IL VILLAGGIO ENI DI CORTE DI CADORE: MODELLO E FUTURO DI UNA SOSTENIBILITÀ TURISTICA Paolo Bianco ABSTRACT Il testo analizza gli aspetti del villaggio vacanze aziendale come fenomeno sociale, economico ed archetipo di un innovativo modo di fare turismo nell’Italia del boom economico. Soggetto dello studio è il Villaggio Turistico dell’Eni a Borca di Cadore dell’architetto Edoardo Gellner, analizzato non tanto per la sua architettura in senso stretto, quanto per i diversi temi che ne hanno portato alla realizzazione: il modo di relazionarsi con l’antropizzazione dell’ambiente naturale, la natura “sociale” del villaggio, le interazioni tra gli utenti, il rapporto tra un giovane progettista ed un committente moderno e innovatore. Confrontando poi l’esempio centrale con altri interventi simili, la Colonia montana a Brusson e il Soggiorno Marino di Olivetti a Marina di Massa, opera sempre di una One Man Company, il testo analizza la fine del fenomeno, individuandone le principali cause e conseguenze, direttamente riflesse sui tre complessi. In ultima battuta, i tre interventi vengono studiati per il modo in cui, attualmente, vengono gestiti ed utilizzati, al fine di ricavare degli spunti utili per coloro che, al giorno d’oggi, si propongono di trovare un modello sostenibile di turismo. PAROLE CHIAVE Turismo di massa, Boom economico, Eni, Olivetti, Welfare, Villaggio, Colonie estive, Architettura montana, Sostenibilità, Paesaggio, Riuso, Olimpiadi INTRODUZIONE E’ con l’art. 36 della neonata Costituzione “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” che il popolo impone la sua presenza nel mercato delle villeggiature, del viaggio ludico per motivi vacanzieri, che fino ad allora era stata prerogativa di una ristretta cerchia della società. Ma è con il boom economico degli anni 60’ che il fenomeno “mercato del turismo” assume una dimensione più ampia: nel 1959 infatti solo il 13% della popolazione va in vacanza mentre qualche anno dopo il dato sale fino al 21%. Indicatore del fenomeno è la ricerca stessa dell’Istat, che per la prima volta effettua la sua indagine sul flusso turistico del popolo italiano [1]. I l tu r i s m o d i m a s s a , n e i su oi pr i m i an n i, a ssu m e Caratteristiche escursionistiche e i periodi di soggiorno lunghi risultano mediamente di 20 giorni circa, con una fortissima concentrazione ad agosto, mese di chiusura di uffici e fabbriche [1]. La dimensione tangibile del fenomeno permette una presa di coscienza del potenziale delle località italiane: nel 1959 nasce il Ministero del Turismo, parallelamente all’inizio del periodo di costruzione dell’offerta turistica. Inizia così una fase di costruzione di strutture ricettive che, a causa della mancanza di politiche di settore nazionali, hanno origine da iniziative personali, con effetti speculativi sul territorio spesso disastrosi. E’ solo nel pieno degli anni 60’ che il tema turismo diventa riconoscibile dai più come settore economico [2]. Anche se il turismo non è ancora per tutti, lo è sicuramente Le casette del primo gruppo del Villaggio Eni di Corte di Cadore in una foto promozionale degli anni ‘60 nei progetti e nei sogni, alimentato da una cultura che punta a includere il tempo “liberato” dal lavoro e dalla scuola nel Welfare nazionale, ovvero tra i consumi stabili, alla portata di larghi strati di popolazione [2] . La vacanza collettiva, soprattutto famigliare, entra a far parte dell’immaginario come parte dei servizi sociali, componente utile al benessere della comunità. L’imprenditoria innovativa, e più illuminata, inizia a inserirla nell’ambito delle politiche sociali: Adriano Olivetti, direttore generale della omonima azienda ed Enrico Mattei, presidente dell’Eni e della liquidante Agip, si impegnano nel favorire il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita degli operai nelle loro aziende, favorendo occasioni di svago e riposo per i dipendenti e le loro famiglie. E’ infatti la famiglia, che in forma aziendale e poi