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SINISTRA HEGELIANA

SINISTRA HEGELIANA
La filosofia di Hegel venne superata più che dai suoi avversari, dai suoi seguaci. I problemi discussi
sono stai quello religioso e quello politico. La religione per Hegel è uno dei momenti dello spirito
assoluto, è però un momento inferiore alla filosofia perché la religione è RAPPRESENTAZIONE e
non concetto di sé. Per quanto riguarda la politica già Hegel si era opposto alla scuola storica del
diritto rappresentata da Hugo e Savigny che traeva dalla sua (di Hegel) concezione del diritto
conseguenze reazionarie in politica. Anche GANS, discepolo di Hegel si opponeva alla scuola storica
del diritto, sostenendo la necessità di una evoluzione razionale continua dello spirito del mondo,
evoluzione determinata dallo sviluppo dialettico dell’idea. Gans pensava che l’idea assoluta non
avesse trovato la sua forma definitiva e perfetta nello stato prussiano e nella religione cristiana ma
doveva continuare a svilupparsi.
 HEINE
Insiste sul parallelismo già evidenziato da Hegel tra filosofia kantiana e rivoluzione francese.
Con la critica della ragion pura ha avuto inizio in Germania una rivoluzione intellettuale
analoga alla rivoluzione politica in Francia. In Francia è caduta la monarchia, retaggio della
vecchia struttura sociale, in Germania il deismo, retaggio dell’ancien regime intellettuale. Ma
la rivoluzione intellettuale non basta, a essa deve seguire una rivoluzione politica più radicale
di quella francese.
 STRAUSS
Studiò teologia nel seminario di Tubinga ma man mano la sua fede religiosa scemò. Tuttavia
riteneva di poter interpretare la teoria hegeliana della religione come rappresentazione in
modo da ridurre le dottrine religiose a espressioni puramente immaginative che solo la
filosofia riesce a esprimere adeguatamente. Nel 1935 uscì la VITA DI GESU’ e le sue
posizioni furono subito chiare. La novità della Vita di Gesù sta nel fatto che prima l’esegesi
biblica e dei vangeli aveva seguito due direzioni: quella soprannaturalistica per cui tutto ciò
che è raccontato nei vangeli è ritenuto per vero, e quella razionalistica che eliminava dai
vangeli tutto ciò che non può essere spiegato razionalmente. Entrambe queste correnti
considerano i vangeli come fonti storiche. Strauss ritiene secondo una tesi a priori ritiene che
i miracoli sono impossibili perché vanno contro la legge di causalità ma allo stesso tempo
ammette che se si elimina dai vangeli il soprannaturale non resta più nulla. Allora afferma che
i vangeli non sono fonti storiche ma esprimono solo il modo in cui la prima comunità cristiana
costruì la figura di Gesù. Si tratta di un mito, il mito del messia atteso dal popolo ebraico. Così
i primi cristiani hanno creato delle genealogie per farlo discendere da Davide, lo si fa nascere
a Betlemme e poi visto che Gesù è il figlio di dio gli si attribuisce una nascita verginale.
Strauss divise poi le recensioni che uscirono sulla sua opera dando così vita alla distinzione
tra destra e sinistra hegeliana. La destra interpretava la filosofia hegeliana in modo da
conciliarla con la religione tradizionale, la sinistra in cui si poneva egli stesso la interpretava
in senso razionalistico. Per Strauss la verità della religione è espressa dalla filosofia e
l’incarnazione del verbo in Gesù non è l’incarnazione della divinità in un singolo ma in tutta
l’umanità. La personalità di dio e l’immortalità dell’anima sono negate.
Per sostenere la sua interpretazione dei vangeli si avvale della critica storica che consiste nel
rilevare contraddizioni nei vangeli e in altre fonti storiche e in questo si allontanava
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dall’ermeneutica speculativa di Hegel che si disinteressava della critica storica e ricercava
solo la verità filosofica espressa nella religione in forma di rappresentazione.
L’atteggiamento di Strauss verso la religione è legato all’atteggiamento politico. Essere critici
verso la religione tradizionale voleva dire essere critici verso il sistema politico. Inoltre c’è un
interpretazione della dialettica che segna il distacco da Hegel cioè mentre per Hegel il reale è
già razionale per Strauss la razionalità deve essere instaurata dall’azione rivoluzionaria.
 BAUER
Dopo un’iniziale adesione alla destra hegeliana passa alla sinistra e testimonianza di questa
conversione è lo scritto LA TROMBA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE dove propone
un’interpretazione atea e liberale della filosofia hegeliana. La filosofia hegeliana è atea perché
è la più perfetta di tutte le filosofie. La filosofia è in grado di distruggere la religione. Bauer
passa in rassegna le principali correnti filosofiche del tempo e pur disprezzandole dimostra
come quel poco di filosofia che contengono basti a distruggere la religione. Passa poi
all’interpretazione di Hegel commentando il passo in cui Hegel afferma che nel sentimento
religioso io sono alienato da me stesso perché l’universale, l’essente in sé è la negazione della
mia esistenza empirica. E Bauer lo interpreta dicendo che dio doveva diventare uomo così
che l’umanità acquistasse certezza che l’uomo è dio. Insensata è la sua interpretazione della
filosofia politica hegeliana, esempio eclatante è l’interpretazione della frase sull’uccello di
Minerva che esce al tramonto. Egli la interpreta intendendo che i filosofi trionfano quando
l’ordine precostituito barcolla mentre Hegel intendeva dire che i filosofi devono comprendere
la razionalità che c’è già nel mondo e nella storia.
FEURBACH
La realtà fondamentale non è l’io ma l’IDEA. Rifiuta il cristianesimo perché mette al centro della
realtà la persona. Distingue tre epoche dello spirito e dell’umanità per ciò che riguarda l’immortalità:
epoca greco-romana, epoca medievale, epoca moderna. Nell’epoca romana l’uomo aveva coscienza
di sé sono nell’unione con il suo popolo, la vita collettiva realizzava il suo ideale e di conseguenza
non aveva bisogno di proiettarlo in un’altra vita. Nell’epoca medievale il dogma dell’immortalità era
affermato e accettato ma non era elemento caratteristico dello spirito di quel tempo perché la vita
dell’uomo coincideva con la vita nella chiesa, l’uomo non aveva ancora la coscienza desolata e vuota
della sua singolarità. Nell’epoca moderna si afferma la fede nell’immortalità individuale e anche dio
è concepito come persona e separato dall’uomo. Per il cristianesimo moderno in dio ci sono le stesse
determinazioni presenti nell’uomo solo che in dio sono infinite, nell’uomo finite (differenza
quantitativa).
Nel saggio PER LA CRITICA DELLA FILOSOFIA HEGELIANA rimprovera Hegel di
presupporre all’inizio della sua filosofia tutto quello che poi svolge nel sistema, commettendo così
due errori:
1_ comincia da un concetto astratto ossia con l’essere astratto e Feuerbach si chiede perché non si
possa cominciare dall’essere stesso ossia dall’essere reale oppure dalla ragione?
2_ non segue un metodo genetico-critico. Nell’essere è già implicito tutto ciò che verrà dopo. È già
implicita l’idea assoluta. La deduzione delle categorie intermedie è solo una finta. Alla filosofia
hegeliana manca una vera dimostrazione. Dimostrare vuol dire esprimere il proprio pensiero ad altri
e per esprimere il proprio pensiero si sua il linguaggio che non è altro che la realizzazione del genere
(GATTUNG), la mediazione dell’io con il tu che toglie ogni isolamento individuale. La dialettica
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hegeliana non è una dimostrazione ma un monologo della speculazione con sé stessa mentre la
dimostrazione è dialogo della speculazione con l’empiria.
L’opera più famosa di F. è L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO. Rifiuta la tesi hegeliana per
cui la religione sia una forma imperfetta di filosofia, ossia la religione esprime in forma di
rappresentazione ciò che la filosofia esprime con il concetto. Per F. la religione è opposta alla
filosofia. Alla base dei misteri soprannaturali della religione ci sono sì delle verità ma in forma di
immagini e queste immagini sono il frutto di una patologia psichica perché sono il frutto di
un’alienazione dell’uomo da sé. Poiché l’uomo è il solo animale religioso, la religione deve essere
connaturata alla sua essenza. Il carattere essenziale dell’uomo è la COSCIENZA di sé come specieGATTUNG. L’uomo ha coscienza della sua essenza universale, della sua umanità. L’uomo ha una
duplice vita rispetto agli altri animali perché vive in mezzo alle cose ma ha anche coscienza di sé
stesso come distinto da esse. L’uomo è allo stesso tempo IO e TU perché può porre sé stesso al posto
dell’altro. L’oggetto della coscienza dell’uomo è la sua GATTUNG. L’essenza dell’uomo è ragione,
volontà, cuore. L’uomo conosce per conoscere, ama per amare, e vuole per volere ossia per essere
libero. Soltanto l’uomo ha gioie e affetti puri, disinteressati e intellettuali.
La coscienza che l’uomo ha di dio è la coscienza che l’uomo ha di sé. L’uomo religioso non è
consapevole di ciò ed è proprio questa inconsapevolezza l’essenza della religione. L’uomo crede che
dio sia fuori di lui come il bambino coglie l’umanità prima nell’altro e poi in sé stesso. Per dimostrare
che il concetto di dio non è altro che il concetto dell’umanità oggettivato F. passa in rassegna tutti gli
attributi divini sottolineando di come si tratti di attributi umani. E qui afferma che vero ateo non è
colui che nega dio, ma colui che nega gli attributi di dio. Quanto più umano è dio nel suo essere tanto
più si vuol far apparire grande la distanza dall’uomo. Perché dio sia tutto, l’uomo deve essere nulla.
Non è vero, come dice S. Agostino, che dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse dio, ma è vera
l’inversa ossia poiché l’uomo era già dio, dio ha potuto farsi uomo.
F. mette in luce gli errori e le distorsioni che la religione causa. L’errore fondamentale è la concezione
egoistica e utilitaristica della realtà. La religione è una dottrina di salvezza individuale. Inoltre l’uomo
essendo convinto che ci sia un essere onnipotente e onnisciente in cui è già realizzata ogni perfezione
è distolto dal cercare di realizzarla nel mondo umano con la cultura, le arti e le scienze.
F. osserva che le nuove filosofie sono nate per un bisogno filosofico e non per un bisogno umano,
sono infatti nate per superare il sistema precedente e non per rispondere alla domanda su cos’è il reale
o su che cos’è l’uomo. Se si vuole rispondere a queste domande bisogna guardare a che cosa è l’uomo
oggi, e oggi l’uomo non ha più religione, ha altri interessi che non la beatitudine eterna. La filosofia
deve adeguarsi a questo atteggiamento e quindi deve essere ATEA: la ragione deve sostituire la
bibbia, la politica deve sostituire la chiesa, la terra deve sostituire il cielo e il lavoro la preghiera.
