagini che l’avvolgimento trifase di statore di una macchina asincrona sia alimentato
con una terna simmetrica di tensioni sinusoidali e che esso sia percorso da una corrispondente
terna simmetrica di correnti. Sia ω la pulsazione di queste grandezze elettriche. Si supponga,
inoltre, che l’avvolgimento di rotore sia aperto e non lasci circolare alcuna corrente. Il campo
rotante è quindi prodotto dalle sole correnti di statore.
Il flusso di macchina (o flusso utile, Φu), ruotando al traferro indurrà delle forze elettromotrici
nei vari avvolgimenti presenti. Infatti ogni avvolgimento vede variare nel tempo il suo flusso
concatenato a seguito della rotazione, lungo il traferro, dell’onda di flusso Φu. Si ricorda
ancora che l’ampiezza della distribuzione fondamentale di flusso è costante nel tempo. È
possibile dimostrare che i flussi concatenati massimi(1) con una fase di statore ed una fase di
rotore valgono:
λ s max = N s* ⋅ Φ u ;
λ r max = N r* ⋅ Φ u
dove Ns* e Nr* rappresentano rispettivamente il numero di spire equivalenti ai fini della
produzione di forza elettromotrice (o del concatenamento di flusso) dell’avvolgimento di
statore e di rotore. Si osservi che il concatenamento di flusso da parte di una fase dipende da
come la fase stessa è distribuita lungo il traferro. Ne consegue che fenomeni indotti in due
cave contigue saranno sfasati temporalmente. Tale osservazione permette di concludere che se
le fasi di statore sono sfasate di 120° elettrici nello spazio, i fenomeni indotti nelle stesse sono
sfasati di 120° nel tempo.
In analogia a quanto visto per il trasformatore (a parte la modalità di concatenamento di flusso
appena illustrate), si possono esprimere tali F.e.m indotte nel seguente modo:
Forza elettromotrice di statore
e s (t ) = +
dλ s (t )
dt
⇒
ˆ
E s = + j ⋅ ω ⋅ Λ s = + j ⋅ 4.44 ⋅ N s* ⋅ f ⋅ Φ
u
(5.1)
Forza elettromotrice di rotore (per ipotesi il rotore è fermo, ωr = 0)
er (t ) = −
(1)
dλ r (t )
dt
⇒
ˆ
E r = − j ⋅ ω ⋅ Λ r = + j ⋅ 4.44 ⋅ N r* ⋅ f ⋅ Φ
u
(5.2)
condizione che si verifica quando il vettore spaziale di flusso utile è posizionato sull’asse della fase.
207
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Le relazioni precedenti rimangono valide anche per un motore a p paia poli. In questo caso i
vettori spaziali al traferro ruotano alla velocità ω/p, ma lungo l’intera circonferenza si
susseguono p paia poli. Dal punto di vista elettrico, le F.e.m indotte avranno sempre la stessa
pulsazione ω = 2πf. In altre parole, la pulsazione delle F.e.m. indotte è pari alla velocità
elettrica del campo magnetico rotante (ω = p ωs =2 π f).
Le equazioni (5.1) e (5.2) dimostrano che, nelle condizioni di funzionamento specificate
(avvolgimento di rotore aperto e rotore fermo), il motore asincrono si comporta esattamente
come un trasformatore a vuoto. Si parla di trasformatore a campo rotante. Pregio di questa
macchina è la possibilità di variare a piacere il numero di fasi del sistema elettrico secondario,
che viene a coincidere con il numero di fasi dell’avvolgimento rotorico.
Ovviamente in questo caso l’avvolgimento di rotore deve essere di tipo avvolto (con anelli e
spazzole) per collegare il carico elettrico. Nel trasformatore a campo rotante il trasferimento
di potenza elettrica tra statore e rotore (entrambi fermi) avviene grazie al campo magnetico
rotante al traferro anziché tramite il campo pulsante nel nucleo magnetico di un trasformatore
convenzionale (fisso nello spazio). Si noti che per attuare questo trasferimento di potenza, lo
statore ed il rotore si scambiano reciprocamente una coppia.
Sempre dalle equazioni (5.1) e (5.2) e possibile osservare che il rapporto dei moduli delle
tensioni indotte a statore ed a rotore vale:
E s N s*
=
(5.3)
E r N r*
Per le analogie viste, il funzionamento del motore asincrono nelle condizioni specificate può
essere studiato con un circuito equivalente uguale a quello del trasformatore dove il primario
si interpreta come statore ed il secondario come rotore. Si osservi ancora l’isofrequenzialità
del circuito di statore e rotore.
5.2.2 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore in
movimento
Si supponga ora di trascinare dall’esterno il rotore ad una velocità ωr. Se l’avvolgimento di
rotore è aperto non possono circolare correnti ed il campo magnetico al traferro continua ad
essere generato solo dalle correnti di statore.
La F.e.m. indotta in una fase di statore rimane inalterata (vedi equazione (5.1)), mentre la
(5.2) non è più vera a causa del moto relativo tra il campo magnetico rotante ed il rotore.
Si noti che il moto relativo deve essere valutato in termini di “velocità elettrica” e non di
“velocità meccanica” in quanto i concatenamenti di flusso dipendono dall’angolo elettrico. Ne
consegue che la forza elettromotrice indotta a rotore vale:
E r = − j ⋅ (ω − pω r ) ⋅ Λ r
(5.4)
Il fasore Er possiede una pulsazione diversa da quella del fasore Es. Questi due fasori non
possono quindi essere rappresentati in un unico diagramma vettoriale. Si vedrà in seguito
come risolvere tale problema.
Si definisce scorrimento del rotore il rapporto tra la velocità relativa del campo rotante
rispetto al rotore e la velocità del campo rotante stesso (in valore assoluto o percentuale). Nel
caso generale di una macchina a p coppie polari la velocità del campo rotante vale ωs = ω /p,
quindi lo scorrimento è dato da:
s=
208
ω − p ⋅ ωr ω p − ωr ω s − ωr
=
;
=
ω p
ωs
ω
s% =
ωs − ωr
⋅ 100
ωs
(5.5)
MACCHINE ELETTRICHE
Il concetto di scorrimento rappresenta una grandezza fondamentale nello studio della
macchina asincrona. Due particolari valori di scorrimento assumono una certa importanza:
il valore s = 0 corrispondente alla rotazione del rotore sincrona con il campo ωr = ω/p;
il valore s = 1 corrispondente alla condizione di rotore fermo ωr = 0
La velocità relativa del campo rotante rispetto al rotore viene comunemente detta anche
velocità di scorrimento ed è data da:
ω sc =
ω
− ωr
p
velocità di scorrimento meccanica
(5.6)
Le grandezze elettriche (tensioni, correnti), indotte dal campo rotante negli avvolgimenti
rotorici presentano una pulsazione denominata pulsazione di scorrimento, proporzionale alla
velocità di scorrimento e al numero di coppie polari p del campo al traferro. Questa
pulsazione vale:
sω = ω − p ⋅ ω r
pulsazione elettrica di scorrimento
(5.7)
Grazie alla definizione di pulsazione di scorrimento la F.e.m. indotta a rotore può essere
scritta come:
ˆu
E r = − j ⋅ (ω − pω r ) ⋅ Λ r = − j ⋅ s ⋅ ω ⋅ Λ r = − j ⋅ 4.44 ⋅ N r* ⋅ (s ⋅ f ) ⋅ Φ
(5.8)
La (5.8) dimostra che l’ampiezza della F.e.m. indotta nell’avvolgimento di rotore varia
linearmente con lo scorrimento e la sua pulsazione corrisponde alla pulsazione di scorrimento
sω. Ovvero i fenomeni indotti a rotore sono ad una frequenza pari a s·f, dove f è la
frequenza di alimentazione dello statore.
Nella pratica, la velocità di sincronismo del campo rotante viene espressa in giri al minuto (ns
in [rpm]) e può essere calcolata nel seguente modo:
ωs =
ω 2 ⋅ π ⋅ f 2 ⋅ π ⋅ ns
=
=
60
p
p
⇒
ns =
60 ⋅ f
p
(5.9)
Quindi la velocità di sincronismo è una grandezza che dipende dal numero di poli del motore
e dalla frequenza di alimentazione. Ne consegue che per un motore, alimentato a frequenza
costante, la velocità di sincronismo è una costante.
La tabella a fianco riporta le velocità di
Velocità di sincronismo con f = 50 Hz
sincronismo al variare del numero di poli della
ns
2p
p
macchina nel caso comune di una alimentazione
numero
poli
[rpm]
paia
poli
a 50 Hz.
1
2
3000
Si anticipa il concetto che, nelle normali
2
4
1500
condizioni di funzionamento del motore (ad
esempio, per il funzionamento nominale), il
3
6
1000
valore dello scorrimento è un numero molto
4
8
750
piccolo (pochi percento della velocità di
…
…
…
sincronismo). Ne consegue che la velocità
meccanica del rotore sarà molto prossima alla
velocità di sincronismo. Come esempio si considerino i seguenti dati:
sn = 3%;
ns =
60 ⋅ f
= 1500 rpm;
p
f = 50 Hz;
p = 2 (paia poli)
nr = (1 − s n ) ⋅ n s = (1 − 0.03) ⋅ 1500 = 1455 rpm
209
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5.2.3 – Funzionamento con avvolgimento di rotore in cortocircuito e con rotore
in movimento
Se l’avvolgimento indotto di rotore è chiuso in corto circuito, come accade nelle condizioni di
funzionamento normale di una macchina asincrona(1), il sistema di f.e.m. di rotore
rappresentato dal fasore Er (5.8) produce nell’avvolgimento di rotore un sistema
isofrequenziale di correnti alla pulsazione elettrica di scorrimento sω.
Grazie alle ipotesi fatte, tale sistema di correnti è una stella equilibrata e simmetrica che,
fluendo nelle fasi rotoriche, produce una campo magnetico rotante al traferro. Il campo
magnetico generato dal rotore ruota rispetto al rotore stesso (cioè rispetto alla struttura di
avvolgimento che lo ha generato) alla velocità sω/p. Si ricordi che il numero di poli di rotore è
uguale a quello di statore.
In questo modo si è indotta una magnetizzazione a rotore dallo statore (ovvero “il magnete
permanente” a rotore considerato al paragrafo 4.1). Si presti però attenzione al fatto che il
rotore ruota alla velocità meccanica ωr. Ne consegue che la velocità del campo rotante
generato dal rotore rispetto ad un riferimento fisso vale, componendo i moti relativi:
ωr +
s⋅ω
p
Ricordando la definizione di scorrimento, la relazione precedente può essere riscritta nel
seguente modo:
ωr +
s ⋅ ω p ⋅ ω r + s ⋅ ω p ⋅ ω r + (ω − p ⋅ ω r ) ω
=
=
= = ωs
p
p
p
p
(5.10)
La (5.10) indica che il campo magnetico generato dal rotore (e non il rotore) è sincrono con
il campo magnetico di statore. Questa condizione permette uno scambio di coppia tra la
struttura di rotore e di statore, come chiarito al paragrafo 4.1.
A questo punto si comprende che, in caso di avvolgimento di rotore in cortocircuito, il campo
magnetico risultante al traferro deriva dall’azione congiunta dei due sistemi di corrente di
statore e di rotore che percorrono i rispettivi avvolgimenti. Come già visto nel caso del
trasformatore l’avvolgimento indotto reagisce all’avvolgimento induttore esplicando un’azione
di tipo smagnetizzante. Non si ritiene utile proseguire sull’argomento.
Sulla base di quanto finora esposto e ricordando le analogie con il trasformatore si può
pensare al seguente circuito equivalente per descrivere il funzionamento del motore asincrono
nelle condizioni specificate.
Tale circuito equivalente deve intendersi come circuito equivalente monofase, nel senso che
descrive una fase di statore ed una fase di rotore. Il significato dei parametri riportati nel
circuito è il seguente:
Vs fase
Rs
Lds
ω = 2πf
Lm
Es
(1)
: tensione di fase di statore
: resistenza di fase di statore
: induttanza di dispersione di fase di statore
: pulsazione elettrica delle grandezze di statore
: induttanza di magnetizzazione
: F.e.m. di fase indotta a statore
La connessione elettrica tipica dell’avvolgimento di rotore è quella in cortocircuito. Si pensi a tal proposito ad
un rotore a gabbia. Non si deve confondere la connessione elettrica dell’avvolgimento di rotore con il
funzionamento in cortocircuito del motore, in cui si osservano correnti assorbite elevate. Il funzionamento in
cortocircuito di un motore asincrono si ha per s = 1, vale a dire con il rotore bloccato (fermo).
210
MACCHINE ELETTRICHE
Er
Rr
Ldr
sω
: F.e.m. di fase indotta a rotore
: resistenza di fase di rotore
: induttanza di dispersione di fase di rotore
: pulsazione elettrica delle grandezze di rotore
Le induttanze di dispersione tengono conto dei flussi dispersi dall’avvolgimento di statore e di
rotore, ovvero di flussi che non si concatenano con entrambi gli avvolgimenti. Tali flussi si
annidano principalmente in cava e nelle testate di avvolgimento ed evolvono per lunghi tratti
in aria.
L’induttanza di magnetizzazione tiene conto del fatto che per creare il flusso utile al traferro si
deve assorbire una corrente magnetizzante. Si noti che, al contrario del trasformatore, la
corrente di magnetizzazione Im non è percentualmente piccola rispetto alle correnti di normale
funzionamento in quanto si deve magnetizzare il traferro (zona d’aria che presenta una
riluttanza elevata).
Xds= ωLds
Rs
Is
Vs fase
ω
Xdr=sωLdr
Ir
Im
Xm=ωLm
Rr
Es
Er
sω
Circuito equivalente della macchina asincrona con due circuiti a frequenza diversa.
Prima di spiegare il significato dei generatori pilotati che compaiono in figura, è conveniente
riportare grandezze e parametri di uno dei due avvolgimenti allo stesso numero di spire
dell’altro avvolgimento (sempre in analogia a quanto visto per il trasformatore).
Nel caso del trasformatore poteva essere utile, secondo le necessità, condurre il riporto verso
il primario oppure verso il secondario; nella macchina asincrona l’operazione di riporto è
condotta esclusivamente verso l’avvolgimento di statore, poiché nella maggior parte dei casi
l’avvolgimento di rotore è inaccessibile (avvolgimento a gabbia) e quindi l’operazione inversa
non riveste particolare interesse. Tuttavia, mentre per il trasformatore il riporto poteva basarsi
su un concetto univoco di rapporto spire o di trasformazione, nel caso delle macchine a campo
rotante il numero di spire equivalenti di un avvolgimento è definito diversamente secondo che
si tratti di valutare le f.m.m. (N’) ovvero le f.e.m. indotte (N*), come illustrato ai paragrafi
precedenti ad al capitolo 4.
Senza entrare nei dettagli, è possibile definire opportuni coefficienti che permettono di
riportare i parametri di rotore allo statore. A valle delle operazioni descritte, l’avvolgimento di
rotore risulta apparentemente costituito dallo stesso numero di fasi (generalmente 3) e dallo
stesso numero equivalente di spire dell’avvolgimento di statore. I fenomeni elettrici di rotore
continuano ancora avere una pulsazione pari alla pulsazione elettrica di scorrimento.
Il circuito equivalente così ottenuto è riportato nella pagina seguente. Si osservi che nel
riporto (cioè nella variazione fittizia del numero di fasi e di spire del rotore), la F.e.m di rotore
diventi pari a s volte la tensione indotta a statore.
211
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Xds= ωLds
Rs
Is
Vs fase
ω
Xdr’=sωLdr’
Ir ’
Im
Xm=ωLm
R r’
Es
Er’=sEs
sω
Circuito equivalente della macchina asincrona con due circuiti a frequenza diversa e
parametri di rotore riportati a statore.
Il confronto di questo circuito con il circuito equivalente del trasformatore mette in evidenza
molte analogie ed alcune sostanziali differenze.
Il sistema dei due generatori pilotati ha il compito di adattare le frequenze tra statore e rotore.
Il generatore dipendente Ir’ ,così come nel trasformatore, mette in risalto l’effetto prodotto
dalla corrente equivalente di reazione d’indotto sull’avvolgimento di statore: la corrente
'
I m = I s − I r (dove la corrente di rotore riportata a statore è da intendersi a frequenza f) può
essere interpretata come corrente magnetizzante, in quanto ad essa è dovuta la produzione del
flusso di macchina creato da tutti gli avvolgimenti.
La differenza sostanziale tra il circuito equivalente precedente e quello corrispondente del
trasformatore è la seguente: nel trasformatore i due circuiti, primario e secondario, sono
isofrequenziali e il generatore dipendente di f.e.m. indotta al secondario corrisponde
esattamente alla tensione indotta sul circuito primario. Al contrario, nel caso del motore
asincrono, i due circuiti sono relativi a frequenze diverse e il generatore di tensione
dipendente Er’ è legato alla tensione Es attraverso lo scorrimento.
L’operazione di fusione dei due circuiti in un unico semplice circuito non è al momento
possibile.
Inoltre si può osservare che la trasmissione di potenza meccanica tra statore e rotore non viene
descritta in modo evidente da nessun elemento del circuito equivalente.
212
MACCHINE ELETTRICHE
5.2.4 – Circuito equivalente riportato alla frequenza di alimentazione
Ai fini dei calcoli e della valutazione delle caratteristiche elettromeccaniche della macchina è
necessario operare ancora una trasformazione sul circuito equivalente precedente.
Attraverso tale trasformazione si tenderà a riunire in un unico circuito elettrico
isofrequenziale i due circuiti separati di statore e di rotore. L’operazione deve prevedere
l’eliminazione dei due generatori dipendenti Ir’ ed Er’ e, perché ciò sia possibile occorre
alterare le scale di tensione del circuito di rotore in modo da portare a coincidere i valori di Er’
e di Es.
Il riporto alla frequenza di statore del circuito rotorico avviene modificando, secondo il
rapporto di frequenze s, le impedenze e le f.e.m. rotoriche in modo da non alterare il regime di
correnti. In altre parole, si divide per il valore di scorrimento s l’equazione di tensione del
circuito rotorico scrivibile sulla base del circuito equivalente precedente.
In questo modo il valore del generatore dipendente di tensione secondario uguaglia, come
desiderato, il valore ES della f.e.m. di statore. Inoltre la reattanza di dispersione viene espressa
da ωLσR e la relativa caduta di tensione corrisponde a quella prodotta da una corrente Ir’ a
pulsazione ω e quindi isofrequenziale con lo statore.
In tal modo i due circuiti, ormai isofrequenziali, possono essere fusi tra loro, come indicato in
figura, e i generatori dipendenti possono essere definitivamente eliminati.
La resistenza rotorica viene anch’essa alterata da questa operazione passando dal valore Rr’ al
valore fittizio Rr’/s e questo comporta una variazione della potenza attiva gestita a rotore.
Xds= ωLds
Rs
Is
Vs fase
ω
Xdr’=ωLdr’
Ir ’
Im
Xm=ωLm
Rr’/s
Es
ω
traferro
Circuito equivalente monofase della macchina asincrona riportato alla frequenza di statore.
La divisione per s, in effetti, altera il bilancio energetico e tutta la potenza elettrica trasmessa
al traferro dall’avvolgimento di statore risulta, a questo punto, interamente ricevuta dal rotore
in forma elettrica. Occorre osservare che la modifica delle tensioni e delle impedenze del
circuito secondario ed, in particolare, della resistenza di rotore porta a definire un valore
fittizio di resistenza R’R/s in cui confluiscono non solo le perdite di rotore per effetto Joule,
ma anche quella quota di potenza che prima scompariva dal bilancio elettrico e costituiva la
potenza meccanica sviluppata dalla macchina (prelevata all’albero della macchina dal carico
meccanico).
Finora, nello studio della macchina, si sono trascurati gli effetti dissipativi presenti nel ferro.
Occorre ricordare che la generazione di un campo magnetico rotante al traferro produce
un’induzione continuamente variabile nella struttura in ferro (denti, corone) con conseguenti
fenomeni di isteresi e di correnti parassite. Poiché le perdite associabili a questi fenomeni
dipendono oltre che dall’induzione anche dalla frequenza, si può completare il circuito
equivalente precedente con un elemento resistivo Rfe disposto in parallelo alla reattanza di
magnetizzazione, come già visto nel caso del trasformatore.
213
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il seguente circuito equivalente, comprensivo anche delle perdite nel ferro, rappresenta il
circuito equivalente definitivo per il motore asincrono. Si noti che negli esercizi di calcolo si
farà sempre riferimento ad una connessione a stella per la macchina trifase,
indipendentemente dall’effettivo collegamento dell’avvolgimento di statore. Ciò equivale a
dire che i parametri da utilizzare nel circuito equivalente sono quelli equivalenti a stella.
Xds= ωLds
Rs
Xdr’=ωLdr’
I0
Is
Vs fase
ω
RFe
IFe
Rr’/s
Ir ’
Xm
ω
Es
Im
traferro
Circuito equivalente monofase della macchina asincrona.
Come per il trasformatore le perdite nel ferro sono praticamente indipendenti dalle condizioni
di carico del motore (correnti IS, I’r) e dipendono esclusivamente dall’ampiezza del campo
rotante e, quindi in definitiva, dalla tensione di alimentazione.
Questa voce di perdita aggiuntiva deve essere pensata praticamente a carico della sola
struttura magnetica di statore. Infatti, nel normale funzionamento a regime, il rotore della
macchina asincrona scorre molto lentamente rispetto al campo rotante e la frequenza con cui
varia l’induzione nel ferro di rotore è molto bassa e non dà luogo a fenomeni dissipativi
consistenti.
A differenza di quanto visto per il trasformatore, per la macchina asincrona non è in generale
ammesso spostare i parametri Xm e RFe a monte dell’impedenza di statore poiché la corrente a
vuoto I0 non è trascurabile rispetto alle correnti nominali. La presenza del traferro fa sì che la
corrente a vuoto valga dal 40 % al 60 % della corrente nominale, secondo la potenza nominale
del motore.
5.2.5 – Bilancio energetico nel motore asincrono
Sulla base del circuito equivalente appena riportato è immediato fare un bilancio di potenze,
identificando le singole quote in cui è suddivisa la potenza assorbita.
La potenza elettrica assorbita dallo statore vale:
Ps = 3 ⋅ Vs fase ⋅ I s ⋅ cos(ϕ s ) = 3 ⋅ Vs ⋅ I s ⋅ cos(ϕ s )
(5.11)
Nello statore vengono dissipate le seguenti perdite:
perdite joule negli avvolgimenti
perdite nel ferro di statore
P js = 3 ⋅ Rs ⋅ I s2
PFe = 3 ⋅
E s2
fase
R Fe
La differenza tra la potenza assorbita e le perdite localizzate a statore rappresenta la potenza
elettrica trasmessa Pt da statore e rotore. Tale potenza vale:
Pt = Ps − P js − PFe
214
(5.12)
MACCHINE ELETTRICHE
Con riferimento al circuito equivalente la potenza trasmessa viene interamente gestita dalla
resistenza fittizia Rs/s. Ovvero:
2
R'
Pt = 3 ⋅ r ⋅ I r'
s
(5.13)
Le perdite joule nell’avvolgimento di rotore sono dovute alla resistenza Rr’ e valgono:
P jr = 3 ⋅ Rr' ⋅ I r'
2
(5.14)
La differenza tra la (5.13) e la (5.14) non potrà che essere pari alla potenza meccanica Pm
convertita per via elettromagnetica. Tale potenza vale:
2
2
R'
1− s ' ' 2
Pm = Pt − P jr = 3 ⋅ r ⋅ I r' − 3 ⋅ Rr' ⋅ I r' = 3 ⋅
⋅ Rr ⋅ I r
s
s
(5.15)
La (5.15) dimostra come la resistenza fittizia Rr’/s possa essere considerata pari alla serie di
due contributi:
la resistenza Rr’ che modellizza le perdite joule di rotore;
1− s '
⋅ Rr che rappresenta, nel mondo elettrico, la potenza meccanica
la resistenza
s
convertita dal motore.
Dalle relazioni precedenti è possibile ricavare che:
Pm = (1 − s ) ⋅ Pt
(5.16)
P jr = s ⋅ Pt
Le relazioni (5.16) sono molto interessanti poiché indicano che il rotore si comporta come un
partitore della potenza trasmessa in funzione dello scorrimento, cioè della velocità di
rotazione. Infatti, a scorrimento unitario (a rotore bloccato) tutta la potenza trasmessa viene
dissipata nella resistenza di rotore, mentre ad una certa velocità la potenza meccanica
convertita viene gestita dal rapporto (1-s)/s.
Dalla (5.15) risulta immediato calcolare la coppia motrice prodotta all’albero della macchina,
a meno delle perdite meccaniche interne al motore (attriti e ventilazione).
P
Cm = m =
ωr
3⋅
1− s ' ' 2
⋅ Rr ⋅ I r
s
ωr
(5.17)
Ricordando che la velocità del rotore può essere scritta come ω r = (1 − s ) ⋅ ω s = (1 − s ) ⋅ ω / p
si vede che la coppia motrice può essere calcolata come:
Cm =
3⋅
1− s ' ' 2
⋅ Rr ⋅ I r
P
s
= t
(1 − s ) ⋅ ω s
ωs
ovvero
Pt = C m ⋅ ω s
(5.18)
La relazione (5.18) riveste un significato estremamente importante nelle valutazioni
energetiche della macchina. Qualunque sia la velocità ωR di rotazione della macchina, la
coppia prodotta è rigidamente collegata alla potenza trasmessa da statore a rotore. In altri
termini, se alla macchina viene richiesto un dato valore di coppia, occorre che lo statore
trasmetta attraverso il traferro un valore di potenza Pt = ω Cm / p. Tale valore è sempre lo
stesso indipendentemente dal fatto che il motore sia fermo o in rotazione ad una generica
velocità ωR.
215
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5.3 – Caratteristica di coppia del motore asincrono
L’espressione della coppia sviluppata dalla macchina alle diverse velocità di rotazione può
essere dedotta agevolmente dal circuito equivalente e dal bilancio energetico descritto al
paragrafo precedente.
P
3 ⋅ p Rr' ' 2
Cm = t =
⋅
⋅ Ir
ωs
ω
s
(5.19)
Dal circuito equivalente si deve ricavare la corrente di rotore per poterla sostituire nella
relazione della coppia motrice. Al fine di semplificare i passaggi analitici, risulta conveniente
determinare il circuito equivalente di Thevenin ai capi dell’impedenza rotorica
'
'
Z r (s ) = Rr' / s + jX dr
. Il circuito equivalente semplificato è riportato nella figura seguente.
Req
Xdr’=ωLdr’
Xeq
Z s = Rs + jX s
Rr’/s
Z 0 = R Fe // jX m =
Ir ’
Zeq
Veq
traferro
R Fe ⋅ jX m
R Fe + jX m
V eq =
Z0
⋅ V s fase
Zs + Z0
Z eq =
Zs ⋅Z0
= Req + jX eq
Zs + Z0
Circuito equivalente semplificato della macchina asincrona.
Il valore efficace della corrente di rotore risulta:
V eq
'
Ir =
'
Z eq + Z r (s )
⇒
I r' =
Veq
2
(5.20)
(
)
' 