strettamente privata, ad essere messa al centro di questo nuovo bisogno, al quale viene trovata soluzione con l’istituzione di strutture dedicate. Adriano Olivetti, che aveva ereditato dal padre Camillo la visione “sociale” della sua azienda si era adoperato, per il welfare state dei dipendenti [3]. Oltre ai ben noti interventi di Olivetti di edilizia contemporanea, i programmi aziendali di costruzione prevedevano la realizzazione di strutture dedite alle attività ludiche e alla vacanza, soprattutto per i figli dei dipendenti [2].Tutti questi interventi facevano parte di una idea di rinnovamento sociale che Olivetti cercava di portare nella comunità e che veniva tradotto, dal punto di vista architettonico, in un rinnovamento tecnico-funzionale che si fondava sulla modernizzazione del linguaggio, La Colonia Montana di Brusson, in Valle d’Aosta e il Soggiorno Marino di Marina di Massa, sul litorale carrarese quindi, fanno parte di un più complesso e studiato piano di interventi aziendali che potessero promuovere l’immagine da “grande famiglia allargata” che Olivetti aveva costruito. Olivetti cerca di rendere accessibile alle famiglie dei dipendenti l’uso vacanziero di un territorio già ampiamente consolidato come meta turistica di massa e che, in condizioni normali, non sarebbe mai stato accessibile, soprattutto per ragioni economiche a buona parte dei lavoratori. Le Colonie di Olivetti inoltre, cercavano di appianare le differenze sociali che naturalmente si creavano in un contesto lavorativo multi-ruolo: il figlio di un dirigente entrava in relazione con il figlio di un qualsiasi operaio dell’azienda, mettendo quindi in atto il “piano di giustizia sociale” al quale entrambi gli One Man Company, Olivetti e Mattei, lavoravano. Le due Colonie Olivetti si vengono a trovare in due territori turistici già affermati: la Colonia Montana viene realizzata, su progetto di Leonardo Fiori e Claudio Conte, in un lungo terreno a 1300 mt di quota nel comune di Brusson, un piccolo centro urbano della Val d’Ayas, nel comprensorio sciistico e ed escursionistico del Monte Rosa, a pochi passi da Saint-Vincent, nota dagli anni ‘50 per il suo casinò [4.1]. Si opta per la realizzazione in un comprensorio di turismo di massa senza però incidere precisamente sulle mete di maggior afflusso, sia per motivazioni di costo del terreno che di migliore qualità ambientale e del paesaggio. Il Soggiorno Marino Olivetti, ad opera di Annibale Fiocchi, è di carattere sicuramente più “balneare”: viene costruito come tassello del vasto sistema di colonie marine che si “distende” parallelo alla costa e che costituisce l’estremità meridionale dell’abitato di Massa: il complesso si differenzia, oltre che per il linguaggio architettonico, anche per le dimensioni che, paragonate a quelle delle altre colonie del litorale (prima tra tutte la colonia Fiat), risultano più che contenute. Costruito prima di quella di Brusson, si coordina perfettamente all’isola olivettiana di Ivrea, con una più netta (In alto) la Colonia Olivetti di Brusson, in Val d’Ayas, (in basso) il adesione al lessico razionalista dell’azienda [2]. Soggiorno Marino Olivetti di Marina di Massa Tuttavia, come già anticipato, Olivetti non è l’unico a considerare la villeggiatura famigliare come parte dei servizi che l’azienda fornisce ai suoi dipendenti: anche Enrico Mattei, “l’uomo italiano più potente dopo l’imperatore Augusto” [8], configura il turismo come un tassello di quel processo di welfare che l’azienda stava sperimentando [5]. La parità sociale che Mattei cercava di introdurre nella sua Eni quindi, passava anche nella possibilità che ognuno doveva avere di poter andare in villeggiatura con la propria famiglia. Questa possibilità veniva rappresentata dalla più prestigiosa delle località alpine del momento: Cortina d’Ampezzo [6]. Benché il desiderio di assicurare ai lavoratori un certo standard di vita, e forse anche l’orgoglio che il suo gruppo sia in grado di soddisfarlo, fa nascere in Mattei