LE EPATITI: VIRUS DELL’HCV! INDICE INTRODUZIONE Capitolo 1 Le epatiti: caratteristiche generali 1.1- Epatite acuta 1.2- Epatite cronica 1.3- Sintomatologia e diagnosi Capitolo 2 Le epatiti virali 2.1- Epatite A 2.2- Epatite B 2.3- Epatite C 2.4- Epatite Delta 2.5- Epatite E Capitolo 3 Cirrosi epatica e tumore del fegato 3.1- cirrosi epatica 3.2- carcinoma del fegato 3.3- tassi di mortalità cirrosi epatica e carcinoma del fegato Capitolo 4 Epatite C: conoscere l’HCV per curarla 4.1- il virus HCV 4.2- diagnosi e trattamenti del virus HCV 4.3- aspetti epidemiologici in Italia 4.4- la situazione nella regione Campania 4.5- la legge di stabilità del 27 dicembre 2017 Considerazioni finali Bibliografia 2 Ringrazio prima di tutti la mia famiglia. Ringrazio mia madre perché è stata la mia ombra da sempre, non mi ha mai mollata e non mi ha mai fatto mollare, ha creduto in me prima che lo facessi io e questo mi ha dato una forza incredibile per poter fare sempre di più senza paura; ringrazio mio padre perché ha sempre avuto una parola di conforto quando qualcosa non andava come volevo, mi ha sempre tirata su e mi ha fatto capire che nella vita nessun ostacolo può fermarmi se io non lo voglio; ringrazio mia sorella, la mia persona, perché mi ha supportata e sopportata ad ogni esame, mi ha ascoltata anche quando non ne aveva voglia o non ci capiva niente di quello che dicevo e tutto ciò senza mai lamentarsi; ringrazio mio fratello perché è stato in grado di tirarmi su il morale, di farmi sorridere anche quando ero nell’ansia più totale o nella disperazione per l’attesa dell’esito di un esame. Ringrazio i miei nonni che hanno creduto in me ogni giorno e nel bene o nel male mi hanno fatto capire di essere sempre orgogliosi di me. Ringrazio i miei zii e miei cugini che sono stati un supporto anche senza saperlo. Ringrazio i miei colleghi che sono diventati la mia seconda famiglia e hanno condiviso con me questo percorso rendendolo più leggero, divertente e piacevole, grazie per aver sopportato i miei sbalzi d’umore e i miei periodi peggiori e per non avermi mai abbandonata. Un grazie particolare va a te, Alfonso, un amico che tutti dovrebbero avere nella propria vita, un grazie perché ci siamo fatti una promessa e tu non ne sei mai venuto meno, fino alla fine con la mano, non mi hai mollata nemmeno nei momenti peggiori, in cui non mi sopportavo nemmeno da sola, e quindi ti devo un grazie particolare. Ringrazio lei, la mia metà, Maria, che mi ha dato forza e coraggio, mi ha spronata e anche da lontano mi è stata vicina fino alla fine. Un grazie a tutti coloro che hanno creduto in me e mi hanno dato un po’ di voglia in più per andare avanti nonostante tutto. Ringrazio il mio relatore per avermi seguito alla fine di questo percorso e per quello che mi ha lasciato durante il suo corso, sia per quanto riguarda la sua materia ma anche per le sue lezioni di vita. In fine ringrazio me stessa per la forza di volontà e per aver portato avanti e lottato per quello in cui ho sempre creduto. 3 EPATITE CAPITOLO 1 Le epatiti: caratteristiche generali Con il termine epatopatia si fa riferimento a tutte quelle alterazioni funzionali e morfologiche del fegato. Rappresentano una patologia molto frequente in tutto il territorio nazionale. Le epatiti virali sono una serie di forme infettive di origine virale che colpiscono il fegato. I virus in grado di provocare danno a livello epatico sono vari, ma alcuni hanno un tropismo elettivo per il fegato. Le forme dell’epatite si possono classificare in funzione alla durata dell’infiammazione epatica: si parla di epatite acuta quando viene diagnosticata una nuova malattia del fegato di breve durata (meno di 6 mesi); si parla di epatite cronica quando l’infiammazione epatica persiste per oltre sei mesi. La natura delle epatopatie è diversa a seconda della causa o cause che provocano l’infiammazione e la necrosi degli epatociti: l’infezione può essere di origine virale, di origine tossica o provocata da reazione immunitaria. Le epatiti virali possono essere classificate anche in base al tipo di via con cui viene trasmessa la malattia: • Epatiti a trasmissione oro-fecale: HAV (prevenibile con vaccino) ed HEV (non esiste vaccino). Può avvenire tramite ad esempio l’ingestione di verdure contaminate o di frutti di mare. Le trasmissioni oro-fecali sono più frequenti in quei Paesi in cui le condizioni igienico-sanitarie lasciano a desiderare. • Epatiti a trasmissione parenterale: HBV (prevenibile con vaccino), HCV (non esiste vaccino) ed HDV (non esiste vaccino specifico ma è prevenibile grazie alla vaccinazione anti Epatite B). Il virus può entrare nell’organismo attraverso due modalità di trasmissione: 1. Parenterale apparente (trasfusioni, siringhe da tossicodipendenti) 2. Parenterale inapparente (sessuale, contatti con strumenti chirurgici infetti) 4 Le epatiti virali possono essere classificate anche in base al carattere clinico: • • • Epatiti autolimitantesi: sono quelle più comuni, la malattia decorre in modo sintomatico per circa 2-4 settimane e il malato rimane itterico. Successivamente il paziente si sente meglio gradualmente, scompaiono tutti i sintomi del periodo itterico e la malattia si autoelimina. Epatiti fulminanti: sono le forme più gravi, in cui l’infiammazione è così violenta da provocare in poco tempo la distruzione quasi completa del fegato. Può essere provocata da tutti i virus epatitici maggiori. In passato questa forma di epatite portava morte quasi al 100% dei casi, oggi grazie al trapianto di fegato eseguito d’urgenza ha fornito una possibilità in più di guarigione. Epatiti recidive: sono forme acute che sembrano procedere verso la guarigione, ma hanno poi un ritorno di andamento acuto della malattia. Le cause delle epatiti virali possono essere di varia natura, ma nella maggior parte dei casi sono rappresentate da virus che hanno diverse strutture e sono classificati in varie famiglie; questi vengono distinti in virus epatitici maggiori e virus epatitici minori. Le più comuni forme di epatite sono quelle causate da virus maggiori e sono: HAV, HBV, HCV, HDV, HEV. Tra i virus minori tra i principali ricordiamo: citomegalovirus (CMV), Virus Herpes, Virus della Rosolia, Virus di Epstein-Barr e virus Coxsackie. 1.1 - Epatite Acuta Malattia che guarisce in meno di 6 mesi, ma può evolvere in epatite cronica. Il decorso clinico di un’patite acuta è caratterizzato in modo schematico dalle seguenti fasi: ❖ Periodo di incubazione: ovvero il periodo che decorre tra il momento dell’infezione e la comparsa dei sintomi clinici. ❖ Periodo pre-itterico (dura circa 7 giorni): è il lasso di tempo durante il quale il paziente mostra sintomi abbastanza generici come astenia (stanchezza generale), anoressia (inappetenza), nausea, dolori addominali (ipocondrio dx) e febbre. ❖ Periodo itterico (dura 15-30 giorni): è il periodo durante il quale compaiono la tipica colorazione giallastra della cute e delle mucose (ittero) e la colorazione scura delle urine. In questo periodo le analisi del sangue evidenziano un aumento delle transaminasi. 5 ❖ Periodo della convalescenza: la malattia può evolvere in modo favorevole e concludersi con la progressiva riduzione delle transaminasi e la guarigione. (in figura subittero sclerale e ittero cutaneo) L'epatite acuta deve prima essere differenziata da altre patologie che causano sintomi simili. I pazienti anitterici in cui si sospetta un'epatite sulla base dei fattori di rischio, sono studiati inizialmente con il dosaggio degli indici di epatocitonecrosi, quali transaminasi, bilirubina e fosfatasi alcalina. Usualmente, l'epatite acuta è sospettata solo durante la fase itterica. Così, l'epatite acuta deve essere distinta dalle altre patologie che provocano ittero. Le ALT sono di solito più elevate delle AST, ma i livelli assoluti sono scarsamente correlati con la gravità clinica. I valori aumentano precocemente nella fase pre-itterica, raggiungono un picco prima che l'ittero diventi della massima intensità e diminuiscono lentamente durante la fase di guarigione. La bilirubina in genere compare nelle urine prima dell'insorgenza dell'ittero. La fosfatasi alcalina è in genere solo moderatamente aumentata. Se si sospetta un'epatite acuta, gli sforzi sono diretti verso l'identificazione della sua causa. Un'anamnesi positiva per esposizione può fornire il solo indizio di alcolismo o di epatite tossica. L'anamnesi deve evidenziare anche l'eventuale presenza di fattori di rischio per l'epatite virale. 6 L'epatite alcolica si sospetta in presenza di anamnesi positiva per l'assunzione di alcol, comparsa più graduale dei sintomi e presenza di angiomi stellati o di altri segni di assunzione cronica di alcol o di epatopatia cronica. Inoltre, diversamente che nell'epatite virale, l'AST è tipicamente superiore rispetto all'ALT, sebbene questa differenza di per sé non è definente. Nei casi dubbi, la biopsia epatica solitamente permette di distinguere l'epatopatia alcolica dall'epatite virale. 1.2- Epatite Cronica È un’infiammazione permanente del fegato provocata dalla persistente presenza di un agente virale nell’organismo. L’epatite cronica può essere causata solo dai virus dell’epatite B, C e Delta. Il rischio di cronicizzare é: • 10% per HBV (un caso ogni 10); • 70% per HCV (due casi su tre). L’infiammazione cronica può produrre gravi danni da cicatrizzazione (fibrosi), fino a distruggere la struttura e la funzione del fegato, cioè a produrre cirrosi epatica, che può degenerare in epatocarcinoma. Il fegato è la ghiandola più grossa del corpo umano, si trova nella parte alta e destra dell'addome, subito sotto il diaframma. ha una struttura basata sul «lobulo»: un gruppo di epatociti disposti attorno ad un canale centrale dove si trovano arteria, vena, dotti linfatico e biliare. Ogni lobulo è circondato da una «lamina limitante». Il quadro è tanto più grave quanto più viene coinvolta la limitante e sconvolta la normale architettura del fegato. L’epatite cronica viene diagnosticata quando si riscontrano valori costantemente elevati delle transaminasi per più di 6 mesi; nella maggior parte dei casi l’epatite cronica è del tutto asintomatica infatti spesso il riscontro avviene in modo del tutto casuale ad esempio facendo comuni esami del sangue per motivi generici. 7 L’epatite cronica viene distinta in due tipi: • • L’epatite cronica persistente: il danno epatico è modesto, scarsamente progressivo e con il passare degli anni può anche andare incontro a guarigione. L’epatite cronica progressiva: il danno epatico è intenso, progressivo ed ha scarsa tendenza a guarire in modo spontaneo. Nei due terzi dei soggetti, l’epatite cronica si sviluppa in modo graduale, spesso senza sintomi evidenti se non dopo la comparsa della cirrosi. Nel terzo rimanente, si sviluppa dopo un attacco di epatite virale acuta che perdura o ritorna. I sintomi di solito comprendono una vaga sensazione di malessere, inappetenza e affaticamento. Talvolta, il soggetto colpito presenta anche febbricola e fastidio localizzato nel quadrante superiore dell’addome. L’ittero è raro. Spesso, i primi sintomi specifici sono quelli dell’epatopatia cronica o della cirrosi, che possono comprendere l’ingrossamento della milza, la presenza di piccoli vasi sanguigni ragniformi visibili sulla cute (chiamati angiomi stellati), l’arrossamento dei palmi e l’accumulo di liquido nella cavità addominale. La disfunzione epatica può portare a un deterioramento delle funzioni mentali, ovvero encefalopatia epatica e a una tendenza al sanguinamento. Il deterioramento delle funzioni cerebrali avviene a causa delle sostanze tossiche che si accumulano nel sangue e raggiungono il cervello. Normalmente, il fegato le rimuove dal sangue, le scompone e quindi le elimina sotto forma di innocui sottoprodotti nella bile o nel sangue. Il fegato danneggiato ha una minore capacità di eliminazione di queste sostanze. Alcuni soggetti presentano ittero, prurito, e feci grasse e maleodoranti, dal colore chiaro. Questi sintomi insorgono perché il flusso della bile in uscita dal fegato è bloccato. In molti soggetti l’epatite cronica non progredisce per anni, in altri peggiora gradualmente. La prognosi dipende in parte dal tipo di virus che la causa. 8 9 1.3- Sintomatologia e diagnosi I virus dell’epatite ad oggi identificati sono 5 e sono classificati con le prime cinque lettere dell’alfabeto. Qualunque sia l’eziologia dell’epatite, la sintomatologia si manifesta sempre allo stesso modo e quindi è impossibile capire l’agente eziologico attraverso i sintomi che il soggetto accusa. Al fine di riconoscere qualsiasi forma di epatopatia il medico può eseguire tre tipi di diagnosi: diagnosi clinica, diagnosi istologica e diagnosi strumentale. • • • Diagnosi clinica: si esegue interrogando e guardando direttamente il malato che presenta l‘ittero. Il sospetto diagnostico clinico deve essere poi confermato attraverso una serie di esami clinici fatti utilizzando svariati marcatori virali, anche se già con comuni esami di laboratorio come transaminasi ed esami emocoaugulativi è possibile diagnosticare l’epatite. Diagnosi istologica: si fa su un campione del tessuto epatico prelevato tramite agobiopsi. La diagnosi di conferma dell’epatite virale è una diagnosi fisiologica che si effettua valutando i marcatori ematici. Per capire se si tratta di epatite A si richiedono gli anticorpi Ab IgM, per l’epatite E si valuta se e quali sono gli anticorpi Ab IgM positivi. Per l’epatite B la diagnosi è più complicata: servono particolari marcatori quali gli antigeni HbsAg, HbcAg, HbeAg e gli anticorpi anti-HbsAg, antiHbcAg e anti-HbeAg. Il virus Delta è invece un virus difettivo che si riproduce solo in presenza del virus B quindi per un malato di epatite B vanno analizzati anche marcatori per l’epatite Delta. Per l’epatite C invece il riscontro è quasi sempre casuale durante analisi di routine e solo successivamente di utilizzano i marcatori specifici. A questo proposito il test più importante è l’ELISA, un test immunoenzimatico che viene fatto con l’ausilio dell’anti-HCV, serve per determinare la presenza di eventuali anticorpi o antigeni nel sangue del paziente esaminato. Un altro esame per diagnosticare l’epatite C è l’immunoblot o RIBA, un test sviluppato come conferma al test ELISA. Diagnosi strumentale: è una forma di diagnosi meno importante rispetto a quella sierologica. È utilizzata per valutare la cronicizzazione della malattia e l’evoluzione in cirrosi epatica o in tumore maligno del fegato. 10 CAPITOLO 2 Le epatiti virali I dati relativi all’epatite, sia acuta che cronica, sono ricavati dal SEIEVA, ovvero Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute che dal 1985 affianca il SIMID, ovvero Sistema Informativo delle Malattie Infettive e Diffusive. Le epatiti virali sono malattie infettive che, come stabilito dall’attuale normativa, sono soggette a notifica obbligatoria. Sotto sorveglianza SEIEVA ci sono tutte le epatiti virali acute, in particolare le 5 malattie causate dai virus epatitici maggiori, quali: epatite A (HAV), epatite B (HBV), epatite C (HCV), epatite D (o Delta) (HDV), epatite E (HEV). 2.1- Epatite A L’epatite A è meglio conosciuta come epatite alimentare e si trasmette per contagio diretto con le persone o per ingestione di cibi e bevande contaminati. Anche se in modo meno frequente la contaminazione può avvenire anche con la balneazione in acqua infettata. L’infezione è quasi sempre asintomatica e dopo il periodo di incubazione che va dai 15 giorni ai 2 mesi, si manifestano sintomi aspecifici come stanchezza, nausea, inappetenza, diarrea, dolori al fegato e una leggera febbre, dopo una settimana circa compare l’ittero. I casi gravi o atipici sono molto rari e non evolve mai ad epatite cronica vera e propria. Secondo le analisi di SEIEVA si è osservato che a partire dal mese di agosto 2016, in Europa e nel nostro Paese, si è registrato un incremento dei casi di Epatite A. 11 In Italia, nel periodo agosto 2016-luglio 2017, sono stati notificati 2.666 casi di epatite A con un incremento di quasi 14 volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato caratteristico dell’attuale focolaio epidemico è la percentuale di casi di sesso maschile (oltre l’85%) e l’alta percentuale di MSM (men who have sex with men - uomini che fanno sesso con gli uomini) (63,1% degli uomini). L’età mediana è di 36 anni. Negli ultimi mesi, la curva epidemica ha evidenziato un andamento decrescente, nonostante questo, appare evidente la necessità di ribadire che la vaccinazione è fortemente raccomandata per gli MSM. 2.2 – Epatite B L’epatite B è un virus molto resistente e permane nell’ambiente fino ad una settimana. È un virus con una struttura complessa composta da un rivestimento esterno che esprime l'antigene di superficie detto HbsAg, contro cui viene prodotto l'anticorpo HbsAb, all'interno c’è una parte centrale detta core contenente il DNA virale contro cui vengono prodotti due anticorpi l'HbcAb IgM e l'HbcAb IgG. L'HbsAg è stato il primo indice di laboratorio ad essere individuato, il suo isolamento si ebbe nel 1963 in un paziente aborigeno australiano, da ciò deriva il suo vecchio nome di Antigene Australia. La principale fonte di contatto del virus dell’epatite B è il soggetto infetto e le modalità di trasmissione sono per via parenterale, con scambio di sangue, saliva, sperma o materno-fetale. 12 I sintomi di un soggetto affetto di epatite B sono quelli tipici ed hanno una durata di circa 50 giorni. È possibile che il soggetto malato possa manifestare forme cliniche di stadio più avanzato, come quelle fulminanti, colestatiche o croniche. Il periodo di incubazione dura tra i 2 e i 6 mesi e l’evoluzione della malattia è variabile. Per contrastare l’epatite B il modo più efficace è la prevenzione, quindi vanno individuati i soggetti portatori e protetti coloro che entrano in contatto con essi, quindi la vaccinazione è fortemente consigliata per i soggetti a maggior rischio di contagio. Secondo i dati del WHO, nel mondo circa 240 milioni di persone hanno un’infezione cronica da epatite B, definita come positività all’antigene di superficie (HBs-Ag) per almeno 6 mesi. Il virus dell'epatite B (HBV) è una delle principali cause di mortalità e morbilità. Nell’articolo il Bollettino dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, una revisione sistematica e una meta-analisi valuta l'impatto a lungo termine dell'immunizzazione dei bambini contro l'epatite B sulla prevalenza dell'infezione da HBV. I risultati di questo studio indicano tre conclusioni principali: il vaccino contro l'epatite B è efficace nel prevenire l'infezione da HBV tra i bambini e ha un impatto importante sulla prevalenza dell'infezione da HBV oltre 15 anni dopo; l'immunizzazione universale dei bambini, come raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha un impatto maggiore a livello di popolazione rispetto all'immunizzazione mirata di bambini nati da madri con infezione da HBV; i risultati di questa analisi, insieme ai recenti rapporti di crescente copertura del vaccino contro l'epatite B in tutto il mondo, suggeriscono che in un numero crescente di paesi, le nuove generazioni stanno crescendo sempre maggiormente prive di infezione da HBV. 13 2.3 – Epatite C È diffusa in tutto il mondo e rappresenta circa un quinto di tutti i casi di epatite virale. Le principali fonti di contagio da virus C sono la tossicodipendenza per via ematica, le trasfusioni, mentre con i rapporti sessuali e tra madre-figlio la trasmissione è molto bassa. I sintomi sono molto simili a quelli dell’epatite B con la differenza che l’epatite C ha un alto rischio di cronicizzazione (70% cronicizzano e il 20-25% vanno in cirrosi). Il periodo di incubazione si può protrarre dai 15 giorni ai 4 mesi e la fase iniziale è asintomatica, i sintomi di solito si manifestano quando la malattia ha già cronicizzato. WHO ha stimato che nel 2015, 71 milioni persone vivevano con infezione cronica da HCV (prevalenza globale: 1%) e che 399 000 sono morti di cirrosi o carcinoma epatocellulare (HCC). Per l’epatite C non esiste vaccino ma esiste una terapia con antivirali specifici che è molto costosa e non sempre può essere offerta dal SSN come farmaco di classe A. Esistono 6 genotipi di HCV che hanno diversa distribuzione geografica e diversa risposta alla cura. (EPAC) In Italia il genotipo prevalente è l'1b che infetta il 51% dei soggetti con HCV, mentre il restante è suddiviso tra genotipo 2 (28%), 3 (9%) e 4 (4%). 14 2.4- Epatite D È causata dal virus Delta ma affinché si manifesti è necessaria una contemporanea o preesistente infezione da epatite B. La trasmissione avviene attraverso scambio di sangue contaminato, rapporti sessuali o ferimento casuale con oggetti infetti taglienti. Il periodo di incubazione, come per l’epatite B, varia fra i 2 ai 6 mesi, ma a differenza di essa l’epatite Delta evolve rapidamente verso forme più gravi di cronicizzazione e con maggiore incidenza di cirrosi epatica. 2.5- Epatite E L'epatite E è una malattia del fegato causata dal virus dell'epatite E (HEV). L'infezione da HEV di solito si traduce in una malattia acuta autolimitata. È diffuso nel mondo in via di sviluppo. Sebbene raro nei paesi sviluppati, l'infezione HEV localmente acquisita può provocare epatite acuta con tendenza a progredire verso l'epatite cronica principalmente tra i riceventi di trapianto di organi solidi. Le caratteristiche dell'HEV sono che mostra un profilo clinico ed epidemiologico diverso a seconda di dove si acquisisce l'infezione, principalmente a causa del genotipo virale. Ci sono quattro genotipi di HEV che causano malattie negli esseri umani, ciascuno con caratteristiche epidemiologiche e cliniche diverse. I casi di epatite E si 15 presentano tipicamente in due modi: epidemie di grandi dimensioni e casi sporadici in aree in cui l'HEV è endemica, o come casi isolati nei paesi sviluppati. (Centers for Disease Control and Prevention) Il virus dell'epatite E viene solitamente diffuso per via oro-fecale. La fonte più comune di infezione da HEV è l'acqua potabile contaminata fecalmente. Esiste anche la possibilità di diffusione zoonotica del virus, ovvero può essere diffuso dagli animali. I sintomi del virus dell’HEV sono quelli tipici anche delle altre epatiti (febbre, stanchezza, itterizia, dolore addominale, urina scura, nausea, perdita di appetito, vomito) e non sempre si manifestano. Quando si manifestano, essi appaiono dopo circa 15-60 giorni dall’esposizione. La maggior parte delle persone con epatite E guarisce completamente, il tasso complessivo di fatalità è intorno all'1%. Per le donne incinte, l'epatite E può essere una malattia grave con mortalità che raggiunge il 10% -30% nel terzo trimestre di gravidanza. La mortalità è elevata anche nei soggetti sottoposti a trapianto di organi solidi in terapia immunosoppressiva. Poiché i casi di epatite E non sono clinicamente distinguibili da altri tipi di epatite virale acuta, la diagnosi può essere confermata solo testando la presenza di anticorpi contro HEV. Di solito si risolve da sola senza alcun trattamento. La prevenzione dell'epatite E si basa principalmente su una buona igiene e sulla disponibilità di acqua potabile pulita. Non è stato approvato nessun vaccino dalla FDA per l'epatite E attualmente disponibile negli Stati Uniti; tuttavia, nel 2012 è stato approvato un vaccino ricombinante per l'uso in Cina. 16 CAPITOLO 3 Cirrosi epatica e tumore del fegato La cirrosi epatica è una malattia cronica del fegato dovuta ad un’infiammazione, caratterizzata da alterazioni della struttura e delle funzioni del fegato e dalla trasformazione dell’organo in tessuto fibroso. Una certa percentuale di casi di cirrosi epatica evolve a carcinoma del fegato che però esiste anche senza cirrosi. 3.1- Cirrosi epatica La cirrosi epatica è una malattia cronica estremamente diffusa nel nostro Paese, dove si pone tra le più importanti cause di decesso e comporta elevati costi sociali. In Italia, infatti, la cirrosi epatica figura tra le dieci principali cause di morte nel 2003. Ciò si manifesta in maniera ancora più evidente nelle classi di età a maggiore attività produttiva. È il risultato comune di varie patologie epatiche quali epatiti virali, epatite alcolica, epatite non alcolica e patologie autoimmuni e biliari epatiche. È la conseguenza della persistenza di fenomeni di infiammazione, rigenerazione e riparazione, che portano alla distorsione della normale struttura dell’organo e della sua vascolarizzazione e ad una perdita progressiva di funzione epatica. La formazione della fibrosi fa sì che si perda la capacità del fegato di sintetizzare una gran quantità di molecole essenziali al metabolismo di tutto l’organismo e determina un’aumentata resistenza del flusso nella vena porta (vena che convoglia al fegato il sangue proveniente dall’apparato digerente) con conseguente aumento della pressione nella stessa ed apertura di comunicazioni tra la circolazione portale e quella sistemica. L’ipertensione portale, ovvero l’aumento patologico della differenza di pressione normalmente presente tra la vena porta e le vene sovraepatiche (che escono dal fegato e portano il sangue depurato al circolo sistemico), determina a sua volta le due principali complicanze della cirrosi: l’ascite (lo sviluppo di liquido nella cavità addominale) e la formazione con conseguente possibile rottura, delle varici esofagee (una abnorme dilatazione delle vene dell’esofago). L’insorgenza di complicanze permette di distinguere due principali gruppi di pazienti con cirrosi epatica: quelli con cirrosi compensata e quelli con cirrosi scompensata. I due gruppi di pazienti differiscono profondamente per prognosi e strategie terapeutiche. Si possono distinguere due principali gruppi di pazienti con cirrosi epatica: quelli 17 con cirrosi compensata e quelli con cirrosi scompensata. I due gruppi di pazienti differiscono profondamente per prognosi e strategie terapeutiche. • Nella cirrosi compensata è possibile effettuare una terapia etiologica (per esempio antivirale per le cirrosi da HBV e HCV, modificazioni dietetiche e comportamentali e di eliminazione dei fattori di rischio per la cirrosi alcolica e così via), associata alla prevenzione primaria delle complicanze (come l’uso di farmaci beta-bloccanti e/o la legatura delle varici per la prevenzione del sanguinamento da varici e la sorveglianza oncologica) e misure di “health maintenance” basate sui fattori di rischi presenti. I pazienti con cirrosi epatica compensata vengono sottoposti ad un attento follow-up per lo meno semestrale, questo permette di ridurre il rischio di scompenso della cirrosi, di trattare precocemente le eventuali complicanze e conseguentemente ridurne la mortalità. • Nella cirrosi scompensata in alcuni casi è ancora possibile una terapia eziologica (epatopatie virali ed alcoliche), altrimenti la strategia è quella di trattare le complicanze, prevenendone le recidive e di individuare il momento ideale per un'eventuale candidatura a trapianto di fegato. Qualsiasi sia l’eziologia, Ginès et al. (1987) affermano che la storia naturale della cirrosi epatica si può sintetizzare in alcune fasi ben precise: danno epatico acuto; danno epatico cronico; instaurazione della cirrosi; cirrosi epatica compensata; cirrosi epatica scompensata; epatocarcinoma. Nella maggior parte dei casi le fasi che vanno dal danno epatico acuto fino all’instaurarsi della cirrosi e talvolta anche lo stesso stato di cirrosi compensata decorrono senza sintomi quindi la diagnosi in questi casi viene posta quando: il danno acuto si presenta con ittero; si riscontra un’infezione da virus epatitici; nello studio di una persona con problemi di alcolismo. Nell’ambito delle diagnosi di laboratorio le principali alterazioni dei test che permettono di rilevare la presenza di cirrosi sono: alterazione dell’emocromo, in particolare la riduzione del numero delle piastrine che potrebbe anche essere associata ad una riduzione dei globuli bianchi e rossi; aumento delle γ18 globuline; incremento del valore delle transaminasi e della fosfatasi alcalina; aumento della bilirubinemia. Un’altra causa della cirrosi epatica può essere l’alcol che è una sostanza tossica di per sé e per i suoi metaboliti. Il fegato rappresenta l’organo in cui l’alcol esercita il suo maggiore effetto lesivo in quanto è la principale sede di metabolizzazione e quindi di produzione di acetaldeide e di radicali tossici. La definizione corrente di “patologia epatica da alcol” comprende sia le forme acute che croniche ed è legata ad “uso incongruo” di bevande alcoliche (quantità di alcol superiore a 20g/die per la donna e 30 g/die per l’uomo continuativamente per almeno 5 anni). Tuttavia, poiché solo il 20-30% dei bevitori sviluppa una malattia epatica severa, la probabile presenza di cofattori (es. infezioni virali, sindrome metabolica, farmaci e tossici ambientali) potrebbe accelerare la progressione della malattia. Le condizioni acute sono riassumibili in: • epatite alcolica • coma etilico • sindrome da astinenza I quadri cronici sono rappresentati da: • steatosi epatica e steatoepatite • cirrosi 3.2- Carcinoma del fegato Un’altra complicanza della cirrosi è rappresentata dallo sviluppo dell'epatocarcinoma, il principale tipo di tumore primitivo del fegato. Il tumore è rappresentato da cellule normali che si trasformano in cellule atipiche che successivamente si riproducono e crescono formando una massa in continuo accrescimento. Per i tumori del fegato, ci sono forme benigne e maligne che hanno la potenzialità di diffondersi anche agli altri organi. Le neoplasie del fegato possono nascere direttamente dall'organo ed in questo caso vengono definite "primitive" oppure arrivare al fegato come metastasi di lesioni che interessano altri organi ed essere quindi definite "secondarie”. Tra i tumori benigni il più frequente è l'emangioma, più rari l'adenoma e l'iperplasia nodulare 19 focale (INF). Tra le forme maligne il tumore più frequente è l'epatocarcinoma (HCC), meno frequenti invece il colangiocarcinoma e l'angiosarcoma (in tabella sono elencati tutti i tumori epatici). (EPAC) Le epatiti B e C rappresentano i principali fattori di rischio dell’HCC e sono i responsabili di circa l’85% dei casi di quest’ultimo nel mondo, con una prevalenza di epatite B in Africa e Asia e di epatite C in Giappone e nel mondo occidentale. Altre cause dell’HCC sono: l’abuso di alcol; malattie metaboliche ereditarie; sindromi metaboliche come diabete, obesità, iperlipemia e ipertensione. La prevenzione primaria dell’HCC si effettua attraverso la vaccinazione contro l’infezione da HBV che è raccomandata a tutti i neonati. L’HCC essendo una delle neoplasie le cui cause sono meglio definite, è prevenibile, almeno in teoria. È stato osservato che in presenza di trattamenti attualmente disponibili, una sorveglianza periodica dei pazienti con cirrosi, mediante ecografia del fegato per l’identificazione precoce dell’HCC produce un rapporto costo/beneficio soddisfacente. Esiste un solo studio prospettico randomizzato condotto in pazienti cinesi con infezione cronica da HBV che riporta dati a favore della sorveglianza semestrale con ultrasonografia associata ad un dosaggio dell’alfa-fetoproteina (AFP) documentando una minore mortalità da HCC nei casi sottoposti a sorveglianza rispetto a quelli non sottoposti a tale pratica. 20 L’AFP è una proteina che viene principalmente prodotta dal fegato del feto, la sua concentrazione è tipicamente elevata alla nascita del bambino e diminuisce poi rapidamente. Nei bambini sani e negli adulti non in stato di gravidanza è normalmente presente in piccolissime quantità. Il danno epatico e alcuni tipi di tumore possono incrementare significativamente la concentrazione di AFP che viene prodotta ogni volta che le cellule del fegato vengono rigenerate. Nelle patologie croniche del fegato, come le epatiti e la cirrosi, AFP è cronicamente elevata. Concentrazioni molto alte di AFP possono essere prodotte da certi tipi di tumore e questa caratteristica rende la proteina utile come marcatore tumorale. Tuttavia, l’AFP non è più raccomandata come test diagnostico per la sua bassa sensibilità soprattutto in caso di noduli più piccoli. I metodi che personale medico utilizza per individuare in modo preciso la malattia sono: l’esecuzione di un’ecografia e/o di una TAC oppure di una risonanza magnetica. La certezza diagnostica si raggiunge poi con la biopsia epatica analizzando una campione di tessuto prelevato dalle pareti del fegato. Grazie quindi a tutte le tecniche diagnostiche possibili oggi un tumore del fegato è possibile individuarlo quando è ancora in fase iniziale di sviluppo e ciò permette la scelta tra diverse opzioni terapeutiche: due di queste, ovvero il trapianto del fegato e la resezione chirurgica epatica, sono considerate trattamenti curativi. • Il trapianto del fegato può curare radicalmente il tumore con una sopravvivenza del 70% a 5 anni dall’intervento. Tuttavia, questa opzione terapeutica è limitata dalla scarsità dei donatori e da controindicazioni specifiche come età avanzata e comorbidità. I risultati migliori in termini di sopravvivenza dopo trapianto di fegato si ottengono nei pazienti che rientrano nei “Criteri di Milano”, ovvero nodulo singolo ≤ 5 cm o noduli multipli di numero non superiore a 3 e di diametro ≤ 3 cm. I pazienti che rispettano questi criteri vengono valutati da un Centro Trapianti di Fegato ed inseriti in lista d’attesa se considerati idonei. In molti Centri questi pazienti in lista d’attesa vengono sottoposti a trattamenti per evitare la progressione tumorale. • Se si esegue invece la resezione epatica ovvero un intervento chirurgico che prevede la rimozione di una parte di fegato, questa può essere gravata dall’alto rischio di ricomparsa di altri tumori nel fegato rimanente e dalla comparsa di complicanze della cirrosi stessa. 21 Oltre questi due trattamenti esistono anche altri tipi di cure che vengono applicate in base alle dimensioni del tumore del fegato. Esiste anche un indice prognostico, ovvero il “Child Pugh score” (punteggio minimo 5, massimo 15), che contempla tre diverse classi di pazienti: A (5, 6 punti), B (7 - 9 punti), C (10 - 15 punti) a ciascuna delle quali è associata una prognosi più o meno favorevole. I punteggi per ciascuna classe sono calcolabili facendo la somma dei singoli punteggi associati ai valori o al grado di ognuno dei parametri presi in considerazione. 22 3.3- Tassi di mortalità cirrosi epatica e carcinoma del fegato L’ISTAT rileva tutti i decessi che si verificano in Italia facendo riferimento alla popolazione complessiva presente. La rilevazione della causa di morte avviene tramite la raccolta, il controllo e la codifica dei modelli: ISTAT/D4 e ISTAT/D5 che sono schede di certificazione di morte rispettivamente per maschi e femmine oltre il primo anno di vita; ISTAT/D4-bis e ISTAT/D5-bis che sono le schede di morte rispettivamente per maschi e femmine entro il primo anno di vita. Questi modelli riportano informazioni di carattere demografico e sociale e notizie relative al decesso che sono fornite dal medico curante. Tramite le notizie riportate sulla scheda di morte e secondo le regole di codifica fornite dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) si può risalire alla causa iniziale del decesso, che per convenzione viene associata alla causa di morte, e gli viene attribuita un codice. La codifica della causa di morte viene effettuata presso l’ISTAT da personale esperto che attribuisce il codice previsto dalla Classificazione Internazionale delle Malattie e cause di morte. Questo sistema di codifica e classificazione è stato soggetto a varie revisioni nel tempo, attualmente è in vigore l’ICD-10, ma nell’anno in corso è stata già pubblicata un’anteprima dell’ICD-11 che sarà presentata all’Assemblea mondiale della sanità nel Maggio 2019 per l’adozione da parte degli Stati membri ed entrerà in vigore il 1° Gennaio 2022. Per quanto riguarda la cirrosi epatica non si è a conoscenza di indagini epidemiologiche rappresentative della popolazione generale che può fornire misure di frequenza su base nazionale, l’unica fonte che copre un ampio arco temporale è rappresentata dalle statistiche rese disponibili dall’ISTAT. Questi tassi di mortalità per cirrosi sono ampiamente utilizzati per descrivere la frequenza di questa malattia e per analizzare la sua distribuzione geografica e il suo andamento temporale. Si sono osservati misure di frequenza apparentemente contrastanti: il tasso di incidenza fornisce una stima della probabilità o rischio che un individuo sviluppi una malattia durante uno specifico periodo di tempo) è calato progressivamente nel tempo, e ciò è dovuto alla diminuzione di nuovi casi all’anno di epatite B e C; il tasso di prevalenza ( (il numero dei casi in una popolazione definita in uno specifico momento di tempo) è cresciuto nel tempo e questo perché un soggetto affetto da cirrosi ne soffre per un tempo più lungo grazie alle cure attualmente presenti, quindi la prevalenza di una malattia non dipende solo dalla sua incidenza, ma anche dalla sua durata. In Italia ci sono sempre meno persone che si ammalano di cirrosi epatica, ma allo stesso tempo la loro sopravvivenza è aumentata nel corso degli anni. 23 Per quanto riguarda invece l’epatocarcinoma le fonti a disposizione per l’epidemiologia sono rappresentate dalle statistiche di mortalità rese disponibili dall’ISTAT e dai dati rilevati e sistematicamente pubblicati nei Registri Tumori. Per quanto riguarda l’ISTAT abbiamo che l’epatocarcinoma cellulare viene classificato, nelle schede di morte, sotto due diverse categorie: la prima corrisponde ai tumori primitivi e la seconda a quelli non specificati se primitivi o secondari. I casi incidenti rilevati dai Registri Tumori, invece, sono distinti per i tumori epatici primitivi e secondari. In Italia ci sono attualmente 10 registri generali su base di popolazione, ma non sono disponibili dati sulla prevalenza dell’epatocarcinoma. Sono stati effettuati due studi (Simonetti et al. 1992; Stroffolini et al. (1992) caso-controllo per stabilire il rischio relativo tra marcatori di infezione cronica virale (HbsAg e Anti-HCV) ed epatocarcinoma. Sono risultati entrambi fattori di rischio fortemente associati all’epatocarcinoma ma in maniera indipendente. Nello studio condotto da Simonetti et al. (1992) hanno utilizzato un gruppo controllo di soggetti affetti solo da cirrosi epatica, ed hanno notato che sia l’HbsAg che l’anti-HCV raddoppiano il rischio di sviluppare l’epatocarcinoma. Stroffolini et al (1992) hanno stimato la quota di epatocarcinoma nella popolazione italiana attribuite al virus B e al virus C e hanno visto che l’incidenza dell’epatocarcinoma si ridurrebbe, nella popolazione italiana, del 20% se si potesse eliminare la circolazione del virus B e del 44% se si potesse eliminare la presenza del virus C. In Italia l’80-90% dei casi di epatocarcinoma sono associati alla presenza di cirrosi epatica che è uno dei principali fattori di rischio per il suo sviluppo. 24 CAPITOLO 4 Epatite C: conoscere l’HCV per curarla 4.1- Il virus HCV L’HCV è un virus che è stato scoperto nel 1989 in seguito alla somministrazione di test sierologici per la diagnosi dell’infezione e che ha permesso di comprendere come esso fosse il principale responsabile dell’epatite. Il proseguimento degli studi sul virus dell’epatite ha condotto i ricercatori a comprendere la composizione del suo genoma e ad individuare in esso una catena singola di RNA a polarità positiva, della lunghezza di circa 10000 basi, con un’unica ORF (open reading frame) che esprime una poliproteina. L’analisi di quest’ultima ha poi reso evidente il legame del virus con gli altri virus delle epatiti A, B, D ed E, e la sua parentela con i flavivirus, appartenenti tutti alla classe dei “virus epatitici. Però sebbene il genoma dell’HCV presenta alcune caratteristiche che rassomigliano ai flavivirus, ne possiede altre che sembrano più simili ai pestivirus, i quali non richiedono alcun vettore, inducono sia infezioni acute che croniche e possono determinare lo stato di portatore asintomatico. Per quanto riguarda le analogie dell’organizzazione genomica dell’HCV con quella dei flavivirus è che in entrambi è ben visibile una catena singola di RNA a polarità positiva che inizia in posizione 5' terminale con una regione non codificante, seguita da un’unica sequenza di lettura che termina in prossimità della posizione 3' finale. Sono state però individuate anche delle differenze, scoprendo che il genoma dell’HCV appare più corto rispetto ai flavivirus ed ai pestivirus e che mentre l’HCV ha la capacità di codificare solo 3011 aminoacidi, gli altri virus codificano poliproteine di 3411 e 3898 aminoacidi rispettivamente. Sulla base dell’analisi di sequenza gli isolati di HCV possono essere classificati in 6 genotipi, indicati con i numeri arabi, i quali differiscono tra loro del 30-35%, e numerosi sottotipi, indicati con le lettere dell’alfabeto, che differiscono del 20-25%. 25 Il virione presenta una morfologia sferoidale con diametro di 50-80 nm. È composto da un nucleocapside a simmetria icosaedrica, costituito dalla proteina core e dal genoma virale, e da un involucro pericapsidico, ovvero un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare in cui sono inserite le glicoproteine virali E1 ed E2. Il virus circola nel sangue di pazienti infetti sotto 3 forme: virioni associati a LDL/VLDL (low density lipoproteins/ very low density lipoproteins), virioni associati a immunoglobuline e virioni liberi (Moradpour et al., 2007). Le principali cellule bersaglio del virus sono rappresentate dagli epatociti seppure sia possibile anche l’infezione di altri tipi cellulari. Il primo evento necessario perché si realizzi l’infezione è il contatto tra virus e cellula; successivamente, un legame specifico tra le glicoproteine di superficie e i recettori cellulari consente l’ingresso del virus mediante endocitosi mediata da recettore. Ad indurre l’endocitosi sono la Claudina e l’Occludina 1 che sono corecettori che si trovano nelle proteine delle giunzioni strette. 26 Dopo l’ingresso mediato da recettore transita in un comparto endosomico a basso pH (Blanchard et al., 2006). L’abbassamento di pH all’interno delle vescicole promuove un cambiamento conformazionale delle glicoproteine E1 e E2, con conseguente esposizione di una regione idrofobica di E2 che rappresenta il peptide di fusione; questo peptide, entrando nella membrana della vescicola endocitica, promuove la fusione delle membrane cellulare e virale e l’uscita del nucleocapside nel citoplasma. In seguito alla scapsidazione, ha inizio la traduzione del genoma virale. L’RNA genomico (HCV RNA) si comporta come un mRNA policistronico e viene direttamente tradotto in una poliproteina che viene processata da proteasi cellulari e virali. L’enzima chiave della replicazione è l’RNA-polimerasi-RNA dipendente virus-specifica, che avvia la sintesi di un filamento di RNA antigenomico, utilizzando come stampo il genoma virale. La successiva produzione delle nuove particelle virali viene attivata dall’interazione dei monomeri di proteina core con i genomi neosintetizzati e porta alla formazione dei nucleocapsidi; ciò avviene in regioni del reticolo endoplasmatico in cui è presente un’elevata concentrazione di goccioline lipidiche. Le particelle virali di nuova sintesi acquisiscono l’involucro esterno dal reticolo endoplasmatico della cellula ospite, dove vengono inserite le glicoproteine E1 ed E2; il passaggio nell’apparato di Golgi consente la maturazione finale della particella virale con la glicosilazione di E1 e E2. Il virione esce poi dalla cellula per esocitosi. 4.2 – Diagnosi e trattamenti del virus HCV L’epatite C è causata dall’agente infettivo Hepacavirus (Hcv), appartenente alla famiglia dei Flaviviridae, che genera i sintomi iniziali, quali affaticamento, inappetenza, nausea, vomito, febbre, dolori addominali, urine scure, incremento dei valori di transaminasi e ittero, assai raramente, può degenerare in un decorso fulminante fatale o dirigersi verso la cronicizzazione (decorsi 6 mesi dal contagio). In diversi casi, i sintomi iniziali non sono evidenti, tanto da non essere percepiti da chi ha già contratto il virus HCV. Sarà in seguito alla cronicizzazione dell’infezione che esso accuserà i segni della fatica e dell’astenia o di un persistente malessere generale che, in casi gravi, potrà tradursi in complicanze cliniche epatiche o causare l’insorgenza di tumori. La cronicità della malattia può trasformare, inoltre, il danno epatico in cirrosi epatica o in un carcinoma epatocellulare (o HCC), il quale può insorgere anche con l’assunzione cronica di alcol, con un grado di infiammazione o con fibrosi che sono rilevati alla biopsia epatica, in 27 presenza di età avanzata al momento del contagio o di co-infezioni con virus HIV o dell’epatite B (HBV). storia naturale dell’infezione (Adapted from Asselah et al., 2008) Il virus dell’epatite C viene trasmesso prevalentemente tramite esposizione a sangue infetto. In passato la principale modalità di trasmissione era rappresentata dalle trasfusioni di sangue e dagli emoderivati provenienti da donatori infetti; oggi grazie allo screening sierologico e molecolare dei marcatori di HCV nei donatori, tale rischio si è notevolmente ridotto nei Paesi industrializzati mentre rimane ancora un problema in Africa e in Asia. Altra modalità di trasmissione è rappresentata dall’assunzione di droghe per via parenterale con scambio di siringhe infette. La trasmissione sessuale è rara. Un peso considerevole nella trasmissione di HCV è rappresentato dalla via parenterale inapparente. Dopo aver differenziato le varie tipologie e i vari gradi dell’infezione vediamo quali sono i vari tipi di diagnosi che si possono effettuare per il virus dell’HCV. Il primo approccio per lo screening e per la diagnosi di infezione da HCV è rappresentato dalla ricerca di anticorpi specifici nei confronti di antigeni dell’HCV mediante saggi immunoenzimatici (ELISA). Il test per anticorpi (Ab) anti-HCV è in grado di evidenziare una positività da 5 a 8 settimane dopo l’infezione primaria. In passato si ricorreva alla biopsia epatica, una tecnica invasiva che permetteva di individuare le diverse malattie del fegato prelevando con un ago un frammento di tessuto epatico che veniva poi osservato al 28 microscopio. Oggi questa tecnica è eseguita in day hospital ed è però utilizzata solo in alcuni casi. È possibile anche ricorrere ad un ulteriore analisi dei livelli delle transaminasi sieriche che permettono di comprendere lo stato dell’infiammazione del fegato ed accertare la presenza e la valenza del virus. L’accertamento di valori di transaminasi anormali può avvenire mediante tecniche di screening di laboratorio. Un’altra metodologia d’analisi utilizzata è il Fibroscan, ovvero un’accurata indagine che permette di valutare l’elasticità dell’organo epatico considerandolo come espressione dello stato di fibrosi indotto dall’infezione virale. L’apparecchio è costituito da una sonda ad ultrasuoni montata su un sistema vibrante ed è simile ad un comune ecografo. La sonda del Fibroscan viene applicata sulla cute del costato a destra: l’impulso che genera determina la propagazione di un’onda elastica attraverso il fegato, la cui velocità, misurata per mezzo degli ultrasuoni, è direttamente correlata alla sua rigidità che è a sua volta dipendente dalla quantità di fibrosi. 29 Prima dell’utilizzo di questo apparecchio si poteva ottenere questa informazione solo tramite biopsia. Oltre questi tipi di diagnosi abbiamo anche la genotipizzazione virale ovvero un esame che consente di stabilire il genotipo ed anche il sottotipo di virus che ha causato l’eventuale infezione. L’esecuzione di questo test è molto importante per poter definire la terapia antivirale più idonea al caso singolo. Una volta giunti alla diagnosi si procede all’identificazione di una terapia adatta alla problematica riscontrata. I trattamenti classici valorizzano la terapia farmacologica che sfrutta la combinazione dei principi attivi presenti in diversi farmaci. La prima terapia risale al 1996 con l’approvazione dell’interferone da parte della FDA e successivamente è stata permessa la combinazione di farmaci mediante la Ribavirina ovvero un principio attivo ad iniezione che va somministrato 3 volte a settimana. L’interferone combinato alla Ribavirina ha fornito un trattamento la cui durata dipende dalla carica virale e dagli esiti dell’HCV RNA in corso di terapia. In base al diverso genotipo variano anche le probabilità di guarigione, che hanno percentuali differenti: 45-55% per i pazienti con genotipo 1; 60-80% per i pazienti con genotipo 2-3. La percentuale però si abbassa nei casi di infezione cronica degenerata in cirrosi, ovvero 33% per i pazienti con genotipo 1 e 4, 57% per i pazienti con genotipo 2 e 3. Questa terapia è stata migliorata nel 2001 con l’introduzione dell’interferone Peghilato associato alla Ribavirina. Questa combinazione ha permesso di ottenere risultati positivi grazie al fatto che l’inserimento di una catena polietilenglicole (PEG) allunga l’emivita del farmaco riducendone la somministrazione ad una sola dose. Recentemente però sono stati introdotti nella pratica clinica due farmaci antivirali diretti, Boceprevier e Telaprevier, inibitori della proteasi NS3/4A. In entrambi i casi, gli studi hanno rivelato un significativo incremento della probabilità di eliminare il virus in pazienti con infezione da HCV genotipo 1. Entrambi i farmaci però vengono somministrati in triplice terapia con PEG-IFN e RBV. Questa triplice terapia risulta più efficace nei pazienti difficili da trattare, ovvero soggetti che hanno avuto una ricaduta dopo una risposta iniziale o che non hanno proprio risposto ad un primo trattamento (Asselah et al., 2011). Un altro farmaco che ha dato risultati promettenti è stato il Sofosbuvir, un inibitore della polimerasi virale (Gane et al., 2013). Questo farmaco viene somministrato via orale in combinazione solo con la Ribavirina ottenendo però risultati molto simili a quelli ottenuti con la 30 triplice terapia e quindi aprendo la strada verso nuovi scenari terapeutici interferon-free. Non è attualmente disponibile un vaccino in grado di prevenire l’infezione da HCV nell’uomo. 4.3- Aspetti epidemiologici in Italia L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa 170 milioni di persone siano infette da HCV, ovvero circa il 3% della popolazione mondiale. La prevalenza e l’incidenza da HCV differiscono in modo significativo nelle diverse aree geografiche; la differente circolazione del virus è sicuramente associata alle condizioni igienico-sanitarie e sociodemografiche, che possono modificare l’efficienza delle vie di contagio. 31 Nel mondo, ogni anno muoiono dalle 350 mila alle 500 mila persone per malattie al fegato correlate all’epatite C ed il dato è registrato soprattutto nelle regioni dell’Asia centrale e orientale e del Nord Africa. Ciò è spiegato dal fatto che, l’epidemia di epatite C si concentra soprattutto in alcune popolazioni a rischio, tra le quali l’insorgenza di forme virali è maggiore rispetto ai Paesi Occidentali. L’incidenza delle infezioni ha registrato un calo di valori negli ultimi 20 anni, grazie anche all’implemento dei sistemi di controllo delle trasfusioni e al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie in diverse zone. In Italia la prevalenza dell’infezione è fortemente correlata con l’età e mostra un gradiente geografico dal Nord al Sud Italia, raggiungendo picchi particolarmente elevati in soggetti di età avanzata nel Meridione (oltre il 30% in soggetti di età superiore ai 60 anni). L’infezione cronica colpisce maggiormente la popolazione ultrasessantenne, sebbene, rispetto al resto del mondo, in Italia, la contrazione dell’infezione è maggiore nei soggetti più giovani. Secondo il Sistema Epidemiologico Integrato Epatiti Virali Acute (SEIEVA) operante presso l’Istituto Superiore di Sanità, sul territorio nazionale è stata registrata una maggior frequenza dell’infezione al Sud-Centro (dove la prevalenza è dello 0,7% rispetto al Nord) e nei maschi rispetto alle femmine. In ambito epidemiologico, in 77 Paesi è stato registrato un alto tasso (che va dal 60 all’80%) di infezione da epatite C legata all’uso di sostanze stupefacenti, tanto da indurre a ritenere che 10 milioni di consumatori di droghe per via iniettiva sia affetto dal virus HCV. Questo presunto dato è confermato dalle stime mondiali che registrano un’alta correlazione tra l’insorgenza dell’infezione e l’assunzione delle sostanze stupefacenti. Basti osservare i 1,6 milioni di casi in Cina, i 1,5 milioni negli Stati Uniti (soprattutto tra i detenuti) e i 1,3 milioni in Russia. Secondo i dati trasmessi da un report dell’ECDC, il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo sulle malattie la diffusione dell’infezione da epatite C (HCV) nella popolazione generale dell’Unione Europea (EU), sarebbero oltre 10 milioni gli europei affetti da questa malattia, però questi dati mostrano solo una parte della reale situazione in quanto le 13 infezioni croniche sono in genere asintomatiche e meno evidenti. L’allarme ha indotto l’attivazione di Piani di azione che si concentrano: sulla prevenzione delle nuove infezioni, sulla sensibilizzazione dei cittadini e degli operatori sanitari, sull’incremento della diagnosi e sul potenziamento della diffusione dei trattamenti e delle cure. 32 4.4- La situazione nella regione Campania I nuovi farmaci ad azione antivirale diretta offrono una possibilità di guarigione di oltre il 95%. Ad oggi in Italia sono stati curati più di 48.000 pazienti, di questi oltre 6.000 solo in Campania in 25 centri di competenza autorizzati. In Campania l’epatite C ha un’alta prevalenza (dichiara Massimiliano Conforti, Vice Presidente Associazione EpaC Onlus). La Regione è ai primi posti in Italia con oltre 30.000 casi diagnosticati, in base ad una ricerca condotta nel 2015, e risulta la seconda regione d'Italia, dopo la Lombardia, in quanto a pazienti in trattamento, oltre a un numero ancora non ben definito di persone che ignorano di avere l’infezione. Nonostante le stime che la collochino a primi posti in Italia per prevalenza di infezioni, si è dimostrata leader anche in organizzazione e gestione della patologia. Grazie all’impiego delle nuove terapie e l’impegno dei clinici e delle istituzioni, negli ultimi tre anni sono stati guariti dall’infezione 97.300 pazienti in Italia, di cui quasi 13.000 in Campania. Le percentuali di successo grazie ai nuovi regimi terapeutici per la cura della epatite C, raggiunge il 98%. Il 2017 è stato un anno segnato da alcuni momenti cruciali per il contrasto all’epatite C in Italia: il ventaglio terapeutico del clinico si è arricchito di tre nuovi farmaci antivirali ad azione diretta e AIFA ha esteso i criteri di rimborsabilità dei trattamenti, rendendo di fatto le cure accessibili a tutti i pazienti. A fronte di questi importanti cambiamenti però l’obiettivo di eliminare l’infezione da virus HCV, curando 80.000 pazienti l’anno nel triennio 2017-2019, appare ancora lontano. Solo un paziente su due in Italia è stato avviato alle cure e lo 33 stesso Fondo per i farmaci innovativi spesso non viene utilizzato a sufficienza dalle Regioni, infatti in troppe Regioni manca ancora un PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistenziale) condiviso e mancano all’appello decine di strutture autorizzate alla prescrizione e distribuzione degli antivirali. Tra le Regioni che possono vantare la realizzazione di un PDTA compare la Campania, nella quale clinici e decisori si sono attivati sin dal 2015 per creare una rete capillare in grado di promuovere il trattamento tempestivo dei pazienti affetti da HCV. Gli elementi chiave della governance messa a punto dalla Regione Campania sono i seguenti: • • • • • Collaborazione inter-istituzionale e centralità della Commissione clinica: il Servizio della Politica del Farmaco e Dispositivi della Direzione Generale della Tutela della Salute e Coordinamento del SSR ha conferito un chiaro mandato ad un Gruppo di lavoro ristretto (cfr. Commissione clinica) rappresentato da clinici attinenti ai maggiori centri di epatologia della Regione Campania. Assenza di barriere organizzative: i centri autorizzati in rete alla diagnosi e al trattamento (Centri prescrittori) sono 25 sin dal Decreto n. 20 del 2015, ciò ha consentito al paziente di essere indirizzato all’occorrenza verso centri a maggiore specializzazione e all’innovazione farmaceutica di arrivare in maniera capillare sul territorio senza arrecare disagio al paziente. Sostegno all’innovazione farmaceutica: Il gruppo di lavoro ristretto si è tempestivamente riunito a seguito dell’ammissione a rimborsabilità da parte di AIFA di ogni nuovo DAA (farmaci antivirali ad azione diretta), al fine di aggiornare il PDTA e di favorire il procurement del farmaco da parte del soggetto aggregatore, garantendo un sistema concorrenziale. Pianificazione dei trattamenti e monitoraggio delle assegnazioni: il tavolo tecnico ha richiesto periodicamente alle Direzioni generali la stima del fabbisogno di trattamenti previsti presso il Centro prescrittore e restituito agli stessi il monitoraggio dei trattamenti residui tramite la Piattaforma Saniarp. Coinvolgimento dell’associazione dei pazienti EpaC, che ha implementato iniziative di sensibilizzazione della popolazione. 34 • Coinvolgimento della Medicina di base, tramite la creazione di una piattaforma on-line che consentirà al medico di effettuare il primo referral del paziente con nuova diagnosi di epatite C o con diagnosi già nota. I risultati anche economici di questa governance sono confermati dai dati relativi a ottobre 2017 del monitoraggio periodico effettuato da AIFA della spesa tracciata per i farmaci coperti dai fondi per gli innovativi non oncologici, che mostra una differenza fra spesa tracciata e payback fortemente diminuita a livello Italia e quasi appianata per la Regione Campania. 4.5- La legge di stabilità del 27 Dicembre 2017 L’esigenza di rendicontare la prescrizione dei farmaci innovativi e la loro utilità ha spinto gli addetti ai lavori a puntare sulla sostenibilità, in modo da ammortizzare i costi elevati e garantire un’efficiente erogazione del trattamento. A supporto dei pazienti affetti di HCV, infatti, l’AIFA ha stipulato degli accordi con le aziende farmaceutiche, riuscendo a ridurre i costi da sostenere per l’utilizzo dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta. Anche l’Assessorato della Salute ha voluto dare il proprio contributo, sensibilizzando le Aziende Sanitarie ed i Centri prescrittori. Ciò conferma che l’introduzione dei farmaci innovativi HCV rappresenta un investimento sostenibile per la salute e per le risorse del SSN, da riservare a quei regimi terapeutici innovativi che offrono percentuali di efficacia così alti da consentire al sistema sanitario di ammortizzare la spesa grazie ai risparmi indotti, ad esempio, dalla riduzione degli eventi HCV correlati (cirrosi, epatocarcinoma, trapianti ) ma anche risparmi indiretti (i costi sostenuti dal sistema previdenziale per pensioni ed assegni di reversibilità o invalidità). Un ulteriore contributo diretto alla sostenibilità dei farmaci innovativi è stato apportato dalla Legge di stabilità del 2017, la quale ha previsto 500 milioni annui per il triennio 2017-2019, da destinare ai farmaci oncologici innovativi e 500 milioni annui per il triennio 2017-2019 per il trattamento innovativo dell’epatite C. Grazie a questi fondi, in Italia, sono state attivate ben 70 mila terapie a fronte dei 200 mila pazienti affetti da HCV e si prevede di riuscire a curare i restanti casi ancora non sottoposti al trattamento sovvenzionato. I soldi stanziati dalla Legge di stabilità sono sfruttabili non solo per la cura dell’epatite C, ma anche delle malattie oncologiche, estendendo il trattamento su un più ampio raggio. 35 Considerazioni finali Le strategie sanitarie internazionali dimostrano sempre di più come la comunicazione sia uno strumento importante per la qualità del servizio. In ambito sanitario e in medicina del lavoro, sono numerosi i riflessi sociali, economici, produttivi e di sanità correlati alla corretta o imperfetta gestione delle procedure di comunicazione. In Italia si stima che i pazienti portatori cronici del virus HCV siano oltre un milione, di cui 330.000 con cirrosi. L’Italia ha il triste primato in Europa per numero di soggetti HCV positivi e mortalità per tumore primitivo del fegato. Oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato e, nel 65% dei casi, l’Epatite C risulta causa unica o con causa dei danni epatici. Le regioni del Sud sono le più colpite: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione ultrasettantenne la prevalenza dell’HCV supera il 20%. È stato istituito quindi un Piano Nazionale per la Prevenzione delle Epatiti Virali (PNEV) che è un documento intransigente le cui finalità sono quelle di affrontare efficacemente i temi della prevenzione e cura delle epatiti virali in Italia. Uno degli obiettivi primari del PNEV è quello di porre le basi per un accesso alle cure per le epatiti virali, che: - sia uniforme su tutto il territorio italiano, - sia finalizzato alla salvaguardia della equità e della qualità che il SSN ha sempre garantito, - alla luce delle recenti acquisizioni in termini di terapie innovative contro l’HCV, assicuri a tutti i pazienti l’accesso alle nuove terapie, per le quali in fase di ricerca clinica sono stati documentati tassi di guarigione più elevati rispetto alle terapie disponibili in passato. Nella nostra regione, la Campania, la mortalità per cirrosi epatica e per epatocarcinoma è più alta rispetto alla media nazionale. L’obiettivo è quello di creare sempre maggiori interazioni tra specialisti per spingere quanti più soggetti possibile ad effettuare i test e far emergere la malattia. Grazie all’impiego delle nuove terapie e l’impegno dei clinici e delle istituzioni, negli ultimi tre anni sono stati guariti dall’infezione 97.300 pazienti in Italia, di cui quasi 13.000 in Campania. Le percentuali di successo, grazie ai nuovi regimi terapeutici per la cura della epatite C, raggiunge il 98%. 36 Quindi grazie ai successi dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta e i fondi stanziati con la legge di stabilità del 2017, la quale ha permesso di diffondere la cura a tutti i malati, l’obiettivo dell’OMS di eradicare il virus dell’epatite C entro il 2030 non è più solo un miraggio. BIBLIOGRAFIA AIOM; Linee guida epatocarcinoma. Ed 2017 (27.10.2017) Asselah T and Marcellin P. New direct-acting antivirals‟ combination for the treatment of chronic hepatitis C. Liver Int 2011; 68-77 Azienda ospedaliera San Gerardo; Programma cirrosi Epatica. Bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità 2018; 96: 443-443A. Hans-Olov Adami, David Hunter, Dimitrios Trichopoulos; Textbook of Cancer Epidemiology V.33 (2002) S.Barbuti, G.M. Fara, G.Giammanco; Igiene-medicina preventiva-sanità pubblica. Edises World Health Organization. Guidelines for the care and treatment of person diagnosed with chronic hepatitis C virus infection (July 2018) SITI WEB www.Epac.it www.istat.it www.cdc.gov www.epicentro.iss.it www.old.iss.it www.webaisf.org 37