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Tesina Kohler e la Psicologia della Gestalt

Wolfgang Köhler
INTRODUZIONE
Con la presente relazione ho cercato di mettere in luce il grande contributo che
Wolfgang Köhler ha dato alla psicologia della Gestalt, in particolare con la sua opera
“L’intelligenza nelle scimmie antropoidi”, scritto durante il suo soggiorno a Tenerife.
Il motivo principale che mi ha spinto a scegliere questo argomento è l’interesse per la
psicologia della Gestalt, da cui ne deriva la volontà di maggiore informazione a
riguardo,
in
particolare
di
Köhler,
creatore
del
termine
“insight”.
Ho suddiviso il lavoro in 3 capitoli, nel primo illustrerò innanzitutto la psicologia della
Gestalt a grandi linee, per poi passare al contesto storico nel quale l’autore ha
sviluppato le sue teorie, in particolare nel periodo precedente alla Grande Guerra. Nel
secondo capitolo mi soffermerò sull’autore, sulla sua vita e sui contributi che ha dato
allo sviluppo della teoria della Gestalt, senza tralasciare gli importanti studi a Tenerife.
Infine, nel terzo capitolo, l’argomento sarà la sua più importante opera, già accennata
prima, “L’intelligenza nelle scimmie antropoidi”.
1° CAPITOLO
1.1 La psicologia della Gestalt
La teoria della Gestalt ebbe origine all’interno di una disciplina che si andò costituendo
dapprima come scienza, ed in seguito come professione a base scientifica, all’interno
della cultura tedesca. La sua storia dunque, fu determinata tanto da quella della
Germania nel suo insieme e della psicologia in quel contesto, quanto da considerazioni
d’ordine puramente concettuale.
La psicologia della Gestalt, viene descritta da Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e
Kurt Koffka non come “l’intero è maggiore della somma delle parti”, piuttosto essi
ritennero che alcuni degli oggetti e delle relazioni di cui abbiamo esperienza cosciente
“differiscono in modo fondamentale” da sensazioni, parti, porzioni o somme. Questo
tipo di pensiero ha esercitato un rilievo sulle ricerche nel campo della percezione e
della psicologia dell’arte, contribuendo inoltre agli studi sulla risoluzione dei problemi
e sulle attività di pensiero. Köhler, fu uno dei primi studiosi ad introdurre in biologia
teorica la distinzione tra sistemi “chiusi” ed “aperti”. Molto più significative furono
invece, le implicazioni filosofiche della teoria della Gestalt. Essi dichiararono il
primato della percezione sulle sensazioni nella formazione della coscienza, ed
avanzarono la concezione secondo cui il soggetto è immerso nel mondo, anziché da
questo separato. In parole povere, gli autori sfidarono l’assunto empirista per cui i “dati
sensoriali” sono i “fatti atomici” dell’esperienza, argomentando che tali “dati” privi di
ambiguità non esistono. Piuttosto invece, gli oggetti che noi percepiamo sono sempre
situati in quelli che oggi verrebbero chiamati sistemi dotati di auto-organizzazione. Il
motivo per il quale questa scuola di pensiero emerse in un dato momento storico fu
perché agli occhi di molti di loro, la scienza appariva incapace di trattare i più
significativi problemi umani. Gli autori proposero che il problema non dipendesse
dalla scienza in sé stessa, piuttosto dalla concezione della scienza naturale
correntemente intrattenuta dagli psicologi.
La consapevolezza che i valori tradizionali fossero in crisi era ampiamente diffusa in
Europa ma anche negli Stati Uniti, all’epoca. La teoria della Gestalt fu un tentativo
“modernista” di unire i requisiti scientifici con le speranze umanistiche, uno dei pochi
ad utilizzare come tramite la forma del pensiero olistico.
La concezione fondamentale alla base della Gestalt è che nella nostra percezione del
mondo esterno, noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli, ma percepiamo
delle forme, che sono qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli stimoli
che la compongono. Questa teoria al tempo, si opponeva polemicamente agli psicologi
associazionisti ed elementaristi che concepivano invece il processo percettivo come
una semplice opera di sommazione degli stimoli.
La teoria della Gestalt ha rappresentato, nella psicologia sperimentale degli inizi del
Novecento, un approccio rivoluzionario ai diversi ambiti della psicologia, sulla base
del modello di campo. Attraverso questo modello infatti, essa ha riempito le concezioni
teoriche e le impostazioni metodologiche di vari settori della ricerca, diventando un
paradigma epistemologico ad ampio raggio, che risulta precedere molte delle idee
degli psicologi cognitivi moderni. Basta infatti aprire un manuale di psicologia
generale per rendersi conto di quanti suoi concetti siano entrati a far parte della nostra
formazione e del nostro linguaggio, come ad esempio l’insight.
1.3 Sviluppo della teoria della Gestalt
Quando Aristotele disse che “l’intero viene prima delle parti”, egli fece un’asserzione
sulla relazione tra la forma e la sua materia. Quando Johann Wolfgang Goethe,
introdusse il concetto di Gestalt nel pensiero tedesco del diciannovesimo secolo, egli
ricombinò queste problematiche in modo del tutto originale. Il termine “Gestalt” si
riferiva alla totalità auto-attualizzante delle forme organiche. L’autore considerava
tutte le strutture avanzate di una pianta o di un animale come trasformazioni di un
unico organo fondamentale. Egli scrive “dobbiamo pensare alla scienza come ad
un’arte, se ci atteniamo da essa un qualche genere d’interezza”. Il suo obiettivo era
quello di delineare, organizzare e spiegare i fenomeni cromatici. Affermava inoltre
“non vi è nulla fuori di noi che non sia, al contempo, anche dentro di noi, e come il
mondo esterno ha i suoi colori, così li ha il nostro occhio”. Per Goethe, le immagini
della natura costituiscono un indizio dell’operare degli organi e della mente che li
comprende.
In netto contrasto con questo panorama, la discussione tra filosofi e psicologi
sperimentali sul problema della Gestalt si spostò, nel tardo diciannovesimo secolo, dal
problema dell’essere a quello dell’esperienza. In questo contesto emerse Ernst Mach
che attribuì la percezione dello spazio e della forma a “impressioni muscolari”
analoghe alle sensazioni cinestesiche che Wundt aveva invocato per spiegare la
percezione della profondità. Successivamente Mach, utilizzò il concetto di
“sensazioni”, che successivamente venne ripreso da Köhler, utilizzando un esempio
del 1865:
“Nell’esame di due figure che sono eguali, ma diversamente colorate, non
riconosciamo l’identità di forma al primo sguardo, nonostante la differenza di
sensazione cromatica. La percezione visiva dunque, deve contenere alcune
componenti sensoriali identiche. Queste ultime sono le sensazioni spaziali – che sono
le stesse in entrambi i casi.”
Mach invocò delle “sensazioni di direzione” e postulò il requisito della posizione
omologa. Quando però quest’ultima non è disponibile, è necessario uno sforzo
intellettuale per rendere manifesta “l’affinità di forma”. Secondo Mach questi
fenomeni rappresentavano quindi, la linea di confine tra sensazione e intelletto.
Purtroppo, quando egli estese la stessa osservazione alle melodie, non riuscì a trovare
una “sensazione” adatta al caso.
Fu in questo momento che si inserì nella discussione Christian von Ehrenfels, che
pubblicò il documento fondatore della teoria della Gestalt “Sulle qualità-Gestalt”.
L’autore raccolse semplicemente le osservazioni di Mach, ma ne confutò
l’interpretazione. Una semplice estensione colorata, come ad esempio una chiazza
rossa, è immediatamente riconosciuta come simile ad altre superfici analoghe, anche
nel caso che queste ultime siano contigue e non vi siano, quindi, “pareti divisorie” da
cui possano emanare sensazioni spaziali. Per quanto riguarda la melodia, osservò che
Mach aveva usato il termine “sensazione” erroneamente. Assunse la melodia come
caso paradigmatico per decidere cosa tali forme “siano in sé stesse” osservando che
siamo in grado di identificare due melodie come identiche anche quando esse non
contengono nemmeno due note uguali. Sostenne dunque che “tali forme devono perciò
essere qualcosa di diverso dalla somma delle loro parti”, devono possedere cioè, ciò
che egli chiama una “qualità-Gestalt”.
Sulla guida di questa definizione, Ehrenfels scoprì la presenza di qualità-Gestalt in
ogni aspetto dell’esperienza. “Le qualità-Gestalt includono la maggior parte dei
concetti da noi usati ... e la maggior parte delle nostre associazioni”. L’autore aveva
importato il termine Gestalt dall’estetica all’epistemologia e alla psicologia. Il suo
saggio però aveva posto in relazione il problema della forma con quello della
percezione degli interi e delle parti. Si crearono due tipi di posizione. Un gruppo di
autori postulò l’esistenza di due livelli, quello dei contenuti fondazionali e quello dei
processi psicologici, intellettuali e volontari che vi si sovrappongono. L’altro gruppo,
insistette
sulla
datità
ed
immediatezza
sensoriale
delle
qualità-Gestalt.