l’idea di un vero e proprio villaggio turistico nelle Dolomiti [7] che, almeno secondo le intenzioni originarie, sarebbe dovuto sorgere nella meta Bellunese. La diffidenza degli Ampezzani e della vicina San Vito di Cadore, ormai abituati a un turismo elitario, a ospitare nel proprio territorio comunale un villaggio operaio, unita al frazionamento delle parcelle e all’elevato costo dei terreni, indussero però a cercare l’area in altre zone, che dovevano comunque rimanere nelle Dolomiti e attorno ai mille metri di altitudine. La scelta dell’Architetto Edoardo Gellner (già progettista per Agip del Motel di Cortina) ricade infine su Corte di Cadore, un’area caratterizzata dal terreno degradato e brullo, disboscato durante la Prima guerra mondiale nel Comune di Borca, nella Costa dei Landri, e sovrastata dalla Rovina di Concia, il canalone detritico dell’omonima frana alle pendici del Monte Antelao [8]. Nonostante gli interventi si localizzino temporalmente negli anni successivi allo scontro bellico, in un contesto meno rigido sul dibattito politico ed educativo rispetto a quelli del regime, l’esperienza da cui attingere per la progettazione degli spazi di villeggiatura collettiva rimane la Colonia estiva [2]. La Colonia, che come istituzione assistenziale nasce nel 1926 con legge che istituisce l’OMNI, viene soprattutto utilizzata per la finalità sanitaria di cura delle patologie respiratorie, sul modello dei sanatori marini del’800. Siccome l’architettura, all’interno della politica del regime riveste un ruolo non solo di strumento di propaganda ma anche come luogo di costruzione (e costrizione) della nuova e futura società italiana, la Colonia viene utilizzata per plasmare “l’uomo nuovo” partendo dal bambino, interpretando una vera e propria funzione educativa, incidendo sui comportamenti, agendo sulla sfera emotiva e imprimendo segni nella memoria [9]. La Colonia, che rappresentava il nuovo modello di “vita collettiva”, riuniva in sé le caratteristiche dell’albergo, della clinica e della scuola, costituendo un tipo edilizio del tutto nuovo, terreno fertile soprattutto per i giovani architetti del razionalismo che cercavano appunto una occasione per sperimentare nuovi modi di abitare lo spazio. Obiettivi pedagogici mutati e l’approccio progettuale modificato dall’avvento del turismo di massa, dovuto principalmente all’espansione delle mete turistiche, unita alla evoluzione graduale delle condizioni socio economiche del Paese, pongono le basi per una revisione delle strutture ricettive da cui prendono forma i complessi destinati ai soggiorni collettivi e per l’infanzia proposti in questo saggio. APPROCCIO METODOLOGICO ALLA RICERCA Questo lavoro vuole quindi definire il caso del Villaggio Eni di Corte di Cadore come importante esempio rappresentativo di un approccio sostenibile che sotto la necessità e pressione di un turismo di massa, non applica una metodologia di intervento unica che si applichi ad ogni situazione, ma, viceversa, analizza le peculiarità individuali del caso specifico sviluppando una strategia esclusiva che tenga conto dei punti di forza sviluppati in casistiche simili. Il Villaggio Eni, come verrà dimostrato più avanti, non ha “usato” il paesaggio e le risorse del luogo per un fine turistico ma ha utilizzato il turismo stesso come elemento di miglioramento del luogo, che oggi si trova arricchito da nuova vegetazione e un microclima migliore, oltre che da un’architettura di grande qualità. Il Villaggio verrà quindi confrontato con due interventi di Olivetti con cui condivide molte caratteristiche: al di là della volontà di garantire ai propri dipendenti il servizio sociale rappresentato dalla villeggiatura, entrambi scelgono aree molto vicine a luoghi di turismo di massa, consentendo la valorizzazione paesaggistica di zone altrimenti poco attrattive. Il cambiamento sociale si rispecchia in un cambiamento di attitudine nella materia architettonica, che è chiamata a rispondere in maniera innovativa alle