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Fondare e distruggere. Isole del male do

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STUDI inter artes
Collana diretta da
Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Loretta Innocenti
3
I LIBRI DELL’ASSOCIAZIONE SIGISMONDO MALATESTA
I. Campeggiani, E. Canzaniello, A. Cecchi, G. Episcopo, M. Giori, A. Loreto,
A. Peghinelli, M. Pistoia, F. Sai, C. Tirinanzi de Medici, M. Viscardi
L’epica dopo il moderno
(1945-2015)
a cura di Francesco
de
Cristofaro
pacini editore
©
_Associazione Sigismondo Malatesta
http://www.sigismondomalatesta.it
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica,
la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171
della Legge n. 633 del 22/04/1941
ISBN 978-88-6995-254-8
Per la presente edizione
© 2017 by Pacini Editore
56121 Pisa, via A. Gherardesca, 1
http://www.pacinieditore.it
L’epica dopo il moderno
(1945-2015)
Questo è un volume monografico di studi di Letterature comparate che nasce da
una scelta tematica precisa, con l’invito a studiosi di diversi ambiti a scrivere un
saggio sull’argomento proposto. Questi testi sono stati presentati e discussi, prima
della pubblicazione, in un Laboratorio Malatestiano, secondo una prassi che si è
rivelata proficua e scientificamente valida.
In riferimento alle immagini pubblicate l’Associazione Sigismondo Malatesta
dichiara la propria disponibilità all’assolvimento dei diritti di riproduzione per gli
eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare.
indice
Francesco de Cristofaro
Nella valle perturbante..................................................................... p. 9
Giuseppe Episcopo
Il mare dell’epica e le onde della radio.
Il radiodramma con Bertolt Brecht e Simon Armitage..................... » 31
Carlo Tirinanzi de Medici
Modo epico e modo romanzesco
nel sistema narrativo contemporaneo.............................................. » 53
Emanuele Canzaniello
Fondare e distruggere. Isole del male dopo il ’45.............................. » 77
Mauro Giori
L’epica nel cinema moderno e contemporaneo.
Il caso di Angels in America di Mike Nichols.................................... » 97
Antonio Loreto
Una totalità in miniatura.
La micro-epica di Gherardo Bortolotti............................................. » 115
Ida Campeggiani
La poesia di Amelia Rosselli tra restringimento e totalità.................. » 137
Fatima Sai
Infelici eroi. Contronarrazione ed epica nella poesia
orale araba contemporanea: Muz
. affar an-Nawwāb........................ » 159
Andrea Peghinelli
Brand New Ancients.
L’epica alla prova del teatro britannico contemporaneo.................. » 173
Alessandro Cecchi
Riflessi di Ulisse al crepuscolo del secondo millennio.
Luciano Berio, Outis e l’epica moderna........................................... » 195
Marco Viscardi
Disorientamento, distorsione, fuga.
Il racconto storico alla prova dell’epica............................................ » 221
Marco Pistoia
Eroi per caso? Riflessioni sull’epica cinematografica........................ » 241
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Emanuele Canzaniello
Fondare
Isole
e distruggere
del male dopo il
’45
Era ora di riunire l’assemblea e, mentre camminava nello
splendore accecante del sole, si ripassò accuratamente il
discorso che stava per fare. Non bisognava fare sbagli in
quell’assemblea, non perdersi dietro a cose immaginarie.
W. Golding, Il signore delle mosche
I problemi che proverò ad affrontare, legati alla persistenza o meno del
genere epico o di un dato residuale di epicità a partire dal 1945, pertengono all’elemento di «fondazione», di esplorazione di un’origine. Un elemento tra i più propri e indiscussi dell’epos, dalla testualità antica ad oggi.
La mia ricostruzione muove da due testi, e da un film, Melancholia (2011)
di Lars Von Trier; tutti immersi nella nostra contemporaneità, due romanzi
isolati eppure interrelati nella relazione biunivoca che stabiliscono con il
luogo fisico, la condizione, e la struttura di senso dell’isola, e in questa
di un insieme più vasto di semiosi. La relazione tra i tre testi, non escluso
quello filmico, uniti dalla circolarità dell’isola e dall’accerchiamento di un
isolamento fisico e semiotico, riguarda in primo luogo questo dato: nei tre
diversi casi ci troviamo dentro o in presenza di mondi che per situazioni
diverse hanno bisogno di una nuova fondazione. Perché la fondazione
avvenga, nel primo caso sarà necessaria una distruzione, la distruzione di
un ordine razionale di matrice illuminista; quello che verrà dopo assumerà
i caratteri e la temporalità dell’epos. Nel secondo caso, una comunità già
in qualche modo innocente deve darsi un ordinamento e un inizio; anche
qui la fondazione avverrà solo dopo aver abbandonato la fede razionale in
una libera contrattualizzazione della socialità umana. Sul film torneremo in
seguito, per ora quello che sarà anticipato riguarda solo alcune delle conclusioni; ipotizzerò fin da subito che l’elemento epico dei romanzi presi
in esame, e solo apparentemente in modo più marginale nel caso filmico,
germogli in qualche modo dall’aperta opposizione al vasto e lungo discorso sul diritto, inscindibile dalla modernità, che arriva fino alla democrazia
liberale degli anni coevi a questi romanzi.
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Emanuele Canzaniello
Intorno al problema della fondazione terrò presenti due polarità importanti: la tensione tra l’elemento dell’organico e dell’inorganico. Ma accanto,
per così dire, ai significati primi dell’accezione lukacsiana della continuità
antitetica di epos e romanzo, il primo tutto interno alla categoria dell’organicità e il secondo a quella della disorganicità, del non omogeneo e
non originario, proveremo a innestare problemi ulteriori, più recenti e più
imprevisti. I due casi in esame sono The Lord of the Flies (1952) di William
Golding e Vendredi ou les Limbes du Pacifique (1967) di Michel Tournier 1.
Accanto a questi disporremo il film di Lars von Trier del 2011 Melancholia.
Cosa succede all’elemento epico, organico, in romanzi che non solo
non sono originari (per statuto) ma che tuttavia provano a raccontare
un’origine, un nuovo rito di fondazione, e allo stesso tempo lo affidano
alla tentazione dell’inorganico, a una deriva verso l’originario non organico? Parlo anche nel senso letterale di un penchant per il sex-appeal
dell’inorganico. Quindi un penchant per un vero affronto all’epica, o per
un affronto anti-epico?
E cosa accade invece se questi due tentativi di fondazione, in qualche
modo ossessionati dall’origine, appartenenti a un genere che da statuto
lukacsiano non abbraccia la totalità (epica), si fondano tuttavia assiologicamente, cioè nel loro asse/fondamento di ragione, e raccontano di una
fondazione che ha per presupposto una totalità, un’unità che è l’isola,
ma anche un pianeta, Melancholia appunto? Una totalità che definiamo
numerabile, enciclopedica nel suo tentativo di numerare (Robinson) e
governare (Golding) tutto lo scibile e l’inconoscibile (Melancholia), e che
forse assomiglia alla vecchia ragione di Adorno e Horkheimer. Quella
ragione che è insieme l’Occidente e l’Illuminismo. Va considerato quindi
che all’interno della Dialettica troviamo l’Excursus I. Odisseo, o mito e
illuminismo, che ci accoglie sulla soglia con questo esergo per noi funzionale, e quasi da apporre all’ingresso dei nostri due romanzi:
Nell’epos, che è – nel senso della filosofia della storia – agli antipodi del
romanzo, finiscono per emergere i tratti romanzeschi (dell’Odissea) e il cosmos
1
W. Golding, The Lord of the Flies, Perigee Book, New York 2014; M. Tournier, Vendredi ou les Limbes du Pacifique (1967), Gallimard Folio, Paris 2014. I riferimenti di pagina
relativi alle edizioni originali dei romanzi verranno riportati direttamente nel testo.
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Fondare
e distruggere. Isole del male dopo il
’45
venerabile e pieno di senso dell’universo omerico si rivela un prodotto della
ragione ordinatrice, che distrugge il mito proprio in forza dell’ordine razionale
in cui lo rispecchia 2.
Cosa può comportare, quindi, che un genere non totale come il romanzo, non solo si affidi al racconto di un momento fondativo, che
appartiene invece alle declinazioni della totalità, ma lo faccia anche
all’interno di quella vocazione alla razionalità totalizzante che abbiamo
presupposto tra gli elementi originari e più propri del paradigma occidentale, in sede cognitiva, morale, estetica?
