caricato da alessiagallucci

Tesi di Gallucci Alessia

LE EPATITI: VIRUS DELL’HCV!
INDICE
INTRODUZIONE
Capitolo 1
Le epatiti: caratteristiche generali
1.1- Epatite acuta
1.2- Epatite cronica
1.3- Sintomatologia e diagnosi
Capitolo 2
Le epatiti virali
2.1- Epatite A
2.2- Epatite B
2.3- Epatite C
2.4- Epatite Delta
2.5- Epatite E
Capitolo 3
Cirrosi epatica e tumore del fegato
3.1- cirrosi epatica
3.2- carcinoma del fegato
3.3- tassi di mortalità cirrosi epatica e carcinoma del fegato
Capitolo 4
Epatite C: conoscere l’HCV per curarla
4.1- il virus HCV
4.2- diagnosi e trattamenti del virus HCV
4.3- aspetti epidemiologici in Italia
4.4- la situazione nella regione Campania
4.5- la legge di stabilità del 27 dicembre 2017
Considerazioni finali
Bibliografia
2
Ringrazio prima di tutti la mia famiglia. Ringrazio mia madre perché è
stata la mia ombra da sempre, non mi ha mai mollata e non mi ha mai
fatto mollare, ha creduto in me prima che lo facessi io e questo mi ha
dato una forza incredibile per poter fare sempre di più senza paura;
ringrazio mio padre perché ha sempre avuto una parola di conforto
quando qualcosa non andava come volevo, mi ha sempre tirata su e mi
ha fatto capire che nella vita nessun ostacolo può fermarmi se io non lo
voglio; ringrazio mia sorella, la mia persona, perché mi ha supportata e
sopportata ad ogni esame, mi ha ascoltata anche quando non ne aveva
voglia o non ci capiva niente di quello che dicevo e tutto ciò senza mai
lamentarsi; ringrazio mio fratello perché è stato in grado di tirarmi su il
morale, di farmi sorridere anche quando ero nell’ansia più totale o nella
disperazione per l’attesa dell’esito di un esame. Ringrazio i miei nonni
che hanno creduto in me ogni giorno e nel bene o nel male mi hanno
fatto capire di essere sempre orgogliosi di me. Ringrazio i miei zii e miei
cugini che sono stati un supporto anche senza saperlo. Ringrazio i miei
colleghi che sono diventati la mia seconda famiglia e hanno condiviso
con me questo percorso rendendolo più leggero, divertente e piacevole,
grazie per aver sopportato i miei sbalzi d’umore e i miei periodi peggiori
e per non avermi mai abbandonata. Un grazie particolare va a te,
Alfonso, un amico che tutti dovrebbero avere nella propria vita, un
grazie perché ci siamo fatti una promessa e tu non ne sei mai venuto
meno, fino alla fine con la mano, non mi hai mollata nemmeno nei
momenti peggiori, in cui non mi sopportavo nemmeno da sola, e quindi
ti devo un grazie particolare. Ringrazio lei, la mia metà, Maria, che mi ha
dato forza e coraggio, mi ha spronata e anche da lontano mi è stata
vicina fino alla fine. Un grazie a tutti coloro che hanno creduto in me e
mi hanno dato un po’ di voglia in più per andare avanti nonostante
tutto. Ringrazio il mio relatore per avermi seguito alla fine di questo
percorso e per quello che mi ha lasciato durante il suo corso, sia per
quanto riguarda la sua materia ma anche per le sue lezioni di vita. In fine
ringrazio me stessa per la forza di volontà e per aver portato avanti e
lottato per quello in cui ho sempre creduto.
3
EPATITE
CAPITOLO 1
Le epatiti: caratteristiche generali
Con il termine epatopatia si fa riferimento a tutte quelle alterazioni
funzionali e morfologiche del fegato. Rappresentano una patologia
molto frequente in tutto il territorio nazionale.
Le epatiti virali sono una serie di forme infettive di origine virale che
colpiscono il fegato. I virus in grado di provocare danno a livello epatico
sono vari, ma alcuni hanno un tropismo elettivo per il fegato.
Le forme dell’epatite si possono classificare in funzione alla durata
dell’infiammazione epatica: si parla di epatite acuta quando viene
diagnosticata una nuova malattia del fegato di breve durata (meno di 6
mesi); si parla di epatite cronica quando l’infiammazione epatica
persiste per oltre sei mesi.
La natura delle epatopatie è diversa a seconda della causa o cause che
provocano l’infiammazione e la necrosi degli epatociti: l’infezione può
essere di origine virale, di origine tossica o provocata da reazione
immunitaria.
Le epatiti virali possono essere classificate anche in base al tipo di via
con cui viene trasmessa la malattia:
•
Epatiti a trasmissione oro-fecale: HAV (prevenibile con vaccino) ed HEV
(non esiste vaccino). Può avvenire tramite ad esempio l’ingestione di
verdure contaminate o di frutti di mare. Le trasmissioni oro-fecali sono
più frequenti in quei Paesi in cui le condizioni igienico-sanitarie lasciano
a desiderare.
• Epatiti a trasmissione parenterale: HBV (prevenibile con vaccino), HCV
(non esiste vaccino) ed HDV (non esiste vaccino specifico ma è
prevenibile grazie alla vaccinazione anti Epatite B). Il virus può entrare
nell’organismo attraverso due modalità di trasmissione:
1. Parenterale apparente (trasfusioni, siringhe da tossicodipendenti)
2. Parenterale inapparente (sessuale, contatti con strumenti chirurgici
infetti)
4
Le epatiti virali possono essere classificate anche in base al carattere
clinico:
•
•
•
Epatiti autolimitantesi: sono quelle più comuni, la malattia decorre in
modo sintomatico per circa 2-4 settimane e il malato rimane itterico.
Successivamente il paziente si sente meglio gradualmente, scompaiono
tutti i sintomi del periodo itterico e la malattia si autoelimina.
Epatiti fulminanti: sono le forme più gravi, in cui l’infiammazione è così
violenta da provocare in poco tempo la distruzione quasi completa del
fegato. Può essere provocata da tutti i virus epatitici maggiori. In
passato questa forma di epatite portava morte quasi al 100% dei casi,
oggi grazie al trapianto di fegato eseguito d’urgenza ha fornito una
possibilità in più di guarigione.
Epatiti recidive: sono forme acute che sembrano procedere verso la
guarigione, ma hanno poi un ritorno di andamento acuto della malattia.
Le cause delle epatiti virali possono essere di varia natura, ma nella
maggior parte dei casi sono rappresentate da virus che hanno diverse
strutture e sono classificati in varie famiglie; questi vengono distinti in
virus epatitici maggiori e virus epatitici minori. Le più comuni forme di
epatite sono quelle causate da virus maggiori e sono: HAV, HBV, HCV,
HDV, HEV. Tra i virus minori tra i principali ricordiamo: citomegalovirus
(CMV), Virus Herpes, Virus della Rosolia, Virus di Epstein-Barr e virus
Coxsackie.
1.1 - Epatite Acuta
Malattia che guarisce in meno di 6 mesi, ma può evolvere in epatite
cronica. Il decorso clinico di un’patite acuta è caratterizzato in modo
schematico dalle seguenti fasi:
❖ Periodo di incubazione: ovvero il periodo che decorre tra il momento
dell’infezione e la comparsa dei sintomi clinici.
❖ Periodo pre-itterico (dura circa 7 giorni): è il lasso di tempo durante il
quale il paziente mostra sintomi abbastanza generici come astenia
(stanchezza generale), anoressia (inappetenza), nausea, dolori
addominali (ipocondrio dx) e febbre.
❖ Periodo itterico (dura 15-30 giorni): è il periodo durante il quale
compaiono la tipica colorazione giallastra della cute e delle mucose
(ittero) e la colorazione scura delle urine. In questo periodo le analisi del
sangue evidenziano un aumento delle transaminasi.
5
❖ Periodo della convalescenza: la malattia può evolvere in modo
favorevole e concludersi con la progressiva riduzione delle transaminasi
e la guarigione.
(in figura subittero sclerale e ittero cutaneo)
L'epatite acuta deve prima essere differenziata da altre patologie che
causano sintomi simili. I pazienti anitterici in cui si sospetta un'epatite
sulla base dei fattori di rischio, sono studiati inizialmente con il dosaggio
degli indici di epatocitonecrosi, quali transaminasi, bilirubina e fosfatasi
alcalina. Usualmente, l'epatite acuta è sospettata solo durante la fase
itterica. Così, l'epatite acuta deve essere distinta dalle altre patologie
che provocano ittero.
Le ALT sono di solito più elevate delle AST, ma i livelli assoluti sono
scarsamente correlati con la gravità clinica. I valori aumentano
precocemente nella fase pre-itterica, raggiungono un picco prima che
l'ittero diventi della massima intensità e diminuiscono lentamente
durante la fase di guarigione. La bilirubina in genere compare nelle urine
prima dell'insorgenza dell'ittero. La fosfatasi alcalina è in genere solo
moderatamente aumentata.
Se si sospetta un'epatite acuta, gli sforzi sono diretti verso
l'identificazione della sua causa. Un'anamnesi positiva per esposizione
può fornire il solo indizio di alcolismo o di epatite tossica. L'anamnesi
deve evidenziare anche l'eventuale presenza di fattori di rischio per
l'epatite virale.
6
L'epatite alcolica si sospetta in presenza di anamnesi positiva per
l'assunzione di alcol, comparsa più graduale dei sintomi e presenza di
angiomi stellati o di altri segni di assunzione cronica di alcol o di
epatopatia cronica. Inoltre, diversamente che nell'epatite virale, l'AST è
tipicamente superiore rispetto all'ALT, sebbene questa differenza di per
sé non è definente. Nei casi dubbi, la biopsia epatica solitamente
permette di distinguere l'epatopatia alcolica dall'epatite virale.
1.2- Epatite Cronica
È un’infiammazione permanente del fegato provocata dalla persistente
presenza di un agente virale nell’organismo. L’epatite cronica può
essere causata solo dai virus dell’epatite B, C e Delta. Il rischio di
cronicizzare é:
• 10% per HBV (un caso ogni 10);
• 70% per HCV (due casi su tre).
L’infiammazione cronica può produrre gravi danni da cicatrizzazione
(fibrosi), fino a distruggere la struttura e la funzione del fegato, cioè a
produrre cirrosi epatica, che può degenerare in epatocarcinoma.
Il fegato è la ghiandola più grossa del corpo umano, si trova nella
parte alta e destra dell'addome, subito sotto il diaframma. ha una
struttura basata sul «lobulo»: un gruppo di epatociti disposti attorno ad
un canale centrale dove si trovano arteria, vena, dotti linfatico e biliare.
Ogni lobulo è circondato da una «lamina limitante». Il quadro è tanto
più grave quanto più viene coinvolta la limitante e sconvolta la normale
architettura del fegato.
L’epatite cronica viene diagnosticata quando si riscontrano valori
costantemente elevati delle transaminasi per più di 6 mesi; nella
maggior parte dei casi l’epatite cronica è del tutto asintomatica infatti
spesso il riscontro avviene in modo del tutto casuale ad esempio
facendo comuni esami del sangue per motivi generici.
7
L’epatite cronica viene distinta in due tipi:
•
•
L’epatite cronica persistente: il danno epatico è modesto, scarsamente
progressivo e con il passare degli anni può anche andare incontro a
guarigione.
L’epatite cronica progressiva: il danno epatico è intenso, progressivo ed
ha scarsa tendenza a guarire in modo spontaneo.
Nei due terzi dei soggetti, l’epatite cronica si sviluppa in modo graduale,
spesso senza sintomi evidenti se non dopo la comparsa della cirrosi. Nel
terzo rimanente, si sviluppa dopo un attacco di epatite virale acuta che
perdura o ritorna.
I sintomi di solito comprendono una vaga sensazione di malessere,
inappetenza e affaticamento. Talvolta, il soggetto colpito presenta
anche febbricola e fastidio localizzato nel quadrante superiore
dell’addome. L’ittero è raro. Spesso, i primi sintomi specifici sono quelli
dell’epatopatia cronica o della cirrosi, che possono comprendere
l’ingrossamento della milza, la presenza di piccoli vasi sanguigni
ragniformi visibili sulla cute (chiamati angiomi stellati), l’arrossamento
dei palmi e l’accumulo di liquido nella cavità addominale. La disfunzione
epatica può portare a un deterioramento delle funzioni mentali, ovvero
encefalopatia epatica e a una tendenza al sanguinamento. Il
deterioramento delle funzioni cerebrali avviene a causa delle sostanze
tossiche che si accumulano nel sangue e raggiungono il cervello.
Normalmente, il fegato le rimuove dal sangue, le scompone e quindi le
elimina sotto forma di innocui sottoprodotti nella bile o nel sangue. Il
fegato danneggiato ha una minore capacità di eliminazione di queste
sostanze.
Alcuni soggetti presentano ittero, prurito, e feci grasse e maleodoranti,
dal colore chiaro. Questi sintomi insorgono perché il flusso della bile in
uscita dal fegato è bloccato.
In molti soggetti l’epatite cronica non progredisce per anni, in altri
peggiora gradualmente. La prognosi dipende in parte dal tipo di virus
che la causa.
8
9
1.3- Sintomatologia e diagnosi
I virus dell’epatite ad oggi identificati sono 5 e sono classificati con le
prime cinque lettere dell’alfabeto. Qualunque sia l’eziologia dell’epatite,
la sintomatologia si manifesta sempre allo stesso modo e quindi è
impossibile capire l’agente eziologico attraverso i sintomi che il soggetto
accusa. Al fine di riconoscere qualsiasi forma di epatopatia il medico può
eseguire tre tipi di diagnosi: diagnosi clinica, diagnosi istologica e
diagnosi strumentale.
•
•
•
Diagnosi clinica: si esegue interrogando e guardando direttamente il
malato che presenta l‘ittero. Il sospetto diagnostico clinico deve essere
poi confermato attraverso una serie di esami clinici fatti utilizzando
svariati marcatori virali, anche se già con comuni esami di laboratorio
come transaminasi ed esami emocoaugulativi è possibile diagnosticare
l’epatite.
Diagnosi istologica: si fa su un campione del tessuto epatico prelevato
tramite agobiopsi. La diagnosi di conferma dell’epatite virale è una
diagnosi fisiologica che si effettua valutando i marcatori ematici. Per
capire se si tratta di epatite A si richiedono gli anticorpi Ab IgM, per
l’epatite E si valuta se e quali sono gli anticorpi Ab IgM positivi. Per
l’epatite B la diagnosi è più complicata: servono particolari marcatori
quali gli antigeni HbsAg, HbcAg, HbeAg e gli anticorpi anti-HbsAg, antiHbcAg e anti-HbeAg. Il virus Delta è invece un virus difettivo che si
riproduce solo in presenza del virus B quindi per un malato di epatite B
vanno analizzati anche marcatori per l’epatite Delta. Per l’epatite C
invece il riscontro è quasi sempre casuale durante analisi di routine e
solo successivamente di utilizzano i marcatori specifici. A questo
proposito il test più importante è l’ELISA, un test immunoenzimatico che
viene fatto con l’ausilio dell’anti-HCV, serve per determinare la presenza
di eventuali anticorpi o antigeni nel sangue del paziente esaminato. Un
altro esame per diagnosticare l’epatite C è l’immunoblot o RIBA, un test
sviluppato come conferma al test ELISA.
Diagnosi strumentale: è una forma di diagnosi meno importante rispetto
a quella sierologica. È utilizzata per valutare la cronicizzazione della
malattia e l’evoluzione in cirrosi epatica o in tumore maligno del fegato.
10
CAPITOLO 2
Le epatiti virali
I dati relativi all’epatite, sia acuta che cronica, sono ricavati dal SEIEVA,
ovvero Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute che
dal 1985 affianca il SIMID, ovvero Sistema Informativo delle Malattie
Infettive e Diffusive. Le epatiti virali sono malattie infettive che, come
stabilito dall’attuale normativa, sono soggette a notifica obbligatoria.
Sotto sorveglianza SEIEVA ci sono tutte le epatiti virali acute, in
particolare le 5 malattie causate dai virus epatitici maggiori, quali:
epatite A (HAV), epatite B (HBV), epatite C (HCV), epatite D (o Delta)
(HDV), epatite E (HEV).
2.1- Epatite A
L’epatite A è meglio conosciuta come epatite alimentare e si trasmette
per contagio diretto con le persone o per ingestione di cibi e bevande
contaminati. Anche se in modo meno frequente la contaminazione può
avvenire anche con la balneazione in acqua infettata. L’infezione è quasi
sempre asintomatica e dopo il periodo di incubazione che va dai 15
giorni ai 2 mesi, si manifestano sintomi aspecifici come stanchezza,
nausea, inappetenza, diarrea, dolori al fegato e una leggera febbre,
dopo una settimana circa compare l’ittero. I casi gravi o atipici sono
molto rari e non evolve mai ad epatite cronica vera e propria. Secondo
le analisi di SEIEVA si è osservato che a partire dal mese di agosto 2016,
in Europa e nel nostro Paese, si è registrato un incremento dei casi di
Epatite A.
11
In Italia, nel periodo agosto 2016-luglio 2017, sono stati notificati 2.666
casi di epatite A con un incremento di quasi 14 volte rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente. Il dato caratteristico dell’attuale focolaio
epidemico è la percentuale di casi di sesso maschile (oltre l’85%) e l’alta
percentuale di MSM (men who have sex with men - uomini che fanno
sesso con gli uomini) (63,1% degli uomini). L’età mediana è di 36 anni.
Negli ultimi mesi, la curva epidemica ha evidenziato un andamento
decrescente, nonostante questo, appare evidente la necessità di
ribadire che la vaccinazione è fortemente raccomandata per gli MSM.
2.2 – Epatite B
L’epatite B è un virus molto resistente e permane nell’ambiente fino ad
una settimana. È un virus con una struttura complessa composta da un
rivestimento esterno che esprime l'antigene di superficie detto HbsAg,
contro cui viene prodotto l'anticorpo HbsAb, all'interno c’è una parte
centrale detta core contenente il DNA virale contro cui vengono
prodotti due anticorpi l'HbcAb IgM e l'HbcAb IgG. L'HbsAg è stato il
primo indice di laboratorio ad essere individuato, il suo isolamento si
ebbe nel 1963 in un paziente aborigeno australiano, da ciò deriva il suo
vecchio nome di Antigene Australia. La principale fonte di contatto del
virus dell’epatite B è il soggetto infetto e le modalità di trasmissione
sono per via parenterale, con scambio di sangue, saliva, sperma o
materno-fetale.
12
I sintomi di un soggetto affetto di epatite B sono quelli tipici ed hanno
una durata di circa 50 giorni. È possibile che il soggetto malato possa
manifestare forme cliniche di stadio più avanzato, come quelle
fulminanti, colestatiche o croniche. Il periodo di incubazione dura tra i 2
e i 6 mesi e l’evoluzione della malattia è variabile. Per contrastare
l’epatite B il modo più efficace è la prevenzione, quindi vanno individuati
i soggetti portatori e protetti coloro che entrano in contatto con essi,
quindi la vaccinazione è fortemente consigliata per i soggetti a maggior
rischio di contagio. Secondo i dati del WHO, nel mondo circa 240 milioni
di persone hanno un’infezione cronica da epatite B, definita come
positività all’antigene di superficie (HBs-Ag) per almeno 6 mesi. Il virus
dell'epatite B (HBV) è una delle principali cause di mortalità e morbilità.
Nell’articolo il Bollettino dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, una
revisione sistematica e una meta-analisi valuta l'impatto a lungo termine
dell'immunizzazione dei bambini contro l'epatite B sulla prevalenza
dell'infezione da HBV. I risultati di questo studio indicano tre conclusioni
principali: il vaccino contro l'epatite B è efficace nel prevenire l'infezione
da HBV tra i bambini e ha un impatto importante sulla prevalenza
dell'infezione da HBV oltre 15 anni dopo; l'immunizzazione universale
dei bambini, come raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), ha un impatto maggiore a livello di popolazione rispetto
all'immunizzazione mirata di bambini nati da madri con infezione da
HBV; i risultati di questa analisi, insieme ai recenti rapporti di crescente
copertura del vaccino contro l'epatite B in tutto il mondo, suggeriscono
che in un numero crescente di paesi, le nuove generazioni stanno
crescendo sempre maggiormente prive di infezione da HBV.
13
2.3 – Epatite C
È diffusa in tutto il mondo e rappresenta circa un quinto di tutti i casi di
epatite virale. Le principali fonti di contagio da virus C sono la
tossicodipendenza per via ematica, le trasfusioni, mentre con i rapporti
sessuali e tra madre-figlio la trasmissione è molto bassa. I sintomi sono
molto simili a quelli dell’epatite B con la differenza che l’epatite C ha un
alto rischio di cronicizzazione (70% cronicizzano e il 20-25% vanno in
cirrosi). Il periodo di incubazione si può protrarre dai 15 giorni ai 4 mesi
e la fase iniziale è asintomatica, i sintomi di solito si manifestano quando
la malattia ha già cronicizzato. WHO ha stimato che nel 2015, 71 milioni
persone vivevano con infezione cronica da HCV (prevalenza globale: 1%)
e che 399 000 sono morti di cirrosi o carcinoma epatocellulare (HCC).
Per l’epatite C non esiste vaccino ma esiste una terapia con antivirali
specifici che è molto costosa e non sempre può essere offerta dal SSN
come farmaco di classe A. Esistono 6 genotipi di HCV che hanno diversa
distribuzione geografica e diversa risposta alla cura.
(EPAC)
In Italia il genotipo prevalente è l'1b che infetta il 51% dei soggetti con
HCV, mentre il restante è suddiviso tra genotipo 2 (28%), 3 (9%) e 4
(4%).
14
2.4- Epatite D
È causata dal virus Delta ma affinché si manifesti è necessaria una
contemporanea o preesistente infezione da epatite B. La trasmissione
avviene attraverso scambio di sangue contaminato, rapporti sessuali o
ferimento casuale con oggetti infetti taglienti. Il periodo di incubazione,
come per l’epatite B, varia fra i 2 ai 6 mesi, ma a differenza di essa
l’epatite Delta evolve rapidamente verso forme più gravi di
cronicizzazione e con maggiore incidenza di cirrosi epatica.
2.5- Epatite E
L'epatite E è una malattia del fegato causata dal virus dell'epatite E
(HEV). L'infezione da HEV di solito si traduce in una malattia acuta
autolimitata. È diffuso nel mondo in via di sviluppo. Sebbene raro nei
paesi sviluppati, l'infezione HEV localmente acquisita può provocare
epatite acuta con tendenza a progredire verso l'epatite cronica
principalmente tra i riceventi di trapianto di organi solidi. Le
caratteristiche dell'HEV sono che mostra un profilo clinico ed
epidemiologico diverso a seconda di dove si acquisisce l'infezione,
principalmente a causa del genotipo virale. Ci sono quattro genotipi di
HEV che causano malattie negli esseri umani, ciascuno con
caratteristiche epidemiologiche e cliniche diverse. I casi di epatite E si
15
presentano tipicamente in due modi: epidemie di grandi dimensioni e
casi sporadici in aree in cui l'HEV è endemica, o come casi isolati nei
paesi sviluppati.
(Centers for Disease Control and Prevention)
Il virus dell'epatite E viene solitamente diffuso per via oro-fecale. La
fonte più comune di infezione da HEV è l'acqua potabile contaminata
fecalmente. Esiste anche la possibilità di diffusione zoonotica del virus,
ovvero può essere diffuso dagli animali. I sintomi del virus dell’HEV sono
quelli tipici anche delle altre epatiti (febbre, stanchezza, itterizia, dolore
addominale, urina scura, nausea, perdita di appetito, vomito) e non
sempre si manifestano. Quando si manifestano, essi appaiono dopo
circa 15-60 giorni dall’esposizione. La maggior parte delle persone con
epatite E guarisce completamente, il tasso complessivo di fatalità è
intorno all'1%. Per le donne incinte, l'epatite E può essere una malattia
grave con mortalità che raggiunge il 10% -30% nel terzo trimestre di
gravidanza. La mortalità è elevata anche nei soggetti sottoposti a
trapianto di organi solidi in terapia immunosoppressiva. Poiché i casi di
epatite E non sono clinicamente distinguibili da altri tipi di epatite virale
acuta, la diagnosi può essere confermata solo testando la presenza di
anticorpi contro HEV. Di solito si risolve da sola senza alcun trattamento.
La prevenzione dell'epatite E si basa principalmente su una buona igiene e
sulla disponibilità di acqua potabile pulita. Non è stato approvato nessun
vaccino dalla FDA per l'epatite E attualmente disponibile negli Stati
Uniti; tuttavia, nel 2012 è stato approvato un vaccino ricombinante per
l'uso in Cina.
16
CAPITOLO 3
Cirrosi epatica e tumore del fegato
La cirrosi epatica è una malattia cronica del fegato dovuta ad
un’infiammazione, caratterizzata da alterazioni della struttura e delle
funzioni del fegato e dalla trasformazione dell’organo in tessuto fibroso.
Una certa percentuale di casi di cirrosi epatica evolve a carcinoma del
fegato che però esiste anche senza cirrosi.
3.1- Cirrosi epatica
La cirrosi epatica è una malattia cronica estremamente diffusa nel
nostro Paese, dove si pone tra le più importanti cause di decesso e
comporta elevati costi sociali. In Italia, infatti, la cirrosi epatica figura tra
le dieci principali cause di morte nel 2003. Ciò si manifesta in maniera
ancora più evidente nelle classi di età a maggiore attività produttiva. È il
risultato comune di varie patologie epatiche quali epatiti virali, epatite
alcolica, epatite non alcolica e patologie autoimmuni e biliari epatiche. È
la conseguenza della persistenza di fenomeni di infiammazione,
rigenerazione e riparazione, che portano alla distorsione della normale
struttura dell’organo e della sua vascolarizzazione e ad una perdita
progressiva di funzione epatica.
La formazione della fibrosi fa sì che si perda la capacità del fegato di
sintetizzare una gran quantità di molecole essenziali al metabolismo di
tutto l’organismo e determina un’aumentata resistenza del flusso nella
vena porta (vena che convoglia al fegato il sangue proveniente
dall’apparato digerente) con conseguente aumento della pressione nella
stessa ed apertura di comunicazioni tra la circolazione portale e quella
sistemica.
L’ipertensione portale, ovvero l’aumento patologico della differenza di
pressione normalmente presente tra la vena porta e le vene
sovraepatiche (che escono dal fegato e portano il sangue depurato al
circolo sistemico), determina a sua volta le due principali complicanze
della cirrosi: l’ascite (lo sviluppo di liquido nella cavità addominale) e la
formazione con conseguente possibile rottura, delle varici esofagee
(una abnorme dilatazione delle vene dell’esofago).
L’insorgenza di complicanze permette di distinguere due principali
gruppi di pazienti con cirrosi epatica: quelli con cirrosi compensata e
quelli con cirrosi scompensata. I due gruppi di pazienti differiscono
profondamente per prognosi e strategie terapeutiche. Si possono
distinguere due principali gruppi di pazienti con cirrosi epatica: quelli
17
con cirrosi compensata e quelli con cirrosi scompensata. I due gruppi di
pazienti differiscono profondamente per prognosi e strategie
terapeutiche.
•
Nella cirrosi compensata è possibile effettuare una terapia
etiologica (per esempio antivirale per le cirrosi da HBV e HCV,
modificazioni dietetiche e comportamentali e di eliminazione dei
fattori di rischio per la cirrosi alcolica e così via), associata alla
prevenzione primaria delle complicanze (come l’uso di farmaci
beta-bloccanti e/o la legatura delle varici per la prevenzione del
sanguinamento da varici e la sorveglianza oncologica) e misure di
“health maintenance” basate sui fattori di rischi presenti. I
pazienti con cirrosi epatica compensata vengono sottoposti ad
un attento follow-up per lo meno semestrale, questo permette
di ridurre il rischio di scompenso della cirrosi, di trattare
precocemente le eventuali complicanze e conseguentemente
ridurne la mortalità.
•
Nella cirrosi scompensata in alcuni casi è ancora possibile una
terapia eziologica (epatopatie virali ed alcoliche), altrimenti la
strategia è quella di trattare le complicanze, prevenendone le
recidive e di individuare il momento ideale per un'eventuale
candidatura a trapianto di fegato.
Qualsiasi sia l’eziologia, Ginès et al. (1987) affermano che la storia
naturale della cirrosi epatica si può sintetizzare in alcune fasi ben
precise: danno epatico acuto; danno epatico cronico; instaurazione della
cirrosi; cirrosi epatica compensata; cirrosi epatica scompensata;
epatocarcinoma. Nella maggior parte dei casi le fasi che vanno dal
danno epatico acuto fino all’instaurarsi della cirrosi e talvolta anche lo
stesso stato di cirrosi compensata decorrono senza sintomi quindi la
diagnosi in questi casi viene posta quando: il danno acuto si presenta
con ittero; si riscontra un’infezione da virus epatitici; nello studio di una
persona con problemi di alcolismo. Nell’ambito delle diagnosi di
laboratorio le principali alterazioni dei test che permettono di rilevare la
presenza di cirrosi sono: alterazione dell’emocromo, in particolare la
riduzione del numero delle piastrine che potrebbe anche essere
associata ad una riduzione dei globuli bianchi e rossi; aumento delle γ18
globuline; incremento del valore delle transaminasi e della fosfatasi
alcalina; aumento della bilirubinemia.
Un’altra causa della cirrosi epatica può essere l’alcol che è una sostanza
tossica di per sé e per i suoi metaboliti. Il fegato rappresenta l’organo in
cui l’alcol esercita il suo maggiore effetto lesivo in quanto è la principale
sede di metabolizzazione e quindi di produzione di acetaldeide e di
radicali tossici. La definizione corrente di “patologia epatica da alcol”
comprende sia le forme acute che croniche ed è legata ad “uso
incongruo” di bevande alcoliche (quantità di alcol superiore a 20g/die
per la donna e 30 g/die per l’uomo continuativamente per almeno 5
anni). Tuttavia, poiché solo il 20-30% dei bevitori sviluppa una malattia
epatica severa, la probabile presenza di cofattori (es. infezioni virali,
sindrome metabolica, farmaci e tossici ambientali) potrebbe accelerare
la progressione della malattia.
Le condizioni acute sono riassumibili in:
• epatite alcolica
• coma etilico
• sindrome da astinenza
I quadri cronici sono rappresentati da:
• steatosi epatica e steatoepatite
• cirrosi
3.2- Carcinoma del fegato
Un’altra complicanza della cirrosi è rappresentata dallo sviluppo
dell'epatocarcinoma, il principale tipo di tumore primitivo del fegato. Il
tumore è rappresentato da cellule normali che si trasformano in cellule
atipiche che successivamente si riproducono e crescono formando una
massa in continuo accrescimento. Per i tumori del fegato, ci sono forme
benigne e maligne che hanno la potenzialità di diffondersi anche agli
altri organi. Le neoplasie del fegato possono nascere direttamente
dall'organo ed in questo caso vengono definite "primitive" oppure
arrivare al fegato come metastasi di lesioni che interessano altri organi
ed essere quindi definite "secondarie”. Tra i tumori benigni il più
frequente è l'emangioma, più rari l'adenoma e l'iperplasia nodulare
19
focale (INF). Tra le forme maligne il tumore più frequente è
l'epatocarcinoma (HCC), meno frequenti invece il colangiocarcinoma e
l'angiosarcoma (in tabella sono elencati tutti i tumori epatici).
(EPAC)
Le epatiti B e C rappresentano i principali fattori di rischio dell’HCC e
sono i responsabili di circa l’85% dei casi di quest’ultimo nel mondo, con
una prevalenza di epatite B in Africa e Asia e di epatite C in Giappone e
nel mondo occidentale. Altre cause dell’HCC sono: l’abuso di alcol;
malattie metaboliche ereditarie; sindromi metaboliche come diabete,
obesità, iperlipemia e ipertensione. La prevenzione primaria dell’HCC si
effettua attraverso la vaccinazione contro l’infezione da HBV che è
raccomandata a tutti i neonati. L’HCC essendo una delle neoplasie le cui
cause sono meglio definite, è prevenibile, almeno in teoria. È stato
osservato che in presenza di trattamenti attualmente disponibili, una
sorveglianza periodica dei pazienti con cirrosi, mediante ecografia del
fegato per l’identificazione precoce dell’HCC produce un rapporto
costo/beneficio soddisfacente. Esiste un solo studio prospettico
randomizzato condotto in pazienti cinesi con infezione cronica da HBV
che riporta dati a favore della sorveglianza semestrale con
ultrasonografia associata ad un dosaggio dell’alfa-fetoproteina (AFP)
documentando una minore mortalità da HCC nei casi sottoposti a
sorveglianza rispetto a quelli non sottoposti a tale pratica.
20
L’AFP è una proteina che viene principalmente prodotta dal fegato del
feto, la sua concentrazione è tipicamente elevata alla nascita del
bambino e diminuisce poi rapidamente. Nei bambini sani e negli adulti
non in stato di gravidanza è normalmente presente in piccolissime
quantità. Il danno epatico e alcuni tipi di tumore possono incrementare
significativamente la concentrazione di AFP che viene prodotta ogni
volta che le cellule del fegato vengono rigenerate. Nelle patologie
croniche del fegato, come le epatiti e la cirrosi, AFP è cronicamente
elevata. Concentrazioni molto alte di AFP possono essere prodotte da
certi tipi di tumore e questa caratteristica rende la proteina utile come
marcatore tumorale. Tuttavia, l’AFP non è più raccomandata come test
diagnostico per la sua bassa sensibilità soprattutto in caso di noduli più
piccoli.
I metodi che personale medico utilizza per individuare in modo preciso
la malattia sono: l’esecuzione di un’ecografia e/o di una TAC oppure di
una risonanza magnetica. La certezza diagnostica si raggiunge poi con la
biopsia epatica analizzando una campione di tessuto prelevato dalle
pareti del fegato. Grazie quindi a tutte le tecniche diagnostiche possibili
oggi un tumore del fegato è possibile individuarlo quando è ancora in
fase iniziale di sviluppo e ciò permette la scelta tra diverse opzioni
terapeutiche: due di queste, ovvero il trapianto del fegato e la resezione
chirurgica epatica, sono considerate trattamenti curativi.
•
Il trapianto del fegato può curare radicalmente il tumore con una
sopravvivenza del 70% a 5 anni dall’intervento. Tuttavia, questa
opzione terapeutica è limitata dalla scarsità dei donatori e da
controindicazioni specifiche come età avanzata e comorbidità. I
risultati migliori in termini di sopravvivenza dopo trapianto di
fegato si ottengono nei pazienti che rientrano nei “Criteri di
Milano”, ovvero nodulo singolo ≤ 5 cm o noduli multipli di
numero non superiore a 3 e di diametro ≤ 3 cm. I pazienti che
rispettano questi criteri vengono valutati da un Centro Trapianti
di Fegato ed inseriti in lista d’attesa se considerati idonei. In
molti Centri questi pazienti in lista d’attesa vengono sottoposti a
trattamenti per evitare la progressione tumorale.
•
Se si esegue invece la resezione epatica ovvero un intervento
chirurgico che prevede la rimozione di una parte di fegato,
questa può essere gravata dall’alto rischio di ricomparsa di altri
tumori nel fegato rimanente e dalla comparsa di complicanze
della cirrosi stessa.
21
Oltre questi due trattamenti esistono anche altri tipi di cure che
vengono applicate in base alle dimensioni del tumore del fegato.
Esiste anche un indice prognostico, ovvero il “Child Pugh score”
(punteggio minimo 5, massimo 15), che contempla tre diverse classi di
pazienti: A (5, 6 punti), B (7 - 9 punti), C (10 - 15 punti) a ciascuna delle
quali è associata una prognosi più o meno favorevole. I punteggi per
ciascuna classe sono calcolabili facendo la somma dei singoli punteggi
associati ai valori o al grado di ognuno dei parametri presi in
considerazione.
22
3.3- Tassi di mortalità cirrosi epatica e carcinoma del fegato
L’ISTAT rileva tutti i decessi che si verificano in Italia facendo riferimento
alla popolazione complessiva presente. La rilevazione della causa di
morte avviene tramite la raccolta, il controllo e la codifica dei modelli:
ISTAT/D4 e ISTAT/D5 che sono schede di certificazione di morte
rispettivamente per maschi e femmine oltre il primo anno di vita;
ISTAT/D4-bis e ISTAT/D5-bis che sono le schede di morte
rispettivamente per maschi e femmine entro il primo anno di vita.
Questi modelli riportano informazioni di carattere demografico e sociale
e notizie relative al decesso che sono fornite dal medico curante.
Tramite le notizie riportate sulla scheda di morte e secondo le regole di
codifica fornite dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) si può
risalire alla causa iniziale del decesso, che per convenzione viene
associata alla causa di morte, e gli viene attribuita un codice. La codifica
della causa di morte viene effettuata presso l’ISTAT da personale
esperto che attribuisce il codice previsto dalla Classificazione
Internazionale delle Malattie e cause di morte. Questo sistema di
codifica e classificazione è stato soggetto a varie revisioni nel tempo,
attualmente è in vigore l’ICD-10, ma nell’anno in corso è stata già
pubblicata un’anteprima dell’ICD-11 che sarà presentata all’Assemblea
mondiale della sanità nel Maggio 2019 per l’adozione da parte degli
Stati membri ed entrerà in vigore il 1° Gennaio 2022.
Per quanto riguarda la cirrosi epatica non si è a conoscenza di indagini
epidemiologiche rappresentative della popolazione generale che può
fornire misure di frequenza su base nazionale, l’unica fonte che copre
un ampio arco temporale è rappresentata dalle statistiche rese
disponibili dall’ISTAT. Questi tassi di mortalità per cirrosi sono
ampiamente utilizzati per descrivere la frequenza di questa malattia e
per analizzare la sua distribuzione geografica e il suo andamento
temporale. Si sono osservati misure di frequenza apparentemente
contrastanti: il tasso di incidenza fornisce una stima della probabilità o
rischio che un individuo sviluppi una malattia durante uno specifico
periodo di tempo) è calato progressivamente nel tempo, e ciò è dovuto
alla diminuzione di nuovi casi all’anno di epatite B e C; il tasso di
prevalenza ( (il numero dei casi in una popolazione definita in uno
specifico momento di tempo) è cresciuto nel tempo e questo perché un
soggetto affetto da cirrosi ne soffre per un tempo più lungo grazie alle
cure attualmente presenti, quindi la prevalenza di una malattia non
dipende solo dalla sua incidenza, ma anche dalla sua durata. In Italia ci
sono sempre meno persone che si ammalano di cirrosi epatica, ma allo
stesso tempo la loro sopravvivenza è aumentata nel corso degli anni.
23
Per quanto riguarda invece l’epatocarcinoma le fonti a disposizione per
l’epidemiologia sono rappresentate dalle statistiche di mortalità rese
disponibili dall’ISTAT e dai dati rilevati e sistematicamente pubblicati nei
Registri Tumori. Per quanto riguarda l’ISTAT abbiamo che
l’epatocarcinoma cellulare viene classificato, nelle schede di morte,
sotto due diverse categorie: la prima corrisponde ai tumori primitivi e la
seconda a quelli non specificati se primitivi o secondari. I casi incidenti
rilevati dai Registri Tumori, invece, sono distinti per i tumori epatici
primitivi e secondari. In Italia ci sono attualmente 10 registri generali su
base di popolazione, ma non sono disponibili dati sulla prevalenza
dell’epatocarcinoma.
Sono stati effettuati due studi (Simonetti et al. 1992; Stroffolini et al.
(1992) caso-controllo per stabilire il rischio relativo tra marcatori di
infezione cronica virale (HbsAg e Anti-HCV) ed epatocarcinoma.
Sono risultati entrambi fattori di rischio fortemente associati
all’epatocarcinoma ma in maniera indipendente. Nello studio condotto
da Simonetti et al. (1992) hanno utilizzato un gruppo controllo di
soggetti affetti solo da cirrosi epatica, ed hanno notato che sia l’HbsAg
che l’anti-HCV raddoppiano il rischio di sviluppare l’epatocarcinoma.
Stroffolini et al (1992) hanno stimato la quota di epatocarcinoma nella
popolazione italiana attribuite al virus B e al virus C e hanno visto che
l’incidenza dell’epatocarcinoma si ridurrebbe, nella popolazione italiana,
del 20% se si potesse eliminare la circolazione del virus B e del 44% se si
potesse eliminare la presenza del virus C. In Italia l’80-90% dei casi di
epatocarcinoma sono associati alla presenza di cirrosi epatica che è uno
dei principali fattori di rischio per il suo sviluppo.
24
CAPITOLO 4
Epatite C: conoscere l’HCV per curarla
4.1- Il virus HCV
L’HCV è un virus che è stato scoperto nel 1989 in seguito alla
somministrazione di test sierologici per la diagnosi dell’infezione e che
ha permesso di comprendere come esso fosse il principale responsabile
dell’epatite. Il proseguimento degli studi sul virus dell’epatite ha
condotto i ricercatori a comprendere la composizione del suo genoma e
ad individuare in esso una catena singola di RNA a polarità positiva, della
lunghezza di circa 10000 basi, con un’unica ORF (open reading frame)
che esprime una poliproteina. L’analisi di quest’ultima ha poi reso
evidente il legame del virus con gli altri virus delle epatiti A, B, D ed E, e
la sua parentela con i flavivirus, appartenenti tutti alla classe dei “virus
epatitici. Però sebbene il genoma dell’HCV presenta alcune
caratteristiche che rassomigliano ai flavivirus, ne possiede altre che
sembrano più simili ai pestivirus, i quali non richiedono alcun vettore,
inducono sia infezioni acute che croniche e possono determinare lo
stato di portatore asintomatico. Per quanto riguarda le analogie
dell’organizzazione genomica dell’HCV con quella dei flavivirus è che in
entrambi è ben visibile una catena singola di RNA a polarità positiva che
inizia in posizione 5' terminale con una regione non codificante, seguita
da un’unica sequenza di lettura che termina in prossimità della
posizione 3' finale. Sono state però individuate anche delle differenze,
scoprendo che il genoma dell’HCV appare più corto rispetto ai flavivirus
ed ai pestivirus e che mentre l’HCV ha la capacità di codificare solo 3011
aminoacidi, gli altri virus codificano poliproteine di 3411 e 3898
aminoacidi rispettivamente. Sulla base dell’analisi di sequenza gli isolati
di HCV possono essere classificati in 6 genotipi, indicati con i numeri
arabi, i quali differiscono tra loro del 30-35%, e numerosi sottotipi,
indicati con le lettere dell’alfabeto, che differiscono del 20-25%.
25
Il virione presenta una morfologia sferoidale con diametro di 50-80 nm.
È composto da un nucleocapside a simmetria icosaedrica, costituito
dalla proteina core e dal genoma virale, e da un involucro pericapsidico,
ovvero un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare in cui sono
inserite le glicoproteine virali E1 ed E2.
Il virus circola nel sangue di pazienti infetti sotto 3 forme: virioni
associati a LDL/VLDL (low density lipoproteins/ very low density
lipoproteins), virioni associati a immunoglobuline e virioni liberi
(Moradpour et al., 2007). Le principali cellule bersaglio del virus sono
rappresentate dagli epatociti seppure sia possibile anche l’infezione di
altri tipi cellulari. Il primo evento necessario perché si realizzi l’infezione
è il contatto tra virus e cellula; successivamente, un legame specifico tra
le glicoproteine di superficie e i recettori cellulari consente l’ingresso del
virus mediante endocitosi mediata da recettore. Ad indurre l’endocitosi
sono la Claudina e l’Occludina 1 che sono corecettori che si trovano
nelle proteine delle giunzioni strette.
26
Dopo l’ingresso mediato da recettore transita in un comparto
endosomico a basso pH (Blanchard et al., 2006). L’abbassamento di pH
all’interno delle vescicole promuove un cambiamento conformazionale
delle glicoproteine E1 e E2, con conseguente esposizione di una regione
idrofobica di E2 che rappresenta il peptide di fusione; questo peptide,
entrando nella membrana della vescicola endocitica, promuove la
fusione delle membrane cellulare e virale e l’uscita del nucleocapside
nel citoplasma. In seguito alla scapsidazione, ha inizio la traduzione del
genoma virale. L’RNA genomico (HCV RNA) si comporta come un mRNA
policistronico e viene direttamente tradotto in una poliproteina che
viene processata da proteasi cellulari e virali. L’enzima chiave della
replicazione è l’RNA-polimerasi-RNA dipendente virus-specifica, che
avvia la sintesi di un filamento di RNA antigenomico, utilizzando come
stampo il genoma virale. La successiva produzione delle nuove particelle
virali viene attivata dall’interazione dei monomeri di proteina core con i
genomi neosintetizzati e porta alla formazione dei nucleocapsidi; ciò
avviene in regioni del reticolo endoplasmatico in cui è presente
un’elevata concentrazione di goccioline lipidiche. Le particelle virali di
nuova sintesi acquisiscono l’involucro esterno dal reticolo
endoplasmatico della cellula ospite, dove vengono inserite le
glicoproteine E1 ed E2; il passaggio nell’apparato di Golgi consente la
maturazione finale della particella virale con la glicosilazione di E1 e E2.
Il virione esce poi dalla cellula per esocitosi.
4.2 – Diagnosi e trattamenti del virus HCV
L’epatite C è causata dall’agente infettivo Hepacavirus (Hcv),
appartenente alla famiglia dei Flaviviridae, che genera i sintomi iniziali,
quali affaticamento, inappetenza, nausea, vomito, febbre, dolori
addominali, urine scure, incremento dei valori di transaminasi e ittero,
assai raramente, può degenerare in un decorso fulminante fatale o
dirigersi verso la cronicizzazione (decorsi 6 mesi dal contagio). In diversi
casi, i sintomi iniziali non sono evidenti, tanto da non essere percepiti da
chi ha già contratto il virus HCV. Sarà in seguito alla cronicizzazione
dell’infezione che esso accuserà i segni della fatica e dell’astenia o di un
persistente malessere generale che, in casi gravi, potrà tradursi in
complicanze cliniche epatiche o causare l’insorgenza di tumori. La
cronicità della malattia può trasformare, inoltre, il danno epatico in
cirrosi epatica o in un carcinoma epatocellulare (o HCC), il quale può
insorgere anche con l’assunzione cronica di alcol, con un grado di
infiammazione o con fibrosi che sono rilevati alla biopsia epatica, in
27
presenza di età avanzata al momento del contagio o di co-infezioni con
virus HIV o dell’epatite B (HBV).
storia naturale dell’infezione (Adapted from Asselah et al., 2008)
Il virus dell’epatite C viene trasmesso prevalentemente tramite
esposizione a sangue infetto. In passato la principale modalità di
trasmissione era rappresentata dalle trasfusioni di sangue e dagli
emoderivati provenienti da donatori infetti; oggi grazie allo screening
sierologico e molecolare dei marcatori di HCV nei donatori, tale rischio si
è notevolmente ridotto nei Paesi industrializzati mentre rimane ancora
un problema in Africa e in Asia. Altra modalità di trasmissione è
rappresentata dall’assunzione di droghe per via parenterale con
scambio di siringhe infette. La trasmissione sessuale è rara. Un peso
considerevole nella trasmissione di HCV è rappresentato dalla via
parenterale inapparente.
Dopo aver differenziato le varie tipologie e i vari gradi dell’infezione
vediamo quali sono i vari tipi di diagnosi che si possono effettuare per il
virus dell’HCV.
Il primo approccio per lo screening e per la diagnosi di infezione da HCV
è rappresentato dalla ricerca di anticorpi specifici nei confronti di
antigeni dell’HCV mediante saggi immunoenzimatici (ELISA). Il test per
anticorpi (Ab) anti-HCV è in grado di evidenziare una positività da 5 a 8
settimane dopo l’infezione primaria.
In passato si ricorreva alla biopsia epatica, una tecnica invasiva che
permetteva di individuare le diverse malattie del fegato prelevando con
un ago un frammento di tessuto epatico che veniva poi osservato al
28
microscopio. Oggi questa tecnica è eseguita in day hospital ed è però
utilizzata solo in alcuni casi.
È possibile anche ricorrere ad un ulteriore analisi dei livelli delle
transaminasi sieriche che permettono di comprendere lo stato
dell’infiammazione del fegato ed accertare la presenza e la valenza del
virus. L’accertamento di valori di transaminasi anormali può avvenire
mediante tecniche di screening di laboratorio.
Un’altra metodologia d’analisi utilizzata è il Fibroscan, ovvero
un’accurata indagine che permette di valutare l’elasticità dell’organo
epatico considerandolo come espressione dello stato di fibrosi indotto
dall’infezione virale. L’apparecchio è costituito da una sonda ad
ultrasuoni montata su un sistema vibrante ed è simile ad un comune
ecografo. La sonda del Fibroscan viene applicata sulla cute del costato a
destra: l’impulso che genera determina la propagazione di un’onda
elastica attraverso il fegato, la cui velocità, misurata per mezzo degli
ultrasuoni, è direttamente correlata alla sua rigidità che è a sua volta
dipendente dalla quantità di fibrosi.
29
Prima dell’utilizzo di questo apparecchio si poteva ottenere questa
informazione solo tramite biopsia.
Oltre questi tipi di diagnosi abbiamo anche la genotipizzazione virale
ovvero un esame che consente di stabilire il genotipo ed anche il
sottotipo di virus che ha causato l’eventuale infezione. L’esecuzione di
questo test è molto importante per poter definire la terapia antivirale
più idonea al caso singolo.
Una volta giunti alla diagnosi si procede all’identificazione di una terapia
adatta alla problematica riscontrata. I trattamenti classici valorizzano la
terapia farmacologica che sfrutta la combinazione dei principi attivi
presenti in diversi farmaci. La prima terapia risale al 1996 con
l’approvazione dell’interferone da parte della FDA e successivamente è
stata permessa la combinazione di farmaci mediante la Ribavirina
ovvero un principio attivo ad iniezione che va somministrato 3 volte a
settimana. L’interferone combinato alla Ribavirina ha fornito un
trattamento la cui durata dipende dalla carica virale e dagli esiti dell’HCV
RNA in corso di terapia. In base al diverso genotipo variano anche le
probabilità di guarigione, che hanno percentuali differenti: 45-55% per i
pazienti con genotipo 1; 60-80% per i pazienti con genotipo 2-3. La
percentuale però si abbassa nei casi di infezione cronica degenerata in
cirrosi, ovvero 33% per i pazienti con genotipo 1 e 4, 57% per i pazienti
con genotipo 2 e 3.
Questa terapia è stata migliorata nel 2001 con l’introduzione
dell’interferone Peghilato associato alla Ribavirina. Questa
combinazione ha permesso di ottenere risultati positivi grazie al fatto
che l’inserimento di una catena polietilenglicole (PEG) allunga l’emivita
del farmaco riducendone la somministrazione ad una sola dose.
Recentemente però sono stati introdotti nella pratica clinica due farmaci
antivirali diretti, Boceprevier e Telaprevier, inibitori della proteasi
NS3/4A. In entrambi i casi, gli studi hanno rivelato un significativo
incremento della probabilità di eliminare il virus in pazienti con
infezione da HCV genotipo 1. Entrambi i farmaci però vengono
somministrati in triplice terapia con PEG-IFN e RBV. Questa triplice
terapia risulta più efficace nei pazienti difficili da trattare, ovvero
soggetti che hanno avuto una ricaduta dopo una risposta iniziale o che
non hanno proprio risposto ad un primo trattamento (Asselah et al.,
2011). Un altro farmaco che ha dato risultati promettenti è stato il
Sofosbuvir, un inibitore della polimerasi virale (Gane et al., 2013).
Questo farmaco viene somministrato via orale in combinazione solo con
la Ribavirina ottenendo però risultati molto simili a quelli ottenuti con la
30
triplice terapia e quindi aprendo la strada verso nuovi scenari terapeutici
interferon-free. Non è attualmente disponibile un vaccino in grado di
prevenire l’infezione da HCV nell’uomo.
4.3- Aspetti epidemiologici in Italia
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa 170 milioni
di persone siano infette da HCV, ovvero circa il 3% della popolazione
mondiale. La prevalenza e l’incidenza da HCV differiscono in modo
significativo nelle diverse aree geografiche; la differente circolazione del
virus è sicuramente associata alle condizioni igienico-sanitarie e sociodemografiche, che possono modificare l’efficienza delle vie di contagio.
31
Nel mondo, ogni anno muoiono dalle 350 mila alle 500 mila persone per
malattie al fegato correlate all’epatite C ed il dato è registrato
soprattutto nelle regioni dell’Asia centrale e orientale e del Nord Africa.
Ciò è spiegato dal fatto che, l’epidemia di epatite C si concentra
soprattutto in alcune popolazioni a rischio, tra le quali l’insorgenza di
forme virali è maggiore rispetto ai Paesi Occidentali. L’incidenza delle
infezioni ha registrato un calo di valori negli ultimi 20 anni, grazie anche
all’implemento dei sistemi di controllo delle trasfusioni e al
miglioramento delle condizioni igienico sanitarie in diverse zone.
In Italia la prevalenza dell’infezione è fortemente correlata con l’età e
mostra un gradiente geografico dal Nord al Sud Italia, raggiungendo
picchi particolarmente elevati in soggetti di età avanzata nel Meridione
(oltre il 30% in soggetti di età superiore ai 60 anni).
L’infezione cronica colpisce maggiormente la popolazione
ultrasessantenne, sebbene, rispetto al resto del mondo, in Italia, la
contrazione dell’infezione è maggiore nei soggetti più giovani. Secondo
il Sistema Epidemiologico Integrato Epatiti Virali Acute (SEIEVA)
operante presso l’Istituto Superiore di Sanità, sul territorio nazionale è
stata registrata una maggior frequenza dell’infezione al Sud-Centro
(dove la prevalenza è dello 0,7% rispetto al Nord) e nei maschi rispetto
alle femmine.
In ambito epidemiologico, in 77 Paesi è stato registrato un alto tasso
(che va dal 60 all’80%) di infezione da epatite C legata all’uso di
sostanze stupefacenti, tanto da indurre a ritenere che 10 milioni di
consumatori di droghe per via iniettiva sia affetto dal virus HCV. Questo
presunto dato è confermato dalle stime mondiali che registrano un’alta
correlazione tra l’insorgenza dell’infezione e l’assunzione delle sostanze
stupefacenti. Basti osservare i 1,6 milioni di casi in Cina, i 1,5 milioni
negli Stati Uniti (soprattutto tra i detenuti) e i 1,3 milioni in Russia.
Secondo i dati trasmessi da un report dell’ECDC, il Centro Europeo per la
Prevenzione e il Controllo sulle malattie la diffusione dell’infezione da
epatite C (HCV) nella popolazione generale dell’Unione Europea (EU),
sarebbero oltre 10 milioni gli europei affetti da questa malattia, però
questi dati mostrano solo una parte della reale situazione in quanto le
13 infezioni croniche sono in genere asintomatiche e meno evidenti.
L’allarme ha indotto l’attivazione di Piani di azione che si concentrano:
sulla prevenzione delle nuove infezioni, sulla sensibilizzazione dei
cittadini e degli operatori sanitari, sull’incremento della diagnosi e sul
potenziamento della diffusione dei trattamenti e delle cure.
32
4.4- La situazione nella regione Campania
I nuovi farmaci ad azione antivirale diretta offrono una possibilità di
guarigione di oltre il 95%. Ad oggi in Italia sono stati curati più di 48.000
pazienti, di questi oltre 6.000 solo in Campania in 25 centri di
competenza autorizzati.
In Campania l’epatite C ha un’alta prevalenza (dichiara Massimiliano
Conforti, Vice Presidente Associazione EpaC Onlus). La Regione è ai
primi posti in Italia con oltre 30.000 casi diagnosticati, in base ad una
ricerca condotta nel 2015, e risulta la seconda regione d'Italia, dopo la
Lombardia, in quanto a pazienti in trattamento, oltre a un numero
ancora non ben definito di persone che ignorano di avere l’infezione.
Nonostante le stime che la collochino a primi posti in Italia per
prevalenza di infezioni, si è dimostrata leader anche in organizzazione e
gestione della patologia.
Grazie all’impiego delle nuove terapie e l’impegno dei clinici e delle
istituzioni, negli ultimi tre anni sono stati guariti dall’infezione 97.300
pazienti in Italia, di cui quasi 13.000 in Campania. Le percentuali di
successo grazie ai nuovi regimi terapeutici per la cura della epatite C,
raggiunge il 98%.
Il 2017 è stato un anno segnato da alcuni momenti cruciali per il
contrasto all’epatite C in Italia: il ventaglio terapeutico del clinico si è
arricchito di tre nuovi farmaci antivirali ad azione diretta e AIFA ha
esteso i criteri di rimborsabilità dei trattamenti, rendendo di fatto le
cure accessibili a tutti i pazienti. A fronte di questi importanti
cambiamenti però l’obiettivo di eliminare l’infezione da virus HCV,
curando 80.000 pazienti l’anno nel triennio 2017-2019, appare ancora
lontano. Solo un paziente su due in Italia è stato avviato alle cure e lo
33
stesso Fondo per i farmaci innovativi spesso non viene utilizzato a
sufficienza dalle Regioni, infatti in troppe Regioni manca ancora un PDTA
(percorso diagnostico terapeutico assistenziale) condiviso e mancano
all’appello decine di strutture autorizzate alla prescrizione e
distribuzione degli antivirali.
Tra le Regioni che possono vantare la realizzazione di un PDTA compare
la Campania, nella quale clinici e decisori si sono attivati sin dal 2015 per
creare una rete capillare in grado di promuovere il trattamento
tempestivo dei pazienti affetti da HCV.
Gli elementi chiave della governance messa a punto dalla Regione
Campania sono i seguenti:
•
•
•
•
•
Collaborazione
inter-istituzionale
e
centralità
della
Commissione clinica: il Servizio della Politica del Farmaco e
Dispositivi della Direzione Generale della Tutela della Salute e
Coordinamento del SSR ha conferito un chiaro mandato ad un
Gruppo di lavoro ristretto (cfr. Commissione clinica)
rappresentato da clinici attinenti ai maggiori centri di epatologia
della Regione Campania.
Assenza di barriere organizzative: i centri autorizzati in rete alla
diagnosi e al trattamento (Centri prescrittori) sono 25 sin dal
Decreto n. 20 del 2015, ciò ha consentito al paziente di essere
indirizzato
all’occorrenza
verso
centri
a
maggiore
specializzazione e all’innovazione farmaceutica di arrivare in
maniera capillare sul territorio senza arrecare disagio al paziente.
Sostegno all’innovazione farmaceutica: Il gruppo di lavoro
ristretto si è tempestivamente riunito a seguito dell’ammissione
a rimborsabilità da parte di AIFA di ogni nuovo DAA (farmaci
antivirali ad azione diretta), al fine di aggiornare il PDTA e di
favorire il procurement del farmaco da parte del soggetto
aggregatore, garantendo un sistema concorrenziale.
Pianificazione dei trattamenti e monitoraggio delle
assegnazioni: il tavolo tecnico ha richiesto periodicamente alle
Direzioni generali la stima del fabbisogno di trattamenti previsti
presso il Centro prescrittore e restituito agli stessi il
monitoraggio dei trattamenti residui tramite la Piattaforma
Saniarp.
Coinvolgimento dell’associazione dei pazienti EpaC, che ha
implementato iniziative di sensibilizzazione della popolazione.
34
•
Coinvolgimento della Medicina di base, tramite la creazione di
una piattaforma on-line che consentirà al medico di effettuare il
primo referral del paziente con nuova diagnosi di epatite C o con
diagnosi già nota.
I risultati anche economici di questa governance sono confermati dai
dati relativi a ottobre 2017 del monitoraggio periodico effettuato da
AIFA della spesa tracciata per i farmaci coperti dai fondi per gli
innovativi non oncologici, che mostra una differenza fra spesa tracciata
e payback fortemente diminuita a livello Italia e quasi appianata per la
Regione Campania.
4.5- La legge di stabilità del 27 Dicembre 2017
L’esigenza di rendicontare la prescrizione dei farmaci innovativi e la loro
utilità ha spinto gli addetti ai lavori a puntare sulla sostenibilità, in modo
da ammortizzare i costi elevati e garantire un’efficiente erogazione del
trattamento. A supporto dei pazienti affetti di HCV, infatti, l’AIFA ha
stipulato degli accordi con le aziende farmaceutiche, riuscendo a ridurre
i costi da sostenere per l’utilizzo dei nuovi farmaci antivirali ad azione
diretta. Anche l’Assessorato della Salute ha voluto dare il proprio
contributo, sensibilizzando le Aziende Sanitarie ed i Centri prescrittori.
Ciò conferma che l’introduzione dei farmaci innovativi HCV rappresenta
un investimento sostenibile per la salute e per le risorse del SSN, da
riservare a quei regimi terapeutici innovativi che offrono percentuali di
efficacia così alti da consentire al sistema sanitario di ammortizzare la
spesa grazie ai risparmi indotti, ad esempio, dalla riduzione degli eventi
HCV correlati (cirrosi, epatocarcinoma, trapianti ) ma anche risparmi
indiretti (i costi sostenuti dal sistema previdenziale per pensioni ed
assegni di reversibilità o invalidità). Un ulteriore contributo diretto alla
sostenibilità dei farmaci innovativi è stato apportato dalla Legge di
stabilità del 2017, la quale ha previsto 500 milioni annui per il triennio
2017-2019, da destinare ai farmaci oncologici innovativi e 500 milioni
annui per il triennio 2017-2019 per il trattamento innovativo dell’epatite
C. Grazie a questi fondi, in Italia, sono state attivate ben 70 mila terapie
a fronte dei 200 mila pazienti affetti da HCV e si prevede di riuscire a
curare i restanti casi ancora non sottoposti al trattamento
sovvenzionato. I soldi stanziati dalla Legge di stabilità sono sfruttabili
non solo per la cura dell’epatite C, ma anche delle malattie oncologiche,
estendendo il trattamento su un più ampio raggio.
35
Considerazioni finali
Le strategie sanitarie internazionali dimostrano sempre di più come la
comunicazione sia uno strumento importante per la qualità del servizio.
In ambito sanitario e in medicina del lavoro, sono numerosi i riflessi
sociali, economici, produttivi e di sanità correlati alla corretta o
imperfetta gestione delle procedure di comunicazione.
In Italia si stima che i pazienti portatori cronici del virus HCV siano oltre
un milione, di cui 330.000 con cirrosi. L’Italia ha il triste primato in
Europa per numero di soggetti HCV positivi e mortalità per tumore
primitivo del fegato. Oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per
malattie croniche del fegato e, nel 65% dei casi, l’Epatite C risulta causa
unica o con causa dei danni epatici. Le regioni del Sud sono le più
colpite: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione
ultrasettantenne la prevalenza dell’HCV supera il 20%.
È stato istituito quindi un Piano Nazionale per la Prevenzione delle
Epatiti Virali (PNEV) che è un documento intransigente le cui finalità
sono quelle di affrontare efficacemente i temi della prevenzione e cura
delle epatiti virali in Italia.
Uno degli obiettivi primari del PNEV è quello di porre le basi per un
accesso alle cure per le epatiti virali, che:
- sia uniforme su tutto il territorio italiano,
- sia finalizzato alla salvaguardia della equità e della qualità che il SSN ha
sempre garantito,
- alla luce delle recenti acquisizioni in termini di terapie innovative
contro l’HCV, assicuri a tutti i pazienti l’accesso alle nuove terapie, per le
quali in fase di ricerca clinica sono stati documentati tassi di guarigione
più elevati rispetto alle terapie disponibili in passato.
Nella nostra regione, la Campania, la mortalità per cirrosi epatica e per
epatocarcinoma è più alta rispetto alla media nazionale. L’obiettivo è
quello di creare sempre maggiori interazioni tra specialisti per spingere
quanti più soggetti possibile ad effettuare i test e far emergere la
malattia. Grazie all’impiego delle nuove terapie e l’impegno dei clinici e
delle istituzioni, negli ultimi tre anni sono stati guariti dall’infezione
97.300 pazienti in Italia, di cui quasi 13.000 in Campania. Le percentuali
di successo, grazie ai nuovi regimi terapeutici per la cura della epatite C,
raggiunge il 98%.
36
Quindi grazie ai successi dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta e i
fondi stanziati con la legge di stabilità del 2017, la quale ha permesso di
diffondere la cura a tutti i malati, l’obiettivo dell’OMS di eradicare il
virus dell’epatite C entro il 2030 non è più solo un miraggio.
BIBLIOGRAFIA
AIOM; Linee guida epatocarcinoma. Ed 2017 (27.10.2017)
Asselah T and Marcellin P. New direct-acting antivirals‟ combination for
the treatment of chronic hepatitis C. Liver Int 2011; 68-77
Azienda ospedaliera San Gerardo; Programma cirrosi Epatica.
Bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità 2018; 96: 443-443A.
Hans-Olov Adami, David Hunter, Dimitrios Trichopoulos; Textbook of
Cancer Epidemiology V.33 (2002)
S.Barbuti, G.M. Fara, G.Giammanco; Igiene-medicina preventiva-sanità
pubblica. Edises
World Health Organization. Guidelines for the care and treatment of
person diagnosed with chronic hepatitis C virus infection (July 2018)
SITI WEB
www.Epac.it
www.istat.it
www.cdc.gov
www.epicentro.iss.it
www.old.iss.it
www.webaisf.org
37