Processo a Cesare Lombroso

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TRIBUNALE PRESSO
LA SCUOLA MILITARE TEULLIE’
Corso Italia 58 – Milano
23 maggio 2016
Processo
a
Cesare Lombroso
1
SOMMARIO
PREAMBOLO .............................................................................................................................................. 3
LA CORTE ................................................................................................................................................. 20
A) Truffa (art. 640c.p.) ................................................................................................................. 20
B) Istigazione alla discriminazione razziale e violazione della carta sui diritti dell’uomo.......... 20
C) Vilipendio di cadavere (art. 410 c.p.) ...................................................................................... 20
D) Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411 c.p.) ........................................ 20
MOTIVAZIONE ............................................................................... Errore. Il segnalibro non è definito.
Sul capo d’incolpazione A) ............................................................................................................... 21
Sul capo d’incolpazione B) ............................................................................................................... 26
Sui Meridionali............................................................................................................................. 27
Sulle donne ................................................................................................................................... 28
Su "L’uomo bianco e l'uomo di colore" ....................................................................................... 30
Sul capo d’incolpazione C) ............................................................................................................... 32
Sul capo d’incolpazione D) ............................................................................................................... 34
P.Q.M. ......................................................................................................................................................... 35
ALLEGATI................................................................................................................................................. 36
L’esame dei soggetti chiamati a deporre dalla Pubblica Accusa ................................................................ 36
DEPOSIZIONE AVVOCATO DAVIDE STECCANELLA............................................................ 37
DEPOSIZIONE AVVOCATO CRISTIANO FIORE ...................................................................... 42
Dichiarazioni rese dal Perito citato dalla Difesa......................................................................................... 48
DEPOSIZIONE DI MAURIZIO C. BOSSI ..................................................................................... 48
Primo rilievo: .................................................................................................................................... 48
Torino 21 ottobre 1909 mattina .................................................................................................... 48
Secondo rilievo: ................................................................................................................................ 49
L’incontro di Cesare Lombroso con Leone Tolstoj: .................................................................... 49
stralcio di esistenza che può illuminare su una vita. .................................................................... 49
Terzo rilievo: ..................................................................................................................................... 51
Che cosa dicono oggi di LUI (parliamo qui dell’uomo ). ............................................................ 51
2
PREAMBOLO
Grazie alla pregevole iniziativa del Gen. Camillo de Milano e dell’Avvocato Gaetano
Galeone ed alla squisita ospitalità offerta dalla scuola militare Teullie’ nella persona del
Colonnello Gioacchino Violante, è stata accolta la proposta di celebrare in questa sede
un “Processo a Cesare Lombroso” per le sue presunte responsabilità in merito alle
condotte già precedentemente illustrate e di cui verrà data precisazione nel prosieguo.
Non si tratta, ovviamente, di un processo vero e proprio, ma di una finzione scenica, di
una rappresentazione “teatrale”, di una manifestazione ludico-ricreativo-culturale, sulla
falsariga di un processo penale vero e proprio.
Tutti i protagonisti di questa manifestazione si sono cimentati con passione, con
competenza e con diligenza in un dibattimento ove i Rappresentanti della “Accusa” e
della “Difesa” hanno esaminato i testimoni e svolto requisitorie ed arringhe, dando
conto delle responsabilità dell’accusato, vere o presunte, e degli effetti che si
presumono riconducibili alle sue condotte.
E’ necessario premettere che altro è il giudizio “storico” ed “etico” sulle vicende in cui
si inquadrano i fatti di causa, altro è il giudizio “giuridico” che questa Corte è stata
chiamata a compiere.
Laddove per giuridico non può certamente intendersi un esercizio della giurisdizione in
senso proprio, atteso che questa Corte difetta di investitura istituzionale e atteso, altresì,
che per i fatti criminosi addebitati al Professor Lombroso, quantunque si fossero
rivelate fondate le contestazioni elevate dall’Illustre Rappresentante della Accusa, la
sentenza non avrebbe potuto che concludersi con la declaratoria di estinzione del reato
per morte del reo.
PROLOGO
Isabella Merzagora, Ordinario di Criminologia Presso l’Università degli Studi di
Milano e Presidente della Società Italiana di Criminologia così illustrava i fatti alla base
delle accuse contestate al Dottor Lombroso.
“Es un hombre genial, pero no es intelligente”
(J. Ingenieros, Un conclave de psicologos)
3
Lombroso ebbe uno strano destino: una vastissima fama in vita, quasi solo vituperio
dopo la morte. E’ pur vero che la sua celebrità era forse più presso il pubblico che
presso i colleghi scienziati –un po’ come gli attuali criminologi “mediatici”-, ma, fra gli
altri, fu lodato da Freud, da Jung, con qualche riserva da Zola; meno, per rimanere fra
gli scrittori, da Tolstoj il quale, dopo aver ricevuto la sua visita nel 1897, annoterà nel
diario: “E’ venuto a trovarmi un vecchietto ingenuo e limitato”. Una stroncatura, certo,
ma per parte sua Lombroso voleva incontrarlo per verificare la propria teoria circa
l’equivalenza tra genio e follia.
Lombroso dà motivi sia all’accusa sia alla difesa. Egli ebbe numerose intuizioni
geniali, e fece almeno altrettanti “scivoloni” scientifici ma anche ideologici.
Lombroso è soprattutto noto per aver rivolto l’attenzione sull’uomo che delinque
(“L’uomo delinquente” fu il suo libro più famoso), sulle sue caratteristiche di
personalità e, soprattutto, biologiche. Coerentemente con le dottrine scientifiche
dell’epoca, prima delle quali l’evoluzionismo, i pilastri della costruzione lombrosiana
furono la teoria del delinquente nato, secondo la quale un’alta percentuale dei criminali
possiederebbe disposizioni congenite, e la teoria dell’atavismo, che interpretava la
condotta criminosa del delinquente nato come una forma di regressione o di fissazione a
livelli primordiali dello sviluppo dell’uomo: il delinquente era un individuo primitivo,
una sorta di selvaggio ipoevoluto nel quale la scarica degli istinti e delle pulsioni
aggressive si realizzava nel delitto senza inibizioni.
Ecco come descrive la sua scoperta (o invenzione?): “Mi misi dunque a studiare il
delinquente nelle carceri e quivi un giorno mi imbattei in un brigante, il Vilella […]. Il
Vilella essendo venuto a morte, in una fredda e grigia mattina di novembre, io ne feci
l'autopsia, ed ecco, all'aprire del cranio, apparire all'occipite, proprio al punto dove
ordinariamente si erge una cresta, una fossa che io chiamai occipitale mediana (perché
si approfondiva in mezzo all'occipite, come presentano gli animali inferiori specie i
rosicchianti) e che corrispondeva, come in questi, ad una ipertrofia del Vermis, di
quello che chiamano cervelletto mediano degli uccelli. Questo non fu solo un'ondata,
ma un lampo rivelatore. Alla vista di quel cranio mi apparve ad un tratto, come una
larga pianura sotto un infinito orizzonte, illuminato il problema della natura del
4
delinquente, che dovrà rappresentare un Essere riproducente gli istinti feroci
dell'umanità primitiva e più degli animali inferiori”1.
Le citate teorie, improntate a rigido determinismo biologico –da qui l’opposizione
della Chiesa e dunque di Padre Gemelli-, furono quelle che lo resero più famoso e nello
stesso tempo quelle che gli attirarono maggiormente gli strali della critica.
A tale ultimo proposito, occorre però evidenziare alcune cose: la prima è che oggi le
moderne ricerche effettuate con tecniche di neuroimaging hanno riscontrato una
associazione fra comportamento antisociale violento e anomalie fisiche (minor physical
anomalies), espressioni di imperfetto sviluppo neuronale collocabile verso la fine del
terzo mese di gravidanza. Fra queste anomalie ne ritroviamo alcune già citate da
Lombroso, quali quelle relative ai lobi delle orecchie, all’asimmetria facciale, alla
minore conducibilità elettrica a livello epidermico e, quindi, alla diversa reattività.
Di lui si può affermare che avesse “anticipato di più di un secolo risultati attuali e
che vengono ricondotti a teorizzazioni, quali quella basata sull’immaturità dello
sviluppo del sistema nervoso centrale”. 2
Dopodiché ci si potrebbe chiedere: aveva solo “indovinato” ?
Si è comunque costretti ad ammettere che di intuizioni o anticipazioni felici ne ebbe
molte. Se ne possono reperire in ambiti inaspettati, anche se forse del tutto casuali: per
esempio, anticipò l’idea freudiana della mancanza di senso morale del fanciullo,
precorse gli stadi dello sviluppo del senso morale che fu poi Piaget e ci vorrà circa un
altro secolo per giungere a concludere che : “Il senso morale manca certo ai bambini
nei primi mesi ed anche nel primo anno della vita. Per essi il bene e il male è ciò che è
permesso o proibito dal papà e dalla mamma”.3
Riscontrò persino il “numero oscuro” del delitto e, in un certo senso, la “corruzione
ambientale”: “Il delitto è estesissimo e l’onestà pura è una singolare eccezione, fate la
1
Lombroso C., Prefazione al libro della figlia Gina: La nuova scuola penale, riportata
in: Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, fasc. 1-2, 1910.
2
Gatti U., Verde A. (2004), Cesare Lombroso: una revisione critica. Materiali per una
storia della cultura giuridica. XXXIV, 2, pgg. 295-314.
3
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed
alle discipline carcerarie. Delinquente nato e pazzo morale, F.lli Bocca, Torino, 1884, p.
123.
5
somma di tutti i bottegai che frodano sul prezzo, sul peso; dei professionisti che
simulano o dissimulano col cliente (truffa) per proprio vantaggio; dei professionisti che
mentono scientemente, degli impiegati che chiudono un occhio per favoritismo; degli
uomini di Governo che abusano del potere e della giustizia: abbiamo una somma di
reati tale, che è superiore a quella dei rei ufficiali”4.
Con i professionisti doveva avercela in particolar modo, e proprio con gli avvocati:
“I legali sono vetture da piazza, sulle quali possono salire il savio e il matto, chi ha
scrupolo e chi non ne ha … con una tariffa tanto per chi va al Quirinale, quanto per chi
va alla suburra”.5 ; “nello stato di vera oligarchia avvocatesca in cui si trovano le
società europee e specialmente le nostre”6. Ha parole severe anche nei confronti dei
professori universitari, ma mi sembrano meno interessanti.
Partendo da qui, un’ulteriore elemento in difesa di Lombroso è costituito dal fatto
che, benché sia stato famoso soprattutto per il delinquente nato e l’atavismo, egli si
occupò anche di altro; anzi, si interessò praticamente a tutto quello che riguardava il
crimine e che agitava il mondo pure politico della sua epoca.
A cominciare da quelli che, decenni dopo, i criminologi definirono i “delitti dei
colletti bianchi”7, cioè la criminalità economica. Quasi tutti, anche in Italia, affermano
che il primo ad occuparsi di questo tipo di delitti sia stato Edwin Sutherland negli anni
Quaranta del Novecento: potenza della propaganda americana! Perché in realtà fra i
molteplici interessi di Lombroso e nella immensa mole dei suoi scritti non mancano
riferimenti alla delinquenza economica. L’occasione che promosse l’interesse di
Lombroso per l’argomento furono gli scandali finanziari che, alla fine dell’Ottocento,
scossero non solo il mondo economico ma anche quello politico italiano (davvero non
c’è mai nulla di nuovo). L’allora Ministro delle Finanze dovette dimettersi … e fu poi
nominato conte da Vittorio Emanuele II. Fu poi la volta del caso dei Monopoli dei
4
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alle discipline carcerarie. Vol. II: Delinquente epilettico, d’impeto, pazzo e
criminaloide, 4 ed., Bocca, Torino, 1889, p. 406.
5
Lombroso C., Delitti vecchi e nuovi, F.lli Bocca, Torino, 1902, p. 256.
6
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alle discipline carcerarie. Vol. II: Delinquente epilettico, d’impeto, pazzo e
criminaloide, 4 ed., Bocca, Torino, 1889, p. 448.
7
Sutherland denominò questo tipo di criminalità White Collar Crimes, crimini dei
colletti bianchi, perché, secondo la moda dell’epoca, le persone di ceto elevato,
contrariamente agli operai e ai contadini, indossavano camicie bianche (Sutherland E.H.
(1949), White Collar Crime, Holt, Rinehart and Winston, New York).
6
tabacchi, appaltato ad imprenditori privati i quali però avrebbero pagato tangenti (forse
allora non si chiamavano così) per ottenerne la cessione. Fra i beneficiari delle somme
risultava ancora esserci Vittorio Emanuele II, evidentemente soprannominato “Re
Galantuomo” per altri motivi.
Di tutto questo si preoccuparono Lombroso e i lombrosiani, del “brigantaggio
bancario”8 e della sua pericolosità, ma dovettero anche rendersi conto dell’assoluta
inettitudine delle assunzioni della Scuola Positiva a spiegare questo tipo di delinquenza.
Era di immediata evidenza quanto la teoria dell’atavismo o quella del delinquente nato
non fossero applicabili a questi criminali; né una sorta di inversione dei termini cercata
da Lombroso con il concetto di “criminalità evolutiva” riesce a convincere. L’Autore è
in imbarazzo davanti a soggetti che hanno “i caratteri dell’uomo comune”9, che non
presentano particolarità somatiche che li distinguano. Tanto forte è la convinzione che il
delinquente queste peculiarità debba invece averle che, per non dover rinunciare a tutta
la sua costruzione, è costretto addirittura a negare che si tratti di veri e propri criminali,
li chiama dunque “criminaloidi” e li inserisce nella tipologia dei delinquenti
“occasionali”.
Nel “Positivista” non difetta una presa di posizione etica, poichè egli non rifiuta di
chiamare costoro delinquenti per attenuarne le colpe ed anzi sono frequenti nei suoi
scritti espressioni di forte impegno morale e di indignazione nei confronti dei “venerati
se non venerabili”, ma è costretto a non designarli criminali per fedeltà al suo edificio
teorico.
