STUDI inter artes Collana diretta da Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Loretta Innocenti 3 I LIBRI DELL’ASSOCIAZIONE SIGISMONDO MALATESTA I. Campeggiani, E. Canzaniello, A. Cecchi, G. Episcopo, M. Giori, A. Loreto, A. Peghinelli, M. Pistoia, F. Sai, C. Tirinanzi de Medici, M. Viscardi L’epica dopo il moderno (1945-2015) a cura di Francesco de Cristofaro pacini editore © _Associazione Sigismondo Malatesta http://www.sigismondomalatesta.it TUTTI I DIRITTI RISERVATI TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22/04/1941 ISBN 978-88-6995-254-8 Per la presente edizione © 2017 by Pacini Editore 56121 Pisa, via A. Gherardesca, 1 http://www.pacinieditore.it L’epica dopo il moderno (1945-2015) Questo è un volume monografico di studi di Letterature comparate che nasce da una scelta tematica precisa, con l’invito a studiosi di diversi ambiti a scrivere un saggio sull’argomento proposto. Questi testi sono stati presentati e discussi, prima della pubblicazione, in un Laboratorio Malatestiano, secondo una prassi che si è rivelata proficua e scientificamente valida. In riferimento alle immagini pubblicate l’Associazione Sigismondo Malatesta dichiara la propria disponibilità all’assolvimento dei diritti di riproduzione per gli eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare. indice Francesco de Cristofaro Nella valle perturbante..................................................................... p. 9 Giuseppe Episcopo Il mare dell’epica e le onde della radio. Il radiodramma con Bertolt Brecht e Simon Armitage..................... » 31 Carlo Tirinanzi de Medici Modo epico e modo romanzesco nel sistema narrativo contemporaneo.............................................. » 53 Emanuele Canzaniello Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45.............................. » 77 Mauro Giori L’epica nel cinema moderno e contemporaneo. Il caso di Angels in America di Mike Nichols.................................... » 97 Antonio Loreto Una totalità in miniatura. La micro-epica di Gherardo Bortolotti............................................. » 115 Ida Campeggiani La poesia di Amelia Rosselli tra restringimento e totalità.................. » 137 Fatima Sai Infelici eroi. Contronarrazione ed epica nella poesia orale araba contemporanea: Muz . affar an-Nawwāb........................ » 159 Andrea Peghinelli Brand New Ancients. L’epica alla prova del teatro britannico contemporaneo.................. » 173 Alessandro Cecchi Riflessi di Ulisse al crepuscolo del secondo millennio. Luciano Berio, Outis e l’epica moderna........................................... » 195 Marco Viscardi Disorientamento, distorsione, fuga. Il racconto storico alla prova dell’epica............................................ » 221 Marco Pistoia Eroi per caso? Riflessioni sull’epica cinematografica........................ » 241 7 Emanuele Canzaniello Fondare Isole e distruggere del male dopo il ’45 Era ora di riunire l’assemblea e, mentre camminava nello splendore accecante del sole, si ripassò accuratamente il discorso che stava per fare. Non bisognava fare sbagli in quell’assemblea, non perdersi dietro a cose immaginarie. W. Golding, Il signore delle mosche I problemi che proverò ad affrontare, legati alla persistenza o meno del genere epico o di un dato residuale di epicità a partire dal 1945, pertengono all’elemento di «fondazione», di esplorazione di un’origine. Un elemento tra i più propri e indiscussi dell’epos, dalla testualità antica ad oggi. La mia ricostruzione muove da due testi, e da un film, Melancholia (2011) di Lars Von Trier; tutti immersi nella nostra contemporaneità, due romanzi isolati eppure interrelati nella relazione biunivoca che stabiliscono con il luogo fisico, la condizione, e la struttura di senso dell’isola, e in questa di un insieme più vasto di semiosi. La relazione tra i tre testi, non escluso quello filmico, uniti dalla circolarità dell’isola e dall’accerchiamento di un isolamento fisico e semiotico, riguarda in primo luogo questo dato: nei tre diversi casi ci troviamo dentro o in presenza di mondi che per situazioni diverse hanno bisogno di una nuova fondazione. Perché la fondazione avvenga, nel primo caso sarà necessaria una distruzione, la distruzione di un ordine razionale di matrice illuminista; quello che verrà dopo assumerà i caratteri e la temporalità dell’epos. Nel secondo caso, una comunità già in qualche modo innocente deve darsi un ordinamento e un inizio; anche qui la fondazione avverrà solo dopo aver abbandonato la fede razionale in una libera contrattualizzazione della socialità umana. Sul film torneremo in seguito, per ora quello che sarà anticipato riguarda solo alcune delle conclusioni; ipotizzerò fin da subito che l’elemento epico dei romanzi presi in esame, e solo apparentemente in modo più marginale nel caso filmico, germogli in qualche modo dall’aperta opposizione al vasto e lungo discorso sul diritto, inscindibile dalla modernità, che arriva fino alla democrazia liberale degli anni coevi a questi romanzi. 79 Emanuele Canzaniello Intorno al problema della fondazione terrò presenti due polarità importanti: la tensione tra l’elemento dell’organico e dell’inorganico. Ma accanto, per così dire, ai significati primi dell’accezione lukacsiana della continuità antitetica di epos e romanzo, il primo tutto interno alla categoria dell’organicità e il secondo a quella della disorganicità, del non omogeneo e non originario, proveremo a innestare problemi ulteriori, più recenti e più imprevisti. I due casi in esame sono The Lord of the Flies (1952) di William Golding e Vendredi ou les Limbes du Pacifique (1967) di Michel Tournier 1. Accanto a questi disporremo il film di Lars von Trier del 2011 Melancholia. Cosa succede all’elemento epico, organico, in romanzi che non solo non sono originari (per statuto) ma che tuttavia provano a raccontare un’origine, un nuovo rito di fondazione, e allo stesso tempo lo affidano alla tentazione dell’inorganico, a una deriva verso l’originario non organico? Parlo anche nel senso letterale di un penchant per il sex-appeal dell’inorganico. Quindi un penchant per un vero affronto all’epica, o per un affronto anti-epico? E cosa accade invece se questi due tentativi di fondazione, in qualche modo ossessionati dall’origine, appartenenti a un genere che da statuto lukacsiano non abbraccia la totalità (epica), si fondano tuttavia assiologicamente, cioè nel loro asse/fondamento di ragione, e raccontano di una fondazione che ha per presupposto una totalità, un’unità che è l’isola, ma anche un pianeta, Melancholia appunto? Una totalità che definiamo numerabile, enciclopedica nel suo tentativo di numerare (Robinson) e governare (Golding) tutto lo scibile e l’inconoscibile (Melancholia), e che forse assomiglia alla vecchia ragione di Adorno e Horkheimer. Quella ragione che è insieme l’Occidente e l’Illuminismo. Va considerato quindi che all’interno della Dialettica troviamo l’Excursus I. Odisseo, o mito e illuminismo, che ci accoglie sulla soglia con questo esergo per noi funzionale, e quasi da apporre all’ingresso dei nostri due romanzi: Nell’epos, che è – nel senso della filosofia della storia – agli antipodi del romanzo, finiscono per emergere i tratti romanzeschi (dell’Odissea) e il cosmos 1 W. Golding, The Lord of the Flies, Perigee Book, New York 2014; M. Tournier, Vendredi ou les Limbes du Pacifique (1967), Gallimard Folio, Paris 2014. I riferimenti di pagina relativi alle edizioni originali dei romanzi verranno riportati direttamente nel testo. 