spiritualità Alejandro Jodorowsky I VANGELI PER GUARIRE Lo straordinario potere del mito cristiano OSC9.K910\ n1DORi di Alejandro Jodorowsky Alejandro Jodorowsky nella collezione Oscar Il dito e la luna Il passo dell'oca I Vangeli per guarire nella collezione Varia con Milo Manara I Borgia - vol. I I Borgia - vol. II I VANGELI PER GUARIRE Lo straordinario potere dei mito cristiano Traduzione di Antonio Bertoli OSCARMOIDADORI Copyright © Alejandro Jodorowsky, 1996 Titolo originale dell'opera: Los Evangelios para sanar © 2003 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione Ingrandimenti aprile 2003 I edizione Oscar va ri a 2004 I edizione Oscar spiritualità gennaio 2009 ISBN 978-88-04-58848-1 Questo volume è stato stampato presso Mondadori Printing S.p.A. Stabilimento NSM - Cles (TN) Stampato in Italia. Printed in Italy Anno 2010 - Ristampa Q 10 Il 12 13 (www.Iibrimoncaciori.it I Vangeli per guarire Introduzione Il testo che compone questo libro proviene da un ciclo di conferenze tenute da Alejandro Jodorowsky all'Università di Jussieu di Parigi, sbobinate da Layla Bess e riviste integralmente da Antonio Bertoli dopo un lungo confronto con l'autore. All'inizio, quando ho cominciato a leggere i Tarocchi, mi concentravo sui problemi di chi mi consultava e consideravo certe malattie come entità autonome. Poco alla volta mi sono invece reso conto che ogni problema aveva la sua origine nel parto: il modo in cui si viene messi al mondo influisce infatti sul destino personale ire maniera determinante. Più tardi ho però capito che studiare il parto non bastava: occorreva sapere come era stata la permanenza nel ventre materno. La gestazione forse non era quel paradiso di cui si parla, anzi, poteva addirittura costituire, in sé, un inferno. Possedere un proprio posto nel mondo è una sensazione strettamente legata al luogo che si occupa durante i nove mesi prenatali. Per capire meglio questo periodo mi è sembrato quindi necessario conoscere la vita de ll a madre e il modo in cui essa aveva percepito il padre del suo bambino. Ciò presupponeva un esame dell'ambiente in cui aveva vissuto quella donna, un esame dei suoi genitori e dei suoi nonni, oltre a uno studio dei genitori e dei nonni dell'uomo con cui aveva generato. Ho chiamato questo studio «psicogenealogia». In primo luogo, ho posto l'accento sull'aspetto psicologico dell'albero genealogico, dato che mi è parso subito evidente che tale albero era alla base di qualunque nevrosi, ossessione, cancro, tubercolosi, mania ecc. Ciascuno eredita una marcata impronta psicologica che pesa sù di lui come una trappola, finché non ne è consapevole. Ho visto, per esempio, un albero genealogico nel quale l'uomo non esisteva per tre o quattro generazioni: ogni volta che il primogenito arrivava all'età di otto anni, il padre moriva e il bambino si trasformava nel «marito» di sua madre. In questa famiglia, quindi, i maschi erano considerati un disturbo: una situazione del genere delinea strane configurazioni in chi la sperimenta. In seguito mi sono accorto che anche gli aspetti culturali, economici e politici dell'albero genealogico avevano un ruolo importante. Conoscere il livello culturale della famiglia nel corso di varie generazioni, sapere se una professione si è trasmessa di padre in figlio, osservare l'impatto delle guerre nella storia familiare, l'incidenza di nazionalità, radici sociali, religioni ecc., forniva dati interessanti e indispensabili per capire l'influenza dell'albero genealogico su un essere umano. Ho conosciuto una persona il cui padre era musulmano e la madre ebrea. Entrambi i genitori avevano ripudiato le proprie origini, e di conseguenza il figlio era carente di cultura, di nazionalità e di radici. Non c re do che sia indispensabile legarsi a una determinata nazionalità o a determinate radici: sono per quella libertà simboleggiata perfettamente da un personaggio dei Tarocchi, Il Matto. Ma per approdare a tale libertà è in ogni caso necessario aver conosciuto e onorato le proprie radici: se non si sa da dove si viene, non si può sapere dove si va. Tagliare i ponti con il passato non significa ignorare le nostre origini, e conoscere le nostre origini non significa legarsi a esse. Così ha assunto via via sempre maggiore importanza l'aspetto sociologico dell'albero genealogico. Non possiamo infatti studiare una famiglia senza analizzare la società in cui è inserita. Poi, mi sono reso conto che esiste, al di là degli aspetti psicologici e sociologici, un aspetto spirituale: alle radici di qualsiasi malattia, depressione e problema incontriamo infatti un mito, un mito dimenticato che sta alla base di tutto, della religione in primo luogo, ma anche della società. Indipendentemente dal fatto di essere ebrei, musulmani, buddhisti, taoisti o atei, vivendo in Occidente siamo influenzati dal mito che ha impregnato di sé tutto il mondo occidentale: il mito ebraico-cristiano, alla base della nostra vita sociale, economica, po litica, intellettuale, sessuale e spirituale. Jung, che ne ha parlato in modo molto approfondito, ha studiato l'interdipendenza tra il mito e l'inconscio profondo, arrivando alla conclusione che non possiamo approdare alla nostra realizzazione se non costruiamo una «divinità interiore». Per completare queste informazioni mi è sembrato indispensabile rileggere questo mito alla luce delle conoscenze attuali, dato che ci è stato -trasmesso da generazioni che non possedevano il livello di comprensione odierno. Il mito è un simbolo e la sua interpretazione varia in funzione del livello di chi lo interpreta. Ed è un'interpretazione sbagliata e malata quella che è giunta fino a noi e tuttora ci coinvolge. Se passiamo il Vangelo al setaccio del nostro grado di comprensione attuale, tutti i dipinti religiosi ci sembreranno «primitivi». Gli artisti che si sono applicati a questi temi obbedivano alle direttive morali di un periodo ormai passato; oggi tali direttive non ci riguardano più e dobbiamo quindi proiettare sui testi sacri uno sguardo che rifletta il nostro livello di evoluzione e di conoscenza. Ci sono due modi di accostarsi al mito: il primo consiste nel cercare di fissarlo come una verità e quindi intraprendere ricerche storiche, geografiche e sociali per dimostrarne la realtà (è quello che fanno i religiosi); il secondo consiste nell'accettare il mito come un simbolo e tentare di penetrarne il mistero. In quest'ultimo caso non si tratta di stabilire se sia reale o no, quanto piuttosto di immergersi in una nuova interpretazione, a margine di tutti i fondamenti religiosi tradizionali, per ricercare una verità interiore e riconoscere la nostra anima. Viviamo in un mondo materialista, dove la morale è davvero la grande assente: ecco un'altra delle ragioni che mi hanno spinto a esplorare il Vangelo. Le leggi che ci reggono non sono «morali»; la bontà non compare nelle loro coordinate e del resto sono promulgate per proteggere il più fo rt e: firmare un contratto, per esempio, implica automaticamente che bisognerà sostenere avide battaglie per evitare di essere raggirati. Tutti i contratti si fondano di fatto sul furto: si tratta solo di vedere chi trarrà vantaggio dall'altro. Chi impone la propria forza è rispettato e onorato: ne ammiriamo l'intelligenza e il successo; la vittima, al contrario, è disprezzata perché si è lasciata ingannare. Erriamo così in un mondo materialista costruito sul furto, la competizione, lo sfruttamento, l'egoismo... Tutto è predisposto in modo da impedire alla coscienza di svilupparsi, perché la coscienza disturba, confonde. Il sistema scolastico mantiene i bambini a un livello distante da ll a presa di coscienza, un livello che impedisce al mondo di cambiare. Esiste una evidente cospirazione che tende a mantenere il mondo così com'è, su fondamenta prive di morale. A sessant'anni, al tramonto della vita, gettiamo gli esseri umani nella pattumiera della società. Li abbiamo abituati da sempre a quest'idea e, accettandola, gli individui vivono accompagnati dall'angoscia di raggiungere tale età critica. Ci ritroviamo così all'interno di una società criminale che distrugge l'essere: la cospirazione contro il risveglio. Che fare? Mi sono chiesto se mettersi a lavorare per «guarire» il mito potesse contribuire a creare una nuova morale in grado di raggiungere la coscienza collettiva. Questa morale non sarebbe basata sulle nozioni di bene e male, ma su quella di bellezza. In ogni caso, quale morale possiamo costruire vivendo in mezzo a persone che disprezzano lo spirito e coloro che lo sviluppano? Un individuo è considerato un nemico dal momento in cui si azzarda a coltivare una sensibilità, una coscienza, una creatività proprie, dal momento in cui osa «convertirsi in se stesso». Che fare di fr onte a questi individui che hanno la pretesa che il mondo appartenga loro perché sono la maggioranza? Che fare di fronte a queste persone la cui filosofia consiste nel vender caro ciò che hanno ottenuto a poco prezzo, gente sempre in competizione che cerca di umiliare gli altri in tutti i modi possibili? Che fare in un mondo che si prende gioco di ogni essere e de ll a sua genialità, un mondo che non ha bisogno né della coscienza né del cuore di ciascuno? Un mondo che ci vuole compratori frustrati. Questo è il problema che mi si è posto, il motivo che mi ha spinto a studiare il mito cristiano. Dico «mito» rivolgendomi ai non credenti; i credenti possono intendere «religione». Il mito cristiano, allo stesso modo dei Tarocchi, non può essere ridotto a una visione determinata, fissa, prestabilita. Funziona come un simbolo, pertanto non può essere colto intellettualmente. Nei Tarocchi l'errore consiste nel pietrificare ogni Arcano in una definizione rigida e chiusa. Ogni carta è invece un mistero insondabile che può avere mi ll e interpretazioni diverse. Per imparare i Tarocchi bisogna impregnarsene finché cominciano a entrare in relazione con la nostra emotività. A partire da quel momento le carte esercitano un'azione su di noi: solo allora si può parlare di ciascun Arcano al livello della nostra ispirazione e proiettandovi ciò che siamo. L'importante è capire che quello che vediamo corrisponde a una proiezione di noi stessi: i Tarocchi funzionano come uno specchio. Allo stesso modo, il mito funziona come uno specchio che descrive avvenimenti inreonsci. La sua lettura deve passare tramite il linguaggio emotivo, il linguaggio del cuore. La memorizzazione è un cammino adatto per arrivare a questo linguaggio. Memorizzare il mito, così come memorizzare i Tarocchi, permette di visualizzarli e poi di viverli. 6 7 La mia prima preoccupazione, studiando il Vangelo, è stata quella di esaltarlo, alla ricerca delle più be ll e interpretazioni possibili. Sono perfettamente cosciente che si tratta di un lavoro infinito, perché si potrà sempre trovare una bellezza più grande. È come per i Tarocchi: bisogna cominciare e non desistere mai. Nella misura in cui coltiviamo questo studio arricchiamo le nostre vite e impercettibilmente cambia tutto in noi: il modo di muoversi, di mangiare, di pensare, di sentire, di fare l'amore, di partorire, di creare, di morire... Se non lo interrompiamo mai, questo lavoro produrrà un cambiamento. Il mio modo di procedere non appartiene a nessuna scuola. Con i Tarocchi ho imparato a guardare senza pregiudizi: prima di lanciare qualsiasi idea bisogna anzitutto vedere. È la condizione sine qua non per elaborare una teoria valida. Osservando gli Arcani ho capito che ciascuna carta, per il suo aspetto simbolico, è una forma aperta sulla quale chiunque può applicare la propria immaginazione. Così, per esempio, possiamo interpretare negativamente la carta chiamata La Torre e dire che si tratta della torre di Babele, o del castigo della vanità, dell'incidente, della rottura di un legame di coppia, ma possiamo anche dire che questo Arcano significa la danza intorno al tempio, la ricezione della parola sacra, l'atanor (forno) alchemico o la presa di possesso di un terreno, un omaggio alla vita divina ecc. Allo stesso modo il Vangelo è una specie di forma aperta che permette innumerevoli interpretazioni. Il suo messaggio è misterioso e occulto. Come con l'Antico Testamento, quando si inizia a penetrare in profondità nel Vangelo ci si trova davanti a testi di una tale complessità, che sembra davvero impossibile che abbia potuto scriverli un essere umano. Piuttosto, si direbbe che si tratta di una sorta di opera divina «ricevuta» dall'uomo e a lui molto superiore. D'altra pa rt e, queste opere sono superiori a tutte le interpretazioni che se ne possono dare. Ho affrontato ogni capitolo come se fosse un Arcano dei Tarocchi. Ne ho osservato tutti i dettagli. Ho cercato di immaginare tutto quello che vi succedeva come se vedessi un film e poi, nel momento in cui me ne ero ben impregnato, lasciavo parlare la mia intuizione senza sapere dove mi avrebbe portato. hideale sarebbe stato studiare il testo nella versione originale, però sono ricorso alla traduzione ecumenica, dato che molti gruppi religiosi si sono accordati su questo testo. Ho intrapreso questo lavoro di rilettura con totale umiltà e senza voler offendere coloro che conoscono già il Vangelo. D'altra pa rt e, credo che quando si ama un argomento non ci sia niente di più bello che sentirne parlare. Spero di contribuire, con questo studio, alla presa di coscienza collettiva ormai imminente. Ci sarà, ne sono certo, anche se forse l'umanità non cambierà in modo decisivo fino al XXII secolo. Cosa succederebbe se Cristo si presentasse oggi? Il Cristo è un Messia: se viene, è per salvare l'umanità. Nessun individuo può salvarla adesso. Se il Cristo viene, sarà un Cristo collettivo. Sarà l'illuminazione di tutta l'ummanità. Se l'umanità non si illumina, senza l'eccezione di una sola persona, finirà. Il Cristo è collettivo oppure non è. 8 E cos'è l'uomo? L'uomo deve capire che il suo corpo è l'Universo, che il tempo è ciò che accade a lui, il tempo intero, e che la sua coscienza è pa rt e de ll a coscienza cosmica. Dobbiamo capire, anche se non lo vivremo, anche se moriremo prima di vederlo, che l'uomo popolerà le stelle, e vivrà tanto quanto l'Universo — merita di vivere altrettanto — e costituirà una coscienza globale e sarà la mente del cosmo. Se non abbiamo questo ideale, non vale la pena di vivere. Dobbiamo avvicinarci a questo ideale a poco a poco. Noi non vedremo l'avvento de ll a Coscienza Cosmica; non vedremo i fru tt i di ciò che stiamo seminando. Dobbiamo sacrificarci, perché non li vedremo. È questo il senso del sacrificio che ci insegnano i Vangeli: l'assoluta umiltà necessaria per agire pur sapendo che non vedremo i risultati. L'errata lettura del mito ci insegna a vivere nel più grande egoismo: sporchiamo il pianeta e non ce ne importa perché non assisteremo a ll a catastrofe; sporchiamo i nostri corpi e ci autodistruggiamo per farla finita «al più presto» e non vedere i risultati delle devastazioni che stiamo compiendo. Ci impo rt a solo il tempo che calcoliamo di stare qui e non ci preoccupiamo del futuro, nemmeno di quello dei nostri figli; ci tranquillizziamo vagamente pensando che si arrangeranno, come abbiamo fatto noi, per «tirare avanti». La vera umiltà invece consiste nel lavorare e nell'agire in ogni momento, credendo nell'umanità futura, convinti che un giorno si aprirà al cosmo come un fiore, una mattina che noi, tu, io, non potremo vedere. Dobbiamo pensare a ciò che verrà e amarlo. Dobbiamo agire credendo nell'umanità futura. Lavorare per essa, instancabilmente. Imparare ad accettare il sacrificio. Perché altrimenti quel cambiamento non si verificherà. Noi pianteremo i semi, noi lavoreremo, noi faremo avanzare l'umanità verso la sua realizzazione. , Come nascono i miti? Dapprima qualcuno li sogna; poi quei sogni diventano canti; in seguito qualcuno li trasforma in poemi; infine, qualcun altro li scrive nei Libri Sacri. E da dove provengono quei sogni iniziali? Forse dalla divinità stessa (se siamo credenti), o dagli archetipi (se non lo siamo). Così 9 come il ragno tesse tele, noi fabbrichiamo sogni. È questo il mito fondatore, poiché sostiene tutta la società. E contro i sogni si erige il potere, l'egoismo. Perciò mi sono riproposto di leggere il mito fondatore in senso letterale: ogni frase del Vangelo è perfetta e contiene un insegnamento. Il mio progetto è stato quello di guardare questo testo con l'occhio dell'artista. Mi sono proposto di essere fedele alle scritture, di non mettere in dubbio le loro affermazioni, di non cercarne i lati negativi né di esprimere la minima critica distruttiva, di non ferire la sensibilità religiosa, di non essere blasfemo e, soprattutto, di esaltare il testo sottolineandone la bellezza. Io non posso cambiare nemmeno una lettera del mito; posso, tuttavia, modificarne l'interpretazione, porla al nostro attuale livello di coscienza e nella prospettiva dell'umanità futura. Perché il mito fondatore è avvolto da nuvole nere: le interpretazioni arcaiche di questo messaggio offe rt e dalle sette. Oggi quelle interpretazioni stanno liquidando l'umanità: provocano guerre, stragi familiari, cancri in tutti gli organi — soprattutto quelli sessuali —, pervertono l'espressione umana, annichiliscono la felicità, creano povertà. Farò un esempio, purtroppo ne esistono tanti. Una de ll e innumerevoli conseguenze di una cattiva lettura del mito, una delle più nefaste, è quella che io chiamo «la sindrome del figlio perfetto». Esaminiamo un albero genealogico: se nel corso di varie generazioni si ripetono i nomi di Giuseppe e Maria, la cosa più probabile è che questa sindrome si presenti in modo ciclico. Questi due nomi possono essere «nascosti», per esempio un Giuseppe Emanuele sposato con una Rosa Maria, ma la sindrome si presenterà comunque nel primogenito; non lo chiameranno necessariamente Gesù;rpuò essere benissimo Cristiano, Salvatore, Emanuele, Pasqúale, Cristoforo o qualsiasi altro nome con risonanze cristiche. Se è maschio, i genitori esigeranno da lui che sia perfetto: dovrà essere saggio a sette anni, incolume a quindici, irreprensibile a trenta, ed è molto probabile che si ammali e muoia a trentatré anni, vittima di una delle atroci malattie della «modernità». Questo essere umano si sacrificherà incoscientemente per- ché è stato condizionato in tal modo dall'albero genealogico e dalla pessima lettura del mito come sessualità repressa. Se è femmina, tanto «peggio», perché in tal caso non le si chiederà nemmeno di essere perfetta: potrà soltanto essere la madre di un maschio perfetto (è il massimo cui può «aspirare») e a sua volta trasmetterà il ciclo e darà corso alla sindrome. Il nostro mito fondatore è stato manipolato per metterci al servizio dello sfruttamento. Perciò quello che ho fatto è stato prendere questo mito e reinterpretarlo secondo una visione artistica, nella convinzione che l'arte sia terapeutica. Viviamo nella paura. Ci soffoca soprattutto l'assillo economico. Gli animali hanno paura, è la loro reazione istintiva di fr onte all'imprevisto: è la caratteristica dell'animale, non dell'essere umano. Nei Vangeli, quando un angelo si presenta a qualcuno dice: «Non avere paura», il che significa porre la persona nello stato umano. Oggi viviamo in una spaventosa bestialità economica. Una lettura positiva del mito inizia esattamente così, con un «non avere paura», per affrancarci dall'animalità in cui viviamo e collocarci nella prospettiva de ll a nostra umanità presente e futura. io 11 IL VANGELO SECONDO MATTEO Matteo inizia con la Genealogia di Gesù Cristo (1,1-17): Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide... E dopo una lunga lista delle generazioni fino a Giuseppe, finisce con Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Giuseppe: perché Giuseppe? Mi sono domandato quale sia stata la vita del primo Giuseppe di cui parla la Bibbia. Lo si trova nel capitolo 37 della Genesi. Quel Giuseppe era talmente bello che il padre gli regalò una tunica. I suoi fratelli (che erano dodici) erano invidiosi di lui e si arrabbiarono molto perché il padre lo privilegiava. Ricordando che era impossibile tagliare la tunica di Cristo perché era fatta di un'unica pezza e che coloro che se la disputavano dovettero giocarsela a dadi, ci rendiamo conto che questa tunica fa la sua comparsa con il primo Giuseppe. D'altra pa rt e, chi diede la tunica a Cristo? Possiamo pensare che fu Giuseppe (il padre di Gesù), dato che Cristo è figlio di Davide per il tramite di Giuseppe. Bisogna avere molto chiaro che è Giuseppe a innestare il suo albero genealogico su quello di Cristo, e che in tal modo egli offa e a Dio la possibilità di mantenere la promessa fatta alla casa di Davide (2 Samuele, 7,12-16). Dunque, per quanto incredibile possa sembrare, senza Giuseppe non ci sarebbe stato alcun Messia. 13 Chi era questo Giuseppe della Genesi? I suoi fratelli, gelosi, lo gettano in fondo a una cisterna o a un pozzo perché muoia. Poi prendono la tunica di Giuseppe e la imbrattano col sangue di un animale; la mostrano al padre (Giacobbe) in queste condizioni, ed egli crede che Giuseppe sia stato sbranato da una belva e viene preso da una profonda tristezza. Giuseppe, quindi, sta nudo all'interno di un pozzo. Si dice che la verità è nuda in fondo a un pozzo. Giuseppe era la verità. Si direbbe che era giusto. E cosa sapeva fare? Interpretare i sogni. Eccone uno, che egli raccontò ai suoi fratelli: Ascoltate questo sogno che ho fatto. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand'ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio. Cosa vuol dire il fatto curioso che gli altri dodici covoni si inchinano di fr onte a quello di Giuseppe? I dodici apostoli si inchinano di fr onte a Cristo... Giuseppe sapeva sognare e Dio lo proteggeva: cosa fece in fondo al pozzo, nudo, senza nulla da mangiare? Non poteva fare che un'unica cosa: mettersi a pensare. Cade in trance, dunque, si concentra su se stesso. Comunica con il cosmo. Con il proprio Maestro. Con il proprio destino. Più tardi arriva quasi a diventare faraone, poiché i suoi fratelli lo vendono a certi mercanti che a loro volta lo rivendono in Egitto. Qui è messo in prigione, finché non interpreta un sogno del faraone, il famoso sogno delle sette vacche magre e de ll e sette vacche grasse, grazie al quale il re gli dà da amministrare tutto l'Egitto. È a partire dal fondo di quel pozzo che l'epopea cristiana comincia a delinearsi molto chiaramente: non esisterebbe se qualcuno non avesse gettato un uomo in fondo a un pozzo, vale a dire nel più profondo abbandono. La nostra civiltà non esisterebbe (secondo il mito, evidentemente). L;altro Giuseppe (il padre di Gesù) si trova anch'egli in fondo a un pozzo (il pozzo della nostra ignoranza e de ll a nostra incomprensione): è necessario farlo risalire, riconoscerne il 14 valore. Egli è il motore principale del Vangelo. È da lui, quindi, che bisogna iniziare. L'ANNUNCIAZIONE A GIUSEPPE (Matteo 1,18 25) - Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Cos'è un uomo giusto? Per rispondere a questa domanda, cerchiamo nella Bibbia il punto in cui si dice per la prima volta che un uomo è «giusto». Si trova nel capitolo 15 della Genesi, versetti 5-6, dove si parla di Abramo che, a quell'epoca, è vecchio quanto Zaccaria, padre di Giovanni. Poi [Dio] lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle». Abramo esclama: «Non è possibile, come posso contare le stelle?». Tenta inutilmente; poi Dio aggiunge: «Tale sarà la tua discendenza». Lo dice a un uomo anziano sposato con una donna vecchia quanto lui. Ciò nonostante Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Ecco, dunque, la spiegazione della parola «giusto»: Giuseppe era un uomo che aveva fede in ciò che il Signore gli diceva. Era quindi un uomo giusto. Ciò significa inoltre che conosceva la Legge e seguiva tutti i precetti. (Gli ebrei imparano a memoria l'intera Toràh. Oltre a memorizzarla, analizzano ogni frase, la commentano ecc.) Un uomo giusto è un uomo perfetto, santo, che osserva la religione in modo impeccabile e puro: questo è Giuseppe. Il Vangelo non precisa la sua età. È falso affermare che era vecchio, perché non sta scritto da nessuna pa rt e. Dal momento 15 che la sua età non è indicata, ciascuno può farsi di Giuseppe l'immagine che vuole. Il Vangelo lascia in ombra questo punto, perché Giuseppe può essere lo spirito di chiunque, lo spirito dell'uomo. Non occorre attribuirgli un'età precisa, non è importante. Potrebbe addirittura essere un ragazzo di quattordici o quindici anni, come la Vergine. C'è qualcosa di essenziale che non viene detto esplicitamente e che però può benissimo leggersi tra le righe: Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla... Come viene a sapere, Giuseppe, che Maria è incinta? Bisogna immaginare il modo in cui se ne accorse, così come bisogna immaginare la bellezza della sua donna. Giuseppe non aveva scelto una donna qualsiasi: Maria era una donna perfetta fino all'ultima cellula, una donna completamente consacrata fino all'ultima cellula, la perfezione stessa. Una persona simile non poteva aver nascosto a Giuseppe un fatto così impo rtante. Maria non era capace di mentire, così, nel momento in cui il suo ciclo mestruale si interrompe, si avvicina al marito e gli dice: «Sono incinta e sono vergine». Sul momento Giuseppe non le crede: è un uomo giusto e di fede, però inizialmente non le crede ed è il Vangelo stesso a dirlo quando afferma che egli, non volendo diffamare Maria, risolve di ripudiarla in segreto. Allora gli si pone un problema: ripudiare Maria in segreto non è compatibile col fatto che Giuseppe è un uomo giusto. Un uomo giusto, come abbiamo visto, è un uomo che conosce la Legge e ne segue tutti i precetti, un uomo perfetto, santo, che osserva la religione in modo impeccabile. Quindi Giuseppe dovrebbe annunciare pubblicamente che Maria è un'adultera perché è incinta di un altro uomo, e dunque che va castigata con la lapidazione. Giuseppe entra in conflitto con se stesso: deve denunciarla (perché segue la Legge e pratica i suoi precetti) ma non vuole diffamarla. Ciò dimostra il profondo e completo amore di Giuseppe per Maria, un amore che è più fo rte di tutta la Legge. La forza di questo amore è più che evidente: per quale motivo Giuseppe avrebbe chiesto in sposa una donna se non l'avesse 16 amata? Soprattutto, Maria è di Nazaret, e constatiamo da un'annotazione del Vangelo che Nazaret è uno dei posti più sperduti, un piccolo villaggio senza alcuna importanza. E così, Maria era una ragazza senza alcuna importanza. Perché dunque un uomo giusto sposerebbe una ragazza senza alcuna importanza andandola a cercare in un luogo senza alcuna importanza? E perché non rispetterebbe la Legge? Per una sola ragione: perché quella ragazza era molto più be ll a dell a Legge. Doveva esserlo davvero, perché Giuseppe non solo non voleva lapidarla, ma nemmeno diffamarla. Allo stesso tempo, però, non poteva accettare che lei fosse incinta di un altro uomo. decise di licenziarla in segreto... Per nascondere che la ripudiava, Giuseppe pa rte. È possibile immaginare l'immensa desolazione di quest'uomo, il dubbio che lo toi menta? Era caduto in fondo a un pozzo. Pa rte senza niente. Per Giuseppe, partire significava abbandonare la Torah, la Legge; significava peccare, chiudere con tutto quello che era, annichilirsi completamente. Perché, come vedremo in seguito, un uomo giusto non può vivere lontano dal Tempio. L'ideale di un uomo giusto è vivere dalla mattina alla sera vicino al Tempio, con la Scrittura, con Dio. Giuseppe, oltretutto, essendo un uomo giusto, non può mentire. Comportandosi in tal modo, quindi, oltre a ripudiare Maria si separa dalla società e dalla comunità ebraica. Non può incontrare altri ebrei, perché con loro sarebbe costretto a mentire e non può farlo. La partenza di Giuseppe, perciò, è definitiva. Deve andarsene in Egitto o in Arabia. Deve trasgredire la Legge, rompere con Dio. Lascia tutto e si ritrova completamente solo: un uomo nudo in fondo a un pozzo. Per Giuseppe, Maria è più fo rte di Dio stesso. Si tratta dell'amour fou dei surrealisti, l'amore di un uomo che ama una donna con tutta la forza del proprio essere. L'ama col sesso, col cuore, con la testa, con la sua stessa vita; l'ama perché non ha mai visto una donna così bella. D'altra pa rte, Maria è davvero talmente be ll a che Dio stesso la vede. 17 È dunque a causa di questo grandissimo amore che Giuseppe rompe con tutto: con la sua vita, con la tradizione e persino col suo lignaggio, dato che proviene direttamente da Davide. È con un dolore immenso in fondo all'anima che ripudia Maria, ed è davvero difficile immaginare la dimensione di questo dolore: nel perdere la sua donna, Giuseppe perde tutto ciò che ha, eppure continua ad amarla. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse... Giuseppe dorme, e in sogno gli appare l'angelo del Signore. È necessario un arduo sforzo dell'immaginazione per rendersi conto di cosa significa vedere l'angelo del Signore, vale a dire la manifestazione divina che si concretizza in un angelo. Bisognerebbe visualizzare tutti i cambiamenti possibili delle molecole, le vibrazioni, le musiche, gli aromi, le aureole, le spirali di energia che girano, le modificazioni del colore... Perciò la prima cosa che l'angelo dice quando appare a qualcuno è: «Non temere». E lo dice sussurrando dolcemente, affinché la persona si calmi e possa sopportare la visione di questo essere, l'unica entità cosmica in grado di contemplare direttamente la divinità senza esserne polverizzata. Tale è la forza di quella apparizione. L'angelo si trova sul bordo di un precipuo e porta sulle spalle l'enorme, l'infinito, l'inconcepibile, l'indefinibile, l'indecidibile, l'impensabile... Il mistero ultimo. Tutto questo è lì, sulle sue spalle. Le ali dell'arcangelo Gabriele affondano in questo mistero perché Dio oltrepassa i limiti del nostro pensiero: il linguaggio è tutto, tranne che Dio. Tutto ciò che siamo in grado di nominare non è Lui: possediamo uno strumento per definire tutto l'Universo a eccezione di Dio, perché Egli è indefinibile e totalmente al di fuori del linguaggio, dei numeri... Non possiamo nominarlo e dunque non possiamo vederlo. Siamo incapaci di definirlo. Lui può vederci e amarci, noi non possiamo. Chi dice di amare Dio mente. È più corretto dire: «Mi lascio amare da Dio e trasmetto il suo amore», perché si tratta sempre dell'amore di Dio, del pensiero di Dio, della fede di 18 Dio, della Legge di Dio, sempre e solo di Dio. Il mondo intero è di Dio. Eenorme mistero che portiamo dentro di noi è quello che va oltre il linguaggio, e dunque la sola cosa che possiamo fare è abbandonarci all'ignoto. È con le ali dell'inconoscibile, dunque, che Gabriele si pone di fr onte a Giuseppe. Cosa gli disse quest'incredibile visione e con che voce parlò? Certo non dovette esprimersi con voce nasale o magniloquente: gli parlò invece con una voce che entrava in profondità nel plesso solare, in tutte le ossa, nella colonna vertebrale... Una voce che si riversava come lava fin dentro l'ombelico, nel ventre, nel corpo intero. Essa si muoveva gorgogliando nell'intimo di Giuseppe, ed egli era frastornato dalla visione quanto lo era dal suono che lo attraversava. E questa voce gli disse: Giuseppe, figlio di Davide... Non appena gli dice «Giuseppe, figlio di Davide», Giuseppe vede subito la sua genesi, gli torna in mente tutto il suo albero genealogico. Questa voce lo getta nel passato, gli scorrono davanti tutte le generazioni che l'hanno preceduto. Vede il momento in cui Davide disse a Saul, che voleva sgozzarlo: «Ascolta, io vorrei ucciderti. Tu eri nell'oscurità e senza alcuna difesa. Io ho la mia lancia, sono armato. Guarda! Non ho tagliato nemmeno un pezzo della tua tunica. Fermiamo questa battaglia!» (1 Samuele 26,1-25). Vede anche Davide che danza davanti all'Arca ed esclama: «Sono una formica. Sono un pover'uomo» (2 Samuele 6,20-23). La sposa di Davide allora gli dice: «Mi vergogno di te. Come puoi tu, un re, danzare davanti all'Arca?», e Davide le risponde: «Non m'impo rt a ciò che pensi. Se voglio ballare davanti a ll a parola divina, ballo! Il tuo pensiero non ha alcuna influenza su di me. I tuoi limiti sono i tuoi limiti. Non sono i miei, perché di fr onte alla divinità io non posseggo limiti». Giuseppe non era un debole, poiché possedeva la forza di Davide, e Davide era un guerriero. La spada di Golia si trasforma nella spada di Davide: è stata consacrata. Giuseppe vede anche il momento in cui Davide udì la promessa del Signore, che gli disse (2 Samuele 7,12-14): 19 Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita da ll e tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. È da questa discendenza che sorgerà il Messia, il cambia- mento del mondo, la po rta, la luce e la via. Giuseppe ha trovato le sue radici, rianimate dal soffio dell'angelo. Poi l'angelo lo avverte: ... non temere di prendere con te Maria, tua sposa... Nessuno lapiderà la Vergine. Giuseppe avrebbe potuto farla uccidere; infatti, se la comunità ebrea avesse saputo, lei sarebbe stata lapidata. È questa la prima volta in cui Giuseppe salva la vita del Messia, accettando Maria nella sua casa. Senza Giuseppe non ci sarebbe stato Cristo. E ciò dimostra che tipo di uomo meraviglioso è Giuseppe. Perché accetta Maria, dunque? Perché crede: è un uomo giusto. ... non temere di prendere con te Maria, tua sposa... In realtà l'angelo sta dicendo a Giuseppe: «La Vergine è la tua sposa, non quella di Cristo. Dicendo che è la tua sposa, Dio, il mio padrone, ti unisce a lei, e tu l'accetterai perché il Cristo deve essere un figlio di Davide. Sei tu che gli fornirai la sua genealogia. Abbiamo bisogno di te. Tu sei psicologicamente il padre di Cristo anche se il tuo sperma non lo ha materialmente concepito. Senza di te, non c'è Cristo, perché la promessa divina è stata fatta alla casa di Davide ed è attraverso di te che Dio realizza l'alleanza con l'uomo». L'angelo chiede dunque a Giuseppe di condurre Maria nella sua casa. Più tardi, Gesù chiederà a Giovanni di condurla nella sua. Maria è sempre portata a casa di qualcuno e, viceversa, nessuno va a casa di Maria. Condurre Maria a casa di qualcuno, simbolicamente, significa riconoscere il nostro corpo. Non si tratta di un corpo con uno spirito ma di uno spirito con un corpo. ... perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù... 20 L'angelo trasmette a Giuseppe il nome: Gesù è stato quindi nominato dal Maestro, cioè da Dio. Quando l'angelo gli dice che il bambino si chiamerà Gesù, le lettere del nome appaiono nel sogno di Giuseppe splendenti come diamanti: egli vede nel cosmo queste lettere foi mate da una materia inconcepibile e luminosa. Nel suo sogno, il nome di Gesù ha la dimensione dell'Universo, forse è scritto con tutte le stelle del cielo. È la prima volta che Cristo viene nominato. E cosa significa nominare? Significa creare. Nell'atto di essere nominato, Cristo è creato completamente, ed è assai bello e significativo che sia proprio Giuseppe a nominarlo per primo. Se Giuseppe non accettasse questo bambino, Dio dovrebbe designare qualcun altro e trovare un'altra Vergine. Ma il bambino deve nascere nella casa di Davide ed è qui che risiede l'importanza del padre. Allo stesso modo in cui abbiamo costruito de lle basiliche in omaggio alla Vergine, in futuro, quando avremo finalmente tirato fuori Giuseppe dal pozzo, costruiremo una basilica in suo onore. Egli è altrettanto importante di Maria e il suo significato è enorme. L'angelo continua: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Mondare i peccati del suo popolo... Qui bisogna assolutamente citare una frase che si trova nell'Esodo (20,5-6): Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino a ll a terza e a ll a quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mi ll e generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi. Questo significa che se gli archetipi paterno e materno cornmettono il crimine o il peccato di lasciare una «cattiva impronta» sul bambino, questo Dio geloso che tutti portiamo dentro ci perseguiterà fino alla terza e alla qua rta generazione. Ne trovo conferma ogni volta che studio l'albero genealogico di una persona. Non è casuale che il Vangelo cominci con un albero genealogico. Non è casuale che il primo messaggio 21 ricevuto da Giuseppe lo lanci all'inizio del suo albero: ogni errore che commettiamo ricadrà come una disgrazia, come una calamità, sui nostri discendenti fino a ll a quarta generazione. Ciò nonostante, qualunque cosa positiva facciamo dura mille generazioni; non potrebbe essere più bello di così. Apparteniamo al popolo di Cristo, però egli non ha ancora mondato i nostri peccati. Ci salverà definitivamente a ll a sua terza venuta: questo significa che ci salverà quando tutti noi lo avremo realizzato dentro. Se non lo realizziamo, non raggiungeremo mai la salvezza. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi». Il Messia fu annunciato all'inizio stesso della Bibbia: se prendiamo la prima e l'ultima lettera della prima parola della Torci otteniamo la parola «figlia», pertanto «vergine». E se prendiamo l'ultima lettera e poi la prima lettera della Toràh otteniamo la parola «cuore». Tutta la Toràh è compresa in questa parola, e questo libro è completamente dedicato all'annunciazione di un Messia. Il proposito della Toràh è quello di dire che verrà un uomo che sarà Dio: Dio in un corpo umano. E tutto il Vangelo è scritto per compiere la Toràh. La Toràh è uguale a Maria, così come il Vangelo è uguale a Cristo. La Toràh è patrimonio di una piccola collettività che ha dato alla luce il Nuovo Testamento, che in sé è patrimonio di tutta l'umanità. Senza madre e padre non si dà figlio: non possiamo leggere l'uno senza leggere l'altro. Destatosi dal sonno... Risveglio da un sogno o apertura de ll a coscienza? Risvegliarsi è anche illuminarsi. Questa frase vuole dire che Giuseppe si illuminò: quando dubita è addormentato, ed è il suo cuore ad avvolgerlo nel sogno. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. 22 Giuseppe non conobbe Maria fino al momento in cui lei partorì. Nella versione ecumenica una nota al riguardo segnala: «Nel linguaggio biblico, il verbo conoscere può designare le relazioni sessuali. In seguito Maria ebbe con Giuseppe rapporti coniugali? Non possiamo trarre conclusioni a partire da questo testo». Per il mito, dunque, ciò che succede in seguito non ha alcun interesse. Secondo il mito, la versione è che Giuseppe non la toccò, rispettò le parole dell'angelo, ebbe fede. Più tardi Giuseppe fece altri sogni, come quello che precedette la fuga in Egitto (Matteo 2,13-15). Essi [i Magi] erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto..... Giuseppe salva la vita a Gesù per la seconda volta: è lui a essere incaricato di questa missione. Quello che volevo dimostrare fin dall'inizio di questo studio è che nel nostro mito ci sono un padre e una madre, che l'importanza del padre è altrettanto grande di quella della madre, e che in ciò si esprime un equilibrio perfetto. Se immaginiamo la fi ne di Giuseppe, dovremmo chiamarlo l'uomo dalla bella mo rt e. Infatti Giuseppe scompare in maniera discreta. Non sentiamo più parlare di lui. Possiamo immaginare la bella mo rt e che deve aver avuto prima di scomparire. Chi non avrebbe voluto, come lui, morire tra le braccia di Cristo e de ll a Vergine Maria? Perché è così che muore: suo figlio e sua moglie lo aiutano a farlo. Immaginiamoci la scena. Mentre Giuseppe agonizza, Cristo lo accompagna e gli dice: Tra un secondo scomparirai, e un secondo dopo ci riscontrerai. Chiudi semplicemente gli occhi, quando li riaprirai noi saremo lì con te, per l'eternità. , In quel momento appaiono tutti gli angeli e le potenze divine, perché si tratta di Giuseppe ed è grazie a lui che Dio si è potuto incarnare. 23 Quando rende lo spirito la sua morte non dura che un attimo. Chiude gli occhi e subito li riapre per ritrovarsi a fianco di suo figlio e di Maria. È per questo che li chiamiamo la Sacra Famiglia. La mo rte è durata solo un secondo, perché coloro che lo hanno accompagnato alla fine del cammino dicendogli addio sono gli stessi che lo accolgono subito dopo. Per noi è la stessa cosa. Tra il momento in cui ci si addormenta e quello in cui ci si risveglia non si ha nozione del trascorrere del tempo: non sappiamo quante ore abbiamo dormito. Nella morte sarà uguale. Sia che la morte esista, nel qual caso ci dissolviamo (e non è un dramma; oggi, pensando alla mo rte, abbiamo paura, ma quando verrà il momento succederà velocemente), sia che chiudiamo gli occhi e riapriamo subito, non durerà che un attimo, perché tutto il tempo in cui si aspetta la risurrezione non conta. Cos'è la morte? È esalare un ultimo sospiro e chiudere gli occhi. Non dura più di un secondo. È ciò che fece Giuseppe. Che mooe maestosa ebbe tra le braccia del suo Gesù. sente durante il parto di Cristo, e affermarlo sarebbe pura falsità: era sicuramente lì e assistette a tutto il fenomeno, vide svolgersi quell'incredibile parto e accolse il neonato sulle sue ginocchia. MARIA E LA NASCITA DI GESÙ Quando l'angelo annuncia a Maria che concepirà un bambino, lei risponde: «Come sarà possibile? Io sono vergine»; letteralmente: «Non ho mai conosciuto alcun uomo». Nei dire ciò, quello che afferma è: Sono arrivata a un tale livello di vibrazioni che mai ho potuto riconoscere in un uomo la completezza. La mia pienezza e la mia perfezione sono così grandi che non conosco un solo uomo che potrebbe costituire il mio completamento. Come potrei concepire un figlio se sono vergine e nessuno mi ha mai toccato, dato che non ho mai amato nessun uomo? Non amo 41tri che la divinità. Un altro compito di Giuseppe consiste, quindi, nell'insegnare al bambino il bene e il male. Bisogna aver presente anzitutto il potere di questo bambino e capire che il compito affidato a Giuseppe era molto impo rtante. Secondo alcune leggende contenute nei quattro Vangeli apocrifi, durante la sua infanzia Gesù fece delle cose terribili. Se il lettore ha qualche esperienza di bambini, potrà immaginare facilmente cosa era in grado di fare a un anno un bambino come Gesù: già a quell'età era il potere assoluto e avrebbe potuto demolire un tempio con un gesto. Ma. Giuseppe era lì e vegliava su di lui con grandissimo amore. Non è scritto da nessuna part e che Giuseppe non fosse pre- Il suo desiderio della divinità era così eccezionale e grande, che fra tutte le donne del passato e del futuro Maria costituisce il prototipo stesso della perfezione. La prima cellula che si divide all'interno dell'utero di Maria è davvero un gioiello senza pari, talmente eccezionale che lo stesso Giovanni, ancora feto, quando si trova in presenza di quelle prime cell ule nel grembo di Maria è subito posseduto dallo Spirito Santo; Elisabetta stessa, la madre di Giovanni, cade in una trance estatica. La gestazione di Maria è un'epopea meravigliosa perché rappresenta il processo di affioramento del Dio che noi stessi creiamo. Non si tratta di riproduzione, ossia di procreare qualcuno che ci continuerà e ci assomiglierà: stiamo creando un dio, un immortale, ed è per questo che intorno alla gravidanza di Maria ogni cosa è sempre delicata (la luce della casa in cui vive, la pace che vi regna). Se abbiamo un Dio interiore portiamo con noi il gioiello (come indica l'orazione tibetana Om Mane Padme Aum: «Oh, il gioiello nel loto»), c'è un alito divino in noi e tutti i nostri movimenti si rivestiranno allora di una squisita delicatezza. Normalmente, quando vediamo una bella persona ci emo- 24 25 Bisogna sottolineare inoltre che Giuseppe non ha mai abbandonato la sua famiglia e l'ha sempre protetta. Leggiamo quello che si dice di Emmanuele (Isaia 7,15): Egli mangerà panna e miele, finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. zioniamo, così come è emozionante sentir parlare un guru, un Maestro o comunque una persona particolarmente significativa: se incontrassimo una donna che porta nel proprio ventre Dio, cosa potremmo sentire? Se aprisse la po rta di casa ci lascerebbe sicuramente senza fiato, e cadremmo in estasi. Vedremmo il suo ventre emettere sottili raggi di luce che farebbero risplendere tutta la stanza, raggi provenienti dall'inconcepibile essere che si sta formando in quell'acqua benedetta. (Infatti, non è altro che acqua benedetta quella che può produrre un simile ventre.) Con Maria, per la prima volta nella storia del genere umano la divinità è contenuta nella sua stessa opera ed è generata da un essere umano. Simbolicamente si tratta del processo attraverso cui l'umanità si riappacifica con la propria carne, col proprio corpo, rendendosi conto che esso racchiude la divinità, che la materia non è caduca e corrotta, effimera, ma tutt'uno con l'eterno e l'infinito. Maria porta in sé il suo Dio; infatti, a mano a mano che il feto cresce, Maria entra in comunicazione con Lui, lo ascolta. Ascolta suo figlio: non gli impone nulla, ed è Lui che la guida, che le parla. È Lui il suo Maestro; è dentro di lei e guida ogni suo movimento, ogni suo pensiero, ogni sua azione. A un certo punto le dice: «È venuto il momento». E Maria ripete: «È venuto il momento». Poi Lui afferma: Per tutta la vita conserverò la sensazione che ho provato quando sono stato con te, perché non mi separerò mai da te. Quello che mi hai dato è così bello che starò con te per tutta la mia vita terrestre e per tutta la mia vita eterna. Quello che un essere umano può dare alla divinità è davvero bello. Voglio mostrarti che hai uno scopo, che puoi unirti a me, che la razza umana fa parte del Cristo. Siamo Dio. Sei Dio. Sono Dio. Siamo uniti, e così continueremo sempre perché siamo sposati definitivamente. La mia gestazione è stata il mio matrimonio. Capisci? Siamo sposati. È il momento di dirsi addio. LA VISITA DEI MAGI (Matteo 2,1-12) Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. A quell'epoca gli ebrei erano dominati da un re straniero e collaboravano esterioi mente con una religione diversa dalla loro. Alcuni Magi giunsero da oriente... Dobbiamo rilevare che non si dice «tre Magi giunsero da oriente» bensì «alcuni Magi». Non viene mai detto che fossero tre. Quanti erano? Sappiamo che provenivano dall'Oriente: potremmo anche pensare che fosse tutta una confraternita di maghi, quella che arrivò a Betlemme. In ogni caso, cos'era un mago a quell'epoca? Non si trattava certo di un prestigiatore. Un mago era una persona che lavorava profondamente col miracolo, con l'altra dimensione dello spirito. I maghi sono, il vertice spirituale di una cultura. Questi «vertici spirituali» di diversi paesi (come vedremo più avanti) si riuniscono forse per scambiarsi le loro conoscenze? No, viaggiano solo per rendere omaggio a qualcuno, dato che l'essere che è nato non ha bisogno di alcuna conoscenza. D'altra pa rt e, quando si dice che il Cristo ha girato il mondo fra i venti e i trent'anni, usciamo immediatamente dall'ambito del mito: Cristo non aveva alcun bisogno di imparare ciò che già sapeva. Se frequentò diverse scuole fu per insegnare, non per imparare. Secondo il mito, Gesù rimase con Maria e Giuseppe, e furono sempre insieme. Gesù nacque da una buona madre e da un buon padre, perciò era equilibrato. Impossibile pensare che Dio volesse incarnarsi in una coppia squilibrata: Giuseppe, infatti, si confà a Maria. Sono marito e moglie a tal punto che all'incredibile bellezza di Maria corrisponde l'incredibile bellezza di Giuseppe. La Vergine Maria gli risponde: Si, è il momento di dirsi addio. E lo dico con allegria, perché non ti ho creato per me. Ti ho fatto per il mondo. Oltretutto, non sono stata io a farti: ti sei fatto dentro di me. Sei tu che mi hai scelto. È necessario che tu nasca. È necessario che tu illumini il mondo. È dunque una confraternita di maghi quella che si presenta a Betlemme. Sono portato a pensare che fossero dieci perché Abramo, quando rincorre Dio, gli dice: «Distruggerai Sodoma, ma se in 26 27 questa città vi fossero cinquanta uomini giusti, la distruggeresti?». Dio risponde: «No, non la distruggerei». Poi Abramo chiede: «E se non ce ne fossero più di quaranta?». Dio dà la stessa risposta. Abramo insiste: «E... se non fossero più di trenta?». Dio: «Non la distruggerei». E Abramo: «E se fossero venti?». Dio: «Non la distruggerei». Abramo: «E se fossero dieci?». A questo numero, Dio conferma che non distruggerebbe Sodoma e se ne va. Il numero minimo di uomini giusti deve quindi essere di dieci. Comunque sia, non sono mai stati tre. E non erano nemmeno uno di razza nera, uno di razza gialla e uno di razza bianca. Questa versione è completamente errata e delirante, come sostenere che giunsero su dei cammelli. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo». I Magi vedono dunque una stella in Oriente e raggiungono subito Gerusalemme. Saggi com'erano, capiscono al volo il messaggio della stella e intraprendono immediatamente quel lungo viaggio per arrivare in Giudea. A piedi, a dorso di cammello o in qualsiasi altro modo avrebbero impiegato anni per arrivare. Si ritrovarono quindi a Gerusalemme e lì la stella scomparve, prima ancora che i Magi fossero giunti sul luogo della nascita. Si trovano a Gerusalemme invece che accanto al neonato. Perché sono fuori strada? Perché era scritto che dovevano presentarsi di fr onte a Erode. Si tratta quindi di un'astuzia sacra: se la stella era la loro guida, come mai allora i Magi vanno a chiedere a Erode dove si trova il re dei giudei? Come mai l'astro li guida fino a un certo punto e poi li lascia d'improvviso? Cosa significa questo fatto così strano? Si sta preparando qualcosa di molto grave... siamo venuti per adorarlo. I Magi non vanno per imparare qualcosa di più ma per «rendergli omaggio». Nell'affermare che è nato il re dei giudei, essi annunciano 28 in realtà la venuta del Messia, perché il re dei giudei non può essere altri che il Messia. All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Ecco la ragione della scomparsa della stella. La frase racchiude un significato profondo: «il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» significa infatti che tutto il popolo di Gerusalemme collaborava con Erode e quindi era schiavo dei romani. I sacerdoti, che collaboravano già con l'impero romano, avevano dunque «fissato» la lettera. Com'è noto, in origine si scrivevano solo le consonanti de ll a Toràh, e il lettore aggiungeva le vocali leggendo. Queste perciò potevano cambiare, e in tal modo nascevano molte combinazioni diverse a partire da una sola frase o da una sola parola. Più tardi le vocali furono introdotte nel testo, il che ridusse le possibilità di interpretazione. Perché tutti, dunque, cominciano a tremare? Perché il giro d'interessi è stabilito, e questo re dei giudei compare a giochi già fatti: viene a turbare l'ordine costituito. A partire dal momento in cui le vocali vengono fissate nella Toràh, tutto è fissato, e bisogna tener presente che Maria, Giuseppe e Gesù sono giudei. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo... I religiosi, gli scribi, i sacerdoti, tutti si presentano e collaborano quando apprendono la novità... Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». Dicono quindi a Erode: «È annunciato e avverrà a Betlemme». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi... 29 Erode non comunica ai sacerdoti che progetta di uccidere Cristo. Essi non sono a conoscenza del suo piano, e ciò sta a significare che i giudei sprofondano nel dubbio, ma non nel crimine. Erode chiama dunque i Magi in segreto: per continuare a essere il re dei giudei organizza da solo il piano dell'assassinio. Non conta sulla collaborazione dei sacerdoti; che non si schierano contro Cristo; dicono semplicemente a Erode dove doveva nascere il Messia secondo la tradizione; hanno letto l'Antico Testamento e gli rivelano una profezia su Betlemme: Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». Dunque, Erode vuole ingannare i Magi. Questi si mettono in cammino e l'astro riappare. La loro missione è compiuta: ora sono tutti al corrente, la nascita è stata annunciata. Occorreva solamente che ciascuno si rendesse conto che la storia del genere umano stava attraversando un periodo critico - come succede anche oggi -, che tutti cominciassero a tremare. Anche oggi il mondo trema e, come allora, si sente in pericolo. Bisogna sempre che tutto si estremizzi, è nella logica delle cose. Affinché si verifichi un cambiamento sostanziale è necessario sentirsi in pericolo di mo rt e. È questo ciò che accadde allora: ]'umanità si mise a tremare di paura e la stella scomparve. Oggi il denaro, i valori, la famiglia, la patria, tutto si sfuma. La pace, l'arte, la filosofia, tutto è in rovina. Ma in fondo è un bene che questo accada: quando saranno accettate le paure, l'astro apparirà di nuovo e ci guiderà verso la nuova coscienza. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva... Perché l'astro riappare ai Magi? Allo scopo di precisare - ed è scritto - che il Cristo non viene al mondo solo per il popolo Gli ebrei, stanchi di servirsi di un alfabeto senza vocali, di usare consonanti che erano allo stesso tempo dei numeri, esausti di leggere, rileggere e interpretare diecimila volte ciascuna frase, stufi de ll a Cabala, di essere un gruppo chiuso nel quale non potevano entrare stranieri, crearono il Cristo ebreo. Non ignoravano il tesoro che avevano fra le mani: la meraviglia delle meraviglie. Possedevano la conoscenza, possedevano la fede, ma solo per se stessi: giunsero così alla coscienza che bisognava dare quel tesoro a tutto il mondo, proprio in quanto loro erano il popolo eletto (il cuore infatti deve far circolare il sangue, che è la Scrittura). Ecco perché i primi a sapere della nascita di Cristo furono stranieri: i migliori esseri di ogni paese. In seguito saranno i pastori, gli uomini semplici privi di cultura, vale a dire coloro che non hanno lettere fissate da piccoli punti. Non gli scribi né i potenti ma i pastori, gli analfabeti. Cosa rappresentano questi personaggi? In effetti, tutte le persone che crearono il Cristo da ll a gestazione, alla nascita, alla vita e alla morte di Gesù, erano dei Giuseppe. Sono le persone che si sacrificarono affinché giungesse a compimento la creazione del Cristo. Sono loro ad aprire lo scrigno del tesoro per tutti gli altri: ... la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. La stella si posiziona sopra Cristo. Bisogna tracciare un asse: padre, madre, bambino, stella. In questo modo comprendiamo che esiste un'unione tra il bambino e la stella. Il Cristo sta in seno a Maria, la madre, e davanti a lei c'è Giuseppe in adorazione. Giuseppe interpreta così il ruolo del sacerdote e Maria quello dell'altare, mentre Cristo è l'ostia, l'«astronave assoluta», ]'unione con la stella. E questa stella è a sua volta unita al centro dell'Universo, al centro de ll a divinità... È l'asse spirituale del mondo, e si tratta della creazione del primo tempio. Lo vediamo nascere in queste frasi: ebreo. 30 31 Al vedere la stella, essi [i Magi] provarono una grandissima gioia. È possibile immaginare una stella che guida? Immaginiamo di trovarci nel cuore de ll a notte, a metà del nostro cammino, e che d'improvviso ci appaia per farci da guida una luce sottile, trasparente, delicata, incredibilmente bella. La stella è una luce che guida, è una coscienza divina che sa dove sta andando, chi deve chiamare e dove apparire. Sa anche dove sparire e conosce esattamente il punto in cui collocarsi. Non commette errori. Si dice che quando si accende una lampada nell'angolo di una stanza si fa luce in tutto il mondo. E se noi accendiamo la nostra lampada, creiamo la stella che guiderà tutti i maghi fino all'incontro con l'essenziale. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. nel vedere quell'essere di luce e la bellezza della madre e del padre. Cadono in ginocchio, senza pensare che il pavimento può essere sporco e che indossano abiti preziosi e delicati. Si inginocchiano, poi presentano i loro scrigni e aprono davanti al neonato. Quando il bambino, sorretto da Maria, vede i Magi, allarga le braccia; in un atto d'amore Maria lo solleva verso la stella, la cui luce si diffonde subito in tutta la stanza. Poi lo abbassa ed entrambi vedono gli scrigni: c'era una fortuna in oro. Dobbiamo renderci conto che i Magi avevano effettivamente portato in dono al bambino un tesoro. Con che cosa avrebbe vissuto altrimenti Giuseppe in Egitto? e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni... Sottolineiamo, per inciso, che si parla dei «loro scrigni», non dei «loro tre scrigni». I Magi gli rendono omaggio, non gli insegnano nulla. Ciò che vedono è una madre col suo bambino, non un essere che piange in continuazione. Anche se sta bene, un bambino appena nato deve adattarsi al suo corpo: trema, si dimena, si muove incessantemente. Vedere un bambino immobile è quasi un miracolo. Quando i Magi entrano, cosa vedono dunque? Un bambino ben sistemato in seno a sua madre, sereno: era già un saggio. I Magi entrano col maggior rispetto possibile perché la stella li ha guidati fin lì e perché desiderano vedere colui che hanno atteso per tutta la vita. Nei rispettivi luoghi d'origine, ognuno di loro aveva aspettato quel momento standosene da solo a leggere migliaia e migliaia di libri, a fare migliaia di orazioni e meditazioni. Improvvisamente, ognuno dei Magi è cosciente che tutta quella fatica è stata ricompensata. Pur possedendo dei poteri, capiscono che questi non contano niente se comparati a colui che hanno di fr onte. Col massimo rispetto uno di loro, il più anziano, si avvicina e guarda. In seguito, senza pensarci, si inginocchiano tutti sui loro preziosi vestiti. Sono entrati portando i loro scrigni, chinando il capo in segno di rispetto. Adesso si permettono solo di lanciare uno sguardo, a cui segue un momento di stupore Dunque c'è effettivamente dell'oro, il metallo più puro, più bello e più duttile, cedevole e malleabile quanto il cuore. L'oro è il metallo del cuore, il metallo dolce, la perfezione dei metalli. È il cuore della terra, perciò si usa come valore di scambio, ma questo denaro solare è sacro. Offrendogli dell'oro, i Magi riconoscono Gesù in quanto essere materiale, reale, fatto di carne umana. E questa carne umana produrrà l'oro, e cioè il meglio della terra. I Magi, dunque, tramite la loro offerta in oro riconoscono Gesù in quanto uomo. Con l'incenso lo riconoscono invece in quanto Dio. E la mirra? La mirra è una medicina, serve per conservare i cadaveri e impedirne la putrefazione. Le donne la usano per indurre le mestruazioni. Si tratta di un olio molto spesso e denso: con la mirra, i Magi riconoscono Gesù in quanto medico, guaritore. Si tratta dunque di un processo alchemico: l'oro, che è duttile, dà l'olio; la mirra e l'olio danno un profumo, l'incenso. 32 33 e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese. Ecco allora i tre processi: la terra, il cuore e lo spirito. Gesù è riconosciuto in quanto Dio, uomo e guaritore. Questi doni non sono assolutamente casuali: i Magi gli hanno portato i loro strumenti di lavoro. La tradizione dice che i Magi erano tre perché erano tre i doni. Inoltre, è un'invenzione che fossero tre re. Se parliamo di re non rendiamo giustizia alla saggezza, ma al potere: un mago si trova a un livello superiore di un re. Coloro che giungono a Betlemme sono dei sapienti. Hanno un cuore, perché un sapiente è un uomo di cuore. Per questo sono percepiti. Erode era senza cuore, così come i sacerdoti che collaboravano con lui, perché si erano allontanati dalla Bibbia, che è interamente contenuta nella parola cuore. II L'ANNUNCIAZIONE DELLA NASCITA DI GIOVANNI (Luca 1,5-25) È strano, però la storia di Cristo non inizia con lui bensì con Giovanni, l'uomo che gli prepara la via, colui che annuncia il Cristo. È necessario dunque capire che per arrivare a Cristo bisogna assolutamente passare per Giovanni. Simbolicamente, senza Giovanni e quello che rappresenta non c'è alcuna annunciazione dell'avvento e della fioritura del nostro Dio interiore; in altre parole, senza un lavoro cosciente, un lavoro di preparazione, non realizzeremo mai la sua nascita. Occorre, quindi, «gettarsi» nel deserto e cominciare a preparare la via. Se non si annuncia che il lavoro è fattibile, se non ci si consacra a creare la via affinché emerga il nostro Dio interiore, ciò non avverrà mai. Essere un Giovanni significa essere qualcuno che va ad annunciare e a battezzare, a preparare la via. Se non la si prepara, non si può realizzare niente. Per dedicarsi a questo lavoro occorre un grande sacrificio. Infatti Giovanni abbandona suo padre e sua madre da bambino, va nel deserto e diventa eremita. Si prepara. Si sottopone alla prova. Affinché si verifichi l'avvento del secondo Cristo, e del terzo, bisogna dunque capire profondamente Giovanni. Al tempo di Erode, re della Giudea... 34 35 Con questa prima frase entriamo subito nel vivo della questione: apprendiamo che la Giudea era vinta e che al potere c'era Erode. La cultura ebraica si trova quindi so tt o il giogo di un'altra cultura. Ciò significa che le cose stanno andando male e che il popolo ha toccato il fondo: è sottomesso, in schiavitù. I suoi sacerdoti, per di più, collaborano col potere straniero in quanto continuano a officiare. Nessuno lotta. (Questa collaborazione è paragonabile a quella che si ebbe in Europa durante l'occupazione nazista: è la condizione di un popolo vinto che, per sopravvivere, viene a patti col nemico.) D'altra parte, sappiamo che i sacerdoti cooperano col potere costituito: ricordiamo per esempio il momento in cui Erode li chiama per ottenere informazioni sulla nascita del Messia annunciata dai Magi. È dunque un periodo di collaborazionismo e pertanto di profonda tristezza, dato che il popolo ebraico confida nella liberazione tramite lo Spirito. In questo periodo in cui tutto sembra morto o moribondo c'è comunque un rito, ma si tratta di un rito che non offa e speranze. Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia... Esistevano a quel tempo ventiquattro classi di sacerdoti e ognuna officiava nel tempio per una settimana: una classe aveva cioè il diritto di andare al tempio due volte l'anno, e il sacerdote celebrante era scelto mediante sorteggio. Toccò in so rt e a Zaccaria. e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. figlio appena nato, dato che secondo la tradizione dovevano mettergli il nome del nonno. Elisabetta era sterile e anziana. Entrambi osservavano i comandamenti di Dio in maniera irreprensibile. Essere «giusti di fr onte a Dio» significa essere puri e osservare tutti i comandamenti. Zaccaria era un sacerdote; lui e sua moglie credevano profondamente, erano giusti: non potevano compiere atti impuri e furono scelti per questo. Inoltre, furono sottoposti a una dura prova, in quanto non avevano figli. A quell'epoca infatti era vergognoso per una donna non aver generato e non poterlo fare: la sterilità era vista come un castigo, perché occorreva che la stirpe si riproducesse (il comandamento era «andate e moltiplicatevi»); se la donna era sterile, dopo dieci anni l'uomo aveva il diritto di divorziare. Da tutto ciò possiamo dedurre che l'amore di Zaccaria per Elisabetta era molto grande, dato che non volle mai separarsi da lei: restarono insieme fino a ll a vecchiaia, anche se Elisabetta era disprezzata da tutti a causa della sua sterilità. Possiamo dedurre inoltre che entrambi soffrivano di enormi complessi: lui per non essere stato capace di generare un discendente, e lei per non aver potuto dare un figlio all'uomo che amava tanto. Ciò nonostante rimasero uniti, sopportando il disprezzo della comunità. Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Come vedremo in seguito, Elisabetta e Zaccaria erano talmente anziani che in principio volevano chiamare Zaccaria il Zaccaria non viene certo designato per puro caso. All'inizio sembra un fatto accidentale, ma in realtà egli è stato scelto: ha già superato le prove e, nonostante queste, non ha mai incolpato Dio, mai gli ha rimproverato qualcosa. Dunque quest'uomo, triste per i motivi che sappiamo, entra nel tempio. In quel momento non pensa affatto 4d avere un figlio: ha perso ogni speranza in proposito, perché è vecchio e sua moglie pure. Attraversa il tempio in completa solitudine, dato che il rito deve essere celebrato da un solo sacerdote. Tutto il popolo lo aspetta fuori. L'immagine è precisa e realistica; il tempio e la 36 37 In ebraico «Elie-sa-beth» significa «la casa di Elia». Elia era il Messia o il messaggero del Messia, perciò non è affatto casuale che Giovanni nasca da una Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. solitudine di Zaccaria, colui che avanza per fare ciò che tutti i sacerdoti che lo hanno preceduto hanno fatto a loro volta: chiedere l'avvento del Messia. Si tratta in definitiva del suo incontro col Dio che ama. Il più profondo desiderio di Zaccaria, dato che egli è «un uomo giusto», è quello dell'avvento del Messia. È il suo maggior desiderio e non ne coltiva altro, particolarmente nel momento in cui si trova nel tempio per adempiere al rito. Non pensa a se stesso e lascia da pa rte i suoi problemi personali. Dal momento in cui entra, svuota il suo cuore e il suo spirito. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Zaccaria avanza sospinto dalle voci del popolo provenienti dall'esterno, delle quali è un semplice emissario. È umile, la sorte gli ha concesso l'onore di diventare il messaggero del popolo e desidera soltanto adempiere al suo compito: bruciare l'incenso. Po rta l'offerta e si avvicina all'altare, ma cammina provando il timore che sperimenterebbe qualsiasi uomo che si presenta davanti a un Dio potente che ha fulminato, di colpo, migliaia di persone. Zaccaria avanza, sebbene non si senta abbastanza puro per presentare questa offerta. avanza, l'angelo gli appare come l'asse rotante di una spirale da cui scaturiscono mille scintille. Il pavimento inizia a tremare, mentre fuori continuano a elevarsi ininterrottamente le voci della moltitudine in preghiera. All'interno del tempio risuona la voce del popolo, ma ancor più fo rt e Zaccaria sente e vede un'altra cosa: radici sonore che scendono dal cielo provocando migliaia di scoppi di luce, come un mazzo di piume di pavone reale. l'angelo gli disse: «Non temere...». Nel dire a Zaccaria «Non temere», l'angelo gli toglie davvero ogni paura, poiché la sua voce è quanto di più puro si possa immaginare. Per esplicitare meglio questo passo e renderlo più comprensibile possiamo servirci di un racconto zen: Due monaci sono intenti a ll a preghiera. Uno è circondato da conigli, mentre l'altro se ne sta isolato. «Perché» domanda quest'ultimo «tutti i conigli ti vengono intorno e a me no?» «È molto semplice» risponde il primo. «Si deve al fatto che, al contrario di te, io non mangio conigli.» È comprensibilissimo che gli dica: «Non temere», dato che vedere un angelo non è affatto cosa comune. Mentre Zaccaria Zaccaria cessa di aver paura dell'angelo perché questi gli dice: «Non temere». L'angelo lo ama completamente: prima di tutto, infatti, è un'incommensurabile energia d'amore. Langelo è così immenso che all'inizio non possiamo credere in lui e ne abbiamo paura perché ci sovrasta. Ma quando questa forma ange li ca, questa energia, ci dice: «Non temere», per una volta almeno nella nostra vita non abbiamo più paura. È possibile, per noi che viviamo costantemente nel timore, immaginare uno stato che consiste nel vivere senza paura? Per cominciare, abbiamo paura di morire; è una paura che ci perseguita costantemente ed è la prima che bisogna vincere. Poi abbiamo paura de ll a pazzia; l'uomo è un animale folle perché in Dio c'è follia: è l'Arcano dei Tarocchi conosciuto come Il Matto. Nor¢ ha legge. Un giorno Dio si compo rta con noi in una maniera e il giorno dopo si manifesta in una completamente diversa. Non segue mai un percorso logico. Perciò abbiamo tanta paura della pazzia. 38 39 Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. L'angelo appare alla destra dell'altare. Cosa significa? Se ci si trova davanti all'altare, come Zaccaria, allora l'angelo appare alla nostra sinistra; nella cultura occidentale questo è il lato ricettivo, mentre il destro è quello attivo. Ciò significa che l'angelo si rivolge alla nostra ricettività, al nostro cuore, al nostro amore, alla nostra emotività. L'altare è d'oro: è anche perfetto, puro. Ma più puro ancora è quello che appare. Bisogna immaginarselo e immaginarsi anche la reazione di Zaccaria. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria... » . Non provare paura significa essere pronti ad affrontare qualsiasi cosa e possedere una fede assoluta che l'angelo sarà al nostro fianco. Come ha detto Swami Ramdas: «Dio è uno strumento da utilizzare». Il nostro inconscio ci ha fatto lavorare e ci ha spinti a cercare in modo tale da crearci un mezzo, uno strumento: dobbiamo utilizzarlo! Dobbiamo capire che l'angelo apparso alla destra dell'altare si manifesta in realtà nel nostro cuore. Siamo l'altare d'oro e dentro di noi c'è un angelo che ci parla. Di colpo, in piena notte, immersi nell'angoscia vedendo invecchiare il nostro corpo e consumarsi la nostra vita, un angelo dentro di noi ci dice: «Non aver paura». E ci abbandoniamo a lui perché proviene direttamente dal nostro inconscio che comunica col . Dio interiore, e per qualche minuto non abbiamo più paura, sospendiamo per un attimo la nostra costante paura. Zaccaria vede l'angelo; anche noi siamo Zaccaria, il vecchio deluso, il vecchio punito. Anche in qualche part e di noi c'è una zona sterile: è la mancanza di fede. Infatti, sebbene dica il contrario e faccia notevoli sforzi in tal senso, in realtà Zaccaria non ha fede. Anche noi siamo un po' Zaccaria, e come lui riceveremo la visita dell'angelo se lo aspetteremo abbastanza, se non ci lasceremo sviare da una sola critica, se non ci permetteremo distrazioni e dubbi. Essere anzitutto irremovibili nella nostra fede anche se non crediamo, perché la vera fede esiste anche quando non si crede. Allora diciamo: «Non credo, eppure sono qui». L'Arcano dei Tarocchi conosciuto come L;Eremita dice: «Sono qui con la mia lanterna. Dirigo la sua luce verso di me, nella notte oscura, affinché Lui mi veda. Bisogna che mi venga a cercare. Io persisto e non mi muovo. Se mi spezzo, ebbene sia, ma non mi muovo. Non ho fede ma sto qui comunque». 