Nelle TESI PER UNA RIFORMA DELLA FILOSOFIA critica nuovamente la filosofia di
Hegel. Il teista ovvero la teologia comune si rappresenta dio come un essere personale che esiste al
di fuori della ragione e al di fuori dell’uomo. Il teista pensa dio dal punto di vista del senso. Il teologo
o filosofo speculativo invece pensa dio dal punto di vista del pensiero. Il suo torto è stato però di aver
indentificato dio col solo pensiero dell’uomo e non con l’uomo totale. Il pensiero dell’uomo è creatore
di astrazioni e non di realtà.
Solo un essere sensibile è un essere reale. Solo i sensi, e non il pensiero, ci danno l’oggetto nel suo
vero senso. L’oggetto dato dal pensiero è solo un pensiero pensato. Un reale mi è dato come qualcosa
che mi limita e per cui patisco. Ora ciò per cui patisco è il senso, dunque solo il sensibile è reale. Ma
ciò per cui patisco è qualcosa che agisce su di me e ciò che agisce è l’io, quindi il modo primordiale
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di essere dell’altro è quello di essere un altro io cioè un tu. Il sentimento che lega l’io con il tu è
l’AMORE che accetta l’altro nella sua alterità.
L’etica di F. ha come precetto fondamentale l’AMORE TRA GLI UOMINI. Ma l’uomo singolo non
racchiude in sé l’essenza dell’uomo. L’essenza dell’uomo è contenuta soltanto nella comunione,
nell’unità dell’uomo con l’uomo.
MARX
Marx si dedico allo studio della FILOSOFIA DEL DIRITTO di Hegel e ne commentò la parte
dedicata allo stato. La CRITICA DELLA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO
PUBBLICO segnò il distacco da Hegel. Le soluzioni hegeliane gli sembrano antinomie irrisolte. Ad
esempio lo stato è detto da Hegel NECESSITA ESTRENA della famiglia e della società civile, e
d’altra parte FINE IMMANENTE. Quindi da una parte la famiglia e la società civile sembrano i
presupposti dello stato, dall’altra lo stato è la totalità che si divide nelle sfere della famiglia e della
società civile. E in questa prospettiva Marx accusa Hegel di mettere l’ideale al posto del reale, mette
l’idea che è un concetto ipostatizzato al posto del reale e pretende di dedurre dall’idea quel reale che
invece dell’idea è proprio il presupposto. Altra incoerenza presenta la concezione hegeliana della
costituzione. La costituzione per Hegel è presupposta al potere legislativo ma continua a svilupparsi
nel continuo progresso delle leggi. Le due affermazioni sono in contrasto ma Marx riconosce
comunque della profondità in Hegel nel suo cominciare sempre con l’opposizione delle
determinazioni. Questa opposizione si risolve solo se si tiene presente che anche le costituzioni sono
nate da un potere legislativo che non è quello della costituzione stessa. Per vedere questa soluzione
bisogna vedere come si formano gli stati e così facendo ci si rende conto che la trasformazione non è
progressiva come sosteneva Hegel ma rivoluzionaria. La categoria della transizione progressiva di
cui parla Hegel non esiste, sono le rivoluzioni che fanno le costituzioni.
Marx analizza poi la funzione delle classi sociali in Hegel. Hegel si trova in una situazione storica in
cui c’è separazione tra società civile e società politica e sente questa separazione come una
contraddizione, ma ritiene che tale separazione sia un momento necessario all’idea. Il rimedio che
Hegel propone contro questa contraddizione è nello stato prussiano. Nella monarchia prussiana la
rappresentanza politica era regolata secondo il sistema corporativo per stati, gli stati rappresentano
per Hegel l’elemento che media tra gli interessi particolari e l’interesse generale dello stato. Ma questa
concezione per Marx è un ritorno al medioevo perché affida alle classi una funzione sociale nello
stato solo in quanto esse hanno i loro rappresentanti in parlamento.
Marx dice che la trasformazione delle classi politiche in classi sociali è un progresso, perché così le
differenze economiche non costituiranno più una differenza politica. La trasformazione delle classi
politiche in sociali ebbe inizio con la monarchia assoluta ma soltanto con la rivoluzione francese si
portò a termine la trasformazione delle classi politiche in sociali. La rivoluzione fece in modo che le
differenze di classe della società civile restassero differenze sociali, differenze che avevano
significato nella vita privata ma che non avevano alcuna importanza nella vita politica.
Marx ritiene ripugnante la preminenza che Hegel dà ai proprietari fondiari e il suo conseguente
appoggio al maggiorascato. Questo vuol dire che proprietari si nasce e solo per il fatto di esser nati
proprietari si partecipa al potere legislativo. La partecipazione al potere legislativo diventa così nella
concezione hegeliana una accidentalità di nascita. Hegel preferisce la designazione per nascita del
legislatore alla designazione secondo l’accidentalità dell’elezione, come se l’elezione, ossia il
prodotto cosciente della fiducia del cittadino non stesse in rapporto necessario con il fine politico.
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Il risultato della critica alla filosofia del diritto di Hegel è il MATERIALISMO STORICO. Marx
riconosce ad Hegel il merito di aver fatto del momento economico della società un momento
essenziale dello sviluppo dell’umanità, ma gli critica di averlo subordinato alla società politica.
[MATERIALISMO STORICO= gli uomini che vivono e producono in una data società si muovono
all’interno di rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà, che sono rapporti di produzione
propri di una determinata fase dello sviluppo della storia]
Nei MANOSCRITTI ECONOMICO FILOSOFICI inizia con alcune riflessioni sul salario, sul
capitale e sulla rendita fondiaria. Il salario corrisponde sempre al minimo necessario per tenere in
vita l’operaio e la sua famiglia. Se per l’introduzione di macchine e di perfezionamenti tecnici il
lavoro dell’operaio produce di più di quello che produceva prima, non si ha una diminuzione di ore
di lavoro o un aumento del salario ma solo un aumento del profitto. Il capitale è la proprietà privata
dei prodotti del lavoro altrui, ottenuta mediante il diritto positivo. La rendita fondiaria non implica
nessun contributo da parte del proprietario. Da tutto ciò Marx deduce che la massima produzione di
ricchezza coincide col massimo impoverimento dell’operaio. Marx spiega il sorgere della proprietà
privata dall’alienazione del lavoro. L’oggetto prodotto dal lavoro sorge di fronte al lavoro come un
ente estraneo. Il prodotto del lavoro è il lavoro che è fissato in un oggetto, si ha quindi l’oggettivazione
del lavoro. L’operaio mette nel suo oggetto la sua vita e questa non appartiene più a lui ma all’oggetto.
1_ il lavoro diventa estraneo al lavoratore perché la ricchezza che egli produce la produce non per sé
ma per gli altri.
2_ il prodotto è il risultato del lavoro dell’operaio. Ma se il prodotto gli è estraneo, gli è estraneo
anche il suo lavoro. L’operaio non si afferma nel suo lavoro ma si nega, non si sente appagato e felice
nella propria attività piuttosto mortifica il suo corpo e il suo spirito. Il lavoro non è volontario, ma
costrittivo, è l’unico mezzo per soddisfare un bisogno. L’operaio ormai si sente libero solo nelle
funzioni bestiali.
3_ l’uomo è Gattungwesen, ente generico. Gattung per Feuerbach voleva dire genere, inteso come
essenza universale. L’uomo è Gattungwesen cioè è consapevole di sé nella sua essenza universale.
L’alienazione del lavoro fa sì che il lavoro che dovrebbe essere l’attività caratteristica dell’uomo in
cui egli si afferma e si realizza, diventa solo un mezzo per sopravvivere, cioè per poter espletare le
sue funzioni animali. L’uomo proprio in quanto ente consapevole fa della sua attività caratteristica
della sua essenza, ossia il lavoro, solo un mezzo per la sua esistenza.
4_ quando l’uomo è estraniato dalla sua essenza specifica è estraniato anche dall’altro uomo.
Il lavoro dell’operaio diventa oggetto di godimento per il capitalista. L’economia politica parte dal
lavoro come anima autentica della produzione però al lavoro non dà nulla e alla proprietà privata dà
tutto. Perché l’economia politica ha espresso soltanto le leggi del lavoro estraniato. Ma non sono leggi
immutabili della natura umana. Mutando le strutture economiche muteranno anche le leggi
economiche. Il mutamento però deve essere radicale, si deve SOPPRIMERE LA PROPRIETA’
PRIVATA E IL SALARIO. La generalizzazione della proprietà privata sarebbe solo la
generalizzazione dell’alienazione e quindi un falso comunismo. Il vero comunismo è soppressione
della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo e quindi una riappropriazione dell’umanità
da parte dell’uomo. Le cose non saranno più guardate come cose da possedere ma come cose di cui
ognuno può fruire.
Con L’IDEOLOGIA TEDESCA Marx critica gli hegeliani di sinistra e anche Feuerbach. Ideologi
sono detti in senso dispregiativo coloro che credono di modificare il mondo con le idee. Pensano che
basti smascherare i falsi dogmi per liberare gli uomini dalla schiavitù. Invece le teorie non sono che
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l’espressione delle condizioni in cui versano gli uomini in quel dato momento, bisogna quindi
trasformare quelle condizioni per poter cambiare le teorie.
Diversamente dagli ideologi Marx parte da presupposti reali. Primo presupposto è l’esistenza di
individui umani viventi. Umani sono gli individui che non trovano già pronti i loro mezzi di
sussistenza ma li producono. Producendo i loro mezzi di sussistenza gli uomini producono la loro
vita materiale. Ciò che gli uomini sono coincide con ciò che producono. La morale, la religione e la
metafisica e ogni altra forma ideologica non hanno autonomia e non hanno storia. Per poter fare storia
gli uomini devono essere in grado di vivere e di conseguenza la prima azione storica è la produzione
dei mezzi necessari per vivere. La soddisfazione di un bisogno ne genera altri e così gli uomini
cominciarono a riprodursi. Si istituì cosi quel nucleo composto da genitori e figli che è la famiglia.
Ma con l’accrescere dei bisogni si sono venuti a creare nuovi rapporti sociali e la famiglia viene
subordinata ad essi. L’accresciuta produttività e l’aumento dei bisogni danno luogo alla divisione del
lavoro. L’essere destinati a un lavoro determinato è per Marx collegato con la proprietà privata. Nella
società comunista invece ciascuno può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere. Ma l’aspetto più
ripugnante della divisione del lavoro è per Marx la divisione tra lavoro mentale e lavoro manuale.
Questa divisione fa in modo che si consideri lo spirito come qualcosa di separato dalla materia e si
viene a creare una classe che fruisce del lavoro altrui senza lavorare. La divisione del lavoro dà origine
alle lotte di classe. Le lotte politiche sono nel loro fondamento lotte di classe. Quando però il
proletariato avrà conquistato il potere politico la lotta di classe cesserà. Quando si sarà instaurato il
comunismo anche le idee muteranno, perché le idee della classe dominate sono in ogni epoca le idee
dominanti. A Feuerbach, Marx rimprovera di aver considerato la natura umana come qualcosa di già
dato e di indipendente dall’uomo, inoltre F. vede l’uomo avulso dalla storia, mentre LA STORIA E’
L’ATTO DI NASCITA DELL’UOMO.
Nel MANIFESTO DEI COMUNISTI insiste sulla lotta di classe come momento fondamentale
della storia. La storia di tutta la società fino ad ora, è stata storia della lotta delle classi. Liberi e
schiavi, patrizi e plebei, in una parola oppressi e oppressori, stettero continuamente in contrasto tra
loro e sostennero una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la
società o con la totale rovina delle classi in contesa. Oggi, dice Marx, la lotta si è radicalizzata perché
la società è divisa in due classi: i capitalisti che hanno la proprietà dei mezzi di produzione, e i
proletari, che hanno solo la forza del loro lavoro. La borghesia è stata una classe rivoluzionaria perché
ha distrutto tutti i rapporti tra uomo e uomo all’infuori di quelli del puro interesse. Ma la borghesia è
incapace di dominare le sue forze: si verificano le crisi economiche che fanno aumentare il numero
dei proletari e scomparire le classi medie. Quando il proletariato sarà al potere la lotta di classe finirà
perché il proletariato non ha nulla, non ci sarà proprietà da difendere e la proprietà diventerà proprietà
civile.
KIERKEGAARD
In Kierkegaard c’è una reazione a Hegel in nome dell’uomo singolo che prende coscienza del suo
essere precario di fronte a dio e si riscatta con la fede in lui. La religione, duramente criticata dalla
sinistra hegeliana, torna in primo piano con K. Come una dimensione essenziale dell’uomo. Un
capitolo della POSTILLA alle BRICIOLE DI FILOSOFIA è dedicato alla verità soggettiva, alla
verità come soggettività. Parte dalla definizione scolastica di verità come conformità del pensiero con
l’essere, ma poi si chiede conformità di quale pensiero? e con quale essere? Si tratta della conformità
di uno spirito esistente con quell’essere che sia in grado di colmare la sua passione. Il compito del
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pensiero soggettivo è di comprendere sé stesso nell’esistenza. Il culmine dell’interiorità in un soggetto
esistente è la passione. Il soggetto esistente è un soggetto singolo, infinitamente interessato
all’esistere, cioè al quale la sua esistenza preme e ne sente la precarietà. La verità soggettiva è il modo
in cui l’esistente si mette in rapporto con l’assoluto. La fede è il modo di questo rapporto.
La prima opera pubblicata da K. è AUT AUT che denuncia già l’opposizione a Hegel. La filosofia
per Hegel è mediazione tra gli opposti (et-et), per Kierkegaard invece è scelta tra uno degli opposti
(aut-aut). Con una finzione letteraria presenta l’opera come l’edizione da parte di Victor Eremita di
due manoscritti A e B che rappresentano due tipi di esistenza: l’estetico e l’etico. L’estetico
corrisponde all’atteggiamento edonistico. Il manoscritto A contiene un commento al Don Giovanni
di Mozart, che è un’opera classica perché vi è piena compenetrazione tra forma e musica. La musica
è la perfetta espressione dell’erotico e Don Giovanni è la figura che lo incarna. Una espressione della
sensualità non poteva che esserci nel mondo cristiano. Nel mondo pagano infatti la sensualità era
inconsapevole, era un’appendice della vita. Nel mondo cristiano invece la sensualità è stata opposta
allo spirito ed è diventata così categoria. Nel cristianesimo la carne è il demoniaco e la musica è la
sua espressione. K. Distingue 3 stadi dell’erotico nella musica di Mozart, rappresentati da:
1_ il paggio nelle Nozze di Figaro. Qui il desiderio si è svegliato ma è ancora in quiete, è solo una
tristezza piena di presentimenti.
2_ il Papageno nel Flauto Magico. Il desiderio non si è ancora fissato su un oggetto, cerca svolazzo
senza fermarsi su un oggetto.
3_ il Don Giovanni. Il desiderio è qui vero, trionfante, demoniaco.
Il manoscritto A rappresenta una possibilità di esistenza che non raggiunge l’esistenza. Un provare a
vivere senza impegnarsi.
Nel manoscritto B, l’assessore Guglielmo si rivolge a un giovane amico estetizzante, che è A,
esaltando il valore del matrimonio. Il matrimonio rappresenta la serietà della vita, ma questa serietà
non rende la vita priva di bellezza, le impone solo quel tanto di disciplina che è necessario per dare
valore agli aspetti immediati della vita. Pretendere di rimanere nell’estetico, di cogliere il piacere
dell’istante senza impegnarsi, di tenere aperte tutte le possibilità senza attuarne nessuna perché
attuarne una vorrebbe dire chiudersi la possibilità di attuarne altre, vuol dire disperdere la propria vita
in una molteplicità inconsistente ritrovandosi poi di fronte al nulla. L’atteggiamento edonistico è
mancanza del coraggio di impegnarsi, di vivere nel tempo piuttosto che nell’attimo. L’atteggiamento
estetico è l’affermazione che tutte le possibilità si equivalgono, l’atteggiamento etico è decisione e
scelta. L’atteggiamento estetico porta alla disperazione e K. la paragona alla condizione degli operai
del vangelo che prima di essere assunti a lavorare nella vigna se ne stavano a oziare in piazza. Dalla
disperazione si esce con la scelta, che non è scelta tra bene e male ma è SCELTA DI SCEGLIERE,
è uscire dall’indifferenza. Questo scegliere esige un salto che però la filosofia non sa spiegare perché
la scelta etica ha un futuro davanti a sé da decidere.
Il pentimento è l’espressione più alta dell’atteggiamento etico. Bisogna sempre pentirsi. Ma qui sorge
una contraddizione, cioè l’etica mi dice che devo sempre pentirmi perché nella mia vita non c’è nulla
di buono però questa coscienza della mia insufficienza mi paralizzerebbe. Credendo in Dio e nel suo
potere di cancellare il peccato e di ricostruirmi moralmente riesco a sopportarlo. La fede è un salto
oltre l’etica, oltre l’etica che mi dice che devo pentirmi. Il modello di K. è Abramo
TIMORE E TREMORE è interamente dedicato ad Abramo che accetta di sacrificare il figlio, e
mentre sta per compiere il sacrificio, continua a sperare contro ogni speranza. K. vuole rivivere la
fede di Abramo e capirne la grandezza. La grandezza di un uomo si misura dalla grandezza di ciò che
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ama, e chi ama dio è più grande di tutti, ma si misura anche dalla sua speranza, e chi spera
l’impossibile è più grande di tutti, e si misura anche dalla grandezza di ciò contro cui lotta, e chi lotta
contro dio è il più grande di tutti.
La fede di Abramo è fede contro ogni ragione, ebbe fede non solo in un’altra vita ma anche in questa.
Credette che gli venisse restituito ciò a cui rinunciava. La fede è opposta anche all’etica perché l’etico
è ciò che è valido per tutti, mentre la fede è risposta del singolo alla chiamata di Dio.
Nel CONCETTO DELL’ANGOSCIA spiega che il PECCATO non è oggetto di scienza, non
appartiene al mondo delle idee nel quale si muove la filosofia, ma al mondo dell’esistenza. L’etica
propone un ideale ma non si cura di mettere l’uomo nella condizione per raggiungerlo. Il peccato
NON SI PUO SPIEGARE, però si può descrivere lo stato che precede il peccato. Il peccato è
preceduto dall’INNOCENZA. Gli hegeliani dicono che l’innocenza è l’immediato che doveva essere
negato e superato. Per K. l’innocenza non è l’immediato ma è IGNORANZA. Nell’ignoranza c’è
pace e quiete ma c’è anche il NULLA. Il nulla genera l’ANGOSCIA. L’angoscia è simpatia antipatica
e antipatia simpatica, è un oscillare tra attrazione e repulsione. L’angoscia si può paragonare alla
vertigine. L’angoscia è il senso di potere, è la possibilità della libertà, possibilità che dà la vertigine.
Il PECCATO si decide nel presente. Il peccato però non è ancora il demoniaco. Il DEMONIACO è
la non-libertà che vuole chiudersi in sé stessa. Vuole ma non ci riesce perché resta sempre la
possibilità di convertirsi. Questa chiusura è rappresentata dalla TACITURNITA’. La caratteristica
del demoniaco è di essere taciturno e di rendersi manifesto contro volontà. Il demoniaco è il chiudersi
nella non-libertà, ma la libertà resta sempre e qui nasce l’ANGOSCIA DEL BENE, ossia l’angoscia
per quel bene che non voglio.
Kierkegaard distingue due tipi di demoniaco:
1_ PSICHICO-SOMATICO che culmina nell’abbruttimento
2_ DEMONIACO PNEUMATICO che è l’indifferenza di fronte ai valori della vita
In BRICIOLE DI FILOSOFIA, si pone il problema di come si può insegnare la verità. Socrate
sosteneva che il maieuta dovesse sollecitare il discepolo a ricordare quella verità già saputa e
dimenticata. K. rigetta questa prospettiva perché sopprime il momento della decisione di appropriarmi
della verità. Se fin dall’eternità io conoscevo la verità, il mio impararla è illusorio, è solo un prender
coscienza di un mio essere eterno. Per salvare l’inizio del conoscere bisogna ammettere che colui che
cerca la verità non l’abbia mai avuta nemmeno nella forma di nescienza. Il discepolo deve quindi
essere nella non-verità e deve essere cosciente di essere nella non-verità. Ma il discepolo non possiede
le condizioni per comprendere la verità, perché ha impiegato le sue forze per PECCARE. Deve
dunque essere messo da Dio nella condizione di uscire dalla non-verità. Il discepolo che è messo in
condizione di uscire dalla non-verità passa dallo stato irrimediabile di non-verità all’apertura alla
verità e diventa un uomo nuovo. L’unità tra Dio e il discepolo si realizza con una elevazione del
discepolo che non gli dia però l’illusione di essere pari a dio. Ma la difficoltà di questa elevazione sta
nel fatto che il discepolo deve capire di dovere tutto a dio eppure mantenere la fiducia in sé, di essere
ridotto a un niente senza tuttavia essere annientato. Per la difficoltà di questa prospettiva l’unità si
realizzerà con l’abbassamento di dio. Per poter realizzare l’unità con l’uomo bisogna che Dio diventi
uomo. Questo è un paradosso che la ragione non può dimostrare. Di fronte a questo paradosso si
possono assumere due atteggiamenti: o accettarlo con un atto di fede o rifiutarlo.
Nella POSTILLA ripropone un problema su cui si era interrogato Lessing, ovvero si può mai
costruire una felicità eterna sopra una conoscenza storica? Per Socrate il problema non si pone
perché l’uomo da sempre partecipa alla verità eterna, visto che la sua anima appartiene al mondo delle
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idee. Per Lessing invece non si può passare dal temporale all’eterno, e l’uomo è tutto nel temporale.
E qui Kierkegaard polemizza nuovamente con Hegel e il suo tentativo di ridurre il cristianesimo a
manifestazione storica, ossia il cristianesimo si riduce alle sue manifestazioni nella storia. K. invece
afferma che il cristianesimo è quello vissuto nell’interiorità dell’individuo e di questo non si può fare
nessuna teoria. Kierkegaard chiama il problema patetico-dialettico. Patetico perché presuppone la
passione verso un fine, dialettico perché la passione è l’elemento di contraddizione. Nel pathos
estetico l’individuo rinuncia a sé stesso per perdersi nell’idea. Nel pathos esistenziale l’idea, abbraccia
trasformandola tutta l’esistenza dell’individuo. E questo è azione, azione etica. Ma l’azione etica è il
presupposto dell’atteggiamento religioso, il pathos esistenziale è l’atteggiamento religioso. L’uomo
religioso deve essere passato attraverso l’etica. Vivere religiosamente vuol dire trasformare
radicalmente la propria esistenza, rinunciare a conciliare la fede in dio con gli interessi temporali.
L’uomo religioso vive nella finitezza ma non ha la sua vita in essa. Ma l’espressione decisiva del
pathos esistenziale è la coscienza della colpa, perché non c’è colpa se non in rapporto a Dio.
Kierkegaard distingue un rapporto A e un rapporto B rispetto alla beatitudine eterna. Il rapporto A è
l’esistenza religiosa in senso generico, l’individuo riconosce il proprio nulla di fronte a Dio ma cerca
in sé questo rapporto. Mentre in B l’individuo crede che sia un altro a metterlo in rapporto con Dio e
questo altro è Cristo. E Cristo è l’eterno che si presenta nel tempo. Il problema di Lessing, se ci può
essere un punto di partenza storico per la beatitudine eterna, si risolve con un atto di fede, con la
fede che un uomo nato nel tempo è l’incarnazione di Dio.
POSITIVISMO
Il termine filosofia positiva compare già in Saint Simon ma è Comte colui che ne fa più uso. Comte
ha enumerato i vari significati di positivo. Positivo significa: RELATIVO, ORGANICO, PRECISO,
CERTO, UTILE E REALE.
IDEOLOGI
Per gli ideologi francesi l’ideologia è lo studio della genesi delle idee da condursi secondo la
metodologia analitica perfezionata da Condillac ma in modo più rigoroso. Gli ideologi mantengono
vivo lo spirito dell’età illuministica nell’interesse per le scienze e nell’affermazione di uno stretto
legame tra ricerca scientifica e ricerca filosofica. Centri di riunione degli ideologi fu inizialmente il
salotto della vedova di Helvetius trasferitasi ad Auteuil. Intorno al gruppo di frequentatori del salotto
si costituì una prima societè d’Auteuil.
 CABANIS
Cabanis che era medico, riteneva che non si possa partire dalla sensazione come da un
primum, ma si debba cercare l’origine delle sensazioni nella struttura e nel funzionamento
dell’organismo umano. Il sistema cerebrale è l’organo del pensiero e della volontà.
L’antropologia di Cabanis è in polemica con quella di Cartesio perché, contro il dualismo di
anima e corpo, propone una concezione unitaria dell’uomo. La materia non è solo estensione
in moto locale, ma è dotata di proprietà diverse che danno luogo a una federazione di organi
guidata dal sistema nervoso centrale. La fisiologia di Cabanis è detta vitalistica e federativa.
Vitalistica perché il principio vitale non è una forza estranea alla materia ma piuttosto è il
risultato del suo organizzarsi. Sentire per Cabanis non vuol dire soltanto avere delle
sensazioni ma vuol dire anche attività psicoaffettiva e volitiva dell’uomo, un’attività che come
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quella conoscitiva è elaborata dal cervello che, secerne il pensiero, come lo stomaco secerne
succhi gastrici.
 DESTUTT DE TRACY
È il creatore del termine ideologia. ELEMENTI DELL’ IDEOLOGIA è la sua prima opera.
La sensibilità umana è una facoltà direttamente connessa alla nostra organizzazione. La
spiegazione ultima della conoscenza è quindi data dalla fisiologia che è la scienza prima e
l’introduzione a tutte le altre. Nell’ordine dell’essere la scienza prima è la fisiologia,
nell’ordine della conoscenza la scienza prima è l’ideologia.
COMTE
Comte inizia il CORSO DI FILOSOFIA POSITIVA con la legge dei tre stadi. Nel cammino
dello spirito umano ogni ramo delle conoscenze passa per 3 stadi:
1_TEOLOGICO in cui lo spirito umano immagina i fenomeni come prodotti dall’azione di agenti
soprannaturali
2_ METAFISICO, semplice modificazione del primo, è caratterizzato dalla sostituzione degli agenti
soprannaturali con forze astratte, astrazioni personificate
3_POSITIVO in cui lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità d ottenere conoscenze assolute,
rinuncia a domandarsi quali siano l’origine e il destino dell’universo, per cercare soltanto di scoprire,
con l’uso ben combinato di ragionamento e osservazione, le leggi effettive dei fenomeni, ossia le loro
relazioni di successione e somiglianza.
L’ultimo passo del sistema teologico è il passaggio dal politeismo al monoteismo, l’ultimo passo del
sistema metafisico è il passaggio dalle entità particolari a un unico ente, la natura, la perfezione del
sistema positivo sarebbe, sebbene sia molto probabile che non si raggiunga mai, ricondurre tutti i
fenomeni sotto un’unica legge.
La sfera dei fenomeni ai quali lo studio positivo non è ancora giunto è quello dei fatti sociali, ed è
questo passo che Comte si propone di far compiere al sapere costruendo una FISICA SOCIALE
(SOCIOLOGIA).
Per Comte la filosofia è lo studio delle generalità scientifiche, studio che consiste nello scoprire le
relazioni e le interconnessioni tra le varie scienze al fine di riassumere i loro principi propri in un
minimo numero di principi comuni. C’è un duplice punto di vista per studiare la filosofia positiva:
1_ il METODO DINAMICO che studia i procedimenti dello spirito umano così come si riflettono
nelle scienze
2_ il METODO STATICO che studia i procedimenti dello spirito umano nella struttura anatomica e
fisiologica dell’uomo. Ma con questo metodo l’anatomia e la fisiologia che sono scienze particolari
diventerebbero le scienze fondamentali, contro quello che afferma lo stesso Comte che pone la
matematica, la fisica e la chimica a fondamento della fisiologia. Però Comte non affronta questo
problema perché studia i procedimenti dello spirito umano dal punto di vista dinamico, ossia fa una
metodologia delle scienze.
Comte ordina le scienze secondo un ordine logico ma sottolinea anche l’importanza dell’ordine
storico, utile per capire come sono state costruite le scienze. Classifica le scienze in:
ASTRONOMIA
FISICA
CHIMICA
FISIOLOGIA
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FISICA SOCIALE O SOCIOLOGIA
Le scienze che hanno un oggetto più semplice forniscono i principi generali alle altre scienze. Non si
capisce quindi perché l’astronomia venga prima della fisica e Comte, pur ammettendo che alcune
parti della fisica sono presupposte e necessarie all’astronomia, risponde che i fenomeni astronomici
sono i più generali e le loro leggi influiscono sugli altri fenomeni, come ad esempio la legge di
gravitazione universale. Esclusa da questa classifica è la matematica che però Comte considera la
base fondamentale di tutte le scienze.
La parte più originale della filosofia di Comte è la sua sociologia o fisica sociale. Le teorie sociali
non sono ancora uscite dallo stadio metafisico. La situazione sociale è caratterizzata da uno stato di
anarchia dovuto al fatto che si è abbattuto l’ordinamento sociale fondato sulla filosofia teologica e
non si è ancora costituito un ordinamento fondato sulla filosofia positiva. L’ordinamento sociale
fondato sulla filosofia positiva deve garantire due condizioni attualmente inconciliabili: ORDINE e
PROGRESSO.
La filosofia teologica garantisce l’ordine ma impedisce il progresso. Dà luogo a una politica
reazionaria e a regimi autoritari e feudali. La demolizione dell’antico regime cattolico e feudale è
iniziato con la riforma protestante e si è compiuta con la rivoluzione francese.
La filosofia metafisica garantisce il progresso ma impedisce l’istituzione dell’ordine politico. Questo
momento corrisponde alla rivoluzione francese. Questa metafisica rivoluzionaria presenta il governo
come nemico per sua natura della società. La società deve quindi assumere contro il governo, un
atteggiamento di sospetto e sorveglianza ed essere disposta incessantemente a restringere sempre più
la sua sfera di attività per evitare le usurpazioni del governo. Questo atteggiamento era
temporaneamente indispensabile alla piena efficacia della lotta per l’avvento del nuovo regime ma
poi invece di essere abolito degenerò in dogma. Fra i dogmi che Comte ritiene incompatibili con
l’esistenza di una società civile c’è quello dell’illimitata libertà di parola, stampa e pensiero che per
Comte non è altro che la consacrazione dello stato comune a tutte le condizioni metafisiche, di libertà
illimitata, necessaria conseguenza della filosofia teologica e che deve durare fino all’avvento della
filosofia positiva. Quando i principi della filosofia positiva saranno instaurati la libertà sarà limitata
perché non c’è libertà nelle scienze. Altro dogma che rifiuta è quello dell’uguaglianza. In realtà rifiuta
la possibilità che tutti indifferentemente possano esercitare qualsiasi funzione, mentre accetta
l’uguaglianza intesa come riconoscimento della dignità di ogni uomo indipendentemente dalle
funzioni che esercita nella società.
Per Comte i reazionari stanno bene all’opposizione ma non al governo, perché al governo diventano
rivoluzionari. La situazione al tempo di Comte è quella di una oscillazione tra rivoluzione e reazione.
I reazionari nell’esclusivo interesse della loro conservazione, invece di comprimere nella classe
dirigente, una tendenza all’egoismo e alla sopraffazione, le danno una spinta presentando loro i
proletari come selvaggi pronti a sopraffarli. Inoltre cercano di fomentare le masse contro i loro veri
capi naturali, senza i quali non possono migliorare la loro condizione sociale. I rivoluzionari invece
tendono a sviluppare sentimenti di odio e invidia contro ogni superiorità sociale e sono quindi
caratterizzati da una sorta di rabbia cronica.
Lo studio condotto con il metodo positivo è caratterizzato dalla considerazione dei fenomeni sociali
come fenomeni naturali, quindi modificabili sì, ma non arbitrariamente. Anche i fenomeni sociali in
quanto fenomeni naturali sono quindi governati da leggi naturali e quindi si possono modificare solo
dopo aver conosciuto queste leggi. Nello studio dei fenomeni sociali bisogna distinguere due aspetti:
1_STATICO che è lo studio delle condizioni di esistenza di una società e corrisponde all’ORDINE
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2_DINAMICO che è lo studio delle leggi di sviluppo della società e corrisponde al PROGRESSO
Visto che l’essere umano, diversamente da altre specie animali, si sviluppo gradualmente, lo studio
della statica non basta e occorre quindi studiare anche la dinamica. Lo studio della società va condotto
seguendo 3 metodi:
1_OSSERVAZIONE
2_ESPERIMENTO che non si può fare direttamente nei fenomeni sociali perché ovviamente non si
possono modificare artificialmente le società. Quindi comportandosi in modo analogo a quello dei
fenomeni biologici, si utilizzeranno le perturbazioni sociali da esperimento
3_METODO COMPARATIVO che consiste nel paragonare tra loro diversi tipi di società in diverse
epoche e studiare le leggi dello sviluppo della società nel tempo.
Condizioni di esistenza (statica) comuni a tutte le società in tutti i tempi sono innanzitutto la
socievolezza fondamentale dell’uomo, che è per natura socievole. Di questa socievolezza
fondamentale è testimonianza più evidente la famiglia che si fonda sulla subordinazione dei sessi e
sulla subordinazione dei figli ai genitori. Inoltre per Comte il sesso femminile è in una specie di
continuo stato di infanzia. Altra condizione di esistenza comune a tutte le società è la divisione del
lavoro.
La legge fondamentale della dinamica sociale è la legge dei tre stadi. Anche il progresso sociale segue
questa legge. Allo stadio teologico corrisponde la supremazia militare. Nello stadio teologico
dominano due poteri, quello dei sacerdoti e quello dei militari, due poteri rivali tra loro, ma
complementari infatti nessun potere militare potrebbe stabilirsi e durare se non si basasse su una
consacrazione teologica. Allo stadio metafisico corrisponde la politica rivoluzionaria che ha una
duplice funzione ossia la distruzione delle istituzioni precedenti e la preparazione di nuove istituzioni.
La negazione comincia con la riforma protestante che combatte la più perfetta realizzazione della
concezione teologica monoteistica che è il cattolicesimo, al quale corrisponde il regime feudale. La
disgregazione del regime cattolico-feudale avviene in 3 tappe:
1_ come DISGREGAZIONE SPONTANEA nei secoli XIV-XV
2_come NEGAZIONE CONSAPEVOLE con la riforma protestante nei secoli XVI-XVII
3_come NEGAZIONE FILOSOFICA nel secolo XVIII
Ma la completa distruzione delle istituzioni precedenti avviene con la rivoluzione francese, per la
quale Comte è ricco di elogi.
Allo stadio positivo corrisponde la supremazia dell’attività industriale. La nuova società sarà
caratterizzata dalla distinzione tra potere spirituale e potere temporale. Il potere spirituale che è il
potere di educare deve essere affidato ai filosofi che devono avere poteri decisivi per quello che
riguarda l’educazione mentre poteri soltanto consultivi per quello che riguarda l’azione politica. La
nuova educazione dovrà insegnare agli uomini quali sono i loro doveri non quali sono i loro diritti.
JOHN STUART MILL
Suo padre James era un seguace di Bentham. Bentham ritiene che unico scopo della vita umana sia
il piacere. La regola suprema della morale è dunque quella di promuovere la massima felicità possibile
per il maggior numero, dove felicità è inteso come massimo di piacere e minimo di dolore. Come già
per Epicuro questa massima non porta affatto a promuovere una ricerca del piacere immediato ma
raccomanda una condotta piuttosto austera. La differenza tra rispetto all’epicureismo che vedeva il
fine nella felicità dell’individuo, è la preoccupazione sociale ossia il tendere alla felicità del maggior
numero possibile di persone. Bentham riteneva che si potesse fare una tabella dei piaceri e dei dolori
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secondo la loro quantità e stabilire secondo questa le regole di condotta. Bentham considerava
negativamente la religione accusata di fomentare l’intolleranza e l’odio. Ma il difetto più grave della
religione è quello di ammettere una fonte di conoscenza diversa dall’esperienza. Ma la concezione
etica di Bentham non soddisfece interamente Mill. L’uomo di Bentham era troppo semplice e non
rendeva conto di tutti gli espetti della vita umana.
Nel SISTEMA DI LOGICA Mill espone gli elementi essenziali di tutta la sua filosofia. La tesi
fondamentale è che ogni inferenza è da particolari a particolari, e Mill cerca di dimostrarla sia
quando parla del sillogismo che quando parla dell’induzione.
Nel SILLOGISMO la premessa maggiore è una proposizione universale, ossia una proposizione in
cui il predicato viene affermato o negato di un’intera classe. La premessa minore invece pone un
individuo o una classe più ristretta nella classe che è soggetto della maggiore. Secondo la logica
tradizionale il principio che giustifica il sillogismo sarebbe il dictum de omni, cioè il principio che
afferma che tutto ciò che si può affermare di una classe si può affermare di ciò che è incluso nella
classe. Questo principio era conveniente in un certo sistema di metafisica in cui il dictum de omni
esprimeva l’intercomunicabilità della natura che era necessario supporre tra le sostanze generali e
quelle particolari loro subordinate. Che le proprietà dell’uomo fossero proprietà di tutti gli uomini era
una proposizione di reale significato e non tautologica quando “uomo” non significava “tutti gli
uomini” ma qualcosa di inerente agli uomini e immensamente superiore per dignità. Ma quando si sa
che “uomo” vuol dire “tutti gli uomini” il dictum de omni appare una solenne burletta. Il principio
fondamentale del sillogismo è un principio simile agli assiomi della matematica che si sdoppia cosi:
1_per il sillogismo affermativo- LE COSE COESISTENTI CON LA STESSA COSA COESISTONO
TRA LORO
2_per il sillogismo negativo- UNA COSA COESISTENTE CON UN’ALTRA, CON LA QUALE NON
COESISTE UNA TERZA, NON E’ COESISTENTE CON LA TERZA.
Hanno ragione gli avversari del sillogismo quando dicono che la conclusione di un sillogismo è già
presupposta nella maggiore: come potrei dire che tutti gli uomini sono mortali se non sapessi già che
anche il duca di Wellington è mortale? Eppure dice Mill, se io domandassi a un uomo come fa a
sapere che il duca di Wellington morirà se non l’ha ancora visto morire, l’uomo risponderebbe che lo
sa perché sa che tutti gli uomini sono mortali. E quell’uomo sa che tutti gli uomini sono mortali perché
ne ha già visti morire altri. L’inferenza è quindi sempre inferenza da particolare a particolare. Il
presupposto di Mill è che il soggetto della maggiore o è una classe o una realtà universale. Quindi o
nominalismo o realismo. Ma siccome Mill sostiene che il realismo è inconcepibile, bisogna accettare
il nominalismo. Mill però non è completamente nominalista. Mill conosce molte teorie che
distinguono specificamente proposizioni matematiche dalle generalizzazioni di esperienze: le
proposizioni matematiche sono verità necessarie mentre le generalizzazioni di esperienze sono
generalizzazioni di fatti. Ma Mill obietta che per affermare la necessità delle proposizioni
matematiche è necessario che esse si riferiscano a enti puramente immaginari cioè enti costruiti dal
nostro pensiero. Ma gli enti matematici non sono enti puramente immaginari perché hanno relazione
con i fatti. Eppure non esistono enti geometrici e neppure possono essere concepiti. La nostra idea di
punto è per esempio l’idea della minima superficie che possiamo vedere. Quindi poiché né nella
natura né nella mente umana esistono oggetti esattamente corrispondenti alle definizioni della
geometria non rimane altro che considerare la geometria come una scienza che si occupa di quelle
linee, di quei punti e di quelle figure che realmente esistono, ossia di linee che hanno una larghezza,
di cerchi che non hanno raggi uguali. Quindi il rigore delle proposizioni matematiche è fittizio.
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Stando così le cose si capisce che la forma fondamentale di inferenza è l’INDUZIONE. L’induzione
è quell’operazione della mente con cui inferiamo che ciò che sappiamo vero in uno o più casi singoli
sarà vero in tutti i casi rassomiglianti ai primi per certi determinati aspetti. In pratica è il processo con
cui concludiamo che ciò è vero di certi individui di una classe sarà vero dell’intera classe. Il
fondamento dell’induzione è la legge di causalità universale, ossia la legge che afferma che ogni
fatto che ha un inizio ha anche una causa. Ma poiché causa per Mill significa antecedente, la
proposizione diventerebbe ogni fatto che ha un inizio ha un antecedente, ossia ogni fatto che ha un
inizio ha un inizio. Arriviamo alla legge di causalità universale con la generalizzazione di altre leggi
meno universali, cioè dopo aver constatato la correlazione tra il tale e il tal altro fenomeno. Ma allora
a fondamento di tutte le induzioni sta quella che Bacone chiama induzione per enumerazione
semplice, che è un procedimento malsicuro. Secondo Mill però il metodo dell’induzione per
enumerazione semplice diventa tanto più sicuro quanto più si estende la sfera dei fatti osservati. In
sostanza Mill dice che la legge di causalità finora è riuscita, cioè ogni scoperta di una determinata
connessione tra fenomeni conferma che in generale la connessione c’è. Per i fenomeni più complessi
l’induzione diretta non basta, bisogna completarla con il METODO DEDUTTIVO che è una
combinazione tra induzione e deduzione e consta di 3 momenti:
1_INDUZIONE DIRETTA in cui si cerca di risalire con l’uso dell’induzione alle cause dei vari
aspetti del fenomeno complesso.
2_RAZIOCINIO in cui si fa un sillogismo ipotetico del tipo “se questa combinazione di cause è la
ragione del fenomeno, allora il fenomeno deve verificarsi quando è presente questa combinazione di
cause.
3_VERIFICA in cui si fa intervenire quella combinazione di cause e si osserva se il fenomeno si
verifica.
Nel campo morale l’applicazione del metodo deduttivo non è facile e questo spiega perché le
conoscenze morali non sono ancora giunte a uno stadio scientifico.
Mill si chiede se le azioni umane siano sottomesse a leggi inviolabili. Quindi è il problema della
necessità o della libertà delle azioni umane. Mill dice di propendere per la necessità ma in realtà la
sua posizione è piuttosto ambigua e sembra tendere verso la libertà. Mill ritiene infatti che le nostre
volizioni dipendono da quello che noi siamo e ciò che siamo è il frutto non solo dell’influenza delle
cose esterne a noi ma anche di ciò che volgiamo essere.
Caratteristica della sociologia di Mill è la credenza che le leggi sociali sono il risultato delle leggi
della natura umana individuale. Il metodo per scoprire le leggi fondamentali dei fenomeni sociali
non può essere né il metodo chimico né il metodo geometrico. Mill passa alla critica di questi due
metodi. Il metodo chimico presuppone che l’uomo nella società perda le sue caratteristiche
individuali. L’uomo è solo quello che vive in società. E poiché non si possono fare esperimenti sulla
storia dei popoli, resta come base quello che la storia ci offre come dato. Ma il dato storico è troppo
complesso perché possiamo rintracciarvi le cause dei fenomeni sociali. Il metodo geometrico è quello
che parte da un unico principio per dedurre le leggi dei fenomeni sociali. Esempi sono le teorie
Hobbes, di Bentham, di Russeau. L’uomo però, dice Mill, non mira solo al proprio utile ma è un
complesso di sentimenti. Per questo il metodo della sociologia deve essere il METODO
DEDUTTIVO CONCRETO, metodo che considera tutte le cause che agiscono su un effetto, in modo
tale da dedurre come la società tenderà a comportarsi.
Gli scritti etico-politici più rilevanti sono i PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA, LA LIBERTA’
E L’UTILITARISMO.
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Nei PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA nella parte che riguarda la distribuzione della
ricchezza rifiuta la teoria secondo la quale i provvedimenti per migliorare le condizioni dei lavoratori
dovrebbero essere presi dalle classi sociali superiori e afferma che questi provvedimenti devono
essere presi dai lavoratori stessi con mezzi pacifici.
Nello scritto SULLA LIBERTA’ afferma che non basta che la libertà venga protetta dal dispotismo
del governo ma anche contro la tirannia dell’opinione e del sentimento prevalenti quindi contro la
tendenza della società ad imporre le proprie idee a tutti coloro che dissentono da queste. La libertà
civile implica
1_ LIBERTA’ DI PENSIERO, ESPRESSIONE E RELIGIONE
2_LIBERTA’ DI GUSTI
3_LIBERTA’ DI ASSOCIAZIONE
La mia libertà finisce dove inizia la libertà altrui.
Nell’UTILITARISMO Mill espone una tesi che a prima vista può sembrare la stessa di Bentham.
Afferma cioè che le azioni sono giuste nella misura in cui tendono a promuovere la felicità, ingiuste
nella misura in cui ostacolano la felicità. Ma poi Mill espone una tesi che si differenzia completamente
da quella di Bentham, è la tesi della differenza qualitativa oltre che quantitativa tra i piaceri. Per
sapere quali sono i piaceri superiori qualitativamente bisogna affidarsi al giudizio di chi li ha già
provati e rilevare quali sono quelli preferiti da tutti o quasi tutti. Il criterio però è molto incerto, infatti
se si tengono in considerazione tutti gli uomini di tutte le razze e condizioni sarà molto difficile che
si arrivi alla condizione che i piaceri intellettuali siano preferiti da tutti o quasi tutti. Se invece si
escludono delle categorie di uomini arrivando a erigere come criterio il giudizio di pochi uomini di
cultura raffinata si approderà alla conclusione inaccettabile che questi ultimi siano più uomini degli
altri. L’introduzione della distinzione qualitativa dei piaceri contrasta quindi con il principio
utilitaristico.
HERBERT SPENCER
Nel suo sistema trasforma la teoria evoluzionistica in dottrina filosofica estendendola a tutto il reale.
Esprime la sua concezione evoluzionistica in opere antecedenti a L’ORIGINE DELLA SPECIE di
Darwin, quindi non la desume da lui. Le tesi fondamentali della sua filosofia sono esposte nei
PRINCIPI PRIMI. Spencer afferma che non c’è opposizione tra religione e scienza solo se si
ammette che l’elemento comune ad entrambe è quello della presa di coscienza del fatto che il mondo
è un mistero che esige una spiegazione. Anche la scienza infatti lascia molti problemi insoluti e la
spiegazione di ciò che è spiegabile rimarca il fatto che ciò che rimane al di là è inspiegabile. Lo
scienziato sa che nulla può essere conosciuto nella sua intima essenza. Conoscere e spiegare vuol
dire classificare il nuovo in una serie di casi già noti. Fa l’esempio di un uomo che in campagna sente
un fruscio di foglie, guarda, e trova una pernice in un cespuglio. Il fruscio è spiegato quando è
ricondotto a un altro fatto che sapevo capace di dar luogo a rumori simili a quello che ho udito. Ma
una volta ridotto il fatto a leggi meccaniche queste leggi mi si presentano ancora come un dato non
ulteriormente spiegabile. La nostra conoscenza è quindi sempre relativa. Anche la religione in fondo
ci dice che tutte le cose sono manifestazioni di una realtà che supera la nostra conoscenza.
Specifica poi la differenza tra filosofia e scienza. La filosofia è la conoscenza più generale. È una
fusione delle conoscenze scientifiche ed è un sapere completamente unificato. La scienza invece è un
sapere parzialmente unificato. L’esperienza è un sapere non unificato. Visto che il sapere non coglie
la realtà in sé, il solo criterio di verità è la coerenza. Si parte da certe intuizioni fondamentali delle
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quali si ammette provvisoriamente la verità e ci si domanda poi se esse si accordino con le altre
affermazioni.
Le manifestazioni dell’Inconoscibile si dividono in due classi: impressioni e idee. Le impressioni
sono forti mentre le idee sono ripetizioni deboli e imperfette dell’impressione originale. Le
impressioni oltre che essere vivaci sono anche indipendenti dalla volontà. Le impressioni
costituiscono l’oggetto, le idee costituiscono il soggetto. Con il termine io indichiamo la forza che si
manifesta nelle forme deboli, con non-io la forza che si manifesta nelle forme vive. Le emozioni
costituiscono un’eccezione, appartengono all’ordine delle manifestazioni deboli(idee) pur essendo
vive.
Per distinguere una cosa reale da una semplice idea bisogna osservare ce ciò che è reale persiste nella
coscienza. La persistenza è il carattere della realtà. Pensare vuol dire mettere il relazione tra loro dei
fatti. La relazione è la forma universale del pensiero. Le relazioni fondamentali del pensiero sono:
1_SEQUENZA- Il tempo è il concetto astratto di tutte le sequenze
2_COESISTENZA- Lo spazio è il concetto astratto di tutte le coesistenze.
La materia è uno spazio che oppone resistenza. LA MATERIA E’ INDISTRUTTIBILE. Se la materia
si annientasse, l’esperienza di questo annientamento implicherebbe la conoscenza di una relazione
della quale uno dei termini non sarebbe rappresentabile alla coscienza. Ma una relazione a cui manca
un termine è contraddittoria, quindi l’indistruttibilità della materia è una verità a priori. Questi sono
elementi costitutivi della filosofia ma non sono ancora unificati in una concezione generale. Bisogna
quindi cercare una legge di composizione dei fenomeni che è la legge della redistribuzione continua
della materia e del movimento. I risultati generali raggiunti dalle varie discipline scientifiche sono
riassumibili in 3 tipi:
1_INDISTRUTTIBILITA’ DELLA MATERIA
2_PERSISTENZA DELLA FORZA
3_CONTINUITA’ DEL MOVIMENTO
Compito della filosofia, che è fusione delle conoscenze scientifiche, sarà quello di unificare i risultati
delle varie scienze all’interno di una legge unica che le disciplini. Spencer individua questa legge
nella LEGGE DELL’EVOLUZIONE. La legge più generale dell’universo è quella che determina
il passaggio da uno stato diffuso e impercettibile a uno stato concentrato e percettibile. La storia
dell’universo, e quindi anche quella dell’uomo che ne è parte, è un passaggio dall’omogeneo
all’eterogeneo. Anche le società si evolvono in questo senso: le tribù selvagge sono aggregati di
uomini che hanno tutti i medesimi compiti, con l’evoluzione i compiti si differenziano e le società si
organizzano in forme sempre più complesse. L’eterogeneo verso cui tende l’evoluzione è la forma
più perfetta. Non occorre quindi intervenire per migliorare la società umana perché essa migliora da
sé, e gli interventi che vogliono anticipare l’evoluzione rischiano di peggiorare anziché migliorare le
cose.
Per quanto riguarda l’etica, la condotta è buona quando raggiunge lo scopo, e lo scopo dell’attività
umana è il piacere, tuttavia non accetta la dottrina utilitaristica.
LA CRITICA DELLA SCIENZA IN FRANCIA
Il positivismo aveva presentato la conoscenza scientifica come assoluta e incontrovertibile. La critica
a questa visione del sapere scientifico venne da filosofi e soprattutto scienziati che proprio
nell’elaborazione della loro scienza si rendevano conto dei suoi limiti.
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HENRI POINCARE’
Ne LA SCIENZA E L’IPOTESI Poincaré dice che per un osservatore superficiale la verità
scientifica è sottratta a ogni possibilità di dubbio, la scienza è infallibile. In realtà la scienza si basa
sulle ipotesi e le ipotesi possono sempre essere contradette. Le proposizioni che non sono ipotesi sono
convenzioni, le convenzioni più comode per esprimere quello che sappiamo della natura. Anche il
ragionamento matematico non è deduzione rigorosa da un piccolo numero di assiomi ma partecipa
del ragionamento deduttivo. Anche la matematica fa uso del principio di induzione completa, che è
formulato così: se il numero 1 gode di una certa proprietà, e si può dimostrare che, il numero n
gode della stessa proprietà, la gode anche il successivo n+1, allora questa proprietà è goduta da
tutti i numeri. Anche gli assiomi della geometria non sono imposti dalla logica, tant’è vero che ci
sono tante geometrie, questi assiomi sono convenzioni. Non convenzioni arbitrarie, ma le convenzioni
più comode a esprimere il rapporto tra le cose. COMODO E’ CIO CHE MEGLIO SI PRESTA A
PREVEDERE I FATTI.
PIERRE DUHEM
Ne LA TEORIA FISICA afferma che le teorie fisiche non si possono fare dipendere da una
metafisica, perché le teorie fisiche non sono una spiegazione della realtà corporea. Una teoria fisica
non è una spiegazione. Una teoria fisica è un sistema di proposizioni matematiche, dedotte da un
piccolo numero di principi, che hanno lo scopo di rappresentare quanto più semplicemente,
completamente ed esattamente possibile, un insieme di leggi sperimentali. Una teoria fisica per poter
essere formulata matematicamente deve adoperare solo nozioni che possano essere espresse con
numeri. Si pone quindi la domanda: a quale condizione un attributo fisico può essere significato da
un simbolo numerico? Cartesio rispondeva a condizione che il mondo corporeo sia pura estensione.
Veniva così a mischiare indebitamente fisica e metafisica. Ma la fisica non può cogliere la realtà
corporea e quindi non può nemmeno pronunciarsi sulle proprietà dei corpi. Una teoria fisica non si
pronuncia sulla realtà ma su certi segni e simboli matematici privi di esistenza oggettiva. Una teoria
fisica però non è solo la creazione di un linguaggio comodo come vorrebbe Poincaré bensì è la
sistemazione coerente di un complesso di leggi fisiche. Le leggi nascono dall’osservazione precisa di
un gruppo di fenomeni e dalla loro conseguente interpretazione. Questa interpretazione sostituisce ai
dati concreti raccolti, simboli astratti che corrispondono loro in virtù delle teorie ammesse
dall’osservatore. Una legge astratta non è né vera né falsa, è APPROSSIMATA e quindi SEMPRE
RIVEDIBILE. Il progresso della fisica è determinato dall’esperienza che fa scoppiare disaccordi tra
le leggi e i fatti. Il contrasto tra una teoria fisica e l’esperienza non è la negazione di una sola ipotesi
ma mette in discussione un intero sistema.
HENRI BERGSON
La filosofia di Bergson si impernia su due tesi fondamentali: la realtà è durata e lo strumento per
coglierla è l’intuizione. Il testo in cui espone la sua concezione è il SAGGIO SUI DATI
IMMEDIATI DELLA COSCIENZA.
La metafisica tradizionale cioè la metafisica naturale dell’intelligenza umana concepisce il reale come
costituito di cose, di sostanze. Ma questa concezione è il frutto della proiezione di nostri punti di vista
sul reale, punti di vista che riflettono esigenze della vita pratica e della vita sociale ma non ci fanno
cogliere la realtà in sé stessa. C’è una conoscenza che coglie il reale immediatamente, ed è la
conoscenza che abbiamo di noi stessi. Non si tratta però della coscienza che l’io ha di sé tramite le
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rappresentazioni, perché quella è una conoscenza mediata dallo spazio che è la caratteristica delle
cose. La vera conoscenza immediata che l’io ha di sé è quella della durata. La durata è la
caratteristica della coscienza. Durata vuol dire memoria del passato e anticipazione del futuro. Passato
e futuro possono vivere solo nella coscienza. Fuori dalla coscienza passato e futuro non esistono.
Insiste poi sulla differenza tra la durata e il tempo misurabile. Il tempo misurabile è una
compenetrazione tra la durata vissuta e lo spazio. Si misura solo ciò che è omogeneo e la durata
vissuta non è omogenea. Quando si attribuisce la minima omogeneità alla durata si introduce lo
spazio. Quando seguo il movimento della lancetta sul quadrante dell’orologio non misuro una durata
ma conto delle simultaneità. Fuori di me c’è un’unica posizione della lancetta perché non resta nulla
delle posizioni passate. Dentro di me invece si svolge un processo di organizzazione e mutua
penetrazione che costituisce la durata.
Alla nozione di durata come caratteristica della coscienza, si connette il problema della libertà. Siamo
liberi quando i nostri atti emanano dalla nostra personalità intera. I nostri atti dipendono da noi e
quindi da quello che attraverso eventi e influenze diverse abbiamo assunto come nostro. Prevedere
come si comporterà un nostro amico in una determinata situazione significa dare un giudizio sul suo
carattere presente e quindi in realtà sul suo passato, ma sarebbe una previsione soltanto probabile. Per
avere una previsione infallibile dovremmo aver vissuto lo stesso passato del nostro amico, e non si
tratterebbe più di una previsione ma di una nostra scelta.
In MATERIA E MEMORIA Bergson si chiede se l’io che sceglie è solo la nostra struttura
materiale, ossia il nostro cervello? Per Bergson spirito e corpo non sono due cose distinte. Il corpo è
lo strumento per agire sulle cose. La percezione consiste nel distaccare l’azione possibile del mio
corpo su un gruppo di oggetti. La percezione è quindi una selezione. Per agire è utile cogliere in una
situazione presente ciò che somiglia a una situazione anteriore, poi avvicinare ciò che è preceduto e
a ciò che è seguito per approfittare dell’esperienza passata. Questa è una prima forma di memoria,
possibile solo grazie allo spirito. Senza lo spirito come capacità contemplativa non ci sarebbe neppure
l’azione. Senza lo spirito non ci sarebbe il corpo(azione). Di conseguenza per Bergson l’universo non
è spaccato in due tra pensiero ed estensione, ma è unitario. Questa unità è sottolineata ne
L’EVOLUZIONE CREATRICE che svolge una funzione cosmologica. Le teorie sull’evoluzione
al tempo erano di due tipi:
1_MECCANICISTICO rappresentato da Darwin, concepisce l’evoluzione della specie dovuta a fatti
casuali. Cioè nella lotta per la vita, un mutamento casuale in un individuo può avvantaggiarlo rispetto
agli altri e farlo sopravvivere. Questo individuo trasmetterà alla sua discendenza il carattere che lo
avvantaggia e si avrà una selezione naturale che fa sopravvivere i più adatti. L’evoluzione non segue
nessun ordine prestabilito, da certi fatti casuali, certi mutamenti necessari.
2_FINALISTICO l’evoluzione segue un ordine prestabilito dall’esterno.
Bergson rifiuta entrambe le teorie. L’evoluzione è creatrice di nuove forme – nuove rispetto a un
ordine prestabilito nei fatti e nuove rispetto a un piano prestabilito dall’esterno. L’evoluzione è frutto
dello slancio vitale immanente alla materia. Lo slancio vitale si ramifica seguendo traiettorie diverse,
una delle quali termina ai vegetali, un’altra agli insetti che rappresentano la massima perfezione
dell’istinto, un’altra all’uomo inteso come homo faber.
Secondo il positivismo, l’unica fonte della moralità è la pressione sociale, le norme morali devono
assicurare la conservazione della società. Ne LE DUE FONTI DELLA MORALE E DELLA
RELIGIONE Bergson ammette che questa è sicuramente una fonte della moralità, ma non l’unica.
Ognuno di noi appartiene tanto alla società quanto a sé stesso e la pressione sociale non è sentita come
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costrizione se non quando una passione ci spinge ad andar contro le leggi della società. Ma la
pressione sociale non è l’unica fonte della moralità. Infatti da una parte ci sentiamo in continuità con
le altre persone, simili a loro, d’altra parte la coscienza, man mano che scendiamo in noi stessi, ci
rivela una personalità originale e incommensurabile con le altre. L’opera degli eroi morali ossia
Socrate e Gesù, non si spiega con l’obbligazione sociale. Tutte le società esistenti sono società
chiuse mentre l’umanità è una società aperta che comprende l’uomo in quanto uomo. Tra la nazione
e l’umanità c’è la medesima distanza che c’è tra finito e infinito. La morale creatrice si fonda su
un’emozione. È partecipazione a quello slancio vitale che attraversa la materia e progredisce
sempre. La sua caratteristica è la carità verso tutti gli uomini. Questa moralità non si insegna e non
ha leggi ma segue l’ispirazione, o in seguito a una chiamata come nei grandi mistici, o seguendo
l’esempio di uno di questi. Come ci sono due tipi di moralità ci sono anche due tipi di religione.
Una religione statica, chiusa creata dall’attività fabulatrice dello spirito umano che crea entità
fantastiche per frenare l’impulso all’egoismo dell’uomo. Bene e male sono ciò che giova o nuoce alla
conservazione sociale. La religione dinamica, aperta è invece la religione dei mistici. Ma, dice
Bergson, se la parola di un grande mistico trova una eco in noi, non è che vi è forse un mistico che
sonnecchia e aspetta solo un’occasione per svegliarsi?
LA FILOSOFIA TEDESCA POST HEGEL
In Germania il positivismo occupa un posto molto limitato. La reazione ai grandi sistemi idealistici,
in particolare quello hegeliano, si sviluppa nel nome di un ritorno a Kant oppure nel ritorno, come
nel caso di Herbart, a una filosofia che si avvicina a quella di Leibniz e di Wolff.
HERBART
La filosofia è elaborazione di concetti. Con questo vuole sottolineare che la filosofia non è intuizione
intellettuale. Ci sono diversi modi di elaborare concetti:
1_LOGICA- la logica rende i concetti chiari e distinti. Questo tipo di elaborazione non basta perché
anche i concetti chiari e distinti possono dar luogo a contrasti. I contrasti possono essere eliminati con
l’aiuto della metafisica.
2_METAFISICA- la metafisica ha la funzione di rendere intelligibili i concetti contraddittori offerti
dall’esperienza.
3_ESTETICA- ci sono concetti che nascono da valutazione immediate come l’approvazione e la
disapprovazione e l’elaborazione di tali concetti è l’estetica. Herbart con estetica non intende solo
l’estetica nel senso usuale ma anche la morale.
La filosofia deve iniziare col dubbio ma non si può fermare qui, lo deve superare. Si deve dubitare
che le cose non siano come ci appaiono e si deve dubitare anche che qualcosa ci sia, ma da questo
dubbio radicale si esce riflettendo che se nulla ci fosse, nulla apparirebbe. Dunque l’apparire delle
cose rimanda all’esistenza di un essere. Noi non conosciamo l’essenza delle cose. Infatti se le cose
fossero così come appaiono sarebbero contraddittorie, ma il contraddittorio è impossibile perché il
principio di non contraddizione ha valore assoluto. Fa alcuni esempi di concetti offerti dall’esperienza
che implicano contraddizione. Uno di questi è il concetto di materia come estensione. Qui Herbart
applica l’antinomia del continuo, cioè l’esteso è infinitamente divisibile, ma l’infinita divisione è
impossibile, quindi bisognerebbe ammettere che gli ultimi componenti dell’esteso fossero inestesi,
ma una somma di inestesi non può dare un esteso. La materia come estensione è un’apparenza. Altro
concetto contraddittorio è quello di mutamento. Il mutamento infatti è un non-essere di ciò che è e
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un essere di ciò che non è. Non si risolve la contraddizione se si afferma come Kant che il mutamento
è fenomenico cioè se lo si attribuisce all’io. Che l’io ci sia è una verità evidente, ma quando si cerca
di pensarlo si rivela contraddittorio. Per togliere la contraddizione si sono tentate 3 vie che tuttavia
non la riescono a superare e danno luogo a un trilemma:
1_MECCANICISMO- il mutamento è dovuto a una causa esterna. Ma il produrre un effetto da parte
della causa esterna è comunque un mutamento che richiede a sua volta una causa.
2_CAUSA INTERNA- il mutamento è il risultato di un’autodeterminazione, ossia di una libertà.
Questa tesi era accettata da Kant come postulato della ragion pratica ma Herbart la rifiuta. La libertà
come autodeterminazione è contraddittoria sia perché sarebbe un voler di volere che implicherebbe
un processo all’infinito, sia perché implicherebbe un agire senza motivi, che è il contrario di ciò che
l’esperienza attesta.
3_REALTA’ COME DIVENIRE- il mutamento è originario, connaturato alla realtà. È la via seguita
da Hegel, ma Hegel non aveva paura della contraddizione, mentre per Herbart il contraddittorio è
impossibile.
Il mutamento però deve essere spiegato e non può essere spiegato senza il ricorso al concetto di causa.
Se si rifiuta il concetto di causa si rifiuta tutta la conoscenza sensibile. La metafisica ci dice che la
causa del divenire è il puro essere, semplice e immutabile. In questo sta la verità dell’eleatismo,
che l’essere è semplice, è il puro positivo.
La metafisica è il presupposto della psicologia e della filosofia della natura. La psicologia deve
spiegare come sorgono in noi le nostre rappresentazione. La psicologia però deve servirsi anche della
filosofia della natura, infatti la finalità della natura indice all’ipotesi che il mondo sia retto da Dio.
L’esistenza di dio non è solo un postulato della ragione pratica come per Kant, ma è anche un
complemento necessario del nostro sapere teoretico.
TRENDELENBURG
La filosofia di Trendelenburg è condizionata dal suo studio di Aristotele dal quale trae l’ideale di un
sapere unitario e rigorosamente fondato. All’edificazione di un sapere unitario, di una filosofia
bastata sulla concezione organica del mondo, sono orientate le RICERCHE LOGICHE, l’opera
più importante di Trendelenburg, nella quale la tesi dell’unità del sapere trapassa nell’affermazione
dell’identità di logica e metafisica. La tesi dell’identità di logica e metafisica è fondata sull’identità
di pensiero ed essere e sulla non contraddizione come universale criterio di verità. Su questo punto
è molto vicino a Hegel, di cui però rifiuta la dialettica. Per Hegel il metodo è dialettico perché
dialettica è la realtà che riflette. Per Trendelenburg invece il movimento non potrà mai essere risolto
nella dialettica del puro pensiero che resta sempre distinta dal movimento reale.
Analizzando l’interazione logica tra azione e negazione presenta due modi di distinguere e
contrappore i concetti:
1_NEGAZIONE LOGICA-cioè contraddire un concetto negandolo- X nega NON X
2_OPPOSIZIONE REALE-cioè confrontare due concetti contrapponendoli
Secondo Trendelenburg, Hegel ha commesso il grave errore di fare confusione tra negazione logica
e opposizione reale. Infatti secondo la dialettica hegeliana l’antitesi doveva essere ricavata dalla tesi
attraverso il puro pensiero, con un operazione del tutto formale, e dovrebe perciò configurarsi come
negazione logica. Ma la negazione logica consiste nella semplice negazione del concetto iniziale e
non ha nessun contenuto specifico in più rispetto a questo. Dato che Hegel presenta sia la tesi sia
l’antitesi come concetti dotati di specifico contenuto, la relazione tra i due non può essere quella
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puramente formale di negazione logica ma deve configurarsi come opposizione reale. Ciò significa
che la dialettica hegeliana non può essere ricavata attraverso il ricorso al pensiero puro ma deve
necessariamente fare appello alla realtà concreta. Trendelenburg si propone di utilizzare il metodo
genetico che, a differenza della dialettica hegeliana, mantenendo ferma la distinzione tra movimento
reale e movimento ideale, rende possibile la fondazione di un sapere inteso come conoscenza a
priori verificabile nell’esperienza. Dal movimento si deducono le categorie reali, ossia si
giustificano gli oggetti a priori dell’esperienza. Ma oggettivamente considerati, gli enti empirici
esprimono una categoria che è intellegibile anche dal punto di vista del soggetto, questa categoria è
il fine. Fine e movimento sono le due supreme categorie a partire dalle quali è possibile ampliare la
nostra conoscenza.
SCHOPENHAUER
Fin da LA QUADRUPLICE RADICE DEL PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE,
Schopenhauer afferma la tesi che il mondo è la mia rappresentazione, cioè noi conosciamo solo la
nostre rappresentazioni. I suoi maestri sono il sorprendente Kant e il divino Platone. Platone e Kant
hanno infatti in comune la convinzione che il mondo di cui abbiamo esperienza è apparenza, non
vera realtà. Kant afferma che conosciamo solo fenomeni, non cose in sé. Platone dice che le cose
appartenenti al mondo sensibile non hanno alcun essere vero, divengono sempre, hanno solo un essere
relativo. La tesi che il mondo è la mia rappresentazione non ha bisogno di essere dimostrata perché è
evidente a chiunque rifletta, ed è dunque lontana dalle credenze dell’uomo comune. L’uomo che
riflette, ossia il filosofo, si rende conto che tutto ciò che apprende è nella sua coscienza. Egli non
apprende alcun sole e alcuna terra, ma solo sempre un occhio che vede il sole, una mano che tocca la
terra. Il mondo da cui è circondato esiste solo come rappresentazione, cioè solo perché c’è qualcuno
che se lo rappresenta.
Oggetto è ciò che è rappresentato e fondato. Le rappresentazioni non sono quindi un caos. La
conoscenza comincia con l’intuizione sensibile, ma le sensazioni sono puramente soggettive; è solo
quando l’intelletto entra in azione applicando la legge di causalità, la sensazione soggettiva diventa
intuizione obiettiva. L’intelletto, in virtù della forma che gli è propria, ossia la legge di causalità, e
quindi a priori, considera la sensazione organica come un effetto che deve necessariamente avere una
causa. Il principio di causa è una delle forme che assume il principio di ragion sufficiente. Le cause
sono sempre cause dell’essere fenomenico, ossia dell’essere delle nostre rappresentazioni, quindi non
permette di conoscere le cose in sé. L’intelletto quindi ci permette di connettere gli oggetti tra di loro,
di cogliere il loro comportamento, però non ci porta oltre il mondo sensibile. Per Schopenhauer
l’intelletto non è poi molto diverso dalla sensibilità, ed è comune a uomini e animali. Caratteristica
esclusivamente umana è invece la ragione, cioè la capacità di riflettere e di avere concetti astratti. La
ragione ci consente non solo di avere delle rappresentazioni, ma di avere coscienza delle
rappresentazioni, e avere coscienza delle rappresentazioni vuol dire avere coscienza dell’Io che si
rappresenta gli oggetti. L’io non è rappresentazione ma volontà. Per volontà intende non solo la
volizione consapevole verso un oggetto, ma ogni tendenza, impulso, desiderio. La volontà ha come
organo il corpo e si attua nel corpo e come corpo. Ci sono quindi due modi di conoscere il copro, uno
è quello di viverlo nell’atto di volontà, l’altro è quello di rappresentarselo con l’intelletto. La volontà
non è solo dell’uomo. Tutto ciò che esiste, esiste in quanto volontà. Ciò che Kant opponeva come
cosa in sé assolutamente inconoscibile al fenomeno non è altro che quell’elemento che troviamo
all’interno del nostro io come volontà. Al contrario di ciò che affermavano fino all’ora tutti i filosofi,
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la volontà è distinta dalla conoscenza, che è qualcosa di secondario e posteriore. La volontà è l’unica
cosa in sé, l’unico reale, l’unico elemento originario e metafisico in un mondo dove tutto il resto è
rappresentazione, parvenza. La volontà non è razionale, è impulso cieco e inconsapevole, inesauribile.
È sua espressione la tendenza dei viventi a conservarsi e a riprodursi. Le volizioni nascono sempre
da una mancanza, da una insoddisfazione e quindi da un dolore. Per liberarsi dal dolore bisogna
liberarsi dalla volontà e quindi anche della volontà di vivere. L’intelletto non guida la volontà, è uno
strumento nelle sue mani. Il saggio può rompere la schiavitù dell’intelletto staccandosi dalla volontà,
mettendosi cioè in atteggiamento contemplativo. Uno dei modi per liberarsi dalla volontà è l’arte. Il
piacere estetico è infatti il piacere suscitato dalla pura contemplazione dell’oggetto, non dall’utilità
che può avere. La contemplazione estetica è quella che ci fa dimenticare i nostri interessi e lascia
sussistere il nostro io come puro soggetto conoscente. Oggetto della contemplazione estetica è
l’IDEA. L’idea è l’essenza, il modello delle cose. L’intuizione della bellezza dimostra la realtà delle
idee, perché ciò che l’artista esprime e ciò che lo spettatore scopre grazie all’artista, è l’eterna essenza
della cosa, ciò che Platone chiamava idea. L’altro modo per liberarsi dalla volontà è l’ascesi ossia la
rinuncia. Rinuncia al possesso, al piacere e all’eros. Per quanto riguarda l’ascesi Schopenhauer rileva
profonde analogie tra ciò che raccomandano i monaci buddhisti e i mistici cristiani. Entrambi mirano
all’annullamento della volontà. Ma anche senza arrivare ai vertici dell’ascesi, la morale esige la
rinuncia all’egoismo, cioè contro il principium individuationis, ossia contro ciò che mi distingue
dall’altro chiudendomi in me stesso. L’individualità è un carattere appartenente al mondo
fenomenico, quindi un carattere apparente, ognuno di noi in realtà comunica con gli altri ed è
espressione della medesima volontà. La compassione è il fondamento della morale. Non la legge, non
il dovere. L’aver concepito la legge come la base della morale è stato uno dei grandi errori di Kant.
Kant ha confuso la proposizione fondamentale dell’etica- l’obbedienza a un imperativo- con il
fondamento dell’etica- che è la compassione-. Nega contro Kant che il giudizio morale sia fondato
sulla ragione. La ragione pratica non suggerisce azioni morali ma solo azioni vantaggiose. Una
condotta ragionevole non è necessariamente una condotta morale, anzi le più alte azioni morali sono
spesso irragionevoli. Il secondo problema dell’etica è il problema della libertà. Schopenhauer nega la
libertà come libero arbitrio. La legge di causalità regola ogni evento quindi anche le azioni umane
sono determinate. La legge di causalità è però solo una legge del mondo fenomenico. L’essenza del
mondo è una libera volontà estrinsecantesi non immediatamente nell’azione, ma in primo luogo
nell’essenza e nell’esistenza delle cose. Questa libertà trascendentale coesiste con la necessità
empirica.
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