2
 R + Rr  + X + X '
eq
eq
dr

s 

Sostituendo la (5.20) nella (5.19) si ottiene la caratteristica di coppia del motore asincrono.
Cm = 3 ⋅
Rr'
s
p
2
⋅
⋅ Veq
2
ω 
' 
2
 R + Rr  + X + X '
eq
eq
dr

s 

(
)
(5.21)
Fissati i parametri del circuito equivalente e la tensione di alimentazione si può diagrammare
l’andamento della coppia motrice prodotta in funzione dello scorrimento. Tale caratteristica è
riportata qui di seguito.
216
MACCHINE ELETTRICHE
Funzionamento da freno
(ipersincrono)
Funzionamento da motore
(iposincrono)
Coppia massima
motore
Coppia di spunto
Scorrimenti di
coppia massima
Scorrimento
-1
-0.5
0
0.5
1
Coppia massima
freno
Caratteristica di coppia in funzione dello scorrimento
Per tracciare velocemente la caratteristica illustrata si può osservare il comportamento della
funzione (5.21) per valori di scorrimento tendenti a zero ed ad infinito.
Limite per s → 0
p
Cm s →0 ≈ 3 ⋅ ⋅
ω  '
 Rr
 s

Rr'
s
2
(
)

2
 + X + X'
eq
dr


2
⋅ Veq
2
p Veq
≈ 3⋅ ⋅
⋅s
ω Rr'
Per piccoli valori di s, la coppia risulta lineare con lo scorrimento.
Limite per s → ∞
p
Cm s →∞ ≈ 3 ⋅ ⋅
ω
Rr'
s
(Req )2 + (X eq + X dr' )
2
2
⋅ Veq
Per valori di scorrimento elevati la coppia ha quindi un andamento iperbolico
Il grafico evidenza i seguenti aspetti:
La coppia sviluppata dalla macchina ha il segno dello scorrimento.
La coppia dipende quadraticamente dalla tensione di alimentazione.
La coppia si annulla in corrispondenza a scorrimento nullo (sincronismo) e
teoricamente per scorrimento ∞ (velocità infinita).
Il valore di coppia sviluppata è compreso tra due limiti estremi (uno positivo ed uno
negativo) che si ottengono per valori di scorrimento uguali ed opposti.
È prassi comune disegnare la caratteristica di coppia in funzione della velocità di rotazione
del rotore anziché in funzione dello scorrimento. Senza sostituire l’espressione dello
scorrimento nella relazione (5.21), ma ricordando che ωr = (1-s) ωs, si osserva
immediatamente che la caratteristica in funzione della velocità può essere ottenuta
“ribaltando” la curva precedentemente rispetto all’asse s= 0 ed operando una traslazione a
destra pari a ωs.
217
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Cm
Q’
A
M
Cr
Q’’
Cr
O
0
ωs = ω /p
ωr
Caratteristica di coppia in funzione della velocità
Sulla base della curva precedente si possono fare le seguenti considerazioni:
Stabilità
Considerando la zona di funzionamento da motore (0 ≤ ωr ≤ ωs, 1 ≤ s ≤ 0), si nota che
inizialmente la coppia aumenta con la velocità fino al raggiungimento della coppia massima
(tratto AM). Per velocità ulteriormente crescenti, la coppia si riduce rapidamente fino ad
annullarsi in corrispondenza alla velocità di sincronismo (tratto MO). Il tratto AM viene
convenzionalmente definito tratto instabile, mentre il tratto MO viene definito tratto stabile
della caratteristica di coppia.
Il concetto di stabilità, di cui si tratta in questo caso, è un concetto grossolano, basato sulla
idea che si possa discutere l’evoluzione dinamica del motore attraverso l’impiego di una sua
caratteristica di funzionamento stazionario.
Ad ogni modo, supponendo che il motore lavori su un carico costante, si osserva che quando
il punto di equilibrio tra coppia motrice (Cm) e coppia resistente (Cr) si trova in
corrispondenza al punto Q’, qualunque piccola perturbazione nella velocità del sistema libera
delle coppie che tendono ad allontanarlo dalla posizione di equilibrio.
Viceversa se l’equilibrio tra motore e carico è raggiunto in un punto Q’’ appartenente al tratto
discendente della caratteristica di coppia, piccole perturbazioni sulla velocità producono
azioni meccaniche di richiamo verso il punto di equilibrio. Si noti che la pendenza del tratto
stabile è generalmente molto elevata; ne consegue che nei punti di normale utilizzo i valori di
scorrimento sono molto piccoli (pochi percento della velocità di sincronismo).
Funzionamento al sincronismo (s=0) o a vuoto
Quando la macchina ruota sincrona con il campo non si inducono F.e.m. né correnti negli
avvolgimenti di rotore (I’r = 0). Il funzionamento a sincronismo del motore è una condizione
teorica; questa condizione viene approssimativamente raggiunta quando al motore non sono
applicate coppie resistenti esterne, ovvero durante il funzionamento a vuoto. In quest’ultima
condizione operativa le uniche coppie frenanti presenti sono quelle proprie del motore (attriti
ai cuscinetti, effetti ventilanti) e lo scorrimento del motore è molto basso (ad esmpio, s0 ≈
0.001). Ne consegue che il funzionamento reale a vuoto ed il funzionamento al sincronismo
vengono normalmente confusi tra loro assumendo:
IS = I0
218
corrente a vuoto
MACCHINE ELETTRICHE
Il valore di corrente assorbito dalla rete di alimentazione è esclusivamente quello necessario a
provvedere alla generazione del campo rotante ed a sostenere le perdite nel ferro.
Nel funzionamento a vuoto l’assorbimento di corrente della macchina è il minimo possibile.
Tipicamente, nei motori asincroni, il valore della corrente a vuoto, riferito alla corrente
nominale è variabile dal 20% al 60% in relazione alla taglia di potenza, al numero di coppie
polari e allo spessore di traferro.
Funzionamento a rotore bloccato (s=1) o all’avviamento o in cortocircuito
Questa condizione operativa si verifica allo spunto della macchina come motore. Tale
condizione è generalmente di breve durata e quindi l’aspetto transitorio del funzionamento è
prevalente su quello stazionario descritto dal circuito equivalente.
In ogni caso, basandosi sul circuito equivalente semplificato e sull’equazione (5.20), la
corrente di rotore durante l’avviamento (s = 1) vale:
I r'
avv
=
Veq
(
(5.22)
) + (X eq + )
2
Req + Rr'
' 2
X dr
Ne consegue che la coppia di avviamento o di spunto vale:
p
C avv = 3 ⋅ ⋅
ω
(
Rr'
) + (X eq + X dr' )
2
Req + Rr'
2
2
⋅ Veq
(5.23)
La (5.22) evidenza come, durante l’avviamento, le correnti di spunto (a rotore e quindi anche
a statore) siano molto elevate. Nell’impiego della macchina asincrona come motore, la fase di
avviamento corrisponde al massimo assorbimento di corrente dalla rete di alimentazione. Per i
normali motori il valore di questa corrente è variabile da 5 a 10 volte il valore della corrente
nominale; esso dipende dalle soluzioni costruttive adottate per l’avvolgimento e le cave di
rotore.
La condizione di spunto, indicata a volte come condizione di cortocircuito della macchina,
costituisce una condizione critica nel funzionamento del motore asincrono e può richiedere
tecniche e dispositivi particolari per l’alimentazione del motore. Ragionando sull’equazione
(5.22) è possibile vedere come sia possibile ridurre la corrente di avviamento. Senza entrare
nel dettaglio, si citano:
Inserzione di reattanze in serie allo statore che devono essere escluse (cortocircuitate)
dopo l’avviamento del motore.
Avviamento tramite autotrasformatore al fine di fornire una tensione ridotta in fase di
avviamento.
Avviamento stella triangolo: questo tipo di avviamento consistente nell’avviare
connettendo a stella un motore realizzato per funzionare normalmente a triangolo. In
questo modo la tensione applicata ad ogni fase del motore viene ridotta di un fattore
pari a 3 con una conseguente riduzione della corrente assorbita in linea di un fattore
3 (rispetto all’avviamento a piena tensione con connessione a triangolo). Ovviamente
anche la coppia di avviamento diminuisce di un fattore 3 (si veda l’equazione (5.23)).
Inserzione di resistenze rotoriche (solo per rotori di tipo avvolto): in questo caso si
ottiene una diminuzione della corrente ed un aumento della coppia di spunto
(paragrafo 5.5.1).
Si ribadisce il concetto che se la riduzione della corrente di avviamento viene attuata tramite
una diminuzione della tensione di alimentazione si avrà una diminuzione della coppia.
219
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Punto a coppia massima (s = sCmax)
Derivando rispetto allo scorrimento l’espressione analitica della coppia (5.21) è possibile
determinare la massima coppia che il motore può produrre. Per evitare questo passaggio, si
può ricordare che il massimo trasferimento di potenza attiva su un carico (nel caso in studio
sulla resistenza Rr’/s del circuito equivalente semplificato riportato all’inizio del paragrafo)
avviene quando il valore del modulo dell’impedenza della rete di alimentazione a monte
risulta uguale al valore della resistenza di carico.
Ne consegue che nel motore asincrono si avrà il massimo della potenza trasmessa, e quindi
della coppia, quando sarà verificata la seguente condizione:
Rr'
sC max
(
'
= ± Req 2 + X eq + X dr
sC max = ±
(
Rr'
'
Req 2 + X eq + X dr
)2
)
2
(5.24)
Per ottenere il valore di coppia massima, basta sostituire l’espressione (5.24) nella (5.21).
Per analizzare l’influenza dei parametri del motore sulla prestazione di coppia massima, si
osservi che:
il termine Xeq + Xdr’ risulta praticamente uguale alla reattanza dispersa totale di
macchina Xds + Xdr’ = Xdt.
La reattanza totale di macchina Xdt è maggiore della resistenza equivalente Req (Xdt
>>Req)
Sulla base di queste ipotesi lo scorrimento di coppia massima può essere riscritto come:
sC max ≈
Rr'
X dt
Sostituendo quest’ultima espressione nella (5.21) ed operando le opportune semplificazioni si
ottiene:
2
X dt
p Veq
p
2
C max ≈ 3 ⋅ ⋅
⋅ Veq ≈ 3 ⋅ ⋅
ω Req + X dt 2 + X dt 2
ω 2 ⋅ X dt
(
)
(5.25)
La (5.25) indica che la coppia massima risulta, in prima approssimazione, inversamente
proporzionale alla reattanza di dispersione totale della macchina. La reattanza di dispersione
totale rappresenta quindi uno dei parametri chiave durante il progetto del motore per definire
la sovraccaricabilità della macchina (cioè il rapporto tra la coppia massima e la coppia
nominale). Motori asincroni di tipo industriale presentano una sovraccaricabilità compresa tra
1.5 e 2.5 e quindi una buona capacità di sovraccarico.
Coppia nominale (s = sN)
Il punto a coppia nominale dipende dalla capacità del motore a smaltire le sue perdite senza
eccedere i limiti di temperatura. Per quanto detto in precedenza, durante il dimensionamento
della macchina, il punto di coppia nominale si posiziona a circa metà del tratto stabile della
caratteristica di coppia.
220
MACCHINE ELETTRICHE
5.4 – Dati di targa del motore asincrono
I principali dati riportati sulla targa di un motore asincrono sono i seguenti:
Potenza nominale
[W]
Frequenza nominale
[Hz]
Velocità nominale
[rpm]
Coppia nominale
[Nm]
Tensione nominale
[V]
Corrente nominale
[A]
Rendimento
-
Fattore di potenza
-
potenza meccanica erogata all’asse della
macchina in condizioni nominali
frequenza dell’alimentazione
velocità del rotore quando il motore è alimentato in
condizioni nominali ed eroga la potenza nominale.
coppia
all’asse
in
condizioni
nominali,
determinabile come rapporto tra la potenza
nominale e la velocità nominale
tensione nominale concatenata (dipende dal tipo di
connessione delle fasi)
corrente di linea assorbita quando il motore eroga le
potenza nominale
Rendimento in condizioni nominali, definito come
rapporto tra la potenza nominale e la potenza
elettrica assorbita a statore
Fattore di potenza ai morsetti di statore quando il
motore eroga la potenza nominale.
Si noti che la potenza elettrica assorbita del motore funzionante in condizioni nominali vale:
P
Pelettrica = N = 3 ⋅ V N ⋅ I N ⋅ cos(ϕ N )
ηN
Nel motore asincrono oltre alle perdite determinabili dal circuito equivalente (perdite joule di
statore e rotore, perdite nel ferro) si devono considerare le perdite meccaniche dovute agli
attriti ai cuscinetti ed ai fenomeni di ventilazione. Come sarà chiarito in seguito, le perdite
meccaniche possono essere misurate da una prova a vuoto eseguita a tensione variabile.
Esempio della targa di un motore asincrono trifase
221
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5.5 – Influenza dei parametri sulla caratteristica di coppia
I parametri del circuito equivalente e la tensione di alimentazione hanno un’influenza più o
meno importante sulle forme della caratteristica elettromeccanica della macchina asincrona.
L’influenza parametrica può essere sfruttata a livello costruttivo o di regolazione per adattare
le caratteristiche della macchina alle esigenze della particolare applicazione. Nel seguito
verranno analizzate da un punto di vista generale le principali influenze.
5.5.1 – Variazione della resistenza rotorica
Un esame delle espressioni della corrente rotorica (5.20) e della coppia (5.21) consentono di
evidenziare come la dipendenza dallo scorrimento delle corrispondenti caratteristiche sia in
realtà da collegare al rapporto R’r /s, piuttosto che al solo valore R’r.
I r' =
Veq
2
(
)
' 