nuove esigenze della società. CASI STUDIO Come già affermato, è il Villaggio Eni di Corte di Cadore ad essere chiave di lettura e di analisi dell’intero fenomeno qui analizzato: il complesso di Corte, nome con cui venne chiamata la nuova frazione di Borca, in onore dello stabilimento petrolifero di Cortemaggiore, all’epoca di recente scoperta, viene progettato e realizzato a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 da Edoardo Gellner, e si articola su una superficie di circa 200 ettari, alle pendici del Monte Antelao, la seconda cima più alta delle Dolomiti. Realizzato in meno di 10 anni, il complesso sarebbe dovuto diventare un elemento di sviluppo di un’area in forte crisi demografica e in carenza di servizi sociali grazie ad un programma vasto di funzioni anche legate al territorio: il programma iniziale prevedeva un complesso di 600 casette di vacanza unifamiliari con capacità di circa 8 letti, una colonia montana capace di ospitare dai 400 ai 600 bambini (con relative strutture funzionali), un campeggio per 200 ragazzi, un albergo (poi due) per i dipendenti senza figli o non coniugati, una chiesa ed un centro sociale che rendesse funzionale l’intero complesso [8]. In ogni fase della progettazione e poi della realizzazione, l’obiettivo principale di Gellner fu quello di inserire le opere all’interno della grande bellezza dell’ambiente naturale costruendo un paesaggio “umanizzato” e dare al nuovo insediamento le condizioni e l’atmosfera ideale di un soggiorno di vacanza. La zona destinata al Villaggio, rispetto ai centri abitati limitrofi, è lontana, con una conseguente mancanza di rapporti visuali tra i vecchi nuclei e il nuovo complesso: l’impossibilità di abbracciare entrambi in un unico sguardo permise di trascurare ogni riferimento all’architettura tipica della montagna e adottare un linguaggio decisamente moderno [10]. Vennero predilette forme orizzontali, volumi bassi e allungati, perpendicolari alla pendenza del terreno, caratterizzati dalle strutture portanti messe in risalto dalle coperture a falda unica. L’omogeneità dell’intervento, per evitare un effetto “stampino” venne ottenuta con utilizzo di tecniche costruttive uniformi e materiali identici (in parte della tradizione costruttiva della zona) come le murature in pietrame, il cemento armato grezzo e le strutture lignee delle coperture a vista. I colori come il rosso, il celeste, le tinte neutre e raramente il giallo, utilizzati all’interno e all’esterno degli edifici, rendono “allegra” e vistosa l’architettura all’interno della natura e la dotano di una espressività e carattere propri. Il forte passaggio di scala tra le piccole villette e il grande complesso della Colonia viene risolto con lo smembramento delle funzioni che, ponendo al centro il volume del padiglione di accoglienza-soggiorno e mettendolo in evidenza con la copertura a spioventi, si frazionano tutte intorno, a varie quote, in un complesso di 17 edifici collegati tra loro da un sistema di rampe chiuse [11]. Le ville realizzate da Gellner a Corte di Cadore, (sullo sfondo) il Monte Antelao Ogni caratteristica “vacanziera” viene accuratamente studiata e resa funzionale: le case, ad esempio, vengono consegnate ai villeggianti completamente arredate e fornite di suppellettili, biancheria e il restante necessario per un soggiorno di alcune settimane; la stessa distribuzione spaziale della casa è studiate per rendere più agevole e facile l’ospitalità dei residenti e ridurre le incombenze della famiglia [8]. Benché l’intero impianto urbanistico del villaggio fosse strutturato attorno alla rete stradale, in quanto Corte non era una stazione turistica nella quale fare a meno dell’automobile, molta cura venne data alla qualità ambientale in modo che non venisse deturpata dall’inquinamento atmosferico e sonoro delle auto: le strade vennero tracciate in modo da ammettere velocità contenute e una fitta rete viaria pedonale che attraversa e collega le zone residenziali era tracciata in modo da