Meinong, condivise le inclinazioni estetiche dell’amico Ehrenfels, ma rifiutò il termine
“qualità gestaltica”, chiamandole “contenuti fondati”. Questo gli permise di spiegare
il fatto che sia le qualità-Gestalt, sia le relazioni fossero logicamente dipendenti dai
loro membri costitutivi senza però doverle equiparare dal punto di vista psicologico.
Nei primi anni del 1900, Meinong aveva sviluppato il modello della cognizione che fu
alla base delle ricerche sistematiche sulla percezione gestaltica, condotte nel contesto
di quella che è stata chiamata “La scuola di Graz”. Questo modello descriveva i
pensieri come giudizi intenzionali, nei quali gli oggetti “di ordine superiore”, vengono
costruiti
sulla
base
di
contenuti
“d’ordine
inferiore”.
Stefan Witasek e Vittorio Benussi tentarono di confermare questo modello a livello
sperimentale. Le figure ambigue e le illusioni percettive sembravano perfette per
questo scopo, perché dati gli stessi stimoli, i soggetti formulavano giudizi differenti.
Benussi scelse di postulare l’intervento di un processo intermedio fra sensazione e
giudizio. Così facendo, stabilì un’analogia con la nozione di “supposizioni” di
Meinong. Dal momento che le melodie e le figure non esistono, ma “sussistono”,
l’autore dichiarò “esse non possono influire sui nostri sensi”. Se noi ne abbiamo delle
presentazioni, ciò deve essere dovuto ad una “elaborazione” che precede il giudizio
sui dati sensoriali, chiamato “produzione”. Se il semplice atto di vedere dei punti o di
udire dei toni non è sufficiente per cogliere la Gestalten, allora i processi di produzione
devono intervenire ad integrare questi atti e quindi portare alla costruzione di una
presentazione
gestaltica.
Il lavoro svolto da Benussi sugli atteggiamenti e stili cognitivi appare del tutto sensato
agli occhi degli psicologi odierni, ma all’epoca fu ignorato quasi totalmente. Questo
perché i modelli procedurali della percezione e cognizione, erano già divenuti moneta
corrente, ma non esisteva nessun ricercatore in grado di esibire evidenza introspettiva
del processo di “produzione”.
La nascita della Gestalt si ebbe con un famoso esperimento di Wertheimer del 1911,
sul movimento apparente o stroboscopico: il cosiddetto “fenomeno phi”. Esso consiste
nel fatto che, presentando due luci proiettate su uno schermo ad una certa distanza
l’una dall’altra, e separate da un breve intervallo temporale, il soggetto non percepisce
due luci immobili, ma un’unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione.
Il fenomeno in sé era noto già da tempo, ma fu originale l’interpretazione data
dall’autore. Il fenomeno phi dimostrava infatti, come il fatto percettivo fosse non
analizzabile; il movimento sarebbe stato distrutto da un processo di analisi che avrebbe
portato solo a trovare degli stimoli stazionari. Le leggi enunciate da Wertheimer
potrebbero ridursi ad un’unica legge della “massima omogeneità”, secondo cui gli
stimoli tendono tanto più a raggrupparsi in forme quanto più sono omogenei tra loro.
1.2 Contesto storico
Ci troviamo nella seconda metà del 1800 in Germania, in quel periodo la psicologia
era tradizionalmente considerata una parte della filosofia, tanto che il riformato statuto
d’esame del 1866 per gli insegnanti, infatti, richiedeva in modo specifico la
conoscenza dei “principali elementi di psicologia empirica”. Il ruolo svolto dalla
psicologia nella formazione degli insegnanti segnalava come in tale disciplina si
trovassero fuse entrambe le identità. Benché nel 1910 si fosse già pienamente
sviluppata una comunità di psicologhi sperimentali, la psicologia accademica in
Germania non “si differenziò” dalla filosofia fino al 1941. Il ruolo giocato però dalla
filosofia nella formazione dei docenti, rappresentò per la psicologia, la porta d’accesso
alla via accademica tedesca.
Negli anni Settanta del 1800, i metodi sperimentali apparivano ben avviati sulla strada
dell’affermazione istituzionale nei campi della medicina e delle scienze naturali,
nell’ambito delle quali ne veniva dimostrata sia l’utilità per la ricerca, sia il valore
pratico dei risultati cui davano luogo. Fu in quel momento che il fisiologo Wilhelm
Wundt, propose di condividere queste metodologie scientifiche nel campo della
filosofia, la vera e propria patria dell’ideale umanistico di scienza “pura”. Questo
obiettivo si accordava con la concezione che l’autore aveva della ricerca psicologica.
In parole povere collocò i processi psicologici superiori, come il pensiero, aldilà della
portata dell’esperimento, limitando il ruolo dei metodi sperimentali alla classificazione
ed alla misurazione di fenomeni che potevano essere trattati “fisiologicamente” o
psicofisicamente, come le sensazioni, i tempi di reazione e la durata dell’attenzione
(Morabito, C., & Dazzi, N. (2004). La psicologia della Gestalt nella cultura tedesca
dal 1890 al 1967; Wundt Wilhelm (1862) pp. 167-197). Lo scopo della psicologia di
Wundt consisteva nello scoprire i principi della “causalità psichica”. I soggetti che
meglio si prestavano alla fase sperimentale di questo progetto erano esseri umani
adulti, normali, preferibilmente con una certa pratica nell’osservazione psicofisica.
Le altre personalità cui si deve l’istituzionalizzazione della psicologia sperimentale in
Germania non furono autodidatti della filosofia come Wundt, ma essi stessi filosofi di
formazione. La filosofia infatti, partecipò alla tendenza verso la specializzazione del
sapere che caratterizzò la Germania del diciannovesimo secolo. L’obiettivo degli
psicologi sperimentali era quello di riformare la filosofia dall’interno, e di godere così
dei vantaggi conferiti dalla competenza in una specialità scientifica distinta in quella
che stava diventando una disciplina altamente competitiva (Morabito, C., & Dazzi, N.
(2004). La psicologia della Gestalt nella cultura tedesca dal 1890 al 1967; Baumann
Julius
(1893),
pp.
427-449;
Schnadelbach
Herbert
(1984),
cap.
3).
Gli psicologi sperimentali adottarono le innovazioni istituzionali che Wundt aveva
importato dalla fisiologia. Entro il 1914, Ebbinghaus, Müller, Stumpf ed Osvald
Külpe. Avevano istituito, o comunque ampliato, sette dei tredici istituti di psicologia
esistenti in Germania. Questi autori, insieme a Ernst Meumann, furono per molti
aspetti, i veri fondatori della psicologia sperimentale in Germania. Grazie a Wundt
dunque, la psicologia in Germania poté svilupparsi, ma quando venne fondata la
Società di Psicologia Sperimentale, nel 1904, Wundt venne “salutato” dalla società.
Ciò che si rifiutava della concezione di Wundt era la definizione di “individuo
psichico”, oltre alle limitazioni da egli imposte all’uso del metodo sperimentale. I
nuovi personaggi dichiararono invece che “l’individuo corporeo” o “organismo”,
costituiva il loro legittimo oggetto di indagine, e svilupparono tecniche per lo studio
sperimentale della memoria, del giudizio estetico, dell’astrazione e del pensiero stesso.
Lo scopo di questi autori, non era guadagnare cattedre o istituti indipendenti, piuttosto
entrare in competizione con altri filosofi per la nomina a posti di ordinario già esistenti,
facendo poi del finanziamento e della disponibilità di attrezzature per la parte
sperimentale del loro lavoro, una condizione per accettare il posto. Questa strategia si
rivelò fruttuosa per la generazione del periodo compreso tra il 1890 e il 1910, poiché
il numero degli psicologi sperimentali aumentò del triplo. In quegli anni, si costituì
una comunità d psicologi sperimentali. La maggior parte dei membri più importanti
continuarono ad essere docenti di filosofia, e ritennero che le loro ricerche fossero di
rilievo per i problemi filosofici, specialmente nei campi della logica e della teoria della
conoscenza.