80 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 venerabile e pieno di senso dell’universo omerico si rivela un prodotto della ragione ordinatrice, che distrugge il mito proprio in forza dell’ordine razionale in cui lo rispecchia 2. Cosa può comportare, quindi, che un genere non totale come il romanzo, non solo si affidi al racconto di un momento fondativo, che appartiene invece alle declinazioni della totalità, ma lo faccia anche all’interno di quella vocazione alla razionalità totalizzante che abbiamo presupposto tra gli elementi originari e più propri del paradigma occidentale, in sede cognitiva, morale, estetica? Sembra allora che questo paradigma, che chiameremo di «razionalizzazione totalizzante», sia innanzitutto lo schema di fondo e la premessa essenziale, il modo in cui è pensabile il mondo delle tre opere prese in esame. Ho voluto quindi scegliere la Dialettica dell’illuminismo come una delle principali indagini rivolte proprio all’anatomia di questa razionalizzazione totale che è il portato occidentale più proprio. D’altra parte lo scontro, la distruzione di questa totalità razionalizzata è uno degli impulsi formali e tematizzati che fanno l’epicità in questi testi. Questa razionalità presupposta declina dunque una vocazione, anche ampiamente già prevista se vogliamo, per il dissolvimento non razionale, non organico, come vedremo poi anche nella struttura narrativa di Melancholia. Altro punto fondamentale, stringendo il focus, è che andrà considerata la simultaneità di questi movimenti: l’elemento fondativo originario è sincrono e non antitetico a quello della distruzione. Alla distruzione segue dunque un ordine altro, estatico-contemplativo, di energie e temporalità completamente diverse dallo stadio precedente. L’emersione di questo nuovo paradigma, che per ora definisco non razionale, si sostanzia e si formalizza proprio di epica e nell’epica. O meglio, nella nuova nascita che si darà nei due romanzi, la nascita di un nuovo ordo rivolto alla comunità, nel caso di Golding, e nuovo stato di natura per 2 M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 2010 (1947), p. 51. 81 Emanuele Canzaniello Tournier. L’ordine vitale che si ottiene è tanto estraneo allo stato precedente quasi quanto lo è all’inorganico: «There’s the fire. Can’t they see?» «You got to be tough now. Make ‘em do what you want». Ralph answered in the cautious voice of one who rehearses a theorem. «If I blow the conch and they don’t come back; then we’ve had it. We shan’t keep the fire going. We’ll be like animals. We’ll never be rescued». «If you don’t blow, we’ll soon be animals anyway. I can’t see what they’re doing but I can hear» 3. (The Lord of the Flies, p. 92) Una sottotraccia dell’interrogazione iniziale che propongo riguarda la possibilità che quanto detto finora sia descritto secondo una vera fenomenologia della paura, in tre declinazioni diverse nei nostri tre casi. «He forgot his wounds, his hunger and thirst, and became fear» (p. 203) 4. Nel primo movimento, con Vendredi ou les Limbes du Pacifique, andranno circoscritte le fonti di epicità che hanno presieduto alla riscrittura del Robinson Crusoe. Da una monumentale fondazione storica dell’adventure (o non solo dell’adventure, che esisteva da tempo, ma direi della fondazione storica del capitalismo) al racconto di una fuga regressivo/ inorganica nella natura. Un Robinson che sceglie di non andare via dall’isola, che lascia al servo la possibilità di andare via, di tornare alla civiltà, e concede a se stesso una ipergamia cosmica con le cavità e le florealità dell’isola, con le sue melme e le sue erosioni. Quello che cercherò di provare sarà in questo caso la fondazione non più storica ma naturale di una individuata connivenza con la natura. Scelta come legame organico o come deriva da ogni legame organico? 3 «“È il fuoco che conta: non riescono a capirlo?”. “Devi importi, devi farlo”. Ralph rispose con la voce cauta di chi ripassa un teorema. “Se io suono la conchiglia e loro non tornano indietro… è finita. Non terremo il fuoco acceso. Saremo come animali. Non saremo salvati mai”. “Se non suoni, presto saremo animali in ogni modo. Non riesco a vedere che cosa fanno, ma ci sento bene”» (W. Golding, Il signore delle mosche, Mondadori, Milano 2014, p. 88). 4 «Dimenticò le ferite, la fame e la sete e fu tutto paura» (ivi, p. 200). 82 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 Il mondo mitico è secolarizzato nello spazio che egli percorre, i vecchi demoni che popolano i margini estremi e le isole del Mediterraneo civilizzato, ricacciati nelle rocce e nelle caverne da cui uscirono un giorno nel brivido dei primordi. Ma le avventure dànno a ciascun luogo il suo nome; e il loro risultato è il controllo razionale dello spazio. Il naufrago tremebondo anticipa il lavoro della bussola 5. Questo non è Robinson, bensì l’Odisseo reinterpretato dalla Dialettica dell’illuminismo. Il percorso che compie Robinson, quello di Defoe e quello della prima parte della riscrittura fedele di Tournier, è quanto di più vicino al mito del naufrago, al naufrago epico per eccellenza, Odisseo appunto. Se per Adorno e Horkhaimer Omero è già razionalizzazione del mito e prima traccia di quella ragione che ha costruito l’Occidente, in rapporto analogo Robinson è il mito moderno che meglio ne raccoglie l’eredità, che meglio ci mostra gli esiti di quell’estensione dell’Occidente che è la sua ragione. Una ragione che è stata nautica, cartografica, e si è dispiegata nelle isole e nell’agrimensura del mondo: Nessun Mito parla dell’Occidente come la storia da cui Defoe fu visitato un giorno. Il naufrago di Robinson Crusoe porta nell’Isola Deserta l’intero Occidente, non la libertà; Robinson non vive alcuna diversità da se stesso, perché appena può trasforma ogni diversità in una copia della sua way of life; assoggetta la Natura, la coltiva e la trasforma per il suo utile 6. Il confronto prosegue nella Dialettica anche con sintesi del genere: «Odisseo e Robinson hanno entrambi a che fare con la totalità: l’uno la percorre, l’altro la crea» 7. Questo il punto di partenza: in rapporto alla coscienza che Tournier ha dei mezzi e degli scopi della sua riscrittura, il materiale del Robinson di Defoe viene rielaborato con un’opera di scavo, di ripulitura fossile che ne fa emergere la profondità di reperto, la tangibilità e la concretezza di un intero mondo mitico, fatto di evidenza visiva, di precisione arborea. Se da un lato si accentua il profilo M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 56. G. Montesano, Prefazione a M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, Einaudi, Torino 2014, p. VI. 7 M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 69. 5 6 83 Emanuele Canzaniello mitico nella riscrittura guidata, filosofica, consapevole del mito, razionalizzazione della razionalizzazione potremmo dire, allo stesso tempo Tournier si mantiene vicino a una precisione tassonomica, all’esattezza dell’entomologo, alla perizia zoologica dell’indagine. Specchio questo dello sforzo enumerativo di Robinson, quindi specchio di una delle funzioni di questo mito: rappresentare la potenza dispiegata della ratio occidentale. D’altra parte è lo stesso Robinson che dirà di non poter più parlare se non alla lettera. La vita propria, la personificazione accordata all’Isola sono sicuramente elementi dell’accentuazione mitologica, di questo gradiente in più di potenziale mitologico di cui dispone il romanzo. E come ne dispone il romanzo mentre trasforma l’antico Robinson in qualcos’altro? Una componente importante di quest’evoluzione è costituita dalle progressive tappe di una efflorescente esplorazione sessuale dei tre regni dell’isola di Speranza: il regno minerale, il regno arboreo, e il regno tellurico. Accettare i passaggi iniziatici da un regno all’altro è ulteriore prova del dominio mitologico in cui Robinson è ormai installato: Un fleuve de douceur coulait en lui. C’est alors qu’il eut la certitude d’un changement, dans le poids de l’atmosphère peut-être, ou dans la respiration des choses. Il était dans l’autre île, […]. Il sentait, come jamais encore, qu’il était couché sur l’île sous lui. […] La présence presque charnelle de l’île contre lui le réchauffait, l’émouvait. […] Il se mit nu lui-même. Les bras en croix, le ventre en émoi, il embrassait toutes ses forces ce grand corpos tellurique, [...]