evitare l’incrocio con il traffico e ridurre al minimo la necessità di spostamento veicolare interno [10]. Anche gli impianti del villaggio vengono progettati in modo da non infierire sulla qualità del soggiorno vacanza dei dipendenti: la rete elettrica viene completamente interrata per evitare che i cavi deturpino il paesaggio e viene scelto un sistema di riscaldamento e cottura dei cibi a gpl in modo da contrastare la possibilità di un inquinamento dell’aria a causa dei gas di scarico (soprattutto considerando che il villaggio veniva solitamente abitato quasi tutto in maniera contemporanea) [8]. Essendo un villaggio per dipendenti della medesima azienda, gli edifici mostrano tra di loro una distanza “psicologicamente calibrata”: ogni casa veniva assegnata in maniera casuale ad ogni famiglia, mettendo quindi a confronto dirigenti, impiegati e operai in un campo “neutrale”; queste dovevano quindi distanziarsi sufficientemente per evitare interferenze negative, ma rimanere abbastanza vicine per evitare una esagerata sensazione di isolamento e permettere l’instaurarsi di una possibilità di relazione [11]. Si doveva quindi dare alle persone che arrivavano dalla città un giusto equilibrio tra isolamento nella natura e relazioni sociali, proprio perché quella che abitava il villaggio era una società del tempo libero che, inevitabilmente si portava in vacanza le gerarchie e i problemi del posto di lavoro. Gli ambienti e gli spazi dove queste relazioni avvenivano più facilmente erano quindi gli spazi appositamente sociali come la Chiesa progettata con l’aiuto di Carlo Scarpa, posta in una posizione predominante rispetto all’intero villaggio e caratterizzata nell’architettura dalla copertura a spioventi fortemente inclinati e la guglia in metallo alta 68 mt e, il Fabbricato dei servizi satelliti, costruito per garantire una certa autonomia al primo nucleo residenziale. Nel Villaggio di Corte di Cadore, Gellner mette in atto la riconciliazione tra la cultura metropolitana del tempo libero e il paesaggio di villeggiatura: mentre ad appena 16 km di distanza (a Cortina) orde di turisti calpestano e tagliano con le loro piste da sci il paesaggio, a Corte di Cadore avveniva una riparazione del paesaggio stesso, grazie all’introduzione al tema dell’architettura per il turismo, di una visione totalizzante, senza cadere nella riproduzione di una immagine costruita regionalistica [11]. Allo stesso tempo Mattei, realizza un programma pensato e fortemente voluto, di offerta ai propri lavoratori del servizio della vacanza e del tempo libero, che non trova riscontro nell’imprenditoria europea se non nell’approccio più mite di Adriano Olivetti. Collocata dall’altro estremo dell’arco Alpino rispetto a Borca di Cadore, la Colonia Montana di Brusson vede un modo diverso di coniugare il turismo collettivo di massa e il tema della costruzione in montagna attraverso una sperimentazione (che già era maturata fin dagli anni ’30 nel polo torinese) basata sulla revisione e “sollecitazione” delle sue istanze. Vista in questo ambito, la colonia di Brusson diventa quasi emblematica del rinnovamento negli anni successivi alla sua costruzione. Adriano Olivetti, abituato alle forme ormai “elitarie” della sua architettura eporediese, venne lentamente convinto della bontà del progetto di Leonardo Fiori che, non voleva piegarsi a stilismi o a riferimenti alla tradizione, ma voleva entrare in relazione con il luogo e la sua cultura, che diventano elementi cardine del progetto [4]. La Colonia Olivetti di Brusson in una L’inserimento dell’edificio nel paesaggio suggestivo della Val foto d’epoca d’Ayas non avvenne sicuramente per l’uso del tetto a falde, magari rivestito con il lastricato di beola, ma studiando e trattenendo l’essenza della pratica tradizionale. Per questo, il tetto a spioventi che inizialmente non aveva convinto Olivetti divenne necessario per creare delle zone protette per il gioco all’aperto e il rivestimento in legno, non cercava un confronto