La
sfida
lanciata
dalla
psicologia
sperimentale
consistette
nell’incorporare metodi innovativi di insegnamento e di ricerca, preservando al tempo
stesso, la funzione di componente della propedeutica filosofica che quel settore di studi
tradizionalmente svolgeva nel contesto del sistema universitario. A complicare la
situazione però vi fu la seria difficoltà di istituire la psicologia come campo di pensiero
e di ricerca autonomo in un periodo di rapida industrializzazione, in cui i concetti di
scienza e di mente apparivano instabili. Una prima legittimazione della psicologia
come scienza naturale si ottenne con l’adattamento di metodi e di modalità
meccanicistiche di spiegazione, provenienti dalla filosofia e dalla fisica, allo studio
della sensazione, percezione e memoria. All’inizio, ci fu una condivisione dei pensieri
riguardo questi temi, ma quando Hermann von Helmholtz cercò di sollevare alcuni
problemi relativi alla sensazione, venne a crearsi un conflitto. Nello stesso periodo,
nuove teorie della mente misero in questione gli assunti elementisti, condivisi dalla
maggior parte degli psicologi sperimentali, sulla natura della coscienza. In quel
periodo, sia in Germania, sia fuori dalla Germania, i filosofi erano alla ricerca di una
posizione intermedia tra idealismo e positivismo. La questione della Gestalt, in questo
contesto, venne a legarsi alla controversia meccanicismo-vitalismo quando il neovitalista Hans Driesch e lo psicovitalista Erich Becher, sostennero che la “realtà
psicologica” della forma percepita giustificava la nozione di una “causalità psichica”
indipendente.
Per la generazione compresa fra il 1890 e il 1910, l’assunto euristico secondo cui la
coscienza consiste di elementi, continuò ad unire gli psicologi sperimentali, nello
stesso modo in cui il dualismo tra processi periferici e centrali indirizzò le ricerche
fisiologiche e psicologiche sulla percezione. Dal 1890 però in poi però, questi due
assunti vennero messi in discussione, non solo dai filosofi, ma anche dagli psicologi
sperimentali, i quali misero in luce la presenza di anomalie nell’ordine teorico e
descrittivo utilizzato.
La generazione di psicologi sperimentali cui appartennero i creatori della teoria della
Gestalt si dovette confrontare con un complesso problema di orientamento. Le norme
discorsive accettate da molto tempo, derivate dalla fisica meccanica e
dall’epistemologia empiristica, apparivano ormai inadeguate tanto al trattamento di
alcuni importanti fatti relativi alla mente, in particolare i fatti dell’esperienza estetica,
quanto a sostenere le pretese d’autorità culturale che stavano a cuore alle élite tedesca.
Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Köhler risposero a questa sfida con una
ricostruzione radicale del pensiero psicologico, volta a soddisfare i requisiti della
scienza e quelli della filosofia, quelli del metodo e quelli della mente, in un modo però
che esprimesse i valori della cultura tedesca. Il loro fu uno sforzo congiunto, ma
ciascuno di essi apportò il proprio distinto contributo, perché ciascuno fu iniziato al
mondo
sociale
della
psicologia
sperimentale
in
modo
diverso.
La Gestalt nacque sotto la scuola di Berlino, dove fu pubblicata la rivista ufficiale nel
1921 “Ricerca Psicologica”. Bisogna riconoscere a Stumpf l’aver anticipato all’interno
della sua opera numerosi concetti della psicologia della Gestalt. Il successo che questa
teoria ebbe, è dovuto in primo luogo al fatto che essa fu un movimento di innovazione
teorica e una deviazione radicale dei modi consolidati di vedere ed interpretare le
questioni psicologiche dell’epoca. Senza dimenticare il fatto che essa ha descritto dei
fenomeni psichici che restano ancora oggi incontrovertibili (Morabito, C., & Dazzi, N.
(2004). La psicologia della Gestalt nella cultura tedesca dal 1890 al 1967).
2° CAPITOLO
2.1 Vita e contributi
Wolfgang Köhler nacque nel 1887 a Reval, in Estonia. Il padre, Franz Eduard Köhler,
all’epoca direttore del liceo di lingua tedesca della città, era figlio di un pastore
originario della Turingia ed aveva studiato nelle università di Jena e Gottinga,
conseguendo il dottorato in filologia nel 1865. La madre, Wilhelmine Girgensohn,
discendeva da una linea ininterrotta di “tedeschi baltici” che si erano stanziati nella
regione tra il tardo diciassettesimo secolo e gli inizi del diciottesimo. Nel 1893 la
famiglia si trasferì a Wolfenbüttel, nei pressi di Braunschweig, dove Wolfgang crebbe
e frequentò le scuole, diplomandosi nel 1905. La decisione di Köhler di diventare uno
scienziato naturale fu dovuta in larga parte all’influenza di un docente, Hans Friedrich
K. Geitel, fisico e matematico, di reputazione internazionale che pubblicò numerosi
interventi in materia di conduzione dell’elettricità nei gas, radioattività ecc. Köhler
riconobbe l’impatto che il docente aveva avuto sul suo pensiero in una lettera, scritta
per il maestro stesso. Egli dichiarava “Quando manifestai l’attenzione di studiare
filosofia voi mi diceste che, a vostro parere, soltanto uno studio ragionevolmente
approfondito della matematica e delle scienze naturali avrebbe reso lecito attendersi
avanzamenti in quel settore. Mi sono adoperato a seguire il vostro consiglio, e devo
ammettere che oggi rabbrividisco al pensiero che avrei potuto ignorarlo”.
Di certo quindi, il consiglio del maestro fu seguito, infatti i documenti universitari di
Köhler erano per la maggior parte di matematica e scienze naturali, piuttosto che di
psicologia o filosofia.
Dopo aver studiato per un anno filosofia, storia e scienze fisiche a Tubinga, Köhler si
recò a Bonn dove, grazie a Benno Erdmann, ebbe il suo primo contatto con la
psicologia sperimentale. Ci fu una svolta nella sua carriera accademica nel 1907, anno
in cui si trasferì a Berlino per scrivere la sua dissertazione sotto la direzione di Stumpf.
Oltre a lavorare presso l’istituto di quest’ultimo, Köhler continuò a frequentare lezioni
di filosofia e di scienze naturali e per un certo tempo, egli si mantenne agli studi con
il sostegno economico della famiglia; in seguito riuscì a continuare grazie alle lezioni
private di filosofia e grazie anche ad un modesto stipendio procuratogli da Stumpf.
Uno dei passatempi conosciuti dell’autore, fu quello della musica. Egli suonava con
competenza il pianoforte ed il violino e si dilettava nel fare musica da camera con il
fratello di Geitel, ogni domenica.
Prima ho citato il 1907 come anno di svolta della sua carriera, questo perché nel
novembre di quell’anno, scrisse a Geitel di stare considerando l’ipotesi di andare a
Monaco e di prendervi un diploma di fisica. Erich von Hornbostel però, si interessò al
suo lavoro e lo incoraggiò ad applicare le sue conoscenze di fisica a questioni
psicologiche. Lo incoraggiò dunque a cercare di sviluppare un metodo per misurare la
variabilità di colore tonale nei suoni vocalici e negli strumenti musicali, contro i toni
parziali delle frequenze costanti. Köhler, dopo lunghe fatiche e molti contrattempi, si
imbatté in un metodo capace di produrre risultati interessanti. Lo sviluppo di nuove
tecnologie per la trasmissione del suono, come il telefono e il fonografo, aveva fatto
dell’acustica un settore di ricerca interdisciplinare molto stimolante. La sfida che
l’autore si poneva in questo campo, era la stessa che caratterizzava la ricerca
psicofisica in generale: trovare cioè il modo di accedere per via strumentale, e di
controllare con misurazioni oggettive, una dimensione della soggettività umana.
Ho accennato precedentemente, anche che uno dei pensieri di Ernst Mach venne
ripreso da Köhler. Si tratta dell’idea che una procedura indiretta, che utilizzasse la luce
riflessa, avrebbe potuto condurre ai risultati desiderati. Con l’aiuto del figlio di Stumpf,
studente di medicina, Köhler tentò dapprima, di inserire un minuscolo specchio sul
timpano di un sarto disoccupato. Purtroppo, lo specchio rimase incastrano nel canale
auricolare e dovette essere rimosso chirurgicamente. L’autore decise quindi di
proseguire gli esperimenti con lo specchio sul suo stesso orecchio. Secondo alcune
fonti, egli dette dimostrazione del riuscito inserimento dello specchio, e del fatto di
aver conservato il proprio senso dell’umorismo per tutta la durata dell’operazione.
Köhler fece sistemare una stanza dell’Istituto di Berlino in modo tale che un fascio
costante di luce proveniente da una fonte fissa, potesse essere diretta sullo specchio
inserito nell’orecchio, quindi riflesso su un altro specchio e, a sua volta su un
apparecchio di registrazione. I risultati impressionarono profondamente gli studiosi,
poiché non appena un tono forte cominciava a risuonare in prossimità del suo orecchio,
sullo schermo posto dinanzi ai suoi occhi compariva una linea sottile, che poi balzava
in una diversa posizione di partenza, senza aver mai subito nessun ingrandimento
visibile.
L’unica spiegazione possibile era che il tensore del timpano fosse un muscolo di
accomodamento che, per riflesso, tende la membrana in modo tanto più forte, quanto
più elevata è l’intensità del suono, proprio come il corrispondente muscolo oculare
regola la dilatazione della pupilla. Köhler si propose di ingrandire le immagini sullo
schermo e di misurarne le modificazioni dovute alle variazioni d’intensità. Questi
risultati sarebbero stati molto utili per i fisiologi e gli otologi, perché avrebbero potuto
fornire una spiegazione fisiologica della legge psicofisica di Fechner, che stabiliva una
relazione logaritmica fra l’aumento dello stimolo e le sensazioni riportate. Köhler
sperava di dimostrare che, con l’aumentare di intensità, il tensore del timpano inibiva
la vibrazione della membrana, proprio in modo da far apparire una funzione
logaritmica. Quando ingrandì le immagini usando una lente più potente e riducendo la
distanza dallo schermo, scoprì che queste potevano allargarsi dai 75 millimetri circa
originari fino a raggiungere i 75 centimetri, abbastanza da ottenere delle curve. Egli
poteva quindi esibire, per la prima volta, la dimostrazione che il timpano vibrava in
diretta risposta alla stimolazione acustica, nonché risolvere il problema del colore
tonale di vocali strumenti, idea suggerita da von Hornbostel. Stumpf dichiarò che il
solo fatto di aver ottenuto immagini visive delle vibrazioni del timpano costituiva un
passo
avanti
di
fondamentale importanza,
ed un
risultato
straordinario.
Köhler continuò a lavorare a Berlino, prstando servizio come assistente non retribuito,
per poter utilizzare la grandissima collezione di diapson (strumento sonoro formato da
una forcella d’acciaio a due rami che percossi, danno un suono quasi puro,
corrispondente al “la” della scala musicale) ed altre apparecchiature acustiche
posseduta dall’Istituto. Dopo aver selezionato trenta diapson, li fece risuonare
ciascuno per quindici volte, in ordine casuale, e fece ascoltare i suoni a tre osservatori
che non erano a conoscenza dello scopo dell’esperimento, chiedendo loro di esprimere
un giudizio sulla somiglianza fra i toni uditi e le vocali. Egli utilizzò anche alcuni
osservatori la cui lingua madre non era il tedesco, per effettuare controlli di proporzioni
meno estese, e alcuni dei risultati così ottenuto furono nuovamente controllati usando
il variatore tonale di Stern. La corrispondenza fu confermata, il dato più sorprendente
fu che le altezze tonali che venivano giudicate con maggior frequenza come
corrispondenti a vocali pure, nella lingua tedesca formavano una serie di ottave
ascendenti, dalla u alla i.
Helmholtz alcuni anni prima, aveva scoperto relazioni analoghe a queste, con alcune
differenze che riguardavano le frequenze più alte. Tuttavia, egli sosteneva che, dal
momento che i toni fisici possedevano solo frequenza ed ampiezza, i toni da noi uditi
andavano descritti unicamente come altezza e volume. Köhler era d’accordo per
quanto riguarda la parte fisica della teoria, ma ne rifiutò la semplicistica estensione al
livello psicologico. Helmholtz sostenne che non sono qualità che la sfera tonale
possiede assieme alle altre, ma sono in assoluto le sue uniche qualità. La conoscenza
infatti del carattere vocalico di un tono, è necessaria per poterne giudicare l’altezza.
Köhler era convinto di aver dimostrato, in relazione all’udito, l’equivalente di ciò che
Hering aveva dimostrato per la visione, cioè che il mondo delle qualità psichiche non
rispecchia il mondo fisico. È possibile determinare con esattezza le leggi che
governano ciascuna delle due sfere, ma le leggi che determinano un sistema
fenomenico in quanto sistema, differiscono così radicalmente da quelle degli stimoli
fisici. Questo è ciò che afferma Köhler, e lo ritiene fondamentale poiché “esso viene
ignorato da una teoria della conoscenza che è ancora ampiamente diffusa”. Non disse
a quale teoria della conoscenza si riferiva, ma citò Mach, Stumpf e Brentano a sostegno
del proprio tentativo di rimpiazzare il concetto di altezza tonale e di rendere giustizia
al reale contenuto dei toni percepiti.
Stumpf aveva rimpiazzato il termine “altezza tonale” con “colore tonale” ed il “colore
di timbro”, riferendosi a toni parziali osservati o non osservati a particolari altezze
tonali. Secondo la concezione di Stumpf, i colori timbro sarebbero dovuti variare allo
stesso modo dei colori tonali, Köhler invece constatò che questi colori mantengono
una riconoscibile somiglianza. Si ritrovò dunque costretto a dissentire dal suo maestro,
“senza i cui insegnamenti io non avrei la minima idea di come si lavora in acustica”,
disse. Questa “accusa” costrinse Stumpf a svolgere ulteriori ricerche per suo conto, e
successive ricerche effettuate da altri ricercatori riportarono valori leggermente diversi
da quelli ottenuti da Köhler, ma confermavano comunque l’esistenza di qualità
vocaliche. Questo episodio ebbe un’importanza da non sottovalutare perché rivela il
nostro autore come giovane scienziato. Riuscì a dare prova di possedere un notevole
grado d’indipendenza intellettuale, ma con rispetto nei confronti del maestro.
È molto importante sottolineare che Köhler aveva unito osservazioni fisiche e
psicologiche al servizio di un obiettivo psicologico. Le ragioni che lo portarono a
questo vennero spiegate nel suo secondo articolo di acustica: scrisse che lo psicologo
aveva il bisogno di conoscere le condizioni fisiche coinvolte nei propri esperimenti,
ed è per questo che deve quasi sempre cavarsela da solo. “Lo psicologo”, secondo
Köhler “è tanto più pronto ad indossare temporaneamente le vesti da fisico, quanto
più è convinto che nulla rallenti il progresso di tale scienza più del fatto di trattare gli
oggetti della coscienza alla stregua di oggetti fisici, o di fotografie di questi ultimi”.
Altro aspetto fondamentale del pensiero di Köhler, è che insistette molto sulla
separazione delle leggi fisiche e psicologiche, anche se usò il termine “invarianti” per
le qualità vocaliche da lui misurate, facendole così apparire in veste di analogie
fenomeniche dei principi teorici astratti come il più alto obiettivo della teoria fisica.
2.2 Nascita dei concetti della Gestalt
Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Koffka avevano risposto positivamente alla
richiesta di Carl Stumpf di accostarsi alla filosofia avvicinandosi alla realtà
psicologica. Molto importante è che ognuno di loro era giunto a padroneggiare almeno
due dei metodi di ricerca allora disponibili in psicologica. Oltre al fatto che ciascuno
di loro aveva toccato con mano l’incapacità del discorso psicologico prevalente, come
quello del loro maestro comune Stumpf, a trattare i fatti forniti dall’osservazione
fenomenologica. La nascita della teoria psicologica proposta dai tre scienziati si svolse
in quattro stadi successivi. Dapprima, Wertheimer ne introdusse le basi teoriche e le
collegò alla ricerca sperimentale, sotto forma di una nuova epistemologia.
Successivamente Köhler e Koffka svilupparono ulteriormente la teoria elaborata dal
loro collega e la applicarono prima alla percezione e al comportamento umani, poi ai
fenomeni di soluzione di problemi negli animali. Köhler in particolare, estese il
principio della Gestalt al mondo esterno ed al problema psicofisico.
Iniziarono a lavorare insieme grazie a Wertheimer che, durante un viaggio nel 1910,
concepì l’idea di un esperimento sul moto apparente, osservando le luci alterne di un
segnale
ferroviario.
Telefonò
immediatamente
all’Istituto
di
Psicologia
dell’Accademia Commerciale a Francoforte e parlò del progetto con Köhler, che gli
procurò lo spazio necessario a condurre l’esperimento. Poco tempo dopo li raggiunse
anche Koffka ed iniziò la fase di ricerca della teoria della Gestalt.
2.3 Gli studi a Tenerife
Ancora prima che i suoi colleghi pubblicassero la prima formulazione sistematica della
teoria della Gestalt, Köhler, aveva condotto sull’isola di Tenerife la prima serie dei
suoi esperimenti sulle scimmie antropoidi. Questi esperimenti fornirono evidenze a
sostegno dell’estensione del linguaggio gestaltista dalla percezione all’azione, nonché
all’affermazione che la percezione gestaltica non fosse limitata alla cognizione umana.