In sostanza Lombroso si occupa di questa criminalità e di questo criminale più da un
punto di vista morale, magari moralistico, piuttosto che scientifico; il che non esclude
intuizioni felici, purtroppo spesso abbandonate appena enunciate o, comunque, non
portate alle loro conseguenze sul piano teorico. Troviamo in nuce persino le successive
teorizzazioni circa l’attenzione differenziale delle agenzie di controllo: “in carcere non
giungono con eguale facilità tutti coloro che offendono le leggi sociali […] E nella
lotta secolare di classe la giustizia è adoperata dal ricco come stromento di potere e di
dominazione contro il povero che è già a priori condannato e condannabile solo come
tale” 10.
Così Niceforo A., L’Italia barbara contemporanea, Sandron, Palermo, 1898. p. 308.
Lombroso C., Ferrero G., Sui recenti processi bancari di Roma e Parigi, Archivio di
psichiatria, XIV, pgg. 193 sgg., 1893.
10 Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alla psichiatria, F.lli Bocca, Torino, 1897, p. 170.
8
9
7
Anche questo è un merito, pur se poi una delle critiche di metodo che gli vennero
mosse fu proprio l’aver assimilato la categoria dei criminali a quella dei detenuti
(individuando così tutt’al più le caratteristiche che fanno sì che un soggetto sia scoperto
ed incarcerato, e non quelle per le quali un soggetto delinque); e, sempre dal punto di
vista metodologico, quella di non aver usato un “gruppo di controllo”.
Charles Göring trovò, per esempio, che le caratteristiche anatomiche che Lombroso
aveva indicato quali tipiche dei delinquenti, ed addirittura “causa” del loro agire
criminale, erano in realtà riscontrabili non solo in un gruppo di detenuti ma anche, e con
la stessa frequenza, negli studenti di un college inglese presi, appunto, come campione
di controllo11.
Delle lacune metodologiche si erano accorti anche i suoi contemporanei. Del
pressappochismo lombrosiano una condanna graffiante proviene da Papini e Prezzolini:
“Quando si vede un uomo come Lombroso, il quale fa delle percentuali sopra quattro
casi; che trae le notizie sopra i grandi uomini dai più infimi dizionari biografici; che
mescola insieme delle notorietà di quartiere con dei geni europei; che moltiplica i tipi
criminali per sfuggire alle eccezioni e alle smentite; che trasforma le spiegazioni
possibili di casi particolari in casi universali; che scambia gli effetti che si riscontrano
in certi geni come le cause di qualunque forma di genialità; come si può acquistare o
conservare la fede nella scuola antropologica italiana?”12.
E’ vero, egli non fu sempre fedele al metodo sperimentale che propugnava, ma ne
richiamò sempre il valore e fu tra coloro che, in Italia, lo importarono per una branca
della medicina che lo praticava poco, la psichiatria, introducendolo in una disciplina che
non lo usava per nulla, la criminologia.
Oltre che della delinquenza economica si interessò di quella politica. Negli scritti di
Lombroso si trovano intuizioni ancora oggi interessanti per lo studio del terrorismo. Del
regicida Bresci l’Autore scrive: “dichiarava a tutti che non poteva, senza protestare,
vedere il trionfo dei ricchi, mentre tanti erano poveri; e l’irritazione crebbe quando
ebbe a soffrire quindici giorni di carcere per oltraggio alle guardie”. Lombroso, che
pure riusciva a trovare anomalie praticamente in tutti i criminali che osservava, sempre
del Bresci affermò che: “Non si nota in lui alcun carattere che lo designi per pazzo […]
11
12
Goring C., The English Convict: A Statistical Study, HMSO, London, 1913.
Papini G., Prezzolini G., La cultura italiana, Firenze, La Voce, pp. 153, 1906.
8
Anche psicologicamente, predominano in lui i caratteri dell’uomo medio”13. L’autore,
però poi, proprio constatando la contemporanea presenza di altruismo e crudeltà - una
“doppia personalità” la chiama - finisce per trovare la causa dell’adesione all’anarchia e
del delitto politico nell’isteria e nell’epilessia (nota ossessione lombrosiana).
Nei suoi scritti troviamo anche un cenno alle dinamiche di deresponsabilizzazione
proprie del gruppo che verranno riprese in tempi successivi: “quando molti s’associano
per commettere un delitto politico […] nella coscienza degli autori quel delitto scema
di gravità perché ‘peccato di tutti, peccato di nessuno’”14.
Lombroso affronta persino il tema del suicidio dei terroristi dell’epoca sostenendo,
anzi, che gli attentati da loro perpetrati fossero talora “suicidi indiretti”.
Ancora parlando di meriti Lombroso fu medico preoccupato di prevenire e curare
non solo i delitti. Due i suoi campi di studio della “medicina del corpo”: la pellagra e le
ferite di guerra.
Nello studio dell’eziologia della pellagra, per il vero, non diede il meglio di sé,
schierandosi a favore della teoria che ne identificava la causa nell’alimentazione con
mais guasto e non nell’insufficienza di cibo. In realtà anche qui vi è stata una successiva
“riabilitazione” delle tesi lombrosiane, posto che la ricerca scientifica più recente ha
dimostrato che la genesi della malattia non dipenderebbe dalla mera carenza di
vitamina, ma dal metodo di preparazione del mais che necessita, perché la vitamina PP
possa essere utilizzata dall’organismo, di un processo di idrolisi alcalina quale quello
usato in Messico, ove si usa bollire il mais in acqua di calce. Ebbene, Lombroso
raccomandava ai contadini padani di trattare il mais con il “processo messicano”. Ma,
ancora una volta, Lombroso aveva avuto l’intuizione giusta per le ragioni sbagliate,
perché era convinto che così si potesse neutralizzare il mais guasto15.
Comunque, nella lotta alla pellagra usò anche i primi metodi di comunicazione di
massa: diffuse diecimila copie di un suo opuscoletto sulla cura della pellagra che
simulava un dialogo tra un medico ed una contadina, e tra un parroco ed un contadino16.
13
Lombroso C., Delitti vecchi e delitti nuovi, Bocca, Torino, 1902.
Lombroso C., Gli anarchici, Bocca, Torino, 1894.
15
Giacanelli F. (a cura), Il medico, l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L.
(a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995,
pp. 3 ss.
16
Gatti U., Verde A. (2004), Cesare Lombroso: una revisione critica. Materiali per una
storia della cultura giuridica. XXXIV, 2, pgg. 295-314.
14
9
Più convincenti e meritori i suoi studi sulle ferite di guerra. Le occasioni furono
l’arruolamento come volontario nell’esercito piemontese nel 1859, dove fu ammesso
dopo aver conseguito una seconda laurea in chirurgia come prescritto per gli ufficiali
medici del regno sardo-piemontese; rimase in servizio fino al 1865 ma tornerà, poi, per
alcuni mesi, nel 1866, durante la nuova guerra contro l’Austria. Da queste esperienze la
pubblicazione di articoli sulla “atroce storia tracciata dalle palle nelle carni
dell’uomo”17. Un suo scritto, del 1862, anticipa l’antisepsi nel trattamento delle ferite
d’arma da fuoco in guerra e nelle amputazioni18, che proprio per suppurazioni,
setticemie, tetano, comportavano a quel tempo una mortalità elevatissima (anche il
90%)19.
Né i criminali economici, né gli anarchici, sono delinquenti nati, dunque, ed infatti
giova ricordare –sempre a difesa- che, alla prima visione che teorizzava unicamente la
“categoria” del delinquente nato, nelle successive edizioni de L’uomo delinquente
Lombroso aggiunse i delinquenti d’occasione e quelli per passione; per “passioni in
genere generose e spesso sublimi”20, per di più. Parlando dei “delinquenti d’occasione”
Lombroso si mostra consapevole dei limiti del suo campione di studio, e scrive:
“Perché, si chiederà, costoro furono sì rare volte trovati dagli antropologi criminali?
Perché noi bazzichiamo nei grandi centri criminali, ergastoli, galere, dove costoro
entrano di rado o dimorano per troppo breve tempo, o, essendovi, non colpiscono
l’attenzione nostra appunto per la nessuna differenza dall’uomo normale”21.
Non solo. Contrariamente alla vulgata, per il vero da lui stesso alimentata, non può
dirsi che fosse graniticamente teso all’unicausalità biologica: “non vi è delitto che non
abbia radice in molteplici cause”, affermò in modo lapidario. Tanto per fare un
esempio, individuò nel latifondo e nel potere “feudale” dei grandi proprietari terrieri
17
Lombroso C., Sulle ferite da palla nell’ultima campagna, Gazzetta medica italiana –
Provincie Venete, II, p. 147, 1859.
18
Lombroso C., Memoria sulle ferite d’arma da fuoco, Giornale di medicina militare,
1862.
19
Gatti U., Verde A. (2004), Cesare Lombroso: una revisione critica. Materiali per una
storia della cultura giuridica. XXXIV, 2, pgg. 295-314; Giacanelli F. (a cura), Il
medico, l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L. (a cura), Cesare
Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pp. 3 ss.
20
Lombroso C., L’uomo delinquente, Bocca, Torino, 1896-1897, vol. II, p. 415.
21
Lombroso C., Delinquenti d’occasione, Archivio di psichiatria, antropologia
criminale e scienze penali per servire allo studio dell’uomo alienato e delinquente, vol.
II, p. 323.
10
l’arretratezza dei contadini del Sud22, del pari sostenendo, tuttavia, l’inferiorità
“razziale, genetica, psicologica delle popolazioni meridionali”23.
Con tutto ciò, nel teorizzare il “delinquente nato” egli affronta l’araba fenice della
criminologia e, in parte, anche del diritto; vale a dire la possibilità di distinguere, di
fissare una linea di confine, fra delitto e follia. Il confine “che ci sia ciascun lo dice,
dove sia nessun lo sa”. L’aver fatto “cose da matti” significa “essere” matti? I delitti
più efferati e innaturali sono frutto di follia? Lombroso cerca una soluzione, magari
sbagliata, ma noi altri ancora non l’abbiamo trovata.
Uomo del suo tempo, dunque. E va anche ricordato che egli molto si occupò di cosa
fare “dei” o “per i” delinquenti, con posizioni che suscitano giudizi contrastanti. Talora
a favore della pena di morte, forse in coerenza con la visione deterministica del
“delinquente nato” e dell’idea di privilegiare la “difesa sociale” sulla visione
illuministica della difesa dei diritti dei singoli; altre volte propugnatore di misure miti,
di pene che oggi definiremmo “alternative”.
Fu anche, com’è noto, il promotore dei Manicomi Criminali. E se oggi gli Ospedali
Psichiatrici Giudiziari, loro eredi, sono stati chiusi perché ritenuti infernali gironi
danteschi, davvero dobbiamo contestualizzare il pensiero lombrosiano immaginandoci
quale dovesse essere la condizione dei detenuti malati di mente nelle carceri dell’epoca.
Infine, grazie ad un suo allievo, l’Ottolenghi, nacque la polizia scientifica.
Circa la valutazione “politica” della sua opera molti hanno criticato il fatto che fosse
funzionale alla nuova borghesia unitaria deresponsabilizzarsi circa le ingiustizie sociali
e tenere in soggezione le plebi contadine del Sud e le classi povere di tutto il Paese.
Effettivamente ridurre ad anomalie biologiche la genesi del crimine, scotomizzandone
le cause sociali, era una bella giustificazione delle carenze e dell’inerzia nelle riforme.
Tuttavia Lombroso torna spesso anche sulle condizioni disastrose della povertà
dell’epoca, e se non la erige a “causa” del crimine è solo perché lui è medico e
privilegia il suo punto di vista; parla di quello che sa.
22
Gibson M., Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia
biologica, Bruno Mondadori, 2004.
23 Citato da: Curcio A., Genealogia e metamorfosi del razzismo in Italia, in: Alietti A.,
Padovan D., Vercelli C. (a cura), Antisemitismo, islamofobia e razzismo.
Rappresentazioni, immaginari e pratiche nella società italiana, FrancoAngeli, Milano,
2014, p. 95.
11
Sembra ingiusto rimproverare a un medico di non essere sociologo; sicuramente la
sua è una costruzione centrata sulle nefandezze individuali, non su quelle del “sistema”;
ma non risparmia parole di pesante biasimo anche verso i privilegiati. Lo abbiamo già
visto a proposito dei criminali economici e possiamo aggiungere il suo giudizio sulle
banche: “quei terribili strumenti di usura e di frode che si chiamano le Banche”24.
Quelle contraddizioni continue che -oramai lo abbiamo capito- furono la cifra della
sua opera si ritrovano, infine, negli studi sull’ipnotismo e, soprattutto, sullo spiritismo.
Lombroso si occupava di questi fenomeni già da tempo quando, nel 1891, fu invitato a
Napoli ad assistere ad una seduta spiritica con la medium Eusapia Paladino. La
“preparazione” della seduta fu all’insegna del metodo sperimentale, compreso lo
spogliare la medium per evitare che avesse con sé qualche arnese atto all’imbroglio,
dopodiché fenomeni di lievitazione, voci, suoni, comparsa di rose fresche si
verificarono, e Lombroso si convertì allo spiritismo, che comunque cominciò a studiare
con apparecchi ad hoc, misurazioni, descrizioni delle funzioni psichiche implicate e,
insomma, tutto l’armamentario del suo metodo25.
In una seduta con la Paladino
compare addirittura la madre di Lombroso, e gli parla, anche se –come egli stesso
ammette- lo chiama “fio mio” e non “mio fiol”, come la donna che era veneta era solita
fare: “ma sono noti gli errori di espressione” è la spiegazione dello scienziato26.