con la pratica, ma era il risultato della prototipazione di un elemento prefabbricato che veniva accostato, con disinvoltura, al cemento e al pietrame del basamento dell’edificio. Anche la distribuzione volumetrica e altimetrica dei corpi di fabbrica non deriva da un semplice gioco stilistico ma in modo che ampi spazi derivati dall’allineamento dei 5 corpi di residenza, dalla sala riunioni-teatro e dal corpo della aule-laboratori, formino giardini e campi gioco all’aperto, senza però definirne fisicamente la forma e il confine [4]. La colonia può accogliere circa 120-150 bambini, principalmente dai 6 a 12 anni, figli dei dipendenti della società; particolare attenzione viene posta in questo caso alle nuove teorie pedagogiche che favorivano l’utilizzo del periodo di vacanza scolastica come momento di apprendimento di nozioni legate alla vita di gruppo e al gioco di squadra. Limitando il soggiorno ai figli dei dipendenti, a differenza quindi del Villaggio Eni, viene a mancare la possibilità di una villeggiatura famigliare che aveva ad esempio, contraddistinto l’esperienza bellunese: la colonia sembra quindi costruita per permettere che i genitori possano continuare a lavorare (e contribuire alla redditività dell’azienda), senza avere il peso dei figli a casa nel periodo estivo. Nello stesso modo, anche il Soggiorno Olivetti a Marina di Massa, nato per affiancare l’attività di una struttura Il Soggiorno Marino di Marina di Massa durante la sua attività preesistente, si limita ad una ospitalità dei bambini e ragazzi, estromettendo dall’uso la restante parte del nucleo famigliare. Il Soggiorno Marino, viene realizzato nel giro di 10 anni, dal 1948 quando viene approvato il primo progetto al 1958, anno in cui la costruzione può dirsi completata. L’opera, affidata ad Annibale Fiocchi, direttore dell’Ufficio Architetti della società, risulta al contrario di quella di Brusson, più in linea con lo stile olivettiano dei ben noti edifici di Via Jervis ad Ivrea. L’edificio è, quindi, caratterizzato da uno stile razionalista figlio di quello delle colonie elioterapiche “vicine” al Soggiorno, dove la prevalenza del colore bianco del rivestimento in ceramica degli esterni, riconducono questo edificio entro i canoni più sofisticati di un linguaggio moderno e rigoroso [2]. Il fabbricato, sviluppato su due piani, è immerso in una pineta nelle immediate vicinanze del litorale toscano, in un lotto di completamento del vasto complesso “colonico” della riviera toscana. La planimetria, non dovendosi rapportare con cambiamenti di quota e conformazioni particolari del terreno, è semplice e compatta: due stretti corpi di fabbrica rettangolari e paralleli, ospitanti i dormitori maschili e femminili (al primo piano) e gli spazi gioco e laboratori (al piano terra) sono collegati dal corpo dei servizi che ospita il refettorio, la cucina e la lavanderia. I collegamenti, che come negli esempi precedenti sono utilizzati per “smembrare” le funzioni della struttura, o sono coperti, o interpretano il ruolo di terrazze. Piccoli edifici separati ed indipendenti ospitano l’alloggio del custode e l’infermeria. L’uso della colonia solo nella stagione estiva pone fin da subito centrale il tema della vita all’aperto dei piccoli villeggianti: la struttura in cls, soprattutto a vista, rende facile una scansione degli spazi e la possibilità di avere una parte dei due corpi lunghi completamente su pilastri in modo da usare l’edificio stesso come un portico, sotto il quale compiere attività nei momenti più soleggiati o nelle giornate piovose. Il rapporto con il contesto viene fortemente enfatizzato dalle ampie superfici vetrate che, oltre a sottolineare l’orizzontalità delle forme, permette un continuo scambio visivo tra l’interno della colonia e la pineta che la circonda. La disarmante semplicità della soluzione architettonica, che non prevede un uso invernale o esterno della colonia, trova motivazione nel periodo nella quale la colonia viene costruita: prima delle