Köhler si recò a Tenerife a dicembre del 1913, come secondo direttore della stazione
di ricerca sulle scimmie antropoidi dell’Accademia Prussiana delle Scienze. L’intento
della ricerca era quello di comparare i gesti, le capacità di comprensione linguistica, le
facoltà di percezione dei colori ed i comportamenti di un certo numero di diverse
specie antropoidi, al fine di determinare la posizione che ciascuna di esse occupava
sulla scala evolutiva culminante nel genere umano. Il recinto creato nell’ambiente,
consentiva di tenere confinate le scimmie, lasciando allo stesso tempo, abbastanza
spazio per muoversi. Ad un’estremità di questa area vennero collocati i rifugi per le
scimmie ed il laboratorio.
Le prestazioni osservate da Köhler furono tutte delle variazioni su uno stesso tema: il
superamento di un ostacolo per raggiungere un obiettivo, di solito del cibo. Il primo
esperimento che condusse però, dimostra che il reale obiettivo consisteva nello studio
generale del comportamento intelligente, non solo quello delle scimmie antropoidi,
perché non era presente nessuna scimmia. Köhler costruì una recinzione in modo da
creare una sorta di enclave, dove vi pose a turno, una cagna, alcuni polli e la figlia che
aveva appena imparato a camminare. In ogni caso, la recinzione separava gli animali
e la figlia da qualsiasi oggetto invitante, in modo che per raggiungerlo, essi dovevano
compiere una deviazione e raggirare l’ostacolo. Nel caso della cagna e della figlia, la
soluzione venne trovata rapidamente e con modalità simili. La vera difficoltà nel
trovare queste soluzioni apparentemente semplici, divenne evidente nel caso della
cagna, quando il cibo fu posto talmente vicino alla recinzione che essa non si mosse,
ma restò immobile ad annusare l’oggetto desiderato. Nel caso dei polli, la soluzione fu
raggiunta più lentamente e in modo diverso, essi infatti continuarono a dirigersi contro
l’ostacolo e riuscirono a raggiungere l’oggetto solo per casualità. L’autore concluse
“vi è un’ovvia differenza di forma fra i risultati veri e propri ed imitazioni del caso”.
Le scimmie gestirono le deviazioni con facilità, e quando Köhler aumentò la difficoltà
dei test per ricavarne maggiori informazioni, esse risposero con nuovi risultati, che
comportarono l’uso e la costruzione di strumenti. Nelle fasi più semplici le scimmie
utilizzarono oggetti già disponibili come estensioni del proprio corpo, bastoni,
arrampicandosi su una porta aperta, ecc. Nelle fasi più difficili invece, le scimmie
riuscirono a costruire delle pile di scatole per raggiungere della frutta posta
particolarmente in alto. In questi casi esse, usarono strumenti che era improbabile
avessero già utilizzato in precedenza e soprattutto, nello stesso modo. In questo
contesto inoltre, vennero in luce sia le differenze individuali fra le scimmie, sia alcune
differenze molto importanti fra la percezione delle scimmie e quella umana. Di sei
scimpanzé che parteciparono, solo tre riuscirono a costruire pile di più di due scatole,
ma esse non sembravano affatto consapevoli che la stabilità della pila dipendesse dalla
disposizione delle scatole. L’esempio più spettacolare di costruzione di strumenti
provenne da una scimmia di nome Sultano. Gli furono fornite due canne di bambù
cave, con aperture di diametro differente, nessuna delle quali però era abbastanza lunga
da raggiungere una banana che giaceva all’esterno delle sbarre. Dopo un’ora di
tentativi, l’esperimento fu interrotto, ma venne lasciato lo scimpanzé con i due bastoni
per giocare. Facendo questo, Sultano li unì formando un unico bastone lungo
abbastanza da raggiungere la banana. Immediatamente Sultano usò il bastone per
afferrare la frutta e sembrò talmente felice della scoperta che iniziò a trarre a sé altri
oggetti, senza fermarsi a toccarli o mangiarli. Venne chiamato da Köhler “valore
situazionale” degli oggetti, inteso come lo scopo che gli oggetti assumono a seconda
della situazione. Lo scienziato però tenne molto a considerare altrettanto importante la
componente affettiva e sottolineò più volte il ruolo dell’affettività, specialmente il fatto
che le scimmie gli rivolgessero delle richieste di aiuto, o anche il fatto che cadessero
preda d’attacchi d’ira quando non riuscivano a raggiungere l’obiettivo. Spesso a questi
attacchi, seguiva una fase di calma, e il raggiungimento della soluzione.
Nei suoi resoconti, Köhler non voleva provare che gli scimpanzé fossero un miracolo
d’intelligenza, anche perché i suoi risultati mostravano i limiti di questi animali. Essi
non possedevano alcuna inclinazione, alcun dono ma semplicemente questi animali
avevano la capacità di imparare osservando, quindi imitando. Questo era dimostrato
dalla frequenza con cui si diffondevano fra loro, le “mode” come ad esempio l’uso di
bastoni da lancio, che era passato rapidamente dal suo inventore a tutti gli altri animali.
Anche in questi casi però, era molto difficile per gli scimpanzé imitare qualcosa che
non risultasse a loro stessi comprensibile. Lo scienziato, si sentiva giustificato a
concludere che gli scimpanzé esibissero un “tipo di comportamento che si qualifica
come specificamente umano”, cioè la capacità di agire in base all’insight.
2.4 L’insight
Il termine “insight”, non si rivelò favorevole, perché sia gli scienziati, sia i non
scienziati continuarono a leggerlo in chiave mentalista. Esso è “l’apparire di una
soluzione completa in riferimento alla struttura del campo”, che è il prodotto di una
ricognizione completa della totalità della situazione ed è caratterizzata da una curva
omogenea e continua, che si interrompe bruscamente, con un picco improvviso,
rispetto al comportamento precedente. Köhler riteneva che questo criterio fosse
supportato da due effetti. Il primo riguarda il “buoni errori”, di atti che, tutt’altro che
diretti, costituivano tentativi di raggiungere la soluzione secondo modalità coerenti con
la struttura della situazione. Il secondo effetto riguarda la pausa che spesso si verifica
dopo alcuni tentavi falliti, nel corso della quale l’animale faceva correre lo sguardo
dallo strumento all’obiettivo e viceversa, grattandosi la testa e facendo mostra di
effettuare una “ricognizione” della situazione.
Quest’ultimo criterio, poggiava su un certo numero di assunti. Il primo era che una
ricognizione completa della situazione fosse effettivamente necessaria (ad esempio
quando egli gettava del cibo oltre il recinto o in una stanza adiacente, gli animali vi
correvano dietro (Köhler Wolfgang (1925), pp 21 ss.; Köhler Wolfgang (1973), pp 15
ss.). Il secondo assunto era che tali ricognizioni dessero origine al comportamento, di
fatto esse erano seguite da un comportamento, ma non si poteva affermare che ne
fossero la causa diretta. In terzo luogo, l’asserzione per cui l’animale risponde con “il
comportamento adeguato a risolvere il problema” lascia intendere che vi possa essere
un solo ed unico comportamento adeguato. In realtà, anche l’autore stesso, rimase
colpito quando video le numerose diverse strategie adottate da ciascuna scimmia.
L’assunto più problematico era quello secondo cui le prestazioni fornite dalle scimmie
davano l’impressione di una soluzione completa.
Il lavoro di Köhler, come egli stesso riconobbe in seguito, prese spunto dal lavoro del
filosofo Leonard Trelawney Hobhouse, che aveva svolto esperimenti simili su una
scimmia, uno scimpanzé e su altri animali. Anche il filosofo aveva osservato casi in
cui gli animali sembravano arrivare alla soluzione “in un lampo”, aveva anche parlato
di “successi critici” e in un certo senso anche di buoni errori. Tra i due vi erano molti
punti di contatto a livello teorico, Hobhouse infatti perseguiva l’obiettivo di assegnare
alla mente una collocazione adeguata nel mondo naturale, senza però dover assumere
una prospettiva riduzionistica. Köhler preferì comunque utilizzare un linguaggio
descrittivo ed interpretativo, basato sull’epistemologia di Wertheimer, un linguaggio
che potesse mettere enfasi sul modo in cui l’organismo coglie immediatamente la
logica della situazione presente e vi si adatta funzionalmente.
Nonostante Köhler avesse prova del fatto che gli scimpanzé possedessero un’ottima
capacità di ricordare, sostenne che essi vivono entro una cornice temporale limitata,
nel senso che non li si è mai visti concentrarsi sulla riuscita di una scelta con un occhio
al futuro. Vista questa “preferenza” per il presente, Köhler non riuscì però a spiegare
come questi animali potessero replicare le soluzioni efficaci a distanza di mesi o anche
anni, facendo quindi ricorso a “processi totali strutturati” nella corteccia cerebrale.