A parte questo episodio di dabbenaggine, in fondo nell’approccio lombrosiano c’è
proprio l’esempio della mancanza di pregiudizio che deve contraddistinguere lo
scienziato. Perché non credere che ci siano più cose in cielo e in terra di quante ce ne
siano nella nostra filosofia (o scienza) e semmai provare a ricondurle ad una
spiegazione scientifica? E’ esattamente quello che vuol fare l’antropologo: “Io
ammetterei la completa incredulità nella possibilità della trasmissione, se essa ci
trasportasse nel mondo del meraviglioso, delle credenze preternaturali; ma è
precisamente l’opposto cui si viene con queste e colle altre mie pubblicazioni in
proposito; pubblicazioni in cui, all’inverso dei teologizzanti, adopero strumenti di
precisione, spettroscopi, lenti, algometri ed estesiometri. Il far rientrare i movimenti del
24
Frigessi D., La scienza della devianza, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L. (a
cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pp.
333 ss.
25
Giacanelli F. (a cura), Il medico, l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L.
(a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995,
pp. 3 ss.
26
In: Giacanelli F. (a cura), Il medico, l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F.,
Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri,
Torino, 1995, p. 323.
12
pensiero nel mondo degli altri ponderabili, non è far entrare l’umanità nel mondo
preternaturale, è anzi il preservarsela”27.
Soprattutto: “non ho creduto che il non poter spiegare questi fatti dovesse
obbligarmi a negarli”28. Cioè: è più scientifico cercare di spiegare l’inspiegabile, o
liquidarlo tout court come fola?
Neanche qui, comunque, ci si salva dalla contraddizione, perché poi il tentativo di
spiegazione che Lombroso fornisce ci lascia basiti, anche se non possiamo che fare
tanto di cappello a chi si mette d’impegno a dimostrare scientificamente l’immortalità
dell’anima: “Tutto, dunque, porta all’ipotesi che l’anima risulti di una materia
radiante, probabilmente immortale, certo resistente a molte centinaia d’anni, e che
centuplichi d’energia tanto da raggiungere quella dell’uomo vivo, assimilando alla
propria la materia radiante di cui trovansi ad esuberanza provvisti i medii durante la
trance”29.
A questo punto, però occorre venire alle dolenti note. Anche in materia di
pregiudizio egli non fu se non un “uomo del suo tempo”, che di solito è l’espressione
che si usa quando si vogliono giustificare gli spropositi di chi ci ha preceduti.
Per cominciare, le pagine che ha scritto sull’epilessia sono fra le più imbarazzanti
(vogliamo dir così?) della sua produzione. Nelle diverse fasi della sua opera, ed in
particolare nelle susseguenti edizioni de “L’uomo delinquente”, Lombroso attribuisce la
causa individuale del crimine, prima all’atavismo, poi alla “follia morale”, finalmente
all’epilessia, che assurge anzi a summa delle precedenti criminogenesi e quasi a teoria
unitaria. “Quasi” perché la coerenza e la sistematicità non sembrano essere state le
preoccupazioni principali dello studioso. “Né, ben inteso, la fusione della pazzia morale
27
Lombroso C., Inchiesta sulla trasmissione del pensiero, Archivio di psichiatria,
antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell’uomo alienato e
delinquente, vol. XII, p. 105.
28
Lombroso C., I nuovi orizzonti della psichiatria, in: Giacanelli F. (a cura), Il medico,
l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 315.
29
In: Giacanelli F. (a cura), Il medico, l’alienista, in: Frigessi D., Giacanelli F.,
Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri,
Torino, 1995, pp. 320-321.
13
coll’epilessia esclude l’atavismo”; “tutte le malattie mentali producono già una
intermittente pazzia morale, ma l’epilessia una più costante, più continua” 30.
Egli scriverà addirittura un articolo dal titolo “Identità dell’epilessia colla pazzia
morale e delinquenza congenita”, in cui si afferma: “è certo che la delinquenza nata e
la pazzia morale non sono che forme speciali di epilessia”31.
La scoperta della centralità dell’epilessia nella criminogenesi sarebbe dovuta
all’osservazione di alcuni casi peritali. Uno fu quello del delinquente Misdea: costui,
prestando servizio militare, uccise sette commilitoni e ne ferì tredici solo perché era
stato dileggiato. Un mass murder ante litteram. Vi fu poi il brigante Musolino, sul quale
così si esprime Lombroso: “Dell’epilessia ha anche, oltre l’agilità straordinaria per cui
superava i precipizi più spaventevoli, l’eccessiva impulsività e il carattere
contraddittorio, ora eccessivamente agitato e verboso, ora muto e instupidito come un
idiota […], ora sospettoso, diffidente, ora fanciullescamente ingenuo, e l’intermittente,
bestiale ferocia sanguinaria alternante con una certa bonarietà”32.
Al delinquente ed epilettico - che poi sono per lui praticamente sinonimi ( “mi
balenò in mente il sospetto che la grande criminalità fosse una forma di equivalenza
dell’epilessia)”33- l’Autore attribuisce tante e tali caratteristiche negative che è fin
increscioso ricordarle. Più volte ritorna persino sul cannibalismo: “l’epilettico commette
spesso atti atavistici, come abbaiare e mangiare carne umana”34. Ovvia la conclusione:
“E così si spiega la enorme frequenza di veri epilettici fra i criminali, che già si
calcolava prima il decuplo almeno del normale, ma che, con uno studio più diligente,
arriva fino al centuplo”35.
Intendiamoci, qualche merito agli epilettici Lombroso lo riconosce; per esempio non
poche volte fra loro trova uomini di genio – e cita Giulio Cesare, San Paolo, Petrarca,
30
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alle discipline carcerarie. Vol. II: Delinquente epilettico, d’impeto, pazzo e
criminaloide, 4 ed., Bocca, Torino, 1889, p. 108.
31
In: Villa R., Il deviante e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell’antropologia
criminale, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 181.
32
Lombroso C., L’ultimo brigante – Giuseppe Musolino, in: Frigessi D., Giacanelli F.,
Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri,
Torino, 1995, p. 283.
33
Lombroso C., Il mio museo criminale, II, a. XXXIII, n. 13, 1° aprile, in: Frigessi D.,
Giacanelli F., Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati
Boringhieri, Torino, 1995, p. 327.
34
In: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto,
Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 567.
35
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alle discipline carcerarie. Vol. II: Delinquente epilettico, d’impeto, pazzo e
criminaloide, 4 ed., Bocca, Torino, 1889, p. 59.
14
Newton, Maometto, Haendel, Swift, Flaubert, Dostoyewki, Pietro il Grande, Molière,
Richelieu, Napoleone36- ma solo per l’equivalenza che egli pone fra delitto, genio e
follia. Ipotizza che anche Dante Alighieri fosse epilettico, come dimostrerebbe il
ricorrere di descrizioni di cadute nella Commedia, ed in particolare il passo: “e caddi
come corpo morto cade” (Inferno, V, 142). Una vera e propria prova scientifica!
Comunque, il “pregiudizio in positivo” sempre pregiudizio è, nel senso che è pur
sempre un modo di differenziare, di negare “normalità”.
La diagnosi che egli formula di epilessia è approssimativa, fatta con “istrumenti”
(come direbbe lui) che non sono certo quelli odierni, e di ciò non gli si può certo fare
carico, ma soprattutto - e qui invece la colpa è sua - la diagnosi è fatta invertendo i
termini logici: Lombroso non fa diagnosi di epilessia, ma trova l’epilessia ogniqualvolta
è al cospetto di un crimine, specie se efferato.
Lombroso
più
volte
amplierà
i
confini
della
diagnosi
ad
uso
e
consumo della propria tesi, affermando esservi epilessia anche in assenza dei classici
sintomi37. E ancora, se di fronte ai più atroci delitti l’epilessia proprio non si riesce a
trovare, si ricorre agli “equivalenti epilettici” o alla “epilessia larvata” o
all’“epilettoidismo” o al “tipo epilettico”. Così, i conti tornano sempre.
Ora, considerate che sono una donna –si dovrebbe vedere-, il che mi pone già in una
condizione scomoda; per di più non rappresento esattamente il prototipo dell’ariano:
credo si veda pure questo. Lo dico perché, quando si parla di pregiudizio lombrosiano,
ce n’è per tutti.
Lombroso non ha risparmiato le donne, le “razze colorate”, gli Zingari, gli
omosessuali, persino gli Ebrei!
Le donne per cominciare: “La donna delinquente” di Lombroso e Ferrero38 più che un
libro è un libello (per di più noioso). Il loro lavoro riproduce la metodologia e la
filosofia che guidano il discorso sull’epilessia e si risolve in un miscuglio di misurazioni
ossessive che non distinguono accidentalità da fattori causali; contiene aneddoti
antropologici di incerta derivazione, osservazioni tratte dal mondo animale e troppo
disinvoltamente trasferite allo “animale culturale”; constatazioni di differenze sociali che
36
Lombroso C., L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza
ed alle discipline carcerarie. Vol. II: Delinquente epilettico, d’impeto, pazzo e
criminaloide, 4 ed., Bocca, Torino, 1889, p. 11.
37
“vi può essere epilessia con convulsioni assai rare, anche senza” (Lombroso C.,
Bianchi L., Misdea e la nuova scuola penale, Bocca, Torino, 1884).
38
Lombroso C., Ferrero G., La donna delinquente, la prostituta e la donna normale,
Fratelli Bocca, Torino, Quinta Edizione, 1927.
15
vengono date come biologiche e immodificabili; addirittura proverbi che abusano della
dignità di prova scientifica per tradursi nella quintessenza del pregiudizio.
Così, la donna “normale” - intendendosi quella non prostituta e non criminale, quella
“naturalmente e organicamente monogama e frigida”39- ha minor capacità cranica del
maschio, è meno intelligente, più ottusa nella sensibilità degli organi, meno creativa
dell’uomo, con minore sensibilità morale e ancor più deficiente sentimento della
giustizia; in compenso più dissimulatrice, più crudele, più suggestibile, più dipendente e
soggetta, una “innocua semi-criminale” anche quando è onesta, e per tutta la vita “una
bambina grande”, paragonabile addirittura al cane!40.
Le citazioni sarebbero davvero tante, e diventerei noiosa come Lombroso, ma
permettetemi alcune: “le donne di genio presentano frequentemente caratteri maschili,
onde il genio potrebbe spiegarsi nella donna […] per una confusione di caratteri
sessuali secondari”41; forse la spiegazione si può trovare nella “selezione naturale”:
“questo ribrezzo che mostriamo noi, almeno in Europa, per la donna di vero ingegno,
deve aver operato una selezione alla rovescia”42 (cioè, si sposano solo le cretine).
In Lombroso e Ferrero si giunge ad affermare che la minore propensione delle donne
al crimine sia da inscriversi, fra l’altro, alla loro presunta natura più conservatrice,
all’immobilità dell'ovulo in confronto allo spermatozoo43.
Qui però c’è una curiosa incongruenza: l’epilessia vede maschi e femmine equamente
rappresentati; ed allora, se è l’epilessia a causare il delitto, come si spiega che le donne
delinquano meno? Lombroso non se lo è chiesto e se avessimo potuto domandarglielo
noi probabilmente sarebbe ricorso all’idea della prostituzione come comportamento
sostitutivo ed equivalente della delinquenza, stessa interpretazione usata per “spiegare”
come mai le donne delinquono meno se la causa della delinquenza è l’atavismo, senza
essere costretti a concludere per una loro maggiore evoluzione rispetto ai maschi, il che
era inaccettabile.
39
Lombroso C., Ferrero G., La donna delinquente, la prostituta e la donna normale,
Roux & C., Torino, 1893, p. 58.
40
Lombroso C., Ferrero G., La donna delinquente, la prostituta e la donna normale,
Fratelli Bocca, Torino, Quinta Edizione, 1927, pg. 93.
41
Lombroso C., Ferrero G., La donna delinquente, la prostituta e la donna normale,
Roux & C., Torino, 1893, p. 160.
42
Loimbroso C., in: Frigessi D., La scienza della devianza, in: Frigessi D., Giacanelli
F., Mangoni L. (a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri,
Torino, 1995, p. 611.
43
“Fu pure notata dai cultori del diritto pubblico la tendenza conservatrice propria della
femmina, in materia di giudizi sugli ordinamenti sociali. Una prima ragione di questo
fatto potrebbe trovarsi nella immobilità dell’ovulo in confronto alla mobilità dello
zoosperma” (Lombroso, Ferrero, cit.,1927, pg. 211).
16
A parte questi -troppi-, paradossi “La donna delinquente” contiene anche
osservazioni anticipatorie ed acute e parole di pietà e di condanna per la società
dell’epoca che, costringendo alcune donne alla miseria o a nozze “bottegaie”, o alla
tirannia di un marito violento o al “disonore” se madri nubili, favoriva il loro crimine, in
particolare l’uxoricidio, l’infanticidio, la prostituzione, l’aborto (allora sempre
criminoso). “Le infanticide, molte delle quali delinquono per un sentimento d’onore
esagerato, di cui è causa l’infamia che annette la società nostra alla maternità
illegittima, mentre non rende obbligatoria al maschio la riparazione, né dà diritto alla
ricerca della paternità, non lasciando alla femmina altra alternativa che o cancellare le
tracce di un’immensa gioia che per lei sola si converte in una immensa sventura, o
restare per sempre infamata”44.
Altre asserzioni sono dettate da un senso di resipiscenza: “coercizioni ridicole e
crudeli, prepotenti sempre, colle quali certo abbiamo contribuito a mantenere e, quel
che è più triste, ad accrescere la inferiorità sua, per sfruttarla a nostro vantaggio, anche
quando ipocritamente coprivamo la docile vittima di elogi a cui non credevamo, e che,
piuttosto di un ornamento, erano una preparazione a nuovi sacrifici”45.
Insomma, Lombroso dice e disdice con una certa disinvoltura.
E poi, scusate, avete visto una foto di Lombroso e sua moglie? Bè, alcune cose si
possono anche capire ….