2
 R + Rr  + X + X '
eq
eq
dr

s 

Cm = 3 ⋅
Rr'
s
p
2
⋅ Veq
⋅
2
ω 
' 
2
 R + Rr  + X + X '
eq
eq
dr

s 

(
)
Questo fatto significa che, in seguito ad una variazione percentuale della resistenza rotorica, le
stesse condizioni operative (corrente e coppia) si presentano in corrispondenza ad uno
scorrimento variato nella stessa misura percentuale, come indicato nella figura.
Cm, IS
Corrente
2R’R
Coppia
s
0
2s
scorrimento
0.2
0.4
0.6
0.8
1
Modifica delle caratteristiche Cm, IS per un raddoppio del
valore di resistenza di rotore
La scelta del valore di resistenza rotorica in fase di progetto ovvero la sua regolazione in
condizioni di esercizio consente di posizionare il massimo valore della coppia del motore in
corrispondenza al valore di scorrimento più conveniente.
Un valore di resistenza di rotore elevato, tale da portare il punto di massima coppia in
corrispondenza all’avviamento, è utile al fine di facilitare il transitorio di accelerazione del
222
MACCHINE ELETTRICHE
motore anche in presenza di coppie resistenti elevate sin dalla partenza (motori per impianti di
sollevamento, per compressori, etc.).
D'altronde una elevata resistenza di rotore comporta un abbassamento del rendimento nelle
normali condizioni di funzionamento.
Cm
R’r(2)
R’r(1)
Pt = C •ωs
Pmecc(1) = C •ωr(1)
P2
P1
C
ωr
ωr(2)
Pmecc(2) = C ωr(2)
ωr(1)
Variazione della resistenza di rotore : bilancio energetico
In figura sono rappresentati i punti P1 e P2 relativi al funzionamento a pari coppia di carico C
di due motori identici, indicati con (1) e (2), dotati di due valori diversi di resistenza rotorica.
In particolare si suppone che R’r(2) > R’r(1).
Il motore (2) dotato di resistenza maggiore presenta una coppia di spunto particolarmente
elevata, ma, in condizioni di regime su un carico C, ha uno scorrimento maggiore del motore
(1) a minore resistenza rotorica. I due motori, lavorando alla stessa coppia, trasmettono al
traferro la stessa potenza Pt:
Pt = C ⋅ ω s
Ma il motore (1) utilizza una quota maggiore di tale potenza per la trasformazione
elettromeccanica:
Pmecc(1) = C ⋅ ω r (1) >
Pmecc(2 ) = C ⋅ ω r (2 )
Il motore (2) trasforma una maggior quota di potenza trasmessa in perdite sulla resistenza
rotorica.
(
∆PJr (2 −1) = C ⋅ ω r (1) − ω r (2 )
)
In passato, l’uso di motori a rotore avvolto dotati di anelli e spazzole, consentiva una
regolazione della resistenza di rotore attraverso l’impiego di resistori esterni variabili. Con
tale sistema si riusciva ad adattare la caratteristica meccanica in modo da avere alti valori di
coppia di spunto (resistori esterni completamente inseriti) e allo stesso tempo basso
scorrimento in condizioni di normale funzionamento (anelli cortocircuitati).
Oggi questo sistema è praticamente in disuso, sia per la maggiore diffusione di motori a
gabbia di scoiattolo, sia per l’adozione di tecniche di regolazione per la coppia di tipo non
dissipativo.
Nel caso di motori a gabbia, quando al motore siano richieste alte coppie di avviamento e, allo
stesso tempo, alto rendimento nelle condizioni operative nominali, esistono tecniche
costruttive della gabbia che consentono di riunire le due caratteristiche.
223
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Distribuzione della densità
di corrente allo spunto
Distribuzione della densità di
corrente in condizioni
nominali
h
JR
Linee di campo ed effetto pelle di un conduttore massiccio
immerso in una cava.
Le soluzioni costruttive si basano tutte sullo sfruttamento dell’effetto pelle, che può produrre
la variazione di resistenza apparente di un conduttore, quando questo sia attraversato da una
corrente alternata a frequenza variabile.
Poiché il fenomeno di addensamento di corrente si manifesta in misura crescente con l’altezza
h del conduttore, i rotori, che sfruttano questo fenomeno, vengono detti ‘a cave profonde’.
Quando il motore è fermo, la frequenza delle correnti indotte nella gabbia è uguale alla
frequenza di alimentazione e pertanto le sbarre della gabbia vedono la corrente addensarsi
verso il traferro, come illustrato nella figura precedente. In queste condizioni la gabbia risulta
fortemente resistiva e conseguentemente può dare origine ad una coppia di spunto elevata.
Quando viceversa il rotore ha raggiunto la velocità normale di rotazione, la frequenza delle
correnti indotte diventa molto modesta e la corrente si distribuisce in modo praticamente
uniforme nella sezione della sbarra. Quest’ultima presenta quindi un valore di resistenza
basso e consente al motore di funzionare con scorrimento ridotto.
Ovviamente il fenomeno di addensamento varia progressivamente al variare della velocità del
motore dalla condizione di avviamento alla condizione finale di lavoro normale. La forma
della caratteristica di coppia assume la configurazione tipica evidenziata nella figura seguente.
Cm
Motore a cave profonde
Motore normale
ωR
Caratteristiche di coppia di un motore a cave profonde
Nel caso di motori di grossa potenza l’effetto pelle può essere sfruttato attraverso l’adozione
di gabbie multiple di rotore. Qui di seguito sono illustrate alcune tipiche disposizioni a doppia
gabbia. La gabbia esterna è formata da conduttori di sezione modesta e quindi di resistenza
elevata, mentre la gabbia più interna è formata da sbarre di sezione elevata a bassa resistenza
e ad elevato valore di induttanza.
224
MACCHINE ELETTRICHE
Allo spunto risulta attiva la gabbia resistiva più
esterna, la quale funge da schermo magnetico verso
la gabbia interna, che, essendo dotata di elevata
induttanza di dispersione, non viene sensibilmente
istmo
attraversata da corrente. Il motore si avvia con
resistenza rotorica elevata ed alta coppia di spunto.
Quando il motore raggiunge velocità di rotazione
prossime a quelle di funzionamento normale la
reattanza della gabbia interna diminuisce
sensibilmente ed anche le sbarre interne
intervengono nella conduzione abbassando il valore
complessivo di resistenza rotorica.
Disposizioni a doppia gabbia
Nella sistemazione a doppia gabbia l’effetto pelle
può essere gestito in modo più efficiente che nei
motori a cave profonde. In questo caso il progettista
può infatti scegliere il dosaggio resistivo tra le due gabbie, attraverso la scelta delle sezioni di
sbarra, ed il dosaggio induttivo, attraverso la determinazione delle dimensioni degli istmi che
influenzano il valore di induttanza della gabbia interna.
5.5.2 – Variazione della reattanza di dispersione
La reattanza di dispersione non influenza sensibilmente le condizioni normali di
funzionamento mentre incide in modo evidente sullo scorrimento e sul valore di coppia
massima, come anche sul valore della corrente e della coppia allo spunto. In particolare, sulla
base di quanto presentato al paragrafo 5.3, una riduzione della dispersione conduce ad una
maggiore sovraccaricabilità del motore e ad un aumento della coppia e della corrente di
spunto.
Corrente
0.9 Xdt
Coppia
Scorrimento
Riduzione della reattanza di dispersione al 90%
225
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5.5.3 – Variazione della tensione di alimentazione
Variazioni del valore della tensione di alimentazione si ripercuotono sulle caratteristiche di
assorbimento di corrente e di erogazione di coppia come illustrato in figura.
Corrente
.9VS
Coppia
Scorrimento
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
Riduzione della tensione al 90%
L’ampiezza della caratteristica di coppia, a pari velocità e in assenza di fenomeni di
saturazione magnetica, dipende quadraticamente dalla tensione (vedi (5.21)), mentre
l’assorbimento di corrente, sempre sotto le stesse condizioni, è in relazione di proporzionalità
con la tensione di alimentazione (vedi (5.20)).
Tuttavia va osservato che una variazione della tensione di alimentazione, in fase di lavoro a
carico costante del motore, può provocare variazioni di corrente di ordine inverso, come
illustrato nella figura seguente.
Caratteristiche di coppia a
100% VS nero
V
grigioS
90% VS
Q
Q’
P’
P
Caratteristiche di corrente a
100% VS nero
90% VS
grigio
Scorrimento
Variazione della corrente assorbita a pari coppia erogata, per una riduzione
della tensione di alimentazione
Dalla figura si può notare che, quando il motore funziona con carico resistente
sufficientemente elevato, una riduzione della tensione di alimentazione costringe il motore a
rallentare (Q→Q’) e ad assorbire una corrente maggiore (P→P’).
226
MACCHINE ELETTRICHE
5.6 – Prove sul motore asincrono - Rendimento
Le principali prove condotte sulla macchina asincrona prevedono il suo utilizzo come motore.
Queste prove possono essere condotte sia ai fini della determinazione dei parametri del
circuito equivalente, sia ai fini della valutazione delle principali voci di perdita, sia allo scopo
di certificare la potenza e il rendimento nominale del motore.
Nel presente paragrafo si prendono in considerazione le prove tipiche previste dalle normative
nazionali ed internazionali per i motori asincroni a gabbia e si farà riferimento, per tutte le
grandezze elettriche di alimentazione, al concetto di grandezza di fase, indipendentemente dal
tipo di connessione dell'avvolgimento di statore. Pertanto tensioni e correnti considerate
nel seguito devono intendersi relative ai singoli avvolgimenti che costituiscono le fasi
della macchina.
Le prove esaminate sono le seguenti:
misura in corrente continua della resistenza di fase di statore;
prova in corto circuito, a rotore bloccato;
prova a vuoto;
prova di riscaldamento o prova a carico.
Sia per la prova a rotore bloccato che per la prova a vuoto occorre predisporre un sistema di
alimentazione e di misura del tipo illustrato in via di principio nello schema seguente.
Sezionatore per la
misura della resistenza
statorica in c.c.
W
Alimentatore
Trifase
A
Motore
Asincrono
W
A
V
Schema di misura per le prove a vuoto e a rotore bloccato
Per la prova a carico è inoltre necessario predisporre, oltre al sistema illustrato in figura, un
sistema di frenatura collegato all’albero del motore corredato di dispositivi per la misura della
velocità di rotazione ed, eventualmente, della coppia trasmessa.
5.6.1 – Misura della resistenza di fase di statore
La misura della resistenza di fase può essere condotta, per motori a tensione industriale e di
potenza contenuta entro poche decine di kW, con il metodo volt-amperometrico. Per motori di
potenza più elevata, ovvero per motori a tensione inferiore possono rendersi necessari metodi
più precisi di misura (metodi di confronto). E' importante che la misura di resistenza sia
condotta con macchina a riposo da un tempo sufficiente a garantire che i suoi avvolgimenti
siano alla temperatura ambiente.
Soprattutto per valutazioni energetiche è importante riferire la resistenza, misurata in questa
prova, alla temperatura ambiente, in modo da poter individuare con una certa
227
PROF. ANDREA CAVAGNINO
approssimazione l'entità delle perdite Joule quando la macchina funzioni ad una temperatura
diversa.
La misura di resistenza va condotta per tutte tre le fasi della macchina e il valore medio delle
tre misure effettuate va assunto come valore del parametro Rsa (resistenza di fase di statore)
del circuito equivalente riferito alla temperatura ambiente θa a cui è stata eseguita la misura.
5.6.2 – Prova a rotore bloccato
Nella prova a rotore bloccato occorre immobilizzare il rotore della macchina e quindi
alimentare lo statore con una terna di tensioni ridotte rispetto alla tensione nominale,
misurando contemporaneamente correnti e potenza assorbite.
L'impedenza presentata in queste condizioni dalla macchina è molto bassa e quindi occorre
condurre la prova tenendo sotto controllo la corrente (indicativamente si può adottare la
seguente progressione di correnti: 0.25-0.5-0.75-1-1.25 Inom). Non è consigliabile, e in
generale non è necessario, eseguire misure a valori di corrente troppo superiori alla corrente
nominale, al fine di evitare un eccessivo surriscaldamento degli avvolgimenti. Infatti, poiché
uno degli scopi di questa prova è quello di determinare le resistenze del circuito equivalente, è
opportuno cercare di alterare il meno possibile la temperatura degli avvolgimenti durante
l'esecuzione delle misure, in modo da poter riferire, con una certa precisione, i valori di
resistenza ricavati ad una temperatura nota.
Al termine della prova deve essere quindi rilevata la temperatura θc dell’avvolgimento di
statore attraverso una misura di resistenza. Indicando con RSc la resistenza di statore misurata
in corrente continua al termine della prova e indicando con RSa la corrispondente resistenza
ottenuta dalla misura preliminare a temperatura ambiente, il valore di θc può essere desunto
dalla seguente relazione:
θ c = (234.5 + θ a )
RSc
− 234.5
RSa
(5.26)
I risultati delle misure vengono riportati in una tabella unitamente alla temperatura θc.
Prova in corto circuito alla temperatura θc
Nmis
IScc
1
I1
VScc
V1
Pcc
P1
2
I2
V2
P2
3
I3
V3
P3
4
5
…
…
…
…
…
…
Tipicamente, in questa prova, la legge di variazione della potenza assorbita in funzione della
corrente è di tipo quadratico, mentre la variazione della tensione di alimentazione è di tipo
lineare.
2
Pcc ∝ I Scc
;
228
VScc ∝ I Scc
MACCHINE ELETTRICHE
RS
IScc
Xds
X’dr
R’r
VScc
Circuito equivalente di riferimento per la valutazione dei parametri nella prova a
rotore bloccato.
In prima, e spesso sufficiente approssimazione, il circuito equivalente del motore relativo alle
condizioni di prova può essere semplificato, trascurando i parametri trasversali relativi alla
magnetizzazione e alle perdite nel ferro secondo lo schema di figura. Con riferimento a tale
figura si possono scrivere le seguenti relazioni per il calcolo dei parametri del circuito.
Noti dalla misura i termini VScc , IScc , Pcc si determinano:
2 2
2
;
Qcc = 9VScc
I Scc − Pcc
Rcc =
Pcc
2
3I Scc
;
X cc =
Qcc
2
3I Scc
(5.27)
In assenza di altre informazioni e con una certa approssimazione, per altro non molto
influente per i calcoli delle caratteristiche di macchina, si potrà ritenere:
X ds = X ' dr = 1 X cc ;
2
R' r = Rcc - Rsc
(5.28)
Occorre ricordare che il valore di resistenza Rcc è frutto di una misura in corrente alternata,
mentre il valore RSc , impiegato nella (5.28), discende da una misura in corrente continua. Nel
valore di R’r vengono, quindi, ad essere compresi i contributi addizionali di resistenza per
addensamento di corrente relativi sia all’avvolgimento di statore, sia all’avvolgimento di
rotore.
Nel caso di motori di piccola, media potenza si può supporre che la resistenza addizionale a
50 Hz per l’avvolgimento di statore sia trascurabile (tipicamente < 3%), in quanto i conduttori
sono generalmente formati da filo di piccolo diametro, poco sensibili all’effetto pelle. Al
contrario la resistenza addizionale di rotore può assumere valori percentuali non trascurabili
della pura resistenza ohmica della gabbia.
In conclusione il valore di resistenza R’r , calcolato secondo la (5.28), è corretto solo per lo
studio del funzionamento del motore allo spunto. Nelle condizioni operative nominali questo
valore è certamente sovrastimato e, per ottenerne una valutazione più rispondente alle
condizioni di carico normale, occorre avere informazioni sulla geometria della cava di rotore.
Dovendo procedere ad un riporto delle misure e dei parametri ad una temperatura
convenzionale di riferimento θrif diversa da quella di prova si può ricorrere al seguente
schema di calcolo:
K rif =
234.5 + θ rif
234.5 + θ c
( )
Vcc
(θ rif ) =
;
Rcc θ rif = K rif ⋅ Rcc (θ c );
fase
( )
Pcc (θ rif ) = K rif ⋅ Pcc (θ c );
X cc θ rif = X cc (θ c );
2
2
2
(θ c ) ⋅ I cc ;
X cc
+ K rif
⋅ Rcc
(5.29)
229
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5.6.3 – Prova a vuoto
La prova a vuoto della macchina consiste nella misura della corrente e della potenza elettrica
assorbite dalla macchina, quando essa sia alimentata con una tensione data e sia lasciata libera
di ruotare alla sua velocità di regime. Tale velocità è normalmente poco diversa dalla velocità
di sincronismo, poiché le coppie resistenti dovute ad attriti ed effetti ventilanti sono
usualmente modeste. E' importante che la terna di tensioni di alimentazione utilizzata sia
simmetrica e sinusoidale.
Prima dell’esecuzione delle misure è necessario un periodo di riscaldamento per la
stabilizzazione delle perdite nei cuscinetti. Secondo la normativa si ritiene che questa
stabilizzazione sia raggiunta se, dopo due letture consecutive intervallate di mezz’ora, alla
stessa tensione, la potenza P0 letta in ingresso non varia di oltre il 3%. La prova a vuoto deve
essere condotta per diversi valori di tensione di alimentazione, che vanno dalla tensione
minima di autosostentamento del motore, fino ad un valore superiore (di alcuni punti
percentuali) alla tensione nominale. Al termine della prova deve essere rilevata la temperatura
θv dell’avvolgimento di statore attraverso una misura di resistenza analogamente a quanto
visto per la prova a rotore bloccato.
Poiché si può ragionevolmente ritenere che, nel funzionamento a vuoto, la velocità di
rotazione della macchina sia molto prossima alle condizioni di scorrimento nullo, il circuito
equivalente relativo a queste condizioni operative può essere ridotto a quello illustrato qui di
seguito.
jXds IS0,n
PjS0
ϕ0
RS
I0
Xds
RS IS0,n
Ir ≈ 0
P0
VS
PFe
Pmec
RFe
IFe
Xm
ES0
VS,n
ES0,n
ϕ0
Im
IS0,n
Ife,n
Im,n
Circuito equivalente di riferimento e diagramma vettoriale di riferimento per la
valutazione dei parametri nella prova a vuoto.
La prova deve essere condotta per valori decrescenti di tensione di alimentazione e deve
terminare quando un ulteriore abbassamento della tensione di alimentazione provoca un
incremento del valore di corrente assorbita.
Al temine, come per la prova a rotore bloccato, deve essere calcolata la temperatura media θv
attraverso la misura della resistenza statorica RSv .
230
MACCHINE ELETTRICHE
Prova a vuoto alla temperatura θv
Nmis
IS0
VS0
P0
1
V1
P1
I1
2
I2
V2
P2
3
I3
V3
P3
…
N
…
…
…
…
…
…
Durante il funzionamento a vuoto, la potenza elettrica P0, assorbita dal motore, è
scomponibile in tre parti convenzionali:
perdite nell’avvolgimento di statore;
PjS0
PFe
perdite convenzionali nel ferro (di statore);
potenza meccanica necessaria a compensare le perdite per attrito, ventilazione.
Pmecc
Le perdite nella gabbia di rotore sono trascurabili e, di fatto, vengono incluse nella voce PFe.
Dalla potenza misurata nella prova a vuoto dovranno innanzitutto essere separate le perdite