Una domanda che posero a Köhler fu: come facciamo a sapere che le osservazioni da
noi condotte sulle scimmie antropoidi costituiscono una descrizione corretta di ciò che
le scimmie vedono e fanno? “E’ possibile che vi siano negli animali studiati delle
realtà che noi possiamo percepire soltanto in queste impressioni totali? E se cose
stanno così, in quale modo i processi totali che si svolgono all’interno e sul corpo
della scimmia producono impressioni totali nella nostra percezione? L’autore rifiutò
la dottrina dell’inferenza per analogia, ma ammise a sua volta che non aveva nulla con
cui sostituirla, bensì soltanto “nuovi interrogativi” (Köhler Wolfgang (1971 b), pp.
206, 209-120).
L’insight indica una ridefinizione del sistema da parte del soggetto, che gli permette
di risolvere il problema. Questo concetto è molto importante perché descrive il
processo di apprendimento in nuovi termini, e non per “prove ed errori” come diceva
la tradizione comportamentista, ma per riconfigurazione dello spazio del problema,
una ristrutturazione concettuale degli elementi disponibili dunque che porta alla
soluzione. Consiste dunque nella comprensione improvvisa della strategia utile ad
arrivare alla soluzione di un problema, o della soluzione stessa. Bisogna sottolineare
la differenza con il “problem solving” che invece, si presenta quando la soluzione del
problema viene raggiunta tramite una costruzione analitica e consequenziale.
2.5 Il contesto storico durante le sue ricerche
Quando Köhler completò le sue osservazioni, era l’anno 1914, ma la pubblicazione dei
suoi resoconti fu rimandata fino al 1917, a causa dello scoppio della guerra. Fu
chiamato alle armi, ma fu costretto a rimanere a Tenerife perché nessuna imbarcazione
tedesca, italiana o spagnola, accettò di andare a prenderlo. Si trovò dunque in una
situazione frustrante, soprattutto per la mancanza di notizie dalla Germania. Nel
periodo del soggiorno a Tenerife, ebbe 3 figli con la moglie e la situazione in generale
fu molto difficile. Le lettere impiegavano dalle quattro alle cinque settimane per
giungere a destinazione in entrambe le direzioni, ed erano a volte censurate o
intercettate. Cosa ancora più grave, corse voce per ben due volte che egli svolgesse
attività di spionaggio in relazione alle spedizioni navali britanniche e che fosse in
comunicazione con i sottomarini tedeschi. Altro problema che si venne a creare
durante la guerra fu una discussione con lo statunitense Robert Yerkes. Quest’ultimo
tentò di organizzare una visita alla stazione di Tenerife per condurvi alcune ricerche.
Dopo varie spedizioni dei propri lavori, da parte di tutti e due gli scienziati, a causa
dei ritardi della posta, Köhler si ritrovò senza più sue notizie e ricevette senza
preavviso una copia di un’opera di Yerkes. Quest’opera era una monografia in cui
veniva descritto il comportamento di un orango, che presentava delle forti somiglianze
con il comportamento degli scimpanzé di Köhler. Pur avendo usato il termine “insight”
in una occasione, Yerkes preferì utilizzare il termine “apprendimento ideativo”.
Köhler, scrisse al collega di essere dispiaciuto del fatto che non aveva più ricevuto sue
notizie, senza dimenticarsi di fargli notare come i suoi scritti, fossero tanto simili agli
esperimenti di Köhler. Dopo un lungo dibattito, Yerkes si offrì di tradurre e far
pubblicare sul “Journal of Animal Behavior” un estratto dell’opera di Köhler, e di
presentare in sede d’introduzione le proprie scuse per non aver citato e tributato Köhler
nella sua opera. L’entrata in guerra degli Stati Uniti però, pose fine alla comunicazione
fra i due, fin quando nel 1921 Yerkes si offrì di riprendere la corrispondenza interrotta,
dando l’occasione a Köhler di collaborare e ristabilire i contatti tra scienziati tedeschi
e americani.
3° CAPITOLO
3.1 L’intelligenza nelle scimmie antropoidi
Il presente libro di Köhler è riuscito a dimostrare come fosse possibile studiare i
processi mentali complessi di una specie animale, come appunto gli scimpanzé.
L’autore riuscì a mettere in evidenza come questi primati riuscivano ad adottare
strategie molto più articolate e flessibili di come venivano proposte dalle teorie rigide
comportamentiste nordamericane e riflessologiche russe. Questa opera fu inoltre uno
dei primi rilevanti contributi alla teoria della Gestalt, quindi agli studi della percezione
e del pensiero. Köhler propose, per quando riguarda l’intelligenza, che essa fosse una
sorta di sistema di riorganizzazione dell’informazione disponibile. Gli animali cioè
riuscivano ad arrivare alla soluzione attraverso una sua ristrutturazione, perché le
informazioni provenienti dall’esterno vengono viste dopo un certo periodo
dall’animale in modo diverso. Questo processo, come già accennato prima viene
chiamato insight, una vera e propria intuizione improvvisa. Il primo resoconto venne
pubblicato nel 1925, poi rivisto nel 1921 e infine venne pubblicata la versione finale
inglese nel 1925 “The mentality of apes”.
L’interesse dell’autore di studiare l’intelligenza nelle scimmie antropoidi fu dovuto a
vari motivi. In primo luogo, essi sono animali molto più vicini all’uomo di quanto si
pensi, sia per la chimica del loro organismo sia per il loro comportamento. In secondo
luogo, proprio perché l’animale manifesta un comportamento intelligente molto simile
a quello umano, era interessante per Köhler cercare di cogliere nelle situazioni più
semplici, la natura del comportamento intelligente. Ciò che l’autore avrebbe pensato
di trovare erano delle forme di intelligenza primordiali, ma che proprio a causa della
loro reale semplicità sono da considerare come il naturale punto di partenza per ogni
interpretazione teorica.
Gli esperimenti iniziali vennero condotti su 7 animali, successivamente vennero
aggiunti altri 2, che diedero la possibilità di compiere osservazioni di notevole valore,
ma che purtroppo morirono presto. Vennero condotti nei primi sei mesi del 1914 e tutti
gli esperimenti furono dello stesso tipo: “lo sperimentatore crea una situazione nella
quale la via diretta non è praticabile, ma viene lasciata una via indiretta. L’animale
viene posto in una situazione di questo tipo, dove può mostrare di quali forme di
comportamento è capace e, in particolare, se è in grado di risolvere il problema
attraverso la via indiretta che gli si offre”.
Nel libro viene utilizzata l’espressione “via diretta”, per indicare appunto la via che gli
animali devono trovare per arrivare all’obiettivo. Viene anche utilizzata la parola
“aggiramento”, per indicare le possibili vie per raggiungere quell’obiettivo. Bisogna
ricordare che in tutti gli esperimenti, lo scimpanzé era in grado di osservare il suo
obiettivo, in modo tale da avere una “visuale” più ampia, e poter scegliere quale strada
percorrere.
3.1 Gli esperimenti
Nel libro sono racchiusi molti degli esperimenti condotti da Köhler, che crescono
sempre di difficoltà, per permettere agli studiosi di capire fino a che punto
l’intelligenza degli scimpanzé può arrivare, e fino a che punto un oggetto può essere
considerato
il
mezzo
per
raggiungere
l’obiettivo.
Il primo esperimento proposto da Köhler e il collega Teuber sembrava di soluzione
difficile ma non impossibile, anche se alla fine si rivelò troppo complesso, senza
permettere di trarre una qualche conclusione. Venne legata una corda lunga e sottile al
manico di un cesto aperto con della frutta; essa venne fatta passare attraverso le sbarre
del soffitto del recinto, dove gli animali giocano e tirata finché il cesto non si sollevò
di circa due metri sopra il suolo. L’estremità libera della corda, venne legata ad un
ramo di un albero, lontano circa tre metri dal cesto e più o meno alla stessa altezza dal
suolo. non ha visto i preparativi ma che conosce bene il cesto, dapprima guarda il cesto
sospeso ma subito dopo inizia a dare i primi segni di agitazione, sia per l’insolito
isolamento dal resto del gruppo, sia per aver notato il cesto troppo lontano da sé. Dopo
un po’ Sultano si dirige verso l’albero, si arrampica fino al cappio, tira la corda fin
quando si rompe e il cestino cade, scende di corsa, prende il cesto con i frutti e se li
porta via per mangiarli. Lo stesso esperimento venne ripetuto tre giorni dopo, con lo
stesso risultato e gli stessi passaggi da parte di Sultano. Ora, noi umani ci
aspetteremmo che l’animale togliesse il cappio dal ramo e lasciasse semplicemente
cadere il cesto, ma ovviamente non accade. L’autore non riuscì a comprendere come
mai Sultano abbia deciso di utilizzare quella strategia, se perché non ha notato la
particolarità del cappio o per altri motivi. È proprio per questo che i due studiosi
capirono di dover cambiare tipologia di esperimento, in modo tale da non presentare
condizioni troppo complesse per poter attribuire al comportamento degli animali una
sola interpretazione.