. Son sexe creusa le sol comme un soc et s’y épancha dans une immense pitié pout toutes choses créées. Étrange semailles, à l’image du grand solitaire du Pacifique 8. (Vendredi ou les Limbes du Pacifique, pp. 133-134) 8 «Scorreva in lui un fiume di dolcezza. Ebbe in quel punto la certezza di un mutamento, nel peso dell’atmosfera, forse, o nel respiro delle cose. Era nell’altra isola […] Sentiva, come mai fino a quel giorno, di stare coricato sull’isola come su una persona, di avere sotto di sé il corpo dell’isola. […] La presenza quasi carnale dell’isola contro il suo corpo lo riscaldava, lo commuoveva. […] Si mise nudo anche lui. Con le braccia in croce, il ventre convulso, abbracciava con tutte le sue forze quel gran corpo tellurico […] Il suo sesso scavò il suolo come un vomere e vi si effuse in un’immane pietà per tutte le cose create. Strana seminagione a immagine del grande solitario del Pacifico» (M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, cit., p. 123). 84 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 È stato notato come nella stessa precisione della lingua enciclopedica, duttile nel seguire il movimento morfologico dell’isola e delle nuove conoscenze risvegliate dall’esplorazione, Tournier abbia innestato la lingua altrettanto precisa ma musicale dei Racine e degli Chateaubriand 9. I temi, ben distinguibili, spesso chiaramente delineati per influenze etnografiche dichiarate (basti pensare al debito nei confronti di Claude Lévi-Strauss), sono letteralmente portati e distribuiti nel romanzo secondo un’orchestrazione compositiva, che risponde musicalmente (armonicamente?) all’approvvigionamento di temi e motivi di cui ha bisogno la trasformazione di Robinson. Una trasformazione che è un’uscita dalla ragione ordinatrice, dall’appropriazione calcolante dell’isola, in favore di un possesso diverso, che come vedremo, scomparirà anch’esso. È così difficile abbandonare quella ragione da temere quell’abbandono come una deriva, una escissione dall’umano, dal proprio stesso Io: «Il viendra fatalement un temps où un Robinson de plus en plus déshumanisé ne pourra plus être le gouverneur et l’architecte d’une cité de plus en plus humanisée» (p. 124) 10. In questo momento di trasformazione Robinson tradisce di aver compreso la sua opera sull’isola, ma di non vederla come una delle possibilità, piuttosto come la possibilità unica dell’umano, secondo ragione. Capisce però perfettamente di che natura è l’esondazione del suo desiderio sessuale: «Ainsi le désir. C’est un torrent que la nature et la société ont emprisonné dans un bief, dans un moulin, dans une machine pour l’asservir […] J’ai perdu mon bief, mon moulin, ma machine» (p. 125) 11. Robinson misura tutte le profondità degli anfratti dell’isola, tutte le latitudini della sua solitudine; prima di poter rivedere un essere umano sono trascorsi sull’isola tre decenni. Una delle totalità con cui Robinson si misura è la completezza della sua solitudine, sapere che tutti nella 9 «Ed è come se la lingua oscuramente luminosa dei Racine e degli Chateaubriand si unisse alla perizia di un entomologo, uno zoologo, un botanico, un tassonomista enciclopedico: dando vita a una sorta di trasparente oggettività di dettato che risuona di tutti gli armonici irrazionalmente evocativi della musica» (G. Montesano, Prefazione ... cit., p. XVII). 10 «Verrà fatalmente il giorno che un Robinson sempre più disumanizzato non potrà più essere il governatore e l’architetto di un territorio sempre più umanizzato» (M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, cit., p. 114). 11 «Così, il desiderio carnale. È un torrente che la natura e la società hanno imprigionato in una gora, in un mulino, in un macchinario, per asservirlo a uno scopo […] Ho perduto tutto: gora, mulino, macchinario» (ivi, p. 115). 85 Emanuele Canzaniello totalità del mondo lo credono morto. Qualunque cosa egli stia vivendo, qualunque illusione di esistere ancora in un mondo esterno, sa che per l’unanimità degli uomini lui è solo l’immagine di un cadavere. Nella lenta maturazione solare, prima di subire l’accelerazione suggerita dalla presenza di Venerdì, Robinson deve spogliarsi anche dei nuovi modi di possesso dell’isola. Prima di acquisire un nuovo corpo, deve spogliarsi di quel corpo che era diventato il frutto, la mandorla racchiusa nella roccia di Speranza. Deve sentire come graduale disumanizzazione anche il suo coito nella comba rosa, tomba rosea in cui crede di ricondurre al primigenio, anche il flusso naturale della sessualità che passa attraverso di lui. Lui parla della «vocation naturellement géotropique du sexe» (p. 141) 12. Queste alterazioni graduali, continue e profonde, che si succedono e si influenzano all’interno della tramatura del romanzo con una ricorsività musicale dei temi, che si rifrangono tutti intorno a quello del naufrago, sono rilevanti per noi proprio per una lettura epica del testo. Le trasformazioni che attraversa il Robinson di Tournier sono anche innanzitutto forzature della riscrittura, e se il primo Robinson è già materia mitica, a maggior ragione il lavoro di Tournier è una rielaborazione del mito duplice. Però, sulla scia di Adorno e Horkheimer, dire mito non è dire epica, questo è il punto. Una traccia di potenziale epico può essere ritrovata, circoscritta, proprio lì dove il progetto di Tournier esce più allo scoperto: nelle fasi finali del romanzo, nella luce dei Dioscuri che avvolge la coppia gemella di Robinson e Venerdì, completamente rovesciati nelle loro funzioni rispetto all’archetipo settecentesco. Attento ad esplorare ormai il corpo di Venerdì, che ha assunto per lui proporzioni e posture sovrane, e non più di strumento e di servitù, Robinson ne osserva anche le minime antropometrie del polpaccio, si stupisce di sentirlo come «drappeggiato nella sua nudità», di una bellezza che è parte del suo ultimo mutamento. Un mutamento che arriva a intuire con perfetta lucidità che tra loro non c’è mai stata l’ombra dell’attrazione erotica, e che quindi l’attrazione, che pure esiste, è veicolo di una fusione, e di una mutazione più grandi. È da lì che matura il culto solare di Robinson, distante da qualsiasi possesso. L’investitura solare di ogni mattino sarà la sua estasi, questo Robinson di Tournier abita l’eternità, 12 «la naturale vocazione geotropica del sesso» (ivi, p. 129). 86 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 o quelle che vengono definite «brevi estasi» o, nell’epiteto più felice, «momento d’innocenza». Il legame di questa fase del romanzo con Nietzsche è a questo punto un legame non trascurabile; è un legame che presiede a tutta la struttura del tempo che il romanzo esplora, una struttura che è quella di un’eternità mitica, di un ritorno dell’istante estatico, dell’elogio del riso e della leggerezza corporea di Venerdì, immagine di Dioniso, apparso in opposizione alla cristianità residua di cui nel finale Robinson si spoglia completamente. La temporalità sparisce del tutto nel finale, centro simbolico del testo, nel quale il perenne presente solare è cantato, letteralmente cantato nelle forme di un’innologia sacra, che fa pensare alla religione solare di Akhenaton nell’Egitto della prima metà del XIV secolo a.C.: Soleil, délivre-moi de la gravité. Lave mon sang de ses humeurs épaisses qui me protègent certes de la prodigalité et de l’imprévoyance, mais qui brisent l’élan de ma jeunesse et éteignent ma joie de vivre. [...] Je suis une flèche dardée vers ton foyer, un pendule dont le profil perpendiculaire définit ta souveraineté sur la terre, le style du cadran solaire sur lequel une aiguille d’ombre inscrit ta marche. Je suis ton témoin debout sur cette terre, comme une épée trempée dans ta flamme. (Vendredi ou les Limbes du Pacifique, p. 233) 13 È importante tener presente che per Tournier la polarità della distruzione ha il suo riferimento più prossimo nella nietzschiana trasvalutazione di tutti i valori; Robinson insieme al suo occidente distrugge anche le vecchie tavole del cristianesimo in lui, e le distrugge quindi non solo in quanto ragione calcolante, ma anche come dimensione di ragione non dionisiaca, ostile alla vita. La sua nuova totalità di fondazione è una fondazione solare, che precede il tempo storico, e ricorda la lezione antisocratica del Nietzsche della Nascita della tragedia interamente schierato con le ragioni del mito. 13 «Sole, liberami dalla gravezza. Lava il mio sangue dai densi umori che certo mi proteggono dalla prodigalità e dall’imprevidenza, ma spezzano lo slancio della mia giovinezza e spengono in me la gioia di vivere. […] Sono una freccia vibrata verso il tuo fuoco, un pendolo la cui linea a perpendicolo attesta la tua sovranità sulla terra, lo stilo della meridiana su cui un ago d’ombra iscrive il tuo cammino. Sono il tuo testimonio ritto su questa terra come una spada temprata nella tua fiamma» (M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, cit., pp. 210-211). 87 Emanuele Canzaniello Veniamo ora ai bambini del Signore delle mosche; perché sono i bambini qui che si spingono subito a fare quello che Robinson impara a fare solo dopo decenni sull’isola. Più vicini alla natura, più lontani dalla ragione, hanno meno difficoltà, meno resistenze nel distruggere la vecchia civiltà in loro e fondarne una nuova. Costruita nel sangue e nella paura; rivolta, invece, come abbiamo visto, a una solarità primigenia quella di Robinson, più adulto, più maturo, più lontano da una crudeltà spontanea e di natura. In The Lord of the Flies (1954) di William Golding, la sopravvivenza dell’epica presiede a e coincide con l’avventura di pochi bambini, i soli superstiti su un’isola dopo un disastro aereo. Nella strategia dell’apologo assistiamo al racconto di una fondazione. Lo statuto fondativo – di una civilizzazione, di una comunità – una delle funzioni più stabili e operative del genere epico qui è chiarissimo fino ad assumere i tratti di un racconto a tesi, una tesi forse politica. Quello che cercheremo di provare quindi in questo secondo movimento è la presenza dell’epicità nell’incessante ripetizione di una ontogenesi nel male di tutte le comunità e di tutte le fondazioni umane. La temporalità è il primo elemento da osservare. Delle coordinate storiche, delle cause in cui precipita la vicenda non ci viene detto nulla. Immessi sin da subito nella realtà di un pericolo mortale perenne, i bambini affrontano da subito una temporalità mitologica. Non esistono oggetti che scandiscano il tempo, né verranno costruiti. I loro gesti, le loro decisioni devono avvenire nei tempi utili ad essere salvati, il pericolo costante detta i tempi, detta il periodo di Golding, fatto di cose, comandi, prescrizioni, divieti, urgenze. Conradianamente sono tutti in mare aperto, su un’isola e non su una nave, tutti rischiano ad ogni istante il massimo che si possa rischiare: The time had come for the assembly and as he walked into the concealing splendors of the sunlight he went carefully over the points of his speech. There must be no mistake about this assembly, no chasing imaginary 14. (The Lord of the Flies, p. 76) 14 «Era ora di riunire l’assemblea e, mentre camminava nello splendore accecante del sole, si ripassò accuratamente il discorso che stava per fare. Non bisognava fare sbagli in quell’assemblea, non perdersi dietro a cose immaginarie» (W. Golding, Il signore delle mosche, cit., p. 72). 88 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 Ancora: quasi nessun riferimento circostanziato alla storia nel romanzo, un paio di accenni all’esistenza di aeroplani, televisori e radio. E al fatto che pur di non morire sull’isola sarebbe meglio essere salvati anche dai rossi, i comunisti nemmeno nominati. Rispetto quindi al Vendredi qui l’acquisizione di un’eternità inconsapevole è più immediata, meno profonda ma più istintiva, più elementare. Accanto a questo bagno atemporale, l’elemento della paura qui è un coadiuvante del coefficiente epico. L’intera vicenda non chiede e non offre dettagli circostanziati se non quelli relativi alla storia di una messa in salvo, dettagli se non relativi in qualche modo alla presenza della morte. La paura di tutti, la notte elementare con i suoi terrori, i pericoli del fuoco e i suoi clamori tribali, questi sono gli elementi di cornice del gradiente epico. I pericoli imminenti generano da subito la necessità delle adunate, nuclei immediati di condivisione del potere, di presa di coscienza del mistero della decisionalità. I pericoli costanti mettono a nudo nei ragazzi il loro fiuto istintivo per la forza, per la scelta e la conservazione dei loro capi. La forza e i duelli ne sono gli elementi; basati sull’altezza, l’agilità dei corpi, il coraggio nell’azione e nella parola. I ragazzi emulano le adunate omeriche, e le emulano inconsapevolmente anche nella loro democrazia aristocratica: parlano perlopiù i capi, e con timore pochi altri. Il terrore di prendere la decisione sbagliata, il rischio mortale a cui li sottopone la parola, ispira nei ragazzi il rispetto verso gli equilibri di forza, e di salvezza, che passano attraverso le assemblee comuni, assemblee a volte chiamate anche al voto. Se esiste una struttura oratoria nei loro discorsi, nei discorsi di Ralph, il capo precoce e snello, l’oratore volitivo e febbrile, soprattutto, esiste grazie al terrore, alla nullità dei loro sforzi, al prestigio della notte, del buio completo che li annichilisce. Se nel romanzo si va a caccia, e se esiste un ruolo decisivo della caccia lo si deve all’urgenza vitale di questa funzione. La ritualità che assumerà la caccia sarà il primo segno intorno al quale si combatterà una prima guerra per la conservazione di un ordine «adulto», civile, un ordine discorsivo, riflessivo: Then Jack found the throat and the hot blood spouted over his hands. The sow collapsed under them and they were heavy and fulfilled upon her. The butterflies still danced, preoccupied in the centre of the clearing. At last the im- 89 Emanuele Canzaniello mediacy of the kill subsided. The boys drew back, and Jack stood up, holding out his hands. «Look» 15. (The Lord of the Flies, p. 135) È letteralmente davanti al sangue caldo, a una scena come questa, di caccia, di ritualità fisica, di vita selvaggia, in fondo a quella vita che intraprende il Robinson «solare», è esattamente da qui che inizia a venir meno la presa che il mondo «logico» ha ancora sui ragazzi. L’emergere di queste forze, come antidoto ai terrori della notte, e del caos, s’incanala e segue la direzione dell’antico vettore epico, che è stato anch’esso un’altrettanto urgente emersione di forze schierate contro il caos, contro il terrore della notte mitica. Nella progressiva erosione del mondo adulto, il mondo «inglese» in loro, l’isola amministrata del vecchio Robinson, anche la danza ha un ruolo. La danza erode con il suo squilibrio vertiginoso, con la sua armonia eccedente la misura dell’equilibrio; la danza consolida la nuova comunità tribale. La danza celebra il sangue e propizia la pioggia, e la pioggia non si cura della salvezza, può far spegnere il fuoco di segnalazione, ma a quel punto, come per Robinson, alla comunità «selvaggia» non interessa più essere salvata, tornare al comfort, alla domesticità: «The world, that understandable and lawful world, was slipping away. Once there was this and that; and now – and the ship had gone» (p. 91) 16. Questa è la prospettiva del rammarico, del perturbamento, che riguarda in massima parte Ralph e Piggy, i ragionevoli, i due migliori campioni dell’Impero in rovina. La prospettiva degli altri, dei selvaggi, di tutta la comunità dei ragazzi che hanno abbandonato il mondo assembleare, e si sono immersi nel mito, è che non esiste più nessun mondo comprensibile e legittimo, non esiste più transizione dall’uno all’altro, e 15 «Poi Jack trovò la gola, e il sangue gli sprizzò sulle mani, caldo caldo. La scrofa s’accasciò sotto di loro e le furono sopra con tutto il loro peso, appagati finalmente. Le farfalle danzavano sempre, distratte in mezzo alla radura. Alla fine l’orgasmo della strage cessò, i ragazzi si tirarono indietro, e Jack si alzò in piedi, levando le braccia. “Guardate!”» (ivi, p. 134). 16 «Il mondo, quel mondo comprensibile e legittimo, si dissolveva. Una volta c’era questo e quello, e adesso… E la nave se n’era andata» (ivi, p. 87). 90 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 quasi non esiste più nessuna nave né memoria del loro passato. La vita selvaggia fa tutt’uno con la perdita di una reale profondità temporale. Essi vanno a caccia, e ripetono un’altra incessante ritualità che ricompone un’armonia. Un’armonia fatta anche di fuoco, di una disposizione alla distruzione, per incendio, dell’intera isola. Ma non è un’armonia inequivoca quella che ricreano nel villaggio dei cacciatori, dove i ragazzi non sono più ragazzi, ma corpi dipinti, volti dipinti per fingere e festeggiare la guerra. Non è un’armonia di civilizzazione perché implica e accetta un costo in termini di violenza molto alto, assume su di sé il peso del sangue, non solo dei maiali, ma del sangue umano. Quest’armonia selvaggia ha compreso che è nel male che alcune cose possono avvenire e prendere forma. Di quale natura sia questo male è indizio l’ambiguità del titolo scelto da T. S. Eliot: Lord of the Flies. Uno degli appellativi di Satana. «Fancy thinking the Beast was something you could hunt and kill!» said the head. For a moment or two the forest and all the other dimly appreciated places echoed with the parody of laughter. «You knew, didn’t you? I’m part of you? Close, close, close! I’m the reason why it’s no go? Why things are what they are?» The laughter shivered again. «Come now», said the Lord of the Flies. «Get back to the others and we’ll forget the whole thing» 17. (The Lord of the Flies, p. 143) Dunque, vediamo che l’elemento epico si alimenta in tutte le zone «elementari». La temporalità sospesa, o resa circolare e immobile nella ritualità; la paura, la paura della notte, del nemico; tutti gli elementi che diventano estranei alla comunità razionale. Tutti gli elementi che indicano un desiderio di distruzione, di minaccia rinforzano il sostrato epico di un racconto che ha già in sé qualcosa dell’esemplarità mitica: 17 «“Che idea, pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere!” disse la testa di maiale. Per un po’ la foresta e tutti gli altri posti che si potevano appena vedere risuonarono della parodia di una risata. “Lo sapevi, no?... che io sono una parte di te? Vieni vicino, vicino, vicino! Che io sono la ragione per cui non c’è niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?” La risata echeggiò di nuovo. “Su,” disse il Signore delle Mosche “torna dagli altri, e dimenticheremo tutto quanto”» (ivi, p. 143). 91 Emanuele Canzaniello Somewhere over the darkened curve of the world the sun and moon were pulling, and the film of water on the earth planet was held, bulging slightly on one side while the solid core turned. The great wave of the tide moved farther along the island and the water lifted. Softly, surrounded by a fringe of inquisitive bright creatures, itself a silver shape beneath the steadfast constellations, Simon’s dead body moved out toward the open sea 18. (The Lord of the Flies, p. 154) Gli elementi naturali vengono qui convocati davanti alla prima vittima reale, il ragazzo che nel bosco parla con il Signore delle Mosche. Golding esprime chiaramente, per bocca di Ralph, la dicotomia che il romanzo osserva dilaniarsi sul campo: «Which is better – to have rules and agree, or to hunt and kill? […] Which is better, law and rescue, or hunting and breaking things up?» (p. 180) 19. Come vedremo per il film di von Trier, riterrei non improprio utilizzare a proposito di questa progressione dilemmatica la categoria di antimoderno. Per antimoderno, lo diremo subito, intendo indicare la vasta costellazione individuata da Antoine Compagnon, descritta ancor prima che da una definizione univoca, dalla mappatura astrale della grande personalità: si pensi a Chateaubriand, a Baudelaire, a Flaubert, fino probabilmente a Barthes. Proprio con Barthes ci basti dire che antimoderno è il senso acutissimo del nuovo, della cesura del moderno, reso così intenso proprio perché l’amore, la luce intellettuale è in realtà spinta verso il passato, anche se lucidamente sentito come morto, perduto irreversibilmente. Si tratta dunque di una retroguardia dell’avanguardia. Porre quindi la serie precedente di interrogazioni, anche se per bocca dell’eroe, del campione occidentale, vale ad accentuare e sottolineare il pericolo reale che l’Occidente ha 18 «In qualche parte del cielo, sopra la curva oscura del mondo, il sole e la luna esercitavano la loro attrazione, e la superficie dell’acqua, sul pianeta terra, si gonfiava leggermente da una parte, mentre la massa solida girava. La grande onda della marea veniva avanti su tutta l’isola e l’acqua si alzava. Adagio adagio, circondato da una frangia di forme lucenti, il corpo morto di Simon, fatto d’argento anch’esso sotto le costellazioni tranquille, si mosse verso il mare aperto» (ivi, p. 153). 19 «Che cosa è meglio, avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere? […] Che cos’è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?» (ivi, p. 180). 92 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 corso nell’esperimento avviato in quell’isola, non a risolverlo nell’unica possibile riposta che ci aspettiamo. Il dubbio si pone, qui, su quali risposte il testo dia a quelle domande di Ralph, e non tanto nel finale del romanzo che elude la crisi, non l’attenua. Nel terzo movimento, con Melancholia di Lars von Trier, proviamo a ricostruire come la formalizzazione epica del film, orchestrato da un prologo iniziale intorno al preludio del Tristano di Wagner, e cadenzato poi da quegli accordi come parziali leitmotiv, veda oscurarsi lo statuto fondativo, schiacciato e fatto cenere – in spirito e secondo la lettera – dallo statuto opposto e contrario della distruzione, o della Melanconia stessa. Il film potrebbe essere letto come un caso riuscito di epica della fine collettiva (epica per questo respiro dell’inevitabile e dell’universale, e non tragedia individuale) di contro alla grande epica delle fondazioni. Se invece supponiamo che l’epica non possa mai essere epica di una distruzione o di una fine ci troveremmo in difficoltà con questo paradigma, ma forse anche con la stessa natura del racconto iliadico. Attenta a un’obiezione simile l’ipotesi che formulo qui riguarda infatti un’epica della distruzione che non nega appunto la formalizzazione celebrativa, vittoriosa e affermativa dell’epica comunemente intesa, ma anzi ne suppone uno stesso grado di formalizzazione celebrativa, di segno affermativo per così dire, ma rivolta ad affermare la fine, il nulla, l’inorganico come appetibile vittoria. Il castello in cui si svolge l’intero film è Troia che già sa di dover finire, i personaggi e i comportamenti che osserviamo rispondono a gradazioni diverse di un’attesa della fine che già sa di non ammettere altro che se stessa: «telle est bien la leçon étonnante de Melancholia, qui met en scène la catastrophe pour nous faire très simplement accepter avec sérénité notre finitude» 20. Per darci una lezione del genere il film riflette sui mezzi che gli possono consentire di raggiungere i limiti del rappresentabile. A questa latitu- 20 M. Cerisuelo, Ce que nous apprend Melancholia, in «Critique», ago-sett 2012, n. 783-784, p. 774. 93 Emanuele Canzaniello dine visiva, lo spettro è talmente ampio da servirci come spia di un’epica quanto meno dell’ambizione. L’indizio della musica del Tristano, più che partecipe del movimento interno del film, non solo mera funzione esterna, ci autorizza a riflettere anche sul rapporto più generale con l’opera d’arte totale wagneriana; un’altra declinazione di una totalità autogovernata, un’altra radiazione fossile dell’epica. Sul piano visivo, quello che nei due romanzi avviene nelle trasformazioni finali in cui si perde la temporalità storica e si accede al mito, qui avviene sotto forma di necessità di trasformare il materiale visivo in materia della distruzione. Possiamo parlare anche più chiaramente di spettacolarizzazione. È la pellicola stessa che si accartoccia, prende fuoco, si contrae, deve diventare una traccia della combustione universale. Una combustione della totalità del rappresentabile e di tutto il rappresentato precedente; la pellicola si brucia quando in quel momento lo schermo è abitato dal quadro di Brueghel il Vecchio Il ritorno dei cacciatori. La collisione del pianeta Melancholia con la Terra, che vedremo già nel prologo, è l’esito anche del finale, chiuso in un’altra ciclicità del tempo. Ma la distruzione in questo film non è semplicemente apparentabile all’ossessione apocalittica postmoderna; l’elemento della distruzione è così perenne, evocato sin dall’inizio, da sembrare la sostanza stessa di un mondo, l’esito di un’unità ma un esito magico-ineludibile, consustanziale-promesso se non atteso. Exitus in cui è la sapienza della depressione – cioè dell’accettazione della finitudine radicale – che trova il modo per ritualizzare-assorbire la fine che si avvicina, ma che si avvicina sulle note che la invocano del crescendo della melodia infinita del Tristano. E lo fa ponendo forse l’ulteriore problema della cattiva infinità con cui intendere o meno questa totalità che scompare, dallo schermo nell’istante della collisione; in quell’istante l’immagine va in campo nero e la frase melodica è troncata, sospesa due volte, una come melodia infinita e l’altra perché tagliata dalla fine del film, dalla fine della vita sulla terra. Una fine attesa se non altro come correlativo della condizione psichica di melanconia, che è sì contagio per influsso della massa planetaria estranea che appare nei cieli della Terra, ma anche un sintomo di quell’attività di distruzione che è in opera nella natura, quasi a dire nella Necessità della natura, vero cosmo e vera a-cosmia. Siamo davanti, quindi, a tre apologhi antimoderni, in cui l’epica è funzione dell’elemento antimoderno, è quest’elemento che catalizza quelle 94 Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45 energie che vengono formalizzate seguendo il calco fossile dell’epica. Quando nei due romanzi si vira dalla parte della forza, lì emerge l’elemento epico: lo spirito e la contemplazione estatica della forza, caratteristiche necessarie dell’epos. L’epica è tutta dalla parte della forza. Anche nella rovina, anche se questa comporta la distruzione di un ordine, e lo stabilirsi di un ordine distruttivo, basato sull’energia episodica e instabile della forza, o sull’armonia solare-corporea. Anche Melancholia è certo film antimoderno, non è un mero film di fantascienza proprio in ragione del suo sostrato antimoderno, del suo disporsi come un’allegoria medievale, un’affollata Melancholia düreriana scagliata contro la scienza empirica. Vestito di scientificità, il film se ne spoglia e la fa a brandelli. Tutte le prove di ragione contro il terrore, contro la fine annunciata sin dal prologo vengono abbattute una per una, e nel compiacimento segreto con cui viene irretita nella forma questa progressione distruttiva, lì è l’alimento antimoderno, lì la spinta entusiasta contro fiducia e ragione, tipica dell’antimoderno, ma che probabilmente è anche scoria ineliminabile dell’epos, dell’epos che conserva in sé la contraddizione di essere esso stesso una gabbia che ha razionalizzato il mito, la prima estatica verità pre-logica. 95 I Libri dell’Associazione Sigismondo Malatesta Studi di letterature comparate e teatro (prima serie) Collana diretta da Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Francesco Fiorentino 0. Il romanzo sentimentale (1740-1814) a cura di Paolo Amalfitano, Francesco Fiorentino e Giuseppe Merlino (1990) Saggi di: G. Baioni, A. M. Carpi, A. Castoldi, L. Di Michele, G. Groppo, L. Innocenti, S. Leone, G. Mazzacurati, S. Perosa, G. Sertoli, S. Truxa 1. Il romanzo tra i due secoli (1880-1918) a cura di Paolo Amalfitano (1993) Saggi di: M. Bongiovanni Bertini, R. Ceserani, F. Erspamer, G. Farese, F. Marenco, M. Modenesi, S. Perosa, P. Pugliatti 2. Realismo ed effetti di realtà nel romanzo dell’Ottocento a cura di Francesco Fiorentino (1993) Saggi di: A. M. Carpi, A. Castoldi, M. Colummi Camerino, F. Fiorentino, G. Iotti, F. Marucci, G. Merlino, F. Moretti, F. Orlando, S. Sabbadini 3. Il valore del falso. Errori, inganni, equivoci sulle scene europee in epoca barocca a cura di Silvia Carandini (1994) Saggi di: F. Angelini, A. D’Agostino, D. Dalla Valle, S. Ferrone, N. Fusini, A. Lombardo, F. Marenco, F. Orlando, M. G. Profeti, A. Serpieri, F. Vazzoler 4. La tradizione dell’umorismo nero di Stefano Brugnolo (1994) 5. Scene, itinerari, dimore. Lo spazio nella narrativa del ’700 a cura di Loretta Innocenti (1995) Saggi di: P. Amalfitano, A. Castoldi, A. Chiarloni, P. Colaiacomo, G. Fink, G. Mazzacurati, F. Moretti, A. Pizzorusso, A. Principato, S. Romagnoli 254 6. Sui primi poeti del Novecento: la generazione degli anni Ottanta a cura di Giuseppe Merlino (1995) Saggi di: M. Bacigalupo, A. Berardinelli, C. G. De Michelis, P. V. Mengaldo, I. Porena, M. Richter, S. Sabbadini, G. Sacerdoti 7. Proust e la cultura anglosassone di Carlo Lauro (1995) 8. Meraviglie e orrori dell’aldilà. Intrecci mitologici e favole cristiane nel teatro barocco a cura di Silvia Carandini (1995) Saggi di: E. Cancelliere, S. Carandini, P. Fabbri, G. Fasano, D. Gambelli, V. Gentili, P. Petrobelli, G. Sacerdoti, F. Taviani 9. Raccontare e descrivere. Lo spazio nel romanzo dell’Ottocento a cura di Francesco Fiorentino (1997) Saggi di: R. Ceserani, F. Marenco, F. Moretti, C. Pagetti, A. Serpieri, P. Tortonese, L. Villa, E. Villari, L. Zagari 10. Chiarezza e verosimiglianza. La fine del dramma barocco a cura di Silvia Carandini (1997) Saggi di: R. Ciancarelli, C. De Seta, M. Fagiolo dell’Arco, F. Fiorentino, R. Giomini, L. Innocenti, A. Lombardo, V. Papetti, J. Rousset, G. Violato, N. von Prellwitz 11. Le configurazioni dello spazio nel romanzo del ’900 a cura di Paolo Amalfitano (1998) Saggi di: P. Amalfitano, V. Amoruso, M. Bongiovanni Bertini, V. Coletti, A. Gargano, A. Lavagetto, M. Lavagetto, F. Malcovati, G. Mochi, S. Sabbadini, S. Teroni 12. Il personaggio romanzesco. Teoria e storia di una categoria letteraria a cura di Francesco Fiorentino e Luciano Carcereri (1998) Saggi di: R. Ascarelli, M. Botto, F. Brioschi, M. Domenichelli, F. Fiorentino, G. Grilli, P. Hamon, R. Luperini, A. Varvaro 13.14.15. Teatri barocchi. Tragedie, commedie, pastorali nella drammaturgia europea fra ’500 e ’600 a cura di Silvia Carandini (2000) Saggi di: P. Amalfitano, F. Angelini, G. Aquilecchia, S. Arata, E. Bonfatti, R. Camerlingo, C. Corti, D. Dalla Valle, G. Forestier, M. Fusillo, A. Gareffi, H. Gatti, G. Grilli, M. Lombardi, S. Mamone, F. Marenco, C. Mazouer, B. Papasogli, M. Plaisance, P. C. Rivoltella, S. Rufini, G. Sacerdoti, A. Serpieri, E. Tamburini, R. Tessari, S. Zatti 255 16. Il giudizio di valore e il canone letterario a cura di Loretta Innocenti (2000) Saggi di: H. Bloom, L. Bolzoni, A. Castoldi, C. Corti, L. Dällenbach, E. Franco, F. Marenco, F. Moretti 17. La letterarietà dei discorsi scientifici. Aspetti figurali e narrativi della prosa di Hegel, Tocqueville, Darwin, Marx, Freud di Stefano Brugnolo (2001) 18. La poesia dell’età romantica. Lirismo e narratività a cura di Andreina Lavagetto (2002) Saggi di: M. R. Alfani, G. Baioni, G. Cacciavillani, P. Colaiacomo, S. Corrado, P. Gibellini, A. Guyaux, G. Iotti, P. V. Mengaldo, F. Rognoni, L. Rossi 19. Il ritratto dell’artista nel romanzo tra ’700 e ’900 a cura di Enrica Villari e Paolo Pepe (2002) Saggi di: G. Baioni, P. Boitani, A. Boschetti, S. Calabrese, M. d’Amico, M. Palumbo, S. Perosa, G. P. Piretto, G. Rubino, P. Tortonese 20. La trama nel romanzo del ’900 a cura di Luca Pietromarchi (2003) Saggi di: A. Boscaro, A. Cagidemetrio, A. Compagnon, C. Corti, C. Gorlier, S. Perosa, L. Pietromarchi, E. Pittarello, G. C. Roscioni 21. Il tragico nel romanzo moderno a cura di Piero Toffano (2003) Saggi di: P. Amalfitano, A. Asor Rosa, A. M. Carpi, B. Clément, I. Duncan, F. Fiorentino, F. Marenco, G. Paduano, C. Segre, V. Strada, P. Toffano 22. Le emozioni nel romanzo. Dal comico al patetico a cura di Paolo Amalfitano (2003) Saggi di: P. Amalfitano, C. Benedetti, A. Chiarloni, M. Domenichelli, M. T. Giaveri, H. Godard, A. Guyaux, A. Portelli, A. Redondo, P. Tortonese, E. Villari, S. Zatti 23.24. La scena ritrovata. Mitologie teatrali del Novecento a cura di Delia Gambelli e Fausto Malcovati (2004) Saggi di: F. Angelini, S. Arata, U. Artioli, C. Corti, C. G. De Michelis, M. Fazio, M. Fusillo, L. Innocenti, A. Landolfi, F. Malcovati, F. Marotti, D. Millet-Gérard, G. Paduano, P. Puppa, D. Rizzi, S. Saïd, F. Taviani, A. Tinterri 256 25. Il bene e il male. L’etica nel romanzo moderno a cura di Paolo Tortonese (2007) Saggi di: F. D’Intino, T. Eagleton, P. Glaudes, F. Gregori, P. Jourde, G. Mazzoni, J. M. Pozuelo Yvancos, D. Rebecchini, J. Wertheimer continua in due diverse collane: Studi di letterature comparate (seconda serie) Studi di teatro e spettacolo (seconda serie) Studi di letterature comparate (seconda serie) Collana diretta da Paolo Amalfitano, Loretta Innocenti, Luca Pietromarchi 1. A. Hamilton, M. G. Lewis I quattro Facardin. Racconto orientale a cura di Chetro De Carolis (2008) 2. La biografia a cura di Chetro De Carolis (2008) Saggi di: A. Andreoli, M. Bongiovanni Bertini, J. Canavaggio, A. Compagnon, L. Corti, C. Frugoni, A. Gurr, F. Orlando, V. Papetti, P. Pugliatti, A. Varvaro 3. La storia nel romanzo (1800-2000) a cura di Marinella Colummi Camerino (2008) Saggi di: C. Barbanente, A. Beretta Anguissola, P. Berthier, D. Del Corno, G. Mariani, M. Meriggi, J. Molino, D. Rizzi, J. Urrutia, E. Villari, F. Zambon 4. Il paganesimo nella letteratura dell’Ottocento a cura di Paolo Tortonese introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini (2009) Saggi di: G. Chamarat-Malandain, S. Corrado, F. D’Intino, P. Labarthe, B. Marchal, L. Pietromarchi, D. Rizzi, P. Tortonese, F. Vercellone, E. Villari, S. Zenkine 5. L’eroe e l’ostacolo. Forme dell’avventura nella narrativa occidentale a cura di Sergio Zatti (2010) Saggi di: S. Brugnolo, M. Doody, M. Fusillo, A. Gargano, G. Merlino, G. Paduano, S. Perosa, R. Trachsler, S. Zatti 257 6. Il corpo e la sensibilità morale. Letteratura e Teatro nella Francia e nell’Inghilterra del XVIII secolo a cura di Gianni Iotti e Maria Grazia Porcelli (2011) Saggi di: A. Castoldi, C. Corti, M. Delon, P. Frantz, C. Imbroscio, L. Innocenti, G. Iotti, M. G. Messina, G. Mochi, O. Mostefai, M. G. Porcelli, A. Violi 7. Quando le locomotive erano orchi. L’infanzia nell’autobiografia (1890-1945) di Assunta Claudia Scotto di Carlo (2011) 8. Il dialogo spezzato. Forme dell’incomprensione in letteratura di Antonio Castore (2011) 9. Il ricordo d’infanzia nelle letterature del Novecento a cura di Stefano Brugnolo (2012) Saggi di: C. Bertoni, S. Brugnolo, M. DiBattista, G. Ferreccio, A. Gargano, F. Ghelli, F. Gregori, G. Mazzocchi, M. Pirro, M. Residori, E. Sibilio, S. Zatti, E. Zinato 10. L’arte del cadere. Variazioni di un tema nella narrativa di E. A. Poe e di J. Verne di Irene Zanot (2013) 11. La poesia e i numeri a cura di Luca Pietromarchi (2013) Saggi di: A. Afribo, S. Bigliazzi, P. Cattani, C. Corti, M. Emmer, D. Gambelli, A. M. Jaton, L. Magno, V. Magrelli, C. Miglio, A. Niero, L. Pietromarchi, E. Sibilio 12. La forma breve del narrare. Novelle, contes, short stories a cura di Loretta Innocenti (2013) Saggi di: L. Battaglia Ricci, S. Bronzini, R. Castellana, A. Fonyi, A. Gargano, G. Iotti, T. Pavel, S. Perosa, V. Tanase, S. Zatti 13. Un topos moderno. Il pellegrinaggio sentimentale nella poesia europea tra Otto e Novecento di Ida Grasso (2013) 14. Sei lezioni per Francesco Orlando. Teoria ed ermeneutica della letteratura a cura di Paolo Amalfitano e Antonio Gargano (2014) Saggi di: P. Amalfitano, M. Bertini, S. Brugnolo, F. de Cristofaro, F. Fiorentino, A. Gargano, G. Iotti, G. Lanza Tomasi, G. Mazzoni, G. Merlino, G. Paduano, M. Palumbo, L. Pellegrini, S. Teroni, P. Toffano, P. Tortonese, A. Vàrvaro, S. Zatti 258 15. Le figure del cosmopolitismo nelle letterature europee (1700-1830) a cura di Lucia Omacini e Paola Martinuzzi (2014) Saggi di: P. Amalfitano, C. De Carolis, V. Fortunati, G. Giorgi, M.-C. Hoock-Demarle, L. Innocenti, G. Iotti, P. Martinuzzi, L. Omacini, P. Pepe, D. Saglia 16. C’è del metodo in questa follia. L’irrazionale nella letteratura romantica a cura di Paolo Tortonese (2015) Saggi: J.-L. Backès, P. Brooks, P. D’Angelo, F. D’Intino, R. Gilodi, L. Innocenti, J. McGann, D. Philippot, F. Spandri, P. Tortonese, E. Villari 17. Paradigmi autobiografici. Ramón Gómez de la Serna, Christopher Isherwood, Michel Leiris, Alberto Savinio di Gennaro Schiano (2015) 18. Modi di ridere. Forme spiritose e umoristiche della narrazione a cura di Emanuele Zinato (2015) Saggi di: P. Boitani, P. Collini, N. Cronk, A. Del Lungo, R. Donnarumma, P. Fedeli, F. Gregori, M. Residori, J. Schulte, M. Sestito 19. L’adulterio nel romanzo a cura di Enrica Villari (2015) Saggi di: Y. Leclerc, R. Luperini, F. Malcovati, G. Mochi, L. Nissim, F. Orlando, K. R. Scherpe, J. Todd, J. Urrutia, A. Varvaro 20. La scena erotica nel romanzo a cura di Giovanna Mochi (2016) Saggi di: S. Carandini, S. Cenni, C. Corti, M. Delon, C. De Michelis, F. Gherardi, J. de Palacio, Th. Pavel, G. Sampaolo, É. Stead 21. Con parole sciolte. Lirica e narrazione dopo il modernismo a cura di Flavia Gherardi (2016) Saggi di: E. Abignente, V. Baldi, M. Borio, F. Bellini, C. Calenda, B. De Luca, S. Dubrovic, F. Fava, I. Grasso, T. Lussone, G. Quadrato, G. Sgambati 22. La fine del Rinascimento nelle letterature europee a cura di Antonio Gargano (2016) Saggi di: A. Battistini, S. Bigliazzi, M. Blanco, V. Farinella, A. Gargano, M. Lombardi, M. Magnien, B. Papasogli, G. Sacerdoti, S. Zatti 259 Studi di teatro e spettacolo (seconda serie) Collana diretta da Silvia Carandini, Delia Gambelli, Claudio Vicentini 1. Le passioni in scena. Corpi eloquenti e segni dell’anima nel teatro del XVII e XVIII secolo a cura di Silvia Carandini (2009) Saggi e interventi di: M. I. Aliverti, S. Argentieri, M. Bayard, C. Bologna, S. Castelvecchi, B. Craveri, P. Frantz, G. Giordano, J. Lichtenstein, F. Marenco, F. Pedraza Jiménez, S. Perosa, R. Raffaelli, E. Sala di Felice 2. Verità indicibili. Le passioni in scena dall’età romantica al primo Novecento a cura di Paola Bertolone (2010) Saggi di: R. Alonge, G. Banu, A. Barsotti, S. Basch, P. Bertolone, E. Dagrada, P. Fabbri, F. Falcone, C. Sisi, C. Vicentini 3. Il dramma senza confini. Frontiere dell’irrappresentabile sulle scene del Novecento a cura di Silvia Carandini (2014) Saggi di: C. Biet, M. Cattaneo, M. Fazio, L. Flaszen, A. Guarnieri, C. Longhi, L. Mango, L. Marinelli, A. Peghinelli, F. Taviani 4. La farsa. Apparenze e metamorfosi sulle scene europee a cura di Silvia Carandini (2015) Saggi di: M. Bouhaïk-Gironès, J. Camões, R. Ciancarelli, P. Fedeli, D. Gambelli, R. Mullini, C. Patey, M. Pieri, A. Pontremoli, F. Rubellin, E. Sala 5. L’arte del monologo e l’azione sospesa a cura di Claudio Vicentini (2017) Saggi di: E. Cervellati, F. Cotticelli, A. Grilli, L. Mango, S. Fernández Mosquera, M. G. Porcelli, J. Roe, E. Senici, C. Thouret, A. Tinterri 260 Studi sul cinema Collana diretta da Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Franco Monteleone 1. Il racconto tra letteratura e cinema a cura di Lucilla Albano (1997) Saggi e interventi di: L. Albano, G. Amelio, G. Bertolucci, I. Bignardi, G. Fink, C. Garboli, M. Grande, R. La Capria, M. Martone, G. Merlino, P. Ortoleva, M. Rafele, L. Ravera, F. Scarpelli, G. Tinazzi 2. Modelli non letterari nel cinema a cura di Lucilla Albano (1999) Saggi e interventi di: A. Abruzzese, A. Aprà, S. Bernardi, B. Bertolucci, E. Dagrada, G. De Vincenti, G. Frezza, M. M. Gazzano, P. Montani, M. Rafele, P. Terni 3.4. Il cinema che ha fatto sognare il mondo. La commedia brillante e il musical a cura di Franco La Polla e Franco Monteleone (2002) Saggi e interventi di: J.-L. Bourget, R. Campari, V. Caprara, E. Comuzio, R. Durgnat, J. W. Finler, L. Gandini, G. Gosetti, E. Guzzo Vaccarino, F. La Polla, F. Malcovati, A. Masson, I. Moscati, G. Muscio, P. Ortoleva, A. Sapori, V. Zagarrio 5. Science Fiction a cura di Franco Monteleone e Cecilia Martino (2003) Saggi e interventi di: G. Canova, G. Cremonini, M. Fadda, V. Fortunati, F. La Polla, C. Pagetti, P. Rouyer, R. Runcini, V. Sobchack, M. Spanu, M. W. Bruno 6. Il melodramma a cura di Elena Dagrada (2007) Saggi di: L. Albano, M. Bertini, G. Biancorosso, J. H. Delamater, T. Elsaesser, S. Miceli, D. Nasta, E. Sala, G. Spagnoletti, M. Tedeschi Turco, C. Viviani Studi inter artes Collana diretta da Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Loretta Innocenti 1. L’Oriente. Storia di una figura nelle arti occidentali (1700-2000) a cura di Paolo Amalfitano e Loretta Innocenti (2007) 261 I. Dal Settecento al Novecento Saggi di: P. Amalfitano, M. Baridon, M. Bernardini, T. Betzwieser, L. Caterina, M. Delon, G. Ducrey, F. Fido, F. Fiorentino, M. Girardi, A. Gonzáles-Palacios, A. Grosrichard, A. Guarnieri Corazzol, J. Harris, L. Innocenti, G. Iotti, B. Jobert, K. A. Jürgensen, G. Lacambre, N. Leask, R. Leydi, J. MacKenzie, J. Maehder, F. Marenco, B. Moore-Gilbert, C. Mossetti, L. Omacini, A. Ottani Cavina, G. Paduano, C. Peltre, S. Perosa, L. Pietromarchi, A. Pinelli, M. Pogacnik, J. Ridley, F. Rubellin, D. Saglia, J. Sasportes, N. Savarese, G. Scarcia, P. Tortonese, G. Wood, L. Zagari II. Il Novecento Saggi di: G. Banu, S. Carandini, A. M. Carpi, A. Castoldi, J. Chen, M. De Marinis, V. Di Bernardi, L. Galliano, H. Godard, G. Grilli, A. Guetta, E. Guzzo Vaccarino, F. La Polla, Kii-Ming Lo, J. Maehder, J. Majeed, J.-H. Martin, D. Millet-Gérard, N. Misler, P. A. Morton, A. Narain Lambah, J.-P. Naugrette, M. R. Novielli, H. U. Obrist, B. Picon-Vallin, L. C. Pronko, P. Roger, M. Rowell, I. Sagiyama, E. Sánchez García, M. Sebregondi, M. Speidel, I. Spinelli, I. Stoianova, A. Tatlow, F. Taviani, D. Tomasi, M. Treib, R. Vescovi, A. Vettese, P. Williams, L. Zecchi 2. Raymond Queneau. La scrittura e i suoi multipli a cura di Chetro De Carolis e Delia Gambelli (2009) Saggi di: P. Bertetto, C. Bologna, C. De Carolis, M. Emmer, P. Fournel, D. Gambelli, H. Godard, A. M. Jaton, M. Pistoia, M. Sebregondi, S. Valeri, C. Zambianchi, I. Zanot 3. L’epica dopo il moderno (1945-2015) a cura di Francesco de Cristofaro (2017) Saggi di: I. Campeggiani, E. Canzaniello, A. Cecchi, G. Episcopo, M. Giori, A. Loreto, A. Peghinelli, M. Pistoia, F. Sai, C. Tirinanzi de Medici, M. Viscardi Studi di scienze economiche, storiche e sociali Collana diretta da Marina Colonna ed Enzo Mingione 1. L’età di papa Clemente XIV. Religione, politica, cultura a cura di Mario Rosa e Marina Colonna Bulzoni Editore, Roma 2008 Saggi di: L. Bartolini Salimbeni, C. Canonici, F. Di Marco, D. Gallo, I. L. Gatti, N. Guasti, G. Imbruglia, A. Nacinovich, S. Nanni, R. Randolfi, M. Rosa, P. Stella 262 (pubblicati in altre collane) Il razzismo e le sue storie a cura di Girolamo Imbruglia Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992 Saggi di: G. Abbattista, G. Campioni, J. Dunn, C. Gallini, C. Ginzburg, R. Minuti, G. Modiano, A. Pagden, B. Price, A. Prosperi, E. Pugliese, W. Sollors The Economics of F. A. Hayek edited by Marina Colonna, Harald Hagemann, Omar F. Hamouda Edward Elgar, Aldershot (U.K.) and Brookfield (U.S.A.) 1994 vol. I: Money and Business Cycles edited by Marina Colonna, Harald Hagemann Saggi di: R. Arena, M. Colonna, G. de Vivo, M. Desai, G. Dostaler, J. Eatwell, H. Hagemann, D. Laidler, M. Milgate, P. Redfern, C. Rühl, M. Seccareccia, H.-M. Trautwein vol. II: Capitalism, Socialism and Knowledge edited by Marina Colonna, Harald Hagemann, Omar F. Hamouda Saggi di: R. Bellofiore, J. Birner, S. Böhm, B. J. Caldwell, O. F. Hamouda, B. Jossa, T. Lawson, F. Meacci, L. S. Moss, R. Rowley, A. Salanti, I. Steedman, E. W. Streissler, C. Zappia Il futuro del lavoro in Europa. Occupazione, diritti civili, diritti sociali a cura di Marina Colonna ed Enrico Pugliese Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2007 Saggi di: M. E. Casas Baamonde, M. Colonna, R. De Luca Tamajo, L. Giasanti, J.-L. Laville, M. Magatti, L. Mariucci, E. Mingione H. Nadel, E. Pugliese, U. Romagnoli, M. Rusciano, S. Sciarra, P. Villa i minibook Redazione Ida Campeggiani, Chetro De Carolis, Stefania Sbarra 1. Tre saggi su Flaubert a cura di Francesco Fiorentino (2008) Saggi di: G. Merlino, L. Pietromarchi, P. Toffano 2. Tre saggi su Goethe a cura di Anna Maria Carpi (2009) Saggi di: G. Baioni, A. Chiarloni, L. Zagari 263 3. Tre saggi su Thomas Hardy a cura di Paolo Pepe (2010) Saggi di: R. Ceserani, I. Duncan, E. Villari 4. Tre saggi su Joyce a cura di Franca Ruggieri (2011) Saggi di: P. Amalfitano, C. Corti, P. Pugliatti 5. Tre saggi su Racine a cura di Benedetta Papasogli (2011) Saggi di: F. Fiorentino, G. Forestier, G. Violato 6. Musica e Oriente: Francia e Italia nell’Ottocento a cura di Claudio Toscani (2012) Saggi di: A. Guarnieri Corazzol, J. Maehder, G. Paduano 7. Jacques Rivière, Il romanzo d’avventura introduzione, traduzione e cura di Flavia Mariotti (2013) 8. Stephen Orgel, L’illusione del potere. Il masque nel Rinascimento inglese introduzione, traduzione e cura di Loretta Innocenti (2016) 9. Robert Durling, Ariosto. La figura del poeta nell’epica rinascimentale introduzione, traduzione e cura di Ida Campeggiani (2017) 10. Hippolyte Taine, La storia, il suo presente, il suo futuro Introduzione e note di Paolo Tortonese Traduzione di Laura Tortonese (2017) Finito di stampare in Italia nel mese di settembre 2017 da Pacini Editore Industrie Grafiche, Ospedaletto (Pisa)