40 Io sono Zaccaria. Ignoravo che l'angelo sarebbe venuto a parlarmi, ma non appena entro nel tempio l'angelo appare alla mia sinistra e mi dice: Non temere. Se hai paura non potrai vedermi né ascoltarmi. Pertanto la condizione sine qua non affinché si verifichi la tua evoluzione è che t u smetta di aver paura. Devi sapere che Dio ti toglierà sempre da dove ti ha messo. Ed è assolutamente vero. Senza paura, tutto andrà bene. Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita... Zaccaria si domanda: «La mia preghiera è stata esaudita? Ma come? L:unica cosa per cui ho pregato è stata l'awento del Messia. Allora il Messia verrà! Che gioia!». e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Zaccaria dice fra sé: «Ma questa non era la mia preghiera! Non ho chiesto un figlio, lo giuro! Non ho pregato per questo! Ho pregato per tutti, mai per me!». Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita... Zaccaria pensa: «Molti? Quante persone potranno rallegrarsi per la nascita di mio figlio? Quanti amici ho? Nessuno. Mia moglie è disprezzata. C'è bisogno di almeno dieci persone per circoncidere un bambino... Ne troverò almeno dieci che si rallegrino con me a questo battesimo?». Zaccaria non sipeva che quella nascita avrebbe riguardato milioni e milioni di persone, e che l'umanità intera ne avrebbe gioito. Se seguiamo il mito, a celebrare questa nascita sarebbero stati tutti gli esseri umani senza alcuna eccezione, compresi i morti il giorno della loro risurrezione. Zaccaria ignorava le enormi implicazioni delle parole dell'angelo perché non aveva coscienza dell'importanza dell'evento. Langelo gli stava dicendo che a partire da quel momento tutti gli esseri umani si sarebbero rallegrati della nascita di suo figlio; e in effetti oggi, duemila anni dopo, ancora ci rallegriamo. A volte riceviamo un'annunciazione... Lavoriamo come for41 miche a una piccola opera senza sapere che probabilmente quest'opera resterà nei secoli. Eautore dei Tarocchi di Marsiglia sapeva quanto ci saremmo rallegrati della sua creazione? La fece nel più totale anonimato e ancora adesso, nel XXI secolo, gioiamo di questa piccola creazione. Miguel de Cervantes aveva chiaro quanto ci avrebbe allietati col suo Don Chisciotte? poiché egli sarà grande davanti al Signore... La persona che annuncia e prepara la via è «grande davanti al Signore». Lo spirito che ci anima quando prepariamo la via è uno spirito sacro, la pa rt e più sacra di noi stessi. È il Giovanni che si trova nell'angolo più recondito del nostro io, è il nostro stesso io utilizzato come si deve. L;io diventa Giovanni solo a partire dal momento in cui smette di lavorare per se stesso e inizia a farlo per l'altro. Durante la maggior parte del tempo, mentre vedo, mi vedo. Conta solo l'io, l'io che lavora sempre per se stesso. (C'è una sillaba sanscrita impiegata nei mantra per evocare l'Essere supremo: «AOM»; se invertiamo le lettere otteniamo «MOA», io. L'Essere supremo e l'io sono opposti ma sono la stessa cosa.) Assomigliamo agli autistici: l'io lavora solo per s e. e chiede senza sosta. La sua richiesta è come un pozzo senza fondo. Chiedo. Chiedo all'altro. Chiedo alla vita. Chiedo a Dio. Chiedo alle persone che mi stanno a fianco. Chiedo alla società. Chiedo. Perché in questo consiste l'«io»: in una continua richiesta. A questo stadio non c'è ancora un Giovanni, un io ben utilizzato. Solo quando l'io, invece di chiedere, impara ad annunciare l'avvento della luce, diventa Giovanni. ... non berrà vino né bevande inebrianti... Questa frase significa che Giovanni sarà un asceta. In quel momento il vino è la verità sancita dalla tradizione, la verità «fermentata», antiquata, caduca. Più tardi Giovanni potrà bere il vino di Cristo, il suo sangue: la nuova verità vivificata e non semplicemente ereditata. sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre... 42 Lo Spirito Santo tocca Giovanni a partire dal momento in cui è un insieme di poche ce llule: sarà quasi cosciente nel seno stesso della madre. Di che cosa sarà cosciente se non di Dio? Eunica coscienza esistente è quella di Dio: noi non abbiamo una coscienza propria, la nostra coscienza è quella di Dio attraverso ognuno di noi. Ricordo una storia di Farid al-Din Attar: Un sufi sta piangendo e un altro gli domanda: «Perché piangi?» «Perché ho tanto bisogno di Dio... Però Dio non ha alcun bisogno di me!» Chissà? Forse Dio ha bisogno di noi, invece, e proprio per questo ci ha creati: abbiamo un'opera da realizzare. In realtà, la storia di Attar significa che Dio non ha alcun bisogno de ll a nostra sofferenza e che lo troveremo solo nella gioia. A quelli che dicono «Io non vedo Dio!» potremmo rispondere: «Certo, tu non lo vedi, però Lui vede te». Non vediamo il nostro Dio interiore, ma Lui vede la nostra coscienza. Nessuno deve essere una stampella per noi. Nel momento in cui ne cerchiamo una, il nostro Dio interiore ci castiga. Se cerco la mia donna o il mio uomo ideali, cioè la mia stampella, vengo punito e sarò seguito da quattro generazioni di malesseri. Qualunque sia la stampella che scegliamo, saremo puniti per il fatto di averla. Se per risolvere i propri problemi qualcuno vuole un figlio, sia lui che il figlio saranno puniti, perché non si mettono al mondo bambini per usarli come stampelle. Certe persone credono che avere un figlio risolverà tutti i loro problemi. Non solo non risolve alcun problema, ma addirittura chi procrea per questo motivo danneggia il figlio stesso. Un bambino non è una protesi, un bastone o una gamba artificiale, un uncino che rimpiazza una mano. Generare un figlio in queste condizioni è un atto di narcisismo. Il bambino deve essere procreato come Giovanni: per fissare la via, perché si verifichi l'avvento della coscienza collettiva. e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. I figli d'Israele sono tu tt i coloro che cercano lo Spirito. 43 Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia... È fondamentale vedere in cosa consiste la missione di Elia e la sua incomparabile bellezza. ... per ricondurre i cuori dei padri verso i figli... Il lavoro consiste nel ricondurre il cuore dei padri (e quando si dice «padri», si intende «padri e madri») ai figli. Ciò conferma quanto detto in precedenza: oggi, in genere, il cuore dei genitori non viene dato ai bambini ma ai genitori stessi. L'umanità ha molto sofferto per questi individui che si dedicano soltanto a se stessi, non preparano la via e non lavorano per il bambino in quanto bambino, ma solo in quanto prolungamento narcisistico di sé. I padri e le madri non sono diventati Giovanni, non si sono trasformati in esseri umani completi che creano un nuovo essere umano completo. Solo un padre e una madre senza volto possono dar vita a un bambino che non abbia volto: un lavoro molto arduo. e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto. Questo significa che se il popolo non è preparato il Maestro non può venire. È qui che risiede tutto il mistero. Zaccaria disse all'angelo... Ricordiamo che in quel momento Zaccaria non crede, perché ciò che stava accadendo era troppo bello. Quindi dice fra sé: «Non sono che un miserabile vecchio dell'ottava delle ventiquattro classi di sacerdoti. Se mi trovo qui, in questo tempio, è perché sono stato sorteggiato. Nessuno mi ha designato. È solo un caso. Così, con quale diritto, con quale merito? Io? Devo riconoscere la mia condizione. Inoltre ho una moglie in menopausa che invecchia di giorno in giorno, un avanzo di essere umano. Vivo con una vecchia, con dei resti, e anch'io non sono diverso. La mia giovinezza, e tutto ciò che vi era legato, se n'è andata. Come potrei produrre, per l'umanità, questa enorme cosa? No, no, no! Non è possibile!». Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo?». 44 In realtà sta chiedendo: «Come fare a credere?». «Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni.» Langelo gli rispose: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio...». Gabriele, che sta al cospetto di Dio. Bisogna immaginare il suo potere, se era capace di stare di fr onte a Dio senza essere f ulminato. e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo. Zaccaria si ritrova muto: dovrà aspettare nove mesi per recuperare la parola. Ora sì che crede! E per fortuna, dato che è assolutamente necessario. Infatti, se non credesse, è talmente vecchio che non farebbe più l'amore con sua moglie, e invece deve farlo. Dal momento in cui ottiene la prova che gli mancava, crede e obbedisce. Perciò l'angelo gli toglie la parola. Come farà Zaccaria a spiegare tutto a sua moglie? Lei sarà sorpresa... Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servizio, to rnò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì... Come accadde? Di ritorno a casa, Zaccaria trova Elisabetta ringiovanita a tal punto da sentirsi attratto da lei. Lui stesso recupera tutto il vigore e quella notte si trasformano in due giovani che si uniscono in un coito eccezionale. Il miracolo è avvenuto, e concepiscono Giovanni nel pieno della giovinezza. Il mattino seguente questo vigore sparisce subito. Sono di nuovo due vecchi. e si tenne nascosta per cinque mesi... Nei primi mesi Elisabetta era di nuovo una vecchia. Sapeva di portare dentro di sé una vita, un grande miracolo, però non poteva mostrarsi agli altri. Bisogna immaginarla: una vecchia cui si ingrossava il ventre... Pertanto, durante cinque mesi nessuno seppe niente di lei. 45 e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini». Elisabetta sta dicendo fra sé: «Ora non ho più vergogna. Ho concepito un figlio. Non posso mostrarmi però accetto il miracolo. Ce l'ho. Lo porto con un amore immenso perché mio figlio è per sé e per tutti gli altri. Nel seno della mia vecchia carne c'è quella nuova. Sono come Sara quando Abramo la mise incinta. È la nuova vita che appare in un corpo vecchio, come un pesciolino che nasce in un oceano millenario». L'oceano era millenario: dopo un'eternità, era pieno di ricchezze. Improvvisamente appare un pesce vivo. Per l'oceano questo pesciolino vivo è più importante di tutti i suoi tesori. La vita che nasce fra le rovine, fra gli avanzi: nella nostra fede e nella nostra sofferenza, grande come un oceano. A un certo momento della mia vita, la mia pa rte sinistra e la destra s'incontrano e fanno l'amore. Allora vedo nascere dentro di me l'uomo nuovo. Capisco, allora, che non sarò mai più lo stesso perché è successo qualcosa di incredibile e tutta la mia vita è cambiata. La mia vita intera non è altro che una pelle vecchia; adesso capisco che ciò che ho posseduto, accumulato, custodito, si consacrerà alla mia crescita, a far maturare il Giovanni che è dentro di me. E Giovanni non sarà per me, perché verrà a preparare la via miracolosa che l'umanità sta aspettando. Mi è accaduto un miracolo: ho potuto fare l'amore e, nel farlo, mia moglie e io siamo ringiovaniti, poiché non avremmo potuto amarci senza ringiovanire. L'eccitazione sessuale appartiene alla vita, alla gioventù. Quando questa eccitazione ci ha coinvolto entrambi, siamo ringiovaniti: ci desideravamo completamente, altrimenti non avremmo potuto fare l'amore. Nostro figlio è un frutto del desiderio. Ora io credo! E questo mi succede in età avanzata. Ho piantato un seme nella sterilità. Ho avuto sperma ed Elisabetta ha avuto ovuli. II bimbo è stato concepito realmente. C'è, dunque, una verità; dovunque si nasconda, io devo credere. Stiamo creando Giovanni. Saremo utili a tutta l'umanità. Siamo stati scelti. La più grande ricompensa che abbiamo ricevuto è stata far del bene agli altri. Questo è il regalo che ho ricevuto. Posso servire agli altri. Sono utile. In quel momento c'era qualcun altro che contava i mesi insieme a Zaccaria ed Elisabetta? Sì, Maria. E dove si trovava Maria? A Nazaret, una piccola città che non figura nell'Antico Testamento. Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret... È lo stesso angelo che ritorna per una seconda missione. Questa volta non va a trovare un vecchio bensì una ragazza. Attraversa tutta la creazione. Il viaggio di questo incredibile potere va dal più grande al più piccolo: Gabriele solca le portentose galassie, localizza il sistema solare, cerca la terra e va dritto fino al più piccolo borgo. Perché? Perché li si incontra - dice il Vangelo - con «una vergine». L ANNUNCIAZIONE DELLA NASCITA DI GESÙ (Luca 1,26-38) ... a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. Elisabetta resta completamente nascosta per cinque mesi. Nessuno si rende conto di quello che è successo, nessuno va a trovarla. Zaccaria non può parlare: è nell'impossibilità di farlo. Ora crede totalmente, in pa rt e perché ha perso la voce e poi a causa di ciò che ha visto e che vede. Zaccaria vede che sua moglie è incinta e pertanto attraversa una crisi e si dice: Abbiamo visto prima il significato di Giuseppe, sottolineando che senza di lui non ci sarebbe stato Cristo. Sappiamo che è assolutamente necessario, nella misura in cui il Cristo doveva pascere nella famiglia di Davide. 46 47 La vergine si chiamava Ma ri a. San Tommaso d'Aquino ha affermato che il nome Maria, dal punto di vista etimologico, significa «interiormente illuminata». Occorre dunque descrivere in cosa consiste una persona che si trova in tale stato, al fi ne di sapere cosa rappresenta per noi diventare Maria. Essere «illuminati» equivale a eliminare se stessi in quanto ego, vale a dire che assolutamente nulla dell'io deve rimanere in noi. In questo senso, illuminarsi è eliminare se stessi. Maria significa anche «illuminatrice di altri». Essere eliminati (i ll uminati) vuoi dire eliminare l'altro nel senso di eliminare il suo dolore. Il grande desiderio degli esseri umani è arrivare a essere quel che sono. È ciò che indica la grande frase pronunciata da Dio: «Io sono colui che sono» (Esodo 3,14). Finché non siamo quel che siamo, soffriamo. E cosa siamo? Siamo Giovanni. Siamo un'anima al servizio, un'anima che crea la via per illuminare gli altri. Questo è essenziale: non esiste un'illuminazione personale e individuale. L'illuminazione personale consiste nell'illuminare gli altri. Come possiamo farlo? Saremo capaci di farlo quando non esisteremo più , cioè quando non esisteremo più in quanto «io». Solo così saremo al servizio dell'altro, lo assorbiremo, lo vedremo completamente e lo eleveremo al nostro stesso livello affinché egli a sua volta possa illuminare gli altri. Più oltre, san Tommaso aggiunge che il nome di Maria significa «sovrana». È evidente: tramite il dissolvimento del proprio io, si inizia a comandare. Il vero sovrano è colui che non esiste in quanto «io» ma in quanto canale dell'essenza, vale a dire in quanto servitore di Dio. Secondo san Tommaso d'Aquino, Maria significa inoltre «stella marina». Questo è molto bello: noi siamo una stella in mezzo all'oceano che guida i viandanti smarriti. Ogni volta che saremo disorientati, dovremo soltanto cercare la stella capace di guidarci. Questa stella è il dono della nostra carne perché, se c'è qualcosa di impo rt ante nella Vergine Maria, è il fatto che lei sia di carne e ossa, che possieda sangue, cuore e così via. È una giovane vergine. Perché si pone l'accento sulla sua verginità? Semplicemente per dire che sarà sempre vergine: in noi c'è una parte sempre vergine, che non è mai stata toccata 48 da nessuno e mai lo sarà. È un punto luminoso necessario a tutta l'umanità. Entrando da lei, [l'angelo] disse... Se lui entra, ciò implica che Maria si trovava in un posto chiuso. Cosa ci faceva in questa cella? Cucinava, puliva? No: era in totale comunicazione con ogni cellula del suo corpo e pregava. Era un essere che stava pregando, e in modo tale che ogni atomo del suo corpo si aprì per accettare e ricevere la divinità. Il suo ventre, il suo seno si aprirono... Ogni battito del suo cuore diceva: «Dio». Era vergine e stava isolata perché si era separata dalla sua tradizione (una tradizione che le chiedeva di riprodursi). Era sposata e ciò nonostante non aveva copulato col marito: aveva sacrificato tutto, compresa quella che chiamiamo felicità. Maria era predisposta a essere vergine e pertanto a soffrire l'esilio, vale a dire, a vivere nella vergogna. Maria era completamente separata dal mondo mentre si trovava immersa nella preghiera, nella «chiamata», nel non aver paura, nel darsi: perché era nel piano divino fi n dall'inizio della creazione. Era la creatura prediletta dalla divinità. Per l'essere umano amato dalla divinità il tempo della caduta era finito e veniva quello dell'ascensione. Bisognava condurlo all'eternità, e Maria era l'eletta. Mentre Giuseppe proveniva da Davide e pertanto da una dinastia di uomini giusti — questo è il punto: una dinastia di persone che avevano fatto tutto il possibile per produrre il Messia, l'essere collettivo —, Maria era sola (dato che si trovava in un posto chiuso): non era rimasta attaccata neppure a sua madre o alla sua comunità, e nemmeno al suo paese o al suo borgo. Non aveva legami con nessuno. In uno,sitato di meditazione profonda aveva avuto accesso a un'intensità di preghiera tale che la divinità stessa si era messa ad ascoltarla. In quel momento, in quel borgo sperduto nel mondo e in un'epoca in cui la civiltà si trovava nel suo stadio più basso, ecco un essere che era giunto alla vetta del dono concesso all'uomo. Un vertice, in effetti: la sua luce era così 49 grande che, se non si fosse rinchiusa, tutta l'umanità si sarebbe resa conto che la purezza integrale era proprio lì. Maria era la trasparenza assoluta. Nel suo sesso non entrava alcun desiderio se non quello di Dio. Inoltre, accettava il suo sesso perché accettava tutto il' suo corpo. Nel suo cuore non albergava emozione che non fosse rivolta a Dio, nel suo cervello non c'era altro pensiero che quello rivolto a Dio. Era, quindi, isolata in preghiera. Ed è in questo esatto momento che l'angelo entra. Da dove viene? Evidentemente, dal centro stesso di Maria. Da dove può mai venire un angelo se non dal centro di noi stessi? Gabriele scaturisce dall'interiorità di Maria. Bisogna rendersi conto che in quell'istante la Vergine non è altro che una corteccia, una buccia d'arancia senza arancia, una forma vuota nella quale entra l'angelo: di colpo penetra in ogni atomo del corpo di Maria. Per farlo doveva passare attraverso il suo cuore, ed è proprio dal cuore che Maria riceve il messaggio. Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. Proviamo a immaginarci la situazione: Maria è lì e, d'improvviso, vede l'arcangelo Gabriele. Non dimentichiamo che si tratta dell'angelo che sta al cospetto di Dio! Conosce la divinità, della quale è una manifestazione diretta. Si presenta e le dice «Ti saluto». È abbastanza chiaro che quest'angelo che «sta al cospetto di Dio» si inchina di fronte a un essere umano? Che tipo di creatura era Maria perché l'angelo si inchinasse di fr onte a lei? Questo passaggio segnala — fra le altre cose — che un giorno l'essere umano raggiungerà un livello tale di bellezza che l'arcangelo Gabriele si inchinerà di fr onte a lui. Implica inoltre che se l'arcangelo Gabriele sta al cospetto di Dio, l'essere umano sarà con Dio. Andremo cioè più lontano nella divinità che Gabriele, dato che il nostro destino è diventare tutt'uno con Dio. Per noi l'arcangelo Gabriele è soltanto uno stadio dell'evoluzione, non il suo compimento. Arriveremo più in alto di lui. D'altronde, perché vivremmo altrimenti? La nostra meta è diventare più grandi dell'angelo, dato che egli si è inchinato di fr onte a un essere umano (anche se sto parlando di un essere come la Vergine Maria). San Bernardo interpreta così questa frase: l'angelo viene per annunciare che il Signore è con lui, ma quando si presenta a Maria le dice: «Il Signore è con te». San Bernardo si domanda — e io lo trovo geniale — cosa gli resta da annunciare, se il Signore è già con lei. Perciò Maria, prima ancora di essere fecondata, è già un essere eccezionale. Il suo profumo e il suo aspetto sono già così forti che all'inizio Dio sente dove si trova e le invia un messaggero. Dopo averlo mandato, Dio si reca direttamente da lei. È più veloce del suo messaggero e dunque arriva prima di lui. Questa è l'interpretazione di san Bernardo. La mia visione personale è diversa. Eangelo dice a Maria: «Sento che sei piena di grazia». Cosa significa essere pieni di grazia? Che cos'è la grazia? L'illuminazione riguarda la mente, l'orgasmo la sfera sessuale, la trance il corpo, mentre la grazia si trova soltanto nel cuore. Dicendole «sei piena di grazia», l'angelo afferma: «Sei piena d'amore fino all'ultimo atomo, sei la grazia pura perché non c'è nulla in te se non amore totale e puro. Le tue parole sono amore, i tuoi gesti, la tua respirazione, i battiti del tuo cuore sono amore. Tutto in te è amore, tutto!, sei così piena di grazia da invadere col tuo amore l'intero Universo, col suo passato, il suo presente e il suo futuro. Sei tu che hai perdonato Eva perché ami tutta l'umanità che è stata e quella che sarà; sei tu che colmi del tuo amore l'infinito e l'eternità, colmi persino Dio. «Lo colmi in tal modo e il tuo amore è così grande che Dio è davvero con te e diventa tuo marito, ma non è Lui che è venuto a cercarti: è il tuo amore che è andato a cercare Dio. «Quando hai iniziato eri lontana milioni e milioni di chilometri, nell'oscurità, nella mo rte e nell'angoscia. Sei stata capace di vincere la mo rt e, l'angoscia, le frontiere del tempo e dello spazio. Quell'amore era così potente da trasformarsi in un profumo che ha invaso l'Universo intero, e il non manifestato si è identificato con una rosa: è questa la forma che, per i tuoi atti, l'invisibile ha scelto per manifestarsi. Tu sei la rosa, la pace. Hai portato la calma in tutto l'Universo, che 50 51 Ti saluto... non potrà mai disfarsi del tuo profumo, persistente ed eterno. Hai lasciato la tua impronta: per il tuo amore sei già il cuore dell'Universo e il tuo amore è l'Universo stesso. «È per questa ragione che Dio è con te. Non in te ma con te. Ciò vuol dire che ti ama a tal punto da separarsi da te solo per il piacere di essere fuori di te e poterti vedere. Così, Lui è te, ma allo stesso tempo è con te. Se fosse completamente te, non ti vedrebbe. E se non ti vedesse, per la prima volta Dio soffrirebbe. Pertanto, è col tuo essere.» A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. Come poteva non turbarsi? Ascoltare le parole dell'angelo era il suo massimo desiderio, ma da qui alla sua realizzazione concreta c'era un salto notevole. Quando le viene comunicato che tutti i suoi desideri si stanno realizzando, Maria non può crederci perché la sua umiltà non ha limiti. Apprende che il suo lavoro di ricerca della purezza totale è stato riconosciuto e, qualunque sia il nostro livello, essere riconosciuti è sempre emozionante. La Vergine si turba perché lei può, in un istante, infrangere la sua umiltà e dare libero corso alla sua allegria. Si turba perché è divisa tra la sua gioia e la sua immensa modestia. Langelo ha corso il rischio di ferire l'estrema umiltà de ll a Vergine. È un momento molto delicato perché, per lei, permettersi un attimo di soddisfazione significherebbe spezzare in due la sua opera e distruggerla. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre... Sarà, dunque, potente e riceverà il nome di Figlio di Dio. e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe... In altre parole, sull'umanità. e il suo regno non avrà fine. In quei momenti, Maria pensa: «Quest'angelo mi sta tentando. Dice che mio figlio sarà grande e riceverà il nome di Figlio di Dio e regnerà...! Però non sono obbligata ad accettarlo! Che mi lascino tranquilla! Che cosa mi verrebbe dal restare incinta di un re? Voglio un figlio perfetto; non desidero altro per lui se non che sia completamente se stesso, cioè la sua divinità. Voglio che mio figlio sia la sua vita, il Dio interiore che è. Se mi sono separata dalla casa di Davide, non è stato per potermi rallegrare ora di generare un re! Mi sono isolata, mi sono appartata dal mio popolo, dagli uomini. Perché dovrei essere contenta per una cosa che non è buona? Eppure, è l'angelo del Signore che mi sta parlando. Lo ascolterò fino alla fine». Allora Maria disse all'angelo... Lei gli parla: non ne ha paura. Come è possibile? Non conosco uomo. A questo punto Maria deve reagire, dato che non le è stato precisato che rimarrà incinta di Dio. Quindi deve dire fra sé: «Io incinta? Ma perché? Mi sono consacrata a Dio totalmente. Non voglio restare incinta se non di Lui. Non voglio procreare con un uomo. Non che detesti gli uomini, però voglio consacrarmi a un altro disegno. Qualcosa mi dice che non è questa la mia via». Bisogna capire la posizione di Maria. Gabriele le dice che Gesù «sarà grande», e in tal caso «grande» significa «divino». Affermando di essere vergine, vuol dire che, per natura, è impenetrabile: tutto deve provenire da lei; niente può essere creato dall'esterno, dato che l'anima è impenetrabile. Come diceva Gurdjieff: «Non posso fare il lavoro per te». In altre parole: «Il fatto che io sia illuminato e che tu ti avvicini a me non significa che tu sia illuminato». È per questo che i giapponesi affermano: «Se incontri un Buddha per strada, tagliagli la gòla!». I:illuminazione di un altro non è la mia, quantunque evidentemente la sua condizione possa essermi d'aiuto. In effetti, se sono illuminato aiuterò un altro a trovare la sua illuminazione. Ciò nonostante, finché lui non è illuminato, finché non 52 53 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...». siamo allo stesso livello, non possiamo comunicare davvero: non potremo essere effettivamente uniti e cantare insieme. La meta non è essere illuminato io e l'altro no. Maria dice di essere vergine perché il fenomeno deve compiersi nel suo utero; deve nascere come un fiore dalla sua intimità. L'anima è vergine e lo sarà sempre. A pa rte Dio, nessuno la possederà mai, nessuno la feconderà. Allora, non aspettiamoci da un altro quello che dobbiamo fare noi stessi! È la lezione che ci dà la Vergine quando dice: «Come è possibile? Non conosco uomo». Vale a dire: «Non cedo a nessuna tentazione! Poco m'importa che sia re o no, che sia più o meno grande! Io sono vergine e decisa a rimanere tale! Quindi tu, Gabriele, dimmi come sarà possibile ciò che mi hai detto se io cerco la coscienza assoluta senza abbandonare la mia verginità!». Maria pensa: «Qui si parla di un'altra cosa: "Lo Spirito Santo scenderà su dite" significa che una dimensione incommensurabile della divinità comparirà e scenderà su di me. Mi avvolgerà tutta, perché "su di me" vuol dire che mi circonderà come un anello splendente. Lo Spirito Santo è l'anello che costituiremo, una sfera universale d'incredibile purezza. Sarò per lo Spirito Santo come il nocciolo di un frutto. Farà di me il suo cuore!». Gabriele ha detto che Dio «su te stenderà la sua ombra», e in seguito Maria riflette su queste parole: «Dunque, sarò circondata da un'oscurità che mi introdurrà nel segreto più totale. Nessuno potrà vedere quello che succederà. Un giorno sarò qui, sicuramente in atteggiamento di attesa e di meditazione (quale altro atteggiamento potrei avere?), e il potere mi prenderà. Quando lo farà, mi lascerò a ll e spalle tutti gli universi. Oltrepasserò tutti i misteri della materia, tutte le dimensioni infinite, tutti i templi, le creazioni, i colori, tutto! Assolutamente tutto! Lo Spirito Santo è un potere immenso, ma io riuscirò a resistergli perché, a mano a mano che mi ricoprirà, per farlo dovrà darmi sempre più forza. «E poi ancora di più, per non distruggermi. «E deve rendermi sempre più forte affinché io non mi riduca in polvere. «Sempre più forte! «Di fatto, la divinità lo compie nell'istante stesso in cui l'angelo me lo annuncia. Scoppio. Il mio cuore è palpitante. Questo cuore! La forza m'invade, mi assorbe e mi stupisce. La forza si produce in me! Piacere! Grido! Silenzio...» La Vergine ha sperimentato il più grande orgasmo dell'umanità. Dice fra sé: «Inspiro... È con me. Non sarò mai più la stessa. «Inspiro e arrivo al momento della creazione dell'Universo. «Inspiro e arrivo alla fine dell'Universo. «Sento la vita di tutti gli astri. «Vedo tutti gli uomini che verranno. «Ho la conoscenza totale. «Porto un Dio dentro di me. «Cosa succederà adesso in me, dentro le mie cellule? Lui comincia a crescere. So di possedere in me la coscienza assoluta di Dio. Port o una coscienza superiore alla mia, e questa coscienza mi sostiene, mi osserva e mi guida. Ora so di non aver paura, perché aspetto Dio dentro di me. Nel mio intimo, non fuori di me. Po rt o l'infinito totale. Ho dato le mie cellule a Dio. Lui mi ama perché si ricopre con l'unica cosa che mi resta: la mia carne. Sono carne vuota. Lui si nutre del mio cadavere vivente. «A partire da adesso do il mio essere totale. Tutto sarà al servizio del tempio che si erige dentro di me. Io sono il tempio e porto in me l'altro tempio: il corpo del mio Signore. «Qui, nel mio ventre, si trova mio padre. Ora tutto il mio essere si consacrerà a mio padre. Lui crescerà nel mio ventre. A Lui offro la mia carne più pura. È mio padre ma è anche un neonato. Io creo il neonato mentre Lui crea la sua anima. Nasce, dunque; da se stesso e da me. Mentre io creo Gesù, Lui sta per creare Dio. Lui è il Cristo. Lo facciamo insieme: collaboriamo. Lui non mi dà nulla: è in me. Io non gli do nulla: sono in Lui. Realizziamo l'opera insieme. «È mio figlio, mio amante e mio padre. 54 55 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio». «Lui mi ha dato una cellula e ora ne po rto quattro. È incredibile! Dentro di me, quattro delle mie cellule sono abitate da Dio. E poi, vertiginosamente, si sdoppiano: otto, sedici, trentadue, sessantaquattro... e così via, sempre abitate da Lui. «Chi sono? È inconcepibile! Dovrò sorvegliarmi da sola, perché potrei diventare pazza. Potrei pensare di essere la creatura più impo rt ante dell'umanità. Potrei credere di essere la più grande donna del mondo. La tentazione è immensa. In verità sarà bene che mi controlli, che -non creda a tutto questo. Sono un'umile serva, un granello di polvere. È Lui che mi ha scelto. Io non voglio nulla; Lui vuole tutto. «Questo Dio, questo bambino che po rto, è infinitamente più import ante di me. Io non conto per Lui. Non sarò io a influire su di Lui. Sarà Lui a influire su di me. È Lui, il mio bambino, che mi sta facendo. Come il mare, come la marea, mi crea a ogni ciclo. Non ho nulla da dargli; Lui ha tutto da prendere. La sola cosa che posso dargli è la mia purezza, la mia verità, il mio profumo e la mia devozione. Lui nasce dal mio profumo. Io non ho alcun merito, assolutamente nessuno! Lui è l'opera. Io sono il fiore effimero.» L'angelo aggiunge: Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio... Dice «anche» alludendo a Sara, rimasta incinta di Abramo a novant'anni. e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio. E Maria dice fra sé: «Se niente è impossibile per Dio e io lo port o dentro di me, niente è impossibile per me. Per la prima volta vivo quel che sono sempre stata, perché ho sempre desiderato l'impossibile. «E se niente è impossibile per Dio, ciò vuol dire che se desidero l'impossibile lo otterrò. Sono la dimostrazione vivente, per il mondo intero, che è necessario desiderare l'impossibile. Finché nessuno lo desidera, non si realizza. Finché qualcuno non lo desidera, non resta gravido della sua divinità interiore.» 56 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore...». Perché la serva, se sarà la madre? Perché la serva, se sarà il tempio e la struttura? Perché la serva, se non c'è redenzione senza Maria, in quanto non c'è Cristo? Perché Dio non poteva entrare in un tempio sudicio, imperfetto. Non poteva incarnarsi se non in ciò che è perfetto e fiorire sulla vetta più alta del corpo e dell'essere umano. Ciò nonostante, Maria pensa di essere la sua serva poiché obbedisce alla sua Volontà, ed esclama: avvenga di me quello che hai detto. Sta dicendo: «Accetto. Accetto perché so che sono la sua serva e non cadrò nella tentazione di sentirmi la più grande delle creature. So di non avere alcun merito nell'essere illuminata. In effetti: non c'è alcun merito. Non c'è altro Dio all'infuori di Dio, e siamo tutti suoi servi. Mi succeda pure tutto come hai detto! Io non ho fatto altro che darmi alla grazia. Non realizzo la mia illuminazione: mi consegno a essa. Sono priva di qualsiasi merito. Non ho nemmeno il merito di amare». La bellezza non ha merito. Maria è priva di meriti perché è la serva. È la bellezza di Dio, l'illuminazione di Dio, la grazia di Dio, il desiderio di Dio, la Legge di Dio, la fede di Dio, la coscienza di Dio. E l'angelo partì da lei. Quando Maria gli dice: «Sono la serva del Signore», l'angelo si allontana dalla sua presenza. Non c'è più niente da fare: Gabriele ha visto il fenomeno umano al suo grado più alto e non gli resta che lasciarla. Altrettanto succede a Maria: non ha più bisogno dell'angelo perché lei è con Dio. Il re è nella sua sposa. Che altro potrebbe fare Gabriele? Umilmente, si ritira. La sua missione è compiuta in quanto la Ver„ine è stata fecondata: è incinta, e Dio è qui, fra noi, nel ventre di una donna. Che nessuno neghi la bellezza del ventre femminile, che è capace di contenere Dio! 57 III È senza dubbio una bella storia e un capitolo meraviglioso. Sottolineiamo una cosa: se un cervello umano poté concepirlo (e diversi cervelli lo fecero), ciò significa che è inscritto nell'essere umano e che la nostra finalità consiste nel realizzarlo. Se non lo facciamo, l'angoscia sommergerà l'umanità. Bisogna sapere che abbiamo una divinità interiore. Possiamo sentirla in qualsiasi momento; è anche la divinità esteriore, ma è dall'interno che la sentiamo. Se l'angelo non sorge dall'intimo, se non sgorga dal cuore, non arriva da nessuna pa rte. Siamo un Universo infinito con un centro. Se entriamo in contatto con questo centro, la nostra divinità interiore potrà nascere. Così, quando parliamo di tutto ciò siamo Giovanni. Annunciamo, mostriamo, descriviamo: «Il tuo Dio interiore è il Cristo; il tuo corpo diventa il tempio, è la Vergine». È necessario realizzarlo dentro di sé, per questo bisogna isolarsi. Uno si mette a meditare e lo realizza. Nonostante tutto, ci sono nove mesi di lavoro. La Vergine, come tutti gli esseri umani, ha impiegato nove mesi perché era incinta di un uomo. Era scritto che Gesù fosse partorito e che, al contrario di Adamo, possedesse cordone ombelicale e ombelico (Adamo non ce l'aveva perché non aveva madre). Così, il Cristo nasce in mezzo all'acqua materna, in mezzo all'amore della donna, questo amore sacro. Lui le disse: «Benedetta tu fra le donne» (Luca 1,42), e ciò significa che la Vergine racchiude in sé l'amore di tutte le donne. Giuseppe era al suo fianco perché è il padre di Cristo. I Vangeli dicono che è il padre spirituale. Impedendo che Maria fosse lapidata, e poi proteggendo tutta l'infanzia di Gesù, Giuseppe gli dona la sua vita. Giuseppe è il nostro spirito interiore. Tutto si realizzerà sotto la sua sorveglianza. Per arrivare all'illuminazione si attraversano emozioni profonde che possono farci naufragare nella follia o nella mort e. Giuseppe ci farà attraversare queste emozioni senza che ci perdiamo nei loro eccessi. Così, andiamo verso l'illuminazione come su una corda tesa tra la follia e la mo rte, ed è Giuseppe a sorvegliare queste esperienze e a salvarci. È la nostra coscienza, senza la quale siamo incapaci di compiere il lavoro. Maria è una ragazza che ha sposato Giuseppe. Naturalmente, anche lui è molto giovane. Contrariamente a quello che ci si immagina, non è vecchio. Il Vangelo si prende la briga di precisare con grande chiarezza che Zaccaria era in età avanzata; al contrario, in nessun momento specifica che Giuseppe fosse anziano. Solo la tradizione popolare lo dice. Questa tradizione, evidentemente, vuole che Giuseppe sia un vecchio perché sarebbe scandaloso se Maria avesse vissuto con un uomo. Si vuole che Maria abbia abitato con un impotente, non con un maschio. Giuseppe invece è un uomo giovane e bello: perché mai questa giovane così bella e perfetta avrebbe dovuto sposare un vecchio impotente? Cosa avrebbe fatto con un nonno? E, d'altra part e, perché un anziano avrebbe voluto sposare una giovane vergine in possesso di quell'incredibile spirito, di quella purezza e di quella forza di cui sappiamo che era dotata? Se qualcuno sostiene il contrario, spieghi allora perché Giuseppe deve per forza essere un vecchio. Fare di Giuseppe un uomo finito equivale a spogliarlo di tutta la sua potenza. Di fatto, si tratta di un uomo giovane e vigoroso, un adolescente in gran ferma e dotato di un apparato genitale perfetto. Concepirlo in tal modo mi sembra più fondato, più adatto alla nostra epoca, dato che saranno i giovani a produrre il Cristo:' Allo stesso modo, pensando in termini artistici, non posso fare a meno di credere che fosse giovane. Se avessi scritto io il 58 59 MARIA E GIUSEPPE In quale momento Maria comunica a Giuseppe di essere incinta? Appena Dio l'ha posseduta, Maria sa` sentendo la potenza sacra nel prop rio corpo, di essere già incinta. Allora, intraprende immediatamente un viaggio per far visita a Elisabetta e rimane con lei fino alla nascita di Giovanni, che ha luogo tre mesi più tardi. In seguito, suppongo, torna a casa e ritrova Giuseppe. Allora gli annuncia: «Sono incinta di tre mesi». (Se si calcola a partire dai dati offerti in questo capitolo del Vangelo, c'è una certa discrepanza temporale; ma non preoccupiamoci per questo: siamo nei territori del mito, dove alcune leggi umane sono abolite.) Il Vangelo ci dice che Giuseppe, siccome era giusto e non voleva che il popolo la lapidasse per adulterio, decise di partire in segreto. Proviamo a immaginare, con tutti gli elementi che possediamo adesso, il tremendo shock provato da Giuseppe quando scopre che la donna che ha scelto per sposarsi è incinta di Dio, che pertanto diventa il rivale di Giuseppe. Per part e mia, se amassi profondamente e completamente una donna e scoprissi che è stata fecondata da Dio, è certo che sarei geloso di Lui, come se si trattasse di un altro qualsiasi. Quale bene potrebbe venirmi dal fatto che sia Dio? Il mio primo impulso è quello di vedere chi mi ha rubato la moglie. Si è preso gioco di me! Se ci sono così tante donne al mondo, perché ha scelto proprio la mia? È il più grande amore della mia vita e mai più ne avrò un altro! Il fatto che Maria abbia sacrificato la sua vita sessuale per la creazione di Gesù implica che anche Giuseppe ha sacrificato la sua per la stessa enorme e bellissima ragione. Altrettanto bello è che la storia di Maria e Giuseppe sia una storia d'amore. Ciò dà ancor più forza alla partenza in segreto di Giuseppe. Egli sogna che un angelo gli parla. Abbiamo già visto che meraviglia può essere un angelo: un complesso poligono di fuoco. L'angelo gli dice: «Devi tenerti vicina Maria perché da questo bambino dipende il destino dell'umanità». Questo è determinante: il destino dell'umanità dipende da Giuseppe, dato che lui avrebbe potuto far lapidare Maria. Più tardi questo destino dipenderà di nuovo da Giuseppe, perché fa un altro sogno e po rta con sé il bambino in Egitto per proteggerlo da Erode. Ed è ancora Giuseppe, in seguito, che lo riporta dall'Egitto. Non lo si ripeterà mai a sufficienza: senza Giuseppe non c'è Cristo. È un uomo che segue sua moglie nella misura in cui lei ha scelto di vivere al massimo grado di coscienza. 60 61 Vangelo non avrei ripetuto uno dei miei «effetti» drammatici: già Zaccaria era un anziano, perché replicare questa situazione con Giuseppe? Sarebbe come dire che due importanti personaggi del Vangelo sono figli di anziani e che solo i vecchi possono procreare i profeti e gli dei. È molto più bello, invece, pensare che Giuseppe fosse giovane come Maria — o appena un po' più grande di lei — ed entrambi in età di sposarsi secondo la tradizione giudea dell'epoca. Se desideravano avere figli, gli ebrei non aspettavano di invecchiare per contrarre matrimonio. Inoltre è bello che Giuseppe sia giovane e che non accetti le parole di sua moglie: «Sono incinta di Dio»; questo ci dimostra che l'amava davvero. Giuseppe discendeva dalla stirpe di Davide e abitava nella città di questi, Betlemme, mentre Maria risiedeva a Nazaret. Più tardi, in occasione del censimento — come si può vedere in «Nascita di Gesù» (Luca 2,1-21) —, Giuseppe si porta Maria a Betlemme. Abbiamo già visto che Nazaret, essendo uno dei villaggi più piccoli del paese, è un borgo quasi immaginario. Maria non era oriunda di Betlemme; inoltre, non si parla della sua famiglia né si descrive il suo albero genealogico. Maria proviene da una famiglia anonima. Come è potuto accadere che un uomo sorto da una discendenza così prestigiosa sposasse una donna di lignaggio sconosciuto, che risiedeva in un borgo quasi inesistente? La risposta è che era perdutamente innamorato di lei. Se Giuseppe non avesse amato così totalmente, terribilmente, profondamente e appassionatamente Maria, il racconto non avrebbe alcuna ragion d'essere. È il più grande amore che l'umanità abbia conosciuto. Lamore di Giuseppe e Maria è più grande di quello di Romeo e Giulietta. Eva fece lo stesso: senza di lei non sarebbe esistita Maria. La grande eroina del nostro mito o della nostra religione è Eva. Adamo viveva senza preoccupazioni nell'Eden, saltellando come un bambino. Se fosse rimasto lì, oggi saremmo in paradiso, né più né meno intelligenti dei gorilla. Non sarebbe successo niente. Eva però volle essere inte lligente a scapito di tutto: fu lei a muoversi in direzione del risveglio quando si mise ad ascoltare il serpente, vale a dire quando obbedì alla chiamata dell'intelletto. Senza di lei non ci sarebbe stata caduta e senza di questa non ci sarebbe stata ascensione. Senza Eva, Maria non sarebbe esistita, dato che Maria equivale alla sua realizzazione. Quando veneriamo Maria dovremmo rendere omaggio anche a Eva e capirla. Se un giorno si realizzerà la presa di coscienza collettiva, sarà grazie a lei. Eva mangiò dell'albero della conoscenza e fece bene. Ora giungiamo alla fi ne di quest'albero e dobbiamo mangiare dell'albero dell'eternità. Secondo il mito o la religione, dobbiamo mordere proprio il frutto dell'eternità. Raggiungeremo l'eterno. Grazie a Eva, grazie al serpente. («Oh anima, che fai della tua caduta un'ascesa!» si dice nel Dibbuq, una pièce di teatro yiddish.) È davvero possibile pensare che Giuseppe e Maria fossero così? Personalmente li vedo invece entrambi giovani, robusti e svegli. Vedo la Vergine Maria salda e fo rt e, così fo rt e da aver generato un Dio: per essere capace di portare l'intero potere di Dio nel suo grembo, bisogna che Maria possegga una considerevole energia fisica. C'è bisogno di un ventre e di ovaie piene di energia, di un utero potente e di una indescrivibile elasticità. C'è bisogno di buone gambe e di un petto pieno di un latte meraviglioso. Dovendo nutrire Dio, a Maria non poteva mancare il latte. Non poteva offe irgli alimenti acidi o avvelenati, o che gli provocassero l'orticaria. No: Maria è piena di purissimo latte e gli dà tutto ciò di cui ha bisogno. Maria è fo rt e. Non nutre alcun timore. Niente e nessuno la spaventa. Come può Maria spaventarsi per qualcosa se non si è spaventata di fronte all'arcangelo Gabriele, che sta al co- spetto di Dio? È una questione di preferenze: secondo alcuni, Giuseppe era un vecchio dalla barba bianca che trascinava i piedi e aveva le mani callose per aver lavorato a lungo il legno; e Maria era una ragazza innocente, ignorante, ingenua, dedita solo a nutrire il neonato. Secondo questa versione, l'immagine di Maria corrisponde a una donna buona, pura, ingenua, ignorante e un po' sciocchina. In effetti: Giuseppe la protegge senza sapere bene perché. Maria è tanto umile che Dio le ha fatto l'onore di produrre un Dio. La più alta de ll e sue «qualità» è quella di seguire Giuseppe, di lasciarsi condurre. Questo anziano, ricco di esperienza, guida la piccola e gentile Maria. Le dice: «Andiamo in Egitto, mia cara. Non preoccuparti! Conosco la vita. Seguimi tranquillamente! Occupati del tuo bambino! Dagli da ciucciare!». E lei, innocente e sottomessa, risponde: «Sì, mio caro Giuseppe. Ti ascolto e ti seguo». È una donna che è stata avvolta dall'ombra del Signore. Si tratta di uno shock paragonabile a quello di tremila sedie elettriche. Bisogna immaginare l'inconcepibile piacere che prova nel corso di questo evento. Lo Spirito Santo è entrato nel suo cuore, che è aperto, e Dio per intero si è introdotto nel suo corpo. Il potere totale l'ha penetrata. Potrebbe una fr agile ragazzina vivere un simile momento? A metà di quest'ombra incommensurabile, per la prima volta Maria ha sentito la divinità penetrare in ciascuna delle sue cellule. È immaginabile un piacere più grande di quello che si sperimenta quando Dio entra in un corpo umano? Rappresenta qualcosa d'infinito. Quando Dio entra nelle ovaie di Maria, lei non of fr e nessuna resistenza. La vagina è completamente umidificata (poiché si tratta di un essere normale che prova un desiderio totale). Il cuore è completamente aperto. Il cervello assolutamente vuoto. Niente famiglia, niente ricordi, niente: Maria non è altro che carne aperta. Il suo cuore, il suo sesso, tutto è aperto. In quell'istante Dio stesso ha invaso ogni cellula del suo corpo, che deve aver sperimentato un tremito immenso. Maria dovette dar prova di una forza inconcepibile per contenere questo enorme potere. 62 63 Così, in un'esplosione di incommensurabile piacere, Maria assorbe la divinità nelle sue ovaie e resta incinta. La donna che ha attraversato una simile esperienza dev'essere accompagnata da un uomo altrettanto forte. Quest'uomo era Giuseppe. Era pronto a battersi contro tutta quanta Roma, contro il mondo intero. Era pronto a proteggere il segreto di quella nascita per tutta l'infanzia di Gesù. Ricordiamo che, se si fosse saputo, il bambino sarebbe stato assassinato. Giuseppe è prontissimo a difenderlo. Perciò lo po rt a con sé in Egitto quando riceve l'ordine. Passano dieci anni all'estero. Di cosa vissero in questo periodo? Dell'oro offerto dai Magi. Non era una coppia di poveri contadini: possedevano uno scrigno d'oro, e altri di mirra e incenso, due sostanze che valevano il loro peso in oro, dato che era difficilissimo trovarle. assoluta di piacere nella vita, persone con il sesso rinsecchito, orgasmi precoci e così via. Se ci applichiamo a leggere il mito veramente alla lettera, troveremo senza ombra di dubbio che Maria è stata colei che ha provato il più grande piacere di tutta la storia umana. Se è esistito un essere che abbia sperimentato un orgasmo cosmico, è lei. Non può, pertanto, essere il simbolo della frigidità. Al contrario, essa è il simbolo de ll a donna appagata e soddisfatta in tutto il suo essere. Inoltre, Maria si realizza in quanto madre. Lo vedremo in seguito. VISITA DI MARIA A ELISABETTA (Luca 1,39-56) In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fr etta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Quando penso alla Vergine non posso dimenticare che oggi un'elevata percentuale di donne non conosce l'orgasmo cosmico. La cosa peggiore è che questa frigidità femminile nella nostra civiltà proviene da una cattiva interpretazione di Maria. Proprio la donna che ha avuto il più grande orgasmo di tutta la storia dell'umanità ha prodotto il numero più considerevole di donne frigide nel mondo. Nel corso del mio lavoro con la psicogenealogia mi sono imbattuto in alberi genealogici nei quali tutte le donne si chiamavano Maria e gli uomini Giuseppe: molto spesso portare questi nomi corrisponde a una carenza di attività sessuali. In una cattiva interpretazione dei Vangeli la Vergine Maria è rappresentata come frigida e Giuseppe come impotente. Ciò ha provocato drammi sociali, suicidi, nevrastenie, alcolismo, cancri, tubercolosi, malattie cardiache ecc. Il dramma de ll a nostra mitologia male interpretata, nella quale c'è una concezione de ll a Vergine Maria priva di sessualit „ ha provocato più morti di Hitler. Famiglie complete sono state afflitte da questo problema, che è altresì la causa di stragi ecologiche e sociali, di vite sprecate da persone che hanno sofferto la mancanza Conosciamo già Zaccaria ed Elisabetta. Dove si trovano dopo essere stati aiutati a concepire un figlio dall'angelo del Signore? Dopo che Elisabetta è rimasta incinta, lei e il marito si sono nascosti. Hanno vergogna di dirlo. Zaccaria non può farlo, dato che è diventato muto, ed Elisabetta non osa mostrare il suo ventre che comincia a crescere. Elisabetta è talmente vecchia che, normalmente, dovrebbe morire per la gravidanza. Cosa accade perché sia in grado di sopportarla e di portarla a termine? Di fatto, tutto il suo organismo è ringiovanito. Elisabetta è come un vecchio albero che si riempie di nuova linfa. Tutta la sua carne è stata rinnovata ed è be ll a. Infine, ha avuto il piacere di sapere che era capace di generare. Il miracolo si è verificato: Elisabetta è incinta di suo figlio e ne è molto orgogliosa. Non sa che è incinta di Giovanni; nessuno glielo ha detto. Rimane, dunque, un mistero. Zaccaria sa che è stato aiutato e che non è così potente come crede Elisabetta. Lui non si sente orgoglioso. 64 65 Mentre lei sta formando il bambino, Zaccaria sta formando il proprio spirito. Al principio non aveva creduto, e anche davanti all'angelo aveva conservato un dubbio. Il suo spirito è puro, ma non perfetto. E così, durante i nove mesi in cui Elisabetta crea Giovanni, Zaccaria si consacra a costruire il proprio spirito e anche la propria fede, poiché l'aveva perduta. Sa che avrà un figlio, però non è ancora convinto. Cosicché passa un mese, due, tre... in silenzio, nella totale assenza di comunicazione. Tuttavia Zaccaria è un sacerdote, e cosa fa un sacerdote ebreo durante tutto il giorno? Discute le Scritture con gli altri sacerdoti. Ma essendo sordo e muto Zaccaria non può farlo: è smarrito e vede i suoi amici studiare la Bibbia senza potersi unire a loro. È incapace di dire una sola parola e di udire quel che sia. Passa così nove mesi nel silenzio di Dio, osservando il grembo di sua moglie. È 11, separato dalla Toràh, nell'oscurità e nel silenzio totale: in fondo a un pozzo. Bisogna immaginare con quanta impazienza dovesse aspettare la nascita di quel bambino per verificare se era tutto vero. Zaccaria aspetta, dunque, però manca di fede. E finché non l'avrà, non potrà parlare. vecchio dolore fino al termine de lla vita. Esiste una speranza di cambiamento, in ogni caso. Siamo segnati da tutto quello che ci capita, da tutti gli insuccessi cui siamo andati incontro. Eppure cambierà. In questo capitolo del Vangelo si chiede qualcosa di concreto al nostro anziano e alla nostra anziana interiori: avere fede. Fede. Se accettiamo, dobbiamo sottometterci al silenzio per lavorare, senza comunicare con nessuno. Dobbiamo creare questa fede senza chiedere aiuto. Dobbiamo lavorare nel nostro intimo. Dobbiamo, in seguito, attraversare il deserto, la solitudine che c'è dentro di noi, l'oscurità e l'assenza totale di comunicazione interiore. Poi, una volta che ci siamo resi conto di essere sordi, muti e soli, in quel preciso momento potremo parlare, esprimerci e ricevere la nostra fede. Se non abbiamo fede dobbiamo immergerci nel silenzio. A cosa corrispondono Elisabetta e Zaccaria nel nostro intimo? Rappresentano la nostra vecchia vita, la sconfitta della nostra vita di un tempo, dove tutto andava bene però non avevamo fede. Simboleggiano tutto ciò che abbiamo vissuto e il dolore per quello che abbiamo passato. Elisabetta è una donna afflitta e la sua sofferenza servirà per un certo fine. La pa rte di noi che soffi e e non ha ricevuto tutto quello che aspettava è Zaccaria. Bisogna che a un certo punto questa parte si immerga nel silenzio e si decida ad avere fede — di questo si tratta —, ad accettare che la sua sofferenza generi un essere che preparerà la strada alla presa di coscienza assoluta. Questo essere è il nuovo io. È Giovanni. Zaccaria, dunque, è quella pa rte di noi che deve generare l'amore nel nostro intimo per rinnovarsi; richiede di aver abbastanza fede da pensare che non dobbiamo restare nel nostro Zaccaria non riceve aiuto: vede ingigantire l'evento dentro di sé e non può fare nulla. Non so se creda o no, però so che in ogni caso dice fra sé: «Qualcosa in me sta per cambiare». Dovremmo riuscire a vedere che dentro di noi qualcosa si fa strada. Constatiamo intanto che Elisabetta è incinta: è la prova decisiva che quel qualcosa sta crescendo. Giovanni però non è ancora nato. Ed è indispensabile farlo nascere. In quel momento arriva Maria. Ha attraversato di fretta il paese ed entra nella casa di Zaccaria senza toccare la po rta. Essendo stata fecondata, ha in sé un bocciolo di cellule grande quanto'l'Universo. Esteriormente non si nota, il suo ventre non si è ancora arrotondato. Ma lei sa di non essere più la stessa. Solo Maria lo sa: po rta con sé un segreto. L'angelo l'ha informata che Elisabetta è incinta e subito dopo Maria si precipita a trovarla. Perché? Sta vivendo l'esperienza della sua vita e desidera comunicare con qualcuno come lei: viaggia per vedere una sua simile, vale a dire per vedere il suo livello. Quale è la gioia più grande di una persona illuminata? Incontrarsi con un altro illuminato e poter parlare allo stesso livello, sperimentare il piacere di essere di fr onte a qualcuno non per parlare di sé, ma per vibrare insieme sullo stesso registro. 66 67 In genere, quando veniamo da una meditazione, da un periodo di lavoro su noi stessi, o quando abbiamo appena acquisito una nuova conoscenza, ritorniamo alla vita quotidiana e subito siamo aggrediti, umiliati: si prendono gioco della nostra scoperta. Ciò è deplorevole. Al ritorno da questa nuova esperienza vorremmo incontrare persone che condividano la nostra scoperta, e invece no! I nostri parenti, amici, vicini, tutti ci aggrediscono perché esiste una cospirazione contro la presa di coscienza. Le persone ci hanno conosciuto tali e quali eravamo, con la nostra mediocrità, e ciò bastava loro. Se stavano con noi, era perché volevano mantenere inalterato quel livello. È terribile quando una coppia fa un lavoro su di sé e uno dei due avanza mentre l'altro rimane indietro. Non pensiate che quest'ultimo sia felice del progresso del suo amato; succede il contrario e ne deriva una catastrofe con riflessioni come: «Ma chi ti ha cambiato? Smetti di frequentare certa gente! Non è possibile! Non ti riconosco più. Non sei come prima e questo mi fa soffrire. Allora, o torni quel che eri o sarò obbligato a cambiare io, e non voglio». Non vogliamo mutare, non lo vogliamo assolutamente. L'io si abbarbica. L'io negativo sa che deve esplodere affinché noi mutiamo e non è disposto a farlo. È come un uovo; a un dato momento l'uovo inizia a tremare e dice fra sé: «Perdiana! Come mi piacerebbe essere messo nell'acqua bollente e diventare sodo, in modo che non ci sia un pulcino che mi rompe dall'interno!». Maria, quindi, entra nella casa di Zaccaria. Lui la vede passare ma non può parlarle. Maria va direttamente a trovare Elisabetta: cosa fa in quel momento? Può fare solo una cosa: ringraziare la divinità per aver ricevuto quel regalo. Elisabetta ha tanto desiderato quel bambino che è totalmente concentrata sulla sua gestazione. Ha pulito la sua stanza, ha messo fiori dappertutto, ascolta una musica meravigliosa. Tutti i cattivi odori sono stati eliminati e non c'è ombra di sporco in casa. Elisabetta ha apertole finestre; le tendine sono bianche: tutto è luce. La casa è preparata affinché nessuna bruttura del mondo entri nel bambino che ha tanto aspettato. Lei gli offr e quanto ha di meglio. Questa donna si trova in uno stato di religiosità assoluta. Elisabetta sa molto bene che il feto sperimenterà tutto ciò che lei vivrà durante i nove mesi di gravidanza. Sa anche che le sue emozioni saranno alla base dello sviluppo del cervello di suo figlio. Così, farà ogni sforzo possibile per restare calma, tranquilla e in pace. Elisabetta non avrà paura perché nel suo grembo cresce un bambino sacro: lei lo sente e sa di vivere un miracolo, dato che, se ha generato alla sua età, vuol dire che ha ricevuto un dono meraviglioso. Così, si trova in uno stato di calma perfetta. È già incinta di sei mesi. È anziana, però i suoi seni cominciano a gonfiarsi e si vede che il suo petto è pieno di latte. È qualcosa di sublime: la vita stessa che nutre un corpo che già aveva detto addio al mondo. Infatti Elisabetta ha settanta o ottant'anni ed è piena di vita. Nemmeno un quadro di Leonardo da Vinci potrebbe immortalare un avvenimento tanto bello come questa umile donna che se ne sta nascosta, con i suoi capelli bianchi e la pelle rugosa, il ventre ingrossato e i seni gonfi. Elisabetta sta dritta perché con la sua colonna vertebrale deve sostenere il bambino. Perciò deve poggiare bene i piedi. Chissà, forse non ha più denti... Si trova in uno stato di totale euforia. Bisogna rendersi conto di cosa rappresenta il fatto di sentire la vita in un corpo vecchio. È fantastico, senza dubbio: la cosa più bella che si possa immaginare. In questo momento, cosa succede? Da una pa rte c'è un'anziana piena di nuova vita e, dall'altra, una ragazza di quindici anni che è stata penetrata completamente da Dio e lo po rta nel suo corpo. Sono due monumenti sublimi. La prima po rta Giovanni: uno degli uomini più santi che siano mai esistiti (possiamo anche dire che era il più santo, dato che è il primo ad annunciare il Cristo); l'altra po rta con sé il primo seme di Gesù, il seme che cambierà tutta l'umanità. Maria ha il cambiamento totale nel suo grembo; ciò significa che porta la nostra intera civiltà e tutte le civiltà future: po rta la rivoluzione, la convulsione, la caduta di un impero... Queste due donne si guardano: che incontro! Se volessimo 68 69 parlare di un incontro femminile modello, eccolo. Potremmo forse pensare che comincino a criticarsi o che entrino in competizione, o che desiderino verificare quale delle due abbia maggior merito? A partire dal momento in cui si incontrano, si capiscono e si adorano, avendo conosciuto entrambe un alto grado di possessione. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce... Elisabetta non sa assolutamente che cosa è accaduto a Maria. Nel suo mondo personale è incantata, realizzata, e non si commuove per nessun motivo. D'improvviso vede arrivare una ragazza e immediatamente il suo feto si mette a vibrare perché ha riconosciuto il Cristo. Il feto di sei mesi parla a Elisabetta da dentro. Ha presentito quel punto incredibile di luce. Siccome Giovanni viene ad annunciare il Cristo, il feto sa già che Cristo si è incarnato nel grembo di Maria. Ciò implica che già nel grembo di Maria il feto conosceva la propria finalità. Allora comunica; e la minuscola incarnazione, che è pienamente cosciente, invia una vibrazione. È impossibile affermare che il Cristo non fosse cosciente fin dalla sua prima cellula: egli è la coscienza assoluta. Così il feto-Giovanni assorbe completamente la coscienza assoluta e si muove nel grembo di sua madre. Lei lo percepisce e ascolta la voce del figlio che vuole dirle qualcosa e che in effetti le trasmette un messaggio. Subito questa anziana, che è umile e non informata, si mette a tremare d'estasi e lancia un grido immane. Che tipo di grido? Una manifestazione di allegria. Il testo dice che Elisabetta si ritrova piena di Spirito Santo: dunque è un potere ineffabile quello che la riempie. Da dove viene questo potere? Dal suo feto, dato che l'angelo aveva predetto che suo figlio sarebbe stato pieno dello Spirito Santo. E da dove viene questo Spirito? Dall'altro grembo. Questo 70 emette vibrazioni mentre l'altro le riceve. Entrambe le donne ascoltano i rispettivi feti allo stesso tempo. È il contrario di quel che accade ai nostri giorni, quando i feti sono costretti ad ascoltare i genitori. Oggi praticamente nessuno sta in ascolto del proprio feto. Al contrario, gli imponiamo tutto. Gli imponiamo il suo albero genealogico, il carattere, le nevrosi ecc. Chi ascolta nella nostra civiltà la voce del proprio feto? Nessuno o quasi. Quando si trova nel grembo materno, il bambino è considerato una specie di girino. Dato che non è ancora nato, non esiste. Lo vediamo vivere e muoversi, però rimaniamo in pieno delirio narcisista. Queste due donne sanno di portare in sé dei monumenti e li ascoltano. Elisabetta dice a questa ragazza di quindici anni che è andata a trovarla: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! Fra quali donne? Fra tutte quelle che sono nate e nasceranno. Elisabetta le dice: «Sei, per sempre, la più benedetta fra le donne dell'umanità». Tuttavia, non è Elisabetta a parlare, ma il suo feto: sono le prime parole di Giovanni. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? L'anziana, orgogliosa di suo figlio, riconosce immediatamente il miracolo e si inchina di fr onte a questa ragazza, la sua cuginetta di quindici anni. Assistiamo, quindi, a un miracolo di percezione. Immaginiamo la forza che emanava da Maria. Non è un'adolescente che arriva con l'aria timida, innocente e timorosa. Ad aprire la po rt a è un essere che sa. È un Maestro: un vero Maestro di fronte al quale tutti i guru del mondo si inchinerebbero così come fa Elisabetta. Di fr onte a questa ragazza, tutti i sapienti del mondo si inchinano, tutti i Buddha, tu tt i i Maometto, tutte le culture, tu tt i i romani, tutti gli ebrei... Se seguiamo il mito, l'umanità intera si inchina di fr onte a questo essere. La storia completa dell'umanità, tutti quelli che hanno vissuto e quelli che vivranno si inchinano. N oi stessi ci inchiniamo davanti a questa ragazza incinta: è 71 l'esempio de ll a donna incinta come dovrebbe sempre essere. Finché le altre donne non genereranno come lei, la coscienza collettiva non nascerà. Bisogna farlo, imparare cioè ad avere un bambino. Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. Il bambino si muove nell'udire il saluto di Maria. Occorre immaginare quella voce. Potremmo pensare che Maria parlasse con voce nasale o una voce strozzata in gola o nel petto? Com'è la voce di questo Maestro? Ha una respirazione affannosa? La sua inspirazione si arresta nella glottide o nel diaframma? È un essere che respira la divinità, il cosmo. In ciascuno dei suoi respiri Maria inspira fino in fondo alle sue ovaie perché Dio si trova lì. In quel momento Maria pensa soltanto ad alimentarlo, a compiere la propria missione: lei non esiste. Per Maria esiste solo quella goccia che si trova nel suo grembo e che non è per lei. Se lei respira, dunque, è per ossigenarsi completamente il corpo. Inspira il cosmo fino in fondo ai suoi atomi, e dopo espira un'aria profumata benedetta. È pienamente unita al cosmo, dato che solo un essere cosmico può portare colui che Maria po rt a. La sua voce, pertanto, è delicata. Non c'è alcuna differenza tra Maria e la sua voce: lei è la sua voce. Quando parla, questa voce entra nelle orecchie di Elisabetta provocando in lei un cambiamento istantaneo. Detto in altre parole, la voce di Maria eleva immediatamente il livello della coscienza di Elisabetta. Allo stesso modo in cui il Cristo guarda una persona e questa si alza e lo segue, poiché è avvenuta una comunicazione tramite lo sguardo (col suo sguardo entra in profondità nell'essere e automaticamente ne eleva il livello affinché diventi un essere spiritualmente elevato), la voce di Maria penetra nel nostro cuore. È impossibile che la voce di questo personaggio mitico non ci arrivi al cuore. A quale parte di Elisabetta si rivolge una Vergine Maria come quella che cerchiamo di concepire? Maria parla al cer72 vello, al sesso e, principalmente, al cuore di Elisabetta. Maria è una donna di cuore. Quando ci parla, il nostro cuore si mette a vibrare. Nell'udirla proviamo la gioia più grande della nostra vita. È, dunque, una conversazione d'amore. Cosa succede a una persona quando ascolta la voce del suo amato? Cosa fa un bambino, per strada, quando sente d'improvviso la voce della madre? Si me tt e a saltare di gioia. Ricordiamo la voce di nostra madre quando eravamo piccoli: era il nostro più grande piacere. Se incontriamo qualcuno che ha la stessa voce di nostro padre o di nostra madre, ci si strugge il cuore. Le nuove generazioni possono sperimentare questa gioia perché oggi siamo in grado di registrare le voci su dischi o cassette. I bambini potranno così vivere questa enorme emozione, potranno chiedersi: «Com'erano le voci di mio padre o di mia madre all'epoca in cui sono nato?», e ascoltarle subito. Potranno sentire il padre che dice: Ti parlo mediante questa registrazione che ascolterai fra vent'anni. Parlo al tuo futuro. Voglio che tu sappia che io ero lì fin dal primo secondo della tua nascita (e anche dal primo secondo della tua concezione). Ti aspettavo. Ero consacrato a riceverti. Ero a fianco di tua madre. Quando sei uscito dal suo grembo, sei finito sulle mie ginocchia. Ora ti sono vicino e spero di esserlo ancora quando ascolterai questa registrazione. Se non sarò più accanto a te, sappi che la mia voce mi contiene per intero. È la cosa migliore che ho. Te la trasmetto perché può aiutare il tuo sviluppo e l'ottenimento della coscienza universale. Oppure potranno ascoltare la madre: Piccolo(a) mio(a): ti ho dato il meglio del mio sangue e del mio essere. Partorirti è stato per me il più grande piacere del mondo. Non c'è stata lotta fra te e me. Abbiamo lavorato insieme alla tua nascita. Non hai avuto la necessità di batterti contro di me per nascere. Non è stato un affrontarsi. Entrambi, tu e io, alla presenza di tuo padre, abbiamo fatto uno sforzo insieme e tu sei uscito da me. La tua uscita non è stata una rottura né una separazione, ma un processo di prolungamento, perché nella vita, figlio(a) mio(a), non c'è rottura né separazione. È tutto un processo continuo. Niente comincia. Niente finisce. Sono, dunque, una parte del tuo processo. 73 Sono felice che tu possa ascoltarmi nel futuro. Spero di essere lì con te. Altrimenti, sappi che, mediante la mia voce, ti trasmetto tutto il mio amore. Spero che un giorno questo amore che ti do con la mia voce possa servirti ad attraversare le tenebre se sei nell'oscurità, o a ricevere ancora più luce se sei nella luce. fetale, la sua nascita e anche la sua mo rt e, la sua rinascita, ciò che diventerà e le strade che seguirà per arrivare a essere coscienza cosmica: angelo. La voce di Maria arriva fino al feto di Elisabetta. Questo indica che ogni voce deve arrivare alla radice stessa della persona alla quale si rivolge. Quando comunichiamo con qualcuno dobbiamo stabilire un contatto con l'età che questo qualcuno ha al momento della conversazione, però dobbiamo comunicare anche con il suo bambino. Perché ognuno di noi po rt a in sé, fino alla mo rt e, il bambino che è stato. Così dobbiamo comunicare accettando tutte le età che possiede la persona con cui parliamo. Un essere umano non si riduce a ciò che emana da lui nel momento in cui sta parlando con noi. Ci rivolgiamo a lui in un determinato momento, ma ancor più al suo bambino, al suo anziano e a tutte le età comprese tra questi poli. Ci rivolgiamo persino alle sue reincarnazioni precedenti e future. (Perché non dire che ci sono?) Così siamo coscienti del fatto che l'altro non è fisso ma è invece un ciclo infinito. Faccia a faccia con l'altro, dobbiamo avere molta pazienza, tolleranza, benevolenza e speranza, sapendo che siamo incapaci di giudicare sull'istante. Questo è impossibile: occorre saper vedere il processo completo dell'interlocutore, che non si li mita all'istante in cui lo vediamo. È meraviglioso vedere un processo, vedere l'altro e al tempo stesso contemplare il suo bambino, il suo anziano, la sua nascita, la sua morte e la sua rinascita. Quando si arriva a questo, si capisce cosa significa comunicare con una persona: vederla completamente, vedere la sua vita anteriore, la sua vita Tutti diventeremo un Gabriele. È uno stadio che ci aspetta nel nostro processo. Ci prepariamo. Quando verremo ad annunciare il nuovo Cristo saremo pieni di luce, di spirali, di movimenti, di vibrazioni. Ogni istante sarà un momento di gioia creativa perché un angelo crea e si crea in continuazione. Quando diventeremo angeli saremo un'anima che crea, si crea ed è contenta di esistere, perché un angelo non può che essere estasiato. Tentiamo di immaginare cosa significa essere l'arcangelo Gabriele. È estasiato perché si trova al fianco di Dio. Potrebbe un angelo arrivare triste e sconsolato da Maria per darle l'annuncio? Al contrario: gioisce di essere il messaggero di Dio, di poter stare al suo cospetto senza bruciarsi. Se esiste qualcuno davvero a ll egro, è un angelo. Quando vediamo un angelo, all'inizio siamo terrorizzati; poi, ci dice: «Non temere», e di colpo non abbiamo più paura e cominciamo a ridere perché siamo allegri. È il riso assoluto. Ecco in cosa consiste essere un angelo. Tutti diventeremo angeli, senza alcun dubbio. È evidente che un giorno rideremo a crepapelle. Si dice che questa sarà l'illuminazione. A volte, quando i monaci si illuminano, la loro prima reazione è una risata, per esprimere e sperimentare la loro gioia di vivere. La gioia di vivere. In quanto artista ho l'opportunità di avere momenti di gioia creativa e anche quella di vedere qualcuno trasformarsi e realizzarsi. Quando vediamo qualcuno guarire, è la gioia totale. Non gioiamo forse quando qualcuno guadagna molto denaro o si realizza, o si illumina? Uno stato gioioso è un piacere per l'altro. Non è la gioia per noi, dato che la sperimentiamo. Ciò significa che l'illuminazione è sinonimo di gioire per l'altro, per la sua realizzazione. Che gioia ci procura un bambino quando è allegro! Per esempio, è meraviglioso vederlo aprire il suo regalo a Natale e mettersi a giocare al punto da dimenticare la nostra presenza. È talmente concentrato nel gioco che non ci vede nemmeno. Si 74 75 Riusciamo a renderci conto di cosa udì Elisabetta quando Maria le parlò? Dov'era la radice della voce di Maria? Nel suo grembo, in quel Dio che portava. Il suo Dio interiore era Dio. Egli parlava attraverso di lei. Maria non aveva bisogno di di dire determinate parole: era sufficiente che parlasse. Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. culla nel piacere assoluto e la nostra gioia personale consiste nell'avergli procurato la sua, anche se in quel momento non contiamo niente per lui. Che piacere, per un uomo, procurare un orgasmo a una donna che è stata frigida quasi tutta la vita. È davvero una gioia liberare qualcuno. L'allegria di aprire una prigione e dare la libertà a chi era incarcerato. L'allegria di curare un animale che soffi e. L'allegria di dare un po' di latte a un gatto abbandonato e guardarlo bere. Sono allegrie indicibili. Elisabetta loda Maria: E beata colei che ha creduto... Siccome Cristo è presente nel momento in cui Giovanni esce dal grembo di Elisabetta, la prima cosa che vede Giovanni è il grembo di Maria, ancor prima di vedere sua madre. È ovvio, dato che egli viene ad annunciare Dio e Dio è lì davanti a lui, ad aspettarlo. Giovanni stabilisce un contatto telepatico con Cristo ed entrambi comunicano ancora. E in questo modo si ratifica l'unione. NASCITA E CIRCONCISIONE DI GIOVANNI IL BATTISTA Quando crediamo, siamo fortunati. Credere fa più bene che non credere. Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. Allora le due donne cadono in estasi e Maria si mette a cantare un lungo poema gioioso. Entrambe sono illuminate. Elisabetta era incinta di sei mesi quando Maria andò a trovarla: possiamo pensare che le rimase accanto durante il suo parto. Nel momento in cui nasce Giovanni accorrono tutti i vicini e i parenti e si meravigliano del fatto che l'anziana Elisabetta abbia avuto un figlio. Diventa la curiosità della regione. È un fenomeno che tutti vengono a festeggiare. Di fatto, non sanno chi stanno festeggiando e meno ancora sanno che Dio è fra loro. Supponiamo che una donna segretamente incinta di Dio assista a un'assemblea. Nessuno lo sa e, ciò nonostante, nessuno può essere triste, proprio per il fatto che lo splendore di Dio non ammette tristezza intorno a sé. È quel che succede in questo parto. Maria, una donna che po rt a nel suo grembo il creatore dell'Universo, è presente, perciò tutto splende di energia e tutti si rallegrano senza sapere perché. Non sono coscienti di essere elevati da Dio, però, essendo tutti devoti, cadono in estasi. Quali sarebbero le nostre reazioni se arrivasse alla nostra porta una donna incinta del Messia? Domanderemmo chi è il padre? No: casomai le toccheremmo un po' il ventre e ci farebbe l'effetto di mille funghi allucinogeni. Entreremmo in un vero viaggio. Fluttueremmo. Per la prima volta nella nostra vita conosceremmo uno stato percepito solo da pochissime persone, in cui non si ha alcuna paura. Pochissime persone conoscono quella che chiamiamo pace, serenità, che si manifesta in questo modo: improvvisamente 76 77 «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e a ll a sua discendenza, per sempre.» Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. non abbiamo più problemi intellettuali o emotivi, desideri insoddisfatti e necessità materiali. Non abbiamo paura di morire o del futuro. Siamo completamente presenti, fluttuiamo e viviamo con l'Universo, immersi in una pace assoluta. Non abbiamo dubbi e non ci prefiggiamo mete. Non temiamo più aggressioni né la mancanza di qualcosa. Siamo qui interamente, nell'istante, nella pace totale, nel rilassamento assoluto, senza angosce né timori, né preoccupazioni. Durante la nascita di Giovanni tutti i presenti erano immersi in questa pace. In seguito Maria se ne va ed Elisabetta resta col bambino. All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Era tradizione dare al bambino il nome del nonno, e non quello del padre. Zaccaria però era talmente vecchio che la gente pensò di dare il suo nome al neonato. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Si tratta davvero di un miracolo, perché nessuno ha detto a Elisabetta quale doveva essere il nome del bambino. Langelo lo aveva suggerito nel tempio a Zaccaria, il quale però era muto e non aveva potuto comunicarlo. Così è del tutto autonomamente che Elisabetta dice: «No, si chiamerà Giovanni» e ciò significa che è stato il feto stesso a suggerirle quel nome. Gesù ha ricevuto il suo nome dall'arcangelo Gabriele. Poco dopo la sua nascita (Luca 2,21), c'è una frase precisa: Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Ciò significa che ognuno di noi possiede un nome prima di essere concepito. Non sarà un essere umano a darci questo vero nome, solo Dio può farlo. (Quando accettiamo che qualcuno ci battezzi e ci dia un nome, lo riconosciamo come nostro creatore.) Il nome che ognuno possiede prima di essere concepito non proviene dal suo albero genealogico. Quel che succede 78 di solito è che i genitori non siano percettivi: fanno figli per ragioni che non hanno niente a che vedere col motivo normale, che consiste nell'obbedire a ll a Legge divina e creare un essere che andrà per il mondo per aumentare la coscienza cosmica e realizzare il nuovo Cristo. Quando si genera un figlio affinché ci serva da stampella o da protesi, o per dovere, o ancora per problemi sessuali dovuti alle generazioni precedenti, egli avrà un nome prima di essere concepito, e non gli sarà dato dai nonni. È consuetudine ripetere in continuazione il nome di tutti i nodi nevrotici esistenti nell'albero genealogico. A volte l'inconscio fa degli scherzi con i nomi. Per esempio, una donna sposa un Pasquale; in seguito divorzia e sposa un altro Pasquale. Oppure ha una piccola fissazione col padre, che si chiama Emilio; gli anni passano e si prende per amante un uomo che assomiglia fisicamente al padre e che si chiama anche lui Emilio. A volte sono scherzi sinistri, come nel caso di un uomo che si chiamava Landru e che sposò la signorina Dufour.* Bisogna rendersi conto della vergogna e dei problemi che possono nascere da un nome. Conosco un uomo, Pierre Delhorme, che è insegnante di kendo (l'arte della spada giapponese). Le sue iniziali sono P.D.; quando volle inciderle su un anello, il gioielliere si rifiutò e scrisse invece D.P., trasformandolo giustamente in un maestro di spada.* Comunque sia, bisogna immaginare l'incredibile distrazione dei genitori. Si pensa che la ricorrenza dei nomi sia un caso, ma in effetti funziona come una trappola diabolica. Chiunque se ne può rendere conto studiando i nomi che ricorrono nel proprio albero genealogico; è come l'inconscio: vi troviamo tutti i segreti. Conosco il caso incredibile di un emigrante francese che iniziò in miseria, poi comprò un asino, poi un altro, più tardi Four significa «forno». Dunque, du four: «del forno». Henri-Désiré Landru era il nome di un celebre psicopatico francese, che uccideva le sue mogli e ne inceneriva i cadaveri in un forno. In francese le iniziali P.D. si leggono «pedé» , vale a dire «pederasta»• D.P. si legge invece «dépé», che suona come d'épée, cioè «di spada». 79 tutto un branco e, a ll a fi ne, un parco di camion. Accumulò una fortuna che fu ereditata dai suoi discendenti: tutte le donne di quella famiglia si chiamano Anne, Vivianne, Lilianne, Marianne... Ci sono dappertutto asini. È impo rt ante vedere come funziona il nome che abbiamo ricevuto. È il nostro vero nome o un appellativo malato imposto da un albero genealogico malato? Viviamo la nostra vita o quella di un altro, a causa del nome che ci hanno dato? Ci chiamiamo come un nostro zio che si è suicidato? Come una nonna morta di parto? Come un fratello morto da bambino? Quel che è preoccupante è che ci innamoriamo dei nomi e delle professioni, indipendentemente dalla posizione economica. Osserviamo bene i nomi delle persone con cui abbiamo avuto rapporti, cerchiamo di conoscere i nomi dei loro parenti e vedremo che si ripetono. Soprattutto, attenzione se ci chiamiamo Renato. In genere questo nome appare dopo la mo rt e di un membro della famiglia: un Renato nasce per prendere il posto e riempire il vuoto lasciato dall'altro che non c'è più. In realtà portiamo il nostro nome nelle cellule. Abbiamo un nome che non è personale. È nostra responsabilità battezzare noi stessi, un giorno. È il nostro Dio interiore che deve farlo. Bisogna rilassarsi e battezzarsi dicendo: «Il mio nome è...». Può darsi che, per caso, il nome sia ricevuto dai genitori prima della nascita del bambino, come accadde a Zaccaria e a Elisabetta. Non è impossibile. Quando aspettavamo mio figlio Adan, io e Valerie - la mia ex moglie - gli cercavamo un nome. Un giorno Valerie mi disse: «Lho trovato». Le risposi: «Anch'io». Mi chiese: «Qual è?», e io dissi: «Ada». Valerie esclamò: «Ma è incredibile! È il nome che avevo scelto anch'io! Ho pensato a Ada perché l'ho sentito pronunciare da una donna algerina e mi è piaciuto». Così avevamo deciso di chiamarla Ada, dato che allora credevamo tutti e due che si trattasse di una femmina. Ero presente al parto. Quando uscì e gli vidi i testicoli, gridai: «Ah, è un maschio! È Adan!». Asino in fr ancese è âne; per assonanza: Anne, Vivianne ecc. 80 Il destino lo aveva preparato per chiamarsi Adan: è stato lui stesso a darsi il nome. Penso che mio figlio porti il suo vero nome. Il vero nome del bambino dev'essere intuito telepaticamente dal padre e da ll a madre, all'unisono. Se sono sufficientemente intuitivi, i genitori lo ricevono prima che il figlio sia concepito, e questi avrà il suo vero nome; altrimenti sarà lui stesso a darselo più tardi. Quando pratichiamo la meditazione per trovare la nostra guida interiore, questa giammai deve somigliare a qualcuno, sia esso il Cristo, il nostro guru o chiunque altro. All'inizio essa si presenta senza volto. Arriva in forma nebulosa, come qualcosa di non formato. Così, via via che si sviluppano questi incontri, si forma e si precisa, e acquista allora un volto. Il metodo migliore per sapere se si tratta davvero de ll a nostra guida interiore, infatti, è verificare se assomiglia a qualcuno che conosciamo. Se assomiglia a nostro padre, a qualcuno che amiamo o a qualche conoscente, non è la nostra guida, ma qualcosa che è entrato dentro di noi. In tal caso è meglio abbandonare questo personaggio e cercare la nostra vera guida interiore, che ci sarà molto più utile. Nell'Antico Testamento, quando Mosè gli domanda qual è il suo nome, Dio non risponde con precisione ma gli dice: «Io sono colui che sono!». Poi, quando glielo chiede anche Giacobbe, Dio ride e non risponde. Non dice mai il suo nome perché Egli è l'unico che può conoscerlo. Allo stesso modo, noi siamo gli unici in grado di conoscere il nostro nome interiore. Se lo confidiamo a qualcuno, lo deformiamo. Non dare il nostro nome è un'attitudine divina: seguire questo esempio è un omaggio a ll a pa rt e divina di noi stessi. È giustamente la Vergine che dice: «Santo è il suo nome», senza però precisarlo. Nella preghiera si afferma: «Sia santi- ficato il tuo nome», però, quale nome? «Che il tuo nome per me sconosciuto sia benedetto.» Proprio perché non possiamo conoscerlo lo benediciamo e affermiamo che è santo. È bello dare tutto, però bisogna imparare a farlo. In un certo senso dobbiamo ancora imparare a custodire qualcosa 81 con amore. Se non sappiamo possedere niente con amore, non sappiamo dare. Finché non diamo il nostro nome, lo porteremo con un amore incredibile. Una volta che l'abbiamo dato non lo potremo portare col medesimo amore perché lo abbiamo condiviso. È evidente che bisogna condividere tutto, però deve esistere un punto irremovibile nel centro di ognuno di noi. Al centro di tutto ciò che diamo c'è qualcosa che non diamo. Lo daremo solo a Dio. È un segreto totale tra noi e Dio. Non possiamo amare qualcosa più elevato di Lui. I nostri figli, le nostre donne e tutto il genere umano vengono immediatamente dopo nella scala, però c'è una cosa che riserveremo solo per Dio. Bisogna morire con questo segreto. In tal modo avremo apportato qualcosa che solo Dio conosce. Elisabetta, Zaccaria scrive lo stesso nome pronunciato da lei. I due trovano il nome nello stesso momento. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua... Il fatto che facessero dei cenni a Zaccaria invece di parlargli normalmente indica con chiarezza che egli era sordo e muto. Zaccaria scrive: «Giovanni». Una luce alla fi ne è comparsa e dal fondo del silenzio di Zaccaria — un silenzio abbandonato da ll e parole — la voce dell'arcangelo Gabriele mormora: «Giovanni». Nel momento in cui Zaccaria scrive, tutti furono meravigliati. Questo stupore è naturale perché, senza aver potuto udire È stato liberato perché, per la prima volta, crede veramente. La sua liberazione avviene otto giorni dopo il parto della moglie, precisamente al momento della circoncisione del figlio. Durante questa cerimonia, il taglio di un frammento anulare sul sesso del battezzando simboleggia un anello di matrimonio. Tramite questo atto si introduce Dio nel sesso del circonciso, vale a dire che l'alleanza di Dio con l'uomo si fa tramite il sesso. Anche Cristo fu circonciso. In lui, quindi, si è realizzata nel sesso l'alleanza col Padre. Cos'è la circoncisione? Il rabbino taglia con un coltello il prepuzio del bambino affinché questi pensi a Dio ogni volta che farà l'amore. Ciò significa che Dio è nelle profondità del nostro tempio sessuale e che il sesso è sacro. È attraverso di esso che avviene l'alleanza con Dio. Non voglio dire che l'alleanza consiste nella castrazione. Se così fosse il battesimo consisterebbe nel taglio dei testicoli, e non è certo questo il caso. Nella cerimonia della circoncisione si parla di tagliare il prepuzio, il che significa aprire il sesso; dunque, il battesimo ha per oggetto l'apertura del sesso e non la sua chiusura. È detto molto chiaramente: «Io ti battezzo. Ti unisco a Dio. Apro il tuo sesso all'ottavo giorno. Non lo chiudo». Si apre il sesso di Cristo così come quello di Giovanni. Non sto interpretando: è scritto nel Vangelo. Ho assistito a una circoncisione. Secondo le tradizioni, si dà al bambino una goccia di vino per ubriacarlo. È lo stesso vino che troviamo nella Cena: si dà il sangue di Cristo al bambino. In seguito gli si aprono le gambe come a una rana. Tutti pregano. Dieci uomini sono presenti; rappresentata da loro, tutta la comunità assiste alla cerimonia. È un affare da uomini. Le donne stanno dietro. Si taglia il prepuzio all'ottavo giorno, quando inizia un nuovo ciclo. Non so cosa accade nella circolazione del sangue, 82 83 Le dissero [a Elisabetta]: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Giovanni è l'emergenza del nuovo. La persona che annuncia una qualsiasi novità nella nostra vita è il Giovanni che è dentro di noi. Qualcosa in noi comincia ad annunciare che stiamo cambiando livello spirituale. Non siamo ancora arrivati a questo livello, però lo annunciamo, ci troviamo al grado più elevato di noi stessi. Vibriamo. È una novità: mai abbiamo conosciuto niente di simile. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. però in questo giorno si sanguina pochissimo. Il bambino in pratica non perde sangue. È ubriaco, confuso. In seguito lo si copre e tutti si mettono a cantare in allegria perché il bambino si è unito a Dio ed è comparsa la testa del suo sesso. Prima non si vedeva. È dunque l'unione sessuale con Dio per eccellenza. Nel linguaggio simbolico il prepuzio occulta la testa del sesso, vale a dire la coscienza. L'operazione fa uscire a ll a luce ciò che era occultato nell'ombra, nell'animalità. Cosa fa Zaccaria dopo aver recuperato la parola? In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Zaccaria era illuminato e la prima cosa che fece fu benedire Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Questo bambino è giunto nel bel mezzo di una cospirazione contro la presa di coscienza. Evidentemente, quest'ultima ha iniziato a compiersi. La gente dice fra sé: «Chi sarà questo bambino? Cosa diventerà in futuro? Ci farà uscire dalla nostra mediocrità». E anche per questo tutti hanno paura. GIOVINEZZA DI GIOVANNI IL BATTISTA (Luca 1,80) Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno de ll a sua manifestazione a Israele. rittura vicine a ll a pazzia. Stare sette giorni con se stessi senza disporre di alcun elemento di distrazione, solo sette giorni, è veramente il deserto! Vivere nel deserto significa separarsi dalla società, dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni e dai nostri desideri, e da tutte le attività che riempiono la vita, allo scopo di purificare il nostro modo di reagire. Quando Giovanni si isola nel deserto è completamente accompagnato dal suo Dio interiore, dal suo punto irremovibile. Così il suo deserto è completamente abitato e, a partire dal momento in cui può contare soltanto su un sole interiore e sulla divinità che lui viene ad annunciare, Giovanni capisce. E cosa annuncia, quindi? Il suo Maestro. Il suo Maestro è il deserto che ci insegna a stare con noi stessi. Dunque Giovanni annuncia ciò che ha appreso dopo essere passato attraverso il segreto. Anche noi, prima di insegnare o di cercare di curare gli altri, dobbiamo passare dal segreto, dobbiamo passare attraverso il deserto, tenere viva la solitudine e stare perfettamente con noi stessi. È meraviglioso vedere che Giovanni passa attraverso questa scuola e che anche Cristo trascorre quaranta giorni nel deserto. Non gliene servono di più; Giovanni invece ci passa tutta la giovinezza. Impara a sopravvivere, fortifica il suo spirito, diventa saggio. A partire da quel momento può dare l'annuncio. Noi, per essere Giovanni, dobbiamo imparare a fortificarci e a conoscerci nella solitudine, perché solo allora saremo capaci di dare. Per me «vivere nel deserto» ha un significato particolare. Una volta ho fatto un training di gruppo e ho partecipato a un insegnamento intensivo di meditazione: «ero nel deserto». Mi sono chiuso sette giorni in casa. Stavo nudo, senza libri, radio, televisione, telefono, senza fare niente e anche senza niente da guardare, vale a dire senza simboli in vista. Niente, mangiando il minimo, senza chiamare un amico... Questa situazione provocò reazioni incredibili, a volte addi84 85 IV IL CENSIMENTO I titoli che scandiscono la prima pa rt e del secondo capitolo del Vangelo di Luca, «Nascita di Gesù» e «Circoncisione e presentazione al tempio», potrebbero colpirci per due motivi. Il primo è l'uso della parola «nascita»: come può Dio nascere se non inizia né finisce? Ciò nonostante non si tratta di un paradosso perché non c'è scritto «Nascita di Cristo». Gesù può nascere, il Cristo no, in quanto c'è già. La seconda ragione: perché Cristo deve stipulare un'alleanza con Dio Padre se già sono uniti? Diede a ll a luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. Inoltre, il fatto che un po' più avanti in questo capitolo la Vergine avvolga il Cristo nelle fasce è un punto molto delicato la cui spiegazione risulta indispensabile. Inizialmente uno potrebbe domandarsi: com'è possibile che la Vergine si sia potuta comportare così con il Cristo se sappiamo quanto sia terribile per un bambino essere fasciato? Meno di un secolo fa questa pratica è stata abbandonata e i bambini sono stati lasciati in libertà. Prima li si avvolgeva per intero in fasce di tela per impedire che si muovessero. A volte i più fortunati avevano le braccia fuori dal bendaggio e 86 godevano della possibilità di muoverle, però era tutto quello che potevano fare. In genere li si metteva in una cesta di vimini dove restavano quasi in piedi, senza libertà di movimento. Si applicava questo trattamento ai bambini in modo che non infastidissero gli adulti. Guardare un neonato è come guardare un oceano: ebbene, quest'oceano veniva immobilizzato, passava le giornate prigioniero delle fasce, pietrificato fra i suoi escrementi. Non poteva far altro che piangere o starsene immobile. Il suo cervello non si evolveva completamente, perché tutti i movimenti del bambino sono una preparazione muscolare per lo spirito, per l'amore, per le carezze ecc. Sapendo tutto questo, come giustificare il fatto che Gesù sia stato fasciato? Dev'esserci una spiegazione. Muovo dal principio che il mito trasmette un messaggio in ogni momento. È come un Arcano dei Tarocchi. Di fr onte a qualsiasi Arcano ci vengono offe rt e due possibilità: la prima è interpretarlo negativamente - la dimensione del negativo è infinita - e arrivare in tal modo agli abissi della sofferenza a partire da qualsiasi dettaglio; la seconda opzione consiste nell'interpretare questo Arcano positivamente e raggiungere l'estasi. Tutto dipende da ciò che offa iamo di noi stessi per ottenere una visione dell'Arcano: ogni capitolo del Vangelo è un Arcano al quale dobbiamo conferire ciò che abbiamo di più bello. Se è scritto «lo avvolse in fasce», dobbiamo trovare la bellezza racchiusa nel fatto di fasciare qualcuno e non rimanere con l'impressione che lo trasformino in una mummia. Non è possibile imprigionare corporalmente l'essere che viene a salvare il mondo. Ci vuole una valida ragione, altrimenti vorrebbe dire che Maria non sapeva prendersi cura di un bambino, o cosa significasse essere madre. Bisogna dunque trovare una spiegazione, capire perché Gesù fu circonciso e fasciato. Iniziamo dal principio: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto... Esce un editto dell'imperatore romano, questo è il fatto... ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 87 Bisogna rendersi conto de ll a vanità di questo Cesare Augusto quando pretende di censire il mondo intero. Da un punto di vista mistico un censimento non ha alcuna ragione d'essere, dato che la divinità sa quante persone ha creato: è onnipotente e onnisciente, e conosce ognuno di noi. Siccome la divinità sa quante persone ci sono al mondo, non si fa un censimento col proposito di servire Dio, ma il potere. Per i soggetti al censimento si tratta di un atto di sottomissione atroce: vengono censiti per limitare la loro libertà di comunicare col divino. Durante quest'epoca triste che sta vivendo il popolo eletto (vale a dire noi, perché siamo tutti il popolo eletto), Cesare Augusto (o qualsiasi altro governante) ha il diritto di censirci. A tale scopo si compila un questionario, fornendo un certo numero di dati su di noi. Così perdiamo la nostra libertà. Censimento equivale a perdita di libertà. Giuseppe, la Vergine e il Cristo si prestano a questo censimento e lo fanno perché la verità non doveva essere conosciuta. Il fatto che la Vergine sia incinta di Cristo è assolutamente segreto e tale deve rimanere, altrimenti il bambino correrebbe un pericolo mo rtale. Obbediscono quindi alla legge del censimento, che non aveva altro fine se non quello di servire il potere e consisteva nel ridurre ogni essere umano a un semplice numero, a un capo di bestiame qualunque nella mandria. Questo primo censimento fu effettuato quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Si verificò un esodo. Farsi censire non corrispondeva certo al desiderio e a ll a volontà del popolo, dovevano esistere minacce considerevoli perché la gente obbedisse. Non è per piacere che la gente cambia città solo per farsi contare e schedare, soprattutto un popolo mistico che capisce subito la mostruosità di quell'atto e la perdita di libertà fisica che ne deriva. È con grande malumore, quindi, che tutti acconsentono alla richiesta dei soldati di ritornare nelle rispettive città. Li si fa uscire dalle loro case, li si spia ecc. A quell'epoca simili 88 imposizioni erano senza dubbio molto inquietanti per la popolazione. Inoltre non era semplice né comodo dato che non esistevano alberghi, ma solo qualche misera locanda. Quando c'era un'affluenza notevole in una città, dove dormivano le persone? Tutti borbottavano malcontenti, soprattutto il popolo eletto, che viveva il censimento come il trionfo del potere sullo spirito. In quel momento anche gli ultimi capisaldi della vita spirituale stavano agonizzando. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, da ll a città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea a ll a città di Davide, chiamata Betlemme... Sappiamo che l'albero genealogico di Giuseppe risale a Adamo ed Eva e che ha settantasette avi compreso Giuseppe. (Settantasette più la divinità fa settantotto, come i Tarocchi: settantasette ca rt e numerate più Il Matto.) Giuseppe è obbligato a raggiungere la città di Davide e porta con sé la sposa incinta. Con questo atto egli realizza la connessione tra il bambino e il suo intero albero genealogico. In effetti è un atto splendido, perché è segretamente magico accompagnare quella donna incinta per assicurare la connessione con Davide e anche con Adamo ed Eva, dando così al bambino il suo posto nell'albero genealogico. Questo censimento, che è davvero ripugnante, non costituisce un contrattempo per Giuseppe e Maria e meno che mai per il Cristo, che già nel grembo materno è supercosciente (in precedenza l'abbiamo visto comunicare con Giovanni quando questi si trovava nel grembo di Elisabetta). Essi vogliono approfittare dell'occasione per prendere contatto con il proprio lignaggio attraverso Giuseppe: questo personaggio, quindi, si rivela di nuovo un gigante, dato che senza Giuseppe non c' è Gesù né Cristo né Messia. Questo viaggio in prevalenza materiale diventa allora qualcosa di completamente spirituale e, pertanto, un motivo di allegria: farsi censire si trasfigura in gioia, dato che permette l'integrazione nell'albero genealogico. 89 IL SACRIFICIO DI GIUSEPPE ... per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Per Giuseppe, Maria è ovviamente la sua sposa. Come abbiamo visto, l'ama perdutamente e accetta che sia stata fecondata da ll a divinità; come un monaco, si sacrifica e aspetta che lei partorisca. Per il solo fatto di non ripudiarla, protegge tanto Maria quanto il bambino, che è il suo figlio spirituale. Quando Giuseppe osserva il grembo di Maria che s'ingrossa, trema di piacere, poiché assiste a ll a gestazione del suo Dio: ha l'infinito onore di contribuire a salvarlo. A pa rt e Giuseppe, nessun essere umano al mondo ha mai avuto questo privilegio. Quando possiamo salvare il nostro Dio salviamo la vita della galassia e di tutta la razza umana, e quella del destino umano, perché noi siamo il destino, siamo l'umanità. Restando so li , il nostro piccolo io morirà. Facciamo pa rt e della razza umana e il nostro scopo non è individuale ma universale: creare la coscienza cosmica. Giuseppe è l'archetipo del dono, è lo spirito che si dà in sacrificio. Ciò mi ricorda un episodio dell'epopea di Gilgamesh, il racconto più vecchio dell'umanità: l'eroe si rifiuta disperatamente di morire, il suo desiderio di sopravvivere diventa un'ossessione. Un giorno apprende che in un'isola vive un immortale. Si precipita, lo trova e lo informa della sua tortura: «Devo sapere il segreto dell'immortalità!» «Ma è molto semplice!» gli risponde l'immortale. «Non c'è alcun segreto. Dio ha creato me immortale, mentre ha creato te mortale.» Non c'è alcun segreto. Ecco il paradosso dell'io che parla all'essenza: «Voglio essere immortale» dice l'io. «Puoi diventarlo» risponde l'essenza. «Davvero? Posso fare a meno di morire?» «Sì.» 90 «Come?» insiste l'io. «Presto, dimmelo!» «È molto facile» gli dice l'essenza. .Ti basterà dissolverti e sparire: trasformarti in me.» Abbiamo dentro di noi una vecchia pa rt e che ci aderisce e abbiamo bisogno di Giuseppe per sacrificarla: bisogna imparare a morire con se stessi per poter rinascere «senza se stessi». Se vogliamo risvegliare in noi il livello di Maria e di Cristo (dato che sono due livelli che possiamo trovare dentro di noi), dobbiamo imparare a morire. Per questo è necessario vigilare la nascita e la crescita del bambino (divino) che vive dentro di noi. Bisogna che ci imponiamo di scomparire, che arrestiamo il dialogo interiore che sosteniamo sempre con noi stessi. Se Giuseppe è così bello, è proprio perché il suo scomparire permette l'amore assoluto fra Gesù e Maria, la loro completa unione. Senza il sacrificio di Giuseppe non ci sarebbe Maria, non ci sarebbe niente. Luca scrive che Giuseppe se ne andò dalla Galilea «con Maria sua sposa che era incinta». Non dice: «Maria e il Cristo se ne andarono con Giuseppe». Questo indica che è Giuseppe a guidarli. LA CONCEZIONE E IL PARTO PERFETTO Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito... Perché precisare che si tratta del primogenito quando è chiarissimo che la Vergine non aveva avuto altri figli? In realtà «primogenito» sta a significare il primo nato tra noi; infatti, fino a quando il Cristo del mito non sarà nato, nessuno realmente nascerà, finché non si raggiungerà la coscienza collettiva il primogenito non potrà venire. Dostoevskij ha detto: «Se c'è un crimine sulla Terra, tu fai parte dei colpevoli». In effetti: se sulla terra qualcuno ha fame siamo tutti responsabili. Se una persona non arriva al suo più alto grado di coscienza, ciò significa che non lavoriamo per il domani ma per noi stessi: continuiamo a chiedere, ci nutriamo, ci sviluppiamo, ci facciamo proteggere... e gli altri? 91 Come mai vogliamo sempre di più per noi senza pensare che gli altri devono avere altrettanto? Ci preoccupiamo mai di dare qualcosa a ll a persona cui chiediamo? Nel cervello di questa donna non c'era rancore verso chicchessia: era in pace assoluta. Non aveva problemi metafisici perché non considerava il fatto di concepire un figlio mo rtale. Lei sapeva di essere portatrice dello Spirito immortale: aveva in sé il centro dell'Universo e dell'immortalità. È lo stesso per ogni donna che aspetta un bambino: nel descrivere la gestazione e il parto di Cristo, in realtà descrivo un parto normale e lo libero dall'anomalia in cui lo ha collocato la patologia. Ogni bambino è il Cristo incarnato. Dunque Maria portava in sé la divinità incarnata: cosa aveva a che vedere la sua psicologia con il Cristo? Niente, in realtà: non era altro che luce, pace e perdono assoluto per chiunque l'avesse fatta soffrire. Se non perdoniamo, in effetti, non possiamo generare un figlio sano: il perdono assoluto è necessario, altrimenti il rancore si riversa nella carne e nelle ossa del bambino. Si tratta di un perdono completo, assoluto, che si rivolge a tutta la civiltà umana, all'intera creazione: un perdono senza limiti a qualsiasi caduta. Bisogna dire «ti perdono» a qualsiasi immagine negativa che emerge dal nostro interno: «Perdono la macchina che mi ha amputato una gamba. Perdono il padre che mi ha ingravidato. Perdono la madre assente. Perdono tutto ciò che non ho avuto». Perché senza perdono non posso generare un figlio sano, senza perdono farei scivolare tutte le malattie del mondo nella sua gestazione. Potrei danneggiargli gli occhi, le orecchie, il midollo, le ossa, gli organi, i piedi... Posso danneggiarlo completamente perché la gestazione di un bambino si realizza a partire dall'essere umano integrale. Dopo aver mondato il proprio spirito, come la Vergine Maria, la donna incinta deve mondare anche i propri sentimenti. Immaginiamo lo stato emotivo in cui si trovava quella madre: era l'oceano, l'oceano cosmico. Navigava nel bel mezzo di un cosmo di piacere. Aveva perdonato tutto, possedeva una fiducia incondizionata, una fede completa e una calma sovrana. Era in atteggiamento di ascolto, perché non era lei che doveva parlare, ma suo figlio. Il figlio di Maria non era una stampella per lei, e nemmeno una protesi o una missione. Era se stesso e in se stesso. Maria era in ascolto del suo feto perché questo disponeva di una coscienza integrale ed era lui a dirigere, a sapere, mentre la Vergine era ignoranza, assenza di angoscia e piena fiducia. E soprattutto non si chiedeva: «Come sarà il mio parto? Morirò? Mi drogheranno con calmanti o anestesie? Tireranno fuori il bambino col forcipe? Nascerà in posizione seduta? Lo soffocherò col cordone ombelicale? Si disidraterà? Con il pretesto che uscirà più facilmente, mi incideranno l'addome 92 93 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. Eccoci al punto fondamentale. A partire dal momento in cui l'ombra di Dio avvolse la Vergine e la fecondò, la luce totale entrò nel suo grembo. Da quell'istante, per la prima volta, l'umanità intera (passata, presente e futura) ebbe Dio nel grembo: era l'incarnazione. Nel preciso momento in cui nasce la prima cellula, il grembo di Maria si converte nel centro dell'umanità; si tratta di un centro potente perché Dio è lì per intero. Questo grembo irradiava fin nel passato, all'inizio stesso dell'Universo; irradiava anche nel futuro e in tutti gli universi possibili. Irradiava nel centro de ll a coscienza collettiva di tutti gli esseri pensanti, compreso l'uomo. Quando la Vergine fu fecondata, si disse: Inizio a dare la mia carne. Che tipo di cellule offrirò a questo essere che si trova nel mio grembo? Non posso utilizzare i miei ormoni, i miei acidi e tutta la mia materia per fabbricare cellule impure. Perciò nessun sentimento negativo dovrà attraversare il mio spirito. Qualsiasi bruttura, pensiero decadente e mancanza di fede che entrasse nel mio spirito sporcherebbe le cellule che formerò. con un bisturi, impedendo in tal modo a ll e labbra della mia vagina di abbracciare la testa di mio figlio? Giuseppe avrà un paio di forbici per tagliare il cordone ombelicale?». In che stato si trovavano gli organi sessuali della Vergine, la sua vagina, il suo utero, le sue trombe, le sue ovaie? Erano pieni di Dio, perché se c'era qualcosa di particolarmente vicino al bambino divino, era il suo sesso. La porta del sesso si apprestava ad aprirsi. Le ossa pelviche si stavano muovendo. A ogni movimento delle ossa, la madre faceva una lunga inspirazione controllata e diceva fra sé: «Così sia. Sia fatta la tua volontà». Apprezzava il movimento del suo scheletro perché le obbediva. La vagina irradiava luce e potere, dato che si preparava a lasciar uscire la divinità, il salvatore del mondo. Quel canale non poteva assolutamente essere impuro. È aberrante concepire un'altra uscita per far nascere un figlio che non sia la vagina, e più aberrante ancora è pensare alla vagina come alla parte più sporca del corpo femminile. Pariment assurdo è pensare che la dea non abbia partorito tramite il suo sesso: c'è qualcuno che afferma addirittura che Gesù sarebbe nato da un orecchio... Quella vagina in realtà era formidabile, un tunnel d'amore che si dedicava all'opera: si preparava a diventare il più disponibile possibile, all'apertura, all'amore, ai massaggi, alle carezze, a uno scivolamento perfetto. Via via che il ventre si dilata, la madre sente i movimenti del bambino: questi comunica sempre di più con lei, tra i due sboccia l'amicizia giorno dopo gio rno. La gioia totale le invade il corpo: non nutre dubbi, rimane in estasi, preparandosi alla nascita, cosciente di rappresentare le ovaie della coscienza umana. In fondo Maria non desidera nulla, s'immerge nella meravigliosa sinfonia di sensazioni che le sale dai piedi e circola nel suo seno, si dà a questo ossigeno che si purifica al suo contatto. In quel momento sta purificando il mondo, perché a mano a mano che Dio s'incarna il mondo si purifica. Il cuore del mondo è in formazione: l'unione si realizza. All'ottavo mese Giuseppe le dice: «Ascolta. Andiamo a Betlemme». Perché porta con sé una donna incinta in un viaggio così lungo? Perché obbedisce all'obbligo del censimento se Maria è così vicina al parto? Immaginiamo la situazione. I due giovani intraprendono il duro e lungo viaggio perché hanno una fede assoluta nella realtà. Sanno che il miracolo si realizzerà, non importa dove e con chi. Sanno che il luogo dove Lui verrà sarà il luogo. Sanno che le cose succedono al momento dovuto e che bisogna vivere sempre nel presente ed essere coraggiosi. In tale stato spirituale, quando arriva il momento si ha una fede assoluta che andrà tutto bene. Non ci sono parole per descrivere l'estasi che Gesù sperimentava nel grembo di quella madre portentosa. Cosa avrebbe sentito se si fosse trovato nel grembo di una donna che voleva impossessarsi di lui o in quello di una donna piena di rancore? O in quello di una donna convinta che il figlio è il suo fallo e quindi il suo potere? O in quello di una donna che pensa di partorire la stampella della sua vita e non un bambino? Cosa avrebbe sentito nel grembo di una donna che, senza assumersi la propria maternità, avesse tentato di stringergli il cordone ombelicale intorno al collo per impedirgli di nascere? O in quello di una donna che, detestando sua madre, avesse fatto di tutto per non diventare anche lei una madre, trattenendolo più del necessario o partorendolo a sette mesi? Quel bambino sarebbe stato inquieto durante tutta la gestazione, perché l'inconscio del feto avrebbe saputo che a sette mesi gli avrebbero dato «un calcio in culo», scaraventandolo nel mondo senza avergli dato tutto ciò di cui aveva bisogno. È molto doloroso nascere in simili condizioni. Cosa avrebbe sentito il Cristo se avesse saputo che la madre stava avvelenando il proprio latte o che si preparava a non darglielo? La bocca del lattante è perfettamente formata e adattata ai capezzoli della madre; l'unico posto in cui deve poppare è il seno di sua madre. È poppando che il neonato sviluppa l'organo della parola. Effettivamente, se la madre ci priva del suo latte e ce ne dà dell'altro, qualcosa non si sviluppa nel nostro spirito. D'altra pa rte, tutti o quasi tutti siamo spossessati (mutilati) del latte materno. Bisogna saperlo. 94 95 Bisogna sapere inoltre che non si nasce mai eccessivamente grassi. Se lo siamo, vuoi dire che nostra madre ci ha ingozzato più del necessario. Siamo innocenti: è lei che ci ha fatto ingrassare per crearsi dei problemi. Bisogna sapere che non si nasce mai prematuri: ci espellono in anticipo! Non si nasce mai troppo tardi: ci trattengono! Non facciamo mai soffrire nostra madre: è lei che ci to rt ura! Perché? Perché il padre è assente. Quando i genitori sono Giuseppe e la Vergine, o quando il bambino è il frutto di due esseri che sono completamente presenti, la maternità e il parto avvengono in modo meraviglioso. Quando questi due individui hanno compiuto il loro lavoro di pulizia spirituale, tutto va per il meglio. Al contrario, quando il padre non c'è e i due genitori non hanno compiuto il loro lavoro, la maternità e il parto diventano una to rt ura per il bambino. Maria era sola nell'assunzione di questa maternità? No, assolutamente: Giuseppe era con lei, del tutto pronto a ricevere la divinità. Nel grembo di Maria, Dio è contento perché la bellezza di Maria è immensa. Il desiderio che aveva di lei, quando Lui era il Padre, era grandissimo, e la donna era stata scelta molto bene; Dio ha scelto la donna più bella che l'umanità avesse mai prodotto: quindi, è davvero felice nel suo grembo, contento dell'amore materno che riceve. È stato trattato bene e splendidamente formato: gli hanno dato la materia migliore. Le sue ossa sono ben formate, il suo corpo è perfetto: è stato costruito con amore, senza angosce, senza fr etta e senza scopo. Tutto si è svolto nel piacere. Felice, Lui nuota nelle acque di Maria. Cerchiamo per un attimo di immaginare l'acqua nel grembo di Maria, di immaginare questo alimento perfetto. Chi non vorrebbe bere quest'acqua benedetta e poppare dal suo seno? Immaginiamo anche quel bambino del tutto cosciente: po rt a con sé la divinità, è nel grembo della madre e sa cosa sta accadendo, vale a dire che si rompono le acque: allora si mette 96 davanti alla vagina, perfettamente consapevole che è venuto il momento di nascere. Anche il corpo di Maria sa che è giunto il momento e che Dio sta per uscire da lei ed entrare nel mondo. Lei vive allora gli ultimi momenti di possesso de ll a divinità nel proprio grembo. Dicono che si capisce una cosa per la prima volta quando la si vede l'ultima volta. Per Maria è venuto il momento: il parto sta per avere luogo. Lei non eviterà di spingere per espellerlo; ciò nonostante, durante un secondo che sembra eterno, Maria dice fra sé: È l'ultimo secondo in cui stai dentro di me. È giunto il momento di salutarci. Ma non ci separeremo mai, perché l'unione è fatta e perché nessun essere si allontana mai dall'altro. Dammi la tua benedizione! Maria chiede al suo bambino di benedirla. Lei non può farlo, dato che Lui è infinitamente superiore. Il neonato si mette allora nella posizione più adatta per iniziare a uscire. Tra i due l'armonia è perfetta. Si dicono: A partire da adesso tu non sei tu e io non sono io. Collaboriamo, lavoriamo uniti. Insieme realizzeremo un parto perfetto. A quel punto interviene Giuseppe: Attenzione! Non dite «noi due»; dite «noi tre», perché io sono qui. Se tutto va così bene è perché sono presente. Senza di me, tutto ciò non potrebbe avvenire senza problemi. Maria si mette allora nella posizione del parto. È detto che non c'era posto per loro nell'albergo e che lei mise il neonato in una mangiatoia. Si trovano quindi in una stalla. Il posto è pieno di paglia e di sudiciume, e dunque Maria non vi si corica, tanto più che non c'è nemmeno un letto. Allora, aiutata da Giuseppe, si aggrappa a un tronco di legno e si me tt e accoccolata a gambe aperte; Giuseppe è in ginocchio ai suoi piedi e allunga le mani per prendere il figlio ed evitare che cada a terra. Il bambino, quindi, passa direttamente da ll a vagina della Vergine nelle mani di Giuseppe. È lui il primo a toccare il Cristo! Quale onore! È per questo motivo che, nella Bibbia, il 97 Salmo 22 (versetto 10) afferma: «Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre», che chiaramente potrebbe essere detto così: «Sono uscito direttamente dalla vagina fra le tue braccia». Nella visione del mito, il bambino esce dalla vagina della madre per arrivare sulle ginocchia o fra le mani del padre. Il bambino si adatta immediatamente a lla posizione e inizia a effettuare un lento movimento rotatorio. Dio l'ha dotato dell'impulso che dà ai pianeti. È la nuova galassia che arriva. Vale a dire che il bambino, con una lentezza incredibile, comincia a girare a spirale. Deve venire al mondo per collocare l'occhio del suo settimo chakra nella «porta» de lla Vergine e formare così «l'occhio del mondo». (La nozione di chakra è utilizzata nel tantrismo indù e buddhista. Il settimo chakra è situato nella pa rte superiore della testa.) Chiunque abbia assistito a un parto può sottoscrivere che avviene così: la vagina forma un ovale esattamente uguale al contorno di un occhio umano, e la testa del bambino, nell'uscire, prende il posto del globo oculare. Se allora guardiamo di fronte il sesso della partoriente, vediamo il settimo chakra del bambino che comunica con tutto il cosmo. Il bambino e sua madre formano l'occhio cosmico. È evidente che, millimetro dopo millimetro, la vagina della Vergine Maria accarezza la pe lle del bambino con un amore incredibile. Da pelle a pelle si forma una corrente di addio, di fede, di aiuto, di massaggio e di coscienza, intanto che la madre dice: A partire da adesso prenderò in considerazione ogni millimetro del tuo corpo perché, da quando la mia vagina lo sacralizza, ogni millimetro è sacro. Se non riconosco ciascuna particella del tuo corpo con la mia vagina, se non ti accarezzo, se nel passaggio non ti do il tuo primo massaggio, nella tua vita non sarai mai accarezzato, mai chiederai né esigerai una carezza completa, né tantomeno offrirai te stesso alle carezze, e pertanto non sacralizzerai mai il corpo umano. La vagina della Vergine accarezza, quindi, ogni parte co n amore infinito. 98 . Che ne fa del suo dolore? Possiamo immaginarla mentre grida e geme? Assolutamente no. Il dolore va e viene; ogni volta che si presenta, Maria non si lascia prendere dall'angoscia, dato che non le fa male. Quando non c'è altro che dolore lo accettiamo, lo riceviamo come un amico; però, quando questo dolore si trasforma in angoscia, allora diventa qualcosa di terribile. Ma non è questo il caso: Giuseppe è presente, Maria partorisce il figlio, sono uniti. Nel momento in cui appare l'occhio nel tempio di Maria, Giuseppe deve aver pianto di gioia. Il primo essere visto dal settimo chakra del bambino è il padre, perché senza di lui non ci sarebbe cosmo né coscienza collettiva. La prima cosa che ogni bambino dovrebbe vedere quando nasce è il padre, che dovrebbe accoglierlo con le sue mani, col suo cuore, con tutto il suo essere. In seguito Giuseppe si ritira e si mette di fianco. Non avrei accolto mio figlio restando al centro, bensì alla destra della Vergine, perché lei equivale a lla sinistra. Maria è tutta cuore e io tutto protezione. Affinché mio figlio diventi se stesso e si realizzi, non gli sbarrerei mai il passo. Non intralcerei la sua nascita simbolica. Esattamente come la vagina permette il passaggio, anch'io, in quanto padre, rimango di fianco per consentirglielo, cioè per far sì che mi lasci indietro e vada esattamente dove deve andare senza subire la mia interferenza. Le mie mani sono una seconda vagina. Il bambino compie, quindi, un giro completo. Tira fuori il braccio sinistro e poi il destro e alla fine della rotazione si ritrova con il viso di fronte alla madre. Giuseppe lo prende per la nuca e lo tira verso di sé dolcemente: il bambino lo guarda. Gli occhi di Giuseppe vengono contemplati da quelli di Cristo. Subito avviene in lui il cambiamento completo, perché lo sguardo di Cristo ha trasformato la sua anima. Contemplare lo sguardo dell'illuminato ci pone a un livello prima sconosciuto. Nel momento in cui viene visto da questo Dio che ha tanto protetto, Giuseppe ne riceve la ricompensa. Lo sguardo di Gesù ha completato il suo sviluppo: ha fatto di lui un santo e lo ha trasformato in suo padre. Lo sguardo di Cristo gli dice: 99 Io sono tuo Padre, però, con questo sguardo, stringo la prima alleanza con te. Ti adotto e, con questo gesto, ti dono la condizione di padre. D'ora in avanti ti obbedirà, perché sarai tu a insegnarmi i primi passi. A te spetta educare Gesù. Io, Cristo, ti conferisco tutti i diritti di educare il bambino che sono, perché ho fiducia in te e ho bisogno sia di un padre sia di una madre. Ho fiducia in te perché sono stato Io a creare il Principio del Padre, e tu devi essere il padre di questo bambino nel quale Io sono. In quel momento Giuseppe è il padre di Gesù. Perciò il Vangelo afferma in seguito che Gesù era obbediente. Perché un Dio avrebbe dovuto obbedire a Giuseppe? Eppure è proprio quello che fece, ed è particolarmente bello. Poi Giuseppe solleva il bambino verso la Vergine. Il cuore di Maria e quello del bambino battono allo stesso ritmo, e Giuseppe non si affretta e non spezza l'unità dei due cuori. Tranquillamente, dà il cordone ombelicale alla Vergine e lei inizia a morderlo con i denti. Maria lo fa perché Giuseppe non oserebbe mai recidere il cordone divino con un coltello. Mentre lei morde, il bambino ha il tempo di prendere le prime boccate d'ossigeno e di assumere il proprio ritmo cardiaco. In tal modo non è nato nell'angoscia o nella violenza. Non gli viene data una pacca sul sedere. Non gli fanno inspirare dell'aria che gli brucerebbe i polmoni. Ha un padre. Ha una madre. Ha ossigeno. È nato in un ambiente tranquillo e sereno. Tutti gli animali del presepe sono silenziosi: osservano meravigliati. Regna la pace. Quando la Vergine finisce di mordere il cordone ombelicale, si realizza il fenomeno: Cristo è nato. Come nasce? Forse si mette a piangere appena esce? Questo è ciò che facciamo quando nel grembo di nostra madre abbiamo sofferto tutta una serie di violenze. L'aggressione de ll a madre non è l'unica: soffriamo anche quella della città, lo stress della società, la violenza di ogni guerra ecc. Tutti questi soprusi influiscono sul feto. Possiamo essere certi che se si ammazza qualcuno in Palestina il nostro feto ne risentirà; se c'è una guerra in Cina, anche se ci troviamo al Polo Sud il nostro feto ne risentirà, perché l'umanità è legata da uno spirito collettivo, e tutto ciò che accade là ha ripercussioni qui. 100 Cristo non nasce nell'angoscia ma nella gioia. È la luce. In quel momento Giuseppe e Maria vedono il mistero, ascoltano in segreto le prime parole di Cristo, che ha cominciato subito a parlare. E si è anche messo a camminare, se è per questo. È evidente: se nelle leggende buddhiste si afferma che Buddha ha parlato fi n dalla nascita, e se sappiamo che quando partorisce una mucca, il vitello si alza subito e si muove, perché dovrebbe essere straordinario che questo bambino fosse cosciente fin dalla nascita? Torniamo a un passo che è necessario chiarire, quando la Vergine avvolge il bambino in fasce. Di fatto, lei si compo rt a così per occultarlo, non c'è altra ragione. Siccome è impossibile nascondere la luce che emana dal bambino, con suo rammarico Maria deve fasciarlo e avvolgerlo. È essenziale tenere il segreto e nascondere il bambino, altrimenti potrebbero ucciderlo. Dato che Cristo viene a portare un messaggio d'amore, non può mettersi a uccidere tutti coloro che vogliono ammazzarlo. Questa soluzione sarebbe stata adottata ai tempi di Mosè, ma questo è il tempo di Cristo. Egli non può vendicarsi. Quindi, deve difendersi. Si farà uccidere in un momento preciso e, come vedremo in seguito, morirà come Maestro e non come vittima. Anche se non è ancora giunta la sua ora, il pericolo resta grande: Erode vuole la sua mo rt e. Ha contro tutti. Giuseppe e la sua famiglia devono essere censiti, e ciò significa che devono passare davanti ai romani, ai sacerdoti ebrei e a tutti i fanatici. Come attraversare senza inconvenienti la città con un bambino che è la luce stessa? L'unica soluzione consiste nel nasconderlo e avvolgerlo. Per noi è la stessa cosa. Come mostrare una verità che abbiamo ottenuto senza che ce l'affossino subito? Bisogna nascondere e avvolgere il cambiamento che si è prodotto in noi, e non raccontare la nascita della nostra nuova verità finché non sia abbastanza matura da poterne offrire parte al mondo, affinché faccia il suo effetto. Dobbiamo essere molto forti per mostrarci come siamo affinché nessuno venga a distruggerci. 101 Mostrare Gesù com'era sarebbe stata un'incredibile vanità da part e di Giuseppe e Maria. Ecco perché è così bello che sia scritto: «lo avvolse in fasce». E con che cosa lo avvolse? Strappò un pezzo della sua tunica. Lacerandosi, la tunica emise un suono molto dolce, perché sapeva. In quel posto tutto aveva acquisito una coscienza. Quello strappo non equivaleva a una ferita ma a un dono. Maria era la serva del figlio. Con estrema delicatezza e infinito amore gli fasciò i piedi, poi le caviglie, poi le gambe... Giuseppe reggeva la fascia di tela affinché non toccasse il pavimento e non si sporcasse. Quando Maria ebbe finito di fasciare il bambino, i tre scoppiarono a ridere poiché non era una vera bugia ma un bel sistema per nascondersi. Erano contenti di occultare la luce e di non spegnerla del tutto. Poi qualcuno bussò alla po rt a: un Mago. Dato che non ci vedeva molto bene, rimase perplesso di fr onte al bambino fasciato e disse fra sé: «Fasciato? Ci stanno ingannando?». Poi, via via che si avvicinava, il cuore del Mago iniziò a battere sempre più fo rt e e finì per riconoscere il suo Maestro in quel pezzetto di carne. Per la prima volta nella sua vita vide colui che aveva atteso da sempre: il suo Maestro. Il bambino, infatti, è i1 nostro Maestro. Non è un corpicino né un nostro prolungamento, ma il pesce che viene a dare un senso al nostro oceano deserto. Dobbiamo quindi essere totalmente attenti a lui perché egli è il futuro, colui che andrà più lontano, più in alto, infinitamente meglio di noi. Noi siamo il piedistallo, lui è la statua. Non viene a prendere il nostro posto ma a farci avanzare di un altro grado verso la coscienza cosmica. Quando il primo Mago riconosce il suo Maestro, entrano anche gli altri. Il gruppo è al completo. Gli basta contemplare il bambino per capire tutto. Non hanno più bisogno di niente, non servono lezioni: hanno visto, e questo è sufficiente. E il bambino guarda ogni Mago. La polvere da sparo che ciascuno di quei Magi è s'infiamma subito: il suo sguardo è come una scinti ll a fra barili di esplosivo. L'esplosione avviene in ciascuno dei nuovi arrivati e poi si estende. 102 Chi arriva dopo i Magi? I sacerdoti? I governanti? I commercianti? No: arrivano i pastori, la gente più umile. Arriva la base dell'umanità, la maggioranza. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede a ll a luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia... Perché lo mette in una mangiatoia, cioè in un recipiente per il cibo del bestiame? Perché non aveva bisogno di essere sostenuto: era lui che sosteneva il mondo, era il salvatore del mondo. perché non c'era posto per loro nell'albergo. Non c'era posto nelle case dei ricchi. Questo significa che la verità non trova posto nell'uomo ricco di conoscenze. Finché non diventiamo «poveri di spirito» (l'espressione non allude a un animale, ma a un uomo pronto ad assorbire nuove conoscenze), non riusciamo a conoscere la nascita di Cristo. Essere poveri non vuol dire essere senza denaro, bensì avere uno spirito vuoto. Essere poveri significa: «Io non sono. Tu sei. Ascolto e obbedisco». Gli individui ben installati e assistiti nell'albergo non vedono il fenomeno. Si crogiolano nei loro io. Non hanno abbastanza umiltà per accettare il nuovo essere. Per loro è impossibile vedere un bambino e accettarlo come Maestro: cercano la complessità. Parlando della nascita in un libro, la psicoanalista Melanie Klein impiega tutta una terminologia che non mi sembra adatta alla realtà del neonato. L'autrice afferma: «La nascita del soggetto avviene a prezzo di una perdita». Nascere ha quel prezzo? Secondo questa opinione, allora, nel perdere un bambino lo facciamo nascere. Perché parlare di perdita quando si passa da una situazione all'altra? Perché non parlare di guadagno? Perché frammentare un fenomeno come la nascita invece di descriverlo come un processo unitario e naturale? Perché usare termini infetti? Perché la nascita 103 sarebbe una frustrazione e perché pensare che il ventre sia un paradiso che dovrebbe durare in eterno? Infine, perché questa psicoanalista dice che nasciamo troppo presto? Scrive: «Ogni essere umano nasce troppo presto e richiede tempo per assimilare un nuovo modo di essere». Quanti termini malati! Non si nasce troppo presto! Si nasce precisamente nel momento in cui si deve nascere. Non siamo separati dalla madre. Veniamo concepiti proprio per nascere. La madre non ci «espelle», come si dice nel libro della Klein. La nascita è un processo nel quale non esiste assolutamente l'idea di espulsione. Conviene descrivere ancora una volta come si svolge un parto naturale. Quando viene il momento, la madre e il bambino si mettono a lavorare insieme. Non è solo la madre a lavorare per partorire, non è l'unica che deve spingere: si tratta di un'azione realizzata congiuntamente da ll a madre e dal bambino, di un'unione. Il bambino si piazza sulla porta e dirige il suo settimo chakra verso l'uscita. È questo chakra ad apparire per primo, come un occhio: in mezzo al sesso della madre, quest'occhio si va a connettere col cosmo, con le stelle, col centro dell'Universo e con tutto ciò che accade. Via via che il bambino esce, inizia a girare a spirale. Questo movimento non è diretto dal bambino o dalla vagina della madre: si realizza da solo. Lo provocano insieme la madre e il figlio. Fra i due si crea una vera unità. Non c'è lotta, c'è creazione comune. E le labbra de ll a vagina, che a volte vengono tagliate come in una macelleria! Queste labbra sono perfettamente adatte a formare una prima corona intorno a ll a testa del bambino, che viene incoronata dalle labbra amorose, calde, umide e dolci della madre. Ma queste labbra, soprattutto, massaggiano il bambino: non solo il suo corpo, ma anche lo spirito. Intanto, il bambino gira dentro le labbra vaginali e inizia a uscire. Viene completamente abbracciato. Tutto il corpo gira e si allunga come una pianta, come l'orbita ascendente di un astro. Le braccia si stendono verso la luce. Il viso appare rivolto a terra; la testa riceve allora tutto l'ideale cosmico attraverso la nuca, poi ruota e si mette di fronte al cielo. È un processo di un equilibrio perfetto quello portato a termine all'unisono fra la madre e il figlio. Non c'è alcuna separazione. Uessere umano è concepito affinché la madre recida il cordone ombelicale con i denti. È mostruoso farlo con delle forbici. Il cordone ombelicale non è fatto per entrare in contatto con l'acciaio. È un po' duro da tagliare con i denti e richiede un certo tempo, perché quando esce il bambino è ancora unito al cuore della madre. I minuti necessari a rompere il cordone danno al bambino il tempo sufficiente per trovare il proprio ritmo cardiaco. Tagliarlo con un paio di forbici è la prima aggressione di cui risente il bambino. Volendo essere «moderni», in realtà siamo aggressivi. Inventiamo pa rt i sempre più avanzati nella ricerca del benessere de ll a madre e del bambino, eppure recidiamo brutalmente il cordone ombelicale. Citerò un testo che spiega bene come il nostro primo contatto col mondo avviene attraverso lo spavento. Il dottor Leboyer 104 105 scrive: Per quattro o cinque minuti il bambino si trova, quindi, a cavallo tra due mondi. Il medico ascolta impaziente e ansioso le grida del neonato che gli segnalano che sta bene. Questo, in genere, spinge il neonato a fare il suo ingresso nel mondo sotto la modalità del terrore. La brusca resezione del cordone ombelicale priva di ossigeno il suo cervello. È in risposta a questa violenza che la respirazione si stabilisce in un contesto di panico per il neonato. Respirare a pieni polmoni equivale all'inizio a essere invasi da una sensazione di bruciore. Così, la precipitazione dell'adulto, all'inizio della vita, creerà nel neonato l'associazione fra respirazione e angoscia. È per reagire all'aggressione, dunque, che cominciamo a respirare. E respiriamo male perché abbiamo il «panico de ll a respirazione». Per vincere questo panico non basta, come suggerisce Leboyer, aspettare un po' prima di recidere il cordone, perché rimane comunque la terribile violenza delle forbici. Non siamo fatti per nascere in simili condizioni. Questo atto dev'essere compiuto naturalmente. Fin dalla nascita sono gli esseri umani che infondono angoscia negli esseri umani. Dobbiamo immaginare il parto di Cristo, dato che è un modello di nascita perfetta, per ribellarci contro la terminologia introdotta dalla psicoanalisi, che siamo abituati a prendere come riferimento. Se non abbiamo altri modelli all'infuori di quello psicoanalitico, è impossibile cambiare. Cominciamo con l'immaginare la Vergine che partorisce in una stalla e visualizziamo come si svolge l'evento. Bisogna ammettere che il luogo più sacro per la nascita di Cristo sia la vagina, e che tutto il suo corpo sia abbracciato dal sesso di Maria. Il sesso non è il luogo dell'impurità. Se la donna vuole liberarsi, deve cominciare a ribellarsi all'idea che il sesso sia peccato e che la dea non abbia labbra né vagina. Questa convinzione è inconcepibile! Maria non partorisce da un orecchio! A volte ci danno questa versione e pretendono di giustificarla adducendo che fu con un orecchio che Maria ascoltò lo Spirito Santo. Ma come si fa a trasmettere un mito del genere! Dobbiamo avere una religione che sia solida, ce la meritiamo. Ci meritiamo di deificare una donna che ha avuto un bambino come qualsiasi altra donna. Altrimenti deificheremmo il contrario di quello che è la razza umana, e ciò non è possibile. Ecco perché bisogna immaginare il parto della Vergine con la massima devozione. Abbiamo visto che Maria non era angosciata perché aveva formato il bambino in modo meraviglioso. Estranea allo spirito di possesso, Maria lo aveva generato per se stesso, per il mondo. Abbiamo visto inoltre che il bambino collaborava in piena coscienza. Si metteva facilmente nel posto più adatto per nascere, poiché non aveva alcun problema. Non è il caso dei bambini nevrotici: ci sono feti che lottano contro il parto. La nascita avviene senza difficoltà se il bambino collabora, ed è evidente che non collaborerà se la madre lo ha deformato spiritualmente. 106 So di bambini che non volevano nascere perché erano stati concepiti nella nevrosi e perciò si aggrappavano all'utero. Secondo Melanie Klein, la nostra prima reazione consiste nell'attaccarci a nostra madre come scimmie. «Attaccarsi» è un termine improprio. Non ci si attacca: si è con la madre. Allo stesso modo in cui il bambino la cerca, la madre lo attira a sé. È una relazione magnetica, una collaborazione reciproca. Nell'atto di stringersi alla madre non c'è angoscia: è un atto d'amore. Abbiamo assolutamente bisogno di un'immagine del bambino che sia perfetta. A partire dal momento in cui disponiamo di tale modello, sappiamo cosa dare, cosa chiedere e cosa curare in noi, perché la vera malattia spirituale inizia nel ventre della madre, durante la gestazione e il parto. Ecco una frase della nostra psicoanalista: «La nascita è il lavoro di espulsione... ». Come osa impiegare questa espressione, «espellere»? Non si «espelle un bambino» come se fosse vomito. Madre e figlio fanno qualcosa insieme, e si tratta di un dono per l'umanità. Tutto ciò che facciamo per gli altri lo facciamo per noi stessi. Così, quando mettiamo al mondo un figlio, lo abbiamo per noi, e se non lo facciamo lo perdiamo. L'albero dà il suo frutto. Possiamo immaginare un albero che rifiuta di dare i suoi frutti? Leggiamo la seguente frase della nostra psicoanalista pensando alla Vergine Maria: «La donna affronta la maternità con il suo carico emotivo fatto di aggressività, colpevolezza e dipendenza». È ciò che viviamo oggi, però questo carico non è altro che menzogna e illusione. Non è vero. Nasciamo tutti nell'illusione sociale. «Nella nascita» dice l'autrice «la madre si sente spogliata del figlio.» Quando la madre ce l'aveva nel ventre, lo possedeva, e a partire dal momento in cui lo «espelle», si sente spogliata? Leggiamo quest'altra mostruosità: «Sappiamo ora che lo stimolo...». Lo stimolo! Abbiamo bisogno di stimoli per partorire? Dobbiamo drogarci? Mi chiedo: un fiore ha bisogno di stimoli per nascere? 