resistive nei conduttori di statore (PjS0) dalle perdite meccaniche e nel ferro:
PFe + Pmecc = P0 - 3 RSv ⋅ I S20
(5.30)
Immaginando che le perdite meccaniche siano indipendenti dalla tensione di alimentazione, si
potrà giungere alla loro determinazione attraverso il processo di estrapolazione illustrato nella
figura seguente.
Per poter efficacemente estrapolare la curva delle perdite nel ferro e meccaniche è necessario
che le misure condotte sul motore funzionante a vuoto siano estese a valori molto bassi di
tensione.
Pmecc+Pfe
Pmecc
Pfe,nom
IS0
Vnom
VS0
Processo di separazione delle perdite meccaniche
nella prova a vuoto.
Le quote Pfe e Pmecc così isolate rappresentano rispettivamente le perdite nel ferro
convenzionali e le perdite meccaniche convenzionali del motore.
In realtà la voce Pmecc risulta variabile con la tensione di alimentazione a causa del diverso
carico radiale prodotto dal campo rotante sui cuscinetti ed il suo valore, estrapolato a tensione
e campo nulli, risulta in difetto rispetto al funzionamento a tensione nominale.
La quota Pfe contiene al suo interno, oltre alle vere perdite nel ferro, anche quote di potenza
meccanica dovuta ai campi armonici rotanti, che alla velocità di sincronismo del motore,
231
PROF. ANDREA CAVAGNINO
producono coppie che contrastano il moto della macchina e quote di potenza dissipata nei
conduttori di rotore a causa delle correnti indotte.
Il risultato di questa elaborazione consente pertanto di ricavare una tabella di dati in
corrispondenza alla tensione nominale di alimentazione da cui è possibile ricavare
convenzionalmente i valori dei parametri trasversali Xm, Rfe del circuito equivalente del
motore.
Elaborazioni della prova a vuoto alla tensione nominale di fase Vnom
Corrente a vuoto a Vnom
Potenza a vuoto a Vnom
Perdite nel rame a Vnom
Perdite meccaniche
Perdite nel ferro a Vnom
IS0,n
P0,n
PjS0,n= 3RSv IS0,n2
Pmecc
Pfe,n= P0,n- PjS0,n- Pmecc
Con riferimento al circuito equivalente valido per la prova a vuoto ed al diagramma vettoriale
disegnato in condizioni di tensione nominale, si possono eseguire le seguenti valutazioni.
Noto il fattore di potenza della misura, ricavabile dalla seguente formula:
cos ϕ 0 =
P0,n
(5.31)
3Vnom I S 0,n
e, dato il valore della reattanza di dispersione di statore XdS stimato nella prova a rotore
bloccato, si può determinare il valore della f.e.m indotta a statore ES0,n :
E s 0, n =
[Vnom − (RS cos ϕ0 + X dS senϕ0 )I S 0, n ]2 + [( X dS cos ϕ0 − RS senϕ0 )I S 0, n ]2 (5.32)
e conseguentemente si possono valutare i seguenti parametri e le seguenti grandezze del
circuito equivalente:
R fe =
2
3E S0
,n
P fe
I m = I S20, n − I 2fe
I fe = E S0, n /R fe
Xm =
E S 0, n
(5.33)
Im
Si ricorda nuovamente che le tensioni e correnti che compaiono nelle formule precedenti
sono grandezze di fase. Ne consegue che, ipotizzando sempre un collegamento a stella
( Vnom = Vnom concatenata 3 ) indipendentemente dal collegamento reale delle fasi di statore,
i parametri ricavati secondo le (5.33) sono relativi ad un circuito equivalente monofase a stella
del motore.
Occorre ricordare che, a causa della non linearità magnetica del ferro, il valore di questi
parametri è estremamente sensibile al valore della tensione a cui vengono calcolati, come
evidenziato dalla figura seguente.
Da quanto esposto si vede che l’elaborazione della prova a vuoto deve essere condotta a valle
di quella di cortocircuito in quanto la presenza dei parametri Rs e Xds non è in genere
trascurabile durante il funzionamento a vuoto (come è lecito assumere nel caso del
trasformatore).
232
MACCHINE ELETTRICHE
RFe (Ω)
800
Xm (Ω)
Rfe
40
700
35
600
30
500
25
400
20
300
15
200
10
Xm
100
5
Vnom
0
0
50
100
150
200
250
0
300
Andamento dei valori dei parametri trasversali del circuito equivalente in
funzione della tensione di alimentazione
5.6.4 – Prova a carico in condizioni di regime termico
La prova di riscaldamento si esegue collegando la macchina asincrona ad un carico in modo
che possa fornire la coppia nominale alla velocità nominale. Il collegamento meccanico deve
avvenire in modo da poter misurare la coppia trasmessa dal motore. Durante l’esecuzione si
controlla periodicamente la temperatura della macchina finché non venga raggiunto il regime
termico. Ad intervalli regolari, di almeno 30 minuti, si registrano le temperature delle parti
fondamentali del motore (pacco lamiere, carcassa, avvolgimenti di statore), oltre a quella
ambiente; si ritiene raggiunto l’equilibrio termico quando le variazioni di temperatura tra due
letture successive non superano 1 °C.
Una volta che il motore abbia raggiunto il regime termico nelle condizioni nominali di
alimentazione e di carico, la coppia resistente viene rapidamente variata in corrispondenza
alla seguente sequenza di carico: 150%, 125%, 100%, 75%, 50%, 25% della coppia nominale.
Partendo dal carico più elevato a decrescere per tutti i carichi si acquisiscono i valori delle
grandezze elettriche, termiche e meccaniche necessarie al calcolo delle perdite e del
rendimento. La temperatura degli avvolgimenti di statore non deve scendere di oltre 10 °C
dalla temperatura più elevata misurata durante la prova di riscaldamento a carico nominale.
Occorre inoltre svolgere la prova rapidamente al fine di minimizzare le variazioni termiche.
Lo scopo principale della prova a carico è quello di verificare l’idoneità del motore a fornire
la potenza di targa nelle condizioni nominali di alimentazione e a determinarne il rendimento
convenzionale in corrispondenza ad alcuni valori di carico prestabiliti.
In generale il rendimento di un motore è definito come rapporto tra la potenza meccanica utile
all’albero e la potenza elettrica assorbita:
η=
Putile
Passorbita
(5.34)
La differenza tra le due voci è costituita dall’insieme delle perdite, che nel caso di un motore,
possono essere classificate in:
233
PROF. ANDREA CAVAGNINO
PjS
perdite Joule nell’avvolgimento statorico;
PjR
Pfe
Pmecc
Padd
perdite Joule nell’avvolgimento rotorico;
perdite magnetiche nel ferro;
perdite meccaniche;
perdite addizionali.
È prassi suddividere le diverse voci di perdita in due classi:
perdite fisse: costanti al variare della potenza in uscita (tipicamente Pmecc, Pfe).
perdite variabili, con la potenza in uscita, costituite essenzialmente dalle perdite per
effetto joule negli avvolgimenti e dalle perdite addizionali.
Pertanto il rendimento può assumere anche una delle due seguenti formulazioni:
η=
Putile
Putile
+ PjS + PjR + Pfe + Pmecc + Padd
(5.35)
η=
Passorbita − PjS − PjR − Pfe − Pmecc − Padd
Passorbita
La determinazione del rendimento può concettualmente essere eseguita con diversi metodi:
Metodo diretto
Metodo indiretto
Metodo ibrido
attraverso la misura delle due voci di potenza entrante (elettrica) ed
uscente (meccanica), relazione (5.34).
attraverso la misura di una delle due potenze e, separatamente, delle
singole perdite, relazioni (5.35).
attraverso la misura delle due potenze (entrante, uscente) e,
separatamente, di alcune voci di perdita.
Qualche considerazione di chiarimento è necessaria a proposito della voce perdite
addizionali. Essa raggruppa tutta una serie di fenomeni dissipativi non direttamente
assimilabili alle perdite canoniche e causati, in modo principale, dalla azione delle armoniche
spaziali presenti nella distribuzione di campo al traferro. Queste perdite sono evidenziate
come voce di aggiuntiva necessaria a far quadrare il bilancio energetico del motore.
Per la determinazione del rendimento dei motori ad induzione industriali a gabbia di
scoiattolo di potenza da 1 a circa 100-200 kW esistono, a livello mondiale, tre principali
normative:
IEEE Standard 112-1996 (impiegata negli USA)
IEC 34-2 (impiegata nella UE)
JEC 37 (impiegata in Giappone)
I valori di efficienza dichiarati dal costruttore possono variare, anche sensibilmente, in
relazione al metodo impiegato ed alle procedure seguite per identificare le diverse perdite (in
particolare, le perdite addizionali).
234
MACCHINE ELETTRICHE
5.7 – Regolazione della velocità del motore asincrono
Il motore asincrono, alimentato a tensione e frequenza nominale, può essere considerata una
macchina a velocità costante al variare del carico meccanico applicato. Infatti, essendo il
tratto stabile caratterizzato da una pendenza elevata (ovvero, i valori di scorrimento sono
molto piccoli durante il funzionamento normale), le variazioni di velocità dovute a variazioni
della coppia di carico sono molto modeste. Nelle applicazioni industriali la variazione della
velocità di rotazione, intesa come regolazione in un ampio intervallo di velocità, è da sempre
una esigenza molto sentita.
Proprio per questi motivi, storicamente, il motore asincrono ha trovato applicazione
prevalente in tutte le motorizzazioni a velocità fissa, mentre al motore in corrente continua,
facilmente regolabile in velocità, sono state demandate le applicazioni a velocità variabile.
Tuttavia, la casistica delle applicazioni del motore a induzione riporta, anche per il passato,
tentativi più o meno efficienti e complessi di regolazione di velocità. Per questo genere di
regolazioni si è spesso ricorsi ad una struttura di motore a rotore avvolto, che consentisse di
intervenire sulle grandezze elettriche di rotore.
Oggi le possibilità offerte dalla diffusione di convertitori statici di frequenza (inverter)
consentono di attuare regolazioni di velocità basate esclusivamente sul controllo
dell’alimentazione e pertanto applicabili anche ai più economici motori a gabbia.
La velocità di rotazione dell’albero del motore vale (cfr. paragrafo 5.2):
nr = (1 − s ) ⋅ n s = (1 − s ) ⋅
60 ⋅ f
p
(5.36)
Dalla (5.36) appare evidente che per variare la velocità di rotazione della macchina si può
ricorrere ad uno dei seguenti metodi:
1.
Variazione del numero di coppie polari dell’avvolgimento.
2.
Variazione dello scorrimento, attuabile tramite la:
2.1. variazione della resistenza rotorica, ove possibile;
2.2. variazione della tensione di alimentazione.
3.
Variazione della frequenza di alimentazione.
I primi due metodi vengono, a volte, indicati come metodi di regolazione a frequenza fissa.
5.7.1 – Variazione del numero di poli
In alcuni particolari tipi di impiego può essere richiesto al motore di funzionare a due velocità
nettamente diverse. Si pensi ad esempio al motore di una lavatrice che deve produrre sia la
velocità necessaria al lavaggio, sia la velocità necessaria all’asciugamento (‘centrifuga’),
oppure ad un motore per ascensore, che deve produrre sia la velocità normale di
sollevamento, sia la velocità ridotta di avvicinamento al piano.
Queste esigenze possono essere soddisfatte, in modo economico, attraverso una semplice
operazione di variazione delle connessioni dell’avvolgimento di statore, in modo da
configurare l’avvolgimento stesso con numeri di polarità differenti. La modifica del numero
di polarità porta, come è noto, ad una corrispondente modifica della velocità del campo
rotante e della velocità di rotazione del motore. Si osservi come questa variazione di velocità
sia discreta e non regolabile con continuità.
Il cambiamento di polarità dell’avvolgimento di statore può essere eseguito in due modi:
Con un doppio avvolgimento di statore: i due avvolgimenti sono eseguiti con numero
di polarità diverse e solo uno dei due è alimentato in relazione alla velocità desiderata.
235
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Questa soluzione porta, a parità di dimensioni, ad una riduzione della potenza nominale
della macchina.
Con un unico avvolgimento, che può essere collegato tipicamente a p coppie polari,
oppure a 2p coppie polari (avvolgimento Dahlander) In figura è illustrato lo schema del
principio secondo cui opera questo metodo.
(b)
(a)
(a)
(b)
(b)
(a)
(b)
(a)
Avvolgimento a commutazione di numero di polarità (Dahlander)
In entrambe le tecniche il rotore deve essere a gabbia con numero di sbarre compatibile con
entrambe le disposizioni dell’avvolgimento statorico (vedi tabella al paragrafo 5.1.1). In ogni
caso il lamierino di statore è ottimizzato solo per una delle due polarità.
Tipicamente nei motori trifase dotati di avvolgimento Dahlander, la commutazione di polarità
avviene attraverso la commutazione, effettuata a morsettiera, del collegamento da triangolo a
doppia stella, come schematizzato dalla figura seguente.
Collegamenti a morsettiera per un avvolgimento a doppia polarità di tipo Dahlander
Si può dimostrare che, a parità di scorrimento, per il numero minore di polarità (YY) la
coppia è 2/3 della coppia corrispondente al numero maggiore di polarità (∆). Ma, poiché la
velocità, nella connessione (YY), è doppia, la potenza meccanica in quest’ultima connessione
vale 4/3 la potenza relativa al collegamento ∆.
La corrente nella gabbia, a pari scorrimento, risulta più alta nella connessione YY con
conseguente maggiorazione delle perdite, ma questo può essere generalmente tollerato in
quanto la maggiore velocità di rotazione garantisce un più efficiente raffreddamento.
236
MACCHINE ELETTRICHE
5.7.2 – Variazione della resistenza rotorica
Il principio di funzionamento di questo metodo, possibile solo per motori con rotore di tipo
avvolto, può essere compreso con l’ausilio della seguente figura.
Potenza meccanica Pm = C •ωR
Cm
Pt
C
P3
P2
P1
ωR
ωR(3)
Potenza totale trasmessa Pt = C •ω
ωR(2) ωR(1)
Perdite spontanee di rotore
Quote di potenza dissipata o recuperata
per la regolazione di velocità
Regolazione di velocità con motore a rotore avvolto
Se al motore viene richiesta dal carico una coppia C, inevitabilmente deve essere trasmessa da
statore a rotore una potenza elettrica pari a :
Pt = C ⋅
ω
p
Potenza trasmessa
dove ω / p è la velocità di sincronismo.
Una quota della potenza trasmessa viene dissipata sulla resistenza dell’avvolgimento di rotore
(perdite spontanee) e la parte restante rimane a disposizione per la conversione
elettromeccanica (potenza meccanica). Se una porzione di questa seconda parte viene in
qualche modo riutilizzata in forma elettrica (dissipazione su resistenze addizionali, recupero
in rete), la potenza disponibile per la conversione elettromeccanica si riduce ed, essendo
fissata la coppia del carico, la riduzione di potenza meccanica avviene con un rallentamento
del motore.
Nelle due figure seguenti sono illustrate due soluzioni pratiche che si fondano su questo
principio.
Nella prima è illustrato il principio della regolazione reostatica della velocità. Al crescere
della resistenza dei reostati esterni, una quota sempre maggiore della potenza trasmessa è
prelevata dal rotore per essere dissipata esternamente.
Come si osserva nella figura, la regolazione di velocità ottenibile con questa tecnica è
modesta; infatti, aumentando i valori di resistenza, le caratteristiche di coppia tendono ad
‘appiattirsi’ e producono una scarsa stabilità in termini di velocità del punto di funzionamento
(modeste variazioni del carico producono ampie variazioni della velocità).
Questo sistema è stato largamente in uso in passato grazie alla sua semplicità e grazie al fatto
che con esso si potevano risolvere in modo efficiente i problemi di avviamento del motore. In
ogni caso, dal punto di vista energetico questa regolazione (di tipo dissipativo) è poco
efficiente.
237
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Cm
Rete
industriale
~ 50Hz
ωR
Regolazione reostatica di velocità con motore a rotore avvolto
PjR
Rete
industriale
~ 50Hz
ERcc
Pr
Vcc
Rete
industriale
~ 50Hz
Pt
Schema di potenza per la regolazione di velocità di motori asincronio a rotore avvolto
con recupero di energia in rete (azionamento Scherbius o cascata iposincrona).
Una tecnica più efficiente di regolazione, fondata sempre sul principio descritto, è illustrata
nello schema qui di sopra riportato. Attraverso il circuito di raddrizzamento, viene prelevata
potenza elettrica dal rotore; questa potenza viene convertita in corrente continua e recuperata
in rete attraverso un ponte ad SCR che lavora in condizioni di recupero. La quota di potenza
recuperata, e quindi la regolazione di velocità, viene definita dalla tensione Vcc, che il ponte
ad SCR impone sul circuito intermedio in corrente continua.
Senza entrare nei dettagli, si può dimostrare come questa regolazione può coprire un ampio
intervallo di velocità; inoltre il sistema di controllo può essere attuato con prestazioni che, in
termini di prontezza ed precisione (dinamica della regolazione), sono nettamente superiori
alla semplice regolazione reostatica.
5.7.3 – Variazione della tensione di alimentazione
Una variazione di scorrimento può essere
ottenuta modificando l’ampiezza della
tensione di alimentazione. Tale soluzione
porta a regolazioni in un campo abbastanza
ristretto, come si può dedurre dalla figura
riportata a fianco.
La tensione di alimentazione può essere
variata con un parzializzatore a tiristori. Si
Coppia resistente
noti che le caratteristiche si riducono col
quadrato della tensione e di conseguenza
cambia la loro pendenza nel tratto utile: il punto di equilibrio tra coppia motrice e coppia
resistente si ottiene a velocità più basse. Non si modifica invece lo scorrimento di coppia
massima, che non dipende, in prima approssimazione, dalla tensione (sCmax ≈ Rr’ / Xdt,
paragrafo 5.3).
238
MACCHINE ELETTRICHE
5.7.4 – Variazione della frequenza di alimentazione
Le possibilità di regolazione di tensione e frequenza di alimentazione offerte dagli inverter
trifase hanno enormemente ampliato il campo di regolazione di velocità dei motori asincroni,
al punto che oggi, in molte applicazioni che impiegavano motori in corrente continua regolati
di campo e di armatura, sono utilizzati motori a induzione con inverter.
Per comprendere in linea di principio queste possibilità è sufficiente ricordare che le normali
operazioni di un motore asincrono corrispondono ai punti del cosiddetto tratto stabile della
caratteristica di coppia. Data la forte inclinazione di tale tratto nel piano Cm - ωR , le velocità
ottenute sono normalmente poco diverse dalla velocità di sincronismo.
Attraverso la modifica della frequenza di alimentazione si modifica la velocità di sincronismo
e, con essa, l’intervallo di velocità caratteristiche del motore. In questo modo il motore può
compiere escursioni di velocità ben più ampie di quelle ottenibili attraverso tecniche di
regolazione rotorica. Tuttavia, quando si altera il valore della frequenza di alimentazione,
anche le altre grandezze nominali del motore devono essere ridiscusse in modo che il motore