Sembra allora che questo paradigma, che chiameremo di «razionalizzazione totalizzante», sia innanzitutto lo schema di fondo e la premessa
essenziale, il modo in cui è pensabile il mondo delle tre opere prese in
esame. Ho voluto quindi scegliere la Dialettica dell’illuminismo come
una delle principali indagini rivolte proprio all’anatomia di questa razionalizzazione totale che è il portato occidentale più proprio. D’altra parte
lo scontro, la distruzione di questa totalità razionalizzata è uno degli
impulsi formali e tematizzati che fanno l’epicità in questi testi.
Questa razionalità presupposta declina dunque una vocazione, anche ampiamente già prevista se vogliamo, per il dissolvimento non
razionale, non organico, come vedremo poi anche nella struttura narrativa di Melancholia.
Altro punto fondamentale, stringendo il focus, è che andrà considerata la simultaneità di questi movimenti: l’elemento fondativo originario
è sincrono e non antitetico a quello della distruzione. Alla distruzione segue dunque un ordine altro, estatico-contemplativo, di energie e
temporalità completamente diverse dallo stadio precedente. L’emersione di questo nuovo paradigma, che per ora definisco non razionale, si
sostanzia e si formalizza proprio di epica e nell’epica. O meglio, nella
nuova nascita che si darà nei due romanzi, la nascita di un nuovo ordo
rivolto alla comunità, nel caso di Golding, e nuovo stato di natura per
2
M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 2010
(1947), p. 51.
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Emanuele Canzaniello
Tournier. L’ordine vitale che si ottiene è tanto estraneo allo stato precedente quasi quanto lo è all’inorganico:
«There’s the fire. Can’t they see?»
«You got to be tough now. Make ‘em do what you want». Ralph answered in
the cautious voice of one who rehearses a theorem. «If I blow the conch and
they don’t come back; then we’ve had it. We shan’t keep the fire going. We’ll be
like animals. We’ll never be rescued». «If you don’t blow, we’ll soon be animals
anyway. I can’t see what they’re doing but I can hear» 3.
(The Lord of the Flies, p. 92)
Una sottotraccia dell’interrogazione iniziale che propongo riguarda la possibilità che quanto detto finora sia descritto secondo una
vera fenomenologia della paura, in tre declinazioni diverse nei nostri
tre casi. «He forgot his wounds, his hunger and thirst, and became
fear» (p. 203) 4.
Nel primo movimento, con Vendredi ou les Limbes du Pacifique, andranno circoscritte le fonti di epicità che hanno presieduto alla riscrittura
del Robinson Crusoe. Da una monumentale fondazione storica dell’adventure (o non solo dell’adventure, che esisteva da tempo, ma direi della
fondazione storica del capitalismo) al racconto di una fuga regressivo/
inorganica nella natura. Un Robinson che sceglie di non andare via dall’isola, che lascia al servo la possibilità di andare via, di tornare alla civiltà,
e concede a se stesso una ipergamia cosmica con le cavità e le florealità
dell’isola, con le sue melme e le sue erosioni. Quello che cercherò di
provare sarà in questo caso la fondazione non più storica ma naturale di
una individuata connivenza con la natura. Scelta come legame organico
o come deriva da ogni legame organico?
3
«“È il fuoco che conta: non riescono a capirlo?”. “Devi importi, devi farlo”. Ralph
rispose con la voce cauta di chi ripassa un teorema. “Se io suono la conchiglia e loro
non tornano indietro… è finita. Non terremo il fuoco acceso. Saremo come animali. Non
saremo salvati mai”. “Se non suoni, presto saremo animali in ogni modo. Non riesco a vedere che cosa fanno, ma ci sento bene”» (W. Golding, Il signore delle mosche, Mondadori,
Milano 2014, p. 88).
4
«Dimenticò le ferite, la fame e la sete e fu tutto paura» (ivi, p. 200).
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Fondare
e distruggere. Isole del male dopo il
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Il mondo mitico è secolarizzato nello spazio che egli percorre, i vecchi demoni che popolano i margini estremi e le isole del Mediterraneo civilizzato,
ricacciati nelle rocce e nelle caverne da cui uscirono un giorno nel brivido dei
primordi. Ma le avventure dànno a ciascun luogo il suo nome; e il loro risultato
è il controllo razionale dello spazio. Il naufrago tremebondo anticipa il lavoro
della bussola 5.
Questo non è Robinson, bensì l’Odisseo reinterpretato dalla Dialettica dell’illuminismo. Il percorso che compie Robinson, quello di Defoe
e quello della prima parte della riscrittura fedele di Tournier, è quanto
di più vicino al mito del naufrago, al naufrago epico per eccellenza,
Odisseo appunto. Se per Adorno e Horkhaimer Omero è già razionalizzazione del mito e prima traccia di quella ragione che ha costruito
l’Occidente, in rapporto analogo Robinson è il mito moderno che meglio
ne raccoglie l’eredità, che meglio ci mostra gli esiti di quell’estensione
dell’Occidente che è la sua ragione. Una ragione che è stata nautica,
cartografica, e si è dispiegata nelle isole e nell’agrimensura del mondo:
Nessun Mito parla dell’Occidente come la storia da cui Defoe fu visitato un
giorno. Il naufrago di Robinson Crusoe porta nell’Isola Deserta l’intero Occidente, non la libertà; Robinson non vive alcuna diversità da se stesso, perché appena può trasforma ogni diversità in una copia della sua way of life; assoggetta la
Natura, la coltiva e la trasforma per il suo utile 6.
Il confronto prosegue nella Dialettica anche con sintesi del genere:
«Odisseo e Robinson hanno entrambi a che fare con la totalità: l’uno la
percorre, l’altro la crea» 7. Questo il punto di partenza: in rapporto alla
coscienza che Tournier ha dei mezzi e degli scopi della sua riscrittura,
il materiale del Robinson di Defoe viene rielaborato con un’opera di
scavo, di ripulitura fossile che ne fa emergere la profondità di reperto,
la tangibilità e la concretezza di un intero mondo mitico, fatto di evidenza visiva, di precisione arborea. Se da un lato si accentua il profilo
M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 56.
G. Montesano, Prefazione a M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, Einaudi,
Torino 2014, p. VI.
7
M. Horkheimer e T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 69.
5
6
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mitico nella riscrittura guidata, filosofica, consapevole del mito, razionalizzazione della razionalizzazione potremmo dire, allo stesso tempo
Tournier si mantiene vicino a una precisione tassonomica, all’esattezza
dell’entomologo, alla perizia zoologica dell’indagine. Specchio questo
dello sforzo enumerativo di Robinson, quindi specchio di una delle
funzioni di questo mito: rappresentare la potenza dispiegata della ratio
occidentale. D’altra parte è lo stesso Robinson che dirà di non poter
più parlare se non alla lettera. La vita propria, la personificazione accordata all’Isola sono sicuramente elementi dell’accentuazione mitologica, di questo gradiente in più di potenziale mitologico di cui dispone
il romanzo. E come ne dispone il romanzo mentre trasforma l’antico
Robinson in qualcos’altro? Una componente importante di quest’evoluzione è costituita dalle progressive tappe di una efflorescente esplorazione sessuale dei tre regni dell’isola di Speranza: il regno minerale, il
regno arboreo, e il regno tellurico. Accettare i passaggi iniziatici da un
regno all’altro è ulteriore prova del dominio mitologico in cui Robinson
è ormai installato:
Un fleuve de douceur coulait en lui. C’est alors qu’il eut la certitude d’un
changement, dans le poids de l’atmosphère peut-être, ou dans la respiration
des choses. Il était dans l’autre île, […]. Il sentait, come jamais encore, qu’il était
couché sur l’île sous lui. […] La présence presque charnelle de l’île contre lui le
réchauffait, l’émouvait. […] Il se mit nu lui-même. Les bras en croix, le ventre en
émoi, il embrassait toutes ses forces ce grand corpos tellurique, [...]. Son sexe
creusa le sol comme un soc et s’y épancha dans une immense pitié pout toutes
choses créées. Étrange semailles, à l’image du grand solitaire du Pacifique 8.
(Vendredi ou les Limbes du Pacifique, pp. 133-134)
8
«Scorreva in lui un fiume di dolcezza. Ebbe in quel punto la certezza di un mutamento, nel peso dell’atmosfera, forse, o nel respiro delle cose. Era nell’altra isola […]
Sentiva, come mai fino a quel giorno, di stare coricato sull’isola come su una persona, di
avere sotto di sé il corpo dell’isola. […] La presenza quasi carnale dell’isola contro il suo
corpo lo riscaldava, lo commuoveva. […] Si mise nudo anche lui. Con le braccia in croce,
il ventre convulso, abbracciava con tutte le sue forze quel gran corpo tellurico […] Il suo
sesso scavò il suolo come un vomere e vi si effuse in un’immane pietà per tutte le cose
create. Strana seminagione a immagine del grande solitario del Pacifico» (M. Tournier,
Venerdì o il limbo del Pacifico, cit., p. 123).
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È stato notato come nella stessa precisione della lingua enciclopedica,
duttile nel seguire il movimento morfologico dell’isola e delle nuove conoscenze risvegliate dall’esplorazione, Tournier abbia innestato la lingua altrettanto precisa ma musicale dei Racine e degli Chateaubriand 9. I temi, ben distinguibili, spesso chiaramente delineati per influenze etnografiche dichiarate
(basti pensare al debito nei confronti di Claude Lévi-Strauss), sono letteralmente portati e distribuiti nel romanzo secondo un’orchestrazione compositiva, che risponde musicalmente (armonicamente?) all’approvvigionamento
di temi e motivi di cui ha bisogno la trasformazione di Robinson. Una trasformazione che è un’uscita dalla ragione ordinatrice, dall’appropriazione
calcolante dell’isola, in favore di un possesso diverso, che come vedremo,
scomparirà anch’esso. È così difficile abbandonare quella ragione da temere
quell’abbandono come una deriva, una escissione dall’umano, dal proprio
stesso Io: «Il viendra fatalement un temps où un Robinson de plus en plus
déshumanisé ne pourra plus être le gouverneur et l’architecte d’une cité de
plus en plus humanisée» (p. 124) 10. In questo momento di trasformazione
Robinson tradisce di aver compreso la sua opera sull’isola, ma di non vederla
come una delle possibilità, piuttosto come la possibilità unica dell’umano,
secondo ragione. Capisce però perfettamente di che natura è l’esondazione
del suo desiderio sessuale: «Ainsi le désir. C’est un torrent que la nature et
la société ont emprisonné dans un bief, dans un moulin, dans une machine
pour l’asservir […] J’ai perdu mon bief, mon moulin, ma machine» (p. 125) 11.
Robinson misura tutte le profondità degli anfratti dell’isola, tutte le
latitudini della sua solitudine; prima di poter rivedere un essere umano
sono trascorsi sull’isola tre decenni. Una delle totalità con cui Robinson
si misura è la completezza della sua solitudine, sapere che tutti nella
9
«Ed è come se la lingua oscuramente luminosa dei Racine e degli Chateaubriand
si unisse alla perizia di un entomologo, uno zoologo, un botanico, un tassonomista enciclopedico: dando vita a una sorta di trasparente oggettività di dettato che risuona di tutti
gli armonici irrazionalmente evocativi della musica» (G. Montesano, Prefazione ... cit., p.
XVII).
10
«Verrà fatalmente il giorno che un Robinson sempre più disumanizzato non potrà più essere il governatore e l’architetto di un territorio sempre più umanizzato» (M.
Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, cit., p. 114).
11
«Così, il desiderio carnale. È un torrente che la natura e la società hanno imprigionato in una gora, in un mulino, in un macchinario, per asservirlo a uno scopo […] Ho
perduto tutto: gora, mulino, macchinario» (ivi, p. 115).
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Emanuele Canzaniello
totalità del mondo lo credono morto. Qualunque cosa egli stia vivendo,
qualunque illusione di esistere ancora in un mondo esterno, sa che per
l’unanimità degli uomini lui è solo l’immagine di un cadavere. Nella
lenta maturazione solare, prima di subire l’accelerazione suggerita dalla
presenza di Venerdì, Robinson deve spogliarsi anche dei nuovi modi di
possesso dell’isola. Prima di acquisire un nuovo corpo, deve spogliarsi di
quel corpo che era diventato il frutto, la mandorla racchiusa nella roccia
di Speranza. Deve sentire come graduale disumanizzazione anche il suo
coito nella comba rosa, tomba rosea in cui crede di ricondurre al primigenio, anche il flusso naturale della sessualità che passa attraverso di lui.
Lui parla della «vocation naturellement géotropique du sexe» (p. 141) 12.
Queste alterazioni graduali, continue e profonde, che si succedono e
si influenzano all’interno della tramatura del romanzo con una ricorsività
musicale dei temi, che si rifrangono tutti intorno a quello del naufrago,
sono rilevanti per noi proprio per una lettura epica del testo. Le trasformazioni che attraversa il Robinson di Tournier sono anche innanzitutto forzature della riscrittura, e se il primo Robinson è già materia mitica, a maggior
ragione il lavoro di Tournier è una rielaborazione del mito duplice. Però,
sulla scia di Adorno e Horkheimer, dire mito non è dire epica, questo è
il punto. Una traccia di potenziale epico può essere ritrovata, circoscritta,
proprio lì dove il progetto di Tournier esce più allo scoperto: nelle fasi finali del romanzo, nella luce dei Dioscuri che avvolge la coppia gemella di
Robinson e Venerdì, completamente rovesciati nelle loro funzioni rispetto
all’archetipo settecentesco. Attento ad esplorare ormai il corpo di Venerdì,
che ha assunto per lui proporzioni e posture sovrane, e non più di strumento e di servitù, Robinson ne osserva anche le minime antropometrie
del polpaccio, si stupisce di sentirlo come «drappeggiato nella sua nudità»,
di una bellezza che è parte del suo ultimo mutamento. Un mutamento che
arriva a intuire con perfetta lucidità che tra loro non c’è mai stata l’ombra
dell’attrazione erotica, e che quindi l’attrazione, che pure esiste, è veicolo
di una fusione, e di una mutazione più grandi. È da lì che matura il culto
solare di Robinson, distante da qualsiasi possesso. L’investitura solare di
ogni mattino sarà la sua estasi, questo Robinson di Tournier abita l’eternità,
12
«la naturale vocazione geotropica del sesso» (ivi, p. 129).
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o quelle che vengono definite «brevi estasi» o, nell’epiteto più felice, «momento d’innocenza». Il legame di questa fase del romanzo con Nietzsche
è a questo punto un legame non trascurabile; è un legame che presiede
a tutta la struttura del tempo che il romanzo esplora, una struttura che è
quella di un’eternità mitica, di un ritorno dell’istante estatico, dell’elogio
del riso e della leggerezza corporea di Venerdì, immagine di Dioniso, apparso in opposizione alla cristianità residua di cui nel finale Robinson si
spoglia completamente. La temporalità sparisce del tutto nel finale, centro
simbolico del testo, nel quale il perenne presente solare è cantato, letteralmente cantato nelle forme di un’innologia sacra, che fa pensare alla religione solare di Akhenaton nell’Egitto della prima metà del XIV secolo a.C.:
Soleil, délivre-moi de la gravité. Lave mon sang de ses humeurs épaisses qui
me protègent certes de la prodigalité et de l’imprévoyance, mais qui brisent l’élan
de ma jeunesse et éteignent ma joie de vivre. [...] Je suis une flèche dardée vers
ton foyer, un pendule dont le profil perpendiculaire définit ta souveraineté sur la
terre, le style du cadran solaire sur lequel une aiguille d’ombre inscrit ta marche. Je
suis ton témoin debout sur cette terre, comme une épée trempée dans ta flamme.
(Vendredi ou les Limbes du Pacifique, p. 233) 13
È importante tener presente che per Tournier la polarità della distruzione ha il suo riferimento più prossimo nella nietzschiana trasvalutazione di tutti i valori; Robinson insieme al suo occidente distrugge anche
le vecchie tavole del cristianesimo in lui, e le distrugge quindi non solo
in quanto ragione calcolante, ma anche come dimensione di ragione
non dionisiaca, ostile alla vita. La sua nuova totalità di fondazione è una
fondazione solare, che precede il tempo storico, e ricorda la lezione antisocratica del Nietzsche della Nascita della tragedia interamente schierato
con le ragioni del mito.
13
«Sole, liberami dalla gravezza. Lava il mio sangue dai densi umori che certo mi
proteggono dalla prodigalità e dall’imprevidenza, ma spezzano lo slancio della mia giovinezza e spengono in me la gioia di vivere. […] Sono una freccia vibrata verso il tuo fuoco,
un pendolo la cui linea a perpendicolo attesta la tua sovranità sulla terra, lo stilo della
meridiana su cui un ago d’ombra iscrive il tuo cammino. Sono il tuo testimonio ritto su
questa terra come una spada temprata nella tua fiamma» (M. Tournier, Venerdì o il limbo
del Pacifico, cit., pp. 210-211).
87
Emanuele Canzaniello
Veniamo ora ai bambini del Signore delle mosche; perché sono i bambini qui che si spingono subito a fare quello che Robinson impara a fare
solo dopo decenni sull’isola. Più vicini alla natura, più lontani dalla ragione, hanno meno difficoltà, meno resistenze nel distruggere la vecchia civiltà in loro e fondarne una nuova. Costruita nel sangue e nella paura; rivolta,
invece, come abbiamo visto, a una solarità primigenia quella di Robinson,
più adulto, più maturo, più lontano da una crudeltà spontanea e di natura.
In The Lord of the Flies (1954) di William Golding, la sopravvivenza dell’epica presiede a e coincide con l’avventura di pochi bambini, i soli superstiti
su un’isola dopo un disastro aereo. Nella strategia dell’apologo assistiamo al
racconto di una fondazione. Lo statuto fondativo – di una civilizzazione, di
una comunità – una delle funzioni più stabili e operative del genere epico
qui è chiarissimo fino ad assumere i tratti di un racconto a tesi, una tesi
forse politica. Quello che cercheremo di provare quindi in questo secondo
movimento è la presenza dell’epicità nell’incessante ripetizione di una ontogenesi nel male di tutte le comunità e di tutte le fondazioni umane.
La temporalità è il primo elemento da osservare. Delle coordinate
storiche, delle cause in cui precipita la vicenda non ci viene detto nulla. Immessi sin da subito nella realtà di un pericolo mortale perenne, i
bambini affrontano da subito una temporalità mitologica. Non esistono
oggetti che scandiscano il tempo, né verranno costruiti. I loro gesti, le
loro decisioni devono avvenire nei tempi utili ad essere salvati, il pericolo costante detta i tempi, detta il periodo di Golding, fatto di cose,
comandi, prescrizioni, divieti, urgenze. Conradianamente sono tutti in
mare aperto, su un’isola e non su una nave, tutti rischiano ad ogni istante
il massimo che si possa rischiare:
The time had come for the assembly and as he walked into the concealing
splendors of the sunlight he went carefully over the points of his speech. There
must be no mistake about this assembly, no chasing imaginary 14.
(The Lord of the Flies, p. 76)
14
«Era ora di riunire l’assemblea e, mentre camminava nello splendore accecante
del sole, si ripassò accuratamente il discorso che stava per fare. Non bisognava fare sbagli
in quell’assemblea, non perdersi dietro a cose immaginarie» (W. Golding, Il signore delle
mosche, cit., p. 72).
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Fondare
e distruggere. Isole del male dopo il
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Ancora: quasi nessun riferimento circostanziato alla storia nel romanzo, un paio di accenni all’esistenza di aeroplani, televisori e radio. E al
fatto che pur di non morire sull’isola sarebbe meglio essere salvati anche
dai rossi, i comunisti nemmeno nominati.
Rispetto quindi al Vendredi qui l’acquisizione di un’eternità inconsapevole è più immediata, meno profonda ma più istintiva, più elementare.
Accanto a questo bagno atemporale, l’elemento della paura qui è un coadiuvante del coefficiente epico. L’intera vicenda non chiede e non offre
dettagli circostanziati se non quelli relativi alla storia di una messa in salvo, dettagli se non relativi in qualche modo alla presenza della morte. La
paura di tutti, la notte elementare con i suoi terrori, i pericoli del fuoco e i
suoi clamori tribali, questi sono gli elementi di cornice del gradiente epico.
I pericoli imminenti generano da subito la necessità delle adunate,
nuclei immediati di condivisione del potere, di presa di coscienza del
mistero della decisionalità. I pericoli costanti mettono a nudo nei ragazzi il loro fiuto istintivo per la forza, per la scelta e la conservazione dei
loro capi. La forza e i duelli ne sono gli elementi; basati sull’altezza, l’agilità dei corpi, il coraggio nell’azione e nella parola. I ragazzi emulano
le adunate omeriche, e le emulano inconsapevolmente anche nella loro
democrazia aristocratica: parlano perlopiù i capi, e con timore pochi altri.
Il terrore di prendere la decisione sbagliata, il rischio mortale a cui li sottopone la parola, ispira nei ragazzi il rispetto verso gli equilibri di forza,
e di salvezza, che passano attraverso le assemblee comuni, assemblee
a volte chiamate anche al voto. Se esiste una struttura oratoria nei loro
discorsi, nei discorsi di Ralph, il capo precoce e snello, l’oratore volitivo
e febbrile, soprattutto, esiste grazie al terrore, alla nullità dei loro sforzi,
al prestigio della notte, del buio completo che li annichilisce. Se nel romanzo si va a caccia, e se esiste un ruolo decisivo della caccia lo si deve
all’urgenza vitale di questa funzione. La ritualità che assumerà la caccia
sarà il primo segno intorno al quale si combatterà una prima guerra
per la conservazione di un ordine «adulto», civile, un ordine discorsivo,
riflessivo:
Then Jack found the throat and the hot blood spouted over his hands. The
sow collapsed under them and they were heavy and fulfilled upon her. The
butterflies still danced, preoccupied in the centre of the clearing. At last the im-
89
Emanuele Canzaniello
mediacy of the kill subsided. The boys drew back, and Jack stood up, holding
out his hands. «Look» 15.
(The Lord of the Flies, p. 135)
È letteralmente davanti al sangue caldo, a una scena come questa,
di caccia, di ritualità fisica, di vita selvaggia, in fondo a quella vita che
intraprende il Robinson «solare», è esattamente da qui che inizia a venir
meno la presa che il mondo «logico» ha ancora sui ragazzi. L’emergere
di queste forze, come antidoto ai terrori della notte, e del caos, s’incanala e segue la direzione dell’antico vettore epico, che è stato anch’esso
un’altrettanto urgente emersione di forze schierate contro il caos, contro
il terrore della notte mitica.
Nella progressiva erosione del mondo adulto, il mondo «inglese»
in loro, l’isola amministrata del vecchio Robinson, anche la danza ha
un ruolo. La danza erode con il suo squilibrio vertiginoso, con la sua
armonia eccedente la misura dell’equilibrio; la danza consolida la
nuova comunità tribale. La danza celebra il sangue e propizia la pioggia, e la pioggia non si cura della salvezza, può far spegnere il fuoco
di segnalazione, ma a quel punto, come per Robinson, alla comunità
«selvaggia» non interessa più essere salvata, tornare al comfort, alla
domesticità: «The world, that understandable and lawful world, was
slipping away. Once there was this and that; and now – and the ship
had gone» (p. 91) 16.
Questa è la prospettiva del rammarico, del perturbamento, che riguarda in massima parte Ralph e Piggy, i ragionevoli, i due migliori
campioni dell’Impero in rovina. La prospettiva degli altri, dei selvaggi, di
tutta la comunità dei ragazzi che hanno abbandonato il mondo assembleare, e si sono immersi nel mito, è che non esiste più nessun mondo
comprensibile e legittimo, non esiste più transizione dall’uno all’altro, e
15
«Poi Jack trovò la gola, e il sangue gli sprizzò sulle mani, caldo caldo. La scrofa
s’accasciò sotto di loro e le furono sopra con tutto il loro peso, appagati finalmente. Le
farfalle danzavano sempre, distratte in mezzo alla radura. Alla fine l’orgasmo della strage
cessò, i ragazzi si tirarono indietro, e Jack si alzò in piedi, levando le braccia. “Guardate!”»
(ivi, p. 134).
16
«Il mondo, quel mondo comprensibile e legittimo, si dissolveva. Una volta c’era
questo e quello, e adesso… E la nave se n’era andata» (ivi, p. 87).
90
Fondare
e distruggere. Isole del male dopo il
’45
quasi non esiste più nessuna nave né memoria del loro passato. La vita
selvaggia fa tutt’uno con la perdita di una reale profondità temporale.
Essi vanno a caccia, e ripetono un’altra incessante ritualità che ricompone un’armonia. Un’armonia fatta anche di fuoco, di una disposizione alla
distruzione, per incendio, dell’intera isola.
Ma non è un’armonia inequivoca quella che ricreano nel villaggio dei
cacciatori, dove i ragazzi non sono più ragazzi, ma corpi dipinti, volti
dipinti per fingere e festeggiare la guerra. Non è un’armonia di civilizzazione perché implica e accetta un costo in termini di violenza molto alto,
assume su di sé il peso del sangue, non solo dei maiali, ma del sangue
umano. Quest’armonia selvaggia ha compreso che è nel male che alcune cose possono avvenire e prendere forma. Di quale natura sia questo
male è indizio l’ambiguità del titolo scelto da T. S. Eliot: Lord of the Flies.
Uno degli appellativi di Satana.
«Fancy thinking the Beast was something you could hunt and kill!» said the
head. For a moment or two the forest and all the other dimly appreciated places
echoed with the parody of laughter. «You knew, didn’t you? I’m part of you?
Close, close, close! I’m the reason why it’s no go? Why things are what they are?»
The laughter shivered again. «Come now», said the Lord of the Flies. «Get back
to the others and we’ll forget the whole thing» 17.
(The Lord of the Flies, p. 143)
Dunque, vediamo che l’elemento epico si alimenta in tutte le zone
«elementari». La temporalità sospesa, o resa circolare e immobile nella
ritualità; la paura, la paura della notte, del nemico; tutti gli elementi che
diventano estranei alla comunità razionale. Tutti gli elementi che indicano un desiderio di distruzione, di minaccia rinforzano il sostrato epico di
un racconto che ha già in sé qualcosa dell’esemplarità mitica:
17
«“Che idea, pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere!” disse la testa di maiale. Per un po’ la foresta e tutti gli altri posti che si potevano
appena vedere risuonarono della parodia di una risata. “Lo sapevi, no?... che io sono una
parte di te? Vieni vicino, vicino, vicino! Che io sono la ragione per cui non c’è niente da
fare? Per cui le cose vanno come vanno?” La risata echeggiò di nuovo. “Su,” disse il Signore
delle Mosche “torna dagli altri, e dimenticheremo tutto quanto”» (ivi, p. 143).
91
Emanuele Canzaniello
Somewhere over the darkened curve of the world the sun and moon were
pulling, and the film of water on the earth planet was held, bulging slightly on
one side while the solid core turned. The great wave of the tide moved farther
along the island and the water lifted. Softly, surrounded by a fringe of inquisitive
bright creatures, itself a silver shape beneath the steadfast constellations, Simon’s
dead body moved out toward the open sea 18.
(The Lord of the Flies, p. 154)
Gli elementi naturali vengono qui convocati davanti alla prima vittima reale, il ragazzo che nel bosco parla con il Signore delle Mosche.
Golding esprime chiaramente, per bocca di Ralph, la dicotomia che il
romanzo osserva dilaniarsi sul campo: «Which is better – to have rules
and agree, or to hunt and kill? […] Which is better, law and rescue, or
hunting and breaking things up?» (p. 180) 19.
Come vedremo per il film di von Trier, riterrei non improprio utilizzare a proposito di questa progressione dilemmatica la categoria
di antimoderno. Per antimoderno, lo diremo subito, intendo indicare
la vasta costellazione individuata da Antoine Compagnon, descritta
ancor prima che da una definizione univoca, dalla mappatura astrale
della grande personalità: si pensi a Chateaubriand, a Baudelaire, a
Flaubert, fino probabilmente a Barthes. Proprio con Barthes ci basti
dire che antimoderno è il senso acutissimo del nuovo, della cesura
del moderno, reso così intenso proprio perché l’amore, la luce intellettuale è in realtà spinta verso il passato, anche se lucidamente
sentito come morto, perduto irreversibilmente. Si tratta dunque di una
retroguardia dell’avanguardia. Porre quindi la serie precedente di interrogazioni, anche se per bocca dell’eroe, del campione occidentale,
vale ad accentuare e sottolineare il pericolo reale che l’Occidente ha
18
«In qualche parte del cielo, sopra la curva oscura del mondo, il sole e la luna
esercitavano la loro attrazione, e la superficie dell’acqua, sul pianeta terra, si gonfiava
leggermente da una parte, mentre la massa solida girava. La grande onda della marea
veniva avanti su tutta l’isola e l’acqua si alzava. Adagio adagio, circondato da una frangia
di forme lucenti, il corpo morto di Simon, fatto d’argento anch’esso sotto le costellazioni
tranquille, si mosse verso il mare aperto» (ivi, p. 153).
19
«Che cosa è meglio, avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere? […] Che cos’è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?» (ivi, p. 180).
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e distruggere. Isole del male dopo il
’45
corso nell’esperimento avviato in quell’isola, non a risolverlo nell’unica possibile riposta che ci aspettiamo.
Il dubbio si pone, qui, su quali risposte il testo dia a quelle domande di Ralph, e non tanto nel finale del romanzo che elude la crisi, non
l’attenua.
Nel terzo movimento, con Melancholia di Lars von Trier, proviamo
a ricostruire come la formalizzazione epica del film, orchestrato da un
prologo iniziale intorno al preludio del Tristano di Wagner, e cadenzato
poi da quegli accordi come parziali leitmotiv, veda oscurarsi lo statuto
fondativo, schiacciato e fatto cenere – in spirito e secondo la lettera –
dallo statuto opposto e contrario della distruzione, o della Melanconia
stessa. Il film potrebbe essere letto come un caso riuscito di epica della
fine collettiva (epica per questo respiro dell’inevitabile e dell’universale,
e non tragedia individuale) di contro alla grande epica delle fondazioni.
Se invece supponiamo che l’epica non possa mai essere epica di una
distruzione o di una fine ci troveremmo in difficoltà con questo paradigma, ma forse anche con la stessa natura del racconto iliadico. Attenta
a un’obiezione simile l’ipotesi che formulo qui riguarda infatti un’epica
della distruzione che non nega appunto la formalizzazione celebrativa,
vittoriosa e affermativa dell’epica comunemente intesa, ma anzi ne suppone uno stesso grado di formalizzazione celebrativa, di segno affermativo per così dire, ma rivolta ad affermare la fine, il nulla, l’inorganico
come appetibile vittoria.
Il castello in cui si svolge l’intero film è Troia che già sa di dover
finire, i personaggi e i comportamenti che osserviamo rispondono a gradazioni diverse di un’attesa della fine che già sa di non ammettere altro
che se stessa: «telle est bien la leçon étonnante de Melancholia, qui met
en scène la catastrophe pour nous faire très simplement accepter avec
sérénité notre finitude» 20.
Per darci una lezione del genere il film riflette sui mezzi che gli possono consentire di raggiungere i limiti del rappresentabile. A questa latitu-
20
M. Cerisuelo, Ce que nous apprend Melancholia, in «Critique», ago-sett 2012, n.
783-784, p. 774.
93
Emanuele Canzaniello
dine visiva, lo spettro è talmente ampio da servirci come spia di un’epica
quanto meno dell’ambizione. L’indizio della musica del Tristano, più che
partecipe del movimento interno del film, non solo mera funzione esterna,
ci autorizza a riflettere anche sul rapporto più generale con l’opera d’arte totale wagneriana; un’altra declinazione di una totalità autogovernata,
un’altra radiazione fossile dell’epica. Sul piano visivo, quello che nei due
romanzi avviene nelle trasformazioni finali in cui si perde la temporalità
storica e si accede al mito, qui avviene sotto forma di necessità di trasformare il materiale visivo in materia della distruzione. Possiamo parlare
anche più chiaramente di spettacolarizzazione. È la pellicola stessa che
si accartoccia, prende fuoco, si contrae, deve diventare una traccia della
combustione universale. Una combustione della totalità del rappresentabile e di tutto il rappresentato precedente; la pellicola si brucia quando in
quel momento lo schermo è abitato dal quadro di Brueghel il Vecchio Il
ritorno dei cacciatori. La collisione del pianeta Melancholia con la Terra,
che vedremo già nel prologo, è l’esito anche del finale, chiuso in un’altra
ciclicità del tempo. Ma la distruzione in questo film non è semplicemente
apparentabile all’ossessione apocalittica postmoderna; l’elemento della distruzione è così perenne, evocato sin dall’inizio, da sembrare la sostanza
stessa di un mondo, l’esito di un’unità ma un esito magico-ineludibile,
consustanziale-promesso se non atteso. Exitus in cui è la sapienza della
depressione – cioè dell’accettazione della finitudine radicale – che trova
il modo per ritualizzare-assorbire la fine che si avvicina, ma che si avvicina sulle note che la invocano del crescendo della melodia infinita del
Tristano. E lo fa ponendo forse l’ulteriore problema della cattiva infinità
con cui intendere o meno questa totalità che scompare, dallo schermo
nell’istante della collisione; in quell’istante l’immagine va in campo nero e
la frase melodica è troncata, sospesa due volte, una come melodia infinita
e l’altra perché tagliata dalla fine del film, dalla fine della vita sulla terra.
Una fine attesa se non altro come correlativo della condizione psichica di
melanconia, che è sì contagio per influsso della massa planetaria estranea
che appare nei cieli della Terra, ma anche un sintomo di quell’attività di
distruzione che è in opera nella natura, quasi a dire nella Necessità della
natura, vero cosmo e vera a-cosmia.
Siamo davanti, quindi, a tre apologhi antimoderni, in cui l’epica è funzione dell’elemento antimoderno, è quest’elemento che catalizza quelle
94
Fondare
e distruggere. Isole del male dopo il
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energie che vengono formalizzate seguendo il calco fossile dell’epica.
Quando nei due romanzi si vira dalla parte della forza, lì emerge l’elemento epico: lo spirito e la contemplazione estatica della forza, caratteristiche necessarie dell’epos. L’epica è tutta dalla parte della forza. Anche
nella rovina, anche se questa comporta la distruzione di un ordine, e lo
stabilirsi di un ordine distruttivo, basato sull’energia episodica e instabile
della forza, o sull’armonia solare-corporea. Anche Melancholia è certo
film antimoderno, non è un mero film di fantascienza proprio in ragione
del suo sostrato antimoderno, del suo disporsi come un’allegoria medievale, un’affollata Melancholia düreriana scagliata contro la scienza
empirica. Vestito di scientificità, il film se ne spoglia e la fa a brandelli.
Tutte le prove di ragione contro il terrore, contro la fine annunciata sin
dal prologo vengono abbattute una per una, e nel compiacimento segreto con cui viene irretita nella forma questa progressione distruttiva, lì è
l’alimento antimoderno, lì la spinta entusiasta contro fiducia e ragione,
tipica dell’antimoderno, ma che probabilmente è anche scoria ineliminabile dell’epos, dell’epos che conserva in sé la contraddizione di essere
esso stesso una gabbia che ha razionalizzato il mito, la prima estatica
verità pre-logica.
95
I Libri dell’Associazione Sigismondo Malatesta
Studi di letterature comparate e teatro
(prima serie)
Collana diretta da
Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Francesco Fiorentino
0. Il romanzo sentimentale (1740-1814)
a cura di Paolo Amalfitano, Francesco Fiorentino e Giuseppe Merlino
(1990)
Saggi di: G. Baioni, A. M. Carpi, A. Castoldi, L. Di Michele, G. Groppo,
L. Innocenti, S. Leone, G. Mazzacurati, S. Perosa, G. Sertoli, S. Truxa
1. Il romanzo tra i due secoli (1880-1918)
a cura di Paolo Amalfitano
(1993)
Saggi di: M. Bongiovanni Bertini, R. Ceserani, F. Erspamer, G. Farese,
F. Marenco, M. Modenesi, S. Perosa, P. Pugliatti
2. Realismo ed effetti di realtà nel romanzo dell’Ottocento
a cura di Francesco Fiorentino
(1993)
Saggi di: A. M. Carpi, A. Castoldi, M. Colummi Camerino, F. Fiorentino, G. Iotti,
F. Marucci, G. Merlino, F. Moretti, F. Orlando, S. Sabbadini
3. Il valore del falso. Errori, inganni, equivoci sulle scene europee in epoca barocca
a cura di Silvia Carandini
(1994)
Saggi di: F. Angelini, A. D’Agostino, D. Dalla Valle, S. Ferrone, N. Fusini,
A. Lombardo, F. Marenco, F. Orlando, M. G. Profeti, A. Serpieri, F. Vazzoler
4. La tradizione dell’umorismo nero
di Stefano Brugnolo
(1994)
5. Scene, itinerari, dimore. Lo spazio nella narrativa del ’700
a cura di Loretta Innocenti
(1995)
Saggi di: P. Amalfitano, A. Castoldi, A. Chiarloni, P. Colaiacomo, G. Fink,
G. Mazzacurati, F. Moretti, A. Pizzorusso, A. Principato, S. Romagnoli
254
6. Sui primi poeti del Novecento: la generazione degli anni Ottanta
a cura di Giuseppe Merlino
(1995)
Saggi di: M. Bacigalupo, A. Berardinelli, C. G. De Michelis, P. V. Mengaldo,
I. Porena, M. Richter, S. Sabbadini, G. Sacerdoti
7. Proust e la cultura anglosassone
di Carlo Lauro
(1995)
8. Meraviglie e orrori dell’aldilà. Intrecci mitologici e favole cristiane
nel teatro barocco
a cura di Silvia Carandini
(1995)
Saggi di: E. Cancelliere, S. Carandini, P. Fabbri, G. Fasano, D. Gambelli, V. Gentili,
P. Petrobelli, G. Sacerdoti, F. Taviani
9. Raccontare e descrivere. Lo spazio nel romanzo dell’Ottocento
a cura di Francesco Fiorentino
(1997)
Saggi di: R. Ceserani, F. Marenco, F. Moretti, C. Pagetti, A. Serpieri, P. Tortonese,
L. Villa, E. Villari, L. Zagari
10. Chiarezza e verosimiglianza. La fine del dramma barocco
a cura di Silvia Carandini
(1997)
Saggi di: R. Ciancarelli, C. De Seta, M. Fagiolo dell’Arco, F. Fiorentino, R. Giomini,
L. Innocenti, A. Lombardo, V. Papetti, J. Rousset, G. Violato, N. von Prellwitz
11. Le configurazioni dello spazio nel romanzo del ’900
a cura di Paolo Amalfitano
(1998)
Saggi di: P. Amalfitano, V. Amoruso, M. Bongiovanni Bertini, V. Coletti, A. Gargano,
A. Lavagetto, M. Lavagetto, F. Malcovati, G. Mochi, S. Sabbadini, S. Teroni
12. Il personaggio romanzesco. Teoria e storia di una categoria letteraria
a cura di Francesco Fiorentino e Luciano Carcereri
(1998)
Saggi di: R. Ascarelli, M. Botto, F. Brioschi, M. Domenichelli, F. Fiorentino,
G. Grilli, P. Hamon, R. Luperini, A. Varvaro
13.14.15. Teatri barocchi. Tragedie, commedie, pastorali nella
drammaturgia europea fra ’500 e ’600
a cura di Silvia Carandini
(2000)
Saggi di: P. Amalfitano, F. Angelini, G. Aquilecchia, S. Arata, E. Bonfatti,
R. Camerlingo, C. Corti, D. Dalla Valle, G. Forestier, M. Fusillo, A. Gareffi, H. Gatti,
G. Grilli, M. Lombardi, S. Mamone, F. Marenco, C. Mazouer, B. Papasogli,
M. Plaisance, P. C. Rivoltella, S. Rufini, G. Sacerdoti, A. Serpieri, E. Tamburini,
R. Tessari, S. Zatti
255
16. Il giudizio di valore e il canone letterario
a cura di Loretta Innocenti
(2000)
Saggi di: H. Bloom, L. Bolzoni, A. Castoldi, C. Corti, L. Dällenbach,
E. Franco, F. Marenco, F. Moretti
17. La letterarietà dei discorsi scientifici. Aspetti figurali e narrativi della prosa
di Hegel, Tocqueville, Darwin, Marx, Freud
di Stefano Brugnolo
(2001)
18. La poesia dell’età romantica. Lirismo e narratività
a cura di Andreina Lavagetto
(2002)
Saggi di: M. R. Alfani, G. Baioni, G. Cacciavillani, P. Colaiacomo, S. Corrado,
P. Gibellini, A. Guyaux, G. Iotti, P. V. Mengaldo, F. Rognoni, L. Rossi
19. Il ritratto dell’artista nel romanzo tra ’700 e ’900
a cura di Enrica Villari e Paolo Pepe
(2002)
Saggi di: G. Baioni, P. Boitani, A. Boschetti, S. Calabrese, M. d’Amico,
M. Palumbo, S. Perosa, G. P. Piretto, G. Rubino, P. Tortonese
20. La trama nel romanzo del ’900
a cura di Luca Pietromarchi
(2003)
Saggi di: A. Boscaro, A. Cagidemetrio, A. Compagnon, C. Corti, C. Gorlier,
S. Perosa, L. Pietromarchi, E. Pittarello, G. C. Roscioni
21. Il tragico nel romanzo moderno
a cura di Piero Toffano
(2003)
Saggi di: P. Amalfitano, A. Asor Rosa, A. M. Carpi, B. Clément, I. Duncan,
F. Fiorentino, F. Marenco, G. Paduano, C. Segre, V. Strada, P. Toffano
22. Le emozioni nel romanzo. Dal comico al patetico
a cura di Paolo Amalfitano
(2003)
Saggi di: P. Amalfitano, C. Benedetti, A. Chiarloni, M. Domenichelli,
M. T. Giaveri, H. Godard, A. Guyaux, A. Portelli, A. Redondo, P. Tortonese,
E. Villari, S. Zatti
23.24. La scena ritrovata. Mitologie teatrali del Novecento
a cura di Delia Gambelli e Fausto Malcovati
(2004)
Saggi di: F. Angelini, S. Arata, U. Artioli, C. Corti, C. G. De Michelis, M. Fazio,
M. Fusillo, L. Innocenti, A. Landolfi, F. Malcovati, F. Marotti, D. Millet-Gérard,
G. Paduano, P. Puppa, D. Rizzi, S. Saïd, F. Taviani, A. Tinterri
256
25. Il bene e il male. L’etica nel romanzo moderno
a cura di Paolo Tortonese
(2007)
Saggi di: F. D’Intino, T. Eagleton, P. Glaudes, F. Gregori, P. Jourde,
G. Mazzoni, J. M. Pozuelo Yvancos, D. Rebecchini, J. Wertheimer
continua in due diverse collane:
Studi di letterature comparate (seconda serie)
Studi di teatro e spettacolo (seconda serie)
Studi di letterature comparate
(seconda serie)
Collana diretta da
Paolo Amalfitano, Loretta Innocenti, Luca Pietromarchi
1. A. Hamilton, M. G. Lewis
I quattro Facardin. Racconto orientale
a cura di Chetro De Carolis
(2008)
2. La biografia
a cura di Chetro De Carolis
(2008)
Saggi di: A. Andreoli, M. Bongiovanni Bertini, J. Canavaggio, A. Compagnon,
L. Corti, C. Frugoni, A. Gurr, F. Orlando, V. Papetti, P. Pugliatti, A. Varvaro
3. La storia nel romanzo (1800-2000)
a cura di Marinella Colummi Camerino
(2008)
Saggi di: C. Barbanente, A. Beretta Anguissola, P. Berthier, D. Del Corno,
G. Mariani, M. Meriggi, J. Molino, D. Rizzi, J. Urrutia, E. Villari, F. Zambon
4. Il paganesimo nella letteratura dell’Ottocento
a cura di Paolo Tortonese
introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini
(2009)
Saggi di: G. Chamarat-Malandain, S. Corrado, F. D’Intino, P. Labarthe,
B. Marchal, L. Pietromarchi, D. Rizzi, P. Tortonese, F. Vercellone, E. Villari,
S. Zenkine
5. L’eroe e l’ostacolo. Forme dell’avventura nella narrativa occidentale
a cura di Sergio Zatti
(2010)
Saggi di: S. Brugnolo, M. Doody, M. Fusillo, A. Gargano, G. Merlino, G. Paduano,
S. Perosa, R. Trachsler, S. Zatti
257
6. Il corpo e la sensibilità morale. Letteratura e Teatro nella Francia
e nell’Inghilterra del XVIII secolo
a cura di Gianni Iotti e Maria Grazia Porcelli
(2011)
Saggi di: A. Castoldi, C. Corti, M. Delon, P. Frantz, C. Imbroscio,
L. Innocenti, G. Iotti, M. G. Messina, G. Mochi, O. Mostefai, M. G. Porcelli, A. Violi
7. Quando le locomotive erano orchi. L’infanzia nell’autobiografia (1890-1945)
di Assunta Claudia Scotto di Carlo
(2011)
8. Il dialogo spezzato. Forme dell’incomprensione in letteratura
di Antonio Castore
(2011)
9. Il ricordo d’infanzia nelle letterature del Novecento
a cura di Stefano Brugnolo
(2012)
Saggi di: C. Bertoni, S. Brugnolo, M. DiBattista, G. Ferreccio, A. Gargano, F. Ghelli,
F. Gregori, G. Mazzocchi, M. Pirro, M. Residori, E. Sibilio, S. Zatti, E. Zinato
10. L’arte del cadere. Variazioni di un tema nella narrativa di E. A. Poe e di J. Verne
di Irene Zanot
(2013)
11. La poesia e i numeri
a cura di Luca Pietromarchi
(2013)
Saggi di: A. Afribo, S. Bigliazzi, P. Cattani, C. Corti, M. Emmer, D. Gambelli, A. M. Jaton,
L. Magno, V. Magrelli, C. Miglio, A. Niero, L. Pietromarchi, E. Sibilio
12. La forma breve del narrare. Novelle, contes, short stories
a cura di Loretta Innocenti
(2013)
Saggi di: L. Battaglia Ricci, S. Bronzini, R. Castellana, A. Fonyi, A. Gargano, G. Iotti,
T. Pavel, S. Perosa, V. Tanase, S. Zatti
13. Un topos moderno. Il pellegrinaggio sentimentale nella poesia europea
tra Otto e Novecento
di Ida Grasso
(2013)
14. Sei lezioni per Francesco Orlando. Teoria ed ermeneutica della letteratura
a cura di Paolo Amalfitano e Antonio Gargano
(2014)
Saggi di: P. Amalfitano, M. Bertini, S. Brugnolo, F. de Cristofaro, F. Fiorentino,
A. Gargano, G. Iotti, G. Lanza Tomasi, G. Mazzoni, G. Merlino, G. Paduano,
M. Palumbo, L. Pellegrini, S. Teroni, P. Toffano, P. Tortonese, A. Vàrvaro, S. Zatti
258
15. Le figure del cosmopolitismo nelle letterature europee (1700-1830)
a cura di Lucia Omacini e Paola Martinuzzi
(2014)
Saggi di: P. Amalfitano, C. De Carolis, V. Fortunati, G. Giorgi, M.-C. Hoock-Demarle,
L. Innocenti, G. Iotti, P. Martinuzzi, L. Omacini, P. Pepe, D. Saglia
16. C’è del metodo in questa follia. L’irrazionale nella letteratura romantica
a cura di Paolo Tortonese
(2015)
Saggi: J.-L. Backès, P. Brooks, P. D’Angelo, F. D’Intino, R. Gilodi, L. Innocenti,
J. McGann, D. Philippot, F. Spandri, P. Tortonese, E. Villari
17. Paradigmi autobiografici. Ramón Gómez de la Serna,
Christopher Isherwood, Michel Leiris, Alberto Savinio
di Gennaro Schiano
(2015)
18. Modi di ridere. Forme spiritose e umoristiche della narrazione
a cura di Emanuele Zinato
(2015)
Saggi di: P. Boitani, P. Collini, N. Cronk, A. Del Lungo, R. Donnarumma, P. Fedeli,
F. Gregori, M. Residori, J. Schulte, M. Sestito
19. L’adulterio nel romanzo
a cura di Enrica Villari
(2015)
Saggi di: Y. Leclerc, R. Luperini, F. Malcovati, G. Mochi, L. Nissim, F. Orlando,
K. R. Scherpe, J. Todd, J. Urrutia, A. Varvaro
20. La scena erotica nel romanzo
a cura di Giovanna Mochi
(2016)
Saggi di: S. Carandini, S. Cenni, C. Corti, M. Delon, C. De Michelis, F. Gherardi,
J. de Palacio, Th. Pavel, G. Sampaolo, É. Stead
21. Con parole sciolte. Lirica e narrazione dopo il modernismo
a cura di Flavia Gherardi
(2016)
Saggi di: E. Abignente, V. Baldi, M. Borio, F. Bellini, C. Calenda, B. De Luca,
S. Dubrovic, F. Fava, I. Grasso, T. Lussone, G. Quadrato, G. Sgambati
22. La fine del Rinascimento nelle letterature europee
a cura di Antonio Gargano
(2016)
Saggi di: A. Battistini, S. Bigliazzi, M. Blanco, V. Farinella, A. Gargano, M. Lombardi,
M. Magnien, B. Papasogli, G. Sacerdoti, S. Zatti
259
Studi di teatro e spettacolo
(seconda serie)
Collana diretta da
Silvia Carandini, Delia Gambelli, Claudio Vicentini
1. Le passioni in scena. Corpi eloquenti e segni dell’anima nel teatro del XVII e XVIII secolo
a cura di Silvia Carandini
(2009)
Saggi e interventi di: M. I. Aliverti, S. Argentieri, M. Bayard, C. Bologna,
S. Castelvecchi, B. Craveri, P. Frantz, G. Giordano, J. Lichtenstein, F. Marenco,
F. Pedraza Jiménez, S. Perosa, R. Raffaelli, E. Sala di Felice
2. Verità indicibili. Le passioni in scena dall’età romantica al primo Novecento
a cura di Paola Bertolone
(2010)
Saggi di: R. Alonge, G. Banu, A. Barsotti, S. Basch, P. Bertolone, E. Dagrada,
P. Fabbri, F. Falcone, C. Sisi, C. Vicentini
3. Il dramma senza confini. Frontiere dell’irrappresentabile sulle scene del Novecento
a cura di Silvia Carandini
(2014)
Saggi di: C. Biet, M. Cattaneo, M. Fazio, L. Flaszen, A. Guarnieri, C. Longhi,
L. Mango, L. Marinelli, A. Peghinelli, F. Taviani
4. La farsa. Apparenze e metamorfosi sulle scene europee
a cura di Silvia Carandini
(2015)
Saggi di: M. Bouhaïk-Gironès, J. Camões, R. Ciancarelli, P. Fedeli, D. Gambelli,
R. Mullini, C. Patey, M. Pieri, A. Pontremoli, F. Rubellin, E. Sala
5. L’arte del monologo e l’azione sospesa
a cura di Claudio Vicentini
(2017)
Saggi di: E. Cervellati, F. Cotticelli, A. Grilli, L. Mango, S. Fernández Mosquera,
M. G. Porcelli, J. Roe, E. Senici, C. Thouret, A. Tinterri
260
Studi sul cinema
Collana diretta da
Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Franco Monteleone
1. Il racconto tra letteratura e cinema
a cura di Lucilla Albano
(1997)
Saggi e interventi di: L. Albano, G. Amelio, G. Bertolucci, I. Bignardi, G. Fink,
C. Garboli, M. Grande, R. La Capria, M. Martone, G. Merlino, P. Ortoleva,
M. Rafele, L. Ravera, F. Scarpelli, G. Tinazzi
2. Modelli non letterari nel cinema
a cura di Lucilla Albano
(1999)
Saggi e interventi di: A. Abruzzese, A. Aprà, S. Bernardi, B. Bertolucci,
E. Dagrada, G. De Vincenti, G. Frezza, M. M. Gazzano, P. Montani, M. Rafele, P. Terni
3.4. Il cinema che ha fatto sognare il mondo. La commedia brillante e il musical
a cura di Franco La Polla e Franco Monteleone
(2002)
Saggi e interventi di: J.-L. Bourget, R. Campari, V. Caprara, E. Comuzio,
R. Durgnat, J. W. Finler, L. Gandini, G. Gosetti, E. Guzzo Vaccarino,
F. La Polla, F. Malcovati, A. Masson, I. Moscati, G. Muscio, P. Ortoleva,
A. Sapori, V. Zagarrio
5. Science Fiction
a cura di Franco Monteleone e Cecilia Martino
(2003)
Saggi e interventi di: G. Canova, G. Cremonini, M. Fadda, V. Fortunati,
F. La Polla, C. Pagetti, P. Rouyer, R. Runcini, V. Sobchack, M. Spanu, M. W. Bruno
6. Il melodramma
a cura di Elena Dagrada
(2007)
Saggi di: L. Albano, M. Bertini, G. Biancorosso, J. H. Delamater, T. Elsaesser,
S. Miceli, D. Nasta, E. Sala, G. Spagnoletti, M. Tedeschi Turco, C. Viviani
Studi inter artes
Collana diretta da
Paolo Amalfitano, Silvia Carandini, Loretta Innocenti
1. L’Oriente. Storia di una figura nelle arti occidentali (1700-2000)
a cura di Paolo Amalfitano e Loretta Innocenti
(2007)
261
I. Dal Settecento al Novecento
Saggi di: P. Amalfitano, M. Baridon, M. Bernardini, T. Betzwieser, L. Caterina,
M. Delon, G. Ducrey, F. Fido, F. Fiorentino, M. Girardi, A. Gonzáles-Palacios,
A. Grosrichard, A. Guarnieri Corazzol, J. Harris, L. Innocenti, G. Iotti, B. Jobert,
K. A. Jürgensen, G. Lacambre, N. Leask, R. Leydi, J. MacKenzie, J. Maehder,
F. Marenco, B. Moore-Gilbert, C. Mossetti, L. Omacini, A. Ottani Cavina, G. Paduano,
C. Peltre, S. Perosa, L. Pietromarchi, A. Pinelli, M. Pogacnik, J. Ridley, F. Rubellin,
D. Saglia, J. Sasportes, N. Savarese, G. Scarcia, P. Tortonese, G. Wood, L. Zagari
II. Il Novecento
Saggi di: G. Banu, S. Carandini, A. M. Carpi, A. Castoldi, J. Chen,
M. De Marinis, V. Di Bernardi, L. Galliano, H. Godard, G. Grilli, A. Guetta,
E. Guzzo Vaccarino, F. La Polla, Kii-Ming Lo, J. Maehder, J. Majeed,
J.-H. Martin, D. Millet-Gérard, N. Misler, P. A. Morton, A. Narain Lambah,
J.-P. Naugrette, M. R. Novielli, H. U. Obrist, B. Picon-Vallin, L. C. Pronko,
P. Roger, M. Rowell, I. Sagiyama, E. Sánchez García, M. Sebregondi,
M. Speidel, I. Spinelli, I. Stoianova, A. Tatlow, F. Taviani, D. Tomasi, M. Treib,
R. Vescovi, A. Vettese, P. Williams, L. Zecchi
2. Raymond Queneau. La scrittura e i suoi multipli
a cura di Chetro De Carolis e Delia Gambelli
(2009)
Saggi di: P. Bertetto, C. Bologna, C. De Carolis, M. Emmer, P. Fournel, D. Gambelli,
H. Godard, A. M. Jaton, M. Pistoia, M. Sebregondi, S. Valeri, C. Zambianchi, I. Zanot
3. L’epica dopo il moderno (1945-2015)
a cura di Francesco de Cristofaro
(2017)
Saggi di: I. Campeggiani, E. Canzaniello, A. Cecchi, G. Episcopo, M. Giori, A. Loreto,
A. Peghinelli, M. Pistoia, F. Sai, C. Tirinanzi de Medici, M. Viscardi
Studi di scienze economiche, storiche e sociali
Collana diretta da
Marina Colonna ed Enzo Mingione
1. L’età di papa Clemente XIV. Religione, politica, cultura
a cura di Mario Rosa e Marina Colonna
Bulzoni Editore, Roma 2008
Saggi di: L. Bartolini Salimbeni, C. Canonici, F. Di Marco, D. Gallo, I. L. Gatti,
N. Guasti, G. Imbruglia, A. Nacinovich, S. Nanni, R. Randolfi, M. Rosa, P. Stella
262
(pubblicati in altre collane)
Il razzismo e le sue storie
a cura di Girolamo Imbruglia
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992
Saggi di: G. Abbattista, G. Campioni, J. Dunn, C. Gallini, C. Ginzburg, R. Minuti,
G. Modiano, A. Pagden, B. Price, A. Prosperi, E. Pugliese, W. Sollors
The Economics of F. A. Hayek
edited by Marina Colonna, Harald Hagemann, Omar F. Hamouda
Edward Elgar, Aldershot (U.K.) and Brookfield (U.S.A.) 1994
vol. I: Money and Business Cycles
edited by Marina Colonna, Harald Hagemann
Saggi di: R. Arena, M. Colonna, G. de Vivo, M. Desai, G. Dostaler, J. Eatwell, H.
Hagemann, D. Laidler, M. Milgate, P. Redfern, C. Rühl, M. Seccareccia, H.-M. Trautwein
vol. II: Capitalism, Socialism and Knowledge
edited by Marina Colonna, Harald Hagemann, Omar F. Hamouda
Saggi di: R. Bellofiore, J. Birner, S. Böhm, B. J. Caldwell, O. F. Hamouda, B. Jossa,
T. Lawson, F. Meacci, L. S. Moss, R. Rowley, A. Salanti, I. Steedman, E. W. Streissler,
C. Zappia
Il futuro del lavoro in Europa. Occupazione, diritti civili, diritti sociali
a cura di Marina Colonna ed Enrico Pugliese
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2007
Saggi di: M. E. Casas Baamonde, M. Colonna, R. De Luca Tamajo, L. Giasanti, J.-L. Laville,
M. Magatti, L. Mariucci, E. Mingione H. Nadel, E. Pugliese, U. Romagnoli, M. Rusciano,
S. Sciarra, P. Villa
i minibook
Redazione Ida Campeggiani, Chetro De Carolis, Stefania Sbarra
1. Tre saggi su Flaubert
a cura di Francesco Fiorentino
(2008)
Saggi di: G. Merlino, L. Pietromarchi, P. Toffano
2. Tre saggi su Goethe
a cura di Anna Maria Carpi
(2009)
Saggi di: G. Baioni, A. Chiarloni, L. Zagari
263
3. Tre saggi su Thomas Hardy
a cura di Paolo Pepe
(2010)
Saggi di: R. Ceserani, I. Duncan, E. Villari
4. Tre saggi su Joyce
a cura di Franca Ruggieri
(2011)
Saggi di: P. Amalfitano, C. Corti, P. Pugliatti
5. Tre saggi su Racine
a cura di Benedetta Papasogli
(2011)
Saggi di: F. Fiorentino, G. Forestier, G. Violato
6. Musica e Oriente: Francia e Italia nell’Ottocento
a cura di Claudio Toscani
(2012)
Saggi di: A. Guarnieri Corazzol, J. Maehder, G. Paduano
7. Jacques Rivière, Il romanzo d’avventura
introduzione, traduzione e cura di Flavia Mariotti
(2013)
8. Stephen Orgel, L’illusione del potere. Il masque nel Rinascimento inglese
introduzione, traduzione e cura di Loretta Innocenti
(2016)
9. Robert Durling, Ariosto. La figura del poeta nell’epica rinascimentale
introduzione, traduzione e cura di Ida Campeggiani
(2017)
10. Hippolyte Taine, La storia, il suo presente, il suo futuro
Introduzione e note di Paolo Tortonese
Traduzione di Laura Tortonese
(2017)
Finito di stampare in Italia nel mese di settembre 2017
da Pacini Editore Industrie Grafiche, Ospedaletto (Pisa)
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