Ci sono poi le “razze colorate”: “Al Negro deve somigliarsi […] l’uomo primitivo, se
è vero che le specie zoologiche superiori si formano dal perfezionamento delle
inferiori, dal Negro dovette derivare il Giallo e il Bianco”, e con una certa
preoccupazione: “Si tratta di sapere se noi bianchi, che torreggiamo orgogliosi sulla
vetta della civiltà, dovremo un giorno chinare la fronte dinanzi al muso prognato del
negro ed alla gialla e terrea faccia del mongolo”46. Naturalmente, poi, “molti dei
caratteri che presentano gli uomini selvaggi, le razze colorate, ricorrono anche
44
Lombroso C., L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla
medicina legale ed alle discipline carcerarie, Bocca, Torino, 1889, p. 132.
45
In: Frigessi D., La scienza della devianza, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L.
(a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p.
631.
46
Lombroso C., L’uomo bianco e l’uomo di colore, Sacchetto, Padova, pp. 170 e 5.
17
spessissimo nei delinquenti abituali”47. Se avesse trovato un criminale nero epilettico
sarebbe andato in brodo di giuggiole!
Non dimenticò naturalmente gli Zingari, facilissimo bersaglio, che descrisse come
“l’immagine viva di una razza intera di delinquenti, e ne riproducono tutte le passioni e
i vizj”48
Purtroppo le affermazioni sulle “razze”, più o meno colorate, si prestavano a pessime
strumentalizzazioni, sicché il Manifesto degli Scienziati Fascisti pubblicato nel 1938,
anno della promulgazione delle leggi razziali, esordiva proprio con alcune enunciazioni
lombrosiane.
Quanto agli Omosessuali, nel 1906 Lombroso pubblica in francese “Du parallelisme
entre l’homosexualité et la criminalità innée” in cui, alla luce di osservazioni
fisiognomiche, delinea l’equivalenza fra criminalità e omosessualità, descrivendo la
frivolezza, l’egoismo, la gelosia, la falsità, la tendenza al mendacio e al pettegolezzo
che si osserverebbero negli omosessuali; per soprammercato, sostiene che sia le
tendenze criminali che la “inversione” possano essere “equivalenti epilettici”49.
Infine, ho detto: “persino gli Ebrei” perché Ezechia Lombroso, detto Cesare e figlio
di Aronne Lombroso e di Zefora Levi, scrive “L’antisemitismo e le scienze moderne”50
con l’intento dichiarato di sfatare il pregiudizio antisemita, ma lo fa in modo piuttosto
curioso, cioè affermando che gli Ebrei sono ariani: “Ei sono già un popolo molto più
ario che semita […] la prevalenza Aria è […] certa negli ebrei antichi, e ciò senza
parlare delle numerose mistioni avvenute poi nelle epoche più moderne […] tutto
l’antagonismo etnico se ne sfuma […] al lume della craniologia”51.
Fatto si è che, benché numerosi esponenti della scuola lombrosiana aderissero al
fascismo (Ferri, Niceforo, Ottolenghi), molte sue opere furono eliminate dalle
biblioteche pubbliche in seguito alle leggi razziali. Come dire: la nemesi.
47
In: Villa R., Il deviante e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell’antropologia
criminale, Franco Angeli, Milano, 1985.
48
Lombroso C., L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla
medicina legale ed alle discipline carcerarie, Hoepli, Torino, 1876, p. 128.
49
In: Granieri E., Fazio P. (2012), The Lombrosian prejudice in medicine. The case of
Epilepsy. Epileptic psychosis. Epilepsy and aggressiveness. Neurol Sci., 33:173–192.
50
Lombroso C., L’antisemitismo e le scienze moderne, Roux e C., Torino, 1894.
51
In: Finzi R., Il pregiudizio – Ebrei e questione ebraica in Marx, Lombroso, Croce,
Bompiani, Milano, 2011, pp. 61 sgg.
18
Su questo argomento, però, Lombroso non fu profeta, o forse lo fu fin troppo: “Per
cui, se l’antisemitismo vincesse, raggiungerebbe un fine perfettamente opposto a quello
a cui mira, a meno che, cosa impossibile nei nostri tempi52, in Europa non distruggesse
completamente gli Ebrei”53.
§§§§§§§§
All’esito dell’udienza tenutasi in data 23 maggio 2016 nella sede della Scuola Militare
Teulie’ di Milano; udito il prologo offerto dalla Professoressa Isabella Merzagora,
Ordinario di Criminologia Presso l’Università degli Studi di Milano e Presidente della
Società Italiana di Criminologia che ha illustrato i fatti alla base delle accuse mosse al
Dottor Lombroso; acquisite nel corso dell’istruzione dibattimentale le testimonianze a
carico dell’Avv. Cristiano Fiore, dell’Avv. Davide Steccanella e, a difesa, del Prof.
Claudio Bonvecchio e del Dott. Maurizio Bossi; acquisiti i documenti e i testi storici e
biografici indicati dalle Parti; udito l’imputato; sulle conclusioni assunte dalla Pubblica
Accusa rappresentata dall’Avv. Paolo Grande - che insisteva nella richiesta
dell’affermazione della penale responsabilità del Prof. Lombroso in ordine a tutti i fatti
in contestazione - e della Difesa, sostenuta dall’Avv. Franz Sarno - che chiedeva la
piena assoluzione dell'imputato dalle accuse formulate nei suoi confronti con la formula
ritenuta di giustizia - la Corte, ritiratasi in camera di consiglio, ha emesso la sentenza.
52
Il corsivo è mio.
In: Frigessi D., La scienza della devianza, in: Frigessi D., Giacanelli F., Mangoni L.
(a cura), Cesare Lombroso - Delitto, Genio, Follia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p.
523.
53
19
LA CORTE
Composta dai Sig.ri Magistrati:
Dr.ssa Carla Romana Raineri
Presidente
Dr.ssa Jole Milanesi
Consigliere
Dr.ssa Ilaria Simi de Burgis
Consigliere
Nel “processo” nei confronti di Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nato a Verona
il 6 novembre 1835, morto a Torino il19 ottobre 1909, medico, antropologo e giurista,
tratto a giudizio per rispondere delle imputazioni di seguito indicate :
A) Truffa (art. 640c.p.)
perché con artifizi e raggiri induceva in errore la comunità scientifica propalando false
teorie sull’origine del crimine come manifestazione di una patologia organica, nella
consapevolezza dell’arbitrarietà delle sue teorie, al fine di procurarsi l’ingiusto profitto
dell’attribuzione di cattedre universitarie ed onorificenze in conseguenza della sua
condotta; nonché poichè, abusando della credulità popolare, induceva i suoi seguaci a
perdersi nelle nebbie mentali dello spiritismo.
B) Istigazione alla discriminazione razziale e violazione della carta sui diritti
dell’uomo.
poiché con le sue condotte, consistenti nella divulgazione di teorie sulla predisposizione
a delinquere di persone portatrici di determinate caratteristiche fisiognomiche o di
patologie quali l’epilessia, la deformità fisica ed altro, creava, con la teoria del
“delinquente nato”, una sorta di nuova infelice razza, additando come deviati sociali gli
individui di cui sopra, nonché le donne e i meridionali.
C) Vilipendio di cadavere (art. 410 c.p.)
per aver indebitamente utilizzato resti umani, nella specie parti di crani, come
soprammobili - fermacarte ed altro - esponendoli quali oggetti di curiosità con modalità
non necessarie all’espletamento di attività lecite o di studio, ma con evidente condotta
idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti.
D) Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411 c.p.)
Per essersi illecitamente procurato resti umani senza autorizzazione, al fine di compiere
esperimenti per dar credito alle sue teorie pseudoscientifiche.
20
ha emesso la seguente
SENTENZA
Sul capo d’incolpazione A)
Truffa (art. 640c.p.)
Per valutare la responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato contestato dalla
Pubblica Accusa nel primo capo di imputazione giova ripercorrere la figura del
Lombroso e calare il personaggio nell’epoca in cui è vissuto.
Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare (Verona, 6 novembre 1835 – Torino, 19 ottobre
1909), nacque, terzo di sei figli, da Aronne e Zefora Levi, ebrei strettamente osservanti.
I Lombroso avevano origini sefardite e pare che, dopo un periodo trascorso in Tunisia,
avessero raggiunto la Toscana, quindi Venezia e, infine, Verona.
I testi consultati da questa Corte giudicante ci riferiscono che la formazione del giovane
Lombroso è stata fortemente influenzata dal cugino David Levi e dagli scritti del
medico Paolo Marzolo: il primo, importante esponente del Risorgimento, lo avvicinò al
culto della ragione e della libertà di pensiero, portandolo ad opporsi alla religiosità
intransigente del padre; l'altro lo introdusse all'uso della linguistica quale strumento per
definire la storia umana. Su queste basi il Lombroso maturò la scelta di abbandonare le
scuole pubbliche per proseguire la propria istruzione privatamente, ritenendo
l'educazione ufficiale divergente dalle proprie inclinazioni.
Nel 1853 si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Pavia che era,
in quegli anni,
rappresentata da cattedratici particolarmente impegnati
comparazioni tra l'ambito anatomico e quello fisiologico, nonché
dell'anatomia patologica.
21
nelle
negli studi
Questo, dunque, era l’humus nel quale l’imputato visse gli anni della sua formazione. Il
Lombroso, entusiasta della sua indipendenza, delle nuove amicizie e dell'abbondanza di
materiale a cui attingere per i suoi studi, estese il suo interesse anche alla storia naturale
ed alla botanica, oltrechè alla anatomia, muovendo dal concetto, dominante all'epoca,
dell' "unità della Natura" .
Dal 1870,
il Lombroso concentrò i suoi studi sull’antropologia, dei pazzi e dei
criminali, effettuando analisi autoptiche alla ricerca di quelle peculiari caratteristiche
ossee che rivelassero un nesso tra l'evoluzione naturale della specie ed i comportamenti
del singolo all'interno del contesto sociale.
Nacque così in lui la convinzione che in taluni criminali fossero presenti caratteri
atavici d'involuzione, ovvero di mancata evoluzione, che, secondo le sue teorie,
avrebbero, in una certa qual misura, motivato le manifestazioni anomale della loro
condotta, indipendentemente dall'atto di scelta volontaria e cosciente. Questo approccio,
vistosamente influenzato da un determinismo assoluto, inevitabilmente, impose al
Lombroso l’urgenza di ridefinire, anche, le teorie del delitto.
Se questo è quanto può desumersi dalla consultazione delle fonti storiche, nondimeno
va osservato che egli è tuttora definito dalle nostre enciclopedie (cfr. Wikipedia) un
medico, antropologo e giurista italiano e considerato uno dei padri della criminologia.
22
E a Lombroso viene unanimemente riconosciuto il merito di aver tentato un primo
approccio sistematico allo studio della criminalità, tanto che ad alcune sue ricerche si
ispirarono Sigmund Freud e Carl Gustav Jung per alcune teorie della psicoanalisi
applicata alla società.
Dunque, nonostante le critiche che possono essere rivolte all’imputato sotto il profilo
scientifico (ed in verità, al termine di un controverso percorso accademico e
professionale, Lombroso venne anche radiato, nel 1882, dalla Società italiana di
Antropologia) la figura che emerge non è certo quella di un truffatore, id est di un
callido decettore che elabora le proprie teorie allo scopo di trarne benefici, ingannando
la comunità scientifica.
Egli è, al contrario, un uomo figlio dei propri tempi, travolto dal fervore positivistico,
interessato alla storia dell’uomo, alla sua origine ed evoluzione, ed alla varietà delle
popolazioni.
Difetta dunque, ad avviso di questa Corte, l’elemento psicologico nella commissione
del supposto reato.
Il Lombroso, lungi dal coltivare l’intento di ingannare la comunità scientifica, era
piuttosto pervaso dalla presunzione di convincere il mondo accademico della bontà
delle sue tesi. Voleva reclamare il primato dell'antropologia criminale sul diritto penale,
23
Era fermamente convinto, in un crescente delirio che spesso gli ha preso la mano, di
essere riuscito ad individuare il tipo criminale, isolandone le caratteristiche
fisiognomiche con lo scopo di contribuire alla formazione di un’identità italiana sana
nel corpo e nella mente: uno scopo sociale, dunque, che avrebbe dato nuovo senso al
pensiero fisiognomico, da un canto, e parimenti rifondato l'esperienza penale su basi
scientifiche.
Come fondatore dell'antropologia criminale e fautore di quella corrente della psicologia
che assumeva le caratteristiche fisiche come indizi esterni delle condizioni mentali che
predisponevano al crimine, egli ha semplicemente, quanto illusoriamente, tentato di
accreditare le proprie teorie nella assoluta convinzione della loro “scientificità”.
E per escludere la sussistenza del dolo, ove non bastasse considerare l’ardore febbrile e
la tenacia con la quale il Lombroso ha ostinatamente condotto le sue ricerche e difeso le
proprie tesi, si consideri che già nell'anno 1869 studiosi inglesi avevano condotto
esperimenti e argomentato sulla capacità cranica dei delinquenti e dei pazzi e che il
Golgi stesso aveva approfondito gli aspetti e le relazioni eziologiche tra delitto e pazzia.
Va poi escluso, in forza di quanto dallo stesso Lombroso esposto nei suoi scritti, che
l’imputato abbia affermato il valore delle pratiche ipnotiche e spiritistiche per
ottenere maggior credito, ovvero più seguaci, od anche solo più lettori, abusando
della credulità popolare.
In nessun modo, nel suo atteggiamento rispetto a questi fenomeni, si può
intravvedere l’impostura e l’approfittamento dell’inclinazione delle persone alla
superstizione.
Al contrario, il Lombroso ha più volte sostenuto come fosse “evidente il grave
pericolo ed i grandi danni che possono nascere dall’abuso ed anche dal solo uso
24
dell’ipnotismo .…” e nel richiedere di impedire quella che ha chiamato “l’epidemia
ipnotica” ha mostrato un pensiero libero dalle convenzioni e da falsi moralismi.