possa funzionare correttamente nelle nuove condizioni. In altre parole, non si potrà variare
solo la frequenza, ma si dovrà anche variare la tensione di alimentazione.
Un criterio, che può essere accettato nella definizione di corretto funzionamento del motore a
frequenza di alimentazione diversa dalla nominale, può consistere nel mantenere invariato lo
sfruttamento dei materiali attivi del motore in tutto il campo di regolazione. Un siffatto
criterio prevede che le correnti del motore e il flusso utile assumano gli stessi valori, quando
all’albero del motore sia applicato il carico nominale, qualunque sia la frequenza di
alimentazione.
Per quanto riguarda le modifiche degli aspetti dissipativi e di riscaldamento del motore, che
conseguono ad una variazione della frequenza secondo la regola indicata, si possono produrre
le seguenti considerazioni di massima1.
Le perdite nel rame di statore restano praticamente costanti, poiché resta costante il
valore della corrente nominale del motore. All’aumentare della frequenza di
alimentazione può aumentare l’effetto dissipativo della resistenza di fase a causa del
progressivo manifestarsi dell’effetto pelle; tuttavia, almeno per avvolgimenti in filo di
piccola sezione, l’effetto pelle diventa sensibile per valori di frequenza notevolmente
più alti della frequenza nominale del motore.
Le perdite nel rame di rotore restano anch’esse costanti, in quanto resta costante la
corrente rotorica. In questo caso l’influenza della frequenza di alimentazione
sull’effetto pelle è nullo dal momento che, in condizioni nominali di carico, i fenomeni
elettrici di rotore avvengono alla frequenza di scorrimento.
Le perdite nel ferro aumentano, a parità di flusso, con la frequenza (linearmente per la
quota dovuta all’isteresi e quadraticamente per la quota dovuta alle correnti parassite).
Tuttavia, poiché alla frequenza nominale questa voce di perdita è normalmente piccola
rispetto alle altre voci di perdita, si può ritenere che, in un ragionevole campo di
frequenze superiori al valore nominale, l’aumento delle perdite nel ferro sia accettabile;
tanto più se si considera che l’aumentata velocità di rotazione del motore, che consegue
all’aumento della frequenza, porta ad un miglioramento dello scambio termico per
ventilazione.
1
Tali considerazioni vengono condotte nell’ipotesi, puramente di principio, che le forme d’onda di tensione si
mantengano sempre sinusoidali al variare della frequenza. Gli effetti della distorsione della forma d’onda di
tensione, conseguenti all’adozione di sorgenti reali di alimentazione a frequenza variabile (inverter) non saranno
trattate nei presenti appunti.
239
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Restando nel campo del funzionamento in regime strettamente sinusoidale e riconsiderando il
circuito equivalente monofase del motore asincrono (paragrafo 5.2.4), l’espressione della
coppia si può scrivere, in termini di valori efficaci di fase, nel seguente modo:
Cm =
p
p
Ptrasmessa = ⋅ 3 ⋅ E s ⋅ I r' ⋅ cos ψ
ω
ω
jωLdSIS*
e, poiché vale (relazione (5.1), dove Ns* è il
numero di spire equivalenti ai fini del
concatenamento di flusso):
Es =
ω
ˆ
N s*Φ
u
2
RSIS*
VS(ω)
(5.37)
ES= (ω/ω* ) ES*
ϕ∗
si ottiene la seguente formulazione della coppia:
Cm =
3p
2
ˆ
⋅ N s* ⋅ Φ
u
⋅ I r'
⋅ cos ψ
ψ∗
(5.38)
IR*
IS*
Si indichino con l’apice * i valori nominali
I0*
delle correnti e della coppia del motore valutati
alla pulsazione nominale ω*.
Φu*
Con riferimento al diagramma vettoriale di
Diagramma vettoriale delle
figura il sistema di vettori corrente e flusso,
correnti
in condizioni nominali
indicati con tratto continuo, deve rimane
identico a qualunque frequenza, se si vuole che
permangano inalterati i moduli del flusso utile e
delle correnti di statore e rotore, quando al motore viene richiesta la coppia nominale
(proporzionale all’area del rettangolo punteggiato).
Indicando con ω una generica frequenza di alimentazione diversa dalla pulsazione nominale
ω*, il completamento del diagramma vettoriale con la costruzione della tensione di
alimentazione, necessaria per mantenere inalterata la configurazione del sistema dei vettori di
corrente e flusso relativi alla condizione di carico nominale, è rappresentata con linee
punteggiate nella figura. Dalla costruzione si ricava il valore di tensione che può essere
ritenuta nominale alla nuova pulsazione ω.
V s (ω) =
ω
*
ω
*
*
*
E s + RS I s + jωLds I s
(5.39)
Approssimativamente, in modulo, si può scrivere:
Vs (ω) ≈
ω
*
ω
(
)
E S* + RS cos ϕ* + ωLds senϕ* I s*
(5.40)
Quest’ultima relazione indica che la tensione di alimentazione deve aumentare in modo circa
lineare con la frequenza, se si vuole che i materiali attivi, ferro e rame, vengano sollecitati
sempre nella stessa misura quando al motore è applicato lo stesso carico.
La relazione VS(ω) viene definita legge tensione-frequenza ed il suo andamento, illustrato nel
diagramma seguente, è praticamente lineare per alti valori di frequenza. Esso si discosta
dall’andamento lineare alle basse frequenze a causa dell’effetto prevalente delle cadute
resistive nella determinazione della tensione corretta, così come indicato nella (5.40).
240
MACCHINE ELETTRICHE
Mantenendo costante, al variare della frequenza, il valore della corrente Ir* e del flusso Φ*u, in
corrispondenza alla richiesta della coppia nominale C*m, si desume che anche l’angolo di fase
ψ∗ tra corrente rotorica e f.e.m. ES deve restare costante. Dal circuito equivalente e dal
diagramma vettoriale precedente si può scrivere:
tan ψ * =
sω* Ldr
= cost;
R' r
⇒
sω* = cost
(5.41)
e quindi la coppia nominale viene raggiunta, ad ogni frequenza, quando il motore è nelle
stesse condizioni di velocità di scorrimento nominale. Tutto questo indica che il tratto di
caratteristica di coppia compreso tra il valore nominale e il valore nullo trasla sull’asse delle
velocità mantenendo sempre la stessa pendenza, come illustrato nella figura seguente.
VS
Legge
tensione-frequenza
VS(ω)
Caratteristiche di coppia
VS*
Cm* coppia nominale
sω*
sω*
ω∗
ω
Legge tensione-frequenza e traslazione del tratto utile della caratteristica di coppia.
Da un punto di vista puramente teorico, un motore asincrono, alimentato a frequenza
crescente con la corretta tensione, sarebbe in grado di produrre una potenza meccanica
crescente in modo proporzionale alla frequenza. Ad esempio un motore targato: 400V, 4kW a
50 Hz potrebbe diventare un motore da 8 kW, se la frequenza di alimentazione fosse portata a
100Hz. Ma in questo caso il motore dovrebbe essere alimentato da una rete trifase a 800V.
Diversi fattori possono intervenire a limitare l’accrescimento della frequenza e della velocità
del motore:
la tenuta dei cuscinetti;
la tenuta degli isolamenti;
le sollecitazioni centrifughe e le vibrazioni;
l’aumento delle perdite nel ferro.
Ma oltre a questi fattori, più spesso, ci si imbatte in un limite dovuto alla tensione disponibile
per l’alimentazione del motore. In altre parole le sorgenti di alimentazione a frequenza
variabile, impiegate nella realtà, sono generalmente limitate in termini di valore massimo
della tensione alternata erogabile, prima ancora che in termini di frequenza. Capita
comunemente che, al crescere della frequenza, l’alimentatore non sia più in grado di far
crescere la tensione di alimentazione. La legge lineare tensione-frequenza, deve quindi, essere
abbandonata, come illustrato in seguito. Le condizioni di alimentazione a cui si verifica
questo evento vengono definite condizioni base.
241
PROF. ANDREA CAVAGNINO
A partire dalla frequenza (indicata dal valore di pulsazione ωbase) la tensione di alimentazione
resta costante VS = Vbase; aumentando ulteriormente la frequenza la macchina si deflussa,
come si evince dalle relazioni (5.40) e (5.37) che viene qui riscritta nella forma seguente:
V S = cost ⇒
ES =
ω
N s*Φˆ u = cost
(5.42)
2
Il valore nominale della coppia non può più essere mantenuto ulteriormente mantenendo la
corrente costante, in quanto si ha una diminuzione di flusso.
Per valori di frequenza e velocità superiori ad ωbase e tensione di alimentazione costante (VS =
Vbase), si può ragionevolmente pensare che il motore sia in grado di fornire una potenza
meccanica costante: potenza base (Pbase).
Il valore richiesto di coppia di carico deve variare in modo inversamente proporzionale alla
velocità:
C m = C base
ω base Pbase
=
ω
ω
(5.43)
In queste condizioni operative le correnti di macchina permangono approssimativamente
attorno ai valori nominali, come evidenziato nella figura seguente.
Intervallo a
coppia
costante
Vbase
Cmax
V*S(ω)
Cbase
Intervallo a potenza costante:
Cm=Cbase·ωbase/ω
Intervallo a potenza
decrescente
Cm
ωbase
ω1
ωmax
Vbase
V*S(ω)
IS
I*S
I’R
Intervalli di velocità caratteristici nell’impiego di motori asincroni alimentati a frequenza variabile
Tuttavia il valore di coppia massima che il motore è in grado di garantire con tensione di
alimentazione costante decresce al crescere della frequenza di alimentazione in modo più
rapido di quanto non faccia la richiesta di carico espressa dalla (5.43).
Infatti, riprendendo in esame la relazione (5.25) che esprime il valore massimo di coppia
motrice ed esplicitando la sua dipendenza dalla pulsazione ω di alimentazione si ottiene la
seguente equazione:
Cmax ≈ 3 ⋅
242
2
p Veq
cos t
⋅
∝
ω 2 ⋅ ωLdt
ω2
(5.44)
MACCHINE ELETTRICHE
da cui si evince che, al crescere della frequenza, la coppia massima erogabile dal motore
diminuisce quadraticamente e, ad un certo punto, raggiunge il valore di coppia richiesta dal
carico secondo la (5.43). Il valore di frequenza a cui questo fatto si verifica è indicato dalla
pulsazione ω1 nella figura precedente. Oltre questo valore di frequenza il motore non potrà
più funzionare alla potenza base, ma la potenza ottenibile dal motore diminuirà per un
ulteriore accrescimento di frequenza e velocità. L’intervallo di velocità in cui il motore può
erogare la massima potenza è quindi definito dai due estremi ωbase e ω1.
Dai ragionamenti esposti si desume che l’ampiezza dell’intervallo in cui al motore può essere
richiesta la potenza base, è tanto maggiore quanto maggiore è la sovraccaricabilità del motore
alla pulsazione base ωb, ovvero tanto più è elevato il rapporto Cmax/Cbase.
Le figure seguenti illustrano come si modificano le caratteristiche di coppia applicando le
leggi di regolazione tensione-frequenza indicate in precedenza. Tali figure evidenziano, in
particolare, la possibilità di regolare in velocità del motore asincrono in modo che esso
fornisca una coppia costante tra zero e la velocità base (usando una legge V / f = costante) ed
una potenza costante tra la ωbase e la ω1 (usando una regolazione con V = costante ed
aumentando f).
Si osservi che la regolazione a V / f = costante permette di risolvere i problemi di avviamento
della macchina: come si evince dalla figura precedente la corrente assorbita a velocità nulla è
praticamente uguale al valore assorbito alla velocità base. Ne consegue che usando un inverter
il motore può essere avviato sotto carico.
Cm = Cbase
Campo di regolazione a coppia costante (regolazione V / f = cost)
Cmax ∝ 1 / ω2
Cm = Cbase ωbase / ω
Campo di regolazione a potenza costante (V = costante)
243
Capitolo
6
LA MACCHINA SINCRONA
6.1 – Generalità e aspetti costruttivi
La macchina sincrona è tradizionalmente la macchina destinata alla generazione su larga scala
dell’energia elettrica. In questo impiego essa prende il nome di generatore in c.a. ovvero di
alternatore. Il principio elementare di funzionamento è basato sulla legge dell’induzione
magnetica: se in una bobina viene fatto variare il flusso concatenato, in essa viene indotta una
forza elettromotrice. Nella macchina sincrona questa variazione di flusso è realizzata facendo
ruotare, internamente alle spire della bobina, un elettromagnete eccitato in corrente continua,
come illustrato, in linea di principio,
nella figura a fianco.
La frequenza della f.e.m. indotta è
Elettromagnete
induttore
strettamente legata alla velocità di
Nord
rotazione e al numero di coppie polari
dell’induttore. Se l’induttore è dotato di
Spira
p coppie polari, ad un giro completo
Indotta
della ruota polare corrispondono p
alternanze
complete
del
flusso
concatenato con una bobina e
Sud
corrispondentemente,
p
alternanze
Schema di principio dell’alternatore.
complete della f.e.m. indotta. Nella
figura
seguente
è
rappresentato
schematicamente il caso di un induttore dotato di 2 coppie polari. La relazione generale tra la
pulsazione indotta ω, la velocità di rotazione ωr ed il numero di coppie polari p è la seguente:
ω = p ⋅ ωr
A parità di frequenza generata, la velocità
di rotazione con cui trascinare il rotore
della macchina è tanto minore quanto più
elevato è il numero di coppie polari.
Nelle grandi macchine sincrone, quali gli
alternatori da centrale, lo statore reca un
avvolgimento trifase analogo a quello dei
motori a induzione. Tipicamente le tre fasi
sono collegate a stella e, grazie allo
sfasamento spaziale di 120° elettrici degli
assi delle bobine, le f.e.m. indotte
Spire
Indotte
Elettromagnete
induttore
Nord
Sud
Sud
Nord
Spire
Indotte
Macchina a due coppie polari
245
PROF. ANDREA CAVAGNINO
generano una terna regolare trifase di tensioni in c.a..
L’avvolgimento in c.a. di statore prende anche il nome di armatura o di avvolgimento indotto,
mentre l’avvolgimento di rotore prende il nome di avvolgimento di eccitazione o di campo.
6.1.1 –Struttura della macchina
La macchina sincrona è costituita da una parte fissa, statore, e da una mobile, rotore. Lo
statore porta gli avvolgimenti indotti in c.a., mentre il rotore viene ad assumere il ruolo di
induttore e crea il campo magnetico necessario attraverso un avvolgimento di eccitazione
alimentato in corrente continua. Lo statore costituisce normalmente la parte esterna della
macchina. Solo per piccole macchine e per particolari esigenze meccaniche le posizioni
possono essere invertite.
L’avvolgimento di armatura e la conformazione geometrico-magnetica dello statore di una
macchina sincrona sono identiche a quelle delle macchine asincrone.
Molto diversa, invece, può risultare la conformazione del rotore. Nella macchina sincrona
infatti il rotore può assumere forme molto diversificate in relazione alla potenza, al tipo di
applicazione (generatore, motore) e alla velocità di rotazione del motore di trascinamento.
Forme costruttive degli alternatori
Restando nel campo delle grandi macchine destinate alla produzione dell’energia elettrica, si
possono distinguere due forme distinte del rotore.
Macchine a rotore liscio.
Macchine a poli salienti.
Le macchine appartenenti alla prima categoria vengono anche dette macchine isotrope in
quanto il rotore presenta sezione circolare ed il traferro è praticamente costante in tutte le
direzioni (vedi figura a) seguente).
In questa configurazione il numero di polarità realizzabile è molto basso (p = 1, 2) e la
velocità di rotazione necessaria a produrre f.e.m. a 50 Hz è di conseguenza elevata (3000 rpm,
1500 rpm). Questi generatori sono destinati ad essere alimentati attraverso motori primi veloci
come turbine a vapore, a gas, etc. , di qui il nome di turbo-alternatori che comunemente viene
loro assegnato. In questa configurazione si ottengono le macchine con la potenza unitaria più
alta: 1500-2000 MVA. Data l’alta velocità di rotazione di queste macchine, i rotori assumono
forma allungata e relativamente poco sviluppata nel senso radiale per contenere le forze
centrifughe che si esercitano sui conduttori del circuito di eccitazione.
a)
b)
Struttura di alternatori:
a) macchina a rotore liscio , turboalternatore
b) macchina a poli salienti
246
MACCHINE ELETTRICHE
Nel caso di motori primi più lenti, come ad esempio le turbine idrauliche, caratterizzati da
regimi di rotazione dell’ordine di alcune decine o centinaia di giri al minuto, il numero di
polarità dell’alternatore deve necessariamente crescere per generare tensioni indotte sempre a
50 Hz. Non sono infrequenti generatori con numeri di poli superiori a 100. La forma
costruttiva del rotore si sviluppa, in questi casi, in forma radiale per creare lo spazio
necessario ad ospitare i numerosi poli. Le polarità vengono ottenute attraverso nuclei
magnetici, eccitati ciascuno da un proprio avvolgimento, che sporgono da una ruota
(denominata ruota polare) di grande diametro come illustrato schematicamente nella figura b)
precedente e nella figura seguente. Questo tipo di macchina viene detta ‘a poli salienti’ e,
come si può osservare dalla figura, il traferro della macchina risulta variabile a seconda della
direzione considerata: esso risulta minimo sotto l’asse polare mentre è massimo in
corrispondenza al vano interpolare. Una simile struttura viene definita anisotropa.
In questa versione le potenze massime unitarie possono superare i 500MVA.
Le tensioni nominali degli alternatori possono andare dall’ordine del centinaio di Volt a
qualche decina di kVolt. Le tensioni più alte risultano convenienti per le potenze maggiori; un
alto valore di tensione permette infatti di limitare l’entità delle correnti di armatura e di
rendere meno problematica l’esecuzione dell’avvolgimento.
Superficie polare
laminata
Fori per avvolgimenti
smorzatori
Espansione polare
Nucleo
Polare
Avvolgimento
di campo
Ruota polare
Struttura dei poli salienti di una macchina anisotropa
Sia nella versione isotropa che in quella anisotropa il rotore è costruito in forma massiccia, in
quanto il campo magnetico nel rotore è costante nel tempo e non sono presenti fenomeni di
correnti parassite; le uniche parti laminate possono trovarsi, nelle macchine a poli salienti,
esclusivamente in corrispondenza alle espansioni polari che possono essere sottoposte a
perturbazioni del campo magnetico dovute alla presenza delle cave di statore ed alle
armoniche spaziali asincrone dovute alla corrente di armatura.
Traferro della macchina sincrona
Poiché in una macchina sincrona, l’eccitazione viene ottenuta attraverso un circuito in
corrente continua, non si ha consumo di potenza reattiva dalla rete, come invece accade nella
macchina asincrona. In queste condizioni le ampiezze di traferro possono essere tenute più
alte e, a fronte di traferri massimi di pochi millimetri caratteristici dei grandi motori asincroni,
nei grandi alternatori i traferri possono raggiungere il centinaio di millimetri.
La necessità di tenere alto lo spessore di traferro è particolarmente sentita nelle grandi