esperienze “turistiche” di Olivetti, si appoggia nel pensiero ai riferimenti del regime, senza porsi la questione di un turismo che stava sì, già diventando di massa, ma soprattutto assumeva connotati di collettività. Unico elemento che permette una forte diversificazione rispetto alle “colleghe” di litorale sono le dimensioni, esigue e contenute che rendono l’edificio più simile ad una villa privata di vacanze: la forma stessa dell’impianto, raccolta attorno ad un cortile centrale e circondato da una vegetazione fitta e fiorita fa sì che al bambino, venga trasmessa l’idea di aver trascorso il periodo estivo in un ambiente famigliare e privato. RISULTATI E DISCUSSIONI Il modello, nelle declinazioni qui proposte, sembra funzionare bene: committenti ideali, con mezzi illimitati e idee molto precise, affidandosi a giovani architetti capaci, riescono a trovare soluzione, attraverso le proprie strutture collettive, al tema del turismo di massa, nel suo uso paziente e sartoriale dello spazio e del paesaggio; la collettivizzazione del fenomeno inoltre rende possibile l’accessibilità delle grandi mete del panorama turistico italiano ai più, rendendo sociale, come si è già più volte sottolineato, la vacanza famigliare. Il grosso tarlo di un sistema all’apparenza perfetto sta però proprio nella sua dipendenza da una sola figura decisionale, il One Man Company che sì, permette una velocità e praticità nell’intervento ma che, se viene a mancare, provoca il collasso del sistema. E’ così che, a causa della sciagura aerea nella quale venne coinvolto Mattei, il Il campeggio per scout in una foto Villaggio di Corte di Cadore rimase incompleto: molti promozionale degli anni ‘60 dirigenti infatti, proprio per questa sua natura sociale e di utilizzo misto, erano da sempre stati contrari al progetto e tagliarono i finanziamenti alla realizzazione. Venne concesso, a Gellner, solo di ultimare i cantieri già avviati, mentre i progetti per il centro civico e le nuove ville vennero accantonate. Questo portò con sé ovviamente una perdita di valore e funzionalità dell’intero villaggio che ancora oggi è incompleto e privo di un centro capace di legare i singoli elementi distribuiti sul versante e di mantenerli vivi e frequentati. Il villaggio quindi, è ridotto ad un dormitorio per circa 4000 persone che hanno, come unici spazi d’incontro la Chiesa di Scarpa e la hall dell’Hotel Boite; gli ospiti stessi delle ville, in alcuni casi, ignorano la presenza delle altre case non comprese nel loro gruppo [11]. In un modo diverso, più lento, avvenne lo stesso destino alle due strutture olivettiane: scomparso anche Adriano Olivetti, nel 1960, in maniera improvvisa, la forte connotazione di comunità che aveva contraddistinto la sua azienda vacilla, mantenendo comunque un’impostazione comunitaria e fortemente sociale [2]. Negli anni ’90, a causa della crisi economica che colpisce l’azienda, buona parte delle strutture a servizio dei dipendenti vengono chiuse o dismesse: il Soggiorno Marino e la Colonia Montana smettono di essere utilizzate ed entrano in una fase di abbandono. Mentre quella di Marina di Massa rimane ad oggi in uno stato di degrado, anche a causa di una forte crisi del sistema turistico del litorale toscano e di una speculazione edilizia mirata a mantenere inutilizzate le grandi aree delle colonie elioterapiche in modo da indurre una modifica i vincoli ambientali, la colonia di Brusson viene venduta al gruppo Pirelli che la mantiene per circa un decennio ferma allo stato in cui l’aveva acquistata. Nei primi anni 2000, viene infine acquisita dalla Cooperativa Aosta Servizi la quale opera nel settore delle residenze sanitarie assistenziali in Piemonte, Lombardia e Veneto [12]. L’edificio viene quindi convertito in una clinica riabilitativa per persone con patologie psichiatriche; attraverso un restauro filologico della struttura e degli spazi esterni ed una serie di adeguamenti interni, attualmente ospita circa un centinaio di pazienti divisi in 43 