In una seconda prova, il cesto, viene fatto oscillare, per permettere agli animali di
riconoscere più facilmente la via indiretta, e per permettere al cesto di giungere su
un’impalcatura posta al lato opposto dell’albero; vengono quindi fatte entrare Chica,
Grande e Tercera. Grande salta da terra verso il cesto senza raggiungerlo, Chica dopo
aver osservato la situazione, d’improvviso corre verso l’impalcatura, vi si arrampica,
attende il cesto e lo afferra. La prova è durata circa un minuto. L’esperimento viene
ripetuto con tutte le scimmie, compreso Sultano. In questo caso però il cestino fu posto
in oscillazione secondo un movimento circolare che lo faceva passare con velocità
vicino ad una trave posta lì vicino, per rendere la prova un po’ più difficile. Sultano
guarda per un attimo in alto e segue con gli occhi il cestino, quando lo vede passare
attraverso la trave, vi sale immediatamente e lo aspetta.
Köhler si rende conto di più cose, in primo luogo che se viene modificato il punto
accessibile dove il pendolo si avvicina, che sia un muro, un albero, un’impalcatura o
una trave, gli animali non salgono più al punto dal quale prima hanno potuto
raggiungere l’obiettivo, ma vi si arrampicano fino al punto necessario. In secondo
luogo, la prova risulta più difficile per gli scimpanzé quando una parte della situazione
non è visibile dal punto di partenza, ma è nota solo per esperienza. L’animale quindi
non riesce a vedere tutta la “situazione” sperimentale, ma deve arrivarci con
l’esperienza. Questo viene descritto da un’altra prova: una delle stanze dove dormono
gli animali ha una finestra molto alta, che si affaccia al recinto di gioco. IL recinto si
raggiunge dalla stanza passando per una porta, un corridoio ed infine una seconda porta
che apre sul cortile. Tutte le parti del percorso sono ben note a tutti gli scimpanzé, ma
quando uno di loro si trova nel locale, può vedere solo l’interno di questo. Köhler,
porta con sé Sultano e lancia una banana dalla finestra in modo che egli possa vederla.
Senza esitazione Sultano esce fuori dalla stanza, attraversa il corridoio e raggiunge il
cortile alla ricerca della banana. L’invisibilità del luogo dove si trova l’oggetto e del
percorso, non ostacola la soluzione, proprio perché tali luoghi sono noti.
Köhler passa dunque a somministrare delle prove sempre più difficili ma non
impossibili. Prova ad inserire quindi un terzo oggetto, utile per il raggiungimento
dell’obiettivo, come una corda. Tutti gli animali vengono sottoposti a questa prova,
che vede l’oggetto desiderato legato ad una corda, la cui estremità raggiunge il confine
del recinto. Nessuno esita nell’utilizzare questo oggetto per trarre a sé il cibo, ma solo
se questo è posto abbastanza vicino da poter vedere il collegamento tra appunto la
corda e il cibo, se questo invece è posto troppo lontano, non sempre gli animali tirano
la corda, nonostante siano abbastanza affamati.
Una seconda fase di questo tipo di esperimento con un terzo oggetto viene svolta con
un bastone, per mezzo del quale l’obiettivo potrebbe venire attirato. La femmina adulta
Tschego sin da subito non riesce a capire lo scopo del bastone, perché cerca di
raggiungere la banana posta al di fuori della gabbia, troppo lontana per afferrarla con
le mani, allungando le braccia. Va avanti così per più di mezzora, cerca di raggiungere
l’obiettivo con le braccia e si arrende sdraiandosi in terra. Ad un certo punto salta in
piedi, afferra uno dei bastoni e con un po’ di fatica porta l’obiettivo a sé. Anche Nueva,
passa buona parte dell’esperimento a non capire la via indiretta, tra lamenti e
disperazioni, quando ad un certo punto, dopo aver gettato un’occhiata nella direzione
del bastone, cessa di lamentarsi, lo afferra e riesce, anche lei con un po’ di goffaggine
a portare a sé la banana. Infine, anche Coco si comporta allo stesso modo delle
compagne, in un primo momento non dà importanza al bastone, ma cerca di
raggiungere la banana senza alcun oggetto, poi ad un certo punto capisce e anche lui
usa il bastone per raggiungere l’obiettivo. Köhler sostiene che quando degli animali
che hanno sviluppato un metodo pratico in una determinata situazione, usano lo stesso
procedimento in una situazione simile, si suppone che nella confusa percezione
dell’animale, la nuova situazione non sia per nulla diversa da quella precedente.
Sostiene anche che sarebbe un grave errore dare una spiegazione simile quando lo
scimpanzé sostituisce il suo bastone con gli altri oggetti. Questo perché le funzioni
visive dell’animale sono troppo sviluppate perché esso possa “confondere” un oggetto.
Possiamo invece affermare che il bastone ha acquistato un determinato “valore
funzionale”.
Quando invece l’obiettivo viene posto in alto, la distanza può essere superata elevando
il livello del suolo oppure posizionando una cassa o altri ripiani dove l’animale vi possa
salire. Ovviamente in questo tipo di esperimenti deve essere tolto il bastone, perché il
suo uso è già conosciuto, poiché potrebbe ostacolare la trovata di soluzioni nuove.
L’obiettivo quindi viene appeso al soffitto e viene posta una cassa di legno aperta su
un lato al centro della stanza; vengono fatti entrare 6 scimpanzé che fin da subito
cercano di raggiungere l’esca saltando dal suolo. Sultano abbandona subito questi
tentativi e, girando per la stanza si ferma improvvisamente di fronte alla cassa, la
afferra, la fa rotolare verso l’obiettivo, vi sale quando però questa è lontana dal cibo,
per cui decide di saltare con tutta la sua forza, riuscendo a strapparlo giù.
L’esperimento è durato 5 minuti, mentre la scena dal momento in cui Sultano si ferma
davanti alla cassa fino al primo morso del frutto, dura pochi secondi. Köhler nota però
che non c’è stato alcun ragionamento nel comportamento svolto, Sultano infatti
avrebbe potuto posizionare la cassa verticalmente, in modo da risparmiargli il grande
salto, o avrebbe anche potuto posizionare la cassa proprio sotto l’obiettivo.
Vengono svolti più volte questi esperimenti, applicando anche delle modifiche sempre
più difficili, con l’aggiunta di altre casse, bastoni, tavoli e scale. Si concludono quasi
tutti allo stesso modo per Sultano, inizia cercando di raggiungere il cibo senza nessun
aiuto, poi utilizza gli oggetti già conosciuti, segue un comportamento aggressivo, dato
dalla frustrazione per non aver raggiunto ciò che desiderava. Successivamente si
calma, osserva la situazione, e come travolto dalla soluzione, trova la via indiretta per
afferrare l’oggetto, che sia appeso in alto, posto sopra delle casse o impossibile da
raggiungere. In un altro tipo di esperimento Sultano e alcune scimmie utilizzano non
solo gli oggetti, ma anche l’osservatore che si trova dentro il recinto. Lo trascinano,
dopo una finta resistenza da parte di esso, e lo usano per prendere il cibo
arrampicandosi sopra. Le altre scimmie non sembrano essere così rapide come
Sultano, hanno bisogno di più tempo per capire come fare e raggiungere l’obiettivo.
È interessante notare come gli oggetti utilizzati dagli animali, non vengano usati solo
per raggiungere il cibo, ma anche per altri scopi. Sultano ad esempio, per rincorrere un
suo compagno che si trova arrampicato su un soffitto, da cattivo acrobata, non si
arrampica dietro a quello, ma afferra una cassa, la pone sotto il fuggitivo e salta verso
l’alto. Quando la cassa sembra troppo bassa per raggiungerlo, Sultano trascina la sua
compagna Grande, gli sale sopra e riesce nel suo intento.
Il libro elenca tutti gli esperimenti che sono stati fatti a tutte le scimmie, i loro risultati
e le loro considerazioni. In particolare, l’autore cerca di descrivere non solo l’uso di
strumenti nel corso delle esperienze fatte, ma anche di descrivere i rapporti con le cose
che si possono quotidianamente osservare. I rapporti con le cose, si possono
raggruppare quasi tutti sotto la rubrica “giochi”. Se, a causa di una necessità in una
situazione sperimentale, è apparsa una forma speciale di attività, o anche l’impiego di
uno strumento, possiamo essere sicuri di ritrovare queste attività anche nei giochi.