macchine, dove l’ esecuzione in piattina degli avvolgimenti di statore richiede l’adozione di
cave di tipo aperto. In questo caso, se il traferro è modesto, le perturbazioni, prodotte dalle
aperture di cava sulla distribuzione del campo, possono provocare ondulazioni eccessive della
forma d’onda della f.e.m. indotta come illustrato nella figura seguente.
247
PROF. ANDREA CAVAGNINO
5mm
15mm
10mm
15mm
Forme d’onda di f.e.m. di fase nel caso di cave aperte.
Avvolgimenti smorzatori
Nei generatori allacciati alla rete elettrica a 50 Hz possono manifestarsi, in conseguenza di
transitori di carico, di eccitazione o di risonanze con il motore primo, delle oscillazioni di
velocità attorno alla velocità di sincronismo. La caratteristica meccanica della macchina
sincrona non è in grado di smorzare adeguatamente queste oscillazioni e, pertanto, il rotore
viene a ruotare con una velocità oscillante, che risulta inaccettabile dal punto di vista dello
scambio della potenza elettrica e che può innescare fenomeni gravi di instabilità fino alla
perdita del sincronismo.
Questo tipo di oscillazioni, di frequenza molto bassa (inversamente proporzionale al momento
di inerzia del sistema motore-generatore) prende il nome di oscillazioni pendolari o
pendolazioni.
Per attutire adeguatamente questo fenomeno, vengono disposte sulla superficie esterna del
rotore delle spire in corto circuito; esse sono, in genere, assimilabili ad una gabbia di
scoiattolo e prendono il nome di avvolgimenti smorzatori.
Tali avvolgimenti sono inerti quando la macchina lavora sincrona con la frequenza di rete, ma
intervengono, nel caso di oscillazioni di velocità attorno alla velocità di sincronismo,
mettendo in gioco una coppia asincrona con effetto smorzante.
Altre forme costruttive della macchina sincrona
Se per le grandi macchine sincrone, destinate a produrre energia elettrica in c.a. a 50Hz, le
forme costruttive sono standardizzate nelle strutture sopra descritte, per le macchine di piccola
e media potenza, fino a qualche centinaio di kW, le forme costruttive possono subire nette
diversificazioni secondo l’uso precipuo come generatore o come motore.
Un caso particolarmente interessante dal punto di vista applicativo è costituito dai generatori
per alta frequenza (100-20000Hz) che possono venire destinati all’alimentazione di motori
veloci (motori per la lavorazione di legno o leghe leggere) o di impianti elettrici di bordo
(aerei : 400Hz).
Per poter ottenere elevati valori di frequenza senza dover ricorrere a velocità di rotazione
eccessive, queste macchine possiedono un elevato numero di polarità. Esse vengono realizzate
attraverso l’impiego di due tecniche costruttive distinte:
Macchine a poli alterni.
Macchine omopolari.
248
MACCHINE ELETTRICHE
SN
NN
Campo
Corona Sud
Bobina di campo
Rotore assemblato
Corona Nord
Anelli di adduzione
della corrente di eccitazione
Schema costruttivo di un generatore Lundell
Un esempio abbastanza originale di realizzazione di generatori elettrici a poli alternati è
illustrato nella figura precedente (generatori Lundell o claw-pole o con poli ad artiglio).
L’eccitazione del rotore è prodotta da un solenoide disposto assialmente sull’albero ed il
flusso prodotto viene convogliato verso lo statore attraverso due corone contrapposte che
assumono polarità di segno contrario. Ciascuno dei rebbi o ‘artigli’ della corona di polarità
Nord viene a trovarsi affiancato dai rebbi o ‘artigli’ della corona opposta di polarità Sud, e
viceversa. Lungo la circonferenza del traferro si determina, quindi, un numero di polarità
alternate uguale al numero di rebbi delle due corone. Con questo assetto costruttivo si
possono realizzare rotori con elevato numero di coppie polari in dimensioni radiali contenute
e impiegando un’unica bobina di eccitazione, con notevole risparmio di rame e di perdite
Joule.
La sagoma degli artigli può inoltre essere studiata in modo da generare f.e.m. indotte
praticamente sinusoidali.
Bobina di
eccitazione in c.c.
Bobine di armatura
Flusso
Ruote polari
Schema di principio di un generatore omopolare per alta frequenza.
Alla seconda categoria di macchine (macchine sincrone omopolari) destinate essenzialmente
alla produzione di frequenze elevate appartengono macchine in cui i poli di rotore non
vengono eccitati attraverso bobine ad essi solidali, ma l’eccitazione è provvista da un’apposita
bobina alimentata in c.c. e collocata sullo statore.
249
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Il rotore di queste macchine è spezzato in due ruote polari dotate di un elevato numero di poli
o denti, come illustrato nella figura precedente. Attraverso una bobina di eccitazione assiale
sistemata sullo statore, le due ruote polari assumono ciascuna una polarità opposta e, quindi,
tutti i poli o denti di una ruota risulteranno di polarità Nord, mentre i poli o denti dell’altra
prendono polarità Sud.
Anche l’avvolgimento di armatura è spezzato in due gruppi di bobine, ciascuno dei quali
concatena il flusso prodotto dalla corrispondente ruota polare.
Il numero di denti di statore è multiplo del
numero di denti di rotore e al muoversi di
quest’ultimo la riluttanza e il flusso
Flusso di macchina
indotto dalla bobina di eccitazione saranno
Valore medio
modulati. Il flusso nella macchina
del flusso
assumerà valore massimo quando i denti
di statore e rotore saranno affacciati
(traferro minimo); viceversa il flusso
presente sarà massimo se ad essere
f.e.m. indotta in armatura
affacciati saranno denti e cave. Se con ZS
si indica il numero di denti di statore, per
Flusso e f.e.m. nell’alternatore omopolare.
un giro completo del rotore si produrranno
ZS ondulazioni complete del flusso attorno
al valore medio, come illustrato in figura. Conseguentemente nelle bobine di armatura viene
indotta una f.e.m. con una pulsazione elettrica pari a ZS volte la velocità di rotazione della
macchina. Collegando opportunamente in serie o parallelo le bobine si può erogare la potenza
elettrica con i requisiti di tensione e corrente richiesti dall’applicazione.
Macchine a magneti permanenti
Nelle soluzioni costruttive fin qui esaminate, il flusso induttore della macchina viene prodotto
dal rotore attraverso un apposito circuito di eccitazione.
d
d
q
a) magneti esterni
q
d
q
b) magneti interni
c) magneti radiali
Strutture di rotori a magneti permanenti
Tuttavia, quando nelle normali operazioni della macchina non sia richiesta una regolazione di
tale flusso, si possono realizzare macchine sincrone con eccitazione a magneti permanenti.
Questa possibilità, che consente di ridurre gli ingombri del rotore e di annullare le perdite
Joule di eccitazione, è particolarmente sfruttata nella realizzazione di motori sincroni di
piccola e media potenza, destinati ad una alimentazione a frequenza variabile. Il sistema
250
MACCHINE ELETTRICHE
formato da un motore sincrono a magneti permanenti, dal suo alimentatore e dal suo sistema
di controllo viene usualmente definito “motore brushless”.
La disposizione dei magneti sul rotore può essere superficiale, come illustrato nella figura a)
precedente, oppure i magneti possono essere immersi nel ferro di rotore (magneti interni:
figura b). In entrambi i casi, i magneti presentano le superfici magnetizzate in corrispondenza
al traferro.
Nella sistemazione di figura c), i magneti sono
disposti radialmente nel rotore, la magnetizzazione
assume andamento trasversale e il flusso viene
convogliato al traferro attraverso i settori di materiale
ferromagnetico dolce. In questa maniera si possono
realizzare macchine con elevato numero di poli e allo
stesso tempo ottenere una concentrazione di flusso al
traferro con valori di induzione più alti di quelli
disponibili nei singoli magneti.
Lo statore mantiene generalmente la forma tipica delle
grandi macchine (identica a quella vista per le
macchine asincrone), ma in alcuni tipi di macchina
Statore a poli salienti
particolare può presentarsi nella versione a poli
salienti come illustrato nella figura a fianco.
Macchine a riluttanza
Tra le macchine a struttura sincrona meritano un cenno particolare le macchine a traferro
variabile, dette comunemente macchine a riluttanza. In queste macchine il rotore è privo di
eccitazione e la sua sezione è opportunamente sagomata in modo da creare delle strade
preferenziali per il passaggio del flusso magnetico prodotto al traferro dall’avvolgimento di
armatura. Come per le macchine a magneti permanenti, lo statore può presentare la tipica
forma a corona circolare con avvolgimenti disposti in cave lungo la circonferenza interna
come per i motori asincroni, oppure può presentare una struttura a poli sporgenti. Nella figura
seguente sono illustrate in via di principio alcune configurazioni assunte dal rotore di una
macchina a riluttanza. Nelle figura è indicato con la lettera d, l’asse diretto che corrisponde
all’asse di minima riluttanza del rotore e con la lettera q l’asse in quadratura, ovvero l’asse a
massima riluttanza.
Questa tipologia di macchine trova applicazione quasi esclusivamente nel campo delle
motorizzazioni, dove si fa apprezzare per la robustezza e semplicità del suo rotore.
q
d
q
d
Strutture di rotori a riluttanza variabile
251
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Sia le macchine a riluttanza che quelle a magneti permanenti costituiscono il punto di
partenza nella realizzazione dei motori a passo, che rappresentano una vasta famiglia di
motori in grado di produrre moto incrementale per applicazioni del tutto particolari di
posizionamento (ad esempio nelle stampanti).
Raffreddamento
Come si è già detto in precedenza, le macchine sincrone possono raggiungere potenze
ragguardevoli. In effetti, il ‘gigantismo’ nelle macchine elettriche porta dei vantaggi in
termini economici. Si può ricordare che la potenza di una macchina elettrica cresce con un
esponente 4 delle dimensioni lineari, mentre peso e perdite crescono in misura minore
(esponente 3 delle dimensioni).
Le principali limitazioni tecniche all’accrescimento della potenza unitaria di una macchina
sono da riferire a problemi di smaltimento del calore. Al crescere delle dimensioni della
macchina le perdite, come detto, crescono con i volumi dei materiali attivi, mentre la potenza
termica dissipabile cresce con le superfici di scambio disponibili e, quindi, all’aumentare delle
dimensioni e della potenza, si origina ben presto uno squilibrio tra perdite e capacità di
smaltimento, con aumento delle sovratemperature della macchina.
Per fissare le idee si pensi che il calore, espresso in termini di perdite, prodotto da un
alternatore da 100 MVA con rendimento 0.9 e fattore di potenza 0.75 corrisponde a 7500 kW.
Per asportare questo calore dall’interno della macchina sono necessari metodi di
raffreddamento particolarmente efficaci.
Il fluido di raffreddamento di più semplice impiego è usualmente l’aria. Per grandi macchine
il circuito di raffreddamento in aria è del tipo a circuito chiuso per limitare l’ingresso di
polveri all’interno della macchina. Per macchine di potenza maggiore, come ad esempio i
turbogeneratori, l’aria viene sostituita da idrogeno, la cui maggiore conducibilità termica
consente un raffreddamento più efficace.
Tuttavia l’acqua è il fluido che possiede le migliori caratteristiche dal punto di vista
dell’asportazione del calore e le unità più grandi vengono equipaggiate con raffreddamento ad
acqua o emulsione acqua-olio.
Canali di circolazione
aria
Canali di circolazione
fluido di raffreddamento lamiere
Conduttori cavi con
circolazione interna
fluido di raffreddamento
(H2, H2O+olio)
Sistemi di raffreddamento dei conduttori di armatura e di eccitazione in grandi alternatori
252
MACCHINE ELETTRICHE
Osservazione
Le macchine sincrone sono macchine elettriche in corrente alternata in grado di generare
coppia solo alla velocità di sincronismo. Si ricorda che tale velocità è legata alla frequenza ed
al numero di paia poli p della macchina secondo la seguente relazione:
ns =
60 ⋅ f
p
⇒
ωs =
2⋅π⋅ f ω
=
p
p
(6.1)
dove ω è la pulsazione elettrica delle grandezze di statore.
La figura seguente illustra la forma della caratteristica coppia-velocità per una macchina
sincrona.
+Cmax
Cm
Funzionamento
da motore
+CN
ωr
ωs
Funzionamento
da generatore
-CN
-Cmax
Caratteristica coppia-velocità della macchina sincrona
Si noti che oggi la macchina sincrona trova sempre più frequentemente impiego come motore
regolato in velocità; infatti, grazie alla disponibilità di strutture di conversione statica quali gli
inverter, risulta possibile regolare facilmente la velocità di sincronismo e quindi la velocità di
rotazione della macchina.
Senza entrare nel dettaglio, si ribadisce il fatto che l’utilizzo della macchina sincrona come
motore è ormai imprescindibile dall’uso di un convertitore elettronico di potenza e di un
sistema di controllo (ovvero di un azionamento). Per attuare le leggi di moto e di velocità
desiderate, al sistema di controllo serve tipicamente l’informazione della posizione istantanea
del rotore rispetto ad un riferimento fisso di statore. Tale misura viene acquisita tramite
opportuni sensori montati sull’albero della macchina (encoder, revolver, …) oppure tramite
misure ai morsetti elettrici noto il modello dinamico della macchina (controlli di tipo
sensorless).
253
PROF. ANDREA CAVAGNINO
6.2 – Impiego della macchina sincrona come generatore
Come chiarito al paragrafo precedente, la macchina sincrona trova il suo impiego più usuale
come generatore (alternatore). Il generatore sincrono è, infatti, tipicamente presente in tutti i
processi che prevedono la conversione dell’energia dalla forma meccanica alla forma elettrica
in corrente alternata, e può essere usato sia come generatore autonomo su carichi locali, sia in
collegamento con una rete elettrica già esistente. Nel primo caso la velocità di rotazione, la
frequenza e la tensione generata non costituiscono un vincolo funzionale come capita invece
nel secondo caso.
La quasi totalità dell’energia elettrica, oggi prodotta ed immessa nella rete di trasporto e
distribuzione, è generata da macchine sincrone collegate in parallelo e mosse da motori primi
di diversa natura (turbine a gas, a vapore e idrauliche, motori diesel, …). Poiché la frequenza
della rete è unica (50 Hz), tutti i generatori con essa collegati devono produrre energia
elettrica alla stessa frequenza. Questo fatto si enuncia dicendo che tutti i generatori collegati
in rete sono sincroni tra loro. Ma, poiché i motori primi, che forniscono ai singoli generatori
la necessaria potenza meccanica, sono caratterizzati da velocità ottimali di erogazione della
potenza anche molto diverse tra loro, il necessario sincronismo elettrico deve essere ottenuto
attraverso la scelta del numero di coppie polari dell’alternatore.
Nel presente paragrafo si analizzeranno le caratteristiche dell’alternatore come generatore
connesso in parallelo ad una rete con tensione e frequenza fissate.
Lo studio sarà affrontato considerando una macchina sincrona isotropa, o a traferro costante.
Nello sviluppo della teoria si farà riferimento all’ipotesi di linearità dei fenomeni magnetici
che avvengono all’interno della macchina. Verrà pertanto trascurata l’influenza del ferro con
le sue caratteristiche di saturazione e di isteresi (ipotesi di linearità magnetica).
Inoltre per tutte le distribuzioni di campo, di f.m.m. e di induzione presenti nel traferro si
prenderà in considerazione esclusivamente la componente sinusoidale fondamentale,
trascurando in tal modo gli effetti della distribuzione degli avvolgimenti e della presenza di
cave. Questo approccio consente, come già visto nel caso della macchina ad induzione, di
operare attraverso l’introduzione di vettori spaziali nella rappresentazione delle diverse
grandezze distribuite.
6.2.1 – Funzionamento a vuoto dell’alternatore
Inviando la corrente continua di eccitazione nell’avvolgimento di rotore si crea un flusso
(detto flusso di eccitazione), a distribuzione sinusoidale lungo il traferro, di tipo
unidirezionale rigidamente fissato alla struttura di rotore.
La direzione del vettore spaziale del flusso di eccitazione coincide con l’asse magnetico
dell’avvolgimento che lo ha creato. Tale asse
asse q
viene denominato asse diretto.
È possibile definire il seguente legame tra la
fondamentale del flusso di eccitazione e la
Iecc
corrente di eccitazione:
Φ̂ ecc = K ecc ⋅ I ecc
asse d
(6.2)
Quando il motore primo trascina in rotazione
il rotore alla velocità di sincronismo ωs, nelle
tre fasi dell’avvolgimento di statore si
inducono
delle
forze
elettromotrici
sinusoidali, sfasate nel tempo di 120°.
254
Φecc
ωs
Iecc
Rappresentazione del vettore spaziale
del flusso di eccitazione
MACCHINE ELETTRICHE
Ricordando quanto visto al paragrafo 5.2 ed in particolare che i concatenamenti di flusso
dipendono dagli angoli elettrici e non da quelli meccanici (αelettrico = p αmeccanico, dove p è il
numero di paia poli dell’avvolgimento) e che il numero delle spire equivalenti ai fini della
produzione di F.e.m. di un avvolgimento distribuito vale Ns*, la F.e.m. indotta a vuoto nelle
fasi di statore si può scrivere nel seguente modo.
e0 (t ) = −
dλ s (t )
dt
⇒
E0 = − j ⋅
ω
2
ˆ ecc = − j ⋅ 4.44 ⋅ N s* ⋅ f ⋅ Φ
ˆ ecc
⋅ N s* ⋅ Φ
(6.3)
Per scrivere la (6.3) si è ipotizzato di studiare i morsetti elettrici di statore dell’alternatore con
la convezione di segno dei generatori elettrici (segno meno nella legge di Lenz).
Si ricorda nuovamente che la pulsazione elettrica ω del fasore E0 è pari a p volte la pulsazione
di sincronismo ωs.
Riconsiderando la relazione (6.2), si può mettere in relazione l’ampiezza della F.e.m a vuoto
con la corrente di eccitazione.
E0 = K ⋅ ω ⋅ I ecc
(6.4)
È quindi possibile ricavare la caratteristica di magnetizzazione della macchina al variare della
corrente di eccitazione come illustrato nella figura
E0
a fianco.
Tale caratteristica risulta in genere non lineare a
causa dei fenomeni di saturazione del ferro che si
ω = costante
osservano per correnti di eccitazione elevate.
I casi in cui i fenomeni di saturazione influenzino
in modo rilevante il funzionamento della
macchina verranno via via sottolineati nel seguito.
Iecc
Caratteristica di magnetizzazione
Durante il funzionamento a vuoto si può quindi disegnare il seguente diagramma vettoriale.
asse q
E0
Iecc
asse d
Φecc
ωs
Iecc
Diagramma vettoriale a vuoto
255
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Anche per l’alternatore è conveniente pensare ad un circuito equivalente monofase, ad