Dall’altra parte il Lombroso, analizzate le tesi avanzate nell’ultimo ventennio
dell’ottocento dalla Scuola Francese (in particolare riportandosi agli scritti di
Hyppolite Bernheim e di Jean-Martin Charcot), ebbe a sostenere l’utilità dell’ipnosi,
sia per cercare di comprendere “i limiti della volontà umana”, sia in funzione
terapeutica, in particolare con riferimento all’isterismo.
Partendo dalle sue ricerche in questo campo Lombroso ha poi formulato alcune tesi,
successivamente portate alle estreme conseguenze, anche in materia di spiritismo,
ritenendo di aver rintracciato la spiegazione ad entrambi i fenomeni alla luce delle
più recenti scoperte in ambito scientifico.
Sostenne, in proposito, che “il pensiero è collegato ad un continuo movimento
molecolare della corteccia cerebrale” e che lo stesso può essere influenzato anche a
distanza (suggestione a distanza) e pure da “corpi inorganici”, osservando che “nella
fisica la trasmissione del pensiero non offre seria difficoltà di spiegazione, una volta
che si ammetta che sia un fenomeno di movimento come tutte le altre forme di
energia da noi conosciute sotto il nome di elettricità, magnetismo, calore, luce,
suono”.
“Le leggi sulle onde di Hertz, spiegano in gran parte la telepatia, così le nuove
scoperte sulle proprietà radioattive di alcuni metalli” sosteneva, ancora, il
Lombroso. Nello spiegare lo spiritismo faceva riferimento “al mondo dell’inconscio”
e, richiamandosi alle tesi di Meyers, affermava che “questi fenomeni accadono
perché, oltre alla comune personalità cosciente che agisce e che pensa, noi
possediamo una seconda personalità incosciente, di una portata a volte superiore
alla cosciente, in cui sono conglobate le facoltà andate successivamente perdendosi
nella lotta per la vita, per esempio il senso della direzione, del tempo, dei
presentimenti, delle telepatie”.
25
Lombroso si diceva convinto che il far “rientrare i movimenti del pensiero nel
mondo degli altri ponderabili, non è far entrare l’umanità nel mondo preternaturale,
è anzi il preservarla”. Con orgoglio affermava di “non aver creduto che il non poter
spiegare questi fatti dovesse obbligarlo a negarli”, rivendicando così ancora una
volta l’atteggiamento libero da pregiudizi proprio dello studioso.
Si trattava, d’altra parte, di un’epoca in cui stavano aprendosi nuovi orizzonti, sino a
quel momento del tutto inesplorati, nel mondo della fisica, della medicina, della
psichiatria e della psicanalisi. L’imputato, benchè pienamente consapevole di poter
essere accusato di avventurarsi “nell’assurdo, nel paradosso ed addirittura
nell’immorale” non ha esitato a sperimentare e, quindi, a cercare di comprendere e
“razionalizzare” questi fenomeni, avanzando ciò che noi ora possiamo definire delle
mere ipotesi di lavoro prive di scientificità, ma senza perciò voler abusare della
credulità di alcuno e senza alcuno scopo di profitto personale.
In conclusione la Corte ritiene che l’imputato debba essere assolto dall’imputazione in
esame perché il fatto non costituisce reato, difettando nella sua condotta l’elemento
soggettivo (dolo) previsto e punito dall’art. 640 cod. pen.
Sul capo d’incolpazione B)
Istigazione alla discriminazione razziale e violazione della carta sui diritti
dell’uomo.
Secondo quanto emerso all’esito dell’odierno dibattimento e sulla base delle risultanze
storiografiche che costituiscono fonti attendibili dalle quali trarre convincimento, può
dirsi anzitutto accertato, con sufficiente grado di attendibilità, che Lombroso non abbia
risparmiato da un giudizio di inferiorità le donne, i meridionali, le “razze colorate”, gli
Zingari, gli omosessuali e persino gli Ebrei.
In generale ed in questo caso in particolare, è tuttavia impossibile pervenire ad un
giudizio senza tener nel debito conto il contesto nel quale le accuse rivolte all’imputato
prendono forma.
26
Come
abbiamo
sentito,
Cesare
Lombroso,
medico,
psichiatra,
antropologo,
criminologo, cosmopolita e colto, di famiglia ebrea, era cresciuto nel fervore del
Risorgimento e in opposizione alla chiesa cattolica ed era un fervente sostenitore
dell'evoluzionismo darwiniano. Aderì al credo ed alla visione scientifica positivista,
concentrandosi sull'antropologia.
L'antropologia costituiva il fondamento del positivismo evoluzionistico erigendosi,
come sintesi di anatomia, geologia, archeologia, linguistica, storia e statistica.
Il fattore antropologico, perno delle teorie di Lombroso, contribuiva a saldare la cultura
italiana a quella europea all'interno del fervore positivistico, sfociato nell’aspro
confronto, tra Chiesa e Stato, e quindi ci si poteva aspettare dal Lombroso posizioni
illuminate sull’argomento di cui stiamo trattando.
Sui Meridionali
Per quanto riguarda i meridionali in particolare, aveva aderito al socialismo e si era
battuto a più riprese, per alleviare la spaventosa miseria del proletariato meridionale.
Prova ne sia il suo libro "In Calabria", che è un ottimo paradigma dell'intera produzione
Lombrosiana dove l'autore dedica pagine incisive alle piaghe che affliggono quella
regione, parlando di povertà, emigrazione, disastrosa igiene pubblica e istruzione.
Lombroso non perde occasione per indirizzare critiche feroci al governante di turno
stigmatizzando che "la sospirata unificazione d'Italia, troppo più formale che
sostanziale, non ha recato alcun profitto nei rami più importanti della convivenza
calabrese.
Nonostante dunque individuasse nel latifondo e nel potere “feudale” dei grandi
proprietari terrieri l’arretratezza dei contadini del Sud, di contro insisteva nel sostenere
27
l’inferiorità “razziale, genetica, psicologica delle popolazioni meridionali, alimentando
così le credenze popolari sulla inferiorità dei meridionali.
In contrapposizione al mito di una omogenea razza italica, Lombroso credeva che
esistessero due tipi di italiani: i settentrionali di origini ariano-nordiche e i meridionali
di stirpe negra e africana.
Partendo proprio da questo presupposto e dai pregiudizi riservati verso i nativi
del Mezzogiorno, divulgava, a suo parere lecitamente, il concetto secondo cui i
meridionali erano più inclini alla criminalità, al vagabondaggio ed alla pigrizia, rispetto
alle popolazioni del settentrione, propense ad una vita stabile.
Da quanto sopra e benchè la figura di Lombroso fosse certamente ricca di
contraddizioni, non può che conseguire che le tesi da lui sostenute, alimentate e
divulgate, comportassero istigazione alla discriminazione nei confronti dei soggetti nati
nella parte meridionale della nostra Italia.
Sulle donne
Passiamo ora a considerare le “piccole Donne “ di Lombroso.
Non si tratta di fare una crociata anti-Lombroso, ma l’uomo, mentre stava scrivendo La
donna delinquente, quasi tutte le sera, a Torino, con la sua famiglia, cenava e
intratteneva rapporti di amicizia e di scambi intellettuali con la rivoluzionaria e
femminista russa Anna Kuliscioff.
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Si può dire che Lombroso fosse un progressista sincero, purché il progresso non si
applicasse alle donne.
Valga per tutto ricordare che il Professore arrivava anche a sostenere la tesi che se la
criminalità femminile è molto meno diffusa di quella maschile ciò dipende dal fatto che
le donne sono più deboli e più stupide degli uomini.
In ogni caso va detto che i suoi studi sono inseriti nel suo tempo. Non a caso“ La donna
delinquente” ebbe un immediato successo anche all'estero, proprio negli anni in cui la
violenza misogina si era fatta impressionante e praticamente tutte le forme della
scienza, compresa la nuova sessuologia, parevano impegnate a stabilire l'inferiorità e la
pericolosità delle donne, che avevano cominciato a reclamare diritti, istruzione, voto,
parità giuridica, lavoro.
L'attenzione che le donne attiravano su di sé era influenzata dal progresso industriale e
sociale che segnava la fine del XIX secolo; la modernizzazione aveva mutato il ruolo
della donna aprendo loro le porte del lavoro nelle fabbriche.
Negli stessi anni iniziavano ad avanzarsi richieste di parità di diritti, ma l'inferiorità
della donna rispetto l'uomo era ancora sancita ovunque, compreso il Codice Pisanelli
del 1865, che negava ad esse l'uguaglianza davanti alla legge e sottometteva la moglie
al marito.
La classificazione delle donne avveniva sulla base del loro rapporto con gli uomini e ne
conseguivano atteggiamenti sospettosi verso quelle che mostravano una certa
indipendenza.
Non vi è dubbio che Lombroso ne La donna delinquente tentò di dimostrare in modo
scientifico che la minor delinquenza delle donne era conseguenza proprio della loro
inferiorità.
L'anatomia e la biologia della donna diventavano strumenti di conferma della sua
inferiorità.
In particolare l'utero veniva ritenuto il principale responsabile dell'agire femminile, con
l’esplicita affermazione che "il problema della donna risiedeva nell'utero che «domina
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l'intero organismo», rendendo le ossa e i tessuti deboli e la sensibilità «mobile,
impetuosa»".
Tutto ciò premesso, non appare possibile negare che il contributo di Lombroso,
attraverso “la donna delinquente”, rappresenti un passaggio rilevante nel fondare la
credenza dell’inferiorità della donna e quindi di giustificare ogni discriminazione a suo
danno.
Giova sottolineare in proposito che nonostante le teorie positiviste inducessero ad
assegnare una diversa imputabilità alle donne (dovendosi tener conto dell'instabilità
della natura femminile, cosicchè molte delle condotte dovevano essere considerate
poste in essere in stati che alteravano la personalità della donna, come ad esempio la
gravidanza) tali tesi non avevano trovato accoglimento nel sistema penale dell’epoca.
Prova ne sia che nel Codice Zanardelli veniva riconosciuta ai due sessi una uguale
capacità di distinzione tra bene e male, sebbene vi fossero delle differenze nella misura
delle pene per reati come l'adulterio e l'aborto. Differenziazioni volte non tanto ad una
maggiore o minore tutela giuridica della donna, quanto alla tradizionale, prevalente,
concezione del diritto dell'uomo a preservare l'onore della famiglia.
Su "L’uomo bianco e l'uomo di colore"
Lombroso, anche in questo caso, formulava un discorso sulle razze, originale ed
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abbastanza aggiornato per gli standard dell'epoca, anche se con scarso seguito a causa
della limitatezza della borghesia progressista. Ma la sua onestà scientifica ed lo spirito
critico non possono assolverlo dall’aver formulato tesi con chiare implicazioni razziste.
Valga per tutto il contenuto del libro: ” L'uomo bianco e l'uomo di colore”, ove l’autore
oltre a mostrare i suoi interessi per la geografia e la storia delle popolazioni, dà corpo
soprattutto a quel tipo di ragionamento fondato sulla descrizione fisiognomica e sulla
classificazione che caratterizza negli anni successivi l'analisi delle varie forme di
minorità.
Lombroso definisce così l’uomo colorato e in particolare quello dalla pelle di colore
«tetro»:
capello ricciuto e lanoso, decisamente abbondante; scheletro scimmiesco (soprattutto
piedi e mani); cervello poco sviluppato e poco pesante; cranio prognato; fronte poco
sviluppata; denti ad angolo; sangue che si coagula velocemente; odore particolare;
immune alla febbre gialla; precoce nello sviluppo ma solo fino alla pubertà, quando
diviene adulto rimane in uno stato infantile.
Quanto al comportamento, per Lombroso il nero concentra tendenze negative tra cui
l’antropofagia e la prostituzione (se donna), diventando il primitivo per antonomasia:
superstizioso e feticista, insensibile al dolore e emotivamente instabile, orna il corpo
con anelli e tatuaggi, è crudele verso bambini, donne, anziani e malati, ama più il vino
che la famiglia, difende la tribù con armi di pietra, abita in grotte o capanne.
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Anche in questo caso appaiono evidenti le contraddizioni del personaggio, che pur non
ritenendosi personalmente un razzista, forniva però con la sua impostazione scientifica
le basi delle teorie razziste del fascismo e del nazismo.
Come fondatore dell'antropologia criminale e fautore di quella corrente della psicologia
che assumeva le caratteristiche fisiche come indizi esterni delle condizioni mentali, può
dunque affermarsi che ebbe un'influenza decisiva sul pensiero razziale da lui
personalmente avversato.
Non vi è dubbio che il pensiero di Lombroso sia stato strumentalizzato al di là delle
intenzioni dell’autore, per le condizioni storiche, per l’aspro conflitto tra Stato e Chiesa,
e, successivamente, per l’avvento del fascismo. Rimane tuttavia il fatto che i nazisti e i
fascisti hanno accolto la psicologia lombrosiana come base per le loro deliranti teorie,
prova ne sia che il Manifesto degli Scienziati Fascisti, pubblicato nel 1938, anno della
promulgazione delle leggi razziali, esordiva proprio con alcune enunciazioni
lombrosiane.
Alla stregua delle suesposte considerazioni la Corte ritiene che l’imputato debba essere
ritenuto responsabile dell’imputazione a lui mossa, di istigazione alla discriminazione
razziale e di violazione del principio di eguaglianza tra gli uomini.
Sul capo d’incolpazione C)
Vilipendio di cadavere (art. 410 c.p.)
Lombroso deve essere senza dubbio assolto dal reato di vilipendio di cadavere
contestatogli al capo c).
Il delitto previsto dall’art 410 cp è integrato solo laddove sia provato il vilipendio,
ovvero una condotta irrispettosa nei confronti delle spoglie umane, antitetica appunto
ai sentimenti sopra indicati, che non si ravvisa invero nel comportamento di
Lombroso.