107 «Sappiamo ora che lo stimolo che avvierà il lavoro...» Per questa «specialista» il parto diventa un lavoro. Gurdjieff ha detto molto bene che il lavoro deve trasformarsi in piacere. Quando è un godimento non è più un lavoro. E quando si prova piacere, che stimoli occorrono? «Sappiamo ora che lo stimolo che avvierà il lavoro viene dal neonato.» È il colmo: questo povero neonato avvierà il ro.» Leggendo questa frase - è incredibile che sia una donna a scriverla - non possiamo far altro che immaginare questo povero neonato armato fino ai denti e pronto a lottare fino alla morte...! Che brutta immagine! «La madre, profondamente scossa nel suo narcisismo, non si riconosce più nel bambino.» Tutto questo indica che il parto è da una pa rt e una questione di vanità e dall'altra una lotta feroce per la vita. Come può pretendere l'autrice che un bambino lotti per la vita, se lui è la vita stessa? La nascita è il fenomeno vitale per eccellenza e la mo rt e non vi gioca alcun ruolo: non c'è altro che la vita. Come capire che i bambini non «vengono» al mondo, ma è il mondo che crea? Come capire che i nostri genitori sono in effetti i nostri genitori, ma sono soprattutto un canale? Dietro di loro vi sono il Padre Eterno e la Madre Cosmica. Come capire che abbiamo uno scopo anche se non lo conosciamo? Come capire che nasciamo perché l'Universo ha bisogno di noi? Un frutto nasce perché è necessario, questo è quanto: ignora che l'uccellino se lo mangerà. Che ne sa della propria finalità? «Quando un parto è stato particolarmente difficile, può succedere che la madre, stanca e offuscata dall'angoscia, provi un impulso aggressivo verso il figlio.» Ma è il contrario di quello che accade! Un parto è particolarmente difficile per la semplice ragione che la madre aveva già impulsi aggressivi verso il neonato, fin da quando lo teneva in grembo. In tal caso non bisogna parlare di «impulso aggressivo»: lo abbiamo già aggredito in precedenza. In effetti, i pa rti difficili non esistono per caso. Dire che la madre detesterà il figlio se il parto risulta diffi- cile è semplicemente sbagliato: di fatto, la madre già detesta il bambino, e proprio per questo il parto è difficile. La ragione per cui una madie maltratta i figli sta nel suo albero genealogico. Studiandogli alberi genealogici di molte persone, ho riscontrato che in genere non viviamo la nostra vita perché nostra madre ama soltanto suo padre o sua madre. Risultato: per essere amati e riconosciuti da lei, dobbiamo vivere la vita della nonna o del nonno. Inoltre, nell'albero genealogico esistono ideali prestabiliti a cui bisogna piegarsi. Nella maggior pa rt e dei casi nessuno ci ha visto, nessuno ci ha accarezzato e nessuno si è davvero preoccupato di noi. Non ci hanno presi in considerazione. Siamo dovuti diventare quel che volevano i nostri genitori, con i loro ideali e le loro fissazioni amorose. Come una donna che era innamorata del padre, il cui nome era Giacinto: sposò un individuo inconsistente e con lui fece un figlio che chiamò immediatamente Giacinto, affinché fosse come l'altro Giacinto, suo padre. Risultato: il povero ragazzo era in competizione con il nonno ideale! Che bisogno c'è di impiantare nei figli le nostre storie passate? Mettiamo i nostri genitori e i nostri nonni al loro posto! Il bambino è più impo rtante di loro. C'è un antico proverbio che dice: «Prima dei miei parenti ci sono i miei denti». Quando faccio un figlio, devo automaticamente mettere al loro posto i miei genitori, altrimenti il bambino non potrà vivere. Per mettere i nostri genitori al loro posto dobbiamo perdonarli, e per perdonarli bisogna capire perché si sono comportati così con noi. Nessuno è colpevole; quando si risale la catena della colpa, si arriva molto lontano nel passato. Nei secoli, ogni generazione fa ammalare l'altra. Siamo il frutto di un albero genealogico malato e non viviamo la nostra vita. Marx ci dice che i nostri problemi emotivi derivano dalla situazione economica. Freud ci dimostra che non siamo padroni dei nostri pensieri, che la ragione provoca de lle crisi e che - come afferma Lacan - «prima parliamo, poi pensiamo». In seguito ci rendiamo conto che siamo il prodotto di proiezioni, che nessuno ci vede davvero perché tu tti proiettano 108 109 lavoro! «È lui che lotta per la propria vita nell'abbandonare l'ute- immagini su di noi come su uno schermo cinematografico. Allo stesso modo noi non vediamo nessuno perché anche noi proiettiamo sugli altri. Siamo eternamente innamorati di fantasmi che non corrispondono alla realtà dell'essere che vive con noi. Non abbiamo mai visto i nostri figli, i nostri fratelli, nostro padre... Non arriviamo mai alla nostra vera essenza. In seguito non ci innamoriamo di qualcuno per quello che è davvero, dato che non lo conosciamo. Ci innamoriamo di una forma fisica, di una professione, di un cognome, di un nome di battesimo o di una situazione economica... E in tutto ciò l'essere umano non è da nessuna pa rt e. Chiunque può provarlo: osserviamo cosa è successo nelle nostre famiglie, la ripetizione dei nomi di battesimo lungo le generazioni. Osserviamo tutto e vedremo. tu vuoi cambiare, evviva! Sono fatti tuoi. Che piacere vedere la luce che ti abita. Evidentemente, posso rallegrarmi quando le nubi lasciano l'orizzonte e appare il sole, ma non devo cercare di cambiare le cose. Piuttosto di combattere per trasformare una città, è meglio costruire una casa perfetta nel bel mezzo della città. Fra venti, cinquanta o mille anni la città crollerà mentre la nostra casa resterà. Non siamo. Siamo poveri. Essere poveri è una meraviglia. Quando non siamo possiamo entrare nella stalla ed essere un Mago che dice a Cristo: «Tu sei. Io non sono. Creami! Sono in Te! Abbi pietà di me! Dammi il mio essere! E il mio essere sei Tu!». Quando siamo poveri siamo capaci di amare l'altro per quello che è, non per quello che proiettiamo su di lui. Inoltre, siamo capaci di perdonare. Lo ripeto: invece di vedere le persone con le quali abbiamo a che fare, vediamo degli schermi su cui proiettare. Incontriamo qualcuno a cui si adatta perfettamente la nostra proiezione interiore e restiamo incantati: abbiamo incontrato l'uomo o la donna della nostra vita. In seguito ci rendiamo conto che certe cose non corrispondono alla nostra proiezione e le tagliamo. Allora l'altro ci dice: «Ehi! Smetti di farmi a pezzi! Sì, accetto di essere il tuo schermo, però ho bisogno dei pezzi che tagli!» A quel punto si verifica la lotta feroce nel corso della quale ci battiamo perché l'altro si perfezioni e «cambi». In un vero amore, invece, non si critica nulla. Se mi ami . amami con i miei difetti! Amami per quel che sono! Non chiedermi niente, non giudicarmi. Non ho nulla da darti: faremo qualcosa insieme. Io ti amo come sei, non ti chiedo nulla, non voglio che cambi, non esercito pressioni in questo senso. Se Vediamo ora come la già citata psicoanalista considera la nascita: «La prematurazione fisiologica del neonato umano» (perché esso è fisiologicamente prematuro) «fa di lui un essere fisiologicamente frammentato, sottoposto a una tensione interiore il cui effetto si traduce in una rigidità muscolare». Questa autrice non pensa che i muscoli del bambino si irrigidiscono perché li sta costruendo. Il bambino si muove perché si sta formando. Grida perché in questo modo si fa la voce. «Zitto! Shhh! Non disturbare i grandi! Non esistere! Resta nel tuo angolino, perché la tua presenza mi disturba e io devo intrattenermi, divertirmi e fare le mie cose! Non importunare i grandi, il mondo è per loro e non per i bambini! Perciò, non infastidirci!» Se invito a cena degli amici e mio figlio entra nella stanza in cui ci troviamo, naturalmente lo accolgo dicendogli: «Esci di qui! Non vedi che abbiamo da fare? Lasciaci tranquilli!». Eppure, è lui il proprietario della casa. Quando entra in una stanza, entra il re. Tutti gli adulti dovrebbero inchinarsi davanti a lui, trasformarsi in Magi e offrirgli incenso, oro e mirra. Quando il bambino entra, arriva un vero essere, un essere che si trova in uno stato incredibile. È colui che po rta la coscienza. Gli adulti possono ferirlo, mentre lui non può farci del male. Allora passiamo un po' di tempo giocando col bambino e ci trasformiamo noi stessi in bambini per mezz'ora. L'accettiamo tra di noi: non è un estraneo ma uno di noi, fa pa rte dell'umanità. Lo espelliamo, forse? Se non voglio che i miei bambini parlino a tavola perché ho l'impressione che i loro discorsi siano stupidi, ciò rivela che io 110 111 stesso, in realtà, non parlo mai. Se mangiare è un atto sacro, allora dovremmo essere all'altezza de ll a situazione e imparare a parlare, a toccarci, a fare de ll e pause. Invece di costituire l'occasione per inghiottire, tracannare e rimpinzarsi di qualsiasi cosa, ogni cena familiare dovrebbe essere una festa, una cerimonia. Ogni volta che mangiamo con un bambino è una messa, un momento sacro. Soprattutto, al bambino non piace subire pressioni mentre mangia, bensì disporre di tutto il suo tempo. Non è un'oca da ingrassare. Quel che impo rt a è il suo ritmo, il suo tempo e non il nostro, e dobbiamo seguirlo, entrare nel suo gioco. Con un bambino bisogna procedere come quando si vuole accarezzare un animale selvatico. Entriamo nel suo mondo lentamente. Con la massima delicatezza allunghiamo una mano e l'avviciniamo a poco a poco all'animale. Alla fi ne riusciamo a toccare una lucertola, un coyote, un gatto selvatico... Alcuni miei amici lo sanno fare. Quando vogliamo toccare qualcuno, possiamo stabilire il contatto solo attraverso un rispetto assoluto nei suoi confronti. È come quando, per strada e di notte, chiediamo un'informazione a qualcuno. Non possiamo piombargli addosso e domandargli a bruciapelo: «Che ore sono?.. No: da lontano, stando a due o tre metri da lui, lo guardiamo e gli diciamo: «Scusi, signore, posso chiederle che ore sono?». Così l'altro ci risponderà facilmente. rigidimenti che fanno parte di lui stesso. La separazione si effettua all'interno dell'unità, dell'uovo». Ciò significa che se siamo separati cadiamo nell'angoscia, che è il prodotto della separazione. Se Lacan ci condanna a essere separati dall'uovo, dall'unità, che tipo di psicoanalisi eserciterà questo autore? Che cos'è la psicoanalisi? Qual è la sua base? Si tratta della base malata che abbiamo appena visto? In tal caso possiamo dire che la psicoanalisi ha costruito sulla sabbia, perché non ha compreso il neonato. Infatti: se non comprendiamo il neonato, come faremo a comprendere l'essere umano? Finché non ci identifichiamo con la nascita di Cristo, diremo soltanto sciocchezze. È p ro prio questa la lezione che Cristo ci ha dato, e a partire da qui dobbiamo ribellarci. Perché si parla sempre di patologia dell'uomo e mai della sua santità. «Il sistema nervoso incompleto...». secondo lei, un bambino nasce incompleto; « ... e la regolazione delle precarie funzioni vegetative...» Ma se è il momento in cui siamo più ricchi! Il neonato è insieme l'essere più fr agile e quello più forte del mondo: è come una candela che ha ancora tutta la sua cera. Conserva tutta l'energia de ll a crescita: è come una bomba atomica. Noi siamo più deboli del neonato perché abbiamo speso la maggior parte della nostra energia, mentre lui arriva con tutta la forza. Eppure lo vediamo precario, incompiuto, rigido. Lacan sostiene: «La frattura si compie tra quello che si trasforma nell'individuo rispetto al mondo esterno e gli ir- Risulta più che evidente che attualmente siamo malati. Tuttavia, se è così, significa che la nostra influenza è durata più di diecimila anni. Contemporaneamente, però, significa anche che possiamo acquisire coscienza e curare questa influenza endemica, perché siamo in grado di creare una scuola dove le madri imparino a parlare con i loro feti. Questo implica anche che commettiamo degli errori. Cosa vuoi dire commettere un errore? Bisogna sbattere la testa contro il muro per tutta la vita perché si è sbagliato una volta? A partire dal momento in cui riconosciamo il nostro errore, questo fatto deve renderci allegri perché non commetteremo mai più lo stesso errore. Inoltre, potremo parlare agli altri per renderli coscienti come noi, potremo consigliarli e guarirli. Diciamo dunque che è permesso commettere un errore; al contrario, è criminale diventarne coscienti e poi rifarlo un'altra volta. Il senso di colpa è inutile. Appartiene alla vanità. Quando qualcuno commette un errore e poi ne diventa cosciente, si arricchisce e non si impoverisce. Non è mai troppo tardi per correre ai ripari, perché quello che non abbiamo fatto per i nostri possiamo farlo per gli altri; e quello che facciamo per gli altri lo facciamo per i nostri, perché gli altri sono i 112 113 nostri. Quando facciamo qualcosa di positivo per l'umanità, facciamo del bene a tutti quelli che verranno. Non dobbiamo lavorare unicamente per la nostra compagna o per la nostra famiglia, bensì per l'umanità intera. È tanto evidente quanto semplice. Dobbiamo lavorare per tutti senza caricarci di un eterno senso di colpa. Anche se siamo stati dei criminali, se abbiamo provocato aborti, se abbiamo spinto nostro figlio al suicidio, non siamo colpevoli. Siamo stati perdonati. Finiamola con la colpevolezza! Non serve assolutamente a niente. Il nostro errore appartiene al passato; ha avuto lo scopo di renderci coscienti: è divino. Nel momento in cui prendiamo coscienza, tutti i nostri errori vengono divinizzati, perché diventano utili agli altri. Prendiamo coscienza e rendiamoci responsabili. Aggrapparsi al senso di colpa è un atto di puro narcisismo. Per concludere, è necessario immaginare mi ll e volte la nascita di Cristo, e farlo passare dalla vagina di Maria nelle mani di Giuseppe altrettante volte, per capire cosa dobbiamo esigere dalla nascita degli esseri umani. 114 V LA VISITA DEI PASTORI I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio... Questa frase è bella: i pastori, che sono analfabeti, arrivano alla mangiatoia, vedono il neonato e ritornano cantando la gloria del Signore. Hanno quindi compreso senza l'ausilio di uno scritto. Hanno capito con lo sguardo, tramite il contatto diretto: il neonato non parla ancora ma lo hanno visto e questo è sufficiente per scoprire la verità che portano dentro di loro. Comprendono, quindi, e partono. La visita dei Magi, seguita da quella dei pastori, ci insegna qualcosa: possiamo essere Magi, ma dobbiamo contemporaneamente essere pastori. Sia il livello più alto di conoscenza sia quello più modesto arrivano comunque a inchinarsi davanti a questa splendida verginità, allo spirito, al Dio interiore. Io paragono i pastori ai Denari dei Tarocchi - cioè al corpo -, i Magi alle Spade - cioè all'intelletto -, e il luogo dove tutto accade alle Coppe: la sfera emotiva. Quindi, se la nascita avviene nel cuore, l'intelletto e il corpo si inchineranno. Viviamo in un'epoca analitica, nella quale l'istruzione mira a formare uomini analitici, separati dal loro cuore; il pensiero analitico sviluppa certe ghiandole corporee e un atteggiamento duro, freddo, crudele e competitivo. Anticamente, l'uomo viveva immerso nel pensiero analogico: era l'epoca della magia. Era comunque necessario uscire da 115 quel mondo analogico, ed è proprio quel che abbiamo fatto passando al mondo analitico. Oggi, per diventare degli esseri completi, dobbiamo reintrodurre l'elemento analogico nella nostra cultura al fine di utilizzare l'analitico e l'analogico contemporaneamente. È quello che vediamo nel presepe: vi si trovano due sistemi, l'analogico e l'analitico, perché i due estremi - i Magi e i pastori - si riuniscono nel cuore. Quanto più avanziamo nella conoscenza dell'essere umano, tanto più ci rendiamo conto che il problema risiede nel cuore. Constatiamo sempre più che i problemi emotivi coinvolgono tutto quanto. E - come abbiamo visto nel capitolo precedente il primo problema che abbiamo fin dalla nascita è provocato dal brutale taglio del cordone ombelicale, con il quale veniamo separati dal cuore della madre molto prima del dovuto. Per questo non riusciamo a creare il nostro ritmo cardiaco senza provare dolore. Ogni essere umano possiede un ritmo peculiare. È una delle sue caratteristiche personali. Quando amiamo qualcuno, amiamo il suo ritmo, che si manifesta essenzialmente tramite un intermediario: il cuore. Amiamo dunque il cuore di una persona attraverso il suo ritmo. Quando amiamo tutti quanti, amiamo anche il ritmo di ciascuno. Siamo coscienti del ritmo dell'altro e non interferiamo assolutamente. Ciò significa che andiamo piano con una persona il cui ritmo è lento, e in fretta con un'altra il cui ritmo è accelerato. Percepiamo il ritmo dell'altro e lavoriamo con lui. QUELLO CHE MARIA CUSTODISCE NEL CUORE Maria, da pa rt e sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Questo indica che lei non dice niente: Maria è obbligata a mantenere il segreto. La città si trova in un tale stato di agitazione e la crisi è così grave che non si può annunciare la verità senza correre rischi mortali. 116 Arriviamo alla verità quando formuliamo pensieri che ci mettono in pericolo di mo rt e. Sostenere un pensiero vero implica sempre un rischio letale, perché quel pensiero si forma in un mondo completamente sviato. Se introduciamo un pensiero costruttivo e positivo in un mondo tenebroso, questo mondo cercherà subito di eliminarlo. È per questa ragione che Cristo è costantemente in pericolo di mo rt e e la Vergine deve tacere per non fargli correre rischi. Da dove viene questo pericolo? La sua origine è abbastanza incredibile: viene dal tempio. Quella che dovrebbe essere la casa di Cristo si trasforma nella tana del lupo, perché il tempio ha stretto un'alleanza col nemico: collabora con i potenti che regnano, è al loro servizio, è vigliacco e limitato nella sua azione. Sottostà a una legge iniqua ed è incapace di cambiarla; la rispetta anche se è completamente paralizzata ed è consapevole che quella legge non corrisponde alla realtà. L'avvento di Cristo annuncia la rottura della tradizione per come si era fossilizzata in quel momento: è per questo che il velo del tempio si strappa in due al momento della sua morte. Maria, dunque, custodiva tutto questo nel suo cuore, che doveva essere davvero incredibile, dato ciò che aveva sperimentato: aveva conosciuto la divinità e il parto di Dio, era la donna più perfetta di tutta la terra. Mentre i pastori cantavano le lodi di Dio, Maria non poteva farlo. Riusciamo a immaginare le lodi che custodiva, la musica incomparabile, la sinfonia che albergava nel suo cuore nel momento in cui arrivarono i pastori e i Magi? Era una melodia di una bellezza senza pari, fatta di lodi, di gioia, di piacere, di soddisfazione e di pace, perché lei sapeva che il mondo stava per realizzarsi: conosceva il meraviglioso destino dell'umanità e lo serbava nel cuore. Si può tenere segreta una cosa così grande? Non traspariva il piacere che provava? In realtà, Maria si trovava in uno stato straordinario perché non esprimeva niente, eppure da lei emanava tutto. Inoltre, se accettiamo la leggenda dell'Assunzione, il suo sacro cuore è andato a situarsi al centro dell'Universo, ba tte all'unisono con quello del Cristo. Sono lo Yin e lo Yang. La 117 Vergine conosceva quel destino: sapeva di portare in seno il cuore dell'Universo per l'eternità. Ci rendiamo conto della sensazione che doveva procurarle? Aveva avuto l'immenso piacere di rivestire la divinità della propria carne: quale atto migliore si può mai compiere? Cosa poteva fare di meglio la razza umana se non produrre la coscienza cosmica e mettere tutta la propria carne al servizio di tale coscienza? LA CIRCONCISIONE Nel secondo capitolo del Vangelo di Luca, una frase è fondamentale: Quando furon passati gli otto giorni... Sappiamo che l'otto è il numero della perfezione. È anche il numero del battesimo: per questa ragione le fonti battesimali hanno otto lati. Per lo stesso motivo gli ebrei circoncidono i bambini a otto giorni dalla nascita. Si dice che a questa data circoli una minor quantità di sangue e che quindi il neonato ne perda di meno. Un ciclo si chiude e ne inizia uno nuovo. Il numero otto simboleggia infatti la perfezione nella materia. Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione... Chiediamoci di nuovo che cos'è la circoncisione e andiamo a vedere a casa corrisponde questa cerimonia nella Bibbia. È necessario capire le sue origini perché sono molti gli uomini che hanno perso il prepuzio senza sapere bene il perché. Quando il diluvio sommerge la terra, è Dio che punisce la sua creazione: tutti gli uomini, salvo Noè e i suoi, muoiono annegati. Allora Dio stringe un patto con Noè: si impegna a non far più soccombere gli esseri umani, e il patto si concretizza con l'apparizione di un arcobaleno. Quest'ultimo costituisce, dunque, il simbolo dell'alleanza. Un arcobaleno è un semicerchio. René Guénon, nel suo libro Simboli fondamentali della scienza sacra, sviluppa molto bene il 118 tema. Secondo lui, il semicerchio dell'arcobaleno corrisponde all a part e celeste, mentre l'altra metà, il semicerchio inferiore, corrisponde all'Arca di Noè o alla terra; nel centro di questo cerchio, secondo Guénon, avverrebbe l'unione con la divinità. Dal punto di vista simbolico, si tratta di una felice intuizione: esiste in cielo un semicerchio che viene completato dalla terra, e dato che Dio è presente ne saremo ricolmi. Dopo il Diluvio c'è la storia di Abramo, molto simile a quella di Zaccaria ed Elisabetta. Abramo ha novantanove anni, mentre Sarah, sua moglie, arriva ai novanta. Dio gli dice: «È giunto il tempo. Avrai un figlio». E qual è la reazione di Sarah quando Abramo le comunica questa notizia? Si sbellica da lle risa: ed è per questo che il figlio che mettono al mondo si chiama Isacco, che significa «colui che fa ridere». Prima di annunciare ad Abramo la nascita di Isacco, comunque, Dio gli dice che farà un'alleanza con lui. Il passo biblico è abbastanza fo rte: Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto». Abramo deve essersi domandato: «Come posso moltiplicarmi alla mia età?». e Dio parlò con lui: «Ecco, la mia alleanza è con te...». Cioè: «Ecco quello che farò per te». e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abramo perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. È l'annuncio del Cristo, dato che il lignaggio di Cristo proviene da Abramo. È, anche, l'annuncio della circoncisione di Cristo. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e 119 alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio. Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo dite: sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro...». Questo significa «il vostro prepuzio». e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione; tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza. In questo patto o alleanza, non essere circoncisi comportava l'esclusione dal popolo. Circoncidere Cristo ha lo scopo, dunque, di non farlo escludere dal popolo. Allora Abramo prese Ismaele suo figlio e tutti i nati nella sua casa e tutti quelli comperati con il suo denaro, tutti i maschi appartenenti al personale della casa di Abramo, e circoncise la carne del loro membro in quello stesso giorno, come Dio gli aveva detto. LA CIRCONCISIONE DEL SESSO L'alleanza fra Dio e l'uomo si concretizza dunque tramite un cerchio: si fa un'incisione, un anello di sangue intorno al sesso, si toglie la parte che occulta il glande e lo tiene nell'oscurità e nell'umidità. A partire da questo istante, il glande rimane in luce e Dio vi è inscritto per sempre. Senza la circoncisione, rimane costantemente nell'oscurità ed è lubrificato e umido. Il fatto di inscrivere Dio nel sesso implica che l'essere umano non farà mai l'amore come un animale. Per cominciare, dunque, l'alleanza con Dio si realizza attraverso il sesso. Tutte le persone metaforicamente «tagliate in due» all'altezza della cintura che rifiutano il loro sesso sono malate: devono riconoscere Dio nel loro sesso. La Bibbia lo dice molto chiaramente. Questo atto di riconoscimento si chiama circoncisione. È a partire dal suo sesso che Cristo stringe un patto con Dio. Del resto è un patto inutile, poiché egli è Dio. È sempre mediante questo atto che Cristo comincia a essere introdotto nella cultura della sua razza. La prima alleanza, dunque, avviene su un piano corporeo, animale, e ha come finalità che il sesso dell'uomo si trasformi in un tempio. LA CIRCONCISIONE DEL CUORE Strana scena: mentre Abramo a ffi la i coltelli, tutti i maschi aspettano il momento fatidico tremando di paura. È presumibile che tremassero: oggi, la circoncisione di un adulto o di un bambino si pratica con l'anestesia generale perché quella locale è impraticabile ed eccessivamente dolorosa. Inoltre, si tratta di un atto cruento che Me t te paura: ci rendiamo conto di cosa rappresenta per un adulto farsi tagliare un pezzo del suo sesso? Benché sia un atto impressionante e molto cruento, Abramo taglia il prepuzio a tutti i maschi de ll a sua casa. San Paolo ha detto: «La circoncisione è utile, sì, se osservi la Legge; ma se trasgredisci la Legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso. Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge, la sua non circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione?». E subito dopo: «... la circoncisione non è quella visibile nella carne ... la circoncisione è quella del cuore, nello spirito». Paolo si riferisce a ll a circoncisione del cuore: quella «nello spirito e non nella lettera» (Romani 2,25 26, 28-29). E subito dopo cita un passo dell'Antico Testamento (Deuteronomio 30,6): 120 121 - LA DONNA E LA CIRCONCISIONE Il Signore tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e viva. Si passa molto chiaramente, dunque, dalla circoncisione del sesso a quella del cuore: da una parte si nega la Legge e si parla di cuore (la Vergine Maria conserva tutto nel suo cuore, per inciso), e dall'altra ci dicono che si comincia dalla circoncisione del sesso, il che equivale a inscrivere Dio proprio in questa pa rt e del corpo. A parer mio non c'è alcuna negazione del sesso: al contrario, ciò corrisponde a un'alleanza fra Dio e il sesso che implica l'accettazione della sessualità come qualcosa di divino e di bello, come un onore e un ringraziamento per la divinità. Implica altresì l'accettazione del piacere, non da un punto di vista puramente animale ma soprattutto come un evento divino. Una volta che abbiamo praticato la circoncisione del sesso e che questo in tal modo ha innalzato il suo livello, bisogna accedere al livello del cuore. E per farlo è necessario inscrivere la divinità nel proprio cuore. LA CIRCONCISIONE DELL'INTELLETTO Nell'intelletto il cerchio si trasforma in corona. Circoncidiamo la nostra testa con una corona: questo vuoi dire che vi delimitiamo un cerchio di luce pura, all'interno del quale cancelliamo completamente ogni parola volontaria. Nessun discorso, nessuna verità scritta entreranno nella corona. Questo cerchio può essere infinito, poiché il cerchio è infinito. Quando abbiamo questo cerchio mentale nel quale non pu e) entramouplcheiartng;qudobbiamo questo cerchio spirituale che ci fornisce le parole e ci fa parlare solo quando soffia lo Spirito; quando abbiamo questo cerchio nel cuore e nel sesso, i nostri desideri provengono dalla divinità: sono divini ed è grazie a loro che siamo al servizio della divinità. Solo allora siamo davvero circoncisi. 122 La donna non ha bisogno di essere circoncisa, dato che è un elemento di elezione divina: tutto comincia con Eva, infatti, mentre la caduta cessa con Maria. La Vergine introduce l'ascensione, e tutta la carne, che è femminile, produrrà la coscienza collettiva. La donna, dunque, non ha bisogno di stringere un patto, dato che questo avviene attraverso di lei. Due donne hanno salvato l'umanità. Da un lato, la razza umana sarebbe completamente immersa nell'animalità, nell'idiozia e non sarebbe circoncisa: si ciberebbe tuttora di frutta e sarebbe rimasta in uno stato di innocenza animalesca se Eva, con la sua estrema intelligenza, non si fosse proposta di imparare e di conoscere. È lei a detenere l'intelligenza, in quanto spinge Adamo, che la segue ingenuamente. Gli dice: «Mangia di questo frutto!», e lui, senza dar prova del minimo spirito critico, obbedisce. È Eva il motore dell'azione, quella che trova le parole adatte per parlare al serpente. Del resto, a chi si rivolge quest'ultimo? Se voglio sedurre qualcuno, a chi mi rivolgerò? Chi convincerò a prendere il frutto della conoscenza? Mi rivolgerò al più intelligente, ovvio. È quello che fa il serpente, e l'esito è davvero formidabile poiché ha consentito tutti i successivi sviluppi, la nascita di Cristo e quant'altro. È solo grazie a Eva, perché senza di lei non sarebbe esistita Maria. È lei la Maga che ha provocato la rivoluzione più grande, perché è grazie a lei che esiste una Maria capace di desiderare la divinità. La Vergine dice: «Niente uomini per me! Non voglio altro che la perfezione: Dio!», perché è capace di desiderare Dio completamente, dato che tutto ciò che le succede non è altro che il prodotto di quello che lei ha desiderato. Eva non ha paura. Va contro Dio, è capace di sfidarlo e di disobbedirgli. È uno spirito forte, mentre Adamo trema di paura. Quando Dio appare e gli chiede ragione del suo comportamento, si affetta ad accusarla: «Non sono stato io, lei mi ha obbligato a farlo!». Adamo accusa, è debole, mentre Eva accetta. E chi viene punito con la predizione de ll e sue sofferenze? 123 Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Eva. È lei che viene maledetta. Tuttavia, subito prima le è annunciato che sarà lei a schiacciare il serpente: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno. Questo vuol dire che Eva schiaccia il peccato, e lo fa trasformandosi in Maria. In primo luogo, Eva affi onta il Padre: gli disobbedisce e lo sfida, mangia del frutto della conoscenza. Poi viene espulsa dall'Eden. Tuttavia, Eva va avanti: procrea, vive, si riproduce persino con i propri figli, dato che è l'unica donna. L'intera umanità nasce dall'incesto. Ed Eva va avanti. Di caduta in caduta comincia a elevarsi, a diventare sempre più cosciente, fino al momento in cui ritornerà, trasformata in Maria, e così facendo l'umanità conosce la Verità. Se possediamo una coscienza, è solo grazie a Eva. Nel momento in cui arriva Maria, nessuno è puro eccetto lei. Abbiamo di nuovo una donna che possiede un cuore ed è completamente circoncisa. Infatti il suo sesso, il suo cuore e il suo intelletto hanno registrato Dio in ogni cellula del corpo; la divinità è inscritta nei suoi ovuli, nella sua clitoride, nella sua vagina, nelle sue ovaie, nel suo pube, nel suo ano, nel liquido che le lubrifica il sesso. Quando pensa alla divinità, questa si trova lì, dentro di lei. In effetti, la divinità è totalmente presente nel piacere che Maria sperimenta quando è avvolta nell'uovo d'ombra. Riceve il «bang» energetico completo nel corso del quale, con un piacere incredibile, Dio l'ha fecondata, attratto dalla sua carne così pura e così bella. Maria ha il potere di assorbire integralmente il divino: quanto più le concede la divinità, più lei assorbe, apre il grembo e riceve senza alcun timore. Così come Eva non ha paura di sfidare Dio, Maria non ne ha di accettare la divinità: sono due situazioni parossistiche della cui forza dobbiamo essere coscienti. Ecco dunque perché la donna è già circoncisa. E dato che lo è, si può parlare di alleanza solo per suo tramite. 124 IL CRISTO E LA CIRCONCISIONE Cosa possiamo dire della circoncisione di Cristo? Che bisogno aveva di passare attraverso un simile atto? Secondo il mito era perfettamente inutile, dato che egli era la divinità stessa. Perché avrebbe dovuto stringere un'alleanza se egli stesso era l'alleanza? In primo luogo, la circoncisione indica che Cristo aveva un sesso: non possiamo negarlo. C'è chi lo mette in dubbio, ma ce l'aveva, e lo dimostra la stessa circoncisione. Inoltre, Maria, Giuseppe e Gesù si prestano al rito della circoncisione perché tutto doveva svolgersi nel popolo eletto. Secondo la tradizione di questo popolo, era necessario praticare dei sacrifici: il primo era la fasciatura del bambino, il secondo il rito de ll a circoncisione. Siccome si tratta di un'alleanza con Dio, Cristo non aveva bisogno di stringere un'alleanza con se stesso. Piena d'umiltà, la Sacra Famiglia accetta di piegarsi a queste convenzioni anche se erano diventate inutili, dato che la nuova alleanza era lì: Cristo era la nuova alleanza. 125 VI LA LEGGE DI MOSÈ Nel paragrafo «Circoncisione e presentazione al tempio» si leggono questi versetti: Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Giovanni (1,17) dice: «La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo». Ciò significa che la grazia e la verità non sono nella Legge e che Mosè non possiede né l'una né l'altra. Questa Legge era certamente utile e necessaria quando fu promulgata, ma quel tempo è ormai passato, poiché tale Legge non rivela né grazia né verità. Quale grazia poteva mai possedere Mosè, che era stato abbandonato dalla madre? Più tardi lei lo ritrova, ma solo molto tempo dopo che lo ha messo in un cesto per lasciarlo in balia de ll e acque. Mosè è un uomo senza moglie, è il patriarca separato dalla parte femminile. In lui non si distingue nemmeno un briciolo di femminilità. Mosè balbetta. Se ne sta costantemente con suo fratello Aronne, che assolve a ll a funzione di suo portavo126 ce. Sempre in compagnia di un uomo, Mosè non è capace di c ondividere i comandamenti con una donna e non arriva mai a c onoscerla veramente. Ciò deriva dal suo albero genealogico, dato che è stato abbandonato nella prima infanzia. Sarebbe potuto annegare: sua madre sperava che sopravvivesse, però bisogna pensare che tipo di madre può essere quella che lascia il figlio nelle acque di un fiume. La figlia del faraone trova il bambino e lo salva; quindi prende il posto della vera madre, ma si tratta di un caso fortunato. Mosè, dunque, è un uomo separato da ll a madre e sappiamo bene che non c'è peggior angoscia che quella dell'abbandono. Mosè si trasforma poi in quello splendido colosso prescelto da Dio. È il colosso de ll a Legge, ma dove ci conduce una Legge senza grazia né verità? Nell'episodio dell'adultera, la gente dice: «Secondo la Legge di Mosè bisogna lapidarla», e Cristo, mentre con un dito traccia dei segni per terra, risponde: «Chi è libero da peccati scagli la prima pietra». Cosa vuole dire tracciare dei segni per terra e che cosa «scriveva» Cristo? Qualunque cosa fosse, l'incideva nella terra. Cristo veniva a cambiare la Legge scritta, e questo cambiamento era dinamico e vitale, dato che a questa Legge mancavano la grazia e la verità. È molto impo rt ante che le donne conoscano la Legge di Mosè, perché essa ha causato moltissime stragi e ne provoca ancor oggi: è di lì che provengono tutti quegli alberi genealogici di cui le persone soffi ono, nei quali tutte le donne si chiamano Maria, mettono al mondo almeno dieci bambini, non sperimentano mai un orgasmo e vivono nella completa insoddisfazione sessuale. Questa Legge provoca la divisione del corpo in due pa rt i e fa sì che le persone vivano soltanto nella metà superiore; genera quel tipo di donna a cui dispiace non essere un uomo, il fratello maggiore, e che tenta di sedurre il padre trasformandosi in un «ragazzo mancato». Questa Legge di Mosè è all'origine di una devastazione che ha causato milioni di morti: le famiglie e le donne ne stanno ancora soffrendo ed è per questo che risulta determinante sapere di cosa si tratta. 127 La Vergine Maria e Giuseppe si prestano alla commedia, questo è più che evidente. Quando venne il tempo de ll a loro purificazione secondo la Legge di Mosè... Come pretendere che Maria si faccia purificare? Non è forse la Vergine? E come pretendere che Giuseppe si purifichi? Non è forse giusto? Purificare questi due esseri è un atto completamente inutile, così come circoncidere Cristo. Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore... momento in cui cominciano ad averle, si dice loro: «Ora sei una donna!» e «non sederti più sulle ginocchia di tuo padre!». Eppure, è il momento più bello, perché il corpo comincia a cambiare e a purificarsi. L'ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa [la madre] resterà ancora trentatré giorni... Notiamo, per inciso, che Cristo vivrà trentatré anni. ... a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Secondo questo testo, la donna rimane impura per quaranta giorni: è il deserto, la quarantena... Resta isolata come se sof- Come presentare Dio a Dio? ... come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore... Come possiamo consacrare Cristo al Signore se egli è il Signore? Lo consacreremo a se stesso? È insensato! e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Perché fare un sacrificio? Perché uccidere delle tortore o dei colombi? Che relazione esiste fra la consacrazione di Cristo e un massacro di animali? Cosa significa tutto ciò? Per rispondere a queste domande dobbiamo consultare la Legge di Mosè. Questa Legge si trova nel Levitico e il passo che ci interessa è 12,1-8, nel capitolo intitolato «Purificazione dopo il parto». II Signore aggiunse a Mosè: «Riferisci agli Israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole». In primo luogo, le «regole» non sono «immonde», come qui si dice. Le bambine ripetono i modelli di condotta appresi dalle loro madri, crescono con quest'idea di «malattia» e vedono le mestruazioni come un'esclusione dalla società. Inoltre, nel 128 frisse di una malattia, sperando di non essere contagiosa. Queste frasi ci dicono, dunque, che per una donna generare un bambino implica restare impura. Se i nostri alberi genealogici sono malati, si deve al fatto che lo è in primo luogo la nostra mitologia. Ma se partorisce una femmina sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi dal suo sangue. Sessantasei più quattordici fa ottanta. Il doppio dei giorni della quarantena. Quindi, se partorire un maschio è immondo, partorire una donna lo è doppiamente... È incredibile... Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all'ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto... Questo vuol dire che, una volta che si è data la vita, bisogna toglierla, sgozzando un agnello. e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione. Cosa si tratta di espiare? Il peccato di avere un figlio come esito di un coito? Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei... 129 Vale a dire che viene assolta dall'aver avuto un figlio, vieni perdonata di aver partorito... essa sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna che partorisce un maschio o una femmina. Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l'olocausto e l'altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa sarà monda. È il punto più terribile, ma è necessario affi ontarlo perché siamo tutti intrisi di questo senso negativo della concezione. Leggiamo, allora, l'Esodo 13,1-2: Il Signore disse a Mosè: «Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti — di uomini o di animali — esso appartiene a me». relazione tra «accecare» e «castrare» risulta molto chiara nel mito di Edipo, che si strappa gli occhi quando viene a sapere di aver procreato con la madre (qui gli occhi e i testicoli si uniscono in forma simbolica). Ammazzare due colombe dopo la nascita di un bambino è, dunque, un atto pregno di senso. Ammazzare un agnello è come ammazzare il figlio. Ciò significa che mentre lo procreiamo al contempo lo assassiniamo per il «peccato» che rappresenta e per l'impurità che la sua concezione compo rta. A un livello o all'altro, viviamo in quest'atmosfera di peccato e impurità legata alla concezione e al parto; e tutto questo proviene dalla Legge di Mosè. PRESENTAZIONE DI GESÙ NEL TEMPIO O il versetto 12 dello stesso capitolo: ... tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del bestiame, se di sesso maschile, appartiene al Signore. Ora, sapendo a cosa fa riferimento il Vangelo, è necessario vedere la presentazione di Gesù nel tempio da un altro punto di vista. Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè... Secondo questo testo, il primogenito maschio appartiene a Dio. Più avanti si spiega come praticare il sacrificio: si taglia il collo a un agnello e si spruzza l'altare col suo sangue, un atto molto crudele. Al termine dei quaranta o ottanta giorni, si portano al tempio due colombi o due tortore. Nel Cantico dei Cantici, sia il personaggio femminile sia quello maschile, descrivendosi l'un l'altro, paragonano i propri occhi a delle colombe. Cercando il significato occulto delle due tortore possiamo pensare a vari elementi: la coppia di uccelli sgozzati può essere paragonata a due seni che vengono mozzati oppure a due ovaie che vengono «castrate» in modo simbolico. Quest'ultima ipotesi si regge sul fatto che gli occhi sono paragonati a delle colombe. Nell'antica tradizione indù gli occhi sono messi in relazione con le ovaie. Colombe = occhi = ovaie. Sgozzare colombe, accecare, castrare. Castrare le ovaie e i seni, punire simbolicamente la donna per il «peccato sessuale» di generare e partorire. La Nella versione ecumenica una nota precisa: «Certe antiche attestazioni dicevano: la purificazione di "lui" o di "lei". Di fatto, la Legge, in Levitico 12,1-8, non concerne il padre bensì la madre». È dunque per questo che Maria va al tempio per essere purificata. Quella povera Vergine che già ha dovuto fasciare il proprio bambino e farlo circoncidere, è adesso obbligata dalla Legge a sostenere questa nuova prova: la donna più pura della storia dell'umanità deve farsi purificare dai sacerdoti che, senza alcun dubbio, sono molto meno puri di lei. I due giovani (Giuseppe e Maria) avanzano quindi umilmente verso il tempio. Non sono tristi, non potrebbero: sono due esseri totali; portano due uccelli, l'offerta dei poveri, il dono più piccolo richiesto dal tempio per il sacrificio, dato che era scritto: «se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi». Sappiamo che Giuseppe e Maria erano 130 131 ricchi perché i Magi avevano dato loro dell'oro: adottano quin di il sacrificio riservato ai poveri in quanto consapevolment vogliono dare il minimo possibile in questa cerimonia. Avân r, zano verso il tempio col bambino avvolto nelle fasce; egli si presta al rito perché deve entrare a far parte del popolo eletto: deve diventare come gli altri, passare attraverso tutto ciò che prescritto per conferire grazia e verità a questa stessa Legge. , Eesame degli alberi genealogici mi dimostra tuttavia che questo processo non si è realizzato compiutamente: ancor oggi con ,. tinuiamo a pensare, secondo la Legge di Mosè, che l'atto sessuale sia sporco, che la donna non sia pura e che debba purificarsi dopo il parto, e che il bambino sia un frutto del peccato. Venendo a conferirle grazia e verità, Cristo viene anche a cambiare la Legge di Mosè: mette in atto una rivoluzione totale, perché Mosè non ha mai avuto donne mentre Cristo ne ha una. Il Cristo è nato da una donna: ha una madre che si occupa di lui, a partire dalla sua concezione e per tutta la sua infanzia (Maria comme tt e soltanto una distrazione: il giorno in cui Gesù si trattiene nel tempio senza che lei se ne renda conto). Ricevendo l'amore di una donna, Gesù impara ad amare la rt e femminile. Non può, allora, essere d'accordo con la Leg- pa ge di Mosè, e meno che mai dopo aver conosciuto la nascita. Dall'interno del grembo di Maria ha visto quanto meraviglioso ; e eprftosialdunqepòirchadon impura dopo aver partorito. Tuttavia, c'è un motivo di tristezza, uno solo, per Gesù, Giuseppe e Maria mentre si incamminano verso il tempio: le' tortore che uccideranno. Il Cristo le benedice e le tranquillizza dicendo loro: Non abbiate paura. Quando sarete sacrificate vi ritroverete nelregno di mio Padre, dove avrete un posto di elezione. Le tortore gli rispondono: Non preoccuparti, nostro Dio. Diamo la vita con piacere perché sappiamo che ti incontreremo di nuovo. Chiuderemo gli occhi ma li riapriremo subito... e Tu sarai al nostro fianco. 132 I primi due animali che entrano nel regno dei cieli sono ueste due tortore: si offrono in sacrificio come nessun altro q animale ha mai fatto prima, perché sono piene di fede e dello Spirito divino. Questi uccelli sono i primi a essere sacrificati e annunciano la strage dei bambini perpetrata da Erode (Matteo 2,16-18). Bisogna provare pietà per tutte le madri e i bambini che sono stati massacrati perché era nato Cristo. È necessario comprendere la sofferenza toccata in so rte a tutti quegli innocenti, capire che quando il nuovo essere emerge in noi, quando finalmente affiorano il nostro Giuseppe e la nostra Maria, molti innocenti e molte cose vengono sacrificati. Nel momento in cui la nostra vita si trasforma radicalmente, il dolore è la prima cosa che provochiamo intorno a noi. Siccome avevamo vissuto fino a quel momento in un mondo con un livello abbastanza basso, e siccome questo livello ci corrispondeva, quando cambiamo, le persone che rimangono al vecchio livello non possono capirci, e noi non possiamo più vibrare insieme a loro. Quelle persone cominciano dunque a soffi ire. Cercando un colpevole, tentano di demolire quel che ci ha fatto cambiare e il loro attacco si basa su opinioni come: «Chi ha detto questo? Chi ha fatto quello? Chi è il (o la) criminale che ti ha cambiato così? Perché?», oppure: «Cosa ti è successo? Perché sei diventato così cattivo? Perché sembri indifferente alle mie aggressioni?». Passiamo allora attraverso il «massacro degli innocenti». È la legge della crescita; ciò significa che il dolore è la prima manifestazione del cambiamento. Ci saranno parecchie sofferenze intorno e dentro di noi al momento della presa di coscienza, perché è triste abbandonare quello che ci definiva. Com'è triste non poterci più identificare con il nostro ego! Com'è triste non serbare più rancore nei confronti dei nostri genitori! Il giorno in cui è morto il dittatore Francisco Franco, non ho visto nessuno più triste di uno scrittore antifranchista che frequentavo. Aveva passato tutta la vita a scrivere pièce teatrali contro Franco e in quel momento, in preda allo sconfor133 to, mi ha detto: «Cosa faccio adesso?». Più tardi ha risolto il problema: è diventato anticomunista e ha potuto vociferare . di nuovo. Il giorno in cui perdoniamo noi stessi, la tristezza ci opprime perché il rancore, una delle basi della nostra esistenza; scompare. portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore... mai più gli stessi. Come diceva Breton: «Lasciare il certo per l'incerto. Lasciare la preda per l'ombra», il che equivale a vivere nel rischio, ed è quello che non vogliamo assolutamente. La «Legge di Mosè» garantisce l'assenza di rischi perché in essa tutto è stato registrato e previsto. Per non essere massacrati dalla Legge di Mosè, bisognava andare al tempio e adempiere al rito: è esattamente quello che fece la Sacra Famiglia. Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore... Qui è molto chiaro che la Legge di Mosè è quella del Si- ' gnore. A partire dal portentoso momento in cui s'incarna e conosce una madre, Dio inizia a concepire una nuova base: adesso conosce l'uomo, conosce l'illuminazione, il corpo e cuore umani. In precedenza, quando Dio consegnò la Legge a Mosè, questa Legge proveniva dal cielo, mentre ora appare la divinità incarnata e si mette in discussione. È bello vedere come Dio, discute la propria legge e la cambia. Se Eg li è capace di cambiare le sue leggi, perché noi non cambiamo le nostre? È molto difficile per gli esseri umani cambiare le loro leggi. Mentalmente, ognuno di noi possiede una «Legge di Mosè» che ï' io chiamo la trappola. Possiamo applicarla al nostro quotidiano . e segnalare a qualcuno: «Ti trovi in questa trappola». Per esempio: «Se sei figlio o figlia di un alcolizzato, anche se detesti l'alcol, in fondo lo ami. Anche se odii il suo vizio, finirai per contrarlo». Oppure: «Se sei figlio o figlia di un medico, o se nella tua famiglia si ha sempre a che fare con le malattie, le vivrai in modo emotivo: per ottenere amore ti ammalerai». Ci sono persone che seguono per vent'anni una terapia psicoanalitica e non cambiano assolutamente la loro «Legge di : Mosè», anzi la mantengono. È necessario invece svegliarsi e rivoluzionarsi, assorbire e trasformare le energie della trappola e decidersi a cambiare. Ciò non si può realizzare se non con una ferma decisione, , altrimenti ci ribelleremo contro la Legge di Mosè molte volte senzabolirdv,pchéusneigfatru nuova forma di vita nella quale tutto cambierà e non saremo: Anche oggi quasi tutte le famiglie si attengono a questa «legge», che esige che il primogenito sia un uomo. È un'ingiustizia totale: dove si esilia la donna? In quale angolino si gettano gli altri fratelli? A quell'epoca forse andava bene perché c'era carenza di sacerdoti, ma oggi è addirittura inconcepibile. Se nasce una figlia è una gran delusione: la chiameranno Antonia, Daniela o Michela e avrà quindi un nome con risonanze maschili. Se la maggiore è una femmina e il secondo un maschio, litigherà in continuazione col fratello: tenterà cioè costantemente di castrarlo per essere accettata ed entrare in relazione con i genitori. Se la maggiore è una figlia e la segue un'altra femmina, i genitori faranno anche un terzo figlio, e se nasce un'altra femmina, ne faranno un qua rt o. Se finalmente è un maschio, evviva! Sarà il centro de ll a famiglia, sarà il figlio meglio accudito e tutte le sue sorelle finiranno in un angolino a litigare e a struggersi per conquistare l'amore dei genitori. Se la primogenita di una famiglia di sei bambini è una femmina, sarà lei a occuparsi di tutti i fratelli e le sorelle, poi si sposerà e continuerà a occuparsi di bambini. E il secondo maschio, quanto dovrà soffrire per il fatto che il primogenito ha tutti i diritti ed è il più importante! Tutto ciò vale per una famiglia che desidera un maschio. In una terapia psicogenealogica ho trattato un caso molto specifico: padre e madre avevano entrambi un fratello che detestavano perché erano in competizione con lui. Questi due fratelli morirono contemporaneamente in guerra, alla stessa età: tanto il padre quanto la madre, dunque, sentivano di es- 134 135 sersi «disfatti» del rispettivo fratello. Mi resi però conto che uno dei loro figli, un adolescente nel quale di fatto i genitori vedevano il fratello rivale scomparso, era sull'orlo del suicidio perché aveva perso il desiderio di vivere. A volte, quando siamo in competizione, l'inconscio, che è privo di morale, fa scomparire l'avversario: la competizione' tra fratelli sorge dal fatto che ognuno di noi vuole essere il centro del mondo per i genitori. C'è ancora qualcosa di peggio, che si può desumere dal seguente schema: Oscar odia Javier, suo fratello maggiore, che gli ha tolto l'amore della madre; poi si sposa, ha un primogenito maschio e lo chiama Javier. Oscar entra in competizione con questo Javier perché vi proietta il fratello rivale; contemporaneamente, Oscar proietta sua madre sulla moglie (chiamiamola Elisa), che «interpreta», dunque, la madre di Oscar. Dato che entra in competizione con suo figlio Javier davanti a E li sa, la madre-moglie, Oscar odia il figlio come se fosse suo fratello: Eccetera. Questo fenomeno è molto più frequente di quel che sembra e può non avere mai fi ne. Tutto ciò perché il primogenito maschio è l'eletto del Signore, e non gli altri. Questa «legge» provoca insufficienze emotive profonde, e perfino guerre e devastazioni. Bisogna sradicare immediatamente la terribile «Legge di Mosè» da ll e leggi umane perché a mio avviso è responsabile di milioni di morti: per l'alcol, la depressione, la pazzia... Tutti i bambini dovrebbero essere uguali: per questa ragione, nella parabola de ll a vigna (Matteo 20,1-16), il proprietario paga la stessa somma a tutti gli operai alla fine della giornata, senza badare al fatto che si siano presentati al lavoro di mattina, di pomeriggio o di sera. In una famiglia, tutti hanno gli stessi diritti: il maschio non può essere a priori l'eletto del Signore. Perché mai non potrebbe essere la donna? Fino a quando, negli alberi genealogici, la donna sarà confinata nel ruolo di Eva? Vediamo (Genesi 3,16) in cosa consiste questo ruolo. Alla donna [Dio] disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». 136 Con quale immagine della donna viviamo! La Vergine Maria viene a cambiare quest'immagine: è la donna piena di potere, di bellezza, di purezza. Ma, non appena essa provoca il c ambiamento, cosa facciamo di lei? La trasformiamo in una donna frigida, la tagliamo metaforicamente in due affinché la parte inferiore del suo corpo, incluso ovviamente il sesso, non sia contemplata: la convertiamo cioè nel modello de ll a donna priva di sesso. Continuiamo quindi a seguire la Legge di Mosè e le donne stesse si rallegrano nel castrare i propri figli. La donna frigida è rispettata, quella che ha fatto dieci figli per dovere, e non per piacere, suscita l'approvazione generale. Anche quella che detesta il marito perché troppo propenso a ll a sensualità corrisponde alla Legge di Mosè, così come la donna inibita o quella che non è se stessa. Questa Legge non smette di fare stragi: la sua devastazione si fa sentire fi n negli ospedali, nei repa rt i di maternità dove le donne devono subire ogni tipo di aggressione durante il parto, perché «partorire è un peccato, un atto impuro». E le ostetriche che lavorano in questi repa rt i, essendo state a loro volta sessualmente soffocate da un mito mal compreso, commettono l'oscenità di ficcare le dita nella vagina delle partorienti per rompere la membrana e accelerare la nascita, mentre i medici praticano tagli cesarei e maltrattano la donna in mille maniere. La Legge di Mosè diventa una tragica commedia. Fino a quando una donna in periodo mestruale accetterà di non entrare nel tempio? Fino a quando sopporterà di vivere il ciclo mestruale come una vergogna? Dato che il Signore ha creato il ciclo della riproduzione, é impossibile che Eg li respingaluczotrvndla«impu».Dob cambiare tutto. Come indicano molto bene i Tarocchi, deve esserci una condizione di uguaglianza fra l'uomo e la donna: ci dovrebbero essere presidenti e presidentesse, papi e papesse; in tutti i posti di rilievo dovrebbe esserci una coppia. Eppure, anche se è così evidente, non ci pensiamo mai e accettiamo con naturalezza l'assurda situazione in cui viviamo. 137 PROFEZIA DI SIMEONE e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere alla Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio... (Luca 2,25-35) Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele... Cos'è il conforto di Israele? È la salvezza d'Israele, e se Simeone l'aspettava, significa che si rendeva conto che Israele non aveva ancora ricevuto la salvezza. Simeone aspettava pertanto il Messia, perché cos'altro è il Messia se non la salvezza d'Israele? Egli è la grazia e la verità: Simeone aspettava dunque la grazia e la verità, aspettava la verità dell'amore. lo Spirito Santo, che era sopra di lui... ' ' Immaginiamo Dio avvolto in fasce, camuffato, completamente mescolato alla moltitudine, mentre po rt a delle colombe in sacrificio, e quest'uomo giusto che arriva mosso dallo Spirito Santo, cosciente di ciò che accade, e dice fra sé: «Posso morire, infine!» (Simeone aspettava la mo rt e). Vede un bambino: scambiano qualche sguardo e chissà cosa gli comunica, dato che Simeone si mette immediatamente a declamare. Cade in estasi perché quel bambino lo guarda. Simeone declama: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace... La risposta è «mai», perché il vero monaco non lascia ma il tempio: un vero monaco è tutt'uno col tempio. Il tempio è la casa del Signore. Se Simeone aspettava Messia, si sarebbe dovuto trovare lì. Orbene, egli non si trovava nel tempio perché era stufo della Legge di Mosè. D'improvviso lo Spirito gli suggerisce di andare e lo spinge nel tempio; Simeone entra e dice fra sé che forse c'era qualcosa di nuovo nella Legge di Mosè. Che cosa vede allora? Una donna col suo bambino. La pace è uno stato al quale è necessario arrivare e la pace con noi stessi è il primo stadio da realizzare. Finché non conosciamo questo stato, non potremo conoscere la pace e meno che mai comunicarla ad altri: non lasciamo in pace nessuno perché la guerra si svolge dentro di noi. Se sono in pace con me stesso e all'improvviso mi mettono in prigione, possono anche darmi de ll e seccature sul piano esteriore, ma di fatto non mi infastidirebbero assolutamente, perché io non farei altro che passare attraverso questa prova. Interiormente, sarei in pace perché sarei contento di me stesso: essere contenti di possedere la pace spirituale è la più grande difesa. La battaglia che abbiamo vinto in anticipo è la più grande di tutte. Quando qualcuno mi dice: «Ho dei problemi in famiglia», rispondo: «Hai dei problemi perché non sei in pace con i tuoi sentimenti. Le tue sofferenze, sei tu stesso a provocarle. Hai scelto esattamente la situazione che ti conviene per godere del tuo dolore. Fa' la pace nel tuo cuore, nella tua vita emotiva. Non ti propongo stati emotivi negativi o distruttivi. Nessuno ti ha fatto niente. Ripeto: nessuno ti ha fatto niente. Ti fai del male per mezzo degli altri. Non puoi accusare che te stesso: sei tu che ti approfitti dell'altro per farti del male, perché nessuno può farti niente se sei in pace con te stesso». 138 139 Dunque, era un profeta. gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la mo rte senza p ri ma aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio... Non sappiamo dove si trovasse Simeone, però sicurament e non era nel tempio. Questo mi ricorda un koan zen (un koan è un indovinello sacro che non mira a una soluzione razionale ma a una realizzazione spirituale, all'acme della quale si trova l'illuminazione): Quando il monaco esce dal tempio, i rospi vi entrano. Quando entrano i rospi nel tempio, allora? a dottiamo, qualcuno deve dirci quanto valiamo: è per questo Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele. che le guaritrici mapuche del Cile, quando curano un ammalato, per prima cosa descrivono tutte le qualità che possiede. Riconoscere tutte le qualità che si colgono nell'altro è il primo passo per curarlo. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse... Simeone parla già del fatto che la Legge di Mosè non riservata solo al popolo eletto, ma è anche per il mondo de gentili, i pagani; afferma cioè che non esiste una sola verit riservata unicamente al popolo eletto: questa verità è per tut e bisogna amare tutto il mondo. È per questo che un sacerdot cattolico non deve detestare un'altra dottrina. La Legge di Mosè si scaglia contro gli dei stranieri, mentr la Legge della Verità dice che Cristo darà la salvezza ai pagani che non è venuto per intraprendere guerre sante, ma per rive lare ai gentili la grazia e la verità, e che questo mito è rivolto tutti; un mito che, fino a quel momento, era stato appannaggio di un piccolo nucleo. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Si stupivano? Io mi domando: come potrebbe la Vergine meravigliarsi di questo fatto? Nella versione ecumenica, una nota suggerisce: «Stupiti o meravigliati». Stupirsi e meravi-, gliarsi sono due verbi ben distinti. Se mi stupisco, significa che mi domando: «Come si può dire una cosa simile a proposito del mio bambino?». A dispetto di tutto quello che so e che ho vissuto, ciò mi sorprende. Al contrario, se sono meravigliato vuol dire che provo un senso di esultanza e mi dico: «Riconoscono il mio bambino! Che gioia, che piacere! Lo riconoscono anche se l'abbiamo fasciato, circonciso e portato con noi per sacrificare le tortore. Anche se ci siamo camuffati, lo riconoscono!». In effetti è una cosa meravigliosa quando viene riconosciuta la nostra bontà a dispetto di tutti i travestimenti che adottiamo; quando arriva questo formidabile momento, naturalmente ci meravigliamo. C'è un momento in cui, malgrado tutti i travestimenti che 140 ' Cosa significa benedire? Quante volte abbiamo chiesto una benedizione e quante volte l'abbiamo data? Una volta una donna mi espose un problema che non potevo risolvere, una storia di processi e vendita di una casa. Piangeva, e io le dissi: «Come vuoi che faccia a risolverti questo problema? Non posso fare niente per te, ma adesso tu, io e tutte le persone che sono qui pregheremo affinché il tuo Dio interiore, il mio e quello di ognuno di noi ti benedicano». Proprio in questo consiste la benedizione: nel pregare per l'altro. La donna pianse a lungo, ma dopo si sentì molto meglio. In fondo desiderava soltanto un rapporto umano, aveva bisogno di qualcuno che le dicesse: «Ti aiuterò». Tutto qui. Per me, la benedizione è riconoscere quello che non siamo capaci di fare, ed è anche pregare per l'altro davanti a lui. Una volta che siamo in pace con noi stessi, che smettiamo di criticarci e prendiamo coscienza di tutti i nostri errori, decisi a non ripeterli, una volta che abbiamo stabilito che se avremo un problema lo risolveremo in piena coscienza, allora siamo perdonati. Non possiamo vivere tutta la vita nella colpevolezza, anche se abbiamo commesso le peggiori azioni: dobbiamo assolverci. In tal modo ne diventiamo consapevoli; infatti, se ci sentiamo colpevoli di qualcosa è solo perché abbiamo acquisito coscienza: una persona che non lo ha fatto, non vorrà mai assolversi. Una volta che ci siamo accordati l'assoluzione, possiamo assolvere l'altro e dirgli francamente: «Ti perdono», anche se in realtà non siamo noi a perdonare. Dandoci un'assoluzione personale, il nostro Dio interiore ci concede la gioia di prendere coscienza: con questa riceviamo la colpevolezza dell'altro e 141 lo perdoniamo, perché, se siamo stati capaci di perdonare noi stessi, allora possiamo davvero perdonare anche gli altri. Questo è tutto: non occorre nulla di più per assolvere gli altri. È molto positivo che una persona ci dica: «Ti perdono». Una volta ero con un amico di nome Pierre e con un pover'uomo che si portava addosso un enorme senso di colpa da non so quanti anni. Gli dissi: «Soffri molto perché ti stai incolpando, ma io ti perdono». Affermai che lo perdonavo e domandai a Pierre se anch'egli poteva perdonarlo, e Pierre lo fece. L'uomo si mise a balbettare e a ringraziarci mentre piangeva come una fontana. E piangeva di sollievo, perché lo avevamo perdonato. L'atto così semplice del perdono! Quando siamo capaci di assolvere, perdonare e benedire, raggiungiamo la pace interiore. Per questo non occorre essere curatori o stregoni, né possedere grandi poteri o cose del genere. Tuttavia, non possiamo perdonare a caso. È necessario conoscere il massimo di dettagli sulla colpa prima di perdonarla; è indispensabile che la persona confessi completamente. Subito, le facciamo comprendere che non ha commesso la colpa da sola ma insieme a qualcuno, cioè in seno a una famiglia e all'umanità. Arriviamo, dunque, a ll a conclusione che siamo altrettanto colpevoli della persona che ci racconta la sua colpa. Quando la luce inonda una stanza, la sporcizia che vi si trova è immediatamente visibile. Prima non la vedevamo. Dopo, la eliminiamo. Pertanto, quando la luce arriva si tratta della caduta: all'inizio, qualsiasi presa di coscienza è accompagnata da un'enorme sofferenza. Una volta un maestro sufi mi disse: «Il giorno in cui ho raggiunto l'illuminazione, mi sono messo a vomitare. Poi è venuta la gioia». Solo attraverso l'errore e la caduta si impara, perché se non cadiamo non possiamo rialzarci, e senza errori non otterremo la perfezione. Raggiungiamo la perfezione dopo aver attraversato una serie di errori: il Maestro della perfezione è proprio l'errore, così come il Maestro della salute è la malattia. È evidente: se non siamo mai stati ammalati, non sapremo curarci. È con la malattia che si impara cos'è la salute: il Maestro di un'alimentazione sana è una be ll a indigestione... Dobbiamo entrare profondamente nelle nostre forze istintive per realizzare un'ascensione verso le forze spirituali. Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori ... In certe versioni è scritto: «è qui per la rovina o la risurrezione». È molto più bello dire «la rovina e la risurrezione» che «la rovina o la risurrezione». Il perché risulta chiaro. Se sta scritto «la rovina e la risurrezione», questo vuole dire che ogni ascensione è preceduta da una caduta. Ogni angelo è un diavolo che ha subìto una trasformazione, ed è necessario arrivare fino in fondo al nostro pozzo, in fondo al nostro diavolo, affinché questo possa trasformarsi in angelo. Dobbiamo riconoscere il nostro diavolo prima di trasformarlo in angelo: finché non l'abbiamo riconosciuto, come possiamo trasformarlo? Il Cristo sarà quindi un segnale o un segno contraddetto, contestato... e contestatore! Contro che cosa, principalmente? Contro la Legge di Mosè. È davvero venuto per contraddire la Legge che egli stesso aveva dettato in precedenza. Dopo aver scolpito il primo messaggio sulla pietra — le Tavole della Legge —, traccia il secondo con un dito sulla terra. È molto bello: questo creatore che scolpisce sulla pietra i dieci comandamenti, poi scrive sul terreno qualcosa che nessuno leggera e che il vento cancellerà. Lì è arrivato a ll a sua perfezione. Tutte que ll e persone che vogliono perpetuare la loro opera nei secoli, immortalare le loro azioni, mettere dappertutto il loro ritratto, rimanere impresse, che relazione hanno con la persona che realizza a poco a poco la sua opera d'arte sulla terra con un dito? Cristo arriva davanti al tempio e, per terra, disegna l'opera d'arte più be ll a della storia dell'umanità. Il segno che traccia, e 142 143 Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele...». che il vento si po rt a via, è superiore a diecimila templi perché è stato il grande artista a realizzarlo. E mentre componeva questa meravigliosa opera d'arte, Cristo salvava la vita di una donna: impediva che la lapidassero. Non dimentica mai nemmeno per un secondo di salvare la vita degli altri mentre sta creando con il dito. È particolarmente significativo e bello: l'opera è effimera. La donna che lapidiamo è anche la nostra donna interiore. E d'altronde, dov'è l'uomo in questa storia? Perché si lapida la donna per adulterio e non l'uomo con cui l'ha compiuto? Ricadiamo nella Legge di Mosè. Una donna va a letto con un uomo: la donna viene lapidata... E l'uomo? In mezzo a quel gruppo di uomini che reclamano giustizia, nessuno riconosce il Messia. Tuttavia, la donna gli dice: «Grazie, Signore». Lo riconosce. È lei che, prima di chiunque altro, inizia a riconoscerlo. Per gli uomini, lei è la loro donna interiore. Voglio dire che è attraverso la donna che il Cristo cosmico si realizzerà. Finché tutti gli uomini e le donne non sveglieranno la propria donna interiore, non potranno generare il Cristo . cosmico. Fino a quando non diventeremo tutti androgini, non riusciremo a realizzarlo, perché la donna interna è la ricettività. Dunque, Simeone dice a ll a Vergine: segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima. Nella versione ecumenica, una nota a piè di pagina propone al lettore un'interpretazione: «Questa oscura minaccia deve essere situata nel contesto: Israele si dividerà rispetto a Gesù, e Maria sarà lacerata da questo dramma. Altri vedono qui un annuncio della Passione». Possiamo credere che l'annuncio di una spada che le trafig gerà l'anima sia un'«oscura minaccia»? Come fa una spada, ch è materiale, a trafiggere un'anima, se questa è immateriale? Dobbiamo ammettere che si usano termini simbolici. Non s dice che la spada le trafiggerà il cuore, non si allude al dolore .: Se Simeone avesse detto «una spada ti trafiggerà il cuore sarebbe stato corretto tradurre: «Si annuncia una sofferenza, 144 e una minaccia oscura». Al contrario, quando si dice «anche a te una spada trafiggerà l'anima» significa che quest'anima sarà trafitta da una parola, da un vocabolo, da una conoscenza, da uno spirito. A volte nelle icone compare una spada, simbolo dell'intelletto, in bocca a Dio. È il Verbo. Se la spada è maschile, attiva, e l'anima è femminile, ricettiva, questo vuole dire che Maria creerà l'androgino nella propria anima. Sarà una donna completa. ... perché siano svelati i pensieri di molti cuori. Che cosa sono i pensieri dei cuori? Sono i ritmi cardiaci: quando, dentro di noi, realizziamo Maria, quando creiamo la Vergine universale, la Vergine cosmica, tutti i cuori si metteranno a battere all'unisono con questo Dio cosmico. E noi ci troveremo nel centro del Cristo cosmico. Partoriremo la coscienza cosmica di tutta l'umanità e creeremo il terzo avvento. Saremo la Vergine di questo terzo avvento, e l'essere collettivo che creeremo sarà il Messia, l'illuminazione collettiva. Non esistono altri Messia né altre illuminazioni desiderabili. Se l'illuminazione non è collettiva, non è desiderabile: non ci si rinchiude in una stanza per illuminarsi. I monaci si riuniscono nei monasteri per cercare l'illuminazione. E cosa fanno quando la trovano? Sono inviati a fondare altri monasteri. Ciò significa che l'illuminazione vuol dire grazia per l'altro. Per l'altro, mai soltanto per sé! Tutto ciò che è esclusivamente per sé è malato. La nostra illuminazione è anche per l'altro: è poesia per l'altro, conoscenza per l'altro, salvezza per l'altro, cortesia per l'altro. PROFEZIA DI ANNA (Luca 2,36-39) C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 145 Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Anna visse «col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza»; notiamo, intanto, che non era vergine. Inoltre, nel tempio si comportava come un uomo: la presenza delle donne non era permessa, e tuttavia Anna poteva restarci. Una nota chiarisce: «Non allontanarsi dal tempio è l'ideale israelita di perfezione. In ogni caso, di sera le donne non erano ammesse nel recinto del tempio». E invece Anna ci stava, dato che prendeva parte al culto «di notte e di giorno». Che personalità! Chi avrebbe osato scacciare dal tempio questa vecchia di ottantaquattro anni? Nel farlo avrebbero potuto spezzarla come un fr agile recipiente. Tutti i maschi ammettevano fra loro con rispetto questa ottuagenaria. In effetti Anna era il cuore del tempio, la sua Nazaret è la città della Vergine. Il Cristo vivrà tutta la sua infanzia nella città della Vergine: nella sua casa e non in quella di Giuseppe, che stava invece a Gerusalemme. Si insiste di nuovo sull'importanza della donna nella creazione di Cristo. gioa.Inquelcrdmibaut,erscnodursi almeno una donna. Pregava notte e giorno e digiunava come i maschi. Anna aveva fatto la sua rivoluzione. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. All'interno del tempio, nessuno parla: sono tutti immersi nel- le loro orazioni. Quando entra il Cristo, l'anziana si raddrizza, grida e salta perché ha visto il Signore; esclama: «È giunta la salvezza». Anna è l'unica che vede Cristo. Il fatto che sia stata una donna a vedere il Messia costituisce un nuovo colpo per la Legge di Mosè. Ciò conferma alla perfezione la teoria secondo cui la donna interiore (che sia l'uomo sia la donna portano dentro di sé) è essenziale per riconoscere il nuovo Cristo. Se non la risvegliamo e ci lasciamo guidare dalla Legge di Mosè, il nuovo Cristo non si realizzerà mai. È fondamentale mondare il mito, e non meno impo rt ante fare l'amore con gioia, senza macchiare quest'atto con la nozio' ne di peccato. È altresì essenziale riconoscere che gli errori che possiamo aver commesso vengono perdonati grazie alla nostra presa di coscienza, e che dobbiamo aiutare gli altri a divenire coscienti, a mondare il mito e a non rimanervi impigliati. La maternità non è un atto impuro. Procreare un Cristo e immensamente bello, e ogni neonato è un Cristo. 146 147 VII Perché a trenta? Aspetta di avere l'età di Adamo, che è il suo modello e fu creato in età già adulta. Adamo è un uomo privo d'infanzia, che vive solo la maturità la vecchiaia, mentre Cristo è un uomo che ha un'infanzia e e una maturità ma non vive la vecchiaia. Insieme formano un tutto. Cosa fanno Maria e Giuseppe? Vivono con Dio e devono custodire il segreto nel loro cuore. Si tratta senza ombra di dubbio di un'umiltà infinita. PRIME PAROLE DI GESÙ NEL TEMPIO (Luca 2,41-52) INFANZIA DI CRISTO (Luca 2,40) I genitori di Gesù, dopo aver scongiurato tutte le minacce che incombevano sul figlio e dopo essersi prestati a tutti i riti necessari per farlo entrare nella comunità ebrea, ritornano a Nazaret col bambino. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza... E «pieno di sapienza» significa che è tutto sapienza e pertanto non è più un bambino. Un bambino si evolve: è ingenuo, si sviluppa, cresce. Il Cristo invece è «tutto sapienza», vale a dire che si guarda crescere. e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni... Questo episodio avviene quando Cristo ha dodici anni: prima dei tredici, che è l'età della pubertà. È la prima volta che Gesù parla. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno... Si tratta, dunque, di una festività annuale a Gerusalemme; quando finisce, la Sacra Famiglia ritorna a casa. ... il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Mentre cresce, Cristo gioca con altri bambini. Ovviamente, insegnerà loro dei giochi. Con immensa discrezione, è facile che compia piccoli miracoli qua e là. Senza che nessuno se ne renda conto, fa sì che un ragazzo la cui famiglia non ha di che mangiare riesca a pescare un pesce o trovi una moneta d'oro per terra. Immaginiamo la vita di Giuseppe e Maria, che nascondono questo grande segreto. Mettiamoci al loro posto: devono aspettare, dato che Gesù ha annunciato che inizierà la sua opera a trent'anni. Non è strano questo? Pensiamo alla Vergine Maria e a Giuseppe, che hanno lottato tanto per proteggere il bambino, portandolo perfino in Egitto per salvarlo dalla minaccia rappresentata da Erode. Un giorno vanno a una festa in città e quando finisce ritornano a casa. D'improvviso, a un punto già avanzato del tragitto, Giuseppe e Maria si rendono conto che il bambino non è con loro. L'hanno allevato, occultato, difeso... È possibile che in quel contesto si distraggano? Non credo. Qui succede qualcosa di molto speciale... 148 149 Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti... Questo implica che l'avevano dimenticato e non si sono accorti della sua assenza per un'intera giornata. ... non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono... Gesù resta quindi assente quattro giorni: il primo mentre Giuseppe e Maria erano sulla via del ritorno e i tre successivi durante i quali lo cercano. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Siccome il Cristo è pieno di sapienza, non è necessario occuparsi di lui. I suoi genitori vanno, dunque, alla festa e lo lasciano fare a modo suo. Essendo più saggio di loro, non è un bambino a cui si dice: «Vieni qui! Vai là! Seguimi!». Egli potrebbe impartire lezioni a Giuseppe e Maria: sa più di loro. È bello un bambino che sa più dei genitori: da bambini sogniamo che un giorno i nostri genitori accetteranno di ricevere da noi anche solo una piccola verità. Comunque non è raro che un bambino di dieci o dodici anni dimostri qualcosa di giusto ai suoi genitori; quel che L molto difficile e raro, invece, è che questi gli diano ragione; dato che non vogliono assolutamente deporre la corona del potere. Riconoscere che il bambino sa più di loro li mette in pericolo: hanno paura che il figlio diventi il maestro della casa, loro casa e non in datocheignrpsdtael quella del bambino. In genere, pensiamo che la nostra casa ci appartenga che concediamo una stanza al bambino. Per tutta l'infanzi e l'adolescenza egli non vive nella propria casa, ma in quell dei genitori. È necessario che il bambino abbia la sua stanza dove poter fare quello che desidera: inviti gli amici che vuole, anche a dormire se decide così, abbia l'opportunità di organizzare feste 150 , appenda alle pareti le immagini che gli piacciono e dipinga la stanza come gli pare; compri pure ciò di cui ha bisogno... la casa sia sua! Noi non regaliamo la casa al bambino: fin dal momento della sua nascita tutto ciò che abbiamo gli appartiene. Perché, mentre si mangia, il padre è sempre a capotavola e il bambino di lato? Ogni tanto un padre dovrebbe lasciare il proprio posto ai figli; si dovrebbe girare intorno al tavolo. Perché avere un posto fisso? Perché c'è sempre la stessa persona a sinistra del padre o della madre, la stessa a destra e la stessa nel posto più lontano? Perché è sempre la stessa persona a occupare il posto di riguardo? Perché non può cambiare questa situazione? Perché non c'è un padre che po rta con sé il figlio al lavoro e lo tiene in ufficio mentre riceve una persona, sia egli specializzato in architettura, in finanza, in psicoanalisi o in qualsiasi altra professione? Perché non invita il figlio ad assistere? Perché non gli perme tt e di usare gli strumenti con cui lavora? Perché non condividiamo la nostra professione o mestiere con i nostri figli affinché imparino? Questi sono atti molto importanti: è necessario condividere tutto col bambino: libri, oggetti, esperienze... Ed è necessario che possa vedere tutto quello che vediamo noi. Non è sano nascondergli quello che vediamo o che facciamo. Quando conversiamo tra adulti, il bambino deve poter assistere: se si annoia, o se così desidera per motivi suoi, se ne andrà. È lui che se ne va, non siamo noi a mandarlo via, e nemmeno smettiamo di parlare col pretesto che è presente. Bisogna dare al bambino il suo posto, perché egli ha un posto. Tuttavia, di cosa ha bisogno Cristo? La casa è sua: ha il suo posto e, ciò nonostante, sparisce d'improvviso. Perché Giuseppe e Maria si spaventano tanto? Per una sola ragione: Gesù è in pericolo di morte. Se si viene a sapere che Gesù è il Messia, verrà immediatamente ucciso. Giuseppe e Maria lo cercano in città perché hanno paura che i soldati 151 l'abbiano catturato. Recarsi al tempio è l'ultima risorsa, ed è proprio lì che lo trovano. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Cioè, «eravamo angosciati». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Gesù domanda loro: «Perché mi cercavate, se sono nel tempio?». Inoltre, perché non sono andati prima di tutto a cercarlo lì? Perché il tempio era la tana del lupo. Cristo è entrato proprio lì, e la sua vita è in pericolo. Maria e Giuseppe non si sarebbero mai immaginati che quel bambino, sapendo che lo cercavano per ucciderlo, conscio del grande pericolo costituito dai sacerdoti, avrebbe agito in tal modo. La prima cosa che fa lui, invece, è andare a parlare con i sacerdoti: si presenta esattamente nel posto dove corre i rischi maggiori. Gesù si mette a discutere la Legge e dice cose molto intelligenti all e persone che si trovano li, ma non dice di essere il Messia. In realtà, sta imparando a difendersi. Pienamente consapevole dei propri atti, impartisce lezioni, si misura con i Maestri del tempio e osserva. Si reca al tempio per studiare le leggi - convertite in tradizioni e superstizioni - che più tardi condannerà. Per lui, il sacrificio sulla croce è necessario. È quello che né Giuseppe né Maria comprendono. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sotto- messo. Sottomesso! Ci rendiamo conto di cosa rappresenta il fatto che questo Dio sia sottomesso a quelle due persone, mentre sono loro che dovevano sottomettersi a lui? È un atto di estrema cortesia. Arriviamo finalmente alla gioventù di Cristo. Scompare per diversi anni. Dunque, si reca al tempio per impartire la sua lezione. Tutti sono stupiti ma nessuno è urtato. Ciò significa che si misura con i Maestri: dice loro certe piccole cose e tutti i presenti si meravigliano. Poi si ritira e dice ai genitori: «Non è necessario cercarmi. Non dovete angosciarvi. Sto dove devo stare. So molto bene quel che devo fare. Non dovete temere per me». Dopo, non sentiamo più parlare di lui fino a quando ha trent'anni. I MAESTRI DI CRISTO C'è chi afferma che in questo periodo Gesù si dedicò a viag- giare per apprendere. Ma siamo seri! Non andò certo in India per imparare quel che sia, non andò in Egitto e non fece visita ai maya. Nessuno poteva insegnargli alcunché. È già pronto per insegnare, dato che sa più di tutte le civiltà. Non viaggiò, dunque, da nessuna pa rt e. Se fosse andato in India, lo avrebbero ascoltato, così come in Giappone o nell'impero maya: l'avrebbero seguito tutti. Se tutti l'avessero ascoltato, non avrebbe avuto bisogno della crocifissione. Avrebbe creato un movimento mondiale con i maghi dei vari paesi che sapevano della sua esistenza. Avrebbe provocato, dunque, la rivoluzione in tutti i paesi. Avrebbe visitato i supremi sacerdoti di ogni religione, i saggi di tutta la terra, avrebbe impartito lezioni e il mondo intero sarebbe cambiato. Abbiamo, così, due possibili soluzioni: la prima è che non andò da nessuna pa rt e; la seconda invece che viaggiò attraverso il mondo ma non fu ascoltato, perché erano tutti paralizzati, chiusi e corrotti. Nel mito, un simile personaggio non è concepibile, perché si Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. tratta di un Dio incarnato. È il Dio-uomo che viene a portare proprio quello che manca al mondo. Mi chiedo come possa Dio imparare da un sacerdote: è in comunicazione col Padre che è onnipotente e onnisciente. Per quale motivo farsi iniziare da esseri umani? 152 153 O andò dappertutto e non fu ascoltato, oppure non viaggi affatto, sapendo che l'ora della rivelazione non era ancor giunta. E lo sapeva: rimase dunque a Nazaret, nella modest casa di Maria. Se ne stette lì tranquillo per prepararsi, pe crescere e sostenere le prove necessarie. Ecco la storia: er venuto per insegnare e non per imparare. Gli fanno vedere Il Giocoliere. Cristo contempla la carta e si riconosce: Il Giocoliere è il Cristo, l'iniziato, colui che sa ogni cosa e ha ogni cosa da dare. Il sacerdote gli mostra La Papessa: è, naturalmente, la madre di Gesù e la Chiesa che egli stesso fonderà. Immaginiamo Cristo a vent'anni che parla col supremd sacerdote. Questi gli dice: «Ti inizierò ai Tarocchi. Ti mostrerò la carta conosciuta come Il Giudizio». Cristo si avvicina alla carta e cosa vede? L'angelo nella parte superiore e tutto il resto; si vede nascere e vede Giuseppe e Maria nella coppia che circonda il personaggio al centro. Il sacerdote gli hai mostrato la carta della nascita di Gesù stesso. Cosa potrà; mai imparare h? Il sacerdote gli mostra allora un altro Arcano: Il Matto. Cri sto vede il proprio ritratto, naturalmente. Il Matto è il Cristo che cammina: la libertà assoluta. ' ; 154 155 Vede ora L'Imperatrice: di nuovo, sa che la carta parla dell sua storia. Egli è l'aquila e Maria è il personaggio femminile; sua madre incinta. E cosa vedrà nell'Imperatore? Cosa impa, rerà da un imperatore se egli è il re della terra, il vero re, il re spirituale, quello che regnerà al centro dell'Universo? carta viene mostrata a Cristo, che è completamente pieno dell'amore più puro, che è l'Amore. Il sacerdote gli mostra Il Carro: in questa carta compare un veicolo che conduce in trionfo per il mondo un principe. Cristo non ha bisogno di viaggiare. Egli guida il mondo: l'Universo intero verrà a lui, tutte le nazioni, tutti gli esseri coscienti. VI L'INNAMORATO L'Arcano V: Il Papa. Cristo è l'ispirazione divina di tutti i papi. Cosa può imparare da questa carta? I papi, passati presenti e futuri, saranno i suoi servitori. Segue poi LInnamorato, col suo sole bianco e l'angioletto che simboleggia l'amore; la Gli viene mostrata poi La Giustizia. Il Cristo è superiore a qualunque giustizia! Davanti all'Eremita, Cristo dice fra sé: «Costui mi sta chiamando. Mi mostrano un uomo che mi chiama. Cosa imparerò da lui, se sono io la sua risposta?». Il sacerdote gli mostra ora La Ruota della Fortuna, che è tutta l'incarnazione, tutti i movimenti ciclici, e la mette davanti agli occhi di Cristo, venuto a rivoluzionare il mondo. Che enigma può rappresentare per Cristo La Ruota della Fort una, quel nuovo ciclo, se lui stesso è il nuovo ciclo? Cosa imparerà da questo Arcano, se per lui non esistono enigmi? Cristo viene a risolvere tutti gli enigmi, a restituire tutti i cicli al loro corso e a girare la manovella della Ruota de lla Fortuna. Cosa può imparare Cristo dalla Forza se per pura forza si lascia crocifiggere e si abbandona all'umiliazione e alla mo rte? Egli conosce la propria natura, si conosce totalmente. Quando gli mostrano LImpiccato, Cristo sa che rappresenta se stesso. 157 ^^ - ^í 17-AlI I Di nuovo vede il suo ritratto: è il dono di sé e anche la sua profondissima concentrazione. Davanti all'Arcano XIII, l'Innominato, Cristo si mette a rider perché ama questo personaggio: è la rivoluzione, il cambiament Sa che la morte non esiste perché egli è l'eternità. Cristo attrave serà volontariamente la mo rt e perché viene a concedere l'eterni cosa può rivelargli questa carta? Il sacerdote vuole che Cris veda La Temperanza: l'angelo. Cristo conosce tutti gli angeli, il Maestro dell'arcangelo Gabriele che è il suo servitore. Lo invi dove vuole, quando vuole. Gabriele è il suo servo fedele. Cristo conosce tutti i fluidi interni: è la comunicazione stessa, l'equità e la pace: che cosa potrebbe imparare da ll a Temperanza? Poi gli viene mostrato Il Diavolo. Cristo conosce il proprio diavolo alla perfezione. Come vedremo in seguito, se c'è qualcuno che conosce bene il diavolo, è proprio Cristo. Vedremo gli sono presentate le tentazioni e come le vince. Con come La Torre gli viene mostrata la sua casa: i personaggi danzano presentano un'offerta. È la gioia intorno a Cristo. egli 158 159 XVIII I E La Stella è il dono infinito che purifica le acque e fa fruttificare i fiumi; è collegata alle galassie, agli astri, alla divinità, al ciclo eterno, che è Cristo stesso. Potrebbe imparare qualche cosa da questa carta? Gli viene poi mostrata La Luna. Allora Cristo cade in estasi perché sa che La Luna è Maria. E sa anche che è potuto entrare in Maria perché lei si è trasformata del tutto nella Luna. Ciò significa che Maria è diventata completamente nera, minima, per poterlo riflettere. E Cristo sa che, nella Luna deiTaroch,qulvsparen'toèglise primo istante della sua incarnazione. Adora La Luna perché Maria è stata capace di trasformarsi in essa in modo integrale, cancellando tutti gli scintillii del suo essere affinché entrasse in lei solo lo splendore de ll a divinità. Questa carta, perciò, non può insegnare niente a Cristo. Quando contempla Il Sole, ancora una volta Cristo si riconosce in questo Arcano: egli è il sole, la gioia, la vita, il centro del mondo. Il sole è la divinità stessa. Quando Cristo contempla Il Giudizio, vede come le preghiere e la fede di Maria e Giuseppe gli hanno dato l'opportunità di nascere e di crescere per risvegliare la coscienza dell'umanità e creare il suo terzo avvento: l'angelo-Messia collettivo, partorito da tutti gli esseri viventi, quelli che, senza alcuna eccezione, sono arrivati all'illuminazione, convertendosi in giusti. Segue Il Mondo, l'Arcano XXI, l'anima del mondo. Neanche da questa carta Cristo avrà qualcosa da imparare. Vi entrerà dentro ed esclamerà: «Oh madre mia, moglie mia, figlia mia! Entrerò ancora dentro di te, per puro piacere, per incarnarmi, un'altra volta, perché mi è piaciuto tanto essere tuo figlio, è stata un'esperienza così grande che la rifarò ma, questa volta, non inizierò da una piccola scintilla ed entrerò nella carne di tutta l'umanità. Così un giorno tutto il mondo si trasformerà in te perché tutto il mondo è mia madre. L:intera razza umana è mia madre e io, con piacere, mi dissolverò in essa. Con un piacere incommensurabile, mi farò partorire dalla razza umana». Ecco quindi perché, quando mi dicono che Cristo andò Egitto per iniziarsi ai Tarocchi, mi sembra davvero una sciocchezza: nessuno poteva insegnargli niente. Tutti abbiamo un Cristo, una Maria e un Giuseppe dentro di noi. Il nostro Cristo interiore non deve imparare niente da nessuno. Conosce la verità. Ci si può insegnare a imparare da noi stessi, tuttavia il nostro Cristo interiore, cioè la nostra divinità interiore, sa tutto. Quando comunichiamo con questa divinità ci colleghiamo con la sua estrema saggezza. Con la massima semplicità lei affronterà i misteri e risolverà: questo si chiama fede, fede nel nostro Dio interiore. Per acquisirla è necessario essere umili e sapere che questo Dio interiore, che non è noi, parla attraverso di noi. Allora, cosa fa Cristo durante questo periodo di silenzio? Tranquillamente, aiuta sua madre in cucina, lavora col padre, pulisce la casa, parla con i vicini, collabora a fare il vino e il pane, mangia de ll a frutta. Ogni mattina esce e prende il sole. Non legge perché sa già tutto. Non studia. Vive semplicemente in pace con suo padre, sua madre e i suoi amici. Non ha bisogno di fare altro. Per quanto possibile, vive una semplice vita umana. Pensare diversamente è insensato. E Giuseppe e Maria non fanno niente d'insolito: mangiano ogni giorno e puliscono la loro casa. Fanno quello che la società chiede loro. Una volta l'anno assistono a ll a festa di Pasqua, assistono a ll a nascita dei bambini eccetera. Aspettando il momento, si comportano come fanno tutti. 160 161 IL SOLE Tutto quello che Cristo dice è bello. Declama poemi, li compone di nascosto perché non può mostrarli agli altri. Ci rendiamo conto della luce che risplende in questa casa? Sentiamo i canti che intonano? Riusciamo a concepire quello che sa Maria, dal momento che suo figlio le ha rivelato tutti i segreti della creazione? O crediamo che Cristo non abbia raccontato a sua madre come ha creato il mondo? Potremmo sostenere che Maria abbia vissuto trent'anni insieme a Dio senza che Egli le abbia rivelato qualche segreto? Maria conosce ciascun mistero perché suo figlio l'ha iniziata. La Sacra Famiglia è un nucleo potente che si prepara per darsi al mondo. Se il Cristo ha qualcosa da imparare, non si trova in Egitto e nemmeno nel Tibet, non si trova in India né da nessun'altra parte: l'unica persona che può insegnargli qualcosa è Maria, l'interlocutrice più progredita che ha trovato. Se nella mia casa a Nazaret c'è Maria, la donna più incredibile della storia dell'umanità, il monumento che vale più di tutte le cattedrali, di tutti i guru, di tutti i papi, di tutti gli eroi, di tutte le enciclopedie e di tutti i libri sacri, cosa andrei a fare in India? Me ne starei tranquillo a casa mia a godermi il più grande piacere della vita. A maggior ragione sapendo che in seguito verranno anni molto duri e che dovrò cambiare l'umanità. Mentre aspetto che il momento si compia, dunque, vivrei in pace. Non è ancora giunta l'ora. Vivono, dunque, in piena tranquillità e nella gioia aspettando il momento, dato che conoscono già quello che succederà. La Vergine Maria lo sa. Non è triste al pensiero che suo figlio dovrà morire perché, grazie alla sua fede, sa che egli risorgerà e che tutto ciò è necessario. Se lavoriamo su noi stessi e realizziamo il nostro Cristo interiore, se purifichiamo il nostro corpo e seguiamo la nostra guida, Giuseppe, l'unica cosa che dobbiamo fare è vivere serenamente e in pace: possiamo vivere con serenità ogni giorno della nostra esistenza perché la nostra ora non è ancora venuta, e sappiamo che quando verrà saremo all'altezza della situazione. Solo due elementi possono prepararci per l'azione: la pace e la fede interiore. In modo analogo, Giovanni ha abbandonato i genitori che l'amavano tanto per andarsene nel deserto. Vive lì senza niente, ha rotto i ponti con la società e si prepara al suo compito. Si prepara da solo. C'è stata semplicemente una nascita, ma da quel momento il mondo è entrato in convulsione. Tutto si prepara perché, in trent'anni, l'umanità cambierà, ma prima bisogna godersi i piaceri della vita. Giuseppe, Maria e Gesù vivono una quotidianità serena e gioiosa. Immaginiamo i pranzi di questa famiglia, l'incomparabile bellezza di stare a tavola con Giuseppe e Maria. Vediamo risplendere la pace: non vi sono liti, discussioni o parole inutili. Cosa potrebbero dirsi? Sanno tutto: non si comunicano niente, non parlano. Dicono due o tre parole. Consumano cibi semplici, cucinati con amore. Chi non desidererebbe mangiare un po' di riso preparato dalla Vergine? Possiamo pensare che Cristo non sia mai stato accarezzato? I membri di questa famiglia, naturalmente, si abbracciano e si accarezzano perché si amano. Non pregano. Perché dovrebbero? Il Cristo vive nella casa. Dal momento in cui è nato, Giuseppe e Maria non pregano., una sola volta: Dio è con loro. In questa casa non ci sono libri: il Verbo è già li. Quando èpresente il Verbo legittimo, i libri sono inutili. Per quanto riguarda la vita sessuale di Cristo, non sta a me immaginarla, ma a ognuno. Non bisogna proibirselo e ho già fornito in precedenza tutte le basi per poterlo fare: che il lettore la immagini da solo. È evidente che Cristo possedeva degli ormoni e quindi doveva conoscere il desiderio. Cosa ne fece? Il Cristo non può avere altro che un bel sesso, completamente normale: o non sarebbe il Cristo. Suggerisco a chi mi legg e d'immaginare in prima istanza questo: «Ho un bel sesso e dunque possiedo un corpo normale, il corpo più bello dell'umanità. Somiglia esattamente a quello di Adamo, dato 162 163 LA VITA SESSUALE DI CRISTO che sono un prototipo. Maria è la donna più bella e io l'uomo più bello. Se sono il Cristo, cosa me ne faccio de lla mia sessualità? La nasconderò? Non conoscerò mai l'orgasmo? Non sperimenterò mai l'emissione di sperma? Non conoscerò mai la materia che ho dentro di me? Vivrò ignorando cosa significa fare l'amore con un altro essere umano? Se lo ignoro, non conosco l'essere umano». Si ponga il lettore la questione, si metta al posto di Cristo: sta a ognuno di noi rispondere con la propria anima. L'errore consiste nel fatto che un tema del genere è tabù. Ciò nonostante, è un tema che va posto: è il Vangelo a porlo, e rispondere spetta a ognuno di noi. La nostra vita sessuale corrisponderà alla risposta che saremo in grado di dare: se rispondiamo bene saremo equilibrati; al contrario, se rispondiamo male o ci rifiutiamo di affrontare l'argomento, saremo subito squilibrati. Da duemila anni l'umanità è squilibrata perché ha nega- , to la questione. Se la risolveremo troveremo un equilibrio personale. Questo è il tema. Evidentemente, troveremo una risposta che ci stupirà molto, ma non c'è bisogno di confidarla a nessuno: custodiamola nel segreto del nostro cuore allo stesso modo in cui la Vergine custodiva nel suo tutte le emozioni. PREFIGURAZIONE DI CRISTO NELL'ANTICO TESTAMENTO Finora abbiamo lavorato sostanzialmente sulla Vergine Maria e su Giuseppe, e abbiamo visto quanto fossero entrambi formida bili. Ciò che intraprenderemo ora è molto impo rtante perché, la prima volta, assisteremo all'apparizione del Cristo adulto. Tuttavia, dobbiamo prima incontrare di nuovo Giovanna. Già sappiamo quanto egli sia impo rtante: viene ad annunciar il Cristo. Prima di addentrarci nel Vangelo, cominciamo quindi dal lettura del Salmo 2, che viene evocato nei capitoli del Vangel in cui si parla di Cristo. I Salmi sono delle chiavi: lo vedrem 164 a mpiamente rivisitando l'episodio della tentazione di Cristo. È certo che si inizia a tremare leggendo queste righe del Salmo 2: Perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli? Non è forse vero che ancor oggi si parla di congiure e di inutili cospirazioni dei popoli? Insorgono i re della terra, e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia... Si parla già, dunque, del Messia e del fatto che tutti quanti congiurano contro di lui. Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami. Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall'alto il Signore. Egli parla loro con ira, li spaventa nel suo sdegno: «Io l'ho costituito mio sovrano...» Cioè, il Cristo. sul Sion mio santo monte. Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Si parla chiaramente, dunque, del Figlio di Dio. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti... Sottolineiamo che qui si annuncia che egli riceverà le genti in eredità. ••• e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai. E ora, sovrani, siate saggi, istruitevi, giudici della terra; servite Dio con timore, e con tremore esultate; 165 che non si sdegni e voi perdiate la via. Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia. Il Salmo 2 presenta una visione terrificante: afferma che Figlio porterà il fuoco e il terrore. Ora, conoscendo già l'immagine del Figlio data dall'Antic Testamento, vediamo cosa diventa nel Vangelo. VOCAZIONE PROFETICA DI GIOVANNI IL BATTISTA (Matteo 3,1-16; Luca 3,1-6) In Matteo 3,1 si legge: In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea... Giovanni compare nel deserto. Sappiamo che aveva abban . donato la vita in società. Come nel Salmo 2, dentro di noi tutti temiamo la distruzione. I re e le regine che governano nostra interiorità litigano: il nostro intelletto dice una cosa, nostro cuore ne vuole un'altra, mentre il nostro sesso ne de dera una terza e il nostro corpo ne esige un'altra ancora. Nono abbiamo una finalità precisa. Siamo preda de ll e cospirazion Non disponiamo di pienezza: soffi iamo. Improvvisamente, Giovanni appare nella nostra coscienz perché è l'intelletto illuminato; tuttavia, non è il cuore. Ap pare, dunque, e dice: «Attenzione, perché il tuo Dio interior si manifesta. Se hai fatto del bene, sarai in pace. Altrimenti se per caso fai cose malvagie, sarai schiacciato e distrutto Questa distruzione potrà essere una malattia, un incidente l'omicidio». Parla di un giudizio interiore. L'Antico Testamento annuncia quindi la comparsa di quest Figlio terribile: perché ce lo presenta in tal modo? Come abbiamo visto, dopo il Cristo, la Vergine e Giuseppe Giovanni è uno degli esseri più sacri del Vangelo. Quando er un feto di sei mesi nel seno di Elisabetta percepì lo spirito d Cristoche,nlgmbdMaritolencs. 166 Ciò significa che io, essere umano, sono un feto in formazione; tuttavia, non appena sento di vivere come nuovo essere, percepisco in me la nuova luce. Percepisco il vero centro de ll a mia vita. Tutti siamo pura luce, un cuore puro: non lo vediamo ancora ma già lo sentiamo. Giovanni si trova nel deserto. È fuggito, non vivrà in una città perché lì governa la Legge di Mosè. Questa Legge per la donna ha dichiarato impure la donna e la riproduzione e punisce la relazione sessuale a causa del piacere che procura. Nell'Antico Testamento il piacere è dunque proibito. Inoltre, questo libro ha prodotto scribi che hanno fissato la lingua tracciando le vocali su un testo composto di sole consonanti (anticamente si scrivevano solo le consonanti, mentre le vocali si trasmettevano oralmente). Fissare la lingua è stato come uccidere il Verbo. All'epoca di Giovanni il problema era considerevole perché il Verbo, già morto, non corrispondeva più ai tempi. In realtà, la vera storia risale a Eva — l'intelligente Eva —, quando l'essere umano abbandona il paradiso e l'umanità perde il proprio centro, si inoltra in un labirinto e si affida a dei che non le corrispondono. Oggi, l'annunciazione di Giovanni consiste nel ritornare al centro originario. L'umanità ne ha paura e si è smarrita cercando la divinità fuori di sé, quando invece ciascuno dovrebbe guardare dentro di sé. Ecco in che cosa consiste l'opera di Giovanni, l'annunciatore. Giovanni sa che esiste questa luce interna e allora si inoltra nel deserto. Per lui, vivere nel deserto non è fastidioso o sgradevole. Si ciba di cavallette e di miele selvatico (Matteo 3,4). Il miele è eccellente e le cavallette sono ricche di proteine. Giovanni sa cibarsi e vivere quasi senza niente. Non studia il Libro; ha eliminato qualsiasi desiderio di ricchezza e non ha possedimenti, ha eliminato ogni pensiero, legge , emozione e desiderio inutili. Nel deserto ha fortificato il suo corpo. Vestito con una pelle di cammello e una cintura di cuoio, vive in santità. È forte. Nessuno può ingannarlo né tentarlo. Se la ride del denaro. Per lui, il potere non è niente. 167 Fatta eccezione per Maria e Giuseppe, che vivono con il Cri sto, Giovanni è l'essere più evoluto de ll a sua epoca. Godend di una libertà totale, cosa viene ad annunciare? Giovanni si presenta in noi nel momento in cui rompiam con qualsiasi compromesso, cioè nel momento in cui la nostr creazione intellettuale è libera, quando non siamo dominat dai pensieri ma li dominiamo, quando non siamo controllat dalle nostre emozioni ma le dominiamo, quando vogliamo purificare il nostro cuore. Giovanni giunge nel momento in cui dobbiamo sloggiar dal nostro cuore tutte le persone care, padre, madre, figli, il nostro uomo o la nostra donna. Dobbiamo sradicare da noi tutto quanto per riunirci col nostro centro. Questo momento esiste e non si tratta di egoismo: è paragonabile piuttosto ali momento in cui un'auto smette di funzionare perché ha bisogno di benzina. Consiste nel ritornare al centro, dove si trova ogni essere umano. Quando ci separiamo dalle persone care, esse dove vanno? Nei loro rispettivi centri, e il centro di ognuna di loro è il nostro stesso centro. È dunque nella divinità che ci uniremo con I persone amate, non attraverso noi stessi. Giovanni realizza tutto questo. Dato che nel suo cuore noci c'è niente, ce l'ha pieno. Non è tormentato dal desiderio, non ne ha bisogno perché i desideri che prova sono centrati e non sono malvagi. Ch potrà mai sapere la vita che Giovanni condusse nel deserto? In ogni caso, a partire dal momento in cui Giovanni inizia a' predicare, tutti i suoi desideri si focalizzano su un altro desiderio: l'apparizione del centro. Ecco cos'era Giovanni: colui che si dedica all'opera di creare noi stessi. Giovanni predica nel deserto di Giudea: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! Di cosa parla? Qual è quel regno dei cieli? È Cristo che vicino e si trova sulla terra: si è incarnato. 168 Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto... La voce di chi? Siamo riusciti a sentire una voce che grida nel nostro deserto? Sono convinto che i poeti conoscono questa voce: se qualcuno di loro pensa di essere l'autore dei propri testi, non credo sia un vero poeta. Il poeta è Giovanni. Si trova nel deserto assoluto e d'improvviso una voce si me tt e a chiamare e la mano di Giovanni comincia a scrivere. Giovanni sa di non essere l'autore delle proprie creazioni: queste si realizzano per suo tramite, sono voci risuonate nel suo deserto che lo spingono a creare. «Una voce che grida nel deserto» significa che dentro di me si produce un suono essenziale. È per mezzo di una voce che sorge il mondo: il suono di Dio, della divinità, il suono essenziale che ha dato inizio a ll a creazione dell'Universo. Sono talmente vuoto da essere il deserto. Non sono abitato. La mia lingua è scevra di desiderio, di piacere, di tutto. L'ho pulita. I miei occhi non hanno alcun desiderio: vedono soltanto il deserto con le sue dune. Anni fa ho percorso in jeep il deserto del Sahara per duemila chilometri. In un tragitto simile non si vede niente e si comincia davvero a perdere il senso dell'orientamento: non ci sono limiti davanti a noi. Perciò perdiamo i nostri stessi limiti, ed è il nostro cervello a perderli. Non ha niente a cui aggrapparsi. Nel nostro Sahara le idee sono paragonabili a piccoli animali: un'idea o una parola arrivano come una lucertola o un granchio, hanno esattamente que ll e dimensioni, commisurate al deserto. E il silenzio! Si può ascoltarlo completamente: è così smisurato che quando si pensa qualcosa, si produce un rumore. Siamo costantemente attraversati da molti movimenti mentali perché siamo circondati da molti rumori. Il rumore non cessa mai. Inoltre, siamo noi stessi a generarlo ogni volta che abbiamo un pensiero. Nel deserto, i sentimenti sono del tutto paragonabili alla sabbia. Se immergiamo una mano in una duna e la richiudia169 mo, tratterremo soltanto un pugno di sabbia. Al contrario, l'apriamo, può passarvi attraverso tutta la sabbia del deserto. nostro cuore può essere una mano aperta nella quale posson circolare tutti i sentimenti: scivolano via senza aderirvi. N nostro cuore non c'è niente. E come si può avere un desiderio nel deserto, se lì non c niente? Bisogna capire che Giovanni viene da un mondo silenzios Lì il silenzio è tale che si possono udire i passi di un cane chilometri di distanza. Il ronzio delle api diventa una musi , cosmica. D'improvviso, mentre Giovanni è in completa solitudin, una voce risuona nel deserto. È fantastico immaginare ques ta voce che attraversa chilometri e chilometri di silenzio. Giovanni cita il poema di Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! n on passerà per la nostra via. La sfida, ciò che è in gioco, è enorme. Siamo abituati a giocare con l'idea dell'eternità e di andare oltre la mo rt e. Giochiamo con l'idea di avere una morte felice. Giochiamo con tante cose, per esempio con la salute dei nostri figli e de ll e tre o quattro generazioni che s eguiranno. Realizzare la via del Signore non significa fare qualsiasi cosa. Nel momento in cui nutriamo il minimo desiderio di successo, quando non ci dedichiamo completamente all'opera, quando ci rimane anche un solo frammento di ego, quando pensiamo al frutto della nostra azione, non siamo la via del Signore ed Egli non passa di qui. L'opera non si fa: se siamo artisti riusciamo a capirlo. Se non siamo del tutto al servizio dell'opera, questa non si realizza: non è al nostro servizio. Nemmeno il nostro corpo è al nostro servizio, niente lo è. Noi siamo il servo, siamo la via del Signore. E chi è il Signore? È il nostro essere essenziale che tramite noi deve andare verso l'altro. Da se stesso, attraverso di sé e verso di sé: i1 ritorno al centro. Abbiamo già visto che cos'è la voce nel deserto, ma quai la via del Signore? Vuol dire che il Signore passerà per una via? In tal caso, assolutamente necessario pulirla. Perché se rimane un sol granello di polvere sulla via del Signore, quel sentiero sar sporco. Se su diecimila chilometri rimane anche un piccolissimo ciottolo sporco, tutta la via sarà sporca: non vi abbiamo messo abbastanza impegno. Che cos'è la via del Signore? O piuttosto: chi è la via del Signore? Ciascuno di noi: siamo la via del Signore perché i Signore deve passare attraverso di noi. Affinché Egli possa farlo, niente di noi deve disturbare: dobbiamo, dunque, eliminare il nostro ego. Per questo è necessario che ci annulliamo. La via del Signor è un essere che si è dissolto sulla via, è diventato la via. Se non diventiamo la via, come potremo essere del Signore Bisogna darsi interamente: se rimane di noi un minuscolo frammento, un sentimento, un desiderio, un'idea, il Signor e` Nella versione di Luca (3,5), la citazione di Isaia è riportata integralmente: 170 171 Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni co ll e sia abbassato... Il nostro burrone sarà riempito quando avremo fatto il vuoto dentro di noi, quando avremo fermato il nostro pensiero. Nella meditazione, quando non pensiamo più, ci trasformeremo in un abisso. Sul piano del cuore, dobbiamo smettere di desiderare delle «romanticherie», abbandonare i sogni di grandezza, di successo e d'amore. Smettiamola con le richieste. Diciamoci: «Anche se nessuno mi amasse, ciò non mi tocca. Io amo. Sono una collina spianata». Non cerchiamo più soddisfazioni e gratificazione. Ogni montagna, ogni autorità, ogni collina, ogni ego, saranno abbassati, tagliati. Non possiamo opporci alla luce: quando lo facciamo ci provochiamo una malattia, un incidente, la, rovina, il suicidio. CHIAMATA DI GIOVANNI ALLA CONVERSIONE (Matteo 3,7 - 10) MINACCIA DEL GIUDIZIO (Luca 3,7 9) - Continua Luca, citando Isaia: i passi tortuosi siano diritti... Se sono un passo tortuoso, cioè se ho un'anima difficile e complicata, il Signore mi spezzerà passando per la mia via. Bisogna essere flessibili per lasciarlo passare, non opporsi. Se sono una via che tenta di far inciampare il Signore mentre passa, sarei come quello che ha una bella immagine dentro di sé e la trattiene. Ecco cosa accade quando cominciamo a meditare e a sospendere il pensiero. A volte si perde la meditazione perché si comincia a guardarla, a tentare di appropriarsene e di ricordarsene. Cerchiamo di essere testimoni e di vedere cosa stiamo facendo. Prendiamo nota. Quando facciamo del bene a qualcuno, siamo compiaciuti e ci applaudiamo. Sosteniamo un dialogo interiore. Ci osserviamo senza sosta. È la via del Signore che cattura il Signore e non lo lascia proseguire. E invece bisogna lasciarlo avanzare, bisogna essere una via che, in quanto tale, non trattiene nient: permette di andare e venire (Luca 3,5-6). Giovanni battezza la folla che arriva da tutta la Giudea e da tutta la regione del Giordano. In questi due capitoli del Vangelo comincia a insultare la gente che accorre a vederlo. Si dirige principalmente agli scribi e ai religiosi, e domanda loro cosa ci fanno lì: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira imminente... È la minaccia de ll a fine del mondo. Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre. Anzi, la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non port a buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco. La voce che grida nel deserto è profetica. Non è Giovanni che parla. Egli è «parlato», cioè è il canale di una voce che no domina personalmente. Qui comprendiamo l'idea che Giovanni si fa del Messia: annuncia una punizione spaventosa e prefigura un terribile Messia di fuoco che incendierà tutto sulla sua via. In realtà, quando viene il Cristo, è esattamente il contrario di quello che era stato annunciato. Che sorpresa sarà per Giovanni, che promette l'avvento dell'uomo più fo rt e del mondo, di un uomo che incendierà tutta la terra. «Fatevi battezzare, presto!» dice Giovanni alle persone; le immerge nell'acqua ed esse lo vedono e tremano di paura: formano una fila per confessare i loro peccati. Ci rendiamo conto di cosa sente Giovanni durante queste confessioni? Egli, che prima si trovava nel deserto e non sentiva un rumore, inizia a udire un torrente di pazzie e infermità. Tutti vengono a riversare i loro peccati nelle orecchie di Giovanni, che si trasforma così nello zerbino, nel «pulitore». Monda tutte le persone affinché non vengano gettate nel fuoco: sente, dunque, che deve fare in fr etta. 172 173 i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! BATTESIMO CON EACQUA E CON IL FUOCO Che emozione vedere la differenza fra il terribile Messia che era stato annunciato e l'essere che si presenta, veder arrivare la nostra anima così come l'abbiamo desiderata, il nostro Diti: interiore pieno di dolcezza. Non appena lo vede, Giovanni sente di nuovo quello ch aveva sperimentato quando era un feto: è attraversato da u tremore, diventa elettrico, da tutti i pori della pelle capta 1 luce di quell'essere incredibile. Come procede questo Messia? Adotta l'andatura maga loquente che gli ha imposto il cinema? No: cammina corn un semplice essere umano e non dimostra niente. Giovan gli dice immediatamente «Dio mio» perché lo percepisce sul piano del cuore. Se avessimo l'opportunità di vedere davanti a noi il nostro Dio, a che stato accederebbe il nostro cuore? Si metterebbe a battere come un tamburo e sarebbe possibile ascoltarlo da molto lontano, perché se Dio ci comparisse davanti vorrebbe dire che siamo eterni, che la mo rte non esiste e che le nostre sofferenze sono finite. Vorrebbe dire inoltre che la verità esiste e che l'umanità è salva perché Egli viene a salvarla. Dato che possiamo vedere Dio, l'Eternità ci ha scelti: che onore vederlo, e che emozione! Giovanni piange, emozionato: è impossibilitato a muoversi. Cristo gli dice: «Battezzami! Mondami!». Giovanni non può evitare di schermirsi: «Chi sono io per battezzarti?». Fino ad allora lo faceva: mondava chiunque. Ma dal momento in cui vede il Cristo, Giovanni si rende conto dello stato in cui egli stesso si trova e prende la decisione di non battezzare più. Ma Cristo gli ordina di continuare: «Mondami!». Immaginiamo la situazione: mondare Dio! Egli è la purezza totale, e noi stiamo eliminando gli escrementi di tutto il mondo. L'acqua è sporca: scorrendo, si po rta via i peccati ma non per questo rimane meno inquinata. D'improvviso, per il solo fatto di toccare l'acqua, questo essere la purifica. Con un solo sguardo ci purifica e ci chiede di fargli l'onore di mondarlo. Giovanni dice fra sé: «Non posso fare una cosa simile». Si vergogna. Allo stesso tempo, però, capisce la lezione: Giovanni annunciava un distruttore che avrebbe propagato il fuoco al proprio passaggio e distrutto le montagne, e invece si presenta un uomo che gli si inginocchia davanti: un Maestro che si inchina ai piedi del discepolo. Giovanni vede Dio inginocchiarglisi davanti: cosa sentirebbe chiunque di noi incontrando l'essere che ha desiderato vedere per tutta la vita? Arriva davanti a noi: Krishna, Shiva, Buddha... Mentre avanza, tutti gli angeli e tutte le voci della terra cantano. Si avvicina, si inginocchia ai nostri piedi e dice: «Purificami! Fammi entrare nella comunità umana! Dammi il battesimo!». Cosa faremmo? Come Giovanni, con un'emozione infinita, prenderemmo un po' d'acqua. Poi, con amore infinito, con 174 175 (Matteo 3,11 12) - Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me... Ma non è «più terribile di me»: è infinitamente più dolce di me. e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Nella versione ecumenica, una nota segnala che in questo passo non si allude a un fuoco spirituale, bensì a un fuoco che incendia e punisce. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile. Il fuoco inestinguibile è l'inferno eterno. BATTESIMO DI GESÙ (Matteo 3,13-17; Luca 3,21-22) In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo... La gioia più grande che possiamo concepire è quella di essere cercati e scelti. devozione e dono totale, verseremmo l'acqua sulla testa quell'essere e ci trasformeremmo in quell'acqua. In quel mo . mento Giovanni si trasforma davvero nell'acqua, fluisce e co in Cristo, si dà completamente nel battesimo. Il battesim di Cristo diventa quello di Giovanni, che ottiene il perdon assoluto. Allora il Cristo impartisce una lezione di umiltà, perch dice: «Sono venuto sulla terra per servire chi soffre. Non son venuto a distruggere: sono venuto a costruire. Non sono ferro che soggiogherà le nazioni. Non sono un re né un guru] né un supremo sacerdote. Non cerco le moltitudini: cerco delle persone vere. Io non sono niente. Meglio di ogni cosa iw l'essere umano». Comprendiamo, dunque, che la lezione consiste nello stare , Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora...». Comprendiamo con quale dolcezza glielo dice? Cosa significa «Lascia fare per ora»? Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia. «Lasciati fare! Trattieni la tua volontà! Accetta! Lasciati fare! Sii capace di cogliere la gioia! Lasciati fare! Lascia che la aipedlsco.IMatrdev'silopra, altrimenti non si tratta di un vero Maestro. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Sta dicendo: «Io ti ho cercato e invece sei tu che vieni d me!». Giovanni non ha cercato il Cristo: è il Cristo che riesc a vedere Giovanni, il quale è pronto a riconoscerlo. Ciò signi=' fica che è la nostra divinità interiore che viene a noi, e non il contrario. È il Cristo interiore a trovarci, non siamo noi cercarlo. Il nostro ego non accetta quest'idea; tuttavia, è la nostr essenza a cercarci. Bisogna capire che siamo sollecitati dall pienezza, dalla perfezione, dalla grandezza e dalla maturità È la nostra essenza a venire e a inginocchiarsi davanti a n perché l'usiamo e ci dissolviamo in essa. C'è in noi un Universo completo che desidera realizzarsi e tutte le sofferenze hanno l'unico scopo di impedire quest realizzazione. La verità è che non vogliamo essere cercati se siamo egoisti, ci cerca la generosità. Se siamo collerici, persegue la calma. La coscienza superiore cerca l'umanità per realizzarsi, se non si realizza si avranno guerre, sofferenze, distruzion e angoscia. 176 luce penetri nel tuo spirito! Lasciati fare! Lascia che l'amore si depositi nel tuo cuore! Lasciati fare! Lascia che la vita penetri nel tuo sesso! Lasciati fare! Permetti che il benessere scenda nel tuo corpo!» Lasciati fare! Il cuore è come un fiore: si apre dall'interno; nessuno può aprirlo dall'esterno. Lasciati fare! Qualsiasi verginità si perde dall'interno: è la lezione che ci offa e il mito con la nascita di Cristo. Per il Cristo non esiste ambiente migliore per nascere di quello tramite cui nascono tutti gli esseri umani: non è venuto a dire che l'essere umano è malfatto e che la donna è impura. Quando nasce, attraversa l'imene dall'interno. Il nostro cuore è la Vergine: quando il nostro Cristo interiore nasce, ci apre il cuore dall'interno. Non chiudere il tuo cuore! Lasciati fare! Lascia che il cuore si apra, non opporre resistenza. Apri! Apriti sesamo! Questa formula magica non si pronuncia fuori della grotta, ma dentro. È il tesoro a dirci: «Apriti sesamo!». È il tesoro ad aprirci: il tuo cuore si apre e l'essere si manifesta. Lasciati fare! Non c'è alcuna giustizia per chi è chiuso. Allora Giovanni acconsentì. Ê possibile capire tutto quello che esprime questa piccola frase? Il tempio di Giovanni è pulito e puro, e il Cristo gli dice: «Lasciati fare!», e all'improvviso il corpo di Giovanni comincia ad assorbire la presenza dell'essere che gli sta davanti. «Lasciati fare! Donati! Non opporre resistenza!» La luce 177 di Cristo comincia a cadere su Giovanni. Cristo guarda l'o c . chio sinistro di Giovanni e questi guarda l'occhio sinistro ` di Cristo. Il contatto si realizza da occhio sinistro a occhio sinistro. Un raggio di luce li unisce e, all'improvviso, il vol to di Cristo si apre e Giovanni è assorbito da un abisso. Vv cade dentro, dona tutto il suo essere e quel volto lo riceve .; Quando si è dato completamente, quando tutto il suo essere essenziale si lascia trasportare in quest'abisso, Giovanni vede il proprio volto in quello di Cristo, che è diventato il suo specchio. Giovanni si vede nel Cristo e si mette a piangere perché si riconosce. Ecco cosa significa «Lasciati fare!»: Giovanni ha «vasocomunicato» il suo essere con l'altro, e l'altro gli restituisce la sua perfezione. Qual è il volto di Cristo? È il nostro stesso volto. Cristo e un essere che ha uno specchio al posto del volto, e in esso si riflette il nostro volto. Infatti, cosa percepiamo della divinità se non noi stessi? Quanto più siamo, più percepiamo. Quanto meno siamo, meno percepiamo. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua; ed ecco, si aprirono i cieli... Come può aprirsi il cielo? Non è già aperto? Furono le nut vole ad aprirsi? No, dato che si dice che «si aprirono i cieli» non «si aprirono le nuvole». ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Vediamo cosa succede: è pieno giorno e sopra di loro c naturalmente il cielo, quello spazio infinito. All'improvviso sente un rumore e il cielo inizia ad aprirsi, come due palpeb che si separano. Cosa si vede allora? Un altro Universo fatt di tutte le possibili energie celesti. Anche quest'altro Universo è dentro di noi: quando lo spirit si apre, entriamo in pieno nel nostro inconscio. Nella coscien si crea un'apertura verso l'inconscio. In principio, quando ci succede, è angosciante, dal mo rn e to che non sappiamo di cosa si tratta. Ci accorgiamo foi 178 dell'emozione che si può provare vedendo cosa c'è oltre la realtà, in un'altra dimensione? In realtà, appare una colomba, come in un quadro di Magritte. La realtà si apre, appare l'irrealtà e subito, in mezzo a questa irrealtà, sorge l'essere più concreto del mondo. Vediamo quello che i dignitari di tutte le religioni (poiché si tratta della versione ecumenica) hanno scritto a proposito della colomba. I loro commenti risultano interessanti: «Non è possibile fornire interpretazioni sicure di questo simbolo. Probabilmente si tratta di un'allusione alla colomba che ritorna all'Arca di Noè. Alcuni, basandosi sulle tradizioni ebraiche, identificano la colomba con Israele; secondo altri, suggerisce l'amore di Dio che discende sulla terra. Infine, conformemente ad altre tradizioni ebraiche che vedevano una colomba nello Spirito di Dio che volteggiava sulle acque, per alcuni evoca la nuova creazione che avviene con il battesimo di Gesù». Tutto ciò va bene, ma dobbiamo ricordare che il giorno in cui Gesù si presenta al tempio vengono sacrificate due colombe sull'altare. Per millenni i sacerdoti hanno offerto colombe in sacrificio, fossero tortore, piccioni o colombelle. Nell'antica religione la colomba è dunque un animale sacrificale. Questa colomba simbolizza Cristo stesso, il quale più tardi si sacrificherà in un altro tempio: quello dell'umanità. Cristo è crocifisso in un posto chiamato Golgota, cioè «la montagna del Cranio», un simbolo umano. La croce si conficca nella testa dell'essere umano affinché entri fin nei recessi più profondi del nostro cervello. Cosa si sacrifica sull'altare? Si tratta naturalmente del sacrificio dell'ego: la colomba che chiamiamo il nostro «io», «me stesso», quel piccolo mostro, quella caricatura segnata da tutta la nostra storia. Questa colomba è bella perché il nostro essere è bello: sacrificando la caricatura che siamo, arriviamo all'essere essenziale. Ciò implica che dobbiamo essere pronti a sacrificare la nostra psiche e le nostre pratiche spirituali. Non è una cosa semplice da realizzare, perché siamo abituati a essere sempre gli stessi. Prendere coscienza non serve a niente, se non si agisce immediatamente. Nella presa di coscienza, l'«agire» è la cosa 179 più importante, altrimenti ridiventiamo le stesse caricature prima. Per venti, quaranta o sessant'anni siamo la caricatu di noi stessi e non l'abbandoniamo mai: il sacrificio consist nell'abbandonarla e nel trasformarsi in un essere nuovo. molto arduo sacrificare la colomba, cioè l'idea che abbiamo d noi stessi, i nostri punti di vista, le nostre abitudini... L'essere che è soltanto una caricatura pensa che il mond circostante abbia la sua forma e le sue idee, proietta tale for ma e ta li idee negli altri e vede in funzione di ciò che è egl stesso. L'ego è solo un punto di vista: sacrificare la colomb significa sacrificare il punto di vista che proiettiamo su no stessi e sugli altri. In effetti, possediamo un punto di vista su di noi che dirige e trasforma la nostra vita. Ci diciamo: «Non farò questo non farò quello. Sono così, sono cosà». Dopo, quando viene il momento di confermare tutte queste concezioni mentali l'io non agisce come ci si aspettava. Allora scopriamo cho non siamo quello che abbiamo sempre pensato: non eravam eroi ma codardi, non uomini forti ma deboli, senza dignità: l'avevamo persa completamente. Basta ricevere uno schiaffo da qualcuno più forte di noi per perdere tutta la nostra dignità. Subito cadiamo e non ci rialziamo più perché siamo caduti in noi stessi. L'io è caduto. Oppure, al contrario, ci rendiamo conto che possiamo sacrificarci e porgere l'altra guancia. Ci lasciamo picchiare mentre difendiamo una verità e abbiamo la sorpresa di constatare che non eravamo così disprezzabili né piccoli come immaginavamo. Scriviamo un poesia di getto e ci rendiamo conto che non avevamo così poco talento come pensavamo, non eravamo tanto medioc come ci piaceva credere. Ci accorgiamo di possedere risors sconosciute. ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Questa è la versione di Matteo. In quella di Luca (3,21-22 la voce proveniente dal cielo afferma: 180 Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto. Luca cita dunque il Salmo 2 (7 - 9) in questo passo: Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti, e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai». Il Salmo 2 è recitato in cielo e immediatamente dopo vengono le tentazioni del diavolo. Ciò che risulta incredibile è che ci sia un parallelo tra Dio e il diavolo, nella misura in cui entrambi offrono «in possesso le genti» al Messia. LA TENTAZIONE DI GESÙ (Matteo 4,1-11) Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Di che spirito si tratta? Matteo dice: «Gesù fu condotto dallo Spirito»; ebbene, prima aveva detto: «ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba», dunque la colomba era presente. Subito essa si allontana in volo e Cristo la segue. Egli non decide quindi da solo di andare nel deserto, si lascia guidare dallo Spirito. Una sua pa rte ordina e lui la segue, le obbedisce. Quando Gesù va nel deserto rimane quaranta giorni senza mangiare né bere, il sole gli brucia la pe lle, s'indebolisce. È allora che si presenta il diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Alla fine di quel periodo, il suo corpo doveva essere molto debole, tremando nel freddo della notte. Nel deserto, di not181 te, regnano il silenzio e il freddo: Cristo spera. Non ha alcun problema mentale, sa che sarà tentato, ma da chi? Da dove scaturirà il diavolo? Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane». Il Cristo è seduto in meditazione, non mangia e riesce a controllare il suo spirito. La sua colonna vertebrale è diritta e niente lo tocca. È fo rt e. Sapendo che il diavolo verrà, lo aspetta con fermezza. È dunque un guerriero, un cacciatore, una sentinella. La debolezza non lo affligge. La forza di un samurai non è niente in confronto a quella di Cristo dopo quaranta giorni di digiuno. È allegro mentre attende questa battaglia, poiché sa che trionferà. All'improvviso, un essere identico a lui esce dal suo intimo. È ovvio che il diavolo gli assomigli da ogni punto di vista: Cristo potrebbe avere paura solo di se stesso, infatti. Solo il suo doppio è in grado di tentarlo, il quale si esprime con la voce più bella e dolce del mondo. Per questo la tentazione è effettiva, perché Cristo vede se stesso e parla a se stesso. Si dice: «Hai fame», e lo sa alla perfezione, perché è proprio quello che sta vivendo. Se sei Figlio di Dio... Egli sa di essere il Figlio di Dio. ... di' che questi sassi diventino pane. Il suo doppio si rivolge a lui tranquillamente: Cristo non gli risponde in maniera personale, ma cita la Bibbia: Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Si tratta di un passo del Deuteronomio (8,1-5), «Le prove nei ' deserto», pa rt e della Legge di Mosè. Eccolo per intero: Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto... In quaranta giorni Cristo ha percorso la strada che tutto il popolo aveva percorso in quarant'anni. Ecco perché rimane nel deserto per quel numero di giorni. ... per umiliarti... Abbiamo visto l'umiltà di Giovanni e ciò che implica questo termine. e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore... Non «nella testa» o «nel sesso»: nel cuore. Il nocciolo del problema è infatti nella sfera emotiva: se il cuore non funziona, neanche la testa e il sesso funzionano. Al contrario, a un cuore contento corrispondono una testa e un sesso felici. e metterti a ll a prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Quando il Cristo dice che «l'uomo non vive soltanto di pane», prova quanto è forte la sua fede. Non ha il minimo dubbio. È centrato. Il suo diavolo viene a dirgli: «Hai fame», ma dentro di sé Cristo sa di non averla, perché è nutrito dallo Spirito: si nutre di se stesso perché è completo, presente. Non dubita nemmeno un secondo di se stesso. È particolarmente bello non dubitare di sé, essere un guerriero, attraversare il nostro deserto e sapere che siamo noi stessi i nostri più grandi tentatori, e che possiamo quindi resistere. Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto...». Baderete di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi do, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso del paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri. e il diavolo ci mostrano qui che, secondo il modo in cui si 182 183 Ora il diavolo cita il Libro: è una battaglia di Libri. Cristo interpreta la Bibbia, è possibile trovare il diavolo o Dio. In effetti: secondo l'interpretazione che si dà dei testi, si finisce per obbedire a Dio o al diavolo. È come per i Tarocchi: possono essere positivi o negativi, secondo l'interpretazione che ne diamo. Assistiamo, dunque, alla battaglia fra un'interpretazione letterale della Legge e una nuova interpretazione scaturita dal cuore, una lettura viva che si libera de ll a Legge perché sa che la verità sta nel cuore e non nella Legge. È come un faccia a faccia fra l'accademia e lo scrittore. Cristo conosce a memoria la Bibbia perché è stato lui a scriverla: l'ha dettata quando era il Padre. La conosce, perciò, parola per parola, e anche il diavolo la conosce bene, dato che è lo stesso Cristo. Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede. Qui il diavolo cita il Salmo 91 (9 14): - Poiché il tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell'Altissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi. Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. «Ha conosciuto il mio nome»: Cristo è l'unico a conoscere il nome del Padre perché Dio è il Nome. Non c'è differenza fra il suo nome e Lui. Conoscere il suo nome quindi signific conoscerlo e nessuno di noi può farlo: se lo conoscessimo scompariremmo immediatamente, dissolti nella potenza de Verbo. Il nome di Dio è l'innominabile. È per questa ragione ch 184 ogni volta che un essere umano gli chiede il suo nome, Dio elude la risposta. Lo fa per amore: non ha nome perché è il Nome, il Verbo. Solo Cristo può conoscerlo perché egli stesso è il Nome. Perciò il diavolo lo tenta in questo modo... ma conosce il Nome. Cristo si trova sul tetto del tempio. Il diavolo, cioè Cristo stesso, lo fa volare finché non arriva sul tetto. La tentazione è costituita dalla folla che si trova davanti: se si lancia dal tetto volerà, e se vola diventerà un guru o un papa, e questo miracolo gli farà guadagnare migliaia e migliaia di discepoli. Sarà applaudito. Sarà, dunque, il diavolo. Respingendo questa tentazione, Cristo respinge il Potere: non ama quella moltitudine a cui bastano piccoli miracoli per essere sedotta. Rifiuta di trasformarsi nel leader di una folla. Cristo non si maschera con vestiti stravaganti, non si preoccupa del suo aspetto esteriore. Non ha la testa rapata, non si lascia crescere i capelli o la barba, non crea Chiese, società o sette, non vuole che gli bruciamo dell'incenso in offerta né che ci prostriamo ai suoi piedi... Non s'impone a nessuno, respinge tutto ciò, anche se avrebbe potuto ottenerlo facilmente, se solo avesse voluto. Respinge il suo diavolo, una pa rt e di sé. Non compra niente perché è libero. Ha sempre vissuto nella casa di Maria a Nazaret. Non ha mai posseduto una casa, un posto. Cammina a piedi nudi. I suoi indumenti sono quanto di più sobrio si possa immaginare. Non solleva le folle, non fa discorsi. Scrive semplicemente per terra con un dito, e quello che traccia viene cancellato dal vento. Compatisce gli scribi, perché sono inutili (Matteo 4,7). Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». Si torna a Mosè e in particolare all'Esodo (17,1-7). A quell'epoca il popolo inizia a mettere alla prova Dio, vale a dire si ribella costantemente. Tutta la comunità degli Israeliti levò l'accampamento dal deserto di Sin, secondo l'ordine che il Signore dava di tappa 185 in tappa, e si accampò a Refidim. Ma non c'era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». Bisogna avere fede, fiducia. Quando vogliamo sapere se qualcuno ci ama, basta osservare il grado di fiducia che ha in noi. Se non ne ha, non ci ama. Se siamo adulti, chiediamo alla persona amata di firmarci un assegno in bianco: dalla sua risposta capiremo se si fida o no. Se non ci fidiamo, se non abbiamo fede, non riusciremo mai ad amare. In genere, diciamo: «Perché io ti ami bisogna che tu ami me. Prima di darti qualcosa, voglio essere sicuro che tu dia qualcosa a me». Siamo dei commercianti, allora, e non nutriamo un vero amore per l'altro. Quando amiamo ci fidiamo dell'altro e non gli chiediamo prove. Un gatto che ci ama si fida di noi, possiamo grattargli la pancia e lui ci lascia fare, ma proviamo a fare la stessa cosa col gatto del vicino di casa! In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo moi morò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatti uscire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè invocò l'aiuto del Signore, dicendo: «Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno». Mosè era l'unico credente fra migliaia e migliaia di persone. Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va'! Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull'Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè così fece sotto gli occhi degli anziani d'Israele. Possiamo credere che Mosè abbia tenuto per sé le prime gocce di quell'acqua? Assolutamente no: egli batte sulla roccia per spegnere la sete di tutti, e sono sicuro che fu l'ultimo a bere. Quando alla fi ne sgorga l'acqua, gli anziani di Israele che sono testimoni si precipitano alla fonte e bevono fino a saziarsi; poi chiamano gli altri. Uomini, donne e bambini si affrettano, portando con sé il bestiame. Quando tutti hanno bevuto, partono soddisfatti. Allora Mosè si avvicina a ll a fonte e placa la sua sete. Si chiamò quel luogo Massa e Meriba [che significano: prova protesta], a causa della protesta degli Israeliti e perché misero e alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Come il popolo mette alla prova il Signore, il diavolo dice a Cristo: «Metti alla prova Dio!», e Cristo gli risponde: «Egli non ha mai dubbi». Cristo sa perfettamente che può gettarsi nel vuoto, ma sa anche che se lo facesse diventerebbe un guru. Ecco l'ultima tentazione (Matteo 4,8-11): Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria... Il Cristo negativo conduce il Cristo positivo su una montagna: vede sfilare davanti a sé tutti i paesi dell'umanità: Stati Uniti, Russia, Cina, India, Giappone, Tibet, Egitto... Vede ancora più lontano: gli anni 2000, 4000, 5000, 10.000, 20.000... Tutti i secoli, tutti i regni dell'umanità, assolutamente tutto. Dopo avergli mostrato i paesi della terra e tutte le ricchezze e i regni, il diavolo gli dice: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai. Mosè batte sulla roccia: egli crede, e allora dalla roccia esce l'acqua. Un elemento per natura assolutamente privo d'acqua la fa sgorgare: ciò significa che la fede e la fiducia possono realizzare l'impossibile. Se abbiamo fede e colpiamo il cuore di pietra dell'altro col nostro bastone (la nostra fede), il suo cuore si aprirà: nessun cuore potrà resistere. Se seminiamo amore e fiducia, otterremo amore e fiducia. Ciò significa: «Io posso darti tutto questo. È chiaro che possiedo un simile potere perché sono il Dio incarnato! Se io volessi potrei rimanere per sempre sulla terra senza farmi crocifiggere. Sarei eterno nei secoli dei secoli e non conoscerei la mo rt e. Sarei il re di tutte le nazioni. Potrei avere tutto quello che desidero e comandare su chiunque». Cristo vede questo enorme miraggio, la moltitudine di uomi- 186 187 Aveva ragione, dunque. Ha digiunato quaranta giorni, ha vinto il diavolo e quindi le entità vengono a servirlo. Ha sete e gli angeli gli offa ono del nettare. Ha fame e lo saziano di frutta. Apre la bocca e ci saltano dentro delle belle cavallette dorate per farsi mangiare da Dio. Tutto si compie. È l'accoglienza senza ego. Ha vinto se stesso, ha scoperto la sua ricchezza interiore. ni e donne, le montagne di ricchezze, di veicoli, divertimenti, danze, decorazioni, oro, pietre preziose... Vede gli innumerevoli templi, i parchi, i giardini, i paesaggi e le sculture con la sua effigie. Vede ovunque le sue fotografie, i suoi video, i film, la televisione, tutta la stampa, la pubblicità... Vede dappertutto gli ologrammi con il suo ritratto: nelle borsette, sugli orologi... È la tentazione di imporre al mondo la sua immagine. Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e a lui solo rendi culto.» Non possiamo trasformarci in un oggetto di culto e non dobbiamo permettere a nessuno di adorarci. ä Allora il diavolo lo lasciò... Il diavolo lo lascia perché Cristo non accetta di diventare un oggetto di culto. Tramite Cristo, dovremmo creare il culto della divinità, e svegliando il nostro Cristo interiore svegliamo il culto della divinità interiore. La nostra forma umana occulta l'inumano, l'innominabile, l'indicibile. Noi siamo il Nome. Tutto è il Nome. Allora, come possiamo nominarci, se siamo il Nome? Come può un nome nominarsi? Non esistono parole per definire ciò che non ha inizio né termine: quando lo si definisce, il Nome non c'è più. Quando conosciamo il nome di Dio, lo definiamo e, nel farlo, lo uccidiamo. Diventa una semplice definizione. Bisogna capire bene questo passo: quando ci nominiamo siamo una caricatura di noi stessi, perché, in fondo, non abbiamo nome. Quando ci viene dato un nome, ci viene dato un veicolo. Tutto qui. Non ci viene dato un essere essenziale, perché sta a ognuno di noi realizzarlo; quando lo realizzeremo saremo il nostro Nome, ma non lo conosceremo. Gli altri lo sentiranno e ne subiranno l'effetto senza che noi lo conosciamo. Non sappiamo qual è, ma il nostro Nome agisce comunque in noi. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano. 188 189 VIII In quanto uomo, questo atteggiamento è già rivoluzionario: spezza i confini del gruppo, delle nazionalità e della cultura. Diciamo pure che Cristo è ebreo e che comincia la rivoluzione nel suo paese: la sua prima azione consiste nel convertirsi, subito, in cittadino del mondo. ... il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce... Ecco un essere che si è formato nella solitudine della sua famiglia e in quella del deserto. Invece di recarsi al tempio, dove si riuniva una collettività chiusa, si dirige precisamente verso un luogo aperto che è in rapporto con tutte le nazioni, perché in quel punto fanno scalo le navi. Gesù si pone così in mezzo all'umanità, dove può influenzare tutte le nazioni, non si ritira in un angolo. Una poesia zen dice: «Quando una lampada si accende in un angolo, la luce brilla nel mondo intero». Questa grande luce di cui parla Isaia i ll umina qui, ora, ieri, domani, tutto lo spazio e tutto il tempo. È una luce immensa, più fo rt e di tutti i soli riuniti. Se si accetta il mito, il sole è una lucciola rispetto a questo essere inconcepibile. Sappiamo che ha respinto l'offerta del suo diavolo che gli propone di diventare il leader dei paesi passati, presenti e futuri. Cristo potrebbe conquistare la terra e possedere tutto l'oro del mondo. Il potere assoluto è a sua disposizione, è capace di levitare, di volare, di fare miracoli, di stabilire un rapporto col diavolo e di dominarlo. Può risuscitare i morti. Immaginiamocelo: è a Cafarnao e si guarda intorno. Ci rendiamo conto del suo primo sguardo? Viene dal deserto, la sua esistenza è un segreto. Solo Giovanni ha visto quello che è: battezzandolo, ha provato una viva emozione. Tuttavia, secondo Matteo, in quel momento vicino al mare di Galilea nessuno sa chi sia Cristo e cosa ci faccia lì. Mentre vede le imbarcazioni andare e venire, Gesù contempla la sua morte, la sua crocifissione. Vede la Chiesa e tutti i popoli che verranno, tutte le persecuzioni e le morti che sarà lui a causare. Vede i milioni e milioni di vittime, e le guerre di cui è l'origine. Vede le to rt ure, le esecuzioni, le persone bruciate sui roghi, vede coloro che fraintenderanno il suo messaggio e provocheranno danni su scala planetaria. Vede i bambini che soffriranno, la società dei consumi che è destinato a suscitare. Vede come si farà mercato della sua immagine, che sarà issata sulle bandiere per le guerre e la distruzione del mondo. Vede la bomba atomica. Vede tutto. 190 191 GESÙ SI RITIRA IN GALILEA (Matteo 4,12-17) Dopo che «gli si accostarono gli angeli e lo servivano», Cristo lascia il deserto e lo ritroviamo in Galilea. Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato... Giovanni, il precursore, viene accusato. La sua missione si è conclusa. Gesù si ritirò nella Galilea e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti... Sa che provocherà tutto ciò. Lo sa, altrimenti non sarebbe Dio. Sa anche che queste cadute sono periodi che bisogna attraversare per poi potersi rialzare. Sa che l'umanità deve passarci attraverso per arrivare al prendere coscienza. La profezia di Isaia finisce in questo modo: ... su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata. Di fr onte al mare di Galilea, Cristo vedeva il mondo intero nelle tenebre. In quell'istante, «una luce si è levata». Sentì cioè che doveva mostrare la luce al mondo. Allora l'opera ebbe inizio. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Che cosa vuole dire «convertitevi»? Convertirsi a cosa? Di che regno parla? Avrebbe potuto dire: «Abbandonate le vostre scritture! Smettete di leggere il Libro! È tutta superstizione. Voi declinate le vostre responsabilità e le delegate a un Libro, a un testo, a una Legge. Voi non vivete: state cercando delle giustificazioni. Credete di esservi salvati perché ripetete ciò che è scritto? Convertitevi! anche potuto dire: «Uscite da quegli ambienti chiusi! Smettete di leggere! Vivete la vostra bellezza! Respirate! Andate avanti!». Convertirsi è abbandonare il delirio intellettuale che non ha radici nella realtà. ... il regno dei cieli è vicino. , dove c'è la divinità, e pertanto il regno dei cieli, non ci può essere sofferenza. Convertirsi vuol dire perdere il dolore e l'oscurità interiori. Se il regno dei cieli è vicino, è dentro di noi. Non siamo altro che luce, pienezza e gioia. Tutto quello che ha detto Cristo è: «Rallegratevi! Siate felici! Credete!». I PRIMI DISCEPOLI (Matteo 4,18-22) 11 passo del Vangelo di Matteo intitolato «I primi quattro Apostoli» ci dà una chiave di lettura per comprendere le «prosperità». Mentre [Gesù] camminava lungo il mare di Galilea... Costeggia il mare, le onde vengono a lambirgli i piedi. Quan- do toccano l'acqua, tutto l'oceano si rallegra e di mare in mare i passi di Cristo si diffondono in tutte le acque del pianeta. Tutti gli oceani e le creature marine esultano di gioia al contatto con quei piedi divini che li benedicono. ... vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Da dove si avvicina se il Cristo non ha limiti? Perché «è vicino»? Perché tutte que ll e persone che sono incollate al loro libro e lo recitano senza sosta cercano di farsi capire da un «cielo» esterno a loro. Al contrario, quando il regno dei cieli si avvicina cominciamo a parlare sempre più dolcemente, perché il regno dei cieli è dentro di noi. «Convertitevi» significa: «Siate il paradiso!». Questa è la conversione. Lì dove c'è Dio, non ci può essere oscurità. Li Gesù chiama quattro persone. Non si sa se i primi due fratelli erano giovani, ma lo sono gli altri due, dato che Zebedeo, il loro padre, lavora ancora. Il Cristo convoca, dunque, due fratelli e due figli: due più due. Conoscendo bene i Tarocchi, sappiamo che ci sono quattro assi che formano due gruppi di due. Le Spade e i Bastoni formano un'unità, le Coppe e i Denari ne formano una seconda. Sappiamo inoltre di essere costituiti da quattro centri: intel- 192 193 Come disse Chuang-tzu: «Un funzionario che tiene in ordine la sua scrivania ha altrettanto merito di un imperatore che tiene in ordine il suo impero». Ciò significa che quando un bravo artista lavora alla sua opera, tutti i suoi strumenti sono bel li e in ordine. Li conosce nei minimi particolari e, pertanto, lavora magnificamente alla sua creazione. Al contrario, se i suoi attrezzi sono in disordine, la sua opera e la sua stessa vita saranno disordinate. Cristo vede quei due fratelli gettare le loro reti e li capta. Sa che sono capaci di comprenderlo. Inoltre, i due pescano insieme, collaborano. Non sono, dunque, in competizione come tanti altri fratelli. lettuale, emotivo, sessuale e corporale. Abbiamo quattro centri e un'unica essenza (la quinta). Il numero quattro può farci pensare anche ai quattro punti cardinali, e la quinta essenza al centro del mondo. Ritorniamo a Matteo e vediamo cosa ci suggerisce: Mentre [Gesù] camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. Cristo cammina lungo la costa e cerca quattro uomini. Sa. Vede. Per il momento, ha bisogno di quattro uomini. Ci sono molti pescatori lungo la costa, ma Cristo ne vuole solo quattro. Li osserva: cerca i suoi discepoli. Si dice che non è il discepolo a cercare il Maestro, ma il Maestro a cercare il discepolo. Cristo procede e vede due uomini di grande purezza. Vede la loro anima. Nel gesto con cui lanciano le reti, Cristo percepisce un'enorme umiltà, una tecnica perfetta e un incontestabile dono di sé. Il Maestro Filippo di Lione diceva che la caccia era proibita '' e la pesca permessa; come dire: se cerchiamo con il nostro intelletto non troveremo niente. Al contrario, se impariamo a ricevere, molte cose finiranno nella nostra rete. Allora sceglieremo i pesci più grossi e rifiuteremo quelli che non ci servono. Come fare per tirare bene le reti? Prima bisogna prepararle coscienziosamente. Un pescatore è qualcuno che prepara i suoi strumenti con attenzione e amore. Egli stesso cuce la rete e la dota di galleggianti. Sa che se tutto quanto non è perfetto, non mangerà. Cristo notò con quale perfezione quegli uomini preparava-'; no i loro attrezzi. Essere perfetti nelle piccole cose vuoi dire E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Detto altrimenti: «Voi pescate così bene i pesci che potete pescare anche gli uomini, cioè convertirli». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. averlposibtàd anchelgrdi.Èpqusto che una persona che inciampa costantemente camminando o che non è cosciente del quaderno su cui scrive e sciupa 1 i carta, o che semplicemente disprezza le piccole cose, non può; compiere grandi azioni. 