esempio per valutarne le caratteristiche di funzionamento
Sulla base di quanto finora visto e sulle conoscenze acquisite per la macchina ad induzione si
può pensare al seguenti circuito equivalente. Si noti la convenzione di segno dei generatori
elettrici.
Rs
Xd
E0 = K ω Iecc
Is fase = 0
Vs fase = E0
a)
Xd
Rs
Is fase
E = E(Iecc, I)
Vs fase
b)
Circuito equivalente monofase dell’alternatore
a) Funzionamento a vuoto
b) Funzionamento a carico
La reattanza di dispersione di statore Xd tiene conto dei flussi dispersi a statore (in cava, in
testata) mentre la resistenza Rs tiene conto delle perdite Joule di statore. In generale, per i
grandi alternatori la resistenza di statore è un parametro trascurabile ai fini del calcolo delle
prestazioni ad eccezione, ovviamente, del rendimento.
Si osservi che durante il funzionamento a carico la F.e.m indotta a statore viene a dipendere,
oltre che dalla corrente di eccitazione, anche dalla corrente erogata dal generatore a causa del
fenomeno di reazione di indotto (fenomeno di cui si parlerà più avanti). Questa dipendenza fa
sì che il circuito equivalente appena presentato sia di fatto inutilizzabile; nel seguito si vedrà
come giungere ad un circuito equivalente più adatto agli esercizi di calcolo. Per ora basti
sapere che nel circuito equivalente b) la forza elettromotrice E è la F.e.m. indotta nelle fasi di
statore dal flusso complessivo di macchina prodotto dall’azione congiunta della corrente di
eccitazione e della corrente di statore.
6.2.2 – Parallelo dell’alternatore sulla rete
La prima manovra che conviene analizzare, nelle operazioni di funzionamento dell’alternatore
su una rete elettrica, è la manovra di parallelo. Questa operazione comporta il collegamento
dei morsetti di armatura del generatore sincrono con quelli della rete e consente alla macchina
di scambiare potenza elettrica attiva e reattiva con i carichi e con gli altri alternatori
(preponderanti in termini di potenza), che costituiscono, nel loro insieme, il sistema rete.
Si può ragionevolmente reputare che la frequenza e la tensione della rete non siano in alcun
modo influenzate da questa operazione; si ritiene, in altri termini, che la rete sia di potenza
prevalente rispetto alla potenza dell’alternatore.
Nella fase di messa in parallelo è prevista una successione di interventi da eseguire sul motore
primo e sull’eccitazione della macchina allo scopo di evitare transitori violenti nel momento
della chiusura degli interruttori di connessione. Per le grosse macchine la sequenza delle
azioni da fare viene gestita da un sistema di controllo automatico. Lo schema del sistema di
potenza, coinvolto nell’operazione, è rappresentato in modo semplificato nella figura
seguente.
Preliminarmente si deve verificare, con l’interruttore aperto, che i due sistemi trifase (quello
creato dal generatore e quello della rete) abbiano la stessa sequenza delle fasi.
256
MACCHINE ELETTRICHE
Alternatore
Interruttore
di rete
Motore
Rete
V1
Regolazione
Eccitazione
V2
V3
Voltmetri di
Parallelo
Parallelo di un alternatore sulla rete elettrica.
Per procedere al parallelo si deve innanzitutto intervenire sul motore primo di trascinamento
della macchina in modo che la velocità di rotazione sia grossolanamente prossima a quella di
sincronismo. Quindi si eccita il rotore e si osservano le indicazioni dei voltmetri di parallelo.
Questi strumenti leggono la differenza di tensione tra la f.e.m. indotta dall’alternatore e la
tensione di rete. Tale differenza è proporzionale, in ampiezza, al vettore ∆V illustrato nella
figura seguente.
Se la velocità di rotazione non è sincrona, l’ampiezza di ∆V varia nel tempo con la pulsazione
di scorrimento ωsc = ωrete – p.ωs e le indicazioni dei voltmetri variano conseguentemente.
A questo punto si regola finemente la velocità di rotazione del motore primo, cercando di
stabilizzare le indicazioni dei voltmetri, o, quanto meno, cercando di rendere la loro frequenza
di oscillazione molto piccola. Regolando l’eccitazione si possono trovare intervalli di tempo
prolungati, per cui la differenza ∆V, letta dai voltmetri, risulta praticamente nulla. Queste
condizioni si manifestano quando il vettore E0 e il vettore Vrete sono pressochè uguali in
modulo e fase. Nel momento in cui la
lettura voltmetrica è minima possono
ωe
essere chiusi gli interruttori di
∆V1,2,3,4
parallelo; in questo modo la macchina
Vrete=E0
Vrete
è collegata alla rete in condizione di
funzionamento a vuoto e senza
E0,1,2,3,4
particolari transitori di corrente.
Dopo la chiusura degli interruttori,
nella condizione ideale rappresentata in
figura b), apparentemente non si hanno
ripercussioni
sul
comportamento
dell’alternatore. Esso continua a
ωR
Iecc
ruotare nella stessa maniera precedente
e continua a non essere presente
scambio di corrente con la rete.
Tuttavia, se a questo punto si
a)
b)
modificano le condizioni operative del
a) Variazioni voltmetriche in condizioni asincrone
motore primo, la macchina reagirà,
di rotazione.
restando agganciata alla velocità di
b) Condizione ideale di parallelo.
sincronismo e, qualunque azione (entro
certi
limiti)
venga
esercitata
sull’albero, non sarà più in grado di modificare la velocità di rotazione.
257
PROF. ANDREA CAVAGNINO
6.2.3 – Funzionamento a carico dell’alternatore connesso in rete
Poiché nei grandi alternatori le cadute resistive negli avvolgimenti statorici sono normalmente
di piccola entità rispetto alle cadute reattive, in molte delle considerazioni e dei diagrammi
che seguiranno, si trascurerà l’influenza della resistenza di fase di statore RS. Il circuito
equivalente della macchina a cui fare riferimento è il seguente, in cui il parametro Xd
rappresenta la reattanza di dispersione di statore. Si ricorda ancora che la forza elettromotrice
E che compare in figura è quella indotta dal flusso complessivo di macchina (generato dalla
corrente di eccitazione e da quella di statore).
Xd
Rs
E = E(Iecc, I)
Is fase = Irete
Vs fase = Vrete
Circuito equivalente monofase dell’alternatore
Regolazione della potenza reattiva
Supponendo che l’alternatore si trovi in parallelo alla rete, nella condizione di funzionamento
a vuoto descritta al paragrafo precedente (ed illustrata nella figura a) seguente), si immagini di
aumentare inizialmente la corrente di eccitazione. Come conseguenza aumenteranno il flusso
e la f.e.m. prodotti dalla macchina.
Lo squilibrio tra f.e.m. e tensione di rete generano una corrente IS:
Is =
E − V rete
jX d
(6.5)
Tale corrente è in quadratura con i vettori E e Vrete. In queste condizioni si dice che
l’alternatore è ‘sovra-eccitato’: non c’è scambio di potenza elettrica attiva tra alternatore e
rete, ma esclusivamente scambio di potenza reattiva. Il comportamento della macchina è
assimilabile a quello di un condensatore (condensatore sincrono: figura b) seguente); come un
condensatore, infatti, l’alternatore invia potenza reattiva alla rete, che, ai morsetti di
connessione, viene vista come carico induttivo. La potenza reattiva scambiata può essere
regolata regolando la corrente di eccitazione.
Caratteristiche diametralmente opposte presenta il funzionamento dell’alternatore in
condizioni di sotto-eccitazione. Se si riduce la corrente di eccitazione sotto il valore per cui la
f.e.m. indotta fa equilibrio alla tensione di rete, la caduta di tensione sulla reattanza di
dispersione si inverte e anche la corrente scambiata ruota la sua fase di 180°, come
rappresentato nel diagramma c) della figura seguente. In questo caso l’alternatore si comporta
come induttore (induttore sincrono).
Nelle modalità di funzionamento qui descritte non è necessaria la presenza di un motore
primo per il trascinamento della macchina, ovvero non si deve fornire coppia all’asse
dell’alternatore. Questo può essere mantenuto in sincronismo dalla stessa rete di
alimentazione, che provvede automaticamente a sopperire la piccola quota di potenza
necessaria per compensare le perdite nel ferro e le perdite Joule connesse con il passaggio
della corrente IS, oltre che le perdite meccaniche conseguenti alla rotazione.
258
MACCHINE ELETTRICHE
E
jXd IS
Vrete
E0
E0
Vrete
E0
Vrete
jXd IS
E
Iecc
I’ecc
(a)
IS
(b)
IS
I”ecc
(c)
Regolazione dell’eccitazione dell’alternatore e scambio di potenza reattiva con la rete.
Regolazione della potenza attiva
Per comprendere il modo in cui un alternatore scambia potenza elettrica attiva con la rete a
cui è connesso, si parta nuovamente dalla condizione ideale di funzionamento a vuoto
illustrata nella figura a) seguente. Sotto questo presupposto la f.e.m., prodotta per effetto
dell’eccitazione, equilibra esattamente la tensione di rete e non si ha corrente erogata. Se si
trascurano tutte le perdite interne alla macchina si può ritenere che la condizione operativa
può essere mantenuta senza la necessità di richiedere potenza meccanica al motore primo e
quindi senza coppia trasmessa all’albero.
Nel diagramma vettoriale di figura a) i due vettori Vrete ed E0 viaggiano di conserva, ruotando
sincroni nel senso antiorario convenzionalmente positivo. Tuttavia, mentre il vettore Vrete ha
una velocità di rotazione imposta dalla rete elettrica, il vettore E0 deve essere pensato solidale
alla posizione spaziale del rotore e ruota con la velocità di quest’ultimo.
Se a questo punto si aumenta la coppia prodotta dal motore primo e, con essa, la potenza
meccanica trasmessa all’albero, il rotore della macchina tende inizialmente ad accelerare ed il
vettore E, ad esso collegato, tende ad anticipare rispetto alla tensione di rete. Il diagramma
vettoriale si modifica come illustrato nella figura b), nell’ipotesi di regolare la corrente di
eccitazione in modo da garantire l’uguaglianza E = Vrete.
Lo sfasamento tra il vettore E ed il vettore Vrete dà luogo al passaggio di una corrente tra
alternatore e rete, che, nel caso di una macchina isotropa, è direttamente determinabile dal
circuito equivalente semplificato attraverso la relazione (6.6):
Is =
E − V rete
jX d
(6.6)
La corrente di armatura presenta una componente (ISq) in fase con la f.e.m. (E), che
testimonia, la nascita di una coppia di origine elettromagnetica che contrasta la rotazione e
quindi la coppia motrice applicata all’albero. Poiché questa componente aumenta al crescere
dell’angolo β di anticipo del vettore E, prima o poi la coppia elettromagnetica della macchina
eguaglierà esattamente la coppia motrice applicata all’albero, consentendo una nuova
posizione sincrona di equilibrio dei diversi vettori del diagramma.
259
PROF. ANDREA CAVAGNINO
(a)
(b)
Vrete=E0
(c)
Vrete
E
Vrete
β
E
β
IS
ISq
ωe
ωe
ISa
ωe
Cmot
Cmot
Iecc
ISq
ISa
IS
Scambio di potenza attiva tra l’alternatore e la rete
Dal punto di vista meccanico la macchina si comporta come se esistesse un collegamento
elastico tra gli estremi del vettore Vrete e del vettore E .
Contestualmente la corrente IS, scambiata con la rete, presenta anche una componente attiva
positiva ISa con la tensione Vrete; questo testimonia il fatto che la potenza meccanica, fornita
all’albero dal motore primo, viene convertita direttamente in potenza elettrica, secondo il
tipico funzionamento da generatore. Sulla base delle ipotesi fatte e del diagramma vettoriale
b) si possono scrivere le seguenti relazioni.
Pmeccanica all ' asse = C m ⋅ ω s = 3 ⋅ E ⋅ I s ⋅ cos(β / 2 )
Pelettrica erogata = 3 ⋅ Vs ⋅ I s ⋅ cos ϕ = 3 ⋅ E ⋅ I s ⋅ cos(β / 2 )
Un fenomeno perfettamente identico, ma di segno opposto, si verifica quando all’albero
venga applicata una coppia frenante: in questo caso le due componenti ISq, ISa della corrente si
invertono di segno e la macchina opera come motore (figura c)).
In generale è possibile analizzare il funzionamento dell’alternatore a partire dalle condizioni
di carico ai suoi morsetti, cioè dalla conoscenza della corrente erogata e del fattore di carico,
come indicato nella figura seguente.
E
j Xd IS
β
VS
ϕ
IS
Posizione del vettore E in base ad una certa situazione di carico
260
MACCHINE ELETTRICHE
6.2.4 – Fenomeno della reazione di indotto. Reattanza sincrona
Come accennato precedentemente, durante il funzionamento a carico dell’alternatore la forza
elettromotrice E che si induce negli avvolgimenti della macchina viene prodotto dal flusso
complessivo di macchina Φm, come richiamato nella figura seguente.
E
j Xd IS
Φm
β
VS
ϕ
IS
È bene ricordare che il sistema trifase delle correnti di statore, fluendo nei rispettivi
avvolgimenti di fase, crea un campo magnetico rotante sincrono con il rotore. A tale campo
magnetico rotante si può associare una distribuzione di flusso al traferro, denominato flusso di
reazione di indotto Φr, secondo i ragionamenti visti al paragrafo 4.5.
Il flusso di macchina Φm è la risultante del flusso di eccitazione Φecc e del flusso di reazione
Φr. Ragionando in termini di vettori spaziali, equivalenti alle diverse distribuzioni
fondamentali di flusso al traferro, si può scrivere la seguente relazione.
ˆ =Φ
ˆ
ˆ
Φ
m
ecc + Φ r
(6.7)
Occorre precisare che il legame (6.7) tra i flussi al traferro è corretto solo nell’ipotesi di
linearità magnetica del ferro. Viceversa è sempre valida la composizione dei vettori
rappresentativi delle distribuzioni di forza magnetomotrice creati dalle correnti.
'
Fˆm = Fˆecc + Fˆr = N ecc
⋅ I ecc + N s' ⋅ Iˆs
(6.8)
Nella (6.8), Necc’ ed NS’ rappresentano il numero di spire equivalenti ai fini della produzione
di F.m.m. dei rispettivi avvolgimenti.
La relazione (6.8) evidenzia che il vettore spaziale Fr risulta in fase con il vettore spaziale
delle corrente di statore, come indicato nella figura seguente.
E
j Xd IS
β
VS
ϕ
IS
Φr
Fr
261
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Sulla base dell’ipotesi di linearità magnetica della macchina, si può disegnare il seguente
diagramma vettoriale. Nel caso di presenza di fenomeni di saturazione del ferro i triangoli di
forza magnetomotrice e di flusso non sarebbero più tra loro simili.
Fr
Fecc
Φr
Fm
Φecc
E
Φm
j Xd IS
β
VS
ϕ
IS
Φr
Fr
La figura precedente dimostra che il fenomeno di reazione di indotto produce una pesante
variazione del flusso di macchina nel passaggio da vuoto a carico della macchina. In
particolare, con carichi ohmico-induttivi il fenomeno comporta una pesante smagnetizzazione
dell’alternatore rispetto alla condizione di funzionamento a vuoto (corrente di statore nulla e
flusso di macchina pari al flusso di eccitazione).
Il diagramma vettoriale precedente può essere completato indicando anche il vettore della
F.e.m a vuoto E0. Tale vettore risulta sfasato in ritardo di 90° rispetto al flusso di eccitazione.
Poiché le F.e.m E0 ed E sono proporzionali ai flussi che le generano (rispettivamente Φecc e
Φm) tramite il numero di spire equivalenti dell’avvolgimento di statore ai fini della
produzione di tensione indotta, si ha che il triangolo delle F.e.m deve essere simile al
triangolo dei flussi.
E0
∆E
Fr
Fecc
Φr
Φecc
Fm
E
Φm
j Xd IS
β
VS
ϕ
262
IS
MACCHINE ELETTRICHE
Sulla base di questa osservazione si può concludere che il vettore ∆E deve necessariamente
avere la stessa direzione della caduta di tensione sulla reattanza di dispersione, ovvero del
vettore j Xd Is. Quindi, indipendentemente dalla situazione di carico (Is e cosϕ), il vettore ∆E
risulta in anticipo di 90° rispetto al vettore Is e la sua ampiezza risulta proporzionale alla
corrente erogata dalla macchina.
Queste considerazioni permettono di poter interpretare il vettore ∆E come una caduta di
tensione su una reattanza induttiva. Tale reattanza, denominata reattanza di reazione di
indotto, può essere inserita nel circuito equivalente in serie alla reattanza di dispersione. La
serie di queste due reattanze viene denominata reattanza sincrona XS della macchina, come
indicato nella figura seguente.
Xd
Rs
E = E(Iecc, I)
XS
Is fase = Irete
Vs fase = Vrete
Fenomeno della
reazione di indotto
Rs
E0 = E0(Iecc)
Is fase = Irete
Vs fase = Vrete
Circuito equivalente monofase dell’alternatore
Pregio del circuito equivalente trovato, e se si vuole della definizione della reattanza sincrona,
è la dipendenza della tensione indotta dalla sola corrente di eccitazione.
Si noti che i fenomeni di smagnetizzazione della macchina a causa della reazione di indotto
sono estremamente pesanti. Nel caso dei grossi alternatori utilizzati nelle centrali elettriche la
caduta di tensione percentuale dovuta alla presenza della reazione di indotto (cioè il valore di
∆E rapportato alla tensione nominale della macchine) può raggiungere il 100 % - 150 %.
Questo significa che la caduta di tensione sulla reattanza di dispersione è molto minore di
quella sulla reattanza di reazione (Xd << Xr ≈ XS).
Nella figura seguente è rappresentato il diagramma vettoriale a carico dell’alternatore.
L’angolo δ di sfasamento tra il vettore E0 e il vettore VS viene chiamato angolo di carico e
rappresenta una grandezza di fondamentale importanza per lo studio della macchina sincrona.
E0
Φecc
j XS IS
δ
VS
ϕ
IS
Diagramma vettoriale a carico dell’alternatore
263
PROF. ANDREA CAVAGNINO
6.2.5 – Espressione della coppia elettromagnetica
Se si vogliono determinare i limiti nel trasferimento di potenza attiva, quando l’alternatore
funziona collegato su rete prevalente, è opportuno formulare l’espressione della coppia
esprimendola in funzione della tensione di rete, della f.e.m. di eccitazione a vuoto e
dell’angolo di carico δ.
Si consideri il circuito equivalente della macchina isotropa e il relativo diagramma vettoriale
del funzionamento su rete, illustrato nuovamente in figura.
E0
Xs
E0
RS
IS
Vrete
γ
δ
Iecc
ϕ
XSIS
R S IS
Vrete
IS
Circuito equivalente per il calcolo della coppia nella macchina sincrona isotropa.
Si indichi con Z s = RS + jX s l’impedenza sincrona della macchina e con γ l’angolo definito
come tan γ = RS / X s . Sia inoltre δ l’angolo di carico di cui il vettore E0 anticipa il vettore
Vrete nel funzionamento da generatore.
L’espressione della corrente scambiata tra l’alternatore e la rete, con le convenzioni di segno
di figura, è data da:
IS =
E 0 − V rete E 0 − V rete
=
⋅ (RS − jX S )
RS + jX S
Z S2
(6.9)
Trascurando tutte le perdite della macchina ad eccezione delle perdite Joule di statore, si può
calcolare la coppia elettromagnetica dal rapporto tra la potenza elettrica gestita dal generatore
E0 e la velocità di sincronismo ωs, come indicato dalla relazione seguente (dove il simbolo ×
rappresenta il prodotto scalare tra vettori)
C em =
3⋅ E0 × I S
p
= 3⋅ ⋅ E0 × I S
ωs
ω
(6.10)
Questa formulazione può essere sviluppata secondo i seguenti passaggi:

jX
R
p  E02 ⋅ RS
− E 0 × S ⋅ V rete + E 0 × S ⋅ V rete  =

ω  Z S2
Z S2
Z S2


X
R
p E2 ⋅ R
= 3 ⋅  0 S − E0 ⋅ Vrete ⋅ S ⋅ cos δ + E0 ⋅ Vrete ⋅ S ⋅ senδ
ω  Z S2
Z S2
Z S2

C em = 3 ⋅
giungendo alla seguente equazione, che pone la coppia in funzione dell’angolo di carico δ e
delle condizioni di eccitazione e di alimentazione da rete:
C em = 3 ⋅
264

E ⋅V
p  E02
⋅
⋅ senγ + 0 rete sen(δ − γ )
ω  Z S
ZS

(6.11)
MACCHINE ELETTRICHE
Cem
γ
Cmax generatore
3pE0 Vrete/ωZs
3pE20sinγ /ωZs
δ
Cmax motore
Caratteristica di coppia dell’alternatore collegato alla rete
I figura è riportato l’andamento della coppia elettromagnetica in funzione dell’angolo δ. Il
segno della coppia è positivo nel funzionamento da generatore: questo significa che la coppia,
esercitata dall’alternatore sull’albero, è positiva quando contrasta con il verso di rotazione.
Se si trascura la resistenza di fase di statore si ottiene la seguente espressione approssimata
della coppia elettromagnetica di un alternatore:
p E0 ⋅ Vrete
⋅
senδ
(6.12)
ω
XS
Va osservato che, secondo la (6.12) ad angoli δ positivi (E0 in anticipo rispetto al vettore Vrete)
corrispondono coppie positive e quindi il funzionamento della macchina è effettivamente da
generatore. Per angoli δ negativi (E0 in ritardo rispetto al vettore Vrete) il segno della coppia si
inverte e la macchina funziona da motore.
Sia la coppia che la potenza meccanica, trasferibili all’alternatore da parte del motore primo,
hanno un valore massimo in corrispondenza di un angolo di carico pari a 90°.
C em ≈ 3 ⋅
E ⋅V
p E0 ⋅ Vrete
⋅
(6.13)
Pm max ≈ 3 ⋅ 0 rete
ZS
ω
ZS
Oltre questi valori di coppia e di potenza meccanica, l’alternatore non è più in grado di
equilibrare il motore e, pertanto, il sistema motore-alternatore tenderebbe ad accelerare
perdendo il sincronismo con la rete elettrica e originando un funzionamento inaccettabile
(danneggiamento della macchina, fenomeno della perdita del passo). A causa di problemi di
instabilità, la cui trattazione esula dai presenti appunti, la macchina viene regolata in modo da
lavorare con angoli di carico intorno a 45°.
Come si osserva dalle relazioni (6.13), questi massimi, presenti nelle possibilità di
trasferimento di potenza meccanica (e conseguentemente elettrica verso la rete), dipendono,
tra l’altro, dalla f.e.m. a vuoto E0 ed, in ultima analisi, dalla massima corrente di eccitazione
sopportabile dalla macchina.
C em max ≈ 3 ⋅
265
PROF. ANDREA CAVAGNINO
6.2.6 – Regolazione della potenza attiva e reattiva
Avendo definito il concetto di reattanza sincrona ed il circuito equivalente per la macchina è
possibile analizzare, in termini di diagrammi vettoriali e si si vuole in modo più rigoroso a
quanto visto in precedenza, la regolazione della potenza attiva e reattiva prodotta
dall’alternatore.
Si consideri il diagramma vettoriale seguente, relativo ad una certa situazione di carico
dell’alternatore.
E0
ϕ
j XS IS
δ
XS IS cos ϕ = E0 sen δ ∝ P
Vrete
ϕ
XS IS sen ϕ = E0 cos δ – Vrete ∝ Q
IS
In figura sono evidenziati a linea trattegiata due segmenti proporzionali, rispettivamente, alla
potenza attiva P e reattiva Q inviate in rete dall’alternatore. Si noti che il valore della tensione
di rete è fisso.
Se si vuole regolare la potenza reattiva Q erogata in rete mantenedo costante la quota di
potenza attiva, si deve regolare la corrente di eccitazione e quindi l’ampiezza della tensione
E0, in modo che la punta del vettore E0 si muova su una retta orrizzontale. Nella figura
seguente è rappresentato il caso di un aumento della potenza reattiva generata (Q’ > Q). Si
noti come la regolazione della potenza reattiva, ottenuta secondo il procedimento indicato,
non richieda la regolazione della coppia fornita dal motore primo (equazione (6.12)).
E0’
E0
ϕ’
ϕ
j XS IS
δ’
δ
j XS IS’
E0’ sen δ‘ = E0 sen δ
Vrete
ϕ
ϕ’
IS
XS IS’ sen ϕ’ = E0’ cos δ’ – Vrete ∝ Q’ > Q
IS’
Regolazione della potenza reattiva
266
MACCHINE ELETTRICHE
Si riparta ora dalla condizione di carico assunta inizialmente e si ipotizzi di variare la potenza
attiva erogata (ad esempio aumentarla, P” > P), mantenendo costante la corrente di
eccitazione. Per far ciò si deve aumentare l’ampiezza del segmento E0 ⋅ senδ e quindi la
coppia (equazione (6.12)). Poiché l’ampiezza del vettore E0 si mantiene costante, il vettore E0
deve routare in senso antiorario per realizzare il nuovo angolo di carico δ”. La figura seguente
illustra che l’aumento della coppia e della potenza attiva si accompagna ad una diminuzione
della potenza reattiva (Q” < Q). Per riportarsi nelle stesse condioni di potenza reattiva di
partenza basta aumentare la corrente di eccitazione, secondo il procedimento indicato in
precedenza.
E0”
j XS IS”
E0
j XS IS
ϕ
δ”
δ
ϕ
IS
E0” sen δ” ∝ P”
E0 sen δ ∝ P
ϕ”
Vrete
ϕ”
IS”
XS IS” sen ϕ” = E0” cos δ” – Vrete ∝ Q” < Q
Regolazione della potenza attiva e reattiva
In conclusione, si possono rassumere i principi di regolazione dell’alternatore nel seguente
modo:
per regolare la potenza attiva generata si deve agire sulla coppia applicata all’asse;
per regolare la potenza reattiva erogata si deve agire sulla corrente di eccitazione.
267
INDICE
SOMMARIO
Capitolo 1 – Introduzione
pp. 1
1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia elettrica
1
1.2 – Richiami di elettromagnetismo
2
1.2.1 - Legge della circuitazione magnetica
3
1.2.2 – Relazione costitutiva del mezzo
5
1.2.3 - Effetti dell’induzione. Flusso e leggi di Lenz e Lorentz
5
1.3 – Classificazione dei materiali magnetici
1.3.1 Materiali ferromagnetici
1.4 - Perdite nei materiali magnetici eccitati in c.a.
9
9
13
1.4.1 - Perdite per isteresi.
13
1.4.2 - Perdite per correnti parassite.
13
1.4.3 – Cifra di perdita di una lamiera magnetica.
14
1.5- Materiali conduttori
16
1.5.1 - Riscaldamento dei conduttori
16
1.5.2 - Effetto pelle
17
1.6 – Materiali isolanti
19
1.7 – Elettromagneti - circuiti magnetici
19
1.7.1 – Coefficiente di autoinduttanza e mutua induttanza
22
1.7.2 – Circuiti magnetici eccitati con magneti permanenti
25
1.7.2.1 - Calcolo del punto di lavoro del magnete
26
1.7.2.2 - Scelta delle dimensioni del magnete
26
1.8 – Energia immagazzinata nel campo magnetico
1.8.1 – Forze meccaniche
1.9 – Classificazione delle macchine elettriche
1.9.1 – Convenzioni di segno per motori e generatori
1.10 - Grandezze di targa e criteri di similitudine nelle macchine elettriche
27
29
29
30
31
1.10.1 - Grandezze di targa
31
1.10.2 - Relazioni tra potenza e dimensioni delle macchine elettriche
33
1.10.3 - Altre influenze delle dimensioni sulle caratteristiche
delle macchine elettriche
34
1.11 – Riscaldamento delle macchine elettriche e modello termico semplificato
36
269
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Capitolo 2 – La macchina a corrente continua
pp. 39
2.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
39
2.1.1 - Induttore
41
2.1.2 - Indotto e commutatore
43
2.1.3 - Immagini di particolari costruttivi
47
2.2 – Campo magnetico al traferro
48
2.2.1 – Campo magnetico dovuto alla corrente di eccitazione
48
2.2.2 – Campo magnetico dovuto alla corrente di armatura
49
2.2.3 – Campo magnetico risultante
51
2.3 - Principio di funzionamento della macchina a corrente continua.
52
2.3.1 – Ripartizione della corrente nell’avvolgimento di armatura
53
2.3.2 – Azione meccanica
54
2.3.3 - Azione elettrica
57
2.3.4 – La conversione elettromeccanica nella macchina a corrente continua
59
2.4 - Caratteristiche elettromeccaniche della macchina a corrente continua
60
2.4.1 – Motore ad eccitazione separata
62
2.4.2 – Motore ad eccitazione serie
69
2.5 – Quadranti di funzionamento del motore a corrente continua
73
2.6 – Perdite e rendimento del motore a corrente continua
76
2.6.1 – Funzionamento a vuoto reale
79
2.7 – Problema dell’avviamento del motore a corrente continua
80
2.8 – Fenomeni di saturazione magnetica nella macchina a corrente continua.
Reazione d’indotto
82
2.8.1 – Saturazione del circuito di eccitazione e caratteristica di eccitazione
82
2.8.2 - Saturazione dovuta all’azione congiunta dell’eccitazione e dell’armatura
84
2.8.2.1 - Caratteristiche elettromeccaniche a regime in presenza di saturazione
85
2.8.2.2 – Effetto della reazione di indotto sulle macchine a magneti permanenti
88
2.9 – La commutazione
2.9.1 – La commutazione ideale o per resistenza
91
2.9.2 – La commutazione in presenza di fenomeni induttivi
92
2. 10 – Applicazioni del motore a corrente continua
2.10.1 – Riferimento normativi
2.10.2 – Servomotori in corrente continua
2.10.2.1 – Caratteristiche dei servomotori
270
91
96
97
100
100
MACCHINE ELETTRICHE
Capitolo 3 – Il trasformatore
3.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
pp. 105
105
3.1.1 – Il nucleo per trasformatori monofasi
106
3.1.2 – Le bobine
108
3.1.3 – Il nucleo per trasformatori trifasi
109
3.1.4 – Esempi di trasformatori e particolari costruttivi
112
3.2 – Trasformatore ideale e principio di funzionamento
115
3.3 – Trasformatore reale e circuito equivalente
117
3.4 – Modifiche del circuito equivalente del trasformatore
124
3.4.1 Significato fisico delle operazioni di riporto a primario/secondario
126
3.5 – Determinazione dei parametri del circuito equivalente
129
3.5.1 – Misura della resistenza degli avvolgimenti
129
3.5.2 – Prova a vuoto
129
3.5.2 – Prova in cortocircuito
132
3.6 – Tensione di cortocircuito
135
3.7 – Caduta di tensione del trasformatore da vuoto a carico
137
3.8 – Rendimento del trasformatore
139
3.9 – Grandezze di targa e aspetti dimensionali
142
3.9.1 Generalità
142
3.9.2 Potenza di dimensionamento di un trasformatore
147
3.9.3 Considerazioni di scala sul trasformatore
149
3.10 – Trasformatore trifase
3.10.1 – Trasformatore trifase con alimentazione simmetrica e carico equilibrato
Circuito equivalente del trasformatore trifase
3.10.1.1 – Formule per il trasformatore trifase
154
155
158
3.10.2 – Collegamenti del trasformatore trifase e rapporto di trasformazione
160
3.10.3 – Gruppo di appartenenza di un trasformatore trifase.
163
3.11 – Parallelo di trasformatori
165
3.12 – Autotrasformatore
169
3.13 – Funzionamento a vuoto del trasformatore monofase
174
271
PROF. ANDREA CAVAGNINO
Capitolo 4 – Il campo magnetico rotante
pp.179
4.1 – Interpretazione intuitiva del campo magnetico rotante
179
4.2 – Distribuzione di F.m.m e di campo al traferro
181
4.2.1 – Distribuzione di F.m.m prodotta da una bobina diametrale
182
4.2.2 – Distribuzione di F.m.m prodotta da un avvolgimento distribuito
183
4.2.3 – Avvolgimenti a più coppie polari
186
4.2.4 – Relazione tra distribuzione di F.m.m e campo al traferro
188
4.2.5 – Rappresentazione vettoriale delle distribuzioni spaziali al traferro
create da un avvolgimento distribuito
190
4.3 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento
distribuito alimentato in corrente alternata
192
4.4 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento polifase (trifase)
alimentato in corrente alternata – Campo magnetico rotante.
194
4.4.1 – Cenni sul campo rotante in avvolgimenti a gabbia
4.5 – Flusso di macchina
Capitolo 5 – Il motore asincrono
5.1 – Generalità e caratteristiche costruttive
198
199
pp.201
201
5.1.1 – Aspetti costruttivi
201
5.1.2 – Immagini del motore asincrono trifase
205
5.2 – Principio di funzionamento e circuito equivalente
207
5.2.1 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore fermo
207
5.2.2 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con
rotore in movimento
208
5.2.3 – Funzionamento con avvolgimento di rotore in cortocircuito
e con rotore in movimento
210
5.2.4 – Circuito equivalente riportato alla frequenza di alimentazione
213
5.2.5 – Bilancio energetico nel motore asincrono
214
5.3 – Caratteristica di coppia del motore asincrono
216
5.4 – Dati di targa del motore asincrono
221
5.5 – Influenza dei parametri sulla caratteristica di coppia
222
5.5.1 – Variazione della resistenza rotorica
222
5.5.2 – Variazione della reattanza di dispersione
225
5.5.3 – Variazione della tensione di alimentazione
226
5.6 – Prove sul motore asincrono - Rendimento
272
227
5.6.1 – Misura della resistenza di fase di statore
227
5.6.2 – Prova a rotore bloccato
228
MACCHINE ELETTRICHE
5.6.3 – Prova a vuoto
230
5.6.4 – Prova a carico in condizioni di regime termico
233
5.7 – Regolazione della velocità del motore asincrono
235
5.7.1 – Variazione del numero di poli
235
5.7.2 – Variazione della resistenza rotorica
237
5.7.3 – Variazione della tensione di alimentazione
238
5.7.4 – Variazione della frequenza di alimentazione
239
Capitolo 6 – La macchina sincrona
pp.245
6.1 – Generalità e aspetti costruttivi
245
6.1.1 –Struttura della macchina
246
6.2 – Impiego della macchina sincrona come generatore
254
6.2.1 – Funzionamento a vuoto dell’alternatore
254
6.2.2 – Parallelo dell’alternatore sulla rete
256
6.2.3 – Funzionamento a carico dell’alternatore connesso in rete
258
6.2.4 – Fenomeno della reazione di indotto. Reattanza sincrona
261
6.2.5 – Espressione della coppia elettromagnetica
264
6.2.6 – Regolazione della potenza attiva e reattiva
266
273