camere dotate di servizi igienici, a due o un posto letto, disposti in 4 differenti nuclei su tre piani [12]. Corte di Cadore per le sue caratteristiche dimensionali e la sua posizione invece, vive una condizione diversa: le logiche speculative e gli interessi economici si sostituiscono alla dimensione di benessere sociale voluta da Mattei, così per i siti come il Villaggio, nato non per generare un indotto e quindi fonte di ingenti spese, inizia un lento processo di declino che porta nel 1991 alla chiusura della Colonia e, successivamente, all’abbandono e alla vendita dell’intera area nei primi anni 2000 a Mi.no.ter S.p.a., la quale intraprende il rilancio del villaggio sul piano turistico [13]. Dopo aver operato un raffinato restauro sulle case e sugli hotel, affida a società terze la gestione delle strutture ricettive, come l’albergo e campeggio, mantenendone la proprietà. Realizza inoltre alcuni servizi, come il centro benessere, la birreria e le ville in CasaClima classe A, curando la compravendita a privati delle ville originarie; l’unico nodo irrisolto è rappresentato dalla Colonia, il gigantesco fuori-scala in cui viene attivato Progettoborca. Il progetto, costituisce un tentativo di avviare una serie di trasformazioni per la riattivazione permanente del luogo, non volendo quindi esclusivamente analizzarlo, ma avviando attività e lavori culturali e strategici. L’obiettivo quindi è immaginare dei modelli concreti e innovativi di riattivazione, con una serie di funzioni che aprano il villaggio al suo territorio e al resto della regione [14]. Ideato e sviluppato dall’associazione Dolomiti Contemporanee, che dal 2011 opera per la valorizzazione di siti assopiti o intorpiditi ma dall’elevato potenziale, all’interno del territorio delle Dolomiti [15]. Il Progettoborca prevede e intende mettere in atto anche un futuro legato alla candidatura di Milano e Cortina alle Olimpiadi invernali del 2026: l’ormai Ex Villaggio Eni di Corte è infatti, come già detto, ad appena 16 km da Cortina d’Ampezzo e potrebbe, per il suo contenuto fortemente ideologico di opere d’arte architettonica a cielo aperto, esempio di sensibilità ambientale e villaggio sociale, essere riutilizzato per accogliere parte degli eventi e delle attività legate all’evento olimpico, tenendo conto già da subito di tutti i temi e le problematiche connessi alla sua riconversione o smantellamento all’indomani dell’evento [16]. CONCLUSIONI La soluzione proposta da Mattei e in parte da Olivetti per un turismo collettivo e sostenibile, “educativo” da un certo punto di vista e soprattutto accessibile a persone che per classe sociale non avrebbero potuto immaginare una simile opportunità, trova fondamento quindi, in un progetto globale, con obiettivi precisi e ben definiti, che cerca di tradurre con la qualità degli spazi e dell’architettura la qualità del soggiorno di villeggiatura [11] . La stessa qualità, principalmente in Corte di Cadore, ha un effetto anche sul paesaggio che, attraverso un importante intervento di trasformazione turistica, non perde di valore ma anzi, trasforma un pendio brullo e ghiaioso in un ambiente abitabile e confortevole, non solo per gli utenti ma anche per la vegetazione e la fauna [8]. In tutti e tre i casi, quello che vediamo oggi, è il punto di arrivo di un complicato processo di studio, generazione e rigenerazione di un paesaggio antropico ad uso turistico: ciò che Corte di Cadore in primis e che Brusson e Marina di Massa sottolineano, è che non si possono fornire “ricette” universalmente valide ma almeno una lezione di come approcciare (o non) il complicato tema dell’abitare in vacanza [10]. E’ quindi, forse, l’architettura (per così dire turistica), che deve diventar duttile e resiliente ai cambiamenti che sono naturali in una società, proiettandosi in un cambiamento che deve ancora avvenire dopotutto “l’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono” [Enrico Mattei]. 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