194 Quegli uomini sono pescatori, non scrittori, religiosi o mistici. Si recano al tempio per pregare perché hanno una religione e la praticano, nient'altro. Allora, come mai lasciano immediatamente le reti per seguire Cristo? Cristo arriva: i due pescatori lo guardano. I loro occhi entrano in comunicazione e davanti a loro Cristo appare tale quale è. I vocaboli e le parole non sono necessari per trasmettere la verità, nessuno potrà mai essere convinto dai discorsi, che non sono la meta. Convinceremo qualcuno solo con quello che siamo, e non con quello che diciamo. Tuttavia, certe persone non sanno vedere il livello di coloro che frequentano. Questo vuol dire che il Maestro cerca chi è capace di vederlo e di riconoscerlo. Cristo guarda la spiaggia e dice fra sé: «Chi può riconoscermi? Non voglio parlare. Comincerò con le persone che mi percepiscono. Parlerò solo a quelli che non mi riconoscono subito e hanno bisogno di parole». Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro 195 padre, riassettavano le reti; e chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. La prima azione di Cristo è stata scegliere quattro discepoli e poi dedicarsi alla guarigione. Era un medico. Cosa curava? La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. Percepiamo la forza di quell'essere? Chiama Giacomo e Giovanni e, su due piedi, i due fratelli abbandonano il padre per seguire Cristo. Che chiamata indescrivibile! L'essere umano non può essere un Cristo. Può, al massimo, essere un Giuseppe o un Giovanni. Mai un Cristo. Possiamo diventare un Buddha o un profeta, un Maometto, ma non possiamo diventare un Cristo. Uomini o donne possono diventare . una Vergine Maria, ma non un Cristo, non la divinità stessa. Possiamo averlo dentro di noi, dissolverci in quella divinità : e imitarla. Tuttavia, essere Cristo è un'altra cosa. È molto bello sapere che esiste sempre qualcosa di superiore a noi. Non è un caso se diciamo «Padre nostro»: siamo sempre bambini. Il Padre e la Madre cosmici simboleggiano la nascita e contemporaneamente il luogo in cui entriamo di nuovo. Essi cioè : ci creano e poi ci assorbono. Dunque, ritorniamo al luogo da cui siamo usciti. Per questo motivo, se vogliamo sapere dove andiamo, dobbiamo risalire alla nostra origine! L'origine è alla fi ne di tutte le strade. Quando si menzionano indemoniati ed epilettici, si parla di malattie mentali. Il Vangelo descrive quindi il Cristo come un medico che curava sia il corpo sia le malattie dello spirito. Tornando ai quattro fratelli, bisogna capire che essi simboleggiano i quattro centri principali: le necessità materiali, i desideri sessuali, le emozioni e le idee. Per curare, è necessario che questi quattro aspetti abbiano l'obiettivo comune di trasformarsi in ricettacoli della Volontà della Coscienza superiore, eliminando tutto ciò che li allontana dall'amore di Sé e dell'Altro. Questo significa eliminare le necessità inutili, le emozioni inutili, i desideri e i pensieri inutili. Tutto ciò che ci avvicina a ll a totalità è utile, mentre tutto quello che ce ne separa è inutile. GESÙ E LE MOLTITUDINI IL DISCORSO DELLA MONTAGNA (Matteo 4,23-25) (Matteo 5,1-2) Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Vedendo le folle, Gesù sali sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo... Entra nelle sinagoghe e cosa dice? «Uscite di qui, date da fare! Cosa fate nelle sinagoghe? Bisogna curare tutte 1 malattie e i malanni del popolo. Uscite e cominciate a fari Finché tutti non saranno guariti, non si potrà realizzare coscienza collettiva.» La Buona Novella predicata da Cristo è la terapia collettiv Per questo stesso motivo Buddha ha chiamato «Ospedale» il p mo monastero che ha fondato subito dopo l'illuminazione. Sale su una montagna, fa accomodare i suoi quattro discepoli tutt'intorno a sé e quindi incomincia a insegnare. La moltitudine li circonda. Nel disporsi così, Cristo disegna uno schema molto particolare costituito dal punto che egli occupa in cima alla montagna su cui si trova, dal quadrato creato dai quattro discepoli e dal cerchio formato dalla folla. Un punto, un quadrato e un cerchio: è un mandala. 196 E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano. 197 Se consideriamo il punto centrale come l'asse del mondo, il quadrato e il cerchio vi girano attorno. Il cerchio simboleggia il movimento eterno ed è giustamente costituito dalla folla che ascolta Cristo, cioè dalla vita. Il quadrato simboleggia l'immobilità dell'eternità ed è incarnato dai quattro discepoli con il Cristo al centro. Questo discorso ha un'altra particolarità: Cristo lo costruisce ripetendo la parola «beati» prima di ogni frase. La parola viene ripetuta nove volte. Chi studia i Tarocchi si sorprenderà nel ricordare che ci sono nove piccole righe sulla schiena del personaggio che nasce nell'Arcano XX, Il Giudizio, e che un cerchio dell'Asso di Coppe contiene nove punti: un scala di nove gradini è appoggiata al suo petto e il nono gradino è all'altezza del suo cuore. Ciò significa che bisogna salire nove gradini e raggiungere il cuore per arrivare a Cristo. Sappiamo bene che in numerologia il nove costituisce l'approdo di un ciclo perfetto, mentre il dieci corrisponde al primo gradino del nuovo ciclo. Cristo ci trasmette un ciclo che va da uno a nove e che è una scala progressiva. Dobbiamo riassestare questa scala (il Discorso della Montagna), poiché è stata spesso oggetto di confusione. In genere viene interpretata nel seguente modo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Questa frase è stata letta come: «Cristo ama soltanto i poveri, quelli che non hanno denaro. Perciò, amici miei, siate poveri! Vivete in miseria, non lottate e lasciate ai peccatori le ricchezze insensate, lasciatevi sfruttare!». Beati gli afflitti, perché saranno consolati. enneagramma. L'enneagramma è un antico simbolo il cui profondo significato ha costituito l'eredità di comunità spirituali occultate per duemila anni circa. Nel corso della sua ricerca, Gurdjieff individuò l'enneagramma come metodo per trasmettere degli insegnamenti tradizionali. Secondo il matematico John G. Bennett, questo simbolo, che prende il nome dal suo disegno fatto di nove linee, rappresenta tutti i processi che si perpetuano autorinnovandosi, come la vita stessa. In certe regioni asiatiche l'enneagramma è impiegato come strumento di divinazione. Certi matematici utilizzano i principi che contiene per valutare la capacità di qualsiasi organizzazione di conservare la propria esistenza (trasformare l'energia) ed evolvere. Secondo questi esperti, l'enneagramma riflette una modalità di pensiero trinaria, con una differenza abissale rispetto alla nostra mentalità binaria. Nella po rt a centrale de ll a cattedrale di Notre-Dame di Parigi! una donna giace ai piedi di Cristo, inscritta in un cerchio; una 198 La lettura usuale è: «Lasciatevi schiacciare, siate masochisti, non concedetevi mai il piacere!». Beati i miti, perché erediteranno la terra. Che diventa: «Non discutete mai un ordine, obbedite ai potenti!». Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Argomento trasformato in: «Vivete nell'ingiustizia! Accettatela e avrete il paradiso!». Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Per molti, ciò significa: «Vivete in mezzo ai malvagi! Accettate la crudeltà dei potenti! Non ribellatevi e guadagnerete il cielo!». 199 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Cioè: «Siate idioti! Lasciatevi imbrogliare!». Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Lettura usuale: «Lasciate che gli altri facciano la guerra, distruggano le vostre famiglie e brucino tutto! Lasciatevi bombardare! Beati i perseguitati per causa de ll a giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Si legge: «Sopportate l'ingiustizia dei potenti, dei giudici corrotti e dei poliziotti avidi! Sopportate tutto, perché è opera dello Stato!». Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Cioè: «Lasciatevi oltraggiare senza reagire! Siete spazzatura! È normale che la polizia abbia il potere di schiacciarvi!». Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Cristo sapeva che le sue parole sarebbero state interpretate in questo modo. Disse fra sé: «Devo in ogni caso trasmettere questo discorso, affinché un giorno qualcuno comprenda questa scala con nove gradini che arriva al massimo della perfezione tramite le cose più semplici. Sono i nove gradini dell'evoluzione dello spirito umano». In questa carta, in alto a sinistra c'è un angelo che corrisponde alle Coppe (la sfera emotiva). In basso a sinistra c'è un bue, un cavallo, un toro o un unicorno che equivale ai Denari (la sfera corporea). In alto a destra un'aquila corrisponde alle Spade (l'intelletto). In basso a destra il leone equivale ai Bastoni (la sessualità). Il personaggio centrale simboleggia la quinta essenza. Per comprendere l'atteggiamento di Cristo nel Discorso della Montagna, è necessario capire che cos'è la quinta essenza. Esaminiamo prima un'altra carta: il Sette di Denari. È costituito da tre Denari centrali (molto ben delimitati dalle foglie), incorniciati da altri quattro. È impo rt ante vedere che il tre sta dentro il quattro: simboleggia lo spirito nella materia. LA QUINTA ESSENZA Esiste una stretta corrispondenza fra i Tarocchi e il Vangelo. In cima a ll a montagna, insieme ai suoi quattro discepoli, il Cristo è in una posizione che corrisponde esattamente all'Arcano XXI, Il Mondo. Ciascuno di noi, dunque, è costituito da quattro centri: intellettuale, emotivo, corporale e sessuale. Bisogna comprendere che ognuno di questi centri possiede un linguaggio suo proprio. Nei primi anni del suo insegnamento, Gurdjieff parlò di tre centri: intellettuale, emotivo e corporale. Più tardi ne aggiunse un altro: quello sessuale. 200 201 LE BEATITUDINI E I TAROCCHI Nel sufismo, che pure è una filosofia islamica molto evoluta, si parla solo di tre centri, omettendo il sesso. In genere nessuna dottrina, salvo il tantrismo, parla del sesso. Abbiamo dovuto aspettare che il tantrismo arrivasse in Occidente, negli anni Sessanta del secolo scorso, perché si cominciasse a menzionare il sesso. Utilizzare l'energia sessuale nel misticismo è uno dei principi di base del tantrismo. Nella nostra cultura questo principio è relativamente nuovo e in genere non è ben accettato, poiché il sesso nella religione ha sempre costituito un tabù. A ogni modo, ciascun centro possiede un linguaggio e una velocità differenti. Quando impariamo a guidare un'automobile, cominciamo integrando i movimenti con l'intelletto e guidiamo molto lentamente, perché l'intelletto è lento. D'altra parte, guidare con l'intelletto è pericoloso, perché così il pensiero precede qualsiasi azione: prima di premere l'acceleratore o di fare qualunque cosa, bisogna pensare. Quando acquisiamo un po' più di pratica passiamo al centro emotivo e diventiamo un po' più veloci. Poi passiamo per il centro sessuale e finalmente per quello corporale. I nostri movimenti allora diventano molto più rapidi ed efficaci. L'atto di guidare si compie praticamente da solo. Analogamente, possiamo guidare la nostra vita secondo differenti linguaggi e velocità. Per fare in modo tale che due centri comunichino tra loro, per esempio il linguaggio articolato dell'intelletto con il linguaggio gestuale del corpo, è necessario un elemento di mediazione: la quinta essenza. I samurai sono perfettamente centrati nei loro corpi, dominano alla perfezione il linguaggio corporale; un colpo di spada dev'essere di una rapidità sorprendente e non ha nulla a che vedere col pensiero. Se il desiderio passa per l'intelletto, cioè per un universo di parole, attraversa un centro che non gli corrisponde e, di conseguenza, il sesso non può funzionare come dovrebbe. Essere un grande amante sul piano intellettuale non significa, dunque, essere un grande amante sul piano sessuale o emotivo. Affinché la nostra vita funzioni e tutti i nostri centri siano efficienti, è necessario che non prendano direzioni opposte. Se ognuno se ne va per conto suo, siamo come quei condannati medievali che venivano squartati legando ognuna delle loro estremità a quattro cavalli diversi, che erano lanciati al galoppo ciascuno verso un punto cardinale. Veniamo squartati e non sappiamo che fare perché la nostra mente ci dice una cosa, il nostro sesso ne dice un'altra, le nostre emozioni una terza e il nostro corpo una qua rta. È necessaria dunque un'integrazione per vivere senza che il nostro centro emotivo ci impedisca di pensare, senza che il sesso si opponga alle nostre realizzazioni intellettuali, emotive o corporali, e senza che il nostro corpo lotti contro la realizzazione dei nostri ideali e ci trascini nella malattia. Per questo bisogna risvegliare una quinta essenza. Tutta questa teoria proviene direttamente dall'inizio dell'umanità. La quinta essenza è un centro spirituale che si desta, la coscienza che possediamo dei quattro principi e che traduce il linguaggio di ognuno di noi. È un centro traduttore. Se non abbiamo risvegliato la quinta essenza, il nostro essere è frammentato. Come fare allora per ridestarla? Il centro sessuale non ha lo stesso linguaggio né la stessa velocità dell'intelletto. Il linguaggio del desiderio non si esprime a parole. È per questa ragione che il poeta che esprime il suo amore in lunghe poesie è generalmente un impotente quando arriva il momento della verità. Cominciamo dall'intelletto! Il lavoro da praticare su di esso è molto facile e, al tempo stesso, dura la vita intera. Non bisogna fare altro che una cosa: smettere di identificarci con le nostre parole, smettere di credere che siamo quello che pensiamo o le parole che diciamo. Quando smetto di identificarmi col pensiero, non sono più italiano, spagnolo, francese o messicano. Perdo il concetto di nazionalità, che dipende dalla lingua. Abbandono il dialogo interiore con me stesso. In genere, mentre agisco mi vedo agire. È estremamente 202 203 1 difficile agire senza vedersi agire, ed è ugualmente arduo non definirsi. Solo un uomo come Bodhidharma ci riuscì. Quando l'imperatore della Cina gli domandò: «Chi sei?», Bodhidharma rispose: «Non lo so». Ci vediamo agire e, inoltre, sentiamo di portare una maschera. Ogni volta che tentiamo di trovarci, non ci riusciamo. E la cosa peggiore è che sotto la prima maschera ce ne sono molte altre. Qual è la soluzione di questo problema? Se riprendiamo la terminologia di Gurdjieff, abbiamo l'intelletto, il centro emotivo e quello corporale. Quando vogliamo vedere chi siamo, ci immergiamo nel centro emotivo e, di lì, vediamo l'intelletto e il corpo. Quando ci situiamo in quello corporale, vediamo l'intelletto e le emozioni. E quando ci immergiamo nell'intelletto, vediamo gli altri due centri. Questo vuol dire che per poterci sentire al nostro livello bisogna cambiare di livello, così non ci sono maschere. Tentare di definirsi è un problema che appartiene solo all'intelletto. Gli altri centri non hanno alcun interesse a definire alcunché. Il lavoro sull'intelletto consiste, dunque, nel fermare i pensieri inutili, la definizione di se stessi e il dialogo interiore. Il lavoro da compiere sul cuore è lo stesso, ma il risultato è molto diverso. Per imparare il linguaggio del cuore, è necessario fermare le emozioni. Nell'intelletto, quando smettiamo di pensare, la testa si svuota. Quando l'intelletto pensa, vuole essere, e quando smette impara a non essere. Nel centro emotivo avviene il contrario: quando il cuore si riempie, proviamo il piacere totale. Ci liberiamo dell'enorme peso del vuoto dovuto al fatto di non amare. La mente deve svuotarsi e il centro emotivo si deve riempire. L'intelletto è se stesso quando si svuota (di pensieri). Il cuore è se stesso quando si riempie (d'amore). Nel sesso dobbiamo fermare il desiderio. Quando un uomo ama le donne, ogni donna che gli piace gli provoca un'angoscia, perché non può averla. Ugualmente, quando una donna ama 204 gli uomini, ogni uomo che le piace rappresenta un'angoscia. Non potremo mai avere tutte le persone da cui ci sentiamo attratti. Quando il desiderio non è soddisfatto si trasforma in angoscia perché non abbiamo la capacità né l'opportunità di soddisfarlo. Quando calmiamo questo centro, però, l'energia sessuale diventa energia creativa. , Sul piano del corpo, il lavoro consiste nel fermare l'azione. Il corpo vuole sempre essere presente. Si muove in continuazione. Sono poche le persone capaci di stare ferme. In genere, siamo pieni di tic gestuali. È necessario imparare a stare fermi tramite la meditazione. Quando purifichiamo questi quattro centri, appare la quinta essenza. Una cosa è pura quando è se stessa. I centri purificati diventano canali recettori della divinità. Desiderio di Dio, pensiero di Dio, amore di Dio e azione di Dio. Qui la quinta essenza può parlare e quando si esprime entra in comunicazione con l'inconcepibile mondo dell'inconscio, quest'oceano infinito. In quel momento troviamo il nostro cosmo. Ci rendiamo conto di essere un Universo il cui centro è la quinta essenza. Siamo microuniversi completi, con angeli, diavoli e un'immensa estensione di galassie. In quest'immensità ci ritroviamo con noi stessi, cioè col nostro diamante, la nostra innominabile perfezione. Al centro della nostra perfezione si trova quello che abbiamo chiamato il Cristo interiore. Possiamo chiamarlo Brahma o in qualsiasi altro modo. Questa perfezione è evidentemente il Regno, il cielo in cui si trova il Cristo, che non è noi e tuttavia è il motore della nostra vita. Quando parliamo di questo Cristo, parliamo ovviamente anche della Vergine Maria. Sono entrambi in noi e formano il nostro androgino perfetto. Ecco dunque quello che ci portiamo dentro e a cui dobbiamo arrivare. Il Cristo che ci riceve è il nostro mistero. Non vi sono altri misteri. La nostra unica finalità è destare il Dio interiore che possediamo affinché si manifesti attraverso di noi. 205 206 Quadrato Umano . della Terra Se contempliamo la serie de lle Spade dei Tarocchi (dobbiamo utilizzarla per parlare di tutti gli Arcani minori), abbiamo dieci carte. La prima è l'Asso: l'uno corrisponde evidentemente a lla totalità, è il maschio e la femmina, l'androgino. Tutto risiede in lui, ma solo in potenza. Subito dopo viene una prima coppia, formata dal due e dal tre. Poi ce n'è un'altra (che metto sopra la prima, come nello schema riprodotto nella pagina successiva), formata dal quattro e dal cinque. Studiando la nurerologia dei Tarocchi, vediamo che queste prime cinque carte formano il Quadrato della Terra, con il suo lato femminile a sinistra (il due e il quattro) e quello maschile a destra (il tre e il cinque). Questi lati sono evidenti nella serie delle Spade perché su tutte le ca rte a destra figurano delle spade e a sinistra dei fiori. Il numero due rappresenta l'inerzia e la ricettività; è tutto pronto ma non si fa niente: accumulazione. Il tre equivale all'azione violenta, per smuovere il due dalla sua inerzia: esplosione. È il primo amore, la prima idea folle, il primo piacere, la prima scoperta... Sottolineiamo che le sensazioni che proviamo per la prima volta non saranno mai identiche a quelle della seconda, perché la prima volta tutto sembra molto forte. Nel tre, dunque, tutto risulta molto intenso. Ma non dura. È necessario fissare questa prima esperienza nel quattro. Il quattro infatti è il numero della stabilità. È il numero della materia: le quattro gambe di un tavolo. Sicurezza. Nel Quadrato della Terra, il quattro è il numero perfetto. È L'Imperatore stabile. Quando passiamo al cinque non possiamo rimanere nel Quadrato della Terra. Si tratta di un numero dispari, e i numeri dispari esprimono azione. Il cinque è Il Papa, il ponte verso un altro quadrato che chiameremo il Quadrato del Cielo. Un ponte con la vita spirituale: l'ideale. Il cinque chiama il sei, che è il piacere. Per la prima volta si abbandona la vita materiale e si conosce la vita spirituale: Quadrato delCielo NUMEROLOGIA DEI TAROCCHI l'unione. Proviamo un tale piacere che corriamo il rischio di restare bloccati su questo numero. Il sei nel Quadrato del Cielo corrisponde al numero due nel Quadrato della Terra, perché una volta che cominciamo a realizzarci rimaniamo nella nostra realizzazione individuale, senza pensare ad altro: siamo nel narcisismo. Di qui passiamo al sette, il numero dell'azione verso l'umanità. Nel sette diciamo: «Mi sono stufato di stare con me stesso, di tenere tutto questo piacere unicamente per me! Ho fatto una scoperta interessante, ma se non la dò agli altri, a cosa servirà la mia realizzazione spirituale?». Quando ci diamo al mondo, nel sette, possiamo raggiungere l'otto, che è la perfezione, l'Arcano La Giustizia. Nell'otto abbiamo realizzato la nostra opera: non possiamo andare oltre. Cosa succede quando non possiamo più avanzare? Ci rinchiudiamo in un cerchio. La perfezione diventa un circolo vizioso. Non rimane, dunque, che morire o cambiare. Il nove è una crisi tra la vita e la mo rt e: qualcosa di nuovo che viene a spezzare la perfezione per passare al nuovo ciclo che comincia col dieci. Il nove è crisi. Dieci: fine di un ciclo e inizio di un altro, ma su un piano differente: evoluzione. LE BEATITUDINI (Matteo 5,3-12) Tramite le beatitudini il Cristo ci dà una scala progressiva. Ciò implica che esse non sono indipendenti una dall'altra. Le nove beatitudini indicano un perfezionamento che va dal più piccolo, cioè da ll a cosa più semplice e limitata, fino all'esplosione e alla realizzazione totale, passando dal piano materiale a quello spirituale. Abbiamo detto che l'uno è il numero della totalità. A cosa corrisponde nel Discorso della Montagna? Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 208 Abbiamo visto che essere poveri in spirito non significa essere materialmente poveri. I potenti hanno sfruttato questa beatitudine per indurre la maggioranza a sopportare la miseria. Tuttavia, sta scritto: «Beati i poveri in spirito» e non «beati i poveri». È la prima frase e indica che il lavoro comincia dallo spirito, poiché questo ha un'enorme importanza. I problemi fondamentali dell'umanità sono quelli emotivi. Le persone che non hanno sviluppato la sfera intellettuale e sessuale sono emotivamente bloccate. Il cuore, allora, è la prima cosa da liberare; è popolato da numerosi desideri: potere, successo, importanza. È colmo di angosce, gelosie, richieste, rancori, orgoglio... Avere un cuore malato consiste nell'essere pieni di cose che non siamo noi, e la nostra più grande sofferenza deriva proprio dal fatto che non siamo noi stessi. Fin da piccoli ci viene impedito di esserlo: la famiglia ci dà un destino che non ci corrisponde. Beati i poveri in spirito... Essere poveri in spirito vuol dire allora che il nostro cuore non è popolato da tutti questi desideri. Siamo poveri e ci accettiamo come siamo, accettiamo semplicemente quello che ci accade. Il cuore non ha alcun dovere: batte. Ama quando ama; quando non ama, non ama. Non possiamo obbligarlo a battere più veloce o più lento del suo ritmo. È un canale privo di ostruzioni, dove tutto passa: riceviamo l'amore di Dio. ... perché di essi è il regno dei cieli. Quando lo spirito è povero, quando è quello che è, è una meraviglia. In realtà, Cristo ha descritto un cuore pieno di gioia. L'essere umano realizzato non anela a essere più di quello che è: è già un'enormità essere se stessi. Per quanto concerne il due, che è il numero della gioventù e dell'accumulazione, troviamo la seguente frase: Beati i miti, perché erediteranno la terra. 209 Nel numero uno, che rappresenta la totalità, Cristo dice: «di essi è il regno dei cieli». Tuttavia, la serie comincia dal due, e qui Cristo dice «erediteranno la terra». È molto chiaro: all'inizio del Quadrato della Terra non parla del cielo, bensì della terra. Cosa significa «essere due»? Siamo due quando ci rendiamo conto dell'immensità dell'opera divina. «Essere come l'acqua che prende la forma del recipiente che la contiene» disse Lao-tzu. L'acqua è mansueta, soave, flessibile: si adatta. È per questa ragione che, diversamente da coloro che sono turbolenti, duri, inamovibili, i «due» erediteranno la terra. Essere «due» significa non essere frammentati, non avere un linguaggio categorico e irresoluto. Vuol dire essere flessibili interiormente, avere un materiale interno che sia stato lavorato ed entri in comunicazione con noi stessi. Una persona mite e tale sul piano intellettuale, emotivo, istintivo e corporale: non si oppone e non ama imporsi. Ha un corpo infinito: eredita la terra, con la quale forma un'unità. Una persona mite sa ascoltare gli altri. Valutiamo le voci dei nostri interlocutori: vedremo che una persona mite ci ascolta e si adatta alla nostra voce. Al contrario, una persona dura ci fa disperare, perché siamo obbligati a parlare al suo ritmo: colpisce il nostro sistema nervoso perché non si connette a ll a nostra voce. Non ci ascolta: ascolta se stessa. Chi parla senza sosta ha paura che l'altro intervenga: si trova all'interno di un discorso narcisista e ascolta solo se stesso. Non ha bisogno di stare in silenzio o di fare qualche pausa in modo che l'altro possa parlare a sua volta. È un egoista che non ha alcuna considerazione per l'altro. Ereditare la terra vuol dire ricevere in eredità la realtà. Quando siamo duri trasformiamo la realtà, e in questo modo non la possediamo per quel che è. Proiettiamo su di essa e la riduciamo a quello che crediamo di essere. Ciò significa che, se concepiamo un'immagine molto precisa e fissa del mondo, eliminiamo tutto quello che non corrisponde alla nostra immagine. 210 Nel tre, che è il numero. dell'azione, Cristo dice: Beati gli afflitti, perché saranno consolati. In questa frase delle beatitudini non si allude a un'afflizione provocata da sofferenze. L:afflizione di cui parla Cristo è di un altro tipo: «Piango perché non sopporto il fatto di non conoscermi. Piango perché non sopporto la freddezza del mio intelletto. Piango perché non sopporto le disperazioni che ho nel cuore: provengono dai miei genitori, dalla mia famiglia e dalla società; mi sono state inculcate nell'infanzia. Piango perché sono prigioniero dei miei desideri e non lavoro col mio corpo, questo corpo bloccato che non mi lascia vivere. Piango per la mia liberazione. Sono stufo!». Essere afflitti conduce a una presa di coscienza, e coloro che la trovano saranno consolati. Per arrivare a prendere coscienza, è necessario essere afflitti. Nell'«uno» bisogna avere lo spirito vuoto, prepararsi al lavoro e denudarsi. Nel «due» bisogna essere miti, adattarsi e predisporsi a capire. Nel «tre» bisogna prendere coscienza. Se viviamo in una casa sporca e non abbiamo coscienza, ci impregniamo dell'odore. Quando accendiamo la luce, scopriamo la sporcizia e il marciume che popola la nostra casa e vediamo quel che dobbiamo pulire. Occorre pulirla, naturalmente, ma scoprirlo ci fa piangere. Nel momento in cui prendiamo coscienza, ci viene voglia di vomitare per tutti gli errori che abbiamo commesso. Diciamo a noi stessi: «Sono l'unico responsabile. Mi sono insediato in questa sofferenza perché mi è familiare. Da bambino, sono stato abbandonato. Oggi, da adulto, con le persone che mi amano creo situazioni che le spingono ad abbandonarmi». In effetti, è così. Creiamo costantemente situazioni identiche a quelle che corrispondono a ll e nostre sofferenze infantili. Finché non prendiamo coscienza non avanzeremo, ma per farlo bisogna essere capaci di piangere. Piangere, ma non piagnucolare impietositi da noi stessi! Non si tratta di questo. Il Cristo parla in nome della quinta 211 essenza. A questo livello non si fanno concessioni: si parla di cose forti, perché se vogliamo giungere al Cristo dobbiamo scalare la montagna. Ho già raccontato la storia di Farid al-Din Attar nella qua- . le un sufi piange; quando i suoi compagni gli domandano il motivo, egli risponde: «Perché ho tanto bisogno di Dio, però Dio non ha alcun bisogno di me!». Abbiamo tanto bisogno della coscienza suprema... Abbiamo tanto bisogno di una verità, di una conoscenza, di una saggezza, di un Universo divino... Abbiamo tanto bisogno che il Cristo sia come crediamo che sia... Abbiamo tanto bisogno dell'eternità, dell'infinito, della realizzazione, del trionfo dell'individuo e dell'umanità... Abbiamo tanto bisogno che i bambini crescano protetti... Abbiamo tanto bisogno di tutto ciò che piangiamo. Siamo così piccoli, minuscoli, infimi, deboli, così «niente di niente». Siamo meno di un granello di polvere smarrito nell'Universo, una minuscola rana che salta in un lago immenso e millenario. La nostra mano non è che una delle migliaia e migliaia di mani. Il nostro sesso non è che uno fra le migliaia e migliaia di sessi. Il mio bambino, il mio cuore e la mia testa non sono altro che un bambino, un cuore e una testa fra migliaia e migliaia di bambini, di cuori e di teste. Abbiamo tanto bisogno di significare qualcosa, di essere qualcosa. Chi siamo? Risposta: «Beati quelli che si rendono conto. Beati quelli che piangono. Beati quelli che prendono coscienza della loro piccolezza: perché saranno consolati». La persona che prende coscienza del fatto di non avere alcun significato, scopre il suo significato. Dice fra sé: «Ho tanto bisogno di Dio, ma Dio non ha alcun bisogno di me... Davvero non ha bisogno di me? Io sono qui! Se mi trovo in questo Universo, è perché Egli ha bisogno di me e io sono essenziale! Altrimenti non sarei qui, l'Universo non mi avrebbe prodotto. Nel momento in cui smetto di essere essenziale, sarò cancellato, distrutto. Sono, dunque, un granello di polvere indispensabile per l'equilibrio universale. Perciò mi trovo qui.» Non conosco la mia finalità ma ne ho una, non posso concepire la divinità ma posso utilizzarla senza darle un nome, e la divinità è in me. Non so a cosa servo, ma sicuramente servo a qualcosa. Ero qualcosa prima di nascere, e sarò qualcosa anche dopo la mia mo rte. Veniamo consolati perché, piangendo e arrivando al culmine della nostra piccolezza, ci rendiamo conto che siamo completamente e assolutamente significativi. 212 213 E veniamo al quattro. Abbiamo detto che questo numero corrisponde alla materia. Quando ci arriviamo, siamo ben installati nella realtà. Ora, la qua rta beatitudine dice: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Ciò significa che per crescere spiritualmente bisogna capire le ingiustizie di cui soffre il mondo. Quando siamo testimoni di un atto ingiusto dobbiamo gridare a pieni polmoni. Se non possiamo gridare, dobbiamo dirlo e scriverlo. Se non possiamo scriverlo, dobbiamo sussurrarlo agli altri e, quando non possiamo sussurrarlo, dobbiamo comunque dirlo a noi stessi. È importante risvegliare in noi il senso della giustizia. Bisogna prendere coscienza della realtà interiormente. Se diventiamo coscienti, saremo sazi. «Avere fame e sete di giustizia» significa essere ben installati nella realtà. Col numero cinque abbandoniamo la materialità: come abbiamo detto, il cinque è un ponte. Finora abbiamo parlato soltanto di noi: essere miti è una qualità personale, essere afflitti è un atteggiamento personale e avere fame e sete di giustizia è un'azione che non coinvolge nessuno all'infuori di noi. Nel cinque non possiamo più essere individuali né rimanere nella sfera materiale: bisogna passare al mondo spirituale. Qual è la beatitudine che corrisponde a questo numero? Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Che cos'è la misericordia? È perdonare l'altro, ed è molto importante perché, quando perdoniamo l'altro, ci perdoniamo; Finché non avremo perdonato i nostri genitori, non perdoneremo noi stessi. Se non perdoniamo i nostri nemici e il nostro passato, non ci perdoneremo. Per raggiungere la realizzazione bisogna perdonare tutti coloro che ci hanno ferito. Cosa significa perdonare? Comprendere l'altro, mettersi al suo posto. Non possiamo avere misericordia se non abbiamo fatto questo percorso, costituito da varie tappe: 1) possedere un cuore così com'è, ossia vuoto, mondato dai rifiuti psichici; 2) essere miti: ascoltare e adattarsi; 3) rendersi conto della nostra piccolezza e trasformarsi in un canale: se piango vengo consolato; se vengo consolato ho fede; e se ho fede posso trasmetterla agli altri. 4) perdonare l'altro e mettersi al suo posto. Quando vogliamo perdonare qualcuno dobbiamo dirci: «Se mi mettessi nei panni di questa persona, cosa proverei?». Se lo facciamo, vedremo quanto ha sofferto la persona che ci aveva fatto soffrire. Mettiamoci nei panni di nostra madre, che ci ha fatto soffrire tanto: se lo ha fatto è perché non poteva fare diversamente. Quando facciamo soffrire gli altri, è perché proviamo un dolore incommensurabile dentro di noi. Mettiamoci dunque al posto dell'altro e siamo misericordiosi: ci sarà concessa misericordia. Se non perdoniamo l'altro, non saremo mai perdonati. E da chi, poi? Da noi stessi, anzitutto, dal nostro inconscio. Essere misericordiosi nei confronti degli altri significa anche andare verso di loro, smettere di giudicare, di criticare, di parlare male degli altri, di aggredire. Ci sono molte persone che hanno lingue simili a coltelli: per costoro — e sono una marea — , la critica è regina, senza di essa non riescono a valorizzarsi. Ebbene, la misericordia consiste proprio nell'accettare il valore dell'altro. Non è questione di pietà: aver pietà di qualcuno che si trova a 214 ^ ., un livello più basso del nostro non vuol dire essere misericordiosi, solo un altro modo per sentirsi superiori. Siamo misericordiosi è quando non critichiamo quelli che hanno qualcosa che noi non abbiamo: perdoniamo quello che sono e che noi non siamo. Se ho un handicap a una gamba devo essere misericordioso per riuscire a non odiare tutte le persone che possono ballare. Se mi sento brutto devo essere misericordioso per amare la bellezza dell'altro senza soffrire. Se sono un artista devo essere misericordioso per accettare che esistono altri talenti, altri artisti. Se pratico una professione — sono medico, psicoanalista, avvocato o quel che sia — devo essere misericordioso per ammettere che vi siano altri medici, psicoanalisti e avvocati che ne sanno più di me in certi campi della mia professione. Essere misericordiosi significa anche esserlo nei confronti di noi stessi; vuol dire smettere di aggredirci e biasimarci. A cosa mi serve essere misericordioso con gli altri se non lo sono con me stesso? Coloro che sono misericordiosi si avvicinano già al Quadrato del Cielo, perché stanno accettando la società. Senza misericordia e senza perdonare l'altro non possiamo accettare l'umanità e tanto meno vedere la perfezione del prossimo. Col numero sei entriamo nella vita spirituale, nel Quadrato del Cielo. Prima eravamo nel Quadrato della Terra, che finisce con la misericordia assoluta: perdoniamo tutto il male che ci hanno fatto e ci mettiamo al posto dell'altro, perdoniamo anche quelli che possiedono qualità che noi non possediamo. Perdoniamo tutto ciò che esiste. Abbiamo misericordia. Comprendiamo. Solo quando avremo perdonato tutto il male che ci hanno fatto potremo perdonare tutti gli esseri umani senza distinzione alcuna, compresi gli assassini. Solo allora meriteremo il perdono e la misericordia. La più piccola critica che proferiamo sporca la nostra perfezione, il più piccolo atto privo di misericordia inizia a distruggerci. Se non critichiamo l'altro, non lo giudichiamo, non lo sminuiamo, non lo feriamo... che liberazione immensa! Quando cominciamo a comprendere gli altri senza preoccu215 parci di venire compresi, solo allora cominciamo finalmente a essere compresi. È così che accade, dato che quello che facciamo al mondo lo facciamo a noi stessi. Quando passiamo il tempo ad aggredire e criticare, siamo aggrediti e criticati a nostra volta. Una persona che viene a parlarci male di un'altra non è nostra amica perché parla male anche di noi, come di tutti. Una persona che viene a raccontarci che un'altra ha parlato male di noi, andrà anche a raccontare a quest'altra quel che diciamo di lei; il suo obiettivo è carpirci delle parole prive di misericordia: ci spinge ad aggredire l'altro per poterglielo raccontare. C'è anche un buon numero di persone che vivono dell'aggressione: non hanno imparato a essere allegri e a dare piacere, perciò devono aggredire. È evidente che quando non diamo piacere e non ci permettiamo di provarlo, esercitiamo un'aggressione, perché non accettiamo il piacere dell'altro: non siamo misericordiosi. E proprio mentre entriamo nel Quadrato del Cielo troviamo scritto: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Penetriamo in un altro ciclo e saliamo di livello. Qui si diventa profeti e ci si trasforma in uno dei quattro discepoli. Siamo uno dei quattro punti cardinali. In questa nuova tappa, cominciamo a entrare in estasi. Il cuore è impuro. Da dove proviene questa impurità? Ovviamente dall'intelletto, dal sesso e dal corpo. Per esempio, sul piano del corpo: «Sono una donna. In realtà mi sarebbe piaciuto essere un uomo». Oppure: «Sono un uomo. Avrei preferito essere una donna per essere amata da mia madre che non sopporta gli uomini». Oppure: «Chi sono? Non ho mai conosciuto i miei genitori. Non ho un posto nel mondo». Oppure: «Perché i miei capelli cominciano a incanutire? Nessuno mi vorrà!». Eccetera. L'impurità proviene da altri centri. Il cuore in sé non è impuro. È come un bambino. Sono tutte le ferite che gli abbiamo inferto a renderlo impuro. 216 Come purificare il cuore? Utilizzando la forza per controllare il nostro drago. Non lo uccidiamo né lo respingiamo: usiamo la forza della persuasione. È l'intelletto che accetta la forza e scende a persuadere l'animale accarezzandolo. Accarezziamo il nostro io, il nostro animale. Entriamo in contatto e danziamo insieme a lui. «Oggi sento che i desideri disturbano i miei ormoni, che mi salgono agli occhi, cambiano i colori e rendono più intensi.» Invece di respingere questa situazione, dico a me stesso: «Bene, gli ormoni m'invadono la vista! Ho il piacere di contemplare questo quadro, di vedere la realtà un po' più colorata del solito! Che meraviglia! Viviamoci questo momento! Ciò non sporca il cuore. Non sono colpevole. Succede così. Oggi il mondo è pieno di colori e domani sarà grigio. Ci sono le nuvole, la pioggia, la tempesta. Viviamo quello che ci capita, quello che succede!». Quando comprendiamo il nostro animale, lo riconosciamo e accettiamo l'energia che ci dà. Il cuore allora comincia a purificarsi. Lasciamolo battere! Quando il cuore è pulito, dentro vi appare Dio. È lì , nel nostro stesso centro. È la perla e noi siamo l'astuccio. È evidente che non la vediamo, ma la percepiamo a ogni battito del cuore. I cuori puri vedranno Dio. Si renderanno cioè conto che Dio è tutto. È questo il processo. Vedere Dio non consiste nel vedere un essere speciale. È impossibile. Tutto è Dio! Vederlo in tutto vuol dire che quando parliamo la nostra voce è Dio, i nostri pensieri sono Dio, i nostri sentimenti sono Dio, i nostri desideri sono Dio, la persona a cui parliamo è Dio, la mela che mangiamo è Dio, tre metri di seta sono Dio, l'automobile, il formaggio, il caffè macchiato, il vino, il pane... Tutto è Dio. La sua fi rma è assolutamente dappertutto. Col cuore puro viviamo in pieno paradiso. La quotidianità è un piacere costante. Quando si arriva al numero sette, bisogna uscire da quello stato d'animo che sconfina nel narcisismo. In effetti, se vediamo Dio dappertutto raggiungiamo uno stato di benessere a cui 217 corriamo il rischio di aggrapparci. Dato che tutto è Dio, n oi' facciamo più niente. Questa tappa costituisce un pericolo perch1 ci realizziamo, ma questa realizzazione è ancora personale. La settima beatitudine parla dell'azione nel mondo. Non possiamo rimanere indefinitamente nel piacere e nella realizzazione personali. A cosa ci serve aver visto Dio se non Io comunichiamo? Se tutto è Dio, se l'altro e noi stessi siamo Dio dobbiamo condividerlo. A questo punto, il Cristo esclama: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Cominciamo a fare opera di pace a partire dal momento in cui vediamo Dio dappertutto. Ciò significa che, una volta conosciuta la verità, è necessaria l'azione, l'opera. Bisogna impegnarsi ad agire. Senza azione, la verità non serve a niente. A questo stadio, il lavoro consiste nel mostrare agli esseri umani la perfezione che li abita. Dobbiamo far sì che la vedano affinché non dimentichino e ricordino. Bisogna aiutarli a purificare il loro cuore, dare loro i mezzi e dir loro: «Ascolta! Posso aiutarti a scoprire la tua verità. Posso insegnarti a imparare da te stesso». Fare opera di pace è mostrare all'altro come trovare la sud pace. Quando abbiamo il cuore puro e vediamo Dio, sappiamo che anche la mo rt e è Dio e allora troviamo la pace. Se capisco questo, il mio problema è risolto, perché so che, nell'ultimo istante, entrerò in Dio. Egli mi riceverà: sarò accompagnato e sarò accolto, riconosciuto, amato e ascoltato. So di essere nell'amore, nella protezione e nella coscienza totale di Dio. Egli mi aiuta ogni giorno, mi sostiene. Non mi preoccupo più di realizzarmi: è Lui a inviarmi la realizzazione. Se mi ha creato è perché sono utile, e mi utilizza perché sono al suo servizio. Il giorno in cui Egli dovrà eliminarmi, non lo farà: mi richiamerà a sé perché Egli è me. Conosco questa forza che abita nel mio cuore e mi sostiene. Per me è un amico, un padre e una madre. Godo della sua compagnia per sempre, per l'eternità dell'eternità. Godo della 218 comprensione, dell'amore, della coscienza. Non esiste un solo millimetro di me che non sia nelle mani di Dio. So che Dio mi vede e, dato che Lui mi vede, non posso pensare qualsiasi cosa. Tutti i miei pensieri sono come offe rt e, e così tutte le mie parole. Tutti i miei sentimenti e i miei desideri sono belli e puri. Non posso vivere se non nella bellezza. Se non fosse così, sarei un tempio sudicio: sono fatto per Dio e, se è così, tutto in me si dona a Lui. Dato che ho visto Dio possiedo la pace, e se la posseggo insegno anche agli altri come ottenerla. Faccio opera di pace aiutandoli a fare la pace con se stessi, a trovare la loro pace interiore e non la mia. Nel numero otto, l'Arcano dei Tarocchi è La Giustizia, e la corrispondente beatitudine parla de ll a giustizia: Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Abbiamo segnalato che l'otto rappresenta la perfezione. Giustamente, quando attingiamo a questa perfezione, arriviamo alla promessa del numero uno (la totalità) che dice: «Beati i poveri di cuore, perché di loro è il regno dei cieli». È evidente che siamo perseguitati dalla giustizia perché, dal momento in cui cominciamo a fare opera di pace, subiamo la persecuzione delle persone che non hanno pace e non vogliono che regni, poiché non è conveniente per loro. Queste persone si approfittano dell'assenza di pace negli altri e basano tutti i loro affari su questa assenza. Questi affari possono svilupparsi perché mangiamo ciò che non abbiamo, compriamo ciò che non possediamo, obbediamo perché ci obbligano con la paura e perché non siamo sicuri di noi stessi. Obbediamo a un altro dio e non a Dio, a un altro potere e non a quello della nostra divinità interiore. Coloro che lottano contro la pace edificano il proprio regno, dunque, mediante il terrore, la congiura contro la realizzazione, l'ingiustizia, abusando della mancanza di sicurezza, della sporcizia interiore degli altri. Ecco perché siamo perseguitati per causa della giustizia. Ep219 pure siamo contenti, perché siamo coscienti di fare il bene. Nei momento in cui arriviamo alla sommità del nostro pensiero, sappiamo automaticamente che rischieremo tutto: la società tenterà di eliminarci. Perciò, una volta saliti questi otto gradini e fatta opera di pace, bisogna rischiare tutto per imporre al mondo l'idea che ci abita. Raggiungiamo la nostra perfezione e ci perseguitano: è il ladro che, dopo aver rubato all'uomo onesto, lo accusa pure. In questa beatitudine, il Cristo ci sta dicendo con decisione: «Non occupatevi di quello che dicono di voi! Non preoccupatevi delle critiche che vi muovono! Andate avanti! Non lasciatevi distruggere! Siate impeccabili e implacabili! Continuate, costi quel che costi! Non scendete a compromessi! Non accettate approssimazioni! Se volete una cosa, rifiutate i sostitutivi, i derivati simili! Che sia precisamente ciò che desiderate! Non fate concessioni!». Forse risponderemo: «Ma è necessario fare concessioni». È falso! Non dobbiamo farne. Osserviamo il gioco e immergiamoci dentro senza concessioni, essendo sempre «miti», dolci, flessibili! È strano essere miti senza fare concessioni. Sembra contraddittorio, antitetico. Eppure, consiste nel far filtrare il nostro messaggio senza distruggere le forme che ci incatenano. Un seme può distruggere un macigno se lo si lascia cadere in una piccola cavità. Non possiamo distruggere un sistema: bisogna entrare nel suo cuore e pulirlo, e poi mettere la nuova realtà dentro quel sistema. In ogni caso, ogni volta che siamo perseguitati e criticati perché abbiamo fatto del bene, siamo felici. Che bene o che male può farci l'ottenere o no un premio? Il Cristo non chiede mai di essere riconosciuto dagli altri, dalla Legge di Mosè! Segue la sua via fino a farsi crocifiggere. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. «Per causa mia», cioè a causa della purezza del nostro Dio interiore, a causa della vita che portiamo in noi, concentrata, pura e senza alcuna sporcizia. Dobbiamo essere felici quando ci insultano perché l'insulto non corrisponde assolutamente a ciò che siamo: lo sappiamo con certezza. Possono darci del cammello: non per questo avremo la gobba. Non si tratta affatto di masochismo. Non si tratta nemmeno di provocare mille e una situazioni per farsi insultare e perseguitare, dicendo fra sé: «È bello essere perseguitati». Essere felici quando ci insultano significa che l'insulto o la persecuzione non ci toccano. Sappiamo difenderci psicologicamente, possiamo resistere e continuare la nostra opera: in un modo o nell'altro, non ci ferma nessuno. Quando sparlano di noi, inoltre, siamo felici e questo ci conferma nel fatto che non dobbiamo deviare di un solo millimetro dalla nostra via spirituale. Conosciamo già il nostro Dio interiore. Doniamo la pace agli altri e insegniamo loro a trovare la propria. Siamo già degli apostoli. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Col nove arriviamo alla fi ne del ciclo. È un numero doloroso perché implica un cambiamento totale e assoluto. Nei Tarocchi è l'Arcano chiamato L'Eremita. L'eremita ha fatto il suo lavoro e ora deve solo rompere la propria perfezione per accedere '<< un nuovo stato. La nona beatitudine è: Se abbiamo scalato la montagna e siamo arrivati fi n lì, ci mancano il piacere e la gioia perché la nostra ricompensa è grande nei cieli. La ricompensa è il piacere e la gioia. È la pace, l'illuminazione, la grazia, la trance e l'estasi. È la danza planetaria. Danziamo con tutti i pianeti. Viviamo in mezzo all'Universo. La galassia è nella nostra testa e nei nostri piedi. Nel tempo e nello spazio siamo assolutamente coscienti del regalo che ci è stato fatto. Abbiamo ricevuto in dono il gioiello più grande che possa esistere, la coscienza cosmica, possediamo questo immenso regalo. Che meraviglia! Il sole è per noi. Le stelle e le galassie sono per noi. La vita è per noi e anche la divinità. Riceviamo tutti questi inconcepibili regali nel piacere e nella gioia. 220 221 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Quando il Cristo finisce il suo discorso, coloro che lo ascoltano e lo mettono in pratica diventano profeti perché, frase dopo frase, la divinità li guida a scalare questo sentiero de ll e beatitudini. IL SALE E LA LUCE (Matteo 5,13-16) Una volta che siamo diventati profeti e viviamo nel piacere e nella gioia, Cristo, vedendo il cammino che abbiamo percorso, ci descrive così: Voi siete il sale della terra... In altre parole: «Voi vi siete illuminati. La terra che non è illuminata, che non ha fatto vivere la divinità nel suo cuore, è una terra oscura. Si secca e non si conserva». Il sale conserva e dà sapore agli alimenti. Una terra senza sale, dunque, è corrotta. È grazie agli illuminati, a coloro che hanno seguito la via delle beatitudini, che l'umanità conserva un sapore. L'eternità esiste grazie a tutti coloro che l'hanno accettata nel proprio cuore. Dicendoci «Voi siete il sale della terra», Cristo ci dice: «Siate felici! Avete un senso nel mondo: gli avete dato il suo sapore. Non sentitevi separati! Nel mondo, voi siete un prodotto puro». Siamo quel che siamo, siamo un prodotto de ll a nostra epoca. Siamo il sale de ll a terra. Tutte le persone che sentono il mondo e sentono la necessità di parlare del Vangelo e della divinità, sono il sale della terra. Sono l'elemento che la conserva.Sptimnques'ora,ltvà distrutta e non ci sarà mai più sale. Dunque, ha bisogno d noi.EabmsgnodiquetDr,so Cristo interiore. ma se il sale perdesse il sapore... 222 Cioè, «se voi perdeste la fede». ... con che cosa lo si potrà render salato? A partire dal momento in cui abbiamo preso coscienza, non possiamo più perderla. È impossibile. Non c'è via di ritorno. Se siamo arrivati al livello del nove, passiamo al dieci e siamo il sale della terra. Non possiamo perdere il sapore, dato che il sale è costituito da un solo elemento: il sale stesso. La terra è composta da molti elementi, mentre il sale non è altro che sale: se non è quel che è, in cosa si trasforma? Perciò, teniamo desto il nostro Dio interiore. A null'altro serve che ad esser gettato via e calpestato dagli uomini. Quando non abbiamo sapore e non siamo i conservatori del valore profondo dell'uomo, siamo calpestati, bistrattati. Siamo il sale, allora! Conserviamo il nostro sapore, perché un solo granello di sale dà sapore a tutto l'oceano. Voi siete la luce del mondo... Abbiamo compiuto il nostro lavoro: «Se sboccia un fiore, è primavera in tutto il mondo». Se accendiamo una piccola luce nel nostro cuore, l'accendiamo in mezzo all'Universo. La nostra piccola luce è quella del mondo, poiché è nel mondo: è quest'ultimo a produrla. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte... Il nostro Cristo è su un'altura: in cima alla montagna. ... non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Una volta che abbiamo acceso la nostra piccola lucerna, non dobbiamo nasconderla. Essa splende per tutti gli esseri che, nella casa, restano al buio. Ciò significa che quando qualcuno si illumina, illumina tutta la società. 223 IX La mia luce è tua, la tua luce è mia. La creiamo insieme. Non dobbiamo pensare che la nostra luce sia piccola, poiché è universale. Un giorno la vedranno anche coloro che adesso sono ciechi. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini... Questo vuol dire: «Fate risplendere la vostra luce! Date l'esempio!». ... perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Esiste un Padre. Faccia a faccia con Dio, faccia a faccia con l'umanità, siamo tutti bambini. Quando avremo compiuto la nostra opera, non saremo ringraziati. Sarà ringraziato il Padre (che per me equivale all'androgino universale), dato che è stato Lui a creare l'opera. È stato Lui a fare la luce. È stato Lui a fare di noi il sale. Nell'opera che realizziamo si riconosce la forza che ci spinge, di cui siamo soltanto un anello della catena. Cristo non dice: «Sarò riconosciuto per le tue opere». Com 'è fo rt e l'inconcepibile semplicità con cui si fa da pa rt e e afferma: «Riconosceremo il Padre dalle tue opere». Non parla di se stesso in quanto essere umano. Parla dell'enorme, incredibile forza che lo possiede. Noi stessi, che siamo il sale, siamo posseduti da una forza tremenda, innominabile, incommensurabile, potente, misteriosa e indefinibile. È il nostro Dio interiore. Attraverso i nostri atti e le nostre parole si riconoscerà questa forza indicibile che riversiamo sul mondo. GESÙ E LA LEGGE (Matteo 5,17-21) Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Con questa frase Gesù vuole dire: «Fino a oggi le Scritture erano parole svuotate di azione. Non sono venuto a cambiare niente: sono venuto a realizzare». Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei... Cioè, la giustizia che è racchiusa nella Bibbia. ... non entrerete nel regno dei cieli. Un libro non contiene la verità. La verità risiede nel nostro cuore. Se non superiamo gli scribi e i farisei, non entreremo nel regno dei cieli. Per entrarvi bisogna essere miti, essere afflitti, aver fame e sete di giustizia, essere misericordiosi, possedere un cuore puro, fare opera di pace ed essere perseguitati dalla giustizia. Bisogna accettare di essere il bersaglio di tutte le 224 225 s uperiore, infatti, solo quando abbiamo regolarizzato i livelli precedenti. critiche del mondo perché, in questo mondo non illuminato, luce infastidisce e turba. Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario... Come possiamo metterci d'accordo con il nostro avversario? Bloccando il conflitto con lui da noi stessi. Cosa può farci quest'individuo? Cosa ci preoccupa? Rispondiamo con la pace! Rappacifichiamoci con l'immagine che ci siamo fatti di tutti i nostri nemici, con tutti gli esseri che ci abitano. Perdoniamo tutti coloro che ci hanno fatto del male! Non conserviamo di loro un'immagine negativa che continuerà a perdurare dentro di noi! Dobbiamo ricordare che siamo noi a creare tutta l'antipatia che crediamo di vedere negli altri. Gli altri non sono antipatici: sono esseri umani. Siamo noi a creare l'antipatia. Noi stessi creiamo i nostri nemici. Possono benissimo derubarci. Non c'è motivo per farne un problema, è un fatto oggettivo. Qualcuno può darci uno schiaffo: anche questo è un fatto oggettivo. Se non ci sentiamo aggrediti personalmente, possiamo perdonare quell'uomo che non sa niente di noi e agisce mosso dai suoi problemi, di cui non sappiamo niente. Manteniamo puro il nostro cuore! Mettiamoci subito d'accordo col nemico! Siamo noi il nostro peggior nemico. Mettiamoci d'accordo con noi stessi! Non lasciamo che l'inconscio diventi nostro nemico! Rappacifichiamoci. ASSASSINIO E RICONCILIAZIONE (Matteo 5,21-26) Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere... Cristo interpreta in un altro modo le Tavole della Legge e i dieci comandamenti. Non ha davvero paura di niente: parlando così, rischia la vita. Dice: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. È quello che dicono gli scribi e i farisei, che si attengono alla lettera. Cristo si spinge oltre, affermando: «Questo comandamento va più lontano dell'interpretazione letterale». Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. A partire da qui, Cristo comincia a dirci: «Fa' la pace dentro di te! I problemi esteriori non sono più importanti di quelli interiori!». Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. Trattare gli altri come se fossero «pazzi», «stupidi», sminuirli e criticarli, sono atti che meritano l'inferno (nella Bibbia, la Geenna è l'inferno, il tormento del fuoco). Si tratta del giudice e delle guardie interiori. «Venire get- tato in prigione» significa essere confinato in se stesso fino al termine della vita. Se non risolviamo il nostro conflitto interiore, saremo condotti davanti al giudice interiore: noi stessi ci puniremo e per tutta la vita rimarremo confinati in Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. Prima di presentare le offe rt e, dobbiamo risolvere i nosm piccoli problemi. Possiamo entrare in rapporto con un livello 226 noi stessi. ! In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo. 227 Finché conserveremo interiormente dei debiti con qualcuno e non ci saremo rappacificati con tutto ciò che esiste in noi resteremo prigionieri di noi stessi. ADULTERIO E SCANDALO (Matteo 5,27-30) Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. In tal caso, commettiamo migliaia di adulteri al giorno! Chi è del tutto esente da adulterio scagli la prima pietra! Tutti, assolutamente tutti, siamo nella condizione di adulteri. Qui il Cristo parla del lavoro interiore. Ci sprona a conoscerci davvero per ottenere la realizzazione. Ci consiglia di esplorare le nostre pulsioni, tutti i nostri adulteri interiori, e di non raccontarci storie, di non essere ipocriti con noi stessi. Dobbiamo accettare l'adulterio dentro di noi per poterlo canalizzare! Dobbiamo accettare le nostre pulsioni, i nostri desideri! Se il tuo occhio destro... Notiamo che Cristo segnala l'occhio destro e non il sinistro. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... Penso che l'occhio destro sia quello intellettuale, e il sinistro quello del cuore, l'occhio profondo, quello della ricettività. Il destro è l'occhio del lato paterno. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. Se immaginiamo di essere un cesto di mele che rappresentano tutti i nostri aspetti, dobbiamo gettare via la mela marcia. La nostra vita dipende dal punto di vista che ci è stato inculcato. Da bambini impariamo un punto di vista e vediamo la vita in funzione di quello. È il punto di vista del bambino. Dobbiamo gettarlo via perché ci impedisce di vivere la nostra pienezza. Vale a dire che se il mio occhio destro (il mio punto di vista sulla vita) mi disturba, non mi lascia raggiungere la pienezza, devo strapparmelo. Devo cambiare punto di vista. Quanti occhi destri da strappare ci sono in ognuno di noi? Se sei un uomo e desideri la donna di un altro, il problema non è che brami una donna, ma il fatto che sia la donna di un altro: commetti adulterio perché non desideri tua moglie ma un'altra donna. Se sei una donna e non desideri il tuo uomo ma un altro, ti trovi nelle condizioni di adultera. Succede lo stesso quando, dentro di noi, non desideriamo il nostro lato femminile (per questo motivo bisogna «mutilarsi» una parte destra o sinistra). Se desideriamo un altro essere femminile invece di quello che ci corrisponde, commettiamo adulterio con noi stessi, poiché siamo androgini e dobbiamo vivere tanto la nostra femminilità quanto la nostra mascolinità. Quando bramiamo la donna di un altro, non desideriamo nostra moglie. Psicologicamente, instauriamo una relazione col marito della donna che desideriamo, una relazione omosessuale. Desideriamo la donna di un altro, o desideriamo nostra madre o mille altre cose e, nel nostro intimo, non vogliamo riconoscere che dentro di noi c'è una donna. Desideriamo la donna di un altro perché, dal nostro punto di vista, quell'altro è migliore di noi. L'adulterio, per come lo concepisco, consiste nel non vivere la nostra donna interiore (quando si è uomini) o il nostro uomo interiore (quando si è donne). Come può un occhio essere occasione di scandalo? Si tratta di un simbolo: l'occhio è una parte di noi. Come possiamo gettare via una parte di noi? Questa pa rte che è occasione d scandalo deve essere un'illusione. Non può essere vera. Scandalo è inciampare, cadere, è lasciarsi prendere dall'infanzia. 228 229 Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo... cavalo e gettalo via da te... divento completamente femminile, fino al punto da risultare falsa. Non vivo la mia vita: recito un ruolo da donna. Modifico la forma del mio naso, cioè ne elimino il lato paterno. Faccio di tutto per diventare essenzialmente femminile, ma il lato maschile che rifiuto cercherà un'altra donna. Non sarò mai soddisfatta della donna in cui mi sono trasformata. Farò amicizia con donne che vivono il proprio uomo interiore e, nel caso siano sposate, se posso andrò a letto con i loro mariti. Sarò un'adultera. Allo stesso modo, per esempio, se io (donna) rifiuto la mia donna interiore, cercherò nell'uomo il mio lato femminile che rifiuto. Se abbandoniamo il punto di vista infantile, la nostra vitti cambierà. Potremo modificare il nostro passato. conviene che perisca uno dei tuoi membri... Cioè, «il tuo punto di vista». piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. Cioè, «piuttosto che tutto il tuo corpo entri nella sofferenza». Cambiamo punto di vista! E se la tua mano destra... Cristo parla sempre de ll a mano destra. La mano è il simbolo della scelta. La mano destra è la scelta razionale, senza fede. ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna. IL RIPUDIO (Matteo 5,31 32) - Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il casodinubt,lepa'driochunqespa una ripudiata, commette adulterio. Se rifiuto la mia donna interiore, la spingo all'adulterio. La induco cioè a desiderare un'altra cosa diversa da me, ma senza di lei non posso vivere come uomo. Ciò significa che, invece di esaltare me stesso, cercherò la realizzazione in un guru, dicendo a me stesso che il suo io è più impo rt ante del mio. Se sono donna e ripudio il mio uomo interiore, non posso vivere come donna e induco il mio uomo interiore all'adulterio. Spingo quelle energie alla ricerca di un'altra donna, cioè, cerco quale modello per la mia vita una «madre divina», una Maestra a cui mi arrendo ciecamente. Se sono donna e non voglio assolutamente essere un uomo 230 k 231 X che ha voluto dire Cristo, ma niente di più. Perciò dobbiamo avvicinarci in totale umiltà. Questa preghiera è come un Arcano dei Tarocchi: possiamo sempre dire qualsiasi cosa in merito, e quel che diciamo è immancabilmente giusto ma non definitivo. LA PREGHIERA (Matteo 6,5 9) - Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. IL TESTO DETTATO DALLA DIVINITÀ Cristo afferma che non è necessario pregare in pubblico. Dunque, non pronunceremo questa preghiera nel tempio, né in chiesa o nelle cattedrali. Non è una preghiera da dirsi quando gli altri ci vedono: non è destinata agli ipocriti che pregano in pubblico per essere notati. Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome; Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Poiché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Al contrario dell'Ave Maria, che è una preghiera concepita dalla Chiesa, il Padre nostro — secondo il mito per gli atei, secondo il dogma per i credenti — proviene direttamente dalla divinità. Dato che si tratta dell'unica preghiera dettata dalla divinità stessa, esso rappresenta il testo più impo rtante nella storia della cristianità. Dobbiamo accettarlo in quanto è i1 testo chiave. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Gli ipocriti si fanno vedere, applaudire: hanno dimostrato di essere persone perbene, hanno soddisfatto la loro vanità. Nient'altro. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera... Questa preghiera è stata creata per essere pronunciata in solitudine: in casa nostra, nella stanza più appartata. È . una preghiera intima, più di tutte le altre. Non c'è bisogno di sacerdoti, di compagni né di congreghe. Bisogna dirla da soli. La vera preghiera, dunque, è qualcosa che riguarda soltanto ciascuno di noi. e, chiusa la po rt a... Chi può vantarsi di saper interpretare correttamente le pa role di Cristo? Dato che Cristo è la vetta, nessuno può imprk dronirsi di questa preghiera. Possiamo avvicinarci a quello , Chiudere la porta significa separarsi momentaneamente dal mondo, dimenticare le necessità, i desideri, i sentimenti, i pensieri. Svuota il tuo spirito. 232 233 Il Padre è tutto amore. È l'amore assoluto, l'impulso vitale. È la vita stessa quella che ti dà questo Padre. Egli ti sorregge, ti tiene in vita. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Dov'è la tua camera? Tuo Padre è lì quando chiudi la po rt a? La tua camera è dentro di te. Perciò, cercala in te. Chiudi la po rt a e prega tuo Padre che è lì, dentro di te, nel tuo silenzio. Quando diciamo «Padre», di cosa stiamo parlando? Non appena si pronuncia questa parola, si parla di sperma. Il Padre è dunque il principio attivo, il principio della vita, colui che depositerà il seme. In seguito è necessaria una Madre per generare quella vita. In qualche pa rt e di te, tu sei la Madre. E in qualche altra pa rt e sei il Figlio. Nel mito non c'è prima di tutto la Madre. C'è, però, la Figlia La Vergine Maria, naturalmente, è la Madre, ma diventa tale solo dopo essere stata Figlia. Maria è la Figlia del Padre, poi diventa Madre. È necessario non fare confusione: in qualche pa rt e siamo la Madre, ma non il Padre. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani... Non recitare parole, frasi fatte. Non sgranare formule. Non enunciare senza sapere cosa dici. i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Cristo nega completamente tutti quei canti, quelle formule, quelle preghiere che non sono altro che parole. A parole non costringeremo mai il Padre ad ascoltarci. Perciò Cristo dice: Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. . Gli chiedi qualcosa, ma Egli sa già di cosa hai bisogno. Sa benissimo di cosa hai bisogno, e si aspetta solo che tu agisca secondo la sua volontà. La guarigione essenziale consiste, così, nell'entrare in comunicazione col proprio Dio interiore. Lo scopo della vita si può capire solo quando si stabilisce una relazione col proprio Dio interiore, chiusi nella nostra camera, senza che nessuno ci veda, soli. C'é in noi una pa rt e che non siamo noi e che è quanto abbiamo di meglio. Dobbiamo entrarci in rapporto. Se riusciamo a stabilire una comunicazione, quella pa rt e conosce con esattezza ciò di cui abbiamo bisogno e ce lo dà, perché vuole che ci realizziamo e raggiungiamo la pienezza. Essa ci darà la nostra creatività. È la grande promessa del Padre nostro. e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Allora la tua preghiera sarà ricompensata, perché tuo Padre ti vede. Vale a dire che in te c'è un Padre, un principia divino. Ognuno di noi ha suo Padre dentro di sé, un Padre che ci vede costantemente e non ci critica. Non è il Super-Io che rimprovera e distrugge. In qualche pa rt e di te troverai il tuo grande amico, qualcuno che ti ama, ti perdona e ti assolve. In qualche pa rt e di te c'è qualcuno che non ti considera affatto colpevole. Qualcuno ti rispetta, ti perdona, ti ama, ti aiuta se lo vuoi, ti capisc perfettamente. In qualche pa rt e di te c'è il tuo testimone, che conosce con esattezza il tuo immenso valore. È a questo essere che devi darti. In te non c'è un Padre terribile, un Padre che punisce, un nemico, un censore, qualcuno che ti opprime e ti castra, che ti sorveglia e non ti ama. 234 NOI :. Analizziamo ora il motivo per cui, se sono completamente solo in una stanza chiusa, dico «Padre nostro» invece di «Padre mio», dato che Egli è dentro di me. Il concetto di Padre implica il riconoscimento di un creatore. Quando diciamo «Padre», accettiamo di essere creature create; 235 accettiamo inoltre che nessuna delle nostre azioni, nulla di ciò che fa il nostro io, il nostro ego, proviene da noi. Dire «Padre», perciò, equivale a dire: «Sono umile», «Non sono il creatore bensì il trasformatore». Vuol dire anche: «C'è una parte di me che non sono io. Io sono creato». Significa accettare la possibilità di generare in quanto Madre. Accettare la femminilità, la ricettività, il mistero incommensurabile. Vuol dire farla finita con l'orgoglio. Accettare il Padre. Perché non «Madre»? Perché la Madre prende l'energia del Padre, l'energia maschile, per creare il Figlio. E qual è l'energia del Padre? È tutto il presente. Per questo motivo la Vergine prende l'energia del Padre, la prende completamente. Possiamo assorbire in noi l'energia del Padre: ciò significa che l'atto della preghiera consiste nel raggiungere lo stato della Vergine Maria, accettare il Padre e aprirsi completamente a Lui. E perché dico «nostro»? Perché non sono uno, ma molti. Sono un intelletto: un'aquila. Ma sono anche un angelo: un cuore. Sono un leone: un sesso e un istinto. E sono un animale sacrificale: un corpo. Dentro di me ci sono almeno quattro identità. E non solo quattro! Sono un feto e un bambino di un anno. Sono un fanciullo di sette anni e contemporaneamente un adolescente e un adulto. Tutte queste età sono piani, strati che coesistono in me. Quando ti vedo, non vedo una persona ma molte: una moltitudine. Per cominciare, sei almeno quindici persone: tu, tuo padre, tua madre, i tuoi nonni e i tuoi bisnonni. Sei tutto questo, qui e ora. Sei il tuo paese. E più indietro, sei tutta la tua razza. Più indietro ancora, sei tutte le razze. E ancora più indietro, sei tutti gli esseri che sono morti e tutti quelli che nasceranno. E molto più indietro ancora, sei tutte le galassie e l'Universo intero. Allora, quando diciamo «nostro», rappresentiamo gli esseri umani, tutte le personalità che portiamo dentro di noi: i nostri nemici, i nostri amici, i nostri compaesani. Tutto ciò :, siamo noi. Siamo l'albero e l'ossigeno, la pietra, l'animale, il sole, la luna. «Nostro» significa che non possiamo rivolgerci al Padre in solitudine, perché non siamo mai stati soli. Non siamo «uno». Uunica «persona» che è Uno è il Padre: Lui è l'Uno, tutto il resto è la molteplicità. Non puoi, pertanto, pregare in quanto te stesso, perché non possiedi un io individuale. Sei molti. Quando preghiamo veramente, parliamo a nome di tutti gli esseri che ci abitano. Fa' pregare tutti gli esseri che sono in te! Fa' pregare i nemici che ti hanno fatto del male! Fa' dire loro «nostro» insieme a te! Fa' pregare tutti gli animali che hai conosciuto, tutte le «stelle» del cinema e della televisione che hai visto! Fa' pregare tutti i tuoi parenti! Tutti i bambini! Le persone che hanno fatto l'amore con te! Fa' pregare la tua mano, il tuo fegato, che ha la sua vita, il tuo cuore, che va avanti da solo: non sei tu a farlo battere, ma il Padre. Fa' pregare tutti i morti e tutti gli esseri che nasceranno! Tutto deve pregare. Tutte le immagini che sono dentro di te e popolano la tua memoria. Tutte le persone, e sono tante, che ti hanno fatto del bene, e anche il gran numero di persone che ti hanno fatto del male. Quando t'immergi nel segreto del tuo cuore, farai pregare tutto il mondo nell'unità del Padre. Nel Padre nostro, quel «nostro» sarà gigantesco, universale. Nostro. Tutto l'Universo dirà «nostro» tramite la tua voce. Questa è la preghiera. Se non è l'Universo intero a dire «nostro», non c'è preghiera, dal momento che la preghiera consiste precisamente nel dimenticare del tutto ciò che crediamo essere la nostra individualità. È l'abbandonarsi assoluto al mondo e quindi alla pace, dato che, in quel «nostro», tutte le paure e le angosce si placheranno mentre parliamo col Padre che ci ascolta. Tutte le aggressioni si sopiranno. Tutti gli esseri che non ci hanno amato o non ci amano, così come quelli che ci amano, tutto si rappacificherà perché troverà un'unità nel Padre. Di conseguenza, pregheremo in pace. 236 237 Valuta tutto ciò che chiedi. Con fronta, nel tuo intimo, quanto chiedi rispetto a quanto offri. Vedrai che la tua richiesta è una montagna e la tua offerta un granello di polvere. Chiediamo, chiediamo sempre. Chiediamo al padre, alla madre, ai fratelli e alle sorelle, alla società. Chiediamo a chiunque. Chiediamo alla vita, e diamo pochissimo. Cominci a dare quando il cuore si spezza. Allora ti rendi conto di essere veramente solo e dici fra te: «Non posso essere così solo. Almeno c'è qualcuno che mi ama! Senza amore, sarei morto». E in quell'istante-entri nel più profondo di te stesso . Quando ti ami, inizi a dare e smetti di chiedere. Dicendo «Padre nostro che sei nei cieli», smettiamo di elemosinare. Non chiediamo più niente: siamo giusti e riconosciamo di possedere molto. Padre nostro che sei nei cieli... Com'è possibile che il Padre non sia in cielo? Il cielo è dove si trova Lui: bisogna dunque capire che il Padre è sempre in cielo, perché dove arriva Lui c'è il cielo. Se il Padre va all'inferno, quel posto non è più l'inferno perché lì c'è il Padre. Dove si trova il Padre, ecco dov'è il cielo. Il Padre non può stare altro che nel cielo perché Egli trasforma subito in cielo il posto dove si trova. Se Egli si trova dentro di me, cosa sono io, allora? Sono il cielo. Nel momento in cui riconosco il Padre dentro di me, lo pre sento: sento questo Dio interiore. All'improvviso cado in uno stato di beatitudine, di estasi, poiché divento tutto cielo. Lo sono in quanto il Padre può esistere soltanto nel cielo . Comunicare integralmente e totalmente col Padre, allora, significa ritrovarsi in cielo assieme a Lui. Questa preghiera è una progressione. Per noi il cielo è lo spirito, e il Padre prima di tutto è il nostro spirito. È in cielo. Dobbiamo ricordare che ci sono quattro regni: del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo e della Vergine Maria. Nel primo vige la Legge di Mosè. Poi viene il regno di Crist o . che è il compimento dei Vangeli. Ma dopo quello di Cristi viene il regno dello Spirito Santo: quello in cui si raggiungerâ la coscienza collettiva. - 238 Tutti siamo lo Spirito Santo. Quando lo riconosceremo, ci trasformeremo in Lui. Ci incarneremo allora nel migliore dei mondi, il più puro e verginale, e creeremo l'Universo che ci meritiamo. Sarà il regno della Vergine Maria. E chi potrà avvalersi di questo regno? Ci saremo finalmente tutti. Saremo tutti Giuseppe, dato che, secondo il mito, è lui il primo ad avvalersi dell'incarnazione di Dio: ne ha goduto subito perché è il padre spirituale di Cristo. Padre nostro che sei nei cieli... Immaginiamo quel cielo! Quella via spirituale! Come diventa meravigliosa nel riconoscere questo principio vitale, questo incommensurabile potere, quest'eternità che ciascuno di noi porta in sé. Non è nemmeno più necessario aver fede per riconoscere che da qualche parte dentro di noi ci sono l'eternità e l'infinito. Oggi, nella nostra civiltà, lo può capire chiunque. In noi esiste una particella infinitesimale che è eterna e che chiamiamo Padre in questa preghiera. Questa particella ha la potenza della divinità. È un potere d'amore enorme, colossale. Lo portiamo dentro di noi: nel momento in cui riconosciamo questa pa rte interiore, che siamo religiosi o mistici oppure no, nel momento in cui lo viviamo e ci doniamo a esso, il dolore svanisce, ogni persecuzione si dissolve, tutto se ne va, perché questo aspetto della vita non è altro che un'illusione. Non rimane che l'estasi. «Mi abbandono nelle tue mani. Se sei mio Padre, io sono tuo figlio. Allora, per favore, trattami come tale! Nutrimi! Dammi quello che voglio! Cosa voglio? Quello che Tu vuoi. Cosa desidero? Quello che Tu desideri. Qual è il mio scopo? Il tuo. Qual è la mia gioia? La tua. Qual è il mio amore? Il tuo.» sia santificato il tuo nome... Qual è il suo nome? Conosciamo il nome del Figlio, Gesù Cristo, ma qual è il nome del Padre? Che cosa possiamo santificare se non ne conosciamo il nome? E chi lo può conoscere? «Padre» non è un nome. 239 Qui arriviamo alla frase più bella del mondo, poiché ci viene chiesto di santificare qualcosa che non conosciamo. Tu soffi i per amore perché conosci la persona che ami. Se non la conoscessi, come potresti soffi ire? Per amare bisogna conoscere. Se non conosci una persona, come puoi amarla? Non si può amare ciò che non si conosce. In ogni caso, come si può amare quel nome se non lo si conosce? Qui ci è richiesta la prova più grande: l'ignoranza. Amare senza conoscere. Ci è richiesta la fede. Ci viene detto: «Santifica un nome che non conosci!». Quindi, non conosciamo il nome del nostro Dio interiore. E perché non lo conosciamo? Tra il nome della divinità e la divinità stessa non c'è alcuna differenza, dal momento che non c'è dualità. La divinità è il suo nome. Se il cervello lo conoscesse esploderebbe, dato che non potrebbe contenerlo. Bisogna ricordare che ogni volta che si domanda a Dio: «Chi sei?», Egli risponde sempre: «Io sono colui che sono». Non dice mai il proprio nome all'interlocutore. Bisogna santificare il suo nome senza conoscerlo. Questo significa amare Dio, il Padre, sapendo che non lo percepiremo mai coscientemente. Non possiamo arrivare con la coscienza a questa zona che vogliamo raggiungere. Dio non esiste, Dio è. Questa meraviglia è dentro di noi, ma non possiamo conoscerla. Abbiamo quindi bisogno di una fede molto grande per accettare il Padre senza avere mai piena coscienza di Lui. Non lo vediamo, ma Lui ci vede. Riconosciamo la sua presenza ma non possiamo conoscerlo. Allora santifichiamo il suo nome, ma rinunciamo a conoscerlo perché non ne abbiamo la capacità. La versione ecumenica dice (Matteo 6,9): a cercarmi?». Ciò significa che Egli è dentro di noi ma che non possiamo raggiungerlo con la coscienza. Bisogna avere fede. Allora, quando dico «sia santificato il tuo nome», si realizza il fenomeno: sono in piena estasi e ti santifico senza vederti, senza conoscerti, senza percepirti, senza definirti. So che Tu ci sei per pura fede. L'unico modo di percepire la divinità è la fede. Non ne esiste un altro. Quando si dice «vedo la divinità», è una bugia. Non possiamo vederla perché non può entrare nei nostri occhi. È infinita, e i nostri occhi vedono solo cose finite. Non possiamo sentirne l'odore perché è al di là di noi, non ci entra nel naso. Non possiamo pensarla: il nostro intelletto è troppo piccolo per contenerla. Non possiamo amare la divinità: è necessario che essa ami noi, poiché il nostro cuore è troppo piccolo per farlo. Non possiamo viverla: è molto più grande di noi. Così la divinità ci vede, ci conosce, ci ama, ci pensa, e noi, lasciandoci amare, ci trasmettiamo il suo amore. Ci lasciamo possedere e ci trasmettiamo la sua energia sessuale. Ci lasciamo accarezzare. Ci lasciamo nominare. Venga il tuo regno... Dio: ti riconosco come tale. Accetto cioè che tu abbia un nome e accetto anche il fatto di non conoscerlo. Tuttavia, lo Zohar dice: «Se non mi conosci, come farai .° Ciò significa che lo spirito entra nel nostro corpo per la prima volta. Grazie all'accettazione della fede e del Dio interiore, il Regno, il Padre ci possiede e ci attraversa per tutta la nostra vita. Prima di accettare il nostro Dio interiore, la vita era tenebrosa, poiché è Lui la luce. Tutta la sofferenza che abbiamo sperimentato ci è toccata in sua assenza: il suo regno non c'era. Tutto ciò che abbiamo vissuto prima di averlo accettato nella nostra preghiera non faceva pa rt e del suo regno: erano le tenebre. Ma da quando possediamo la fede e accettiamo il suo nome e il suo principio creativo, tutto il nostro essere si riempie di luce. 240 241 Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome... Nella nostra vita tutto diventa pienezza. La nostra infanzia'si colma in un istante. Il Padre esplode nella nostra infanzia e sommerge il passato doloroso... Entra in nostra madre che diventa una Vergine Maria. La luce entra in nostro padre trasformandolo in un meraviglioso Giuseppe. Entra nel feto che ï siamo trasformandoci nel Cristo. Attraversa tutta la nostra vita e noi diventiamo angeli di luce perfetta. Quando accettiamo il Regno, diventiamo degli esseri di luce. A quel punto la luce penetra nei nostri nemici, nella natura, nel momento storico in cui viviamo. Entra nel presente e il Regno è qui, adesso, come una fiamma risplendente. È il suo regno. Tutto l'Universo brucia e noi siamo in cima alla montagna. Siamo l'Universo, bruciamo con lui. Il momento in cui le stelle fiammeggiano con l'Universo, con tutte le entità cosmiche, con tutte le entità sotterranee, è un momento impareggiabile. Siamo il fuoco universale, il presente totale. Allora ci poniamo al centro dell'Universo e sentiamo l'innominabile momento che stiamo vivendo. E in quegli istanti portentosi c'è la creazione, c'è il Padre... e c'è il suo nome. E il suo nome siamo noi! È Lui a nominarci. Siamo nel Regno perché l'abbiamo accettato. È una gioia senza limiti, una festa eterna. sia fatta la tua volontà... La nostra volontà non è niente paragonata a quella del Padre. Tutto si realizza se ci adattiamo alla sua volontà. Mai nella vita siamo forti come quando siamo deboli. Mai nella vita siamo più pieni che quando ci svuotiamo. Mai nella vita diamo più amore che quando cancelliamo dal nostro cuore . tutto l'amore individuale. sia fatta la tua volontà... «Mi do alla tua volontà.» Se lo faccio, tutto si realizza e tutto va bene. sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 242 Cosa significa questa frase? La terra è il nostro corpo, è questo pianeta. Dobbiamo dunque accettare la volontà del Padre nel nostro corpo. Il corpo non è il luogo dell'angoscia né della mo rt e. Affinché la sua volontà si compia nel nostro corpo, accettiamo la morte perché sappiamo che non esiste, l'accettiamo nel nostro corpo. Accettiamo la vecchiaia, il dolore, le malattie, il sesso, la bellezza e la bruttezza. Accettiamo il nostro corpo così com'è. Se Tu ci hai fatto così, accettiamo quel che siamo. Siamo quello che Tu vuoi. Dacci oggi il nostro pane quotidiano... Ciò significa che, ogni giorno, abbiamo a nostra disposizione un pane. Esiste quindi un alimento per noi, nell'Universo. Se vogliamo amore, c'è amore. Se vogliamo creatività, c'è creatività. Se vogliamo piacere, ce n'è. Se vogliamo coscienza, eccola. C'è tutto quello che vogliamo. Se accettiamo il Padre interiore, sappiamo che ogni giorno avremo quello che ci manca. Non bisogna dire: «Dacci il pane per tutto l'anno»! Ciò significherebbe sminuirsi e aver bisogno di rassicurazioni. Immaginiamo un figlio che dice al padre: «Voglio che mi ami per sempre». Il padre gli risponde: «Figlio mio, ti amo oggi. E non c'è nient'altro che l'oggi». E se il figlio insiste: «Vorrei avere questa casa per sempre», il padre ribatte: «Ce l'hai oggi, e non c'è altro che l'oggi». E se il figlio aggiunge: «Vorrei questo corpo per sempre», il padre gli suggerisce: «Questo corpo ce l'hai soltanto oggi. Goditelo oggi, il tuo corpo!». Mangia il tuo pane oggi! Domani, si vedrà. Ogni giorno po rt a con sé il suo pane e ogni volta il pane è diverso. Ogni giorno avremo coscienza. Ogni giorno sarà la gioia, la serenità, l'amore, la creatività. Godremo della più grande compagnia, quella di noi stessi. Impareremo a stare con noi stessi e così non sentiremo mai la solitudine e potremo stare con gli altri. La solitudine non esiste. Quando amiamo qualcuno, non bisogna chiedergli più di quanto riesce a darci in quel momento. La via si percorre passo dopo passo. Se un passo è intenso e perfetto, lo sarà anche quello successivo. Pensiamo a fare 243 ogni passo in maniera perfetta, non alla via. Non chiediamo altro che il nostro pane quotidiano. E cioè: qui e ora, il nostro presente. Possiamo concepire l'estasi che rappresenta questo fatto? Il pane quotidiano è tutto l'Universo. e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori... Perdonare chi ci ha offeso significa essere forti, adulti. Significa comprendere gli altri, poiché per perdonare qualcuno che ci ha dato uno schiaffo bisogna capire perché ce l'ha dato. Bisogna capire perché ci hanno derubato, perché ci hanno fatto male. Le prime persone che ci hanno offeso sono quelle del nostro albero genealogico: le quindici o trenta persone venute prima di noi. Cerchiamo di capirle! Perché nostra madre ha dovuto complicare il nostro parto? Perché ha contratto la vagina? Qual è stato il motivo? Cercandolo, verificheremo immediatamente che all'origine c'erano i suoi problemi con l'uomo che ci ha generato. Come mai aveva dei problemi? Da dove provenivano? Nessuno vuole coscientemente fare del male agli altri. 'Siamo sempre figli di vittime. Cosa provoca allora tutti questi danni? Perché una persona ci ferisce? Nel mondo del cinema un tale mi derubò di una somma consistente. Perché mi derubò così tanto? All'inizio della sua vita era stato abbandonato all'Assistenza pubblica e, credendo che nessuno l'avrebbe mai amato, aveva bisogno di dominare, Lo perdono per avermi derubato, dato che so perché l'ha fatto: è il prodotto di un'immensa sofferenza. Rubava l'amore che, secondo lui, non avrebbe mai ricevuto. I dollari che accumulava erano una metafora delle carezze di cui l'aveva privato la madre. Perdoniamo tutte le persone che ci hanno provocato delle malattie, tutti coloro che ci hanno fatto del male. Se non lo facciamo, abiteranno dentro di noi come archetipi negativi. 244 Nemmeno una persona sgradevole deve abitare nel nostro spirito, che deve essere pura gioia. Se lasciamo entrare nella nostra testa delle persone terribili, allora c'è qualcosa di terribile in noi. Se dentro di noi ci sono molte persone spaventose, allora noi stessi siamo spaventosi. Cambiamo le persone che abitano nel nostro intimo! Ricordiamo che tutto quello che c'è in noi siamo noi stessi! Il giudizio che formuliamo su una persona definisce noi stessi. Tutto ciò che diciamo parla di noi: siamo tutto. Per perdonare ci occorre un'enorme pazienza. Non obblighiamo gli altri ad andare più veloce di quel che possono! Perdoniamo agli altri la mancanza di comprensione. Ripetiamo mille volte quello che ci hanno chiesto. Andiamo piano. Quando avremo perdonato tutti quanti, allora il nostro Dio interiore ci perdonerà. Viceversa, se noi che siamo esseri semplici, un io individuale, non siamo capaci di perdonare un'offesa, come potremo pretendere che la divinità ci perdoni? La divinità è la nostra perfezione interiore che ci osserva e ci dice: «No, nel tuo intimo non sei perfetto. L'aggressione che vedi fuori di te, ti possiede». Ancor più in profondità, bisogna perdonare a partire dalla nascita e perfino prima. Bisogna perdonare la civiltà e la storia. Finché non lo faremo, non saremo liberi. Se non perdoniamo quelli che ci hanno danneggiato, saremo sempre loro prigionieri e non potremo volare in cielo, verso la pace interiore. 11 dolore non porta a niente. È come un cappotto di cui occorre disfarsi. Soffi ire perché un bambino ha fame non serve al bambino. Al contrario, se mi affi etto subito a nutrirlo, in piena estasi, allora l'aiuto. e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Se dovessimo scegliere una pa rte del nostro corpo per edificare un tempio alla divinità, in quale pa rte lo situeremmo? Potremmo concepire che Dio possa abitare nel nostro sesso? 245 Sarebbe normale, dato che il sesso è il luogo dove risiede la più grande potenza d'eternità. In realtà, quando si dice «Padre nostro» ci si appella alla forza del sesso. Non si invocano le potenze del cervello, poiché l'intelletto è il luogo in cui Dio non potrebbe mai abitare. Il posto dove potrebbe situarsi meglio è il sesso. E nel sesso, chi lo chiama? La chiamata proviene dal cuore. Si invoca l'energia sessuale per condurla all'intelletto. Il cuore è il Cristo, ma il Padre è il sesso. Il Regno è nel sesso, il potere nel cuore e la gloria nell'intelletto. Normalmente si lascia il sesso fuori dalla Chiesa, come se t^ fosse la sporcizia incarnata: c'è un errore da qualche pa rt e. Infatti, non è possibile che l'essere umano abbia in sé qualcosa di sporco. Non è possibile che il piacere e l'orgasmo, se esistono, siano creazioni del diavolo. Sarebbe come ammettere che il diavolo abbia collaborato con Dio nella creazione dell'uomo. Allora, quando Cristo dice «non ci indurre in tentazione non si tratta della tentazione sessuale. La vera tentazione e un'altra: è il desiderio individuale, l'ego. «Non ci indurre in tentazione.» Sappiamo che il diavolo si identifica col desiderio di benefici personali, di guadagni. La Bhagavadgita dice: «Pensa all'opera, non al frutto». La tentazione è pensare al frutto e non all'opera. Ecco la grande tentazione, la tentazione dell'ego. La tentazione più grande consiste nel voler esistere al posto del Padre, nel non accettare il Padre e nel voler essere no stessi la divinità. «Non lasciare che mi trasformi nel diavolo, cioè nel mio ego! Non lasciarmi pensare di essere il mondo! Non lasciarmi desiderare di essere l'Universo! Non lasciarmi pensare che Tu esisti e io esisto!» Questa è la tentazione. è il Padre. È questa divinità incommensurabile, questa divinità interiore. Finché non riconosciamo la nostra divinità interiore non abbiamo obiettivi nella vita e non sappiamo cosa fare. Non sappiamo costruire un tempio. Non sappiamo amare. Non sappiamo dare. Non sappiamo creare. Non sappiamo fare niente. Siamo come bambini inabili e folli. Sappiamo odiare, detestare, uccidere: viviamo nel caos. Poiché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria... A volte si pensa che il sesso sia il potere, ma non c'è potere più grande di quello del cuore. Il Regno corrisponde al sesso perché è quello il luogo in cui Egli abita: è lì che si crea. Poi vengono il potere dell'amore nel cuore, e la gloria, ossia la luce, nell'intelletto. nei secoli dei secoli. Vale a dire, oggi. Qui e ora, perché qui e ora equivale a dire nei secoli dei secoli. Il presente totale. ... ma liberaci dal male. Il male è dimenticarsi di Dio. Non c'è male più grande che dimenticare il Padre. Se la nostra vita conduce alla pazzia, alla nevrosi, alla psicosi, all'ima potenza, al caos, è perché dimentichiamo che il nostro centre 246 247 XI che coloro che lo hanno annunciato gli hanno dato la vita. Perciò, in un certo senso, il Cristo riconosce in Giovanni suo Padre e sua Madre. Noi saremo il padre e la madre della coscienza collettiva, saremo riconosciuti: questo è il secondo giorno. I PRIMI DISCEPOLI (Giovanni 1,35-51) Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli... TESTIMONIANZA DI GIOVANNI (Giovanni 1,19-28) Affrontiamo ora il Vangelo di Giovanni: vedremo che inizia, come la Genesi, con un fine settimana, il settimo giorno, con la prima manifestazione della gloria di Gesù alle nozze di Cana. Nel prologo di Giovanni si ripete, dunque, la creazione del mondo. L'avvento di Cristo nel mondo inizia con la «Testimonianza di Giovanni»: questo è il primo giorno. Alcuni sacerdoti domandano a Giovanni il Battista: «Sei tu il Cristo, il Messia? Sei tu Elia, il profeta?»; in effetti vogliono '. ucciderlo perché sta battezzando. Lui risponde: «No, no... io non sono il Messia, non sono il profeta. Io sono la voce che Il terzo giorno, insieme a Giovanni ci sono due discepoli, e cosa fa lui? e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. È davvero bello che un Maestro veda passare un altro uomo e dica ai suoi due discepoli, che ha battezzato, «Seguitelo!», privandosi di loro. In tal modo riconosce il valore del prossimo. È bello perché Giovanni avrebbe potuto avere la grande È il secondo giorno. In questo capitolo Cristo va da Giovanni ' e gli chiede di essere battezzato. È Cristo a dirgli «Battezzami» e a farsi battezzare: cosh facendo, concede a Giovanni l'immenso onore di riconoscere tentazione di creare una setta e di tenere con sé i propri discepoli. Quante persone conosciamo che lasciano andare i propri discepoli, riconoscendo che un altro è migliore di loro? Quanti padri e madri lasciano andare i propri bambini? Quanti mariti lasciano andare le mogli e quante donne lasciano andare i mariti? Sapendo che qualcuno farà più bene a una persona che noi, lasciamo che vada da lui? Giovanni lo fa. È la prima lezione ed è molto bella: lascia che i suoi discepoli se ne vadano quando si trova di fronte un Maestro più grande. È lui, quindi, che offre a Cristo i primi discepoli. Immaginiamo con quale amore li ha preparati affinché, nel momento in cui chiede loro di seguire Cristo, lo facciano immediatamente. 248 249 grida nel deserto: "Preparate la via delSignore", come disse il profeta Isaia» . L'AGNELLO DI DIO (Giovanni 1,29-34) Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbi (che significa maestro), dove abiti?». Dov'è il Maestro? Dove abita dentro di te? Quando ti domandi: «Chi sono?», devi precisare la domanda e chiederti: «Dove sto?». C'è un Dio interiore dentro di te. Dove sta? Nel cervello? Nel sesso? Nel cuore? Dov'è situato il tuo Dio interiore, questo collegamento con l'infinito e l'eternità? Cerchiamo di rispondere. «Dove abiti?» è la prima domanda che i discepoli di Giovanni rivolgono a Cristo. È anche il primo quesito che dobbiamo porci: dove abita il mio Dio interiore? Nel più profondo di me stesso? E dove si trova? Dove? Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui. Presso di lui! Presso il Dio interiore! Non si può abitare che presso di Lui. Non si può essere che Lui. Ci rendiamo conto che, se siamo abitati da un Dio interiore, Egli ha un potere tale che non può scegliere un posto qualsiasi ove risiedere? Deve abitare in un posto dentro di noi molto prezioso, un posto che gli si confà. Le cellule che lo contengono (perché anche le cellule lo contengono) sono cellule elette. In noi c'è una Vergine Maria che contiene Dio, perché solo la Vergine può farlo. Non è l'ego, bensì la Vergine che è in noi. a contenere il Cristo. E lla è così potente che, quando il potere dell'Altissimo l'avvolge con la sua ombra, viene penetrata dalla luce ed è capace di riceverla. Non si disintegra, le sue ovaie non esplodono. Pensiamo un'altra volta alla forza dell.i sua vagina! Alludendo a questa forza, un pittore del Medioevo ha dipinto un quadro in cui compare vicino alla Vergine una donna con una mano bruciata. Questa scena i llustra una leggenda che non ha niente a che vedere con le Scritture ma che è stata molto popolare. Secondo questa leggenda, quando la Vergine stava per dare alla luce Gesù, Giuseppe andò a cercare un'ostetrica. 250 Ma quando la donna arrivò, il bambino era già nato. Maria disse di essere vergine, ma lei non le credette e volle verificarlo mettendo le dita nella vagina della giovane madre: fu allora che si bruciò la mano. Ciò significa che la vagina della Vergine aveva un potere fenomenale. La donna si mise a piangere e a implorare perdono. La Vergine le disse: «Toccami». L'ostetrica posò la mano bruciacchiata sul ventre di Maria e nel farlo guarì. Questa è la storia che raccontava il popolo. È una leggenda e non un mito, ma da qualche parte dentro di noi c'è un nucleo potente che può contenere il nostro Dio interiore; altrimenti, esploderemmo. Abbiamo una Vergine Maria interiore. Forse è addormentata: la Bella Addormentata. Se dorme, non possiamo comunicare col nostro Dio interiore, non si incarna. Solo la Vergine Maria può contenere la divinità. La Vergine è una via per arrivare a Cristo. Quando svegliamo questa Vergine possiamo arrivare al nostro Dio interiore. Comunque, non è necessario restare vergini, eternamente puri, belli, incommensurabili, perfetti per tutta la vita. Se quando l'angelo l'ha chiamata lei avesse risposto: «Impossibile! Non voglio!», non si sarebbe realizzato niente. Maria può anche aver avuto a un certo punto la tentazione di conservare l'imene, di non diventare donna, di non dare vita alle sue ovaie, di respingere la maternità. Avrebbe potuto dire all'angelo: «No, sono vergine e mi conserverò così. Non mi läscerò fecondare. Amo me stessa». Era questa la tentazione. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» (che significa il Cristo) e lo condusse da Gesù. Così, il terzo giorno i discepoli erano tre. Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Fi li ppo e gli disse: «Seguimi». Filippo incontra Natanaele e lo conduce da Gesù. Natanaele riconosce in lui il Figlio di Dio e anche lui lo segue. E così ci sono altri due discepoli. 251 Tra il primo e il quarto giorno Gesù trova cinque discepoli; Poi tutto tace e tre giorni dopo si celebrano le nozze di Cana. Cristo compie il suo primo miracolo il settimo giorno. Ci mette sette giorni per preparare il suo primo segno. Proprio come nella Toràh, secondo la quale la creazione dell'Universo si compie in sette giorni. IL PRIMO SEGNO: LE NOZZE DI CANA (Giovanni 2,1-12) Tre giorni dopo... Cioè: il terzo giorno. Nei quattro giorni iniziali Cristo trova i suoi primi discepoli: stabilisce le sue basi. Poi, nei tre giorni seguenti e fino al settimo, si presenterà lo Spirito. Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Cinque discepoli più Cristo fanno sei. È possibile interpretare geometricamente il numero sei? Se il lettore visita la cattedrale di Notre-Dame a Parigi, noterà, entrando, sulla sua destra un'alta vetrata su cui fi gura una croce di Davide a sette punte: la settima è al centro. Se il lettore visita il tempio buddhista nel Bois de Vincennes, alla periferia di Parigi, vedrà che sulla porta sono disegnati sette punti disposti nello stesso modo. Cristo compie il primo miracolo il settimo giorno. E quante persone sacre sono presenti? Cinque discepoli, il Cristo e la Vergine Maria, cioè in totale sette. La struttura matematica del mito è interessante. 252 Lo sposalizio ha luogo in Galilea, la Galilea delle nazioni. Cos'è uno sposalizio? Una festa in occasione di un atto di fecondazione. È l'unione di un maschio e di una femmina, dell'uomo e de ll a donna, del cielo e della terra. Anticamente, sul piano simbolico, la donna rappresentava il cielo e l'uomo la terra. Poi, culturalmente, il padre si è trasformato nel cielo e la madre nella terra: così si credeva al tempo dell'avvento di Cristo. Il Messia viene in un momento di crisi internazionale: l'impero romano domina molte nazioni. Il popolo è oppresso e lotta per la sopravvivenza. La religione ebraica stessa versa in una situazione critica: i sacerdoti sono al servizio dei governanti. Lo studio della Bibbia è stato regolamentato e si trova nelle mani degli scribi che servono la Legge di Mosè: venerano i libri e danno più importanza al significato letterale che al cuore. Cristo si presenta proprio in questa congiuntura critica. Appartiene a ll a nuova generazione di ebrei che desidera diffondere la sapienza in tutto il mondo invece di mantenerla nel circolo chiuso del popolo eletto. Il primo miracolo di Cristo avverrà, dunque, in occasione dell'unione di un uomo e una donna, l'unione di una coppia in un momento di crisi in cui manca lo Spirito. Data questa carenza, la festa non può certo andare bene. Dentro di noi, nessuna festa, nessun matrimonio possono andare bene e prosperare se il Dio sconosciuto, il Dio interiore, non è presente. 253 gnifica che è la nostra Vergine interiore che deve mettersi in azione: deve obbligare il Dio interiore a manifestarsi, perciò deve manifestare un proprio potere e una propria volontà: deve manifestare il desiderio. È per mezzo del desiderio che dobbiamo risvegliare in noi la volontà di fare qualcosa. Il violento desiderio di realizzarci! Per questo è necessario risvegliare le nostre forze sessuali, che sono pure e be ll e. La Vergine dice a Cristo: La nostra mascolinità e la nostra femminilità sono sul punto . di unirsi, di sposarsi. Però manca qualcosa: il principio attivo e la ricettività devono unirsi; il sesso e l'intelletto devono sposarsi. Possiamo risvegliare tutta la nostra creatività, tutto il nostro ma senza la vita emotiva profonda, senza il cuore, dove si trova il Dio sconosciuto, nulla funzionerà. Il matrimonio che vogliamo non potrà realizzarsi: non cadremo in estasi, non saremo sempre gioiosi, non conosceremo la nostra eternità. È in questo contesto che arriva Cristo. Non hanno più vino. Ciò significa: «Tu sei il vino. Tu sei Dio, sei tu che generi l'ebbrezza, perché io sono ebbra di Dio. Se non c'è l'ebbrezza della divinità ora che sei qui, manifestati! Da' loro il vino!». Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Maria è presente al matrimonio. Siamo lì per il matrimonio: il corpo è lì. Quando si realizzerà in noi lo sposalizio fra la nostra pa rt e mascolina e quella femminile, la Vergine sarà presente. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino... g Mancava il vino. Sappiamo che il vino è il simbolo della pienezza, del risveglio spirituale, della coscienza cosmica dell'ebbrezza divina... In queste nozze la gioia era dunque assente, poiché mancava il vino. Cristo arriva e si ritrova a una festa insipida, triste, mentre un matrimonio deve servire proprio a cadere in estasi. . ... la madre di Gesù gli disse... Contrariamente a Gesù, che rimaneva appartato con i suoi cinque discepoli, Maria si è resa conto. Cristo aveva entusiasmato e stupito i suoi discepoli, ma nel bel mezzo della festa, quando mancava il vino, rimaneva a braccia incrociate. Nonostante tutta l'iniziazione del mondo, tutta la bellezza, tutto il potere, il Dio interiore non si manifestava. Era compito della Vergine farlo manifestare. «Lei disse»: fu Maria infatti a parlare, non Cristo. Ciò s 254 E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». Non disse «madre» o «mamma», bensì «donna»: la riconosce come donna. «Che ho da fare con te, o donna?»: c'è un enorme rigore spirituale in queste poche parole che Gesù e Maria si scambiano. Quante volte Cristo dice «donna» nel Vangelo di Giovanni? Oltre a dire due volte questa parola alla Vergine (una alle nozze di Cana e un'altra sulla croce, nel momento in cui affida la madre a Giovanni), egli la pronuncia altre tre volte. Vediamo a chi e in quali circostanze: questo forse ci offrirà spunti interessanti. Cristo dice «donna» nel corso della conversazione con la samaritana (Giovanni 4,16-19): «Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui.» Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta». Cristo perdona la samaritana; poi, rispondendo a una sua domanda, dice (versetto 21): 255 Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. A questa donna dice: «è giunto il momento», mentre a un'altra, la Vergine, aveva detto: «Non è ancora giunta la mia ora». Questa volta parla a una peccatrice, a una donna che ha una vita sessuale molto intensa, e questa donna che conduce un'intensa attività sessuale lo riconosce e diventa sua discepola. Cristo dice una seconda volta «donna» quando si rivolge all'adultera. Gli scribi e i farisei la conducono da lui affinché la giudichi, poiché quella donna è stata sorpresa in fl agrante reato di adulterio. Cercano di tendere una trappola a Cristo, ma lui risponde loro (Giovanni 8,7): Chi di voi è senza peccato, scagli per p ri mo la pietra contro di lei. Allora tutti rinunciano a lapidarla e se ne vanno; poi, Cristo, , dice all'adultera (Giovanni 8,10): Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? E poi aggiunge: Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più. L'adultera è la seconda donna che ha un'intensa vita ses suale, e lui la perdona. La terza volta dice «donna» a Maria di Magdala (o Maria Maddalena), che la tradizione ritrae spesso come una prosti tuta convertita. Sta cercando il corpo di Cristo che è sparit dall a tomba. Le si presentano due angeli vestiti di bianco nell stesso punto dove si trovava il corpo e le chiedono (Giovanna. 20,13-15): Quando Cristo risuscita, la prima persona davanti a cui si manifesta non è sua madre, bensì Maria Maddalena, che ha avuto un'intensa vita sessuale. Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. Perché dice che non è ancora giunta la sua ora? Perché esita: non gli sembra ancora venuto il momento perché sa che il suo primo miracolo provocherà inevitabilmente la sua crocifissione. Fare il primo miracolo significa essere crocifisso, ma non è la crocifissione lo scopo di Cristo, bensì la risurrezione. È fare tutto quello che ha fatto dopo essere stato crocifisso, è diventare il cuore dell'Universo. Quindi la donna che ha di fr onte è sia sua madre sia sua figlia. (All'inizio, quando l'angelo parla a Maria, lei è figlia di Dio; Dio parla a sua figlia e poi la possiede. Lei, quindi, è sua madre e in seguito sua moglie. D'altra parte, potrebbe il Cristo avere una donna che non avesse un livello spirituale pari al suo? Se non è la Vergine Maria, chi mai potrebbe essere?) È dunque la madre, che è anche la moglie e la figlia, a condannarlo alla crocifissione... e alla libertà. La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». Subito lei lo compromette socialmente. Non lo ascolta e lo obbliga a superare la sua titubanza. Fate quello che vi dirà. «Donna, perché piangi?» Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Dal momento in cui Maria pronuncia queste parole, Cristo si trova di fr onte a persone che si aspettano da lui delle indicazioni. Tutti i servi lo guardano e lui, confuso, si tiene in disparte. Maria lo spinge ad agire: ciò significa che se vogliamo risvegliare il nostro Dio interiore, se vogliamo darci a Lui, dobbiamo metterlo in azione. È necessario dirgli: «Nella mia vita manca questo e quello. Nella mia vita non c'è vino. Non c'è estasi». Se ci risponde: «Non è venuto il momento de ll a mia manifestazione», dovremo obbligarlo: «Queste sono solo parole! Ci 256 257 vogliono fatti! Immediatamente! Forza! Creatività! Mi metto subito a creare, mi getto nell'opera!». Il nostro Dio interiore potrebbe tergiversare: «Ma no! Per preparare l'opera mi occorrono vent'anni!», ma noi dovremo insistere: «No! Obbedisci! Ce n'è bisogno. Obbedisci!». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. Se un barile equivale a quaranta litri, ogni giara aveva una capienza dagli ottanta ai centoventi litri. Sottolineiamo che si , tratta di sei uomini - Cristo e i suoi cinque discepoli -, come sono sei le giare di pietra: ci sono tante giare quante le persone ;' i ll uminate. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. Questa frase è di enorme sottigliezza. Immaginiamo la st L na che si svolge tra i servi, non tra gli invitati; questi stanno `. semplicemente aspettando. Dunque, da una pa rt e ci sono i servi al lavoro: preparano il matrimonio, il banchetto, servono in tavola... Sono preoccupati perché non hanno niente da off ' ire: sono le persone; umili. Dall'altra parte ci sono gli invitati: i religiosi, gli scribi; non sono allegri: sono adepti di una religione che non gli si confà più. Vicino ai servi che lavorano c'è Maria, questa donna incrc ^ dibile che accompagna quell'uomo straordinario, contemplato dai suoi discepoli con ammirazione e fede. Quando i servi si avvicinano, Gesù dice loro: Riempite d'acqua le giare. Si arriva così a ottanta-centoventi litri d'acqua moltiplica per sei, cioè fra i cinquecento e i settecento litri. Bisogn rendersi conto che trasportare settecento litri è un lavor faticosissimo, dato che a quei tempi non esisteva l'acqu corrente ed era necessario andarla a prendere al pozzo. Ip tizzando venti litri per viaggio, i servi hanno dovuto fare al meno trentacinque viaggi. Dev'essere stato lungo e laborioso 258 eppure alla fine hanno riempito le giare fino all'orlo. Perché lo hanno fatto? Se fossi stato un servo e non avessi avuto fede, avrei fatto uno o due viaggi al massimo. Avrei pensato che quell'acqua sarebbe bastata. L'uomo che ha esortato a riempire d'acqua le giare non aveva alcuna autorità sui servi, non era il loro padrone né il loro capo. Non poteva obbligarli a obbedire e non disponeva di mezzi per costringerli. Lo ha chiesto invece tranquillamente, e i servi hanno subito fatto quel che voleva. Hanno riempito le giare «fino all'orlo»: ciò dimostra che avevano una fede totale. Se crediamo al nostro Dio interiore e lo preghiamo di darci la pienezza, non succede niente se il nostro ricettacolo, il nostro cuore, non è pieno della richiesta fino all'orlo. Per chiedere, bisogna saper formulare una richiesta completa. Se non si compie è perché rimane qualcosa che non abbiamo chiesto, e in tal caso il miracolo non avviene. È necessario che la domanda sia totale: fino all'orlo. E i discepoli aspettavano con rispetto misto ad ammirazione. In quel preciso momento [Gesù] Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino... Immaginiamo la scena: le giare erano lì, i servi stanno terminando di riempirle. Sono stanchi: hanno compiuto un lavoro enorme. Nella stanza regnano il silenzio e la pace. Secondo me, accade tutto in cucina: probabilmente Gesù è andato proprio lì. In ogni caso, è certo che il miracolo non si realizza di fr onte a tutti ma in gran segreto. A pa rte i domestici, infatti, non se ne rende conto nessuno. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la po rta, prega il Padre tuo nel segreto». Fa' le cose in segreto, non pubblicamente! Che nessuno Sappia cosa accade in te. Prega nel segreto della tua anima. La tua realizzazione appartiene soltanto a te e a nessun altro. 259 Non divulgare la tua ricerca prima che sia terminata. Non uccidere il pulcino prima che esca dall'uovo, non contare i piccoli sacrifici che fai. Non contare niente. Tranquillamente, custodisci tutto dentro di te, come un guerriero. La Vergine non esprime niente: custodisce tutto nel suo cuore, anche il Cristo. Non penso che compia il miracolo con una messinscena spettacolare. Non mette una mano nell'acqua. Non cammina attorno alle giare. In realtà non fa proprio niente, nemmeno un gesto. In questo caso, come avviene il miracolo? Per mantenersi in vita, una cosa ha bisogno di un Dio interiore, di un «programmatore». Senza di Lui non può sopravvivere. Tutto ciò che non possiede un Dio interiore è incapace di conservare la vita. Pensiamo a un ologramma. Anche se lo sezioniamo in piccoli frammenti, in ciascuno di essi ritroviamo l'intero disegno: se dividiamo un ologramma in venti pezzi, otterremo venti ologrammi. Se prendiamo una goccia dall'oceano, possiamo senza dubbio affermare che anche in essa c'è il Dio interiore dell'intero oceano. Quando la separiamo dall'oceano, infatti, anche questa goccia contiene il Dio interiore. Ciò implica che il Dio interiore è dappertutto, in ogni atomo. Se separo una delle mie cellul e . a partire da questa posso ricostruirmi interamente. Se sono capace di ricostruirmi in tal modo, non farò soltanto un corpo che sembra vivo: creerò invece un essere completo col suo Dio interiore. Immaginiamo perciò la scena: Dio è lì, l'acqua nelle giare si rallegra perché sente che le sarà concesso di elevarsi. Lo spirito dell'acqua, prima del miracolo, è come il nostro spirito prima dell'arrivo e dell'accettazione del Dio interiore. Allora, l'acqua è lì e noi siamo lì, colmi fino all'orlo. Aspet , tiamo.Dfrnec'èlstoMar,vinld poiché se non ci fosse donna non ci sarebbe Dio e nemmeno il miracolo. Per realizzare il prodigio, egli deve riconoscere' , sua madre come donna. Se non la riconosce in quanto tale,. infatti, non riuscirà a trasformare l'acqua in vino. Per la se conda volta troviamo la Vergine Maria alla base di tutta la ' 260 Passione e di tutto il Vangelo: è il motore centrale. Se nel corso di queste nozze lei non avesse sollecitato Cristo, non sarebbe successo nulla, l'ora non sarebbe mai giunta. Affinché giunga l'ora dobbiamo riconoscere la nostra donna interiore, altrimenti non si può fare nulla: dobbiamo pertanto riconoscere il nostro corpo. In questo momento Cristo cerca il Padre, il Dio interiore, nel suo corpo umano, nella sua carne. S'immerge in Lui. Poi cerca nell'acqua il Dio interiore dell'acqua e si collega con Esso. Cristo si cancella completamente: è il suo Dio interiore a entrare nell'acqua e quest'acqua si trasforma subito in vino. Proviamo a immaginare la contentezza di quest'acqua nel trasformarsi in vino: il miracolo si realizza sempre nella gioia totale. La comunicazione si stabilisce da un Dio interiore all'altro. Il corpo di Cristo è un canale, l'acqua è un canale e il Dio cosmico ci passa attraverso. Più avanti, nel capitolo dei mercanti del tempio, vedremo Cristo affermare che il tempio è la casa del Padre e parlare del proprio corpo come di un tempio. Ciò significa che, quando prega, il suo corpo diventa un tempio: prega suo Padre, più suo Padre che se stesso, e durante questa preghiera si stabilisce un canale di comunicazione fra Cristo e l'acqua, che comincia a nascere per la seconda volta, diventando vino. Quando stabiliamo un rapporto col nostro Dio interiore, tutta la nostra acqua si trasformerà in vino. Tuttavia rimarrà dentro di noi perché alla fine, quando verrà sferrato il colpo di lancia a Cristo, l'acqua e il vino usciranno per ricordare le nozze in cui la materia si era unita profondamente con lo spirito. La trasformazione dell'acqua pura in vino è come quella del corpo mortale di Cristo in corpo eterno, come la trasformazione della Vergine Maria in entità cosmica. Come si compie un miracolo? A volte, sul lavoro, in famiglia o con gli amici ci rendiamo conto che la situazione è bloccata: a meno che non avvenga un miracolo, non si va avanti. 261 Noi non siamo in grado di compierlo, ma sappiamo che è necessario, e non per i nostri fini personali; allora preghiamo con fede e il miracolo avviene. Cristo non produce il vino per ubriacarsi ma perché nella civiltà dell'epoca il vino mancava. Le nozze di Cana sono la civiltà attuale: c'è bisogno di qualcuno che faccia il vino, è necessario che ci sia una Vergine Maria che dica al Dio interiore: «Ascolta, è giunta l'ora! Non possiamo più aspettare! È urgente! Se non cominci adesso, non si realizzerà niente. Agisci subito, per favore! Portate l'acqua!». Cominciamo subito! Per questo dobbiamo pregare umilmente, sapendo che non siamo in grado di compiere il miracolo. Nessun santo l'ha mai fatto. Ci sbagliamo di grosso quando diciamo di qualcuno: «Quell'uomo faceva miracoli». Nessuno può compiere un miracolo se non è il Cristo, vale a dire se non è il nostro Dio interiore. Non siamo mai noi a compiere un miracolo. Occorre, dunque, che il miracolo sia utile e disinteressato. Dobbiamo sapere che non compiremo un miracolo per il nostro tornaconto ma per quello degli altri. Solo allora sarà possibile. Chiederemo al nostro Dio interiore: «Per favore, concedi un po' di gioia a questa gente. Per favore, fa' che le nozze gioiose giungano a ll a loro realizzazione. Condividiamo! Da' la pace al mondo a partire dai più umili». È a partire dai più umili che si costruisce la pace, non dai potenti. Saranno i più umili a portare i miracoli ai più potenti: prima del maestro di tavola, infatti, chi ha saputo del miracolo della trasformazione dell'acqua in vino? I servi. Poi, la festa intera ha gioito del miracolo ma senza sapere chi lo . aveva compiuto. Il Cristo non ne ha ricavato alcun beneficio, nemmeno la Vergine Maria e i cinque discepoli. Il maestro di tavola, dunque, assaggia il vino... che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo... È allo sposo che si rivolge, non a ll a sposa. 262 e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono...». Dice così, evidentemente, perché gli invitati, a quel punto, sono così ubriachi che bevono qualsiasi cosa. Gurdjieff ha detto: «Per venderti una bugia, ti danno una piccola verità». Come dire: «Attenzione! Ogni volta che qualcuno vuole esercitare del potere su di te, ti dà una piccola verità. Poi, con quella piccola verità ti vende una grossa bugia: ti dà il vino buono all'inizio e, quando sei abbastanza ubriaco, ti passa qualsiasi cosa e tu la bevi perché non te ne accorgi». Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono. Il maestro di tavola si rende conto della meraviglia. Riusciamo a immaginare il sapore di quel vino? Era il migliore di tutta la terra. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono là solo pochi giorni. Qui il Vangelo dice di nuovo «sua madre». Una volta che lei ha indotto il miracolo, la donna diventa di nuovo madre. (Se la Vergine Maria è Madre, lo è per tutta l'umanità. Lo stesso si può dire di Eva. Maria è il simbolo che riunisce tutte le madri passate, presenti e future. Perciò ogni essere umano, essendo figlio di Dio, è fratello di Gesù Cristo.) Gesù va con sua madre, non la dimentica mai: Maria e il Cristo formano una dualità come lo Yin e lo Yang in Oriente. Creano fondamenta perfette, ma per agire mancano ancora discepoli. Cristo non agisce mai da solo nel mondo. È solo unicamente quando va nel deserto per combattere contro se stesso. A partire dal momento in cui entra nel mondo è un uomo socievole, non si isola. Si può dire che ha bisogno di discepoli, perché è attraverso di loro che si manifesterà. Se le persone non lavorano, la coscienza suprema non può 263 realizzarsi. Una persona che ha fatto il suo lavoro ha assolutamente bisogno che gli altri facciano il loro, perché la coscienza cosmica non può prodursi finché tutta l'umanità non avrà raggiunto il livello della coscienza. Altrimenti, non ci sarà Dio: il nuovo Cristo non verrà mai. Dobbiamo lavorare affinché tutte le persone intorno a noi innalzino il loro livello di coscienza e raggiungano la loro pienezza. Raggiungere la pienezza significa avvicinarsi sempre più al proprio Dio interiore. Il lavoro consiste, allora, nell'aiutare gli altri insegnando loro a pregare, a meditare, ad aver fiducia, a trovare il proprio scopo... Per aiutarli, c'è bisogno di miracoli. Ognuno di noi deve compierne. Non è parlando con una persona che questa cambierà: possiamo parlarle per vent'anni e - se non vuole o non può capire - le nostre parole non le faranno alcun effetto. Si cambia atteggiamento, allora, e si trova un altro modo: pregare per lei. Se preghiamo per gli altri, diventa possibile il cambiamento. In questo caso non siamo noi a produrlo, ma il nostro Dio interiore. È una nozione che non dobbiamo dimenticare. La tentazione e il male consistono proprio nel credere di essere gli unici artefici de ll a guarigione degli altri. Quando preghiamo, dobbiamo riempire le sei giare di pietra fino all'orlo, dobbiamo cioè pregare dove e quando possiamo, dappertutto. Eleviamo, dunque, un'intensa preghiera per l'altro e, quando siamo entrati in rapporto con lui, mettiamo tutto il nostro essere al suo servizio. Nel momento in cui il Cristo si pone di fronte all'acqua, tutto il suo essere è in contatto con essa. Pregare perché avvenga un miracolo significa concentrarsi completamente mentre lo si chiede. Abbiamo il diritto di fare miracoli. Se nella vita troviamo una croce, non dobbiamo fermarci finché non produce una rosa. Se passiamo tutta la vita nella sofferenza, vuol dire che non abbiamo prodotto la nostra rosa, non abbiamo attraversato la nostra carne col nostro spirito e non siamo sbocciati. Se abbiamo a ll e spalle una vita di sofferenze, dobbiamo saper produrre la rosa. Se ci occupiamo. per esempio, di un animale domestico, dobbiamo dargli da mangiare per tutta la vita, senza mai abbandonarlo. Se ci occupiamo di una pianta, non dovremo mai trascurarla. Se si tratta di un bambino, non dovremo perderlo di vista. Qualunque sia l'impegno che ci prendiamo, lo manterremo fino alla fine. E dicano quel che dicano, noi vivremo, lotteremo e insisteremo finché non nascerà una rosa, perché sappiamo che ci riusciremo: ecco il miracolo. Se non molliamo, la rosa finirà per sbocciare. Perfino nel momento dell'agonia, nascerà. Tutto ciò che abbiamo desiderato avverrà. «Chiedi e ti sarà dato»: anche se la situazione è pessima, terribile, quella situazione farà nascere la rosa... se perseveriamo. Che la rosa nasca prima o dopo non ha alcuna importanza poiché l'obiettivo, la cosa essenziale, è eterno. : . '; ' 264 265 XII I MERCANTI DEL TEMPIO (Matteo 21,12-17) Gesù entrò poi nel tempio... Il tempio non può condurre altro che al centro. Come vedremo più avanti, il tempio è il nostro corpo con tutto ciò che contiene: il corpo astrale, il corpo cosmico, il corpo fisico. Quando si entra nel tempio, non si può far altro che andare , verso il centro, cioè verso il proprio Dio interiore. Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «La Scrittura dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri». Secondo i Vangeli, Cristo giunge in un momento di cris, profonda. Il sistema non funziona più, perché nessuno vive; più col cuore. Anche oggi ci troviamo in un momento di crisi profonda;, nella quale gli esseri coscienti non trovano niente da amar " e in cui credere. Si tratta altresì di una profonda crisi interiore: è molto dif ficile trovare nel nostro intimo qualcosa che ci faccia crede in noi stessi e amare quel che siamo. Scacciare i mercanti dal tempio, allora, non significa sol 266 mente mandar via gli estranei che usurpano un luogo concepito per la preghiera; significa anche scacciare i mercanti che fanno commercio nel nostro tempio interiore. Il tempio che io sono non è puro: è pieno di mercanti che vogliono delle cose: barattare, farsi lodare, farsi amare, e che desiderano quello che possiedono gli altri, pretendono il loro posto ecc. Costoro litigano dentro di me e mercanteggiano: «Se mi dài, ti do. Se non mi dài, non ti do». Gesù ha scacciato i mercanti dal tempio: scacciamo i mercanti dal nostro tempio interiore! II gesto di Gesù è anche estremamente umanitario. A quell'epoca si facevano dei sacrifici: la gente ammazzava delle colombe e questi animali venivano venduti nel tempio per essere sgozzati. È foi uiidabile, dunque, che Cristo abbia fermato questo macello. Che cosa ci facevano i «cambiavalute» in un tempio? Le persone religiose, che venivano dal mondo intero, cambiavano il proprio denaro con una moneta che permettesse loro di comprare gli animali. Era un vero e proprio commercio. Con quale diritto Cristo scaccia i mercanti? Lo fa perché è il proprietario del tempio! Quindi, con quale diritto intraprendiamo le nostre azioni? Possiamo agire perché siamo i proprietari di tutto quello che c'è sulla terra. Prendiamo possesso del pianeta: ci appartiene! La terra non ha mai avuto un proprietario individuale: appartiene a tutti. Rispettiamo i contratti di chiunque, ma quanto tempo dureranno? Due o tre secoli, al massimo. E subito dopo la terra non apparterrà più a nessuno in particolare. Gesù prende possesso del tempio. Anche noi possiamo prenderne possesso. Quando Cristo entra nel tempio, entra nel suo tempio: quando risvegliamo il nostro Dio interiore, Egli entra dentro di noi e scaccia i mercanti. Questo Cristo interiore che chiamiamo estasi, gioia di vivere, profondità totale, espelle da noi tutte le c ontrattazioni inutili. 267 In quel momento ci decidiamo a vivere in un tempio riservato esclusivamente al piacere della preghiera e a nient'altro. E cos'è la preghiera? Un dialogo permanente fra quello che siamo e quello che non siamo. Perché, da qualche pa rte dentro di noi, noi non siamo. Un re manda un emissario alla casa di un grande saggio indùper invitarlo a palazzo. Quando l'emissario presenta l'invito al saggio, questi risponde: «Non posso venire perché io non esisto. Nessuno potrebbe andare a palazzo.» Quando gli trasmettono le parole del saggio, il re esclama: «Come si permette di rispondermi così? Digli che venga immediatamente, e se non vuole trascinalo con la forza!» Quando il saggio si trova davanti al re, questi gli domanda: «Come puoi dire che non esisti e che non sei qui? A me sembra molto evidente che sei qui.» Il saggio risponde: »No. Non ci sono perché non esisto.» Il re si sforza di dimostrare al saggio che si trova proprio lì, inpied i davanti a lui, in carne e ossa; toccandolo, il re esclama superbo: «Ah, sì? E questo, cos'è questo?» Allora il saggio gli mostra la carrozza con cui era giunto a palazz e gli dice: «Vedi? Sono venuto con questa carrozza. Se tolgo il cavallo, quest a male è la carrozza intera?» «No» risponde il re. «Il cavallo non è la carrozza.» «Tolgo le ruote» continua il saggio. «Sono la carrozza?» «No, le ruote non sono la carrozza.» «Molto bene. Tolgo gli assi. Sono questi la carrozza?» E così, il saggio smonta la carrozza pezzo per pezzo davanti al che non riconosce la carrozza in nessuno di essi. Alla fine, non rima niente. La carrozza non è da nessuna parte. Non ci sono altro che d pezzi. È una lezione formidabile. Quando tolgo tutte le parti c formano la mia persona e mi domando «Chi sono»?, c rimane di me? «Chi sono?», «Dove mi trovo?»: non mi trovo in nesso part e di me. L'unica realtà esistente in me è il mio centro, 268 però non mi appartiene. È la scinti lla divina che dirige la mia fede, la mia circolazione sanguigna, la mia respirazione e tutto il resto, è quella che mi uccide in un preciso momento, che mi fa ammalare quando è necessario darmi una lezione, che mi provoca l'incidente, che mi salva, che mi dà le mie fattezze, che dirige i miei processi intestinali ecc. È questa scintilla divina, questa divinità che si trova nella mia interiorità ed è collegata direttamente al centro dell'Universo, a permettermi di vivere e ad annichilirmi quando lo vuole. Se siamo vivi è perché Dio lo vuole. Quale Dio? La nostra programmazione interiore, con la quale non possiamo giocare e alla quale non siamo capaci di impartire ordini. Per il resto, quando siamo ammalati gravemente, l'unica cosa che possiamo fare è pregare il nostro Dio interiore. Bisogna trovare il modo di pregare, per lasciarci invadere dal nostro Dio. Quando arriviamo al centro, cosa succede? Non vi entriamo: siamo completamente invasi dal nostro Dio interiore, perché quella piccola scintilla è infinitamente più potente di noi. Allora, ci lasciamo inondare da Lui ed Egli comincia a guidarci. Nella conversazione con Nicodemo (Giovanni 3,1-21), il Cristo avverte il suo interlocutore: Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce... Di questo si tratta, della voce del nostro Dio interiore. ... ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito. Obbediamo perciò alla nostra via e alla nostra voce interiore! L'altro mercante del tempio è l'aggressione. I mercanti del tempio sono aggressivi: uccidono gli animali, ammazzano delle bestie innocenti col pretesto di elevare la preghiera. Quando e Perché la preghiera dovrebbe essere un crimine? 269 La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri. Ogni pensiero aggressivo che formuliamo è un ladro. Ogni nostra mancanza di fede è un criminale. Ogni volta che ascoltiamo con atteggiamento critico e non col cuore siamo fuori strada. Ogni volta che contrattiamo, facciamo del nostro cuore una spelonca di ladri. Quest'uomo, che i religiosi non possono sopportare poiché sono limitati e si rinchiudono nelle loro idee e convinzioni, quest'uomo ha una tale presenza che può brandire una frusta e affi optare centinaia di persone. Furibondo? Può il Cristo andare in collera? Una persona va in co ll era quando si sente impotente e non può fare quel che vuole. Cristo può fare quel che vuole, poiché è capace di compiere miracoli. Gli sarebbe bastato scaraventare in aria i venditori o trasformarli in rane e tutto sarebbe finito li, come nei racconti de ll e Mille e una notte. Perché andò ;y in collera? Quando scaccia i mercanti, Cristo compie un atto utile senza la minima collera poiché non può odiare: è tutto amore; Quando si trova davanti ai mercanti, li scaccia freddamente, senza ira. Cristo segna una pietra miliare per il futuro. Offre un esem pio, poiché sa che ogni atto che compie sarà seguito dall'urna,`- : e quella che verrà. nitàera:quldpsto Non compie le sue azioni, qui e ora, soltanto per un gruppq ^ Le compie, qui e ora, per l'umanità intera, poiché nel «qui c'è tutta la razza umana. Cristo scaccia i mercanti dal tempio per sempre: in saecu saeculorum, in aeternum. Nel momento in cui Cristo dice: «Niente mercanti nel te pio!», il labirinto si dissolve, non ci sono più trappole, ostato o imboscate. La via comincia a diventare pura e l'unica co che ci resta da fare è pregare di poter proseguire. Ma preg in maniera semplice! Non occorre passare attraverso tecniche complesse né 270 citare lunghe pappardelle. Basta una parola. Nei primi secoli, Padri della Chiesa dicevano: «Non abbiamo tempo per fare i lunghe preghiere». Dio, il nostro Dio interiore, sa di cosa abbiamo bisogno. Perciò, l'unica preghiera necessaria è: aiutami! Dobbiamo tuttavia avere l'umiltà di chiedere questo aiuto al nostro essere interiore. Siamo così orgogliosi da pensare che tutta la nostra interiorità ci appartenga. Crediamo di non aver bisogno di chiederci aiuto e che, se lo facciamo, dobbiamo rivolgere la richiesta solo al nostro inconscio. Il nostro inconscio! Come se ci fosse un inconscio personale! (In un certo senso esiste un inconscio personale, ma da un punto di vista molto diverso. Chi parla di inconscio in termini individuali si separa dal Tutto. «Io» non è Dio, ma Dio è «io».) Secondo l'opinione comune, ci trasciniamo dietro un enorme baule che si chiama inconscio, un oscuro baule. Lì dentro è notte e in quelle tenebre vive una balena nera e cieca. Crediamo che l'inconscio sia questo ma, d'improvviso, ci infiliamo la mano e ne estraiamo un piccolo Giona. Ci portiamo appresso una balena senza sapere che dentro c'è un Giona! In realtà, non c'è inconscio. Non c'è perché non c'è inconscio personale. Non c'è niente di personale... se non un punto di vista, una coscienza. Un punto di vista è tutto quello che ci è concesso. Un piccolo, meraviglioso punto di vista: un piccolo Pinocchio che andrà nel ventre de ll a balena e lì troverà suo padre. Questo piccolo punto di vista si lascerà assorbire dal respiro. Il vento soffia e aspira, poiché per soffiare deve anche aspirare. Il vento soffia, dunque, dove vuole, ma ci aspira. Ci lasciamo aspirare dentro di noi, dato che non siamo noi a cercare la perfezione ma è la perfezione che cerca noi. Non siamo noi a cercare Cristo: è Cristo che cerca noi. Quando parlo di Cristo, parlo del nostro Cristo interiore... Laltro lo lascio fuori: si è riprodotto in milioni di esemplari. Parlo del nostro Cristo interiore, adesso, qui e ora. Ci sta chiamando. Dice: «Posso aiutarti. Posso compiere il miracolo. Posso guarirti. Tu non capirai niente perché il tuo scop o non è di capire». 271 Non c'è peccato più grande che dire «Capisco», oppure «Sono io che ho fatto questo». Non siamo noi a fare. Le cose si fanno in noi. Questa è la preghiera suprema, umile, quella che non chiede nulla e che si pronuncia colmi di gratitudine: «Sono tuo». Bastano queste due parole. Con l'intera anima divenuta fede, mi fondo con la divinità. Essa sa perfettamente di cosa ho bisogno. Cristo scaccia i mercanti dal tempio per dare loro una lezione, ma li ama. Quando Dio scaccia Adamo ed Eva dal paradiso, non li sta odiando. È impossibile: sono la sua opera, li ama. Nel momento stesso in cui li scaccia dal paradiso sa che si incarnerà e che loro ritorneranno in paradiso. Per rialzarsi bisogna essere caduti. Quando Dio scaccia Adamo ed Eva li ricopre con pelli d'animali, non li manda via nudi! È un grande atto d'amore. Questo Dio è tutto amore e noi non lo comprendiamo: a volte crediamo che Egli sia solo castigo, e invece è tutto amore. Cristo scaccia le persone che vendono animali per i sacrifici, ! espelle il commercio dal tempio. D'altra pa rte, guarisce i ciechi ,: e gli zoppi. È un atto ancor più rivoluzionario del precedente Vediamo perché. Il passo seguente, estratto dal Levitico, 21,16-23, descrive . casi che impediscono l'accesso al sacerdozio: Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla ad Aronne e digli: Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano...». Il tempio sacro si trova dietro la tenda, dove c'è l'alta Simbolicamente, non si entra nel tempio finché non ci si tra vicini all'altare, il luogo dove si realizza l'unione con Dio. Ma i ciechi e gli zoppi sono esclusi del tempio! È qualc di mostruoso. Abbiamo visto Mosè dire che se una donna p 272 torisce un maschio resta impura per quaranta giorni, mentre se genera una figlia resta impura per ottanta giorni. Partorire viene considerata un'impurità perché da qualche parte ci dev'essere un piacere nascosto, e il piacere, secondo Mosè, è proibito. Sappiamo che Mosè era balbuziente e che per questo motivo Aronne parlava in sua vece. Mosè è metà della verità perché balbetta: non incarna tutta la verità. Gli manca la donna interiore: non ha mai avuto un archetipo femminile al suo fianco, come Cristo l'ha invece avuto in Maria. Più tardi, Davide obbedisce completamente a Mosè. Quando si stabilisce a Gerusalemme dice: «Il cieco e lo zoppo non entreranno nella casa» (2 Samuele 5,8). E cosa fa Cristo? Non solo impedisce il sacrificio degli animali, ma lascia entrare gli invalidi nel tempio e li conduce, così credo, fino all'altare. Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio... Si trovavano nel tempio. Per migliaia d'anni era stato proibito loro di entrare: non potevano farlo, ma lo desideravano. Tutti siamo ciechi e zoppi. ed egli li guarì. È molto bello: che rivoluzione! Guarire i ciechi e gli storpi nel tempio è molto più fo rte che scacciare i mercanti. Tramite questo atto da grande rivoluzionario, Gesù si ribella alla Legge di Mosè: una vera e propria presa di posizione contro questa Legge, contro il feroce archetipo paterno. Cristo, naturalmente, adora il Padre perché egli stesso è il Padre; è comunque stanco di quel «padre» che si era costruito sul Padre, che è tutto amore, non l'odioso personaggio in cui l'hanno trasformato. Lamore del Padre è infinito, è fo rte quanto l'amore della Madre. Il Padre non può manifestarlo materialmente, dato che non può né allattare né partorire. Tuttavia, dal momento in cui il bambino viene al mondo, Lui lo accoglie nelle proprie mani, nella propria opera spirituale. Il Padre è altrettanto meraviglioso della Madre. 273 L'amore materno e paterno: questi due amori si integreranno; il Padre cosmico e la Madre cosmica. Tutti i simboli sacri sono sempre androgini, non può essere altrimenti. Quando entra nel tempio, Cristo agisce in nome della donna e non dell'uomo perché, nel momento in cui si presenta in quel luogo, il feroce archetipo paterno ha preso possesso del tempio. In cosa siamo ciechi e storpi anche noi? Non siamo capaci di vedere tutta la verità. Ne vediamo soltanto una pa rt e e dobbiamo umilmente accettare questo fatto, dato che non la vedremo intera fino al giorno della nostra mo rt e. Nessuno può vederla. Se qualcuno la vedesse, rimarrebbe fulminato all'istante. Siamo una goccia. Non possiamo vedere l'oceano ma siamo capaci d'immergerci in esso. Non possiamo andare verso la divinità. È Lei che deve venire verso di noi, deve aspirarci. Come diceva un rabbino hassidico, è come la relazione tra un padre e il figlioletto. Il padre tiene in braccio il bambino finché è necessario, poi lo lascia quando muove i primi pass ma lo sostiene se inciampa. Mentre il bambino cresce nel benessere, il padre è presente e lo aiuta con pazienza e amore. Con l'aiuto di Dio, anche noi ce la faremo, pur essendo , storpi e ciechi. Colui che ha solo mani aiuterà con le sue mani; colui che ha solo piedi aiuterà con i suoi piedi questa grande opera spirituale. Il Cristo restituisce la vista al cieco e fa sì che lo storpio cammini. Quando il nostro Dio interiore ci faci li ta la visione, ci permette di vederlo senza vederlo, di avanzare verso di Lui senza avanzare verso di Lui. È questa la guarigione: avanzare verso il nostro centro, un centro di inconcepibile potere. Tuttavia, affinché possa esercitarlo, è necessario scacciare tutti i mercanti, limare tutte le asperità. vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide»... [Matteo 21,15] Cristo è paragonato a Davide. Eppure, egli fa ciò che Davide aveva proibito, si ribella contro la tradizione: guarisce gratuitamente le persone. Nessun commercio nella casa del Padre! Ma i sommi sacerdoti e gli scribi ... si sdegnarono e gli dissero: «Non senti quello che dicono?». Dobbiamo amare i nostri limiti. Come fare? La mia malatt ia sono io e non la rifiuto, anzi l'assumo completamente: vi enti tutto quanto con la mia coscienza. Entro in maniera integrale nei miei limiti, li onoro, li riconosco. È per questo che l'umiltà non è bella ma utile: accetto' i miei limiti e mi ci immergo completamente perché non «ho limiti: io sono i miei limiti. Se non ho, sono. Non ho un corpo: sono un corpo. Se ques corpo ha una malattia, io sono la malattia. Bisogna viveri in modo che sia subito al servizio di quello che faccio. So allora non mi disturberà più. Ejo Takata, un Maestro zen, citava spesso questa poesia:. Cristo diceva la verità, ma i sacerdoti e gli scribi volevano assassinarlo. Molte persone vogliono eliminare il proprio Dio interiore: è la rivolta del diavolo. Il nostro diavolo interiore vuole eliminare questa pa rt e nella quale non siamo niente. Noi non accettiamo di essere niente, vogliamo essere, e invece dobbiamo imparare a non essere. L'arte sacra è sempre anonima, ogni opera basata sul proprio Dio interiore è anonima. Se risvegliamo il nostro Dio interiore, nessuno lo sa. Cristo ci chiede di pregare nell'oscurità: non si tratta di mostrare agli altri che vogliamo risvegliare il nostro Dio interiore. Dobbiamo accettare la chiamata, che è una chiamata personale. Molte persone sono state canonizzate, ma quanti santi laici non sono passati alla storia? Quante persone, qui e ora, si trovano in stato di santità? Non lo sapremo mai. 274 275 I sommi sacerdoti e gli scribi vogliono dunque uccidere Cristo. Ogni volta che diciamo a qualcuno: «Il tempio è tuo», ogni volta che gli concediamo il dominio di se stesso dicendogli: «Sei tu il tuo Dio, il tuo Maestro», ovviamente coloro che si reputano i proprietari della terra e degli esseri umani s'indigneranno e vorranno eliminarci. Quei «proprietari» pensano: «Con quale diritto questo individuo viene a dire che ognuno è padrone del proprio tempio? Il tempio è mio, non loro! Sono io ad avere un Dio interiore. Tutti devono venire a me. Con quale diritto questo individuo dice che tutti possono comunicare con Dio senza la mia intermediazione? Bisogna bruciarlo! Non è possibile! È una canaglia!». Si vuole, dunque, ammazzare il Dio interiore. Perché? Perché questo Cristo che parla è la nostra voce interiore che ci dice: «Scaccia i mercanti dal tempio! Non lasciarti comprare! Non permettere che un altro decida al tuo posto. Non appartenere a nessuno altro che a te stesso e collabora con gli altri!». Un tempio sta accanto a un altro: c'è un esercito di templi. Un giorno, in ciascuno di essi ci sarà un Dio interiore in preghiera: ogni essere umano sarà una cattedrale. Ciascuno di noi ha un Cristo interiore, ma non crocifisso bensì trionfante! Lostia che ci è concessa ce l'abbiamo già nel cuore, altrimenti non saremmo capaci di digerirla. Nessuno può darci ciò che non abbiamo già. «Come potresti cercarmi se non mi conoscessi da prima?»: non possiamo cercare ciò che non siamo. Riceviamo solo quello che possediamo già. Lo zen dice: «Se hai il bastone, ti do il bastone. Se non hai il bastone, te lo tolgo». In Luca (19,26) è detto: «A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha». Vale a dire: se abbiamo qualcosa dentro di noi lo cerchiamo, ma se non c'è, come potremmo cercarlo? Non possiamo conoscere niente se non ce l'abbiamo già. Abbiamo scritto il Vangelo, tutti noi, poiché questa storia risponde a una necessità assoluta dell'essere umano. Se non esistesse, bisognerebbe scriverlo. 276 e gli dissero: «Non senti quello che dicono?». Gesù rispose loro: «Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?». Dice loro di essere figlio di Davide e cita il Salmo di Davide (8,3) nell'Antico Testamento: «Da ll a bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode». Cristo si rivolge ai bambini, non ai grandi sapienti né alle persone che sanno tutto e sono completamente bloccate in una tradizione caduca. ` La guarigione viene da un amore infinito per gli altri (l'amore per noi stessi è l'amore per il nostro Dio interiore). Se non proviamo amore per gli altri non possiamo guarirli e nemmeno guarirci. Curare non significa eliminare la malattia, ma imparare a vivere con essa. Saper vivere con è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, significa fare del nostro meglio con quello che abbiamo e nel momento in cui ci troviamo. Perciò, vivi con. Vivi con la tua età, con i tuoi occhi, con la tua gamba zoppa. Vivi! Siamo venuti al mondo per vivere nella pienezza e nel piacere. Quando Cristo si rivolge direttamente ai bambini e ai lattanti parla a tutte le persone che accettano con umiltà il concetto di tempio personale. Vediamo cosa dice Giovanni dell'episodio dei mercanti. LA PURIFICAZIONE DEL TEMPIO (Giovanni 2,13-22) Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù sa li a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe... I buoi venivano uccisi. Bisogna capire cosa significa ammazzare un bue: prima erano castrati e poi sacrificati. 