La sua azione infatti era stata finalizzata “a scopi scientifici o didattici” e Lombroso
ha proceduto a studiare meticolosamente i reperti che aveva raccolto mostrandoli con
orgoglio sia nei convegni, sia nelle sue lezioni universitarie, che pure per questo
motivo erano così affollate da aver suscitato l’allarme del Rettore.
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Lombroso ha inoltre voluto fin da subito che i suoi reperti fossero raccolti in un
museo e fossero oggetto di studio anche da parte di altri scienziati e di riflessione per
i cittadini.
Già nel 1886 aveva permesso l’accesso del pubblico alla collezione che custodiva
nella sua abitazione.
L’apertura di un museo fu poi sponsorizzata, alcuni anni dopo, dalla facoltà di
medicina dell’Università sabauda.
Inoltre, proprio in quell’epoca, non solo venivano esposte collezioni simili in varie
città di Italia (Padova, Napoli….), ma nel Congresso internazionale di antropologia
criminale svoltosi a Roma (nel 1885) venne lanciata la proposta di un museo di
antropologia criminale nazionale da organizzare con simili collezioni.
In quegli anni, poi, nel codice Zanardelli (1889) era stata prevista la possibilità di
prelevare parti anatomiche dei cadaveri dei detenuti ai fini della ricerca scientifica e
già nell’anno della morte di Lombroso la sua collezione fu grandemente
incrementata grazie ad una disposizione del Ministro di Grazia e Giustizia che vi
aveva fatto confluire tutti i corpi di reato conservati nelle cancellerie del Regno.
Nel suo museo Lombroso ha, inoltre, voluto mostrare le produzioni artigianali dei
prigionieri di carceri e manicomi criminali e questo concorre ad attestare l’attenzione
che Lombroso aveva per ogni manifestazione della personalità di questi soggetti. Un
significativo esempio è costituito dalle attività artistiche e ricreative (spettacoli, gite,
laboratori) volute dal Lombroso presso il manicomio di Pesaro di cui era stato
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direttore, volte studiare lo stretto collegamento tra arte, genio e follia dei suoi
internati.
Lombroso ha poi disposto nelle sue volontà che fosse esposto anche il suo scheletro
ed il suo volto, conservato in formalina, con ciò dimostrando che non riteneva
certamente irrispettosa l’esposizione dei resti umani.
Il museo oggi custodisce 684 crani, 27 scheletri, 183 cervelli, resti animali, corpi di
reato concernenti reati efferati, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute,
manufatti prodotti da questi ultimi.
E’ stato riaperto nel 2009, a cent’anni dalla morte di Lombroso ed ancora oggi è
oggetto di aspre critiche. Alcuni Comuni hanno richiesto la restituzione di alcuni
reperti (quali quelli del predicatore David Lazzaretti, che Lombroso aveva definito
pazzo, quelli dei briganti Antonio Gasbarrone e Giuseppe Vilella, il cui esame
produsse in Lombroso “un lampo rivelatore”).
Il Museo, nonostante sia probabilmente il suo aspetto macabro ad attirare
l’attenzione dei visitatori, ancor oggi numerosi, ha ottenuto il fermo appoggio da
parte dell’International Council of Museums proprio per il suo contenuto di
documento storico delle ricerche e delle teorie che hanno connotato gli albori degli
studi antropologici.
Sul capo d’incolpazione D)
Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411 c.p.)
Lombroso deve invece essere condannato per il reato contestatogli al capo d).
Egli ha infatti ammesso di aver proceduto a raccogliere “crani e cervelli” sia durante
il periodo (nel 1859 e nel 1866) in cui aveva partecipato alle guerre risorgimentali
come medico militare, sia successivamente quando, come da lui stesso riconosciuto,
ha proceduto “con i modi meno legittimi”, “allo spoglio
di vecchi sepolcreti
abbandonati, sardi, valtellinesi, lucchesi etc.”.
I fatti costituiti dell’addebito di responsabilità sono, dunque ammessi dallo stesso
imputato.
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Deve però tenersi conto, per adeguare la pena all’effettiva gravità del fatto, non solo
che l’imputato ha riconosciuto le sue colpe, ma anche della finalità meramente
scientifica che ha guidato la sua condotta. Va poi considerato che ancor oggi viene
lamentato il fatto che non siano offerti agli studi un numero sufficiente di cadaveri
(si pensi all’appello in tal senso di pochi anni fa del prof Roberto Delfini, presidente
della Società italiana di neurochirurgia, che ha riferito che spesso viene fatto ricorso
a “preparati anatomici” importati dagli Stati uniti al costo di 2000 euro ciascuno ed
all’invito fatto dal Comitato Nazionale della bioetica nel 2013 nel sottolineare
l’importanza fondamentale, insostituibile dell’esperienza diretta sul cadavere per la
formazione degli studenti).
P.Q.M.
ASSOLVE
Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, dalle imputazioni a lui contestate ai capi A) e
C) della rubrica; quanto al primo capo perché il fatto non costituisce reato, quanto al
residuo perché il fatto non sussiste;
DICHIARA
il medesimo imputato responsabile dei reati a lui ascritti ai capi B) e D) e in relazione a
queste imputazioni lo
CONDANNA
alla pena della “Damnatio memoriae”.
Deciso in Milano, in Camera di Consiglio, il 23 maggio 2016.
35
ALLEGATI
L’ESAME DEI SOGGETTI CHIAMATI A DEPORRE
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DEPOSIZIONE AVVOCATO DAVIDE STECCANELLA - TESTE DELLA
ACCUSA
PM: Avvocato Steccanella, Lei conosce sicuramente le teorie di Cesare Lombroso.
S. Da quelli che hanno attribuito maggiore aggressività a talune razze canine tipo la
“fola” dei dobermann più cattivi sol perché muniti di “minor scatola cranica” rispetto ad
altre specie, quasi non fosse rilevante l’addestramento impartitogli sin da cucciolo dal
proprietario, al grande Fabrizio de Andrè, che nella memorabile canzone “Il giudice”,
contenuta nell’album “Non al denaro né all’amore né al cielo” (tratto dall’antologia di
Spoon River), musicava che “un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore
troppo vicino al buco del culo”, la storia è piena di esempi che vorrebbero “incasellare”
la “devianza” comportamentale in malformazioni genetiche.
Forse perché quello che è immediatamente riconoscibile diventa più facilmente
neutralizzabile.
Riconoscere il nemico aiuta a prevenirne gli attacchi e confinare in una categoria ben
precisa il deviante fa vivere sonni più tranquilli agli omologati che dall’interagire con
tale categoria possono agevolmente sottrarsi.
Tutto bene perché molto “umano” , ma solo fino a quando questo non pretende di
assurgere a verità di scienza perché in tal caso i danni che ne derivano possono essere,
come dimostra la storia, plurimi e letali.
La più grave responsabilità di Lombroso è stata quella di avere voluto spacciare come
frutto di scienza quello che altro non era se non un mero (e neppure troppo “esteso”
come campione) esperimento di natura antropologica, se non addirittura filosoficosociale, e neppure troppo scevro da certe insopportabili incrostazioni “classiste”
dell’epoca. Affermare che il mero studio del corpo umano consentirebbe di rintracciarvi
la presenza di elementi idonei ad attribuire nesso causale ai successivi comportamenti
scardina qualsiasi minimale principio di convivenza civile.
Costruire tipologie umane diverse per sostanza (ontologica) da altre all’interno di un
consesso di individui chiamati a convivere tra loro pur nelle rispettive diversità di
forma (apparente), genera inevitabilmente quegli abomìni che esaltano l’umana ed
irrazionale paura del “diverso”.
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Dalla ritenuta inferiorità di una razza rispetto ad altra, alla criminalizzazione, o anche
solo penalizzazione, di comportamenti sessuali minoritari codificati come “deviati”
rispetto a quelli maggioritari. Atteggiamenti che conducono, inevitabilmente, a
discriminazioni sociali nel privato e regolamentari nel pubblico.
Discriminazioni che, nella comune percezione perdono i connotati di sopruso nel
momento in cui vengono fatti apparire giustificati dalla presa d’atto di un’effettiva ed
ontologica non equiparabilità e che pertanto, lungi dall’essere contrastati, finiscono con
l’essere, se non promulgati, quanto meno condivisi o anche solo accettati come
“naturali”.
L’approvazione della Legge Mancino (n. 205/93), che ha esteso la penale rilevanza
anche alla mera condotta di semplice diffusione di idee fondate su superiorità razziali,
religiose, nazionali o etniche, ha pienamente recepito il pericolo di un siffatto “pensare”
ben prima che di un siffatto “agire” (che era ovviamente già ampiamente sanzionato da
tempo).
La creazione lombrosiana della categoria del “criminale per natura” ne è esempio tra
i più preclari.
Il criminale “per natura” infatti è qualcosa di molto diverso dall’accezione codicistica
del criminale “per tendenza”, giacchè la “natura” la si eredita all’atto della nascita,
mentre la “tendenza” la si sviluppa nel corso del proprio vissuto.
Alla nostra tendenza si contribuisce, alla natura genetica no.
PM: Avvocato Steccanella, quali ritiene che siano le conseguenze delle teorie del
Lombroso sul processo penale.
S. Attribuire valore scientifico a siffatta categoria ha comportato lo snaturamento dei
principi cardine su cui regge l’essenza stessa del processo penale come regolato e
previsto prima ancora che dal codice di rito dalla nostra stessa Costituzione.
La scienza lombrosiana infligge infatti un grave vulnus a ben tre dettami costituzionali
quali quelli indicati agli artt. 3 e 27 primo e terzo comma.
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La consacrazione in scienza della esistenza di una delinquenza congenita in talune
categorie “fisiche” di individui viola infatti palesemente:
1) il dovere da parte del giudice di giudicare allo stesso modo tutti i cittadini senza
distinzione alcuna (art. 3);
2) la necessità di preventivamente accertare la responsabilità diretta e personale
del singolo imputato. E questo, si badi, anche quando gli viene imputato un fatto
a titolo di concorso con altri sulla base dell’accertamento del cosiddetto “doppio
dolo” di concorso il che mal si concilia con una predisposizione genetica. Non
potendosi mai basare, una condanna, su valutazioni diverse da quanto accertato
come storicamente avvenuto, e al riparo da congetture, ipotesi, presunzioni,
pregiudizi o anche solo meri indizi (art. 27 primo comma);
3) la funzione non solo afflittiva ma anche rieducativa della sanzione penale (art.
27 terzo comma) che evidentemente prevede la possibilità di un mutamento, in
corso di pena, dell’indole delinquenziale dell’individuo. E che non si ritiene
possa essere raggiunta mediante un intervento chirurgico sulle di lui originarie
fattezze.
PM: Ma gli effetti delle teorie lombrosiane si sono estese anche al diritto penale
sostanziale, a prescindere dai processi?
S. Non solo, la consacrazione in scienza della esistenza di una delinquenza originaria in
talune categorie “fisiche” di individui scardina anche il principio basilare
dell’Ordinamento penale sostanziale che si regge sul principio secondo cui “nessuno
può essere punito per una azione od omissione preveduta come reato se non l’ha
commessa con coscienza e volontà” (art. 42 CP).
Coscienza e volontà evidentemente immune da “condizionamenti” psichici di natura
congenita che, se accertati scientificamente, debbono essere valutati dal giudicante
secondo quei diversi e tassativi ambiti di natura “eccezionale” regolati dagli artt. 85 e
ss. di cui al capo I del titolo IV del Codice Penale.
Per ultimo la categoria lombrosiana crea un ulteriore vulnus ad un sistema penale
regolato da unico codice costruito sull’armonia e l’equilibrio di una proporzione
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sanzionatoria tra i tanti e diversi delitti previsti e che colpiscono beni giuridici molto
diversi anche se tutti ugualmente ritenuti meritevoli di penale protezione.
Le caratteristiche morfologiche del delinquente originario del Lombroso infatti paiono
adattarsi esclusivamente ai comportamenti connotati da violenza su cose o persone,
fattispecie che certamente non esauriscono le condotte penalmente punibili in società
mediamente sviluppate quali quella in cui certamente già si muoveva il Lombroso.
Il tratto genetico che secondo Lombroso potrebbe spiegare una reazione “fisica”
antisociale di un determinato soggetto di fronte ad una determinata situazione non può
certamente essere utilizzato anche nei confronti di chi si rende responsabile di
falsificazioni, raggiri, furti, diffamazioni, bancarotte, incendi ecc.
Il che comporterebbe la inevitabile creazione di una sorta di “doppio binario” di
giudiziale accertamento di responsabilità in cui l’imputato di un reato economico si
troverebbe ad essere giudicato secondo criteri diversi da quelli che accompagnerebbero
invece il processo a carico di un omicida.
E lo stesso movente delinquenziale di una condotta violenta finirebbe con il risultare
accidentale rispetto alle teorie lombrosiane che attribuirebbero la causa dell’azione ad
un “tarlo” di natura originaria e come tale non “governabile” dall’agente.
Cosi che, per rimanere in ambito di omicidio, il reato maggiormente associabile alle
teorie lombrosiane, anche perché forse è il più “semplice” essendo nato (a differenza
dell’aggiotaggio...) insieme all’uomo per primarie esigenze di sopravvivenza,
resterebbe privo di quelle differenziabilità valutative che debbono esistere.
Si pensi al delitto politico ben diverso da quello per finalità di profitto o a quello
sessuale a sua volta ben diverso da quello a titolo di vendetta per un torto personale
subito. Quando e quanto “gioca” il tarlo originario di Lombroso in queste diverse
ipotesi di condotte delinquenziali analoghe ?
E quali le conseguenze in tema di accertamento di responsabilità, intensità del dolo,
grado di colpevolezza e conseguente idoneità retributiva della sanzione da infliggere al
reo ?
Come infine non considerare la evoluzione o involuzione del crimine che nel corso
degli anni adegua al proprio tempo la “pratica” delittuosa ?
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Oggi, tanto per dire, si è smesso di fare rapine in banca o sequestri di persona sol perché
non più attuabili, oppure di duellare o di compiere abigeati per la intervenuta mutazione
di costumi e di condizioni di vita.
In compenso è aumentato il ricorso a condotte criminali più sofisticate in materia
economica un tempo non solo impossibili ma neppure immaginabili.
E in tutto questo Lombroso che fa ?
Se scienza deve essere non può sparire di colpo al mutar degli usi, altrimenti non è
scienza e come tale non rileva neppure quando i comportamenti umani odierni paiono
invece similari a quelli di un tempo. Non a caso Lombroso dovette in seguito rivolgersi
al campo dell’occulto e dell’irrazionale per trovare nuovo usbergo d’attenzione.
L’esperienza diretta, poi, ci insegna che il medesimo delitto può essere commesso
insieme da due soggetti che fisicamente nulla hanno in comune tra loro. Si pensi alla
condanna per partecipazione a banda armata, nella medesima organizzazione degli anni
Settanta, di due genovesi come il Professore universitario Enrico Fenzi, forse il
massimo esperto italiano di Dante e Petrarca, e dell’operaio Ansaldo dell’Italsider
Giuseppe Lo Bianco, emigrato con una famiglia di proletari da Paola. Quando entrambi
hanno sequestrato l’Ing, Castellano quale “tarlo” originario li avrebbe accumunati
secondo Lombroso ?
Quest’ultima considerazione consente di denunciare l’ultima ma non meno grave colpa
di Lombroso, ossia quella di svuotare di significato con la sua tesi genetica il decisivo
ruolo del “contesto” nella formazione delinquenziale di un individuo.
Senza ben comprendere il quale come noto un giudice non solo rischia di fallire il
proprio compito accertativo ma soprattutto quello,, non meno importante, di
successivamente attribuire ad un fatto reato la giusta, intesa come equa, sanzione.
PM: Abbiamo compreso; ma in conclusione, rispetto alle imputazioni che Lei ha
sentito enunciare, le condotte del Lombroso nell'esprimere le sue teorie come debbono
essere valutate?
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S. Venendo alle quattro imputazioni a lui mosse dal punto di vista penale mi pare
integrata da Lombroso la condotta materiale contestatagli al capo A) anche se potrebbe
essere stata motivata da una eventuale buona fede determinata da ossessione o anche da
semplice passione che potrebbe escludere quella dolosa consapevolezza indicata in
imputazione.
Nessun dubbio invece sul fatto che Lombroso abbia realizzato con la sua condotta la
fattispecie punita dalla legge Mancino secondo quanto descritto al capo B) e sulla sua
commissione, peraltro confessa, delle ulteriori due condotte indicate ai capi C) e D).
§§§§§§§§
DEPOSIZIONE DELL’AVV. CRISTIANO FIORE – TESTE DELL’ACCUSA
PM: Secondo Lei, avv. Fiore, il Lombroso è riuscito a produrre un sistema teorico
almeno coerente?
F. La risposta è certamente negativa. Come sempre, nel "gioco" intellettuale del
processo ai trapassati, si pone il problema se le condotte dell'imputato di turno debbano
essere vagliate alla luce dei criteri dell'epoca in cui agiva o sulla base della nostra
sensibilità. Poiché il processo penale è retto dal principio del favor rei (cosa spesso
dimenticata...) è certo che debba preferirsi il criterio di privilegiare la sensibilità - per
quanto possiamo ritenere di intenderla - dell'epoca dei fatti.
Anche Cesare Lombroso, quindi, non può che essere visto se non nell'ottica del suo
tempo, come si suole dire "contestualizzandolo". Se si tiene conto che la carriera
dell'illustre imputato si svolse lungo tutto l'arco della seconda metà del IX secolo, ne
deriva che visse ed operò in un periodo di positivismo imperante che, quasi come una
forma di neo-illuminismo, privilegiava una razionalità "scientifica" che si pretendeva
legittimata anche dall'empirismo. Che un'impostazione di tale genere voglia tendere, di
necessità, all'elaborazione di modelli teorici dotati in sé stessi di - almeno apparente coerenza è cosa evidente. Pertanto il quesito se il Lombroso sia riuscito in quello che
certamente non poteva non prefiggersi, l'elaborazione di un sistema coerente, è una
domanda plausibile e pertinente sia alla luce dei criteri dell'epoca, poi non così remota,
come quella in cui agiva e sia di quelli attuali.
Malauguratamente, le molteplici incoerenze del personaggio, più che sembrare frutto di
geniale poliedricità che si evolve, paiono invece il risultato di un pensiero che coerente
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invece non è: tutte le volte che incontra ostacoli nell'evidenza, essa viene
disinvoltamente aggirata. Cesare Lombroso cerca di sorreggere la sua elaborazione
teorica sul delinquente nato e sull'atavismo attraverso la ricerca delle anomalie fisiche,
che tuttavia si basano su un campione limitato di reperti, che cercò di arricchire anche
con metodi eterodossi (oggi, avanti a voi, è imputato anche di questo). Il campione era e
restò limitato e, in quanto tale, non poteva sorreggere un'interpretazione statistica.
Ora che le sue interpretazioni della realtà sono oggetto di critica, forse anche troppo
severa, il Lombroso si trova ad essere oggetto di una vera e propria compagna censoria
e, diremmo, delegittimante. Si chiede la chiusura del museo torinese di antropologia
criminale e numerosi comuni pretendono la restituzione delle spoglie di quelli furono i
suoi reperti (Motta S. Lucia, Sonnino, Arcidosso...). Ma la sostanza delle iniziative,
malgrado la numerosità degli aderenti alla campagna per la chiusura del museo di
Torino, non deve sviare dalla constatazione che il campione valutato dal Lombroso nel
corso della sua carriera fu, in realtà esiguo, malgrado le ostentazioni dello stesso
studioso. Il fatto di tenere un cranio (del brigante Villella) come fermacarte, lungi
dall'essere solo un atto di cattivo gusto, non induce certo ad accreditare un'immagine di
particolare rigore scientifico. L'intero deposito del museo torinese consisterebbe in circa
seicento crani, oltre parti di scheletri, corpi di reato ed oggetti più o meno folkloristici.
Come ossario è ragguardevole, ma come attestazione di studio sulla relazione tra
morfologia e comportamenti è certamente insufficiente. Dove tuttavia il sistema teorico
lombrosiano si presente lacunoso è quando si cerca inutilmente di rivenire nelle
affermazioni dello studioso la dimostrazione di una sistematicità della devianza.
Non sarebbe stato possibile pervenire all'affermazione che il delinquente è connotato da
anomalie fisiche, se non attraverso la costatazione che tutti i soggetti dotati di tali
caratteristiche agivano in modo conforme. Il Lombroso pretendeva di affermare di aver
riscontrato le anomalie in questione negli individui - da lui esaminati - che avevano
agito in forma deviante, ma non avrebbe mai potuto affermare che tutti gli individui con
le medesime anomali avrebbero deviato.
E non solo, ma il Lombroso appare in difficoltà quando non riesce a pervenire alla
conseguente teorizzazione della "consequenziale irresponsabilità del delinquente". Se le
malformazioni e un'insufficiente elaborazione degli istinti sono alla base della devianza
criminale, la risposta della c.d. "difesa sociale" mostra tutta la sua insufficienza, in
quanto condurrebbe - in una logica evidentemente aberrante - all'isolamento anche
43
preventivo - se non addirittura alla soppressione - del soggetto "malformato" dalla
collettività, per contenere e prevenire il crimine.
Ora, anche a voler prescindere dagli aspetti etici, che rendono ributtante una simile
conseguenza, il problema che ci si dovrebbe porre - alla luce di una concezione del
genere - sarebbe poi consequenziale il chiedersi chi potrebbe mai essere il soggetto
deputato alla selezione ed alla prevenzione.
Nemmeno poi è possibile raccordare la base teorica del Lombroso con l'evidenza della
criminalità dei "colletti bianchi" e quella politica. Vero è che, per contemplare ciò che
era ed è evidente nei fatti, lo studioso cerca di introdurre il criterio del "criminaloide",
che sarebbe un soggetto normale...che però delinque.
Criminali per occasione o per passione, le azioni di questi soggetti vengono inquadrate
dal Lombroso come frutto di una "molteplicità di cause" che è la prova da un lato, dei
limiti percepiti dallo stesso autore (ed in questo potrebbe persino fargli onore...), ma è
d'altro canto una candida confessione di un'incoerenza teorica che già di per sé priva di
dignità scientifica il suo operato.
PM: Nell'incoerenza che Lei ci ha riferito, il Lombroso ha contribuito alla formazione
di concezioni razziste o, comunque - come diremmo oggi - discriminatorie di genere?
F. La risposta non può essere che affermativa. Il pensiero di Cesare Lombroso è
funzionale ad una logica discriminatoria. E' involontaria ironia della sorte che il
coltivato ebreo sefardita, esponente della borghesia intellettuale post unitaria, sia
divenuto l'araldo di un pensiero "selettivo".
E' la natura stessa della concezione lombrosiana che determina tale risultato. Basterà
prendere le mosse da una prima considerazione di carattere generale: se si pensa che il
dato somatico sia influente nel comportamento, è inevitabile poi ritenere che tutti i
soggetti che siano dotati di quel carattere in modo uniforme (ad esempio, i bruni!)
debbano avere gli stessi atteggiamenti. Essi diventano quindi un preteso gruppo
omogeneo, un'etnia anche, ed essa - in quanto tale - potrà essere inferiore o anche
superiore. Questa è l'essenza stessa del razzismo. Ciò non deve ricollegarsi solo alle
affermazioni più o meno esplicite dell'autore, ad esempio sui meridionali e sulle donne,
ma discende direttamente dal meccanismo stesso di pensiero del Lombroso, che porta
44
ad una pretesa (ma non certo coerente) visione dei generi, che vengono ritenuti
arbitrariamente omogenei al loro interno per definizione, con la conseguenza che come detto - essi possono essere "accreditati" di superiorità od inferiorità. In ogni caso
il nostro imputato non era certo scevro da pregiudizi, dato che in "L’uomo bianco e
l’uomo di colore" scrive (cito testualmente): "Si tratta di sapere se noi bianchi, che
torreggiamo orgogliosi sulla vetta della civiltà, dovremo un giorno chinare la fronte
dinanzi al muso prognato del negro ed alla gialla e terrea faccia del mongolo". Per
quanto attiene agli zingari: "l’immagine viva di una razza intera di delinquenti, e ne
riproducono tutte le passioni e i vizj" (in "L’uomo delinquente studiato in rapporto
all’antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie"). Se salva gli ebrei,
definendoli storicamente ariani, per le donne - a tacer d'altro - basta la definizione di
“innocua semi-criminale” (in "La donna delinquente, la prostituta e la donna
normale"). Conclude la disamina la tesi della relazione fra criminalità e omosessualità,
che è un "equivalente" (!?) epilettico. Ora mi sembra che la sommatoria nel Lombroso
delle dottrine del delinquente nato e dell'atavismo, unite alla notorietà all'epoca del
personaggio e ai suoi evidenti pregiudizi, diano l'evidente prova del suo contributo
concreto alle concezioni razziste e discriminatorie.
PM: Esistono dei riscontri scientifici alle teorie di Lombroso, nel momento in cui
caratterizzava tipi fisiognomici, correlandovi delle condotte devianti?
F. Qui il discorso si fa complesso. I più recenti sviluppi delle neuroscienze, a detta degli
esperti della disciplina, indicano che delle correlazioni tra anomalie fisiche ed
alterazione di comportamento vi sono effettivamente. Tuttavia ciò non consente
attribuire seriamente a Cesare Lombroso la veste di "precursore" attraverso le sue
teorie. Anche il presocratico Democrito, sviluppando la teoria atomista, concepì gli
atomi come particelle originarie indivisibili, ma nessuno si sognerebbe mai di ritenerlo
precursore della fisica nucleare (anche a prescindere dalla fissione...). Quelle di
Lombroso più che intuizioni erano pregiudizi e ne fanno fede le sue teorie sull'epilessia,
definite argutamente dalla prof.ssa Merzagora tra le sue pagine più imbarazzanti. La
nota patologia venne impiegata dal Lombroso come una sorta deus ex machina, nel
tentativo di cercare quella coerenza di cui abbiamo già parlato.
Dell'epilessia Lombroso si spinge sino a scrivere: "...è certo che la delinquenza nata e
la pazzia morale non sono che forme speciali di epilessia...". Peraltro, in un capolavoro
45
di illogicità, a fronte della celebrità di alcuni epilettici, il nostro si spinge fino a
sostenere le "...origini degenerative ed epilettiche del genio...”. Ci si consentirà di
osservare che manca solo di applicare il principio della proprietà transitiva per
pervenire all'equivalenza del genio con la devianza.
Per non farsi mancare nulla, comunque il Lombroso, in "Sulle malattie proprie degli
uomini dati ai lavori intellettuali", concepisce appunto il legame tra genio e follia.
PM: In esito alle sue teorie, il Lombroso conseguì notorietà ed incarichi professionali
ed accademici?
F. Leggo. Cesare Lombroso a trenta anni iniziò la carriera universitaria come professore
straordinario di malattie nervose a Pavia nel 1866. Nel 1871 assunse per due anni la
direzione del manicomio di Pesaro (dove raccoglie il materiale per Genio e Follia). Nel
1874 vinse il concorso per la cattedra di Medicina Legale di Torino, riconfermato nel
1876, anno in cui pubblica la prima edizione dell'Uomo delinquente, cui seguiranno
almeno altre tre edizioni ampliate. Nel 1903 passò alla Cattedra di Psichiatria e, indi, gli
venne
assegnata
quella
di
Antropologia
criminale,
neo-istituita
proprio
in
riconoscimento dell'autonomia della disciplina da lui creata. Ebbe numerosissimi
riconoscimenti e, certamente, la sua innegabile disinvoltura anche nel contraddirsi
(Ebrei ariani!? Epilettici tutti, anche quelli che non lo erano, definiti comunque
epilettoidi) lo rese un formidabile promotore di sé stesso. Ciò malgrado Lombroso fu
assai controverso anche all'apice delle sue fortune, tanto che nel 1882 venne anche
"radiato" dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia. La sua contraddittorietà che in qualche modo fu anche presupposto della sua notorietà - si manifestò in
molteplici forme, tra le quali l'adesione allo spiritismo, in un contesto nel quale si
proclamò sempre ateo, con la conseguenza che non si può non presumere che egli
stesso fosse quantomeno assai influenzabile, tanto da essere suggestionato da medium
alla moda, quali la celebre Eusapia Palladino, della quale pubblicò persino una difesa in
Dopo la morte – cosa? (1909). Quello che è certo che il personaggio appare del tutto
privo di sense of humor. Ciò non rientra nei capi di imputazione, ma spiega - essendone
in buona parte causa e contemporaneamente effetto - l'incoerenza dell'uomo. Esilaranti,
purtroppo involontariamente, rimangono le sue affermazioni sul ciclismo, che - nel
saggio "Il ciclismo nel delitto" conducono il nostro ad affermare, cito testualmente:
"...L’uso diffusissimo di una macchina di un certo valore così facilmente esportabile, in
46
specie da quelli che sono più agili, è un incentivo ed una causa di appropriazione
indebita e di truffa..." ed ancora "...La grande mobilità del biciclo non solo facilita la
sua sottrazione, ma serve come strumento ad altri furti e reati, agevolando le fughe e
gli alibi...", per concludere persino:"...Accanto a questi grandi e veri delitti che si
spingono perfino alla delinquenza associata ed alla grassazione, ve n’hanno dei
minori, come quelli dei ragazzi, che spargono di punte il terreno o forano con chiodi o
con spilli le gomme...".
La radicata convinzione del Lombroso sulle potenzialità criminogene...della bicicletta
non gli impedisce tuttavia di concludere il suo saggio affermando che: "...se il biciclo
ha aumentato le cause ed i mezzi dei crimini, accrebbe quelli del benessere e della
civiltà, diminuì l’isolamento dei piccoli centri, mise la campagna a pochi minuti di
distanza dalle abitazioni e dalle capitali, fu alleato nelle votazioni ai partiti politici più
evoluti e che perciò sanno servirsi dei mezzi più moderni di lotta...".
In queste poche righe, anche a costo di parere ingenerosi, c'è tutto l'uomo Lombroso. Vi
è l'incoerenza unita alla banalità, nell'affermare che il nuovo mezzo di locomozione è
fonte di crimini e nel contempo di progresso; vi è la superficialità unita all'assenza di
percezione del ridicolo, nella qualifica di crimine - bontà sua - minore della foratura
delle gomme tra adolescenti. Vi è, infine, la fissazione dell'attenzione su argomenti
oggettivamente di poco conto, per affermarli scoperte stupefacenti e per pretendere di
trarne sommi pensieri generali.
47
DICHIARAZIONI RESE DAL PERITO DELLA DIFESA
DEPOSIZIONE DI MAURIZIO C. BOSSI
Chi era Cesare Lombroso? (54)
Per far luce sull’uomo-Lombroso proponiamo alla vs. attenzione tre rilievi.
Primo rilievo:
Torino 21 ottobre 1909 mattina
Siamo in una sala autoptica e l’anatomo patologo ha appena terminato il riscontro
diagnostico. Il sanitario afferma che il soggetto in esame è un maschio di 74 anni,
brachitipo, picnico. Rileva un gozzo cistico e diffusa aterosclerosi. I dati craniometrici
sono probanti per soggetto “alienato”. Due dita della mano sin presentano sindattilia
(Dita palmate) ed il cervello è del peso inferiore a quello stimato per peso e altezza
della media. Vi sono numerose “pieghe di passaggio” encefaliche (che le “teorie
lombrosiane” attribuivano ai cervelli di “degenerati” o delinquenti).
Ma di chi era il cadavere di cui era appena terminato l’esame? (55)
Era di Cesare Lombroso (C.L.). Il prof. Pio Foà, direttore dell’istituto di Anatomia di
Torino, pubblicherà questi dati sulla rivista “Patologica”56,57. Dunque, secondo le teorie
lombrosiane, Cesare Lombroso era un alienato.58 Allora è vero che: “L’anatomia è
54
Il sedicente antropologo criminale osannato per qualche decennio o un alienista
alienato? Non evidenziamo in questa nota/testimonianza gli aspetti storici, scientifici e
giudiziari che competono ad altri testimoni.
55
http://torino.repubblica.it/cronaca/2010/05/08/news/la_scintilla_positivista_e_l_errore_i
n_vetrina_al_museo_lombroso-3910228/
56
(Baima Bollone pag 313 Cesare Lombroso e la scoperta dell’uomo delinquente.)
2
E solo un «positivista», infatti, avrebbe potuto aprire il proprio testamento donando, al
museo che aveva fondato, «cranio e cervello». Estratti durante un’autopsia che, sostiene
un pettegolezzo, si sarebbe conclusa attribuendo al professore una delle categorie nelle
quali suddivideva pazzi e delinquenti. «Una favola» commenta Montaldo. «Frutto della
denigrazione di Lombroso avviata sotto il fascismo da Giovanni Gentile».
http://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/1901/che-cosa-cera-nel-cervello-dilombroso/
58 indaghiamolo dal p.d.v. del Suo testo: “L’uomo delinquente” Se le Sue tesi erano
corrette allora Lui, alla luce del reperto autoptico, era un delinquente alienato. Ma può
un alienato elaborare tesi razionali che siano scientificamente corrette? No, sarebbe un
48
destino”, come affermava Napoleone I. Oppure ha ragione Umberto Eco: “così come è
labile il limite fra la tensione mistica e la follia, così lo è fra la genialità e la
sociopatia”. C. L. stava, forse, su quel confine.
Secondo rilievo:
L’incontro di Cesare Lombroso con Leone Tolstoj: stralcio di esistenza che può
illuminare su una vita.
Era il 1897. Alla Bayer di Monaco veniva sintetizzata l’aspirina, Sigmund Freud
rifletteva sui casi d’isteria, Giovanni Pascoli parlava del Fanciullino e Anton Pavlov in
Russia scopriva come far salivare un cane anche senza fargli vedere il cibo.
C.L. compiva 62 anni, portati proprio male. Quell’anno accettò l’invito al congresso
medico internazionale di Mosca ma Lui voleva soprattutto incontrare Leone Tolstoj,
(LT) il grande romanziere russo autore di “Guerra e Pace” e di “Anna Karenina”.
Avete presente L.T? Naso «grosso», labbra «pronunziate», occhi «piccolissimi»;
L.T. si considerava d’una bruttezza «intelligente». C.L. vedeva invece in quei tratti i
segni del genio. Ma, in base ai suoi studi su delinquenti e matti, il genio, come il
crimine e la pazzia, erano frutto di tare degenerative o di epilessia.
C.L., sbadato com’era, riuscì a complicarsi il viaggio: si era dimenticato a casa i
vestiti pesanti, partendo con abiti adatti al luglio italiano; nella prima tappa a Budapest
perse la borsa e il portafogli. Arriva a Mosca e, non invitato, si reca alla dimora di
Tolstoj. Questi era governato dal narcisismo, aveva riempito la casa di sue fotografie,
amava dimostrare la propria forza, il proprio coraggio, detestava essere contraddetto e
non accettava di perdere a scacchi. Era un timido che mascherava l’insicurezza grazie
alla personalità prorompente.
I due erano fatti per non capirsi 59.
ossimoro! Se le sue tesi erano sbagliate, allora Lombroso, non avendo tratti criminali
secondo i morfotipi lombrosiani non era e non è un delinquente. Ma le Sue tesi sono
state superate (ma non totalmente smentite) dalla scienza di oggi che ha così
sopravanzato il fenotipo, il genotipo ed è arrivata a determinare il neurotipo..Propendo
per l’uomo di genio. Ma, come diceva Umberto Eco: così come è labile il limite fra la
tensione mistica e la follia, così lo è fra la genialità e la sociopatia.
59 C.L. invece era sempre distratto, abbastanza testardo, talmente condizionato dalle
proprie teorie da finire per usarle anche contro se stesso.
49
Ma C.L. non poteva sperare di meglio: aveva trovato la dimostrazione vivente della
connessione tra genio e follia: il grande scrittore che perde metà del suo tempo a
riparare scarpe, facile all’ira, oscilla tra: “la concupiscenza brutale e la sessuofobia60”.
C.L. non capiva però come mai uno che maneggiava così bene la penna perdesse tempo
ad «aggiustarsi le scarpe». Tolstoj sapeva di essere studiato dal medico che gli si
parava di fronte, ed era poco propenso a diventare un caso clinico. Tolstoj, con il suo
aspetto “cretinoso o degenerato” rispondeva perfettamente al “vero genio larvato di
alienazione i cui prodotti erano tanto più sublimi quanto più il corpo era malato”.
L.T. spazientito, dopo aver ascoltato sempre più alterato le argomentazioni di C.L., lo
liquidò e annotò (“Diari“): “C’è stato Lombroso, un vecchietto limitato, ingenuo”
61
.
Tutto qui. Poco tempo dopo lo citò due volte, di sfuggita, tra le mille pagine di
“Resurrezione”, un’opera che appare in parte scritta proprio per confutare le teorie
lombrosiane. C.L. tornerà invece a Mosca con prezioso materiale di studio62.
Conclusioni di questo aneddoto:
emerge l’improvvisazione di Lombroso, l’ipercinesi mentale. Ecco, in pochi passaggi il
Lombroso-pensiero, che emerge anche dalla sua visita a L.T.
§
§
I nostri comportamenti sono determinati dalla mente. Il cervello è la mente.
(visione monista).
Il cervello è “determinato” dalla nascita.
§
Quando il cervello non si sviluppa completamente (anomalo) C.L. dice che è
“degenerato” (Etimo degenerato: de genus che non appartiene alla sua razza)
§
Rimane ad uno stadio primitivo: “atavico”.
§
Il cervello lascia impronte del suo sviluppo. Dove le lascia? Dentro la scatola
cranica e fuori. Basta saperle trovare…
§
Il Criminale si comporta così perché ha un cervello degenerato come il folle e,
in parte, il genio.
§
Guardando una persona si riscontrano segni esteriori del cervello degenerato.
60
Ne sapeva qualcosa la moglie Sophia e le contadine dei villaggi circostanti che
venivano da Lui insidiate.
61 Più felice la conoscenza con Sofija, la moglie di Tolstoj. A proposito di donne
Lombroso affermerà : “ di non capire le donne pur avendole studiate tutta la vita”. Lo
dirà poi anche Freud.
62 “E come in vetro, in ambra o in cristallo /raggio resplende sì, che dal venire /a
l’esser tutto non è intervallo”, Paradiso XXIX verso 25-27.
L’unico ad avere la luce era lucifero ma notoriamente era un diavolo
50
Ma Lui non cercava reperti per costruire una teoria; aveva in testa un dogma e
cercava solo i dati che lo potessero suffragare. Era contraddittorio, eccentrico ed un
po’ ridicolo.
Terzo rilievo:
Che cosa dicono oggi di LUI (parliamo qui dell’uomo 63).
Abbiamo intervistato: i Proff. Vittorino Andreoli, Carmen Mellado, Giovanni Scirocco,
Isabella Merzagora e Avv. Matteo Pettinari.
Un “Visionario” con grande cultura classica e scarso metodo scientifico. Un
disordinato amante dell’ordine. Un collezionista … di ossa, diremmo oggi. Un uomo
“contro”… spesso contro se stesso. Aveva fatto Suo il motto di Arthur Shopenhauer
"Siamo liberi di fare ciò che vogliamo, ma non siamo liberi di volere ciò che
vogliamo" poiché Lui riteneva che il nostro cervello è “determinato” sin dalla nascita.
Lui cercava sicurezze nelle misure esterne ma era insicuro internamente. Iperideativo
(qualcuno ha parlato di un carnevale di idee) ma povero di metodo. Complessato: la
statura bassa, la perdita dei capelli (li lavava poco per timore di perderli), c’era poi un
Suo presunto ipogenitalismo. Secondo Andreoli era un “ipertimico monomaniacale”.
Secondo Mellado un soggetto con “sintomi bipolari”. Un Don Chisciotte con problemi
relazionali con il mondo femminile e, forse non a caso, fortemente misogino nei suoi
scritti. E poi le Sue idee sulla sessualità…. Sosteneva che il rilievo di un pene
microfallo o macrofallo fosse la caratteristica con cui individuare uno stupratore 64.
Insomma, C.L. era un perfetto nevrotico. Ma quanti nevrotici conosciamo che non
sono delinquenti? Se per questo noi li condannassimo saremmo più lombrosiani di
C.L. 65!
Due domande/aforismi che compendiano il pensiero di C.L. non hanno avuto risposta.
63
Gli altri profili: quello storico, quello scientifico e quello giudiziario sono o verranno
esposti da altri ben più competenti.
64
Atlante del crimine Il delitto perfetto Pag. 39 Demetra ed. 1999
65
Ha commesso errori? Si certo! Ma nella storia della scienza, come dice il mio
maestro Sergio Musitelli, “l’errore è stato sempre più fecondo della verità”.
51
1. La prima: E’ vero che “Da fuori si vede la follia che è dentro?” Se
pensiamo di “si”, allora è vero, come credeva Lombroso, che: “La
profondità ama nascondersi in superficie?”
2. “Colpevoli si nasce?”
Ai posteri l’ardua sentenza! Anzi, no, a questa Corte!
52
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