Il bastone ad esempio rappresento uno strumento universale dello scimpanzé, le sue
funzioni, dopo che venne utilizzato per la prima volta, si moltiplicarono di mese in
mese. Tutto ciò che attirava l’attenzione degli animali, veniva avvicinato tramite
bastoni, fili di ferro, fuscelli di paglia, ecc. Anche fuscelli e bacchette vengono
utilizzati non solo durante gli esperimenti, ma come cucchiai anche durante il pasto. Il
ramoscello, o il fuscello di paglia invece, venne usato per la cattura delle formiche. Va
fatto notare però che l’interesse per quegli oggetti, superava il semplice appetito,
perché erano tanti i luoghi dove le formiche potevano essere mangiate senza l’utilizzo
di nessun strumento, se non la loro lingua. Per tutto il tempo in cui questa “moda”
durò, Köhler osservò che tutti gli animali della stazione stavano accoccolati l’uno
accanto all’altro lungo il percorso delle formiche, ciascuno con il suo fuscello, come
se fossero una fila di pescatori con la lenza lungo la riva di un fiume.
Köhler parla nel suo libro di errori commessi dagli scimpanzé e li divide in 3 tipi:
1) Errori positivi, dove il comportamento dell’animale non appare stupido, ma suscita
un’impressione favorevole;
2) Errori dovuti ad assoluta incomprensione delle condizioni del problema. Un errore
di questo tipo lo si può osservare quando l’animale, cercando di collocare una cassa
sopra un’altra, la sposta in modo scorretto;
3) Grossolane stupidità derivanti da abitudine, essi si verificano in situazioni in cui
l’animale avrebbe la possibilità di comprendere realmente.
In particolare, gli errori di terzo tipo, non sono atti elementari naturali dai quali
potrebbero avere origine nuove soluzioni, ma sono i residui di vere e proprie soluzioni
precedentemente raggiunte, che sono state ripetute molte volte e hanno sviluppato una
tendenza a presentarsi in modo secondario in alcuni esperimenti successivi. Le
condizioni favorevoli per l’insorgenza di questi errori sembrano essere stati come
sonnolenza, fatica, infreddatura o anche eccitazione.
Gli animali, in un periodo precedente a quelli in cui sono stati condotti gli esperimenti,
hanno avuto a che fare con oggetti e situazioni particolari, che potrebbero aver formato
delle combinazioni di movimenti magari privi di significato, ma estremamente simili
ai comportamenti dai noi osservati. Ciò però non ne consegue che essi si addestrino da
sé all’uso degli strumenti per un semplice gioco. Inoltre, lo scopo del lavoro di Köhler
non è quello di dimostrare che lo scimpanzé sia un prodigio di perspicacia, si tratta
solo di stabilire se esso è capace di comportamento intelligente.
Köhler si contrappone fin da subito al modello di apprendimento per “prove ed errori”,
elaborato e proposto all’epoca dal comportamentismo e afferma che lo scimpanzé
arriva ad una soluzione efficace, ad un qualcosa di nuovo e di diverso, che portava ad
una nuova visione del problema nella sua globalità. Questa trattazione venne estesa
anche al comportamento umano nella risoluzione dei problemi, perché in generale le
situazioni problematiche creano una tensione psicologica, non diversa da quella che si
creava negli animali data dall’ostacolo, e se la soluzione non era evidente, le forze
mentali cercavano di ritornare all’”equilibrio” attraverso una riorganizzazione. Questa
riorganizzazione, che viene attuata attraverso l’insight, ha l’effetto di risolvere la
tensione, rivelando la natura del problema e rendendo quindi possibile la risoluzione
dello stesso.
Per Köhler infine, i tentativi degli animali non erano casuali ma intelligenti, perché
l’animale in tutte le situazioni descritte, valutava la situazione, formulava un’ipotesi
di soluzione e poi verificava la soluzione. La soluzione inoltre avveniva all’improvviso
per intuizione, e dopo questa gli scimpanzé erano in grado di ripetere l’azione.
La conclusione del libro afferma che gli scimpanzé presentano un comportamento
intelligente simile a quello dell’uomo, anche se le azioni compiute non sono sempre
simili a quelle dell’essere umano. Questo antropoide si distingue dal resto degli
animali per avvicinarsi alle razze umane in tutta una serie di caratteri morfologici e
fisiologici, oltre al fatto di presentare forme di comportamento che sono considerati
umani. Fino ad adesso conosciamo molto poco quelli che, secondo la classificazione
delle specie, sono considerati suoi simili, ma sulla base di questo poco e dei risultati
del lavoro di Köhler, non si può escludere che l’antropoide, dal punto di vista
dell’intelligenza, sia più vicino all’uomo che a molte specie di scimmie inferiori. Le
osservazioni dell’autore sembrano confermare la correlazione fra l’intelligenza e lo
sviluppo del cervello. Köhler sottolinea il fatto che gli esperimenti ai quali hanno
sottoposto gli animali, pongono quasi sempre questi ultimi in una situazione presente
in forma attuale, e nella quale anche la soluzione può essere prodotta immediatamente.
Non bisogna però dimenticare che in queste condizioni sperimentali certi fattori non
possono agire, o lo possono fare in modo molto lieve; fattori ai quali si attribuisce la
più grande importanza per l’intelligenza umana.
Nell’ambito delle prove condotte, il comportamento intelligente dello scimpanzé è
orientato soprattutto dalla struttura ottica della situazione, infatti se lo scimpanzé cessa
di procedere in modo intelligente, in molti casi è semplicemente dovuto al fatto che la
struttura del campo richieda troppo dalla sua capacità di comprensione ottica. È
difficile infatti, spiega l’autore, dare una valida spiegazione delle sue azioni finché non
si può stabilire una teoria completa delle forme spaziali. Il bisogno di questa teoria
inoltre, è ancora più richiesto se si pensa che le soluzioni intelligenti devono
necessariamente partecipare alla struttura del campo, perché devono prendere la forma
di processi dinamici che si svolgono in modo conforme alla struttura stessa. Se si
cercasse di confrontare le azioni intelligenti descritte con le soluzioni dell’uomo in
particolare con quelle del bambino, si giungerebbe ad una determinazione di limiti.
Poiché i risultati di quest’opera sono relativi ad un determinato modo di sperimentare,
bisognerebbe fare uso dei risultati psicologici fin qui ottenuti con l’uomo, in
circostanze simili. Purtroppo, questo confronto è impossibile perché i risultati
necessari non sono ancora neppure stati raccolti. Afferma “esperienze provvisorie ed
occasionali, mi hanno dato l’impressione generale che a questo riguardo si abbia una
tendenza a sopravvalutare le capacità di soluzione del bambino e anche quelle
dell’adulto”. Pur occupandosi da molto tempo di “test” infatti, la psicologia
pedagogica non ha ancora potuto stabilire in quale misura i bambini in situazioni simili
a quelle degli scimpanzé, riescano a trovare la soluzione. Infine, conclude
“Wertheimer ha proposto questo punto di vista da molti anni, nelle sue lezioni
accademiche. Io vorrei qui, dove la carenza risulta molto sensibile, insistere sulla
necessità e sulla fecondità di una tale direzione di lavoro” (Köhler, W.
(2010). L'intelligenza nelle scimmie antropoidi. Giunti Editore).
CONCLUSIONE
Il tentativo di mettere in luce il grande contributo di Wolfgang Köhler alla psicologia
della Gestalt, spero sia stato soddisfacente. Abbiamo ripercorso i suoi studi, in
particolare gli esperimenti a Tenerife. Köhler è stato di vitale importanza per lo
sviluppo della psicologia della Gestalt, ha introdotto il termine che noi tutt’oggi
conosciamo: l’insight. Senza dimenticare il fatto che abbia messo in discussione gran
parte dei mattoni della psicologia, fino ad allora conosciuti e ritenuti gli unici validi.
Per fortuna, le speranze di Köhler di condurre nuovi esperimenti sulla percezione e
sull’intelligenza vennero ascoltati, perché dal momento della nascita della teoria della
Gestalt, si iniziò a pensare in modo diverso da come lo si era sempre fatto.
BIBLIOGRAFIA
- Köhler,
W. (2010). L'intelligenza nelle scimmie antropoidi. Giunti Editore
- Wundt Wilhelm (1862) pp. 167-197
- Schnadelbach Herbert (1984), cap. 3
- Morabito, C., & Dazzi, N. (2004). La psicologia della Gestalt nella cultura tedesca
dal 1890 al 1967.