277 e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle... Non prende una frusta di cuoio. Sottolineiamo la sottigliezza del testo: esso precisa che la frusta era fatta di corda; Cristo usa questo materiale perché non è di origine animale. Com'è fatta una corda? Si usano piante molto pure, si lasciano macerare e poi s'intrecciano. Per fare una corda, dunque, si ricorre a un processo di decomposizione. Il vino nasce da un processo di fermentazione e il pane da un processo di cottura. Cristo padroneggia costantemente i processi. Si tratta di processi luminosi che simboleggiano la costruzione dell'anima, perché l'anima si costruisce. In seguito vedremo che, secondo Cristo, abbiamo un seme che dobbiamo far crescere. scacciò tu tt i fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». ché all'inizio dubitiamo. Se non avessimo dubbi entreremmo nel labirinto e ci avvieremmo dritti verso la meta. È il dubbio a impedirci di avanzare: non abbiamo fede. Perciò, subito dopo aver scacciato i mercanti dal tempio, Cristo dice davanti al fico che fa rinsecchire (Marco 11,24): Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. «Abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato.» Dobbiamo vivere quel che chiediamo! Vale a dire che, quando vogliamo qualcosa e lo chiediamo al nostro Dio interiore, dobbiamo pensare di averlo ricevuto. Se vogliamo l'intelligenza, dobbiamo pensare di possederla già. Se lavoriamo sulla nostra interiorità, tutto ci sarà concesso. Sempre davanti al fico, Cristo dice la stessa cosa nel Vangelo di Matteo (21,21-22): In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete. Non allontanò lui stesso gli animali e gli oggetti: chiese ai mercanti di portarli via e loro lo fecero, con umiltà, poiché avevano capito. Non li castigò fisicamente e tanto meno li uccise: prese la corda e scacciò. È scritto che rovesciò i banchi ma non che abbia frustato delle persone. Possiamo distruggere un bicchiere di vetro in mille modi, ma per costruirlo c'è un modo solo. Possiamo distruggere la nostra anima in un'infinità di modi, ma c'è un modo solo per costruirla. E ci si può rovinare in mi ll e maniere, ma c'è un solo modo per costruirsi. Subito dopo aver scacciato i mercanti dal tempio, Cristo comincia a parlare della fede. I suoi discepoli non ne hanno («se avrete fede»). È normale che un discepolo non abbia fede: quando ce l'ha non è più un discepolo, ma un Maestro. Tutte le vie, dunque, sono piene di dubbi, finché non nasciamo alla fede. Ma la fede non basta. Tuttavia, per il momento continuiamo con l'episodio della purificazione del tempio (Giovanni 2,18-19): I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Qui i discepoli sono impauriti: vedono la morte, non credono. All'inizio dubitano. È per questo che il tragitto nel labirinto di Cha rt res è sinuoso e spesso costringe a retrocedere. Il cammino è complicato per- Il che significa: «Dato che agisci in questo modo, compi un miracolo!». Noi facciamo la stessa cosa col nostro Dio interiore, siamo come i discepoli: non crediamo in Lui. Gli diciamo: «Mostrami 278 279 un segno, fammi quel miracolo, allora crederò! Se non fai un miracolo, non crederò mai!». Parliamo così al nostro Dio interiore e il miracolo ovviamente non avviene mai. La divinità non perde tempo con esibizioni da circo: si compiono miracoli per aiutare gli altri e quelli che li compiono a volte non se ne rendono nemmeno conto. «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Secondo l'interpretazione comune di questa frase, Cristo sta parlando della sua morte, del suo corpo. Del resto, il testo lo dice molto chiaramente: Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Del tempio del suo corpo! Qui C ri sto dice con assoluta trasparenza che il tempio è il nostro corpo: ecco la chiave. Parla del corpo: non solo del cervello, degli intestini, delle orecchie o del labirinto delle vene, ma del corpo nella sua globalità. Ed essere il proprio corpo significa avere un'anima e un Di() interiore, significa essere un labirinto, un tempio. Avere un corpo non significa rivestirsi l'anima di carne. Non vuol dire: «Il mio corpo è questo stupido animale che non ni ' serve a granché, che mi uccide, invecchia, si ammala... E il mio assassino!». Critico talmente il mio corpo che non lo vivo. Eppure ii corpo è magnifico, dato che è degno di essere abitato da Dio. È un tempio. Finché non lo viviamo come un tempio, non lo vivremo in assoluto. Costruire un tempio è proprio come edificare un'opera che non possiamo vendere. Chi può comprare la cattedrale di Chartres? Un tempio non si compra. Dal momento in cui nostro corpo diventa un tempio, nessuno può comprarlo. Vivere il nostro corpo come un tempio vuol dire purificarl del tutto affinché l'anima possa svilupparsi e il Dio interior possa abitarlo e parlare. 280 Egli non abiterà mai in un tempio ostruito da tante piccole sciocchezze, da tanti portinai avidi di pettegolezzi, tanti rancori, tante piccole invidie, tante piccole aggressioni. Non arrabbiamoci: dato che viviamo nel mondo, passeremo frequentemente tra spine e spilli. Ci sarà sempre qualcuno pronto ad aggredirci. E quanto più saremo in estasi, tanto più verranno ad aggredirci per invidia del nostro piacere e perché non credono che lo possediamo. Una persona che non possiede qualcosa non può credere che ce l'abbia un altro. Bisogna capire che ognuno di noi ha livelli di percezione diversi e che certe cose esistono anche se non le vediamo, anche se non ci crediamo. Ogni essere umano ha qualcosa che noi non abbiamo. Se siamo ricettivi e prestiamo attenzione noteremo che tutto collabora affinché queste cose che non possediamo ci appaiano come un dono: ogni essere umano è una lezione che dobbiamo imparare. Bisogna sapere inoltre che quando facciamo del bene agli altri lo facciamo a noi stessi. Tutto ciò che facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi, e il solo fatto di entrare in comunicazione con gli altri senza aggredirli ci dà qualcosa. Finché nella nostra anima ci sono piccole aggressioni, il tempio non è pulito: così non costruiremo la nostra anima, non troveremo il nostro Dio interiore, non comunicheremo con noi stessi. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Ciò significa che i discepoli hanno atteso la morte e la risurrezione del Dio interiore per credere, e non prima! È dovuto morire affinché credessero in Lui. Finché non abbiamo fede, anche se effettuiamo un buon lavoro su noi stessi, tutto va in rovina, il Dio interiore scompare. Poi preghiamo di credere davvero ed Egli risuscita e riappare, e finalmente possediamo la fede. 281 IL FICO SENZA FRUTTI (Matteo 21,18-22) La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie... Il Dio interiore (questo potere che possediamo) ci cerca... Noi non abbiamo altro che foglie, nient'altro che parole. Parliamo, parliamo, parliamo, ma non abbiamo frutti. Non abbiamo cuore, poiché dimentichiamo il nostro Dio interiore. Non preghiamo, parliamo. Siamo fichi e facciamo foglie che brillano in modo tale che il nostro Dio interiore si avvicina, credendo che abbiamo frutti da offrire, ma non ne trova: non abbiamo fatto altro che parlare e metterci in mostra. ... ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Non nasca mai più frutto da te». E subito quel fico si seccò. Perché non portiamo frutti? Perché parliamo troppo. Diciamo di amare e di comprendere, parliamo e parliamo, ma non ci sono fr utti nel nostro cuore, e così un giorno il nostro Dio interiore ci dirà: «Non po rt erai mai più un frutto nel tuo cuore. La tua anima è morta». Eppure possiamo, malgrado tutto, risuscitare. Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai il fico si è seccato immediatamente?». Il nostro Dio se ne è andato. Rispose Gesù: «In verità vi dico: se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete». E noi ribatteremmo: «Te lo chiedo ora perché non è possibile che Tu, il mio Dio, faccia rinsecchire un fico! E un atto di crudeltà immensa. Per favore, perdonalo. Fa' che questa persona dia i suoi frutti! Non permettere che rimanga secca. Parlo a Te, Dio interiore di questa persona, Tu che fai rivivere il tuo corpo in tre giorni. Fa' che questa persona ami di nuovo! Non lasciare che sia maledetta! Falla sbocciare! Che dia i suoi frutti! Non abbandonarla a metà strada!». La punizione finirà e il perdono sarà concesso, il frutto crescerà. Saremo pieni di fr utti, saremo dei frutti. Dato che ci siamo perdonati, possiamo perdonare. Se abbiamo fede, ce l'abbiamo per pregare per gli altri. Non possiamo accettare niente per noi se non l'otteniamo anche per gli altri. Perciò soffriamo: arrivare alla pienezza non significa arrivare alla gioia totale; finché un altro essere umano è maledetto dal suo Dio interiore, non possiamo rallegrarci, la nostra pienezza non è completa. Per questo motivo ti preghiamo: Tu, Dio interiore, fallo rivivere! Che mangi dei suoi stessi frutti. LA FEDE CHE NON BASTA (Giovanni 2,23 25) - Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo. Se oggi gli chiedessimo: «Per favore, Cristo, fa' che il fico riviva e dia i suoi frutti!», egli ci risponderebbe: «Dato che ti occupi del fico e non di te stesso, gli restituisco la vita. Darà i suoi frutti. Ho aspettato secoli che qualcuno mi chiedesse di farlo rivivere». Cristo sapeva che avrebbero dubitato fino all'ultimo momento. Imbocchiamo la via che ci conduce alla fede ma, subito dopo, i dubbi ci fanno cambiare strada. Eppure vediamo il centro, lo stiamo già vedendo, e allora ci chiediamo perché dubitare, dato che è lì, e ritorniamo sulla via p ri ncipale. Poi dubitiamo ancora e cambiamo strada un'altra volta, poi ritorniamo, e così via. Il nostro tragitto è sinuoso come il labirinto della cattedrale di Cha rt res. Ciò nonostante, alla fine arriviamo al centro, ma per ri- 282 283 «Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui.» Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto..... «Rinascere dall'alto» altro non significa che nascere dal nostro Dio interiore: nella vita, infatti, siamo sommersi dal nostro niente interiore. ... se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio. uscirci abbiamo dovuto dubitare fino all'ultimo momento. Dicono che al centro di questo percorso si trovi sepolto il creatore del labirinto. Arrivarci è come trasformarsi in «morti». I morti sono i vivi: l'ego deve morire nel centro del labirinto. La mo rt e è l'Arcano XIII, e il tredicesimo e ultimo circolo del labirinto. Vuol dire morire dentro di noi per rinascere alla vita spirituale. Ciò non significa fuggire dal corpo, bensì immergerlo nel nostro spirito. Significa vivere tutto il nostro corpo, ciò che contiene spiritualmente. Significa trasformarci nel labirinto, seppellirci nel suo centro per fiorire come l'albero dell'eternità. Il regno di Dio è il nostro corpo interamente abitato dallo Spirito. Il labirinto è una totalità. Il centro non esiste senza il sinuoso percorso che conduce lì. Entrambi sono necessari. Parimenti, il regno di Dio è una totalità: è il nostro corpo abitato dallo spirito. Gli disse Nicodemo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?.. Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio». Nicodemo era un anziano; egli dubitava ma, nel suo dubbio, ha creduto. È andato da Gesù di notte e gli ha detto: «Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio...». Nicodemo dice: «Sei un maestro venuto da Dio» e non: «Sei il Dio incarnato»; questo anziano può ammettere che Gesù sia un maestro mandato da Dio, ma niente di più. Non ammette di possedere in se stesso una scinti ll a divina. Crede che Dio sia un'entità esteriore e non lo lascia parlare tramite la propria bocca: è un intellettuale. Quando nasciamo dall'acqua nasciamo dalla madre. Poi, dobbiamo vivere una seconda nascita che passa attraverso quella che viene chiamata la morte iniziatica: bisogna far morire il nostro io. Per entrare nel centro del labirinto dobbiamo effettivamente dissolvere l'io. Come? Non con una droga. Quando prendiamo degli allucinogeni facciamo esplodere l'io, naturalmente, ma se non siamo preparati, in seguito, bene o male, lo recuperiamo. Per dissolvere l'io bisogna conoscersi: vivere nella coscienza de ll a Coscienza. Quando conosciamo bene il percorso del labirinto sappiamo che la prima metà che viene percorsa interamente è quella a destra. Arriviamo al centro percorrendo alla fine la metà sinistra: la verità del labirinto si ottiene con la sinistra, con il cuore. Avanziamo col cervello, ma una volta che abbiamo accesso a un certo livello procediamo con il cuore. Poi, al centro del labirinto, bisogna lasciar morire il nostro vecchio io, la personalità che ci è stata imposta e che ci portiamo addosso. 284 285 LA CONVERSAZIONE CON NICODEMO (Giovanni 3,1-21) C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Dobbiamo liberarci dei nostri limiti, dei nostri dubbi. Rinascere «dall'alto»: dallo Spirito. Dobbiamo confidare nel fatto che c'è qualcuno dentro di noi che sa dove andare! Accada quel che accada, abbiamo uno scopo, un obiettivo. Il nostro Dio interiore lo conosce: lasciamoci guidare da Lui! Se non passiamo le redini al nostro Dio interiore, se non rinunciamo a dirigere, non possiamo rinascere. In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Non basta nascere e morire. Bisogna nascere e in seguito abbandonare la percezione di noi stessi per rinascere come uomini infiniti che hanno percepito il loro Dio interiore. Quel che è nato da ll a carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Finché non siamo nati dal nostro spirito non siamo nell'essere bensì nell'avere. Lottiamo per avere, pensiamo che possedere delle cose materiali significhi essere. Solo quando ci immergiamo nel nostro spirito cominciamo a essere, e solo allora possiamo cadere in estasi, dato che il regno di Dio equivale all'estasi totale, qui e ora. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va... È sorprendente la relazione di questa affermazione con un koan giapponese: «Non comincia, non finisce. Cos'è?». L'Universo è una tigre che cavalchiamo per procedere. Proviamo il piacere di lasciarci trasportare, non impo rt a dove... Diciamo che andiamo dove vuole il nostro Dio interiore e non dove noi desideriamo, poiché non sappiamo condurre la belva. Cioè: «Tu che sei un maestro in Israele, di cosa stai parlando? Qual è la lezione che impartisci? Perché dici che il tempio è tuo? Da dove ti viene la tua autorità? Dici di essere un "Maestro" e non dài a ciascun essere umano la sua illuminazione». In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto... Cristo dice: «Parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo visto. Non è necessario parlare di quello che non abbiamo vissuto». Finché non lo abbiamo memorizzato, finché non lo abbiamo vissuto e percorso dentro di noi, con la nostra anima, il labirinto non potrà consegnarci il messaggio che ci vuole dare. Allo stesso modo, finché non lo abbiamo memorizzato e percorso con la nostra anima, il Vangelo non può consegnarci il suo messaggio. Dobbiamo diventare umili canali: quando ci saremo riusciti, apriremo bocca e il Vangelo parlerà tramite noi. Lo conosciamo ma l'abbiamo dimenticato. Non lo manipoliamo, non lo dirigiamo: è lui a guidarci. Il Vangelo ci dirige, il labirinto ci dirige, il Cristo ci dirige. Tutto ciò si manifesta con la velocità di un lampo. Parliamo di quello che sappiamo e non di quello che non conosciamo: non dobbiamo essere come il fico dalle foglie brillanti. Siamo quello che siamo! Mostriamo solo quello che sappiamo, anche se così facendo ci sembra di mostrare poco. Non si può parlare né insegnare ciò che non si è vissuto. Dobbiamo iniziare da ll e piccole cose! Un passo, poi un altro, poi un altro ancora, e si percorrono chilometri. Se aspiriamo a enormi avanzate, non avanzeremo nemmeno di un metro e ci faremo applaudire solo dai mercanti del tempio. «... così è di chiunque è nato dallo Spirito.» Replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?». In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. 286 287 Dire «il Figlio dell'uomo» non significa che lo abbiamo fatto noi, ma che appartiene a tutti. È il Figlio dell'uomo, non nostro figlio, ma ci appartiene. È il Figlio che appartiene all'uomo. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre a ll a luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene a ll a luce perché non siano svelate le sue opere. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto... Si tratta di un serpente che curava le malattie. così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Tutta la sfida del labirinto si basa sulla morte, cioè sulla vita eterna. È questa la sfida: la ricerca della vita eterna. Cos'è la vita eterna? È la nostra scintilla divina che dev'essere restituita all'eternità da cui trae origine. ... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Se viviamo nelle tenebre, odiamo tutte le persone che ci parlano in questi termini. Quando facciamo del bene dobbiamo fare attenzione: non è necessario farlo direttamente! Troviamo il vuoto in ogni persona e, dolcemente, vi depositiamo il seme che l'aiuterà. Non forziamo nessuno a vedere la verità! Se qualcuno ci dice: «Non credo», non cerchiamo di convertirlo esplicitamente. Non dobbiamo insistere! Non dobbiamo discutere! Convinciamolo con amore sotto un altro aspetto! Un saggio non discute mai. Dice quello che dice. Se non gli crediamo, non insiste e si ritira. Poi, ritorna alla carica in un modo meno diretto. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio. Dio ha dato cioè suo Figlio a ogni uomo che crede in Lui, a ciascuno di noi: c'è una vita eterna dentro di noi. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Il nostro Dio interiore non è venuto per giudicarci e distruggerci, ma per salvarci. La nostra vita è un'angoscia totale finché non ci concentriamo su questa particella eterna. Dobbiamo accettare che in noi c'è qualcosa che ci supera e che non è nostro. Allora smetteremo di compatirci e di chiedere, e cominceremo a sperimentare l'estasi e la vera gioia. Tutto andrà per il meglio, anche se ci danno uno schiaffo. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio: Quando non crediamo nel nostro Dio interiore siamo già stati giudicati, perché, non avendo fede in noi stessi, non siamo noi stessi. 288 289 XIII Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: «Rabbi, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui». La discussione comincia: «Ci sta portando via i clienti. Tu battezzi. Sei il nostro Maestro, ma adesso c'è un altro Maestro e tutti accorrono da lui». Ecco cosa dicono i discepoli. Vogliono rimanere con Giovanni. Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo». È senza dubbio una bella risposta. Noi non possiamo attri- GIOVANNI E GESÙ (Giovanni 3,22-30) Dopo aver scacciato i mercanti dal tempio Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, e battezzava. Anche Giovanni battezzava a Ennon, vicino a Salim, perché c'era là molta acqua... Sia Gesù sia Giovanni battezzavano allo stesso modo. Vediamo quindi il Maestro e colui che annuncia il Maestro mentre immergono gli spiriti nell'acqua che scorre, che fluisce. e la gente andava a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era stato ancora imprigionato. In seguito, quando ormai non sarebbe più servito a nien- te, Giovanni sarà imprigionato e condannato alla decapitazione. Tuttavia, per il momento, ha ancora una missione da compiere. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione. buirci i veri tesori. Possiamo attribuirci il lavoro che compiamo per trovarli, ma qualsiasi verità che esprimiamo non viene da noi. Non è necessario l'orgoglio. Non siamo né i creatori né i possessori di una verità. Ecco una storia che illustra bene questo fatto: Quando Bodhidharma arrivò davanti all'imperatore della Cina, questi gli disse: «Ho creato tremila monasteri buddhisti. Ho tradotto duemila libri sacri. Quali sono i miei meriti?» Bodhidharma gli rispose: «Nessun merito.» L'imperatore si irritò: «Chi sei tu per dirmi una cosa del genere?» Bodhidharma rispose semplicemente: «Non lo so...» Nel dominio del sacro non ci sono meriti. Nessuna scoperta è una creazione. La creazione ci arriva. Non realizziamo un'opera sacra, la scopriamo. Non abbiamo alcuna possibilità di creare. Niente ci appartiene, tutto ci è prestato. Nessun merito. Giovanni afferma: Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Il Vangelo sottolinea che la dottrina giudaica attraversava allora un momento di crisi. Anche ai nostri giorni le dottrine attraversano un momento critico. Viviamo in un'epoca nella quale non si sa cosa si vuole. Una part e di noi è Giovanni: viene quindi un momento in cui Giovanni trova qualcosa, in cui il nostro io trova delle verità interiori. 290 291 In quel momento sorge il primo pericolo: Giovanni potrebbe voler diventare Giovanni-Cristo, pensare che tutto ciò che scopre proviene da lui e cadere in un'atroce megalomania attraverso la quale ben presto si trasfoi nierebbe in un guru. Potrebbe convincersi di essere l'unico a possedere un io sacro, l'unico a possedere la verità, di essere il Cristo e di avere tutti i meriti del mondo. C'è un momento in cui raggiungiamo questo stadio: pensiamo che tutti i meriti e tutti i difetti siano nostri. Se non si hanno meriti, però, non si hanno nemmeno difetti: si è al di là del bene e del male. Accusarsi personalmente è altrettanto vanitoso che applaudirsi. Nel primo saggio della Piccola Filocalia,* l'autore dice: «La vigliaccheria appartiene alla vanità». È tanto vanitoso essere vincitori quanto codardi. Riconoscere umilmente il nostro Dio interiore significa sapere che non è l'unico, e che anche gli altri ne posseggono uno. Nel sacro non c'è concorrenza, esiste solo la collaborazione. Quando una persona si sente in competizione, non può considerarsi a un livello sacro. Collaboriamo, vibriamo insieme: non appena qualcuno trova il suo Dio interiore, se non cade nella megalomania troverà subito il Dio interiore dell'altro per poter vibrare insieme a lui. La concorrenza non esiste. I discepoli di Giovanni sono in competizione: sono la pa rt e di Giovanni che vuole essere il Cristo. Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. E cioè: colui che possiede davvero l'anima, colui che possiede la verità e, possiamo dire, la divinità, è lo sposo. È colui che ha il diritto di possederla. Noi vediamo questo miracolo interiore ascoltando il nostro miracolo interiore: siamo l'amico dello sposo. Se siamo capaci di dire che il miracolo interiore non è nostro, possiamo avere il piacere di ascoltarlo e di vederlo senza cadere nell'orgoglio, e non diremo mai «perché io?», ma piuttosto «perché non tu?». È per questo che i samurai dicono: «Se incontri un Buddha per strada, tagliagli la gola!». Vale a dire: «Non metterti ad ammirare un Buddha! Diventa tu stesso un Buddha!». A cosa ti serve la «buddhità» dell'altro? Perché non tu? Ora questa mia gioia è compiuta. La mia gioia è perfetta perché nasce dall'ascolto del mio Dio interiore. Se non si prova gioia, non si è nella strada maestra, perché la cosa che manifesta più chiaramente il fatto di averla trovata è la gioia. E trovarla significa trovare quel miracolo interiore. Se gioisco sono nella verità. Mi trovo, dunque, sulla via, perché la via senza gioia non è la via. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire. COLUI CHE VIENE DALLALTO (Giovanni 3,31-36) Colui che viene dall'alto è al di sopra di tutti... Al di sopra di noi. Dire «Dio è in alto», o dire «Dio è dentro di noi» è la stessa cosa. ... ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra terra. e parla della Parla cioè mediante un linguaggio articolato, usando parole. La Filocalia è un'ampia raccolta di commenti dei Padri della Chiesa che riflettono la via tradizionale della spiritualità cristiana come è stata praticata fi n dagli inizi della cristianità. Questi testi furono riuniti in Grecia, nel XVIII secolo, da Macario di Corinto e Nicodemo della Montagna Sacra, i quali diedero alla raccolta il nome con cui è conosciuta. Pubblicata a Venezia nel 1792, la Filocalia in seguito fu tradotta in Russia in cinque volumi. La versione ridotta è nota come Piccola Filocalia. Perché? Perché questa conoscenza non può essere descritta a parole. Nel momento in cui uno descrive la Verità, non vi è immerso. 292 293 Colui che viene dal cielo è al di sopra di tu tti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Con le parole non si fa altro che descrivere se stessi. Non si può cogliere il Vangelo con le parole. Bisogna sentirlo. Ogni volta che ci si imbatte nel linguaggio articolato ci si trova di fr onte a una coscienza del mondo razionale. Ebbene, in assenza di esso, ma in presenza di immagini e atti, ci imbattiamo invece nel linguaggio dell'inconscio. E senza atti né immagini ci ritroviamo in una vibrazione di gioia infinita: si tratta del linguaggio del superconscio. Non esiste soltanto l'inconscio. L'inconscio collettivo appartiene al passato, a ciò che abbiamo già vissuto. Il superconscio è una nuova informazione che deve farsi strada, perciò si parla di un nuovo uomo. Dall'inconscio non può arrivare niente di nuovo: viene dal passato, dai passati, dalla creazione del mondo. È tramite una via superconscia che arriverà il nuovo. ... chi però ne accetta la testimonianza, certifica Dio che è veritiero. Colui che accetta la sua testimonianza, cioè colui che trova una verità interiore, testimonia e ratifica che Dio è veritiero: lo sentiamo, non lo esprimiamo a parole. Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. Parola dopo parola: ciò significa che quando ci mettiamo a comunicare con quel linguaggio non abbiamo misura, poiché lo Spirito non può averne. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui. mentre col romanico ce lo siamo caricati sulle spalle. A indurci in errore è stato il fatto di non cercarlo al centro di noi stessi, ma non c'è altro modo di cercare. Senza un centro non possiamo vivere. In altre parole, adesso l'unica cattedrale possibile è un pozzo. Un pozzo. È meravigliosamente esatto usare la metafora «il pozzo dell'anima»: una piccola superficie che affiora al livello della coscienza e un tunnel che si addentra sempre più profondamente in noi finché trova l'acqua della vita. È l'acqua che scorre, l'acqua infinita. La cattedrale di Chartres è stata costruita intorno a un pozzo. Cos'è un pozzo? Tutta la storia del misticismo comincia nel deserto, in una terra arida. D'improvviso qualcuno trova dell'acqua in un pozzo, rendendo possibile la vita degli animali e de ll e piante. Da quel momento la vita si propaga, e intorno a quel pozzo avviene il miracolo. Comprendiamo allora quanto è impo rt ante il pozzo? È sacro. È la vita stessa. È il mistero. LA CONVERSAZIONE CON LA SAMARITANA (Giovanni 4,1-42) Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Vale a dire che vedere il Figlio dentro di noi significa darci a un Dio interiore, a un potere interiore, con fede, senza parole e senza prove. Al contrario, chi non crede nel proprio Dio interiore ne subirà la co ll era, riceverà malattie, pazzia, incidenti fatali, perché non possiamo edificare la nostra vita solo sul nostro io: sarebbe l'angoscia. Nella nostra civiltà, col gotico abbiamo cercato Dio in alto Quando il Cristo viene a conoscenza della diatriba che ha suscitato, non dà battaglia. Non dice: «Non sono io a battezzare». Non discute: si ritira. Se ne va perché riconosce che Giovanni ha ancora un'opera da compiere: ancora non è stato imprigionato, l'io ha ancora qualcosa da fare. Cristo ha riconosciuto il compito di Giovanni: preparargli la strada. Il Vangelo precisa che Cristo non battezzava: perché? Perché Cristo è l'acqua nella quale ci si deve immergere. Nella cerimonia del battesimo, l'officiante deve immergere 294 295 il battezzato nell'acqua: è l'acqua che purifica, non l'officiante; si tratta di due elementi distinti. L'io è la volontà e Giovanni è proprio questo, la volontà. È necessario che qualcosa in noi si trasformi in Giovanni e prenda tutto il resto del nostro essere per immergerlo nella perfezione. Dunque, un intermediario è imprescindibile. Cristo è il centro, Giovanni è l'io che equivale alla volont à . Dobbiamo immergere tutto il resto nel nostro centro per dissolverci: per questo motivo, è necessario un Giovanni per compiere il lavoro. È determinante capire che la verità è fare. Non c'è verità senza fare. Non c'è spirito, non c'è talento, se non facciamo. Possiamo rimanere nella potenzialità e morirci. Diciamo a noi stessi: «Se aiuto il mondo, farò questo e quello!», oppure: «I bambini che soffrono, è un'infamia!», oppure: «La guerra è l'orrore, l'atrocità, parliamo di questi problemi!». Ma cosa facciamo? Abbiamo un enorme desiderio di cambiare il mondo, ma cosa mettiamo in pratica? Abbiamo una gran voglia di cambiare la nostra vita, ma quando cominceremo a farlo? Iniziamo! Si parla così tanto... Parlare non esige alcun talento: il vero talento sta nel cominciare. Nel Vangelo è detto chiaramente. Cristo non battezzava. È ovvio che l'acqua non possa battezzare: ci voleva Giovanni per farlo. Sono i discepoli di Cristo che battezzano in nome di Cristo. lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Si tratta de ll a Galilea delle nazioni. Perciò Cristo lascia una località di provincia — la Giudea — per recarsi in un territorio cosmopolita. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città de ll a Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe, suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra. Giacobbe è un uomo benedetto da Dio. Ecco, io sono con te... Gli dice: «Se io sono con te, sono in te». e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t'ho detto. Questa frase è talmente forte che si potrebbe usarla per rispondere a quelli che si domandano perché a quei tempi Dio parlava con gli uomini e si manifestava spesso e poi, a un certo punto, sembra aver abbandonato completamente gli esseri umani, dato che non si è più manifestato. Se parliamo di un Dio interiore, come potrebbe applicarsi questa metafora? A un certo punto, quando il Dio interiore ha fatto tutto ciò che ha detto — o che ha voluto —, abbandona l'uomo che era riuscito a trovarlo in se stesso? Ecco la risposta: il Dio de ll a Genesi è il Dio esteriore. Per questo motivo si manifesta in ogni momento. Quando finisce la sua azione esterna, smette di manifestarsi come Padre e s'incarna in Cristo, il Figlio, che è anche un Dio esteriore. Dopo l'ascesa di Cristo, l'unica possibilità di azione divina è interiore. E il Dio interiore non abbandona mai chi lo trova. Nella Bibbia di Gerusalemme si dice che Cristo si sedette sul bordo del pozzo di Giacobbe. Cos'è questo pozzo? Nella Genesi (28,10-22) Giacobbe fa un sogno nel quale vede una scala appoggiata per terra che sale fino in cielo. Nel corso del sogno, Dio gli promette cose meravigliose: Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima». 296 297 Ciò significa che Giacobbe erige un tempio a cominciare da lla pietra sulla quale si è addormentato: costruisce il primo altare. La storia della Chiesa comincia con Giacobbe, perché lui fa di una pietra un altare: a partire dall'altare la scala sale e scende e ci mette finalmente in comunicazione col Dio interiore. Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli orientali. Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino... Rachele arriva dunque col suo gregge. Riprese: «Eccoci ancora in pieno giorno: non è tempo di radunare il bestiame. Date da bere al bestiame e andate a pascolare!». Giacobbe pretende che tutti se ne vadano per restare da solo con Rachele. Risposero: «Non possiamo, finché non siano radunati tutti i greggi e si rotoli la pietra dalla bocca del pozzo; allora faremo bere il gregge». Egli sta ancora parlando con loro, quando arriva Rachele con le pecore del padre: qui bisogna sottolineare che essi hanno legami di parentela con Giacobbe. Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre... Rachele era cugina di Giacobbe, dato che suo padre era fratello della madre di lui. È così: nel sacro si ha sempre a che fare con l'incesto. Tre greggi di pecore. Ne manca uno. C'è un pozzo al centro. Intorno ci sono i tre elementi: le Spade, i Bastoni e i Denari, cioè la vita intellettuale, quella sessuale e quella corporale. Manca il numero quattro: l'amore, le Coppe. e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano i greggi, ma la pietra sulla bocca del pozzo era grande. Quando tutti i greggi si erano radunati là, i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame; poi rimettevano la pietra al posto sulla bocca del pozzo. Giacobbe disse loro: «Fratelli miei, di dove siete?». Risposero: «Siamo di Carran». Disse loro: «Conoscete Labano, figlio di Nacor?». Risposero: «Lo conosciamo». Disse loro: «Sta bene?». Risposero: «Sì; ecco la figlia Rachele che viene con il gregge». Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre, insieme con il bestiame di Labano, fratello di sua madre, Giacobbe, fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Labano, fratello di sua madre. Egli, da solo, fa rotolare la pietra, posseduto da una forza enorme: una forza che certamente seduce Rachele. Poi Giacobbe baciò Rachele, e pianse ad alta voce. Ecco il quarto gregge che mancava! Lo conduce Rachele, e i quattro elementi si sono riuniti! Allo stesso tempo, arriva l'amore. Giacobbe non aveva ancora amato una donna. Vedremo fino a che punto l'amerà. Il gio rn o in cui ritroviamo la nostra anima scoppiamo a piangere: perché? Secondo me, perché ci lasciamo alle spalle la sofferenza che c'è dentro di noi: ci portiamo addosso una tale cappa di dolore che quando ritroviamo l'anima, lo specchio, la persona che ci corrisponde completamente a tutti i livelli (i quattro livelli), scoppiamo a piangere perché dobbiamo abbandonare quella sofferenza. Subito dopo ridiamo e poi cadiamo in estasi. In seguito, Giacobbe lavora in casa di Labano, il padre di Rachele, dove vive anche la sorella maggiore di Rachele, Lia. 298 299 Poiché desidera sposare Rachele, Giacobbe lavora gratuitamente per Labano per sette anni. Il giorno delle nozze, Labano lo inganna: gli mette davanti una donna velata e solo dopo che il matrimonio è consumato Giacobbe si rende conto che gli è stata data in moglie Lia al posto di Rachele. «Se ami Rachele» gli dice il suocero «te la darò, ma dovrai lavorare altri sette anni per me.» Giacobbe sposa dunque Rachele e lavora altri sette anni per Labano. Rachele non genera. Al contrario, Giacobbe ha dei figli con Lia e altri con due serve. Infine, Rachele riesce a concepire un figlio con Giacobbe e lo chiama Giuseppe. Rachele ha dovuto aspettare la nascita di undici figli che Giacobbe ha concepito con altre donne per poter finalmente procreare un figlio con l'uomo che ama. Giuseppe diventa il figlio preferito. Un giorno Giacobbe gli regala una tunica principessa. I fratelli di Giuseppe, divorati dalla gelosia, lo gettano in fondo a un pozzo per ucciderlo, ma prima gli tolgono la tunica e la macchiano col sangue di un capretto, per far credere a Giacobbe che Giuseppe è stato sbranato da una belva. Alcuni mercanti passano di li, tirano fuori Giuseppe dal pozzo e lo vendono ad altri mercanti che a loro volta lo portano in Egitto. Lì Giuseppe diventa un uomo impo rt ante e rispettato e salva il paese dalla carestia. Tutto questo perché è stato gettato nudo in fondo a un pozzo: bisogna cadere nudi in fondo a un pozzo, è questo che dice la Bibbia, ed è molto bello. La storia della samaritana è complessa e meravigliosa. Non è per caso che Cristo va a sedersi vicino al pozzo di Giacobbe: è il pozzo dell'amore totale, dell'amore folle e spirituale, dove l'uomo incontra la sua donna, e la donna il suo uomo. Giacobbe e Rachele si trovano vicino al pozzo e a ll a fine generano il figlio perfetto, Giuseppe, che poi va in Egitto, proprio come l'altro Giuseppe, il padre adottivo di Cristo. Perché si specifica che Cristo «sedeva presso il pozzo»? Pur avendo camminato molto e avendo bisogno di riposare, egli non sente la sete: perché? Perché Cristo è l'acqua: come potrebbe l'acqua avere sete? Dunque, si siede semplicemente vicino al pozzo, senza cercare acqua da bere. Era verso mezzogiorno. Mezzogiorno è il momento della giornata in cui non ci sono ombre. È l'ora della verità. Se esiste un'ora cristica, un'ora che rappresenta il Cristo, è ovviamente il mezzogiorno, il momento in cui il sole si trova allo zenit, cioè nel punto più alto della sua traiettoria. I;ora in cui non ci sono ombre è quella della verità pura, l'ora dell'unità. Non c'è dualità luce-ombra, c'è solo luce. Il sole arriva al suo massimo e subito comincia a declinare. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua... Perché il Cristo incontra la samaritana? Cosa significa questo incontro? La risposta si trova nella Bibbia (2 Re 17,1-6): Nell'anno decimosecondo di Acaz re di Giuda divenne re in Samaria su Israele Osea figlio di Ela, il quale regnò nove anni. Fece ciò che è male agli occhi del Signore... Il re dell'Assiria occupò la Samaria e deportò gli israeliti nel proprio paese (2 Re 17,7,9-12). Ciò avvenne perché gli Israeliti avevano peccato contro il Signore loro Dio ... Gli Israeliti avevano proferito contro il Signore loro Dio cose non giuste e si erano costruite alture in tutte le loro città, dai più piccoli villaggi alle fortezze. Avevano eretto stele e pali sacri su ogni alto colle e sotto ogni albero verde. Ivi avevano bruciato incenso, come le popolazioni che il Signore aveva disperso alla loro venuta; avevano compiuto azioni cattive, irritando il Signore. Avevano servito gli idoli, dei quali il Signore aveva detto: «Non farete una cosa simile!». Giunse pertanto [Gesù] ad una città de ll a Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe, suo figlio; qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Invece la fecero e per questa ragione furono deportati: erano dei peccatori e avevano disobbedito a Dio. Arrivarono perfino 300 301 a bruciare degli esseri umani durante i loro sacrifici (2 Re 17,17): Fecero passare i loro figli e le loro figlie per il fuoco; praticarono la divinazione e gli incantesimi... I Tarocchi non sono un'arte divinatoria: leggono il presente. Quando si pratica un'arte divinatoria si è completamente fuori della Legge divina, poiché divinare è come cercare di fuggire dal tempo. avevano compiuto azioni cattive, irritando il Signore. Hanno peccato: hanno pregato altri dei. Il re d'Assiria mandò gente da Babilonia, da Cuta, da Avva, da Camat e da Sefarvaim e la sistemò nelle città della Samaria invece degli Israeliti. E quelli presero possesso della Samaria e si stabilirono nelle sue città. All'inizio del loro insediamento non temevano il Signore ed Egli inviò contro di loro dei leoni, che ne fecero strage. [2 Re 17,24-25] spirituale con una persona con cui gli è proibito parlare. Dunque, in Samaria, nei pressi del pozzo, una donna samaritana arriva per attingere dell'acqua con un'anfora e incontra Gesù, seduto sul bordo del pozzo. Tutto il suo corpo si mette a tremare: mentre la testa è in preda alla vertigine, il cuore le esce del petto e le tremano le gambe: «Non è possibile! Cosa succede? È uno straniero, non l'ho mai visto. È diverso da tutti gli altri. Cosa significa questo?». Mai nella sua vita ha amato come nel preciso istante in cui comprende cos'è l'amore fisico e spirituale, l'amore completo. Le disse Gesù: «Dammi da bere». Adesso possiamo capire perché è assolutamente rivoluzionario che il Cristo parli a una samaritana. E ancor più il fatto che parli a una sconosciuta. Come osa dialogare con una donna nei pressi di un pozzo? È assolutamente proibito! I giusti non potevano parlare a una donna, tutta la Legge si esprimeva in questo senso. Cristo non solo parla a una sconosciuta, ma a una donna che rappresenta il peccato stesso: una samaritana che segue altre leggi. Cristo si permette di entrare in comunicazione Non ha sete, tuttavia le chiede da bere. Accade come nell'Arcano dei Tarocchi chiamato La Stella, il cui personaggio femminile versa acqua nell'acqua. Come versare acqua nell'acqua? La divinità ha bisogno che c'immergiamo in essa. Quando ci facciamo battezzare, siamo Giovanni. E cosa pensa l'acqua? Mettiamoci al suo posto: l'acqua è quel che è, scorre senza scopo né significato. Ci dice: «Vieni! Dammi un senso! Se i pesci non nascono nell'acqua, io sono un oceano morto». Senza la creazione, senza la vita, senza questa vita meravigliosa che Egli ha creato, l'oceano non ha senso. Cristo dice: «Dammi da bere ed entra in me!». Se non ci immergiamo nel nostro essere interiore, questi ha sete di noi, ci chiama. Parlando alla samaritana, Cristo le rivolge una chiamata. Quando la donna ascolta la sua voce, cosa sente? Come parla Cristo? Che voce ha? È la voce del cuore: parla alla samaritana come si parla a un bambino, si mette in perfetta sintonia con lei. Non parla all'aria: si rivolge a lei e, così facendo, è in totale corrispondenza con la sensibilità de ll a donna. C'è tutto il suo essere nella sua voce quando le dice: «Dammi da bere». Quando la samaritana sente: «Dammi da bere», è la voce di Dio quella che sente. La donna penetra nelle profondità della 302 303 Allora arriva il leone che li salverà: Cristo. «... ma venererete soltanto il Signore vostro Dio, che vi libererà dal potere di tutti i vostri nemici.» Essi però non ascoltarono: agirono sempre secondo i loro antichi costumi. Così quelle genti temevano il Signore e servivano i loro idoli; i loro figli e nipoti continuano a fare oggi come hanno fatto i loro padri. [2 Re 17,39-41] Ecco chi sono i samaritani. propria anima e subito vuole darle da bere, cioè si vuole subito 't donare a Gesù, ma come? La samaritana dice fra sé: «Non lo desidero, eppure voglio darmi a lui. Cosa mi succede? Tutto il mio essere è sconvolto. Come potrò dargli da bere?». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Quei dodici ragazzi lasciano Cristo da solo per andare a comprare del cibo, quando ce l'hanno a portata di mano. Cristo è dunque da solo. A chi parlerà? Non agli uomini ma a una donna, esattamente come Giacobbe, che ha parlato a Rachele vicino al pozzo. Se l'umanità esiste è perché Giacobbe ha incontrato Rachele, sua moglie. Dobbiamo dunque capire che se Cristo non avesse incontrato una donna il miracolo non poteva avvenire: é grazie a una donna, infatti, che egli farà il suo ingresso in Samaria. È attraverso di lei che Cristo perdonerà tutti i samaritani e solleverà dalla maledizione che pesa su di loro. Invece di punirli, li perdonerà per il tramite di una donna. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Con che tono parla? Aggressivo, seducente, indifferente? No: con un tono umile, attonito e rispettoso, senza aggressività né provocazione, gli dice: «Sono stata umiliata un'infinità di volte, sono stata scacciata e offesa. I tuoi sacerdoti mi hanno insultata; loro dicono che noi sbagliamo e ciò nonostante tu, un ebreo, mi chiedi di bere? Mi fai l'onore di togliermi dall'umiliazione chiedendomi dell'acqua. Perché io? Sono così piccola, piena di errori, debólezze e stupidità. Perché ti presenti vicino al mio pozzo? Perché io?». Cristo le risponde semplicemente: «Perché non tu?». di chiederla a te stessa! Non dubitare! Te la sto offrendo. Ti dico "Dammi da bere", ma anche tu devi chiedermelo. È uno scambio. Se non ti do, non mi puoi dare. Facciamo qualcosa insieme. Abbi fede!». Gli disse la donna: «Signore...». La samaritana dice «Signore» e non «signore»: lo riconosce subito e comincia già a mettersi completamente nelle sue mani. Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? Si ravviva la curiosità: non può credere che sia Lui ma, nonostante questo, sa già che è Lui. Nel momento in cui lo vede, sa. Dal momento in cui sentiamo il nostro Dio interiore sappiamo di essere abitati da Lui, ma non osiamo crederci. Diciamo a noi stessi: «Sono pazzo? Guardiamo in faccia la realtà! Chi sono io per avere questo particolare contatto con tale potere, tale bellezza, tale meraviglia interiore? Ho sofferto per tutta la vita. Sono stato disprezzato. Perché dovrei entrare in estasi? Lo merito, forse? Perché? Da dove viene quest'acqua viva?». La samaritana continua: Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge? Evocando Giacobbe, lei allude all'amore. Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». Le sta dicendo: «Ascolta, riconoscimi! Chiedimi l'acqua viva! Se non me la chiedi, non posso dartela! Abbi la fede Ciò significa che quando avremo trovato il nostro Dio interiore non avremo mai più sete, ma finché continuiamo a identificarci con l'io ne avremo sempre. È come quando vediamo le persone inquiete che si appoggiano a dei sistemi pensando di aver trovato la soluzione. Passano da un sistema all'altro 304 305 Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». ma non bevono mai l'acqua viva: bevono solo dei sistemi, dei piccoli sistemi. Al contrario, la persona che ha bevuto della sua acqua, che ha bevuto della sua fede, non avrà mai più sete nella sua fonte interiore, perché vive nella gioia e nell'estasi totali. Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. La povera donna è stanca, chiede quell'acqua e in quel momento la samaritana già crede. «Dammi di quest'acqua, affinché non debba più venire qui. Davvero, non vorrei più aver sete! Se mi dici che è possibile, voglio l'estasi.» Le disse... Gesù conosce l'essere umano, sa che è un bambino. Perciò dice fra sé: «Ora le darò una prova, perché se non lo faccio non crederà mai»; accondiscende a dare una prova a questa bambina. Le dice: Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui. Dicendole «Va' a chiamare tuo marito» Cristo le tende una trappola, perché sa che la donna può mentirgli, dicendogli per esempio: «Mio marito non è qui», oppure: «Non mi crederà mai». Cosa risponde invece la samaritana? è una peccatrice e che la vita sessuale è peccaminosa? Chi ha cercato Cristo per donargli l'illuminazione e farsi introdurre in Samaria? Una donna che ha avuto degli uomini, almeno sei. Cristo non ha alcun pregiudizio sessuale, neanche il minimo! Egli è la comprensione assoluta. Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta». Ora la samaritana è del tutto convinta. Gesù è buono: ha fatto un piccolo miracolo per convincere questa bambina. Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare. Perché dice così? Perché tutti i profeti andavano a predicare dai samaritani: «Branco di ignoranti! Bisogna andare al tempio di Gerusalemme! La verità è nel tempio! Voi sarete esiliati e giustiziati. Siete pustole! Andate a Gerusalemme!». La samaritana aveva sentito tutto questo, eppure il popolo di cui faceva pa rt e possedeva una religione. I samaritani avevano una fede: la loro religione era diversa, ma contemplava in ogni caso una fede umana. Gesù le dice: «Credimi, donna...». Ciò significa che il Dio interiore conosce la nostra vita e non possiamo nascondergli niente. Il Cristo non grida inorridito: «Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito!». Egli non giudica, constata semplicemente che ha avuto cinque mariti e che l'uomo con cui vive ora non è il marito. Questa donna ha avuto sei uomini: Cristo parla con una donna che sta con un uomo, che ha già avuto cinque mariti e non è nemmeno sposata. Cosa significa questo? Da dove proviene la credenza assurda che non si deve parlare a una donna perché È la prima volta che Gesù dice «donna» a una sconosciuta. In precedenza lo ha detto soltanto alla Vergine Maria alle nozze di Cana: «Che ho da fare con te, o donna?». Ogni volta che Cristo dice «donna» si riconosce come uomo. Solo un uomo può dire «donna» a una donna. Un bambino direbbe «mamma», un anziano «figlia mia». Ma un uomo vede una donna, e perché la veda è necessario che sia completamente uomo. Per un uomo, l'unico modo di vedere una donna è diventare completamente uomo, e per una donna l'unico modo di vedere un uomo è diventare completamente donna. Se vogliamo vedere l'uomo, dunque, dobbiamo trasformarci in donna; se vogliamo vedere la donna, dobbiamo essere uomo. Quando Cristo dice «donna» alla samaritana e alla Vergine 306 307 «Non ho marito.» Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Maria, le riconosce interamente come tali. La Vergine Maria è una donna completa e quando Cristo chiama così la sama- ritana, in lei tutto il suo essere si riconosce tale. Dobbiamo accettare il nostro corpo: se non lo facciamo, se siamo donne e non lo accettiamo completamente, non possiamo vivere il nostro Cristo, il nostro uomo, saremo separate da nostro marito, dal nostro uomo essenziale: la sinistra e la destra saranno separate. Abbiamo un lato destro maschile e un lato sinistro femminile. È necessario che si uniscano. Per unirsi al suo uomo interiore la donna deve farsi donna, per poterlo vedere e vivere, mentre l'uomo, per unirsi alla sua donna interiore, deve riconoscersi come uomo. Il Cristo, dunque, riconosce la femminilità de ll a samaritana allo stesso modo in cui riconosce quella de ll a Vergine. Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte...». La montagna dove andavano tutti i profeti. ... né in Gerusalemme adorerete il Padre. Cioè: «Da nessuna parte fuori di te». Voi adorate quel che non conoscete... Ciò significa: «I vostri dei, frutto delle vostre superstizioni». noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità... In spirito: il nostro spirito, lo Spirito Santo. È indispensabile capire che si parla dello Spirito Santo e che il nostro spirito è sacro, che tutti siamo sacri. Raggiungere la santità è arrivare a noi stessi: è dunque possibile ottenere la santità in ogni religione, in ogni montagna, in ogni Gerusalemme, in ogni tempio. Possiamo trovare la nostra santità personale perché si tratta di uno stato che possediamo già: il nostro spirito. È il culmine, il vertice, lo zenit dell'essere umano. È il mezzogiorno. Tutti 308 possiedono uno spirito in stato di santità e possono accedervi. Obbedire o no a questa santità è un nostro problema, ma dobbiamo capire che esiste in ciascuno di noi. ... in spirito e verità... In verità, vale a dire nell'azione, perché la verità non esiste nelle parole. ... perché il Padre cerca tali adoratori. Davanti al Padre siamo tutti donne, siamo tutti bambini e madri: bisogna infatti riconoscere quel principio attivo che Cristo chiama «Padre», un principio che insemina. Noi siamo l'ovulo e questo principio attivo, come lo sperma, c'insemina: se non siamo ovuli non possiamo essere fecondati. Quando siamo fecondati i Vangeli sono belli e, al contrario, finché non siamo stati inseminati, non potremo leggerli né comprenderli. È, dunque, qualcosa che si realizza dentro di noi. ... perché il Padre cerca tali adoratori. Se l'ovulo non adora non può essere inseminato. È per amore che si feconda. Dio è spirito... Uno spirito che è dentro di noi pur senza appartenerci. «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità.» Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». Egli non si definisce. Quando la samaritana gli dice: «So che deve venire il Messia», egli non risponde: «Sono io il Messia». Dice: «Sono io, che ti parlo». Niente nomi. Niente definizioni. Quando il nostro Cristo interiore ci parla, siamo tutti orecchie, non pensiamo. Non rifiutiamo niente. In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. I discepoli di Cristo si dicono: «Come può illuminarsi una donna se la Legge di Mosè ha espulso la donna dal tempio?». 309 Dio qui dimostra che Eva non è l'orrore che ci hanno sempre fatto credere. Il Cristo, prima ancora di parlare a san Pietro o a san Giovanni, parla a una samaritana che aveva avuto sei uomini. È a lei che dà la verità direttamente. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». Quando vedono Cristo parlare con una donna, i discepoli hanno dei dubbi ma capiscono qualcosa e, rispettosamente, non fanno domande e si ritirano. È un'interpretazione corretta. Non si dicono: «Che orrore! Ha parlato con una donna!», né si ritirano imbarazzati. Penso a quelle persone convinte che amare Cristo significhi rifiutare la donna: non è un atteggiamento giusto. Queste persone rifiutano la propria donna interiore. Ma non è il caso dei discepoli. Del resto, se sono vicini a Cristo è perché lui li ha scelti e quindi non potevano avere pregiudizi. Si ritirano infatti rispettosamente. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente... La samaritana abbandona la sua brocca! È senza dubbio molto bello e molto significativo. La samaritana viene infatti per attingere acqua al pozzo, e una volta che ha ricevuto l'acqua di Cristo non ne vuole nessun'altra. Gli aveva detto: «Dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua», ed è proprio quello che succede. Completamente sazia, non ha più sete e abbandona quindi la sua anfora. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbi, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». I discepoli hanno comprato il cibo in città e vorrebbero mangiare il cibo di tutti i giorni. Non vogliono smettere le loro abitudini, i loro gesti consueti, le loro manie. Sono presi nella trappola del quotidiano, perciò il Cristo spiega: c'è «un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». In realtà sono ingenui e la loro reazione è davvero comica. Non capiscono niente: Cristo è al centro del labirinto e loro all'esterno, non sono scesi fino in fondo e non hanno visto il Cristo seduto nei pressi del pozzo di Giacobbe e Giuseppe. Non sanno niente, sono terra nella terra, non terra nel cielo. Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura». Cristo afferma «Non aspettate». È già tutto qui, era già seminato prima della vostra nascita. Il vostro Dio interiore è qui, perché volete aspettare quattro mesi? Perché questa idea di dover aspettare? Perché non tu? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Cosa mieteremo? Fiori puri: dentro di noi tutto è già in stato di purezza. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Tu tt i i samaritani, tutti quegli uomini esiliati, questi maledetti, come li chiamavano i profeti, escono da ll a città e vanno incontro a Cristo. Non sono eruditi né intellettuali: sono i fedeli di altre religioni. Quando troviamo il nostro Dio interiore, Lui è quello che semina e noi siamo quelli che raccolgono, e siamo insieme. Non c'è un processo che precede l'altro: mietiamo quel che seminiamo a ogni secondo, quest'acqua che esce dal pozzo! 310 311 A ogni istante l'acqua scorre e, allo stesso tempo, noi mietiamo e raccogliamo. Lo facciamo contemporaneamente: seminare e mietere sono atti simultanei, non c'è sfasamento né distanza temporale fra l'uno e l'altro. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Il nostro Dio interiore semina e noi non dobbiamo far altro che mietere. Non dobbiamo seminare: non abbiamo più niente da fare. Ci basta mietere. Non dobbiamo conservare niente. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato... Quando ci decidiamo a mietere, mietiamo. Caliamo il secchio nel pozzo, tiriamo la corda e prendiamo l'acqua. «... altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro. » Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole de ll a donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». tutto quello che ci dicono. Ci parlano di un'infinità di concetti che non abbiamo mai sperimentato: la fede, la libertà, la speranza ecc. Possiamo passare la vita a sentir parlare del vino, ma finché non ci ubriacheremo non lo conosceremo mai. ... ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo. È bene ascoltare quello che ci dicono, ma bisogna subito andare a verificare, a sperimentare da soli. Avviciniamoci al pozzo, allora! Una volta che l'abbiamo fatto, portiamoci la nostra famiglia, gli amici, le persone con cui parliamo nella vita quotidiana e tutte quelle che incontriamo: conduciamoli al pozzo come ha fatto la samaritana con i samaritani. È tutto. Non c'è alcun segreto. Egli è là. Ecco il segreto, il nocciolo di quanto detto finora. Non è a causa di quello che ci dicono che dobbiamo credere: dobbiamo sentire da soli. In genere ci comunicano teorie e concetti, e viviamo applicandoli senza aver mai conosciuto la fonte di È necessario saper far rotolare la pietra che copre la bocca del pozzo e pregare lì: sono compiti da realizzare. Se non adempiamo a essi, le pecore muoiono di sete. Viene, dunque, un momento in cui bisogna decidersi a fermare il carro, smetterla con le abitudini, con la pigrizia, e dedicarsi a questo. Dal momento in cui iniziamo a darci veniamo aiutati, poiché la nostra programmazione interiore sa perfettamente di cosa abbiamo bisogno. La fede non consiste in nient'altro che chiedere aiuto ed essere sicuri che saremo soccorsi. Se vogliamo comunicare non possiamo avere un comportamento equivoco, non possiamo mentire. Se diciamo bugie, non ci ascolta nessuno. Dobbiamo trovare la verità interiore, nel centro del nostro labirinto. Lì togliamo la pietra dal nostro pozzo e da lì parliamo con calma dopo aver ascoltato. Ciò significa che abbiamo vinto la battaglia, perché non abbiamo nulla da ottenere. È fatto. La voce interiore parlerà solo a noi, ma una volta che ci parla possiamo trasmetterla. La nostra voce interiore è flebile: non grida, ci dice impercettibilmente: «Sono qui». Dobbiamo spalancare un orecchio enorme per sentirla, poiché si tratta di un suono molto delicato. Se non poniamo tutta la nostra attenzione nell'ascoltarla, 312 313 È dunque la donna a dirlo agli altri, la donna considerata impura e che, tuttavia, a contatto di Cristo è solo purezza. Ciò significa che le esperienze precedenti non esistono più, grazie al rapporto col nostro Dio interiore: smettiamo di incolparci e comprendiamo che non ci sono colpe, che siamo innocenti. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro... Sono i primi che chiedono a quell'illuminato di restare con loro. ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito...». non ci riusciremo. Non dobbiamo pensare che questa voce ci parlerà molto fo rt e perché siamo «noi»: così facendo non la sentiremo mai, perché non ci parlerà mai nella dimensione del nostro ego. L'ego non è in grado di sentirla, perché la nostra voce sussurrerà dolcemente, dal fondo di tutto quello che siamo. XIV IL SECONDO SEGNO DI CANA (Giovanni 4,43-54) Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Bisogna ricordare che quando Gesù scaccia i mercanti dal tempio i grandi sacerdoti e gli scribi cercano di ucciderlo; deve dunque abbandonare in fretta la Galilea. Gesù quindi sa perfettamente di cosa parla, poiché non è stato riconosciuto nel suo paese. Possiamo anche dire che a volte il Dio interiore può essere più facilmente riconoscibile nell'altro (nel Maestro) che in noi stessi. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Ritorna dunque nel luogo del suo primo miracolo. Tutte le persone che cercano di fare del bene agli altri arrivano a un certo punto, volenti o no, a desiderare di guarirli. Quando abbiamo realizzato il nostro lavoro interiore, o almeno una gran part e, ci rendiamo conto di non poter rimanere fermi e di dover comunicare agli altri quello che abbiamo compiuto in noi. Vogliamo comunicare ma non possiamo 314 315 farlo immediatamente: dobbiamo «pulire» le orecchie di chi ci ascolterà, se vogliamo essere capiti. Per comunicare con gli altri, dobbiamo prima curarli. Ci rendiamo conto che se il mondo è malato anche noi ci ammaliamo, e se si trova a un livello meno evoluto del nostro dobbiamo adoperarci per farlo evolvere. Scopriamo inoltre che se il mondo è in crisi anche noi lo siamo: non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo cominciare a farlo. Ci impegniamo ad avviare il cambiamento, lottiamo contro la resistenza degli altri a essere guariti. Medici, psichiatri, psicoanalisti e tutte le persone che lavorano con gli altri converranno che, a un certo punto, si trovano sempre davanti un muro impenetrabile: l'altro non si lascia curare. Eppure, vediamo molto chiaramente quello che ha, percepiamo il suo nucleo. Allora gli diciamo: «Vedi, questo l'importante, questo è il tuo nucleo essenziale». L;altro annuisce e ha una specie di presa di coscienza, ma dieci minuti dopo ci dice: «Cos'è che mi dicevi? Me ne sono dimenticato». Facciamo lo stesso con i nostri problemi: diciamo a noi stessi: «Cambierò», lo annotiamo in un'agenda e poi ce ne dimentichiamo. Sei mesi dopo, quando rileggiamo i nostri appunti, constatiamo che non abbiamo fatto niente e che ce ne siamo dimenticati. Di cosa si tratta? Perché, quando ci proponiamo di aiutare gli altri, ci imbattiamo subito nel problema del narcisismo? Verifichiamo che non riusciamo a curare gli altri, e se insistiamo a farlo è solamente perché siamo in preda a una smania di potere. Ci rendiamo conto di non poter andare così lontano come speravamo, perché se l'altro non vuole curarsi noi non possiamo farlo, per quanto lo desideriamo. La verità, in fondo, è che non possiamo curare nessuno. Possiamo curare solo noi stessi. Voler aiutare gli altri esige una grande umiltà, perché mentre si cura un altro bisogna far sparire sempre più se stessi: bisogna accompagnarlo nei suoi stessi meandri e spingerlo con abilità e discrezione fino a quando comincia a prendersi cura di sé. Dobbiamo diventare un «cestino della spazzatura» e lasciare che depositi in noi il suo sudiciume. 316 Bisogna sottolineare che tutti, assolutamente tutti, siamo malati, dato che la nostra malattia proviene dal nostro albero genealogico. Abbiamo visto che ognuno di noi è abitato dalle tre generazioni che lo precedono: si tratta di almeno quattordici persone (quindici con noi), senza contare i fratelli e le sorelle, gli zii e le zie; abbiamo visto inoltre che queste quindici persone che ci abitano ci guidano verso una situazione malata. Cristo ha affermato che «un profeta non riceve onore nella sua patria». Cos'è la patria? È la coscienza. Dove si trova? Nel mondo, nel mondo infinito. La patria è la coscienza e il mondo è l'essere umano nella sua completezza, con l'inconscio e tutto il resto dell'Universo che esso contiene. Ogni individuo ha in sé un Universo completo e infinito, un cosmo. Dove finisce l'inconscio? Dove finisce l'Universo. Grazie all'inconscio siamo completamente relazionati al cosmo, perché all'inconscio individuale si sommano l'inconscio collettivo, quello storico e quello cosmico. Di base ci sono i pianeti e più lontano dei pianeti, molto più lontano, c'è il cosmo intero, quello che dentro di noi corrisponde alla divinità completa. ... un profeta non riceve onore nella sua patria. La divinità fa spesso delle apparizioni nella nostra coscienza. Quando siamo «svegli» ci illuminiamo molte volte al giorno. Per esempio, siamo testimoni di un incidente. In quel momento siamo completamente illuminati: lo vediamo in tutti i dettagli e non lo dimenticheremo mai. È come scattare una fotografia, un'«istantanea»: questa tipologia di momenti potrebbe chiamarsi il profeta. Un profeta appare nella nostra coscienza, ma siccome si tratta della nostra coscienza non ci crediamo. Al contrario, possiamo credere negli stati di coscienza degli altri. È per questo che cerchiamo qualcuno che abbia visto: pensiamo che dica la verità e che noi non la possediamo. Lo chiamiamo quindi Profeta e lo seguiamo affinché ci dica cosa fare. Lui ce lo dice, ma cosa dice il nostro profeta interiore? 317 Esaminando l'episodio della guarigione del paralitico potremo capire che cos'è un paralitico, perché anche noi siamo paralitici in qualche pa rte: siamo tutti portatori di handicap, Prima di approfondire questo tema, comunque, dobbiamo esaminare la fede: nel passo precedente, infatti, «Guarigione di un bambino», Cristo inizia a parlare della fede. Quando non abbiamo fede diciamo a noi stessi: «Ogni individuo è un essere inutile e senza scopo, e morirà ignorante. Veniamo al mondo per caso. I miracoli non esistono. Siamo qui perché siamo qui, ed è tutto, l'essere umano è un animale folle che genera figli senza sapere perché, per il mero desiderio di perdurare. La sessualità è una trappola della natura che si vuole riprodurre: ha dotato questa trappola di piacere affinché ci caschiamo dentro e ci riproduciamo. Ci sfruttano fino alla morte affinché qualcun altro si arricchisca, questo è tutto. L'unica cosa che conta è vivere bene e avere molto denaro. Basta diventare milionari, essere famosi, avere un «nome«, soddisfare tutti i propri capricci: ecco l'unica cosa che conta. A parte i beni materiali non esiste niente!». Diciamo a noi stessi: «La libertà è una chimera, in fonde siamo tutti controllati: non possiamo viaggiare senza passaporto; ci dicono tutto quello che dobbiamo fare; siamo obbligaci a rispettare leggi ingiuste. Tutto viene deciso dallo Stato. La fede è una sciocchezza. Cosa siamo in mezzo a tutto questo? Miserabili vermi, è evidente». E inoltre: «Viviamo su un piccolo pianeta che gira intorno a un piccolo sole che non avrà una vita molto lunga. Nella galassia non rappresentiamo niente!». E proseguiamo: «Come può la divinità pensare a me fra milioni e milioni di esseri umani? Bisogna essere completamente megalomani per pregare e pensare di essere ascoltati! Ascoltare cosa? Chi sono io? Chi è colui che chiede? Se mi tagliassero a pezzi, cosa rimarrebbe? Dove sono? Quando tento di vedermi per sapere dove sono non ci riesco: vedo solo che mi sto guardando. Se cerco di mettermi nel posto da cui vedo, allora vedo che mi vedo mentre mi guardo, e se insisto, vedo che mi vedo mentre mi guardo mentre mi vedo. Dove sto? Da nessuna parte. Cosa sono?». E possiamo continuare: «Non posso nemmeno essere sicuro di capire quello che penso, perché non sono io a pensare, è l'inconscio. Non sono padrone dei miei pensieri. È l'inconscio che mi fa pensare. Sono completamente controllato da questa cosa strana che chiamano inconscio, o dall'economia, o dalla pubblicità». Si arriva a questo: «Mi rendo anche conto che non si ama. Studiando l'albero genealogico, notiamo che qualcuno si innamora di un cognome, di una professione, di una proiezione di sua madre... Inoltre, non esiste nessun vero genitore adulto, né un Padre né una Madre, da nessuna parte! Siamo tutti bambini». Soprattutto, pensiamo: «Del resto, non voglio morire. Voglio l'eternità! Certo! Perché dovrei accettare la mo rte? Voglio essere eterno così come sono! No, non come sono. Forse più giovane, con i capelli biondi, e più muscoloso, con un sesso più grosso, più potente. Che altro? Molto più bello, ovvio. Così come sono ma con un naso un po' meno lungo e una dentatura sana. Sì, così sarei perfetto». E possiamo continuare: «Allora, cos'è che voglio conservare in eterno? I miei sentimenti? No, non desidero renderli eterni perché il cuore mi fa soffrire. I miei desideri? Ancora meno: mi turbano, sono stufo dei miei desideri. I miei pensieri? Sono così geniali? La scelta, dunque, appare difficile. Più ci penso, più si restringe. Nessuno, in realtà, merita di essere eterno perché nessuno è perfetto. Solo la divinità potrebbe avere tutto. Ah, se fossi Dio! Voglio esserlo! È proprio questa la risposta: essere Dio per l'eternità!». 318 319 Il nostro profeta interiore non va bene nella nostra patria, non l'ascoltiamo. Diciamo a noi stessi: «Perché io? Perché dovrei stare attento ai miei momenti di illuminazione?». Ogni giorno ci capitano migliaia e migliaia di miracoli e non riusciamo a vederli. Li dimentichiamo immediatamente perché non siamo profeti nella nostra coscienza. LA FEDE Allora i nostri pensieri cambierebbero direzione: «Ma se sono Dio, che futuro mi aspetta? Completamente solo per tutta l'eternità! Insopportabile! In fondo, non voglio essere eterno. È un'ambizione senza alcun interesse. Quello che voglio è essere felice, qui e ora. In realtà, l'unica condizione desiderabile è starmene qui, pienamente felice, e avere fede, la fede totale. È tutto. L'unica cosa fondamentale per un essere umano è avere fede. Ma cos'è la fede? È sapere che in me c'è un Dio che mi collega all'eternità, che esiste qualcosa di eterno e che tutti questi ideali sono veri». Allora ci concentreremo su una questione: «Come realizzare la fede? Come posso rendermi conto che in me c'è qualcosa di magico, un potere incommensurabile, che ho la facoltà di ricrearmi, la possibilità di essere sempre visto e ascoltato, che sono stato creato per uno scopo concreto, che adempio a un meraviglioso destino cosmico e che, da qualche pa rte dentro di me, un giorn o godrò pienamente di questo Universo così splendido? Avere fede vuol dire sapere che siamo completamente inscritti nel tempo, che foinieremo parte della coscienza in eterno, che siamo coscienza, siamo lo Spirito Santo... tutti noi». E concluderemo: «Allora ne vale la pena. Io da solo, no! Tutti insieme, questo è meraviglioso. Vedere l'umanità intera, quelli che sono morti, quelli che sono vivi, quelli che ancora devono nascere, tutti insieme in un Dio collettivo. Questa è la bellezza. Entrare nella divinità e dissolversi in essa. Forse lo stiamo già realizzando? Da qualche pa rte dentro di noi siamo già dissolti nella divinità. Da qualche parte dentro di noi stiamo già prendendo coscienza». che quando affrontiamo in profondità i nostri problemi interiori il potere non ci aiuta: non importa quale potere, neanche quello del re. Possiamo essere funzionari reali e godere della migliore situazione possibile, possiamo aver risolto l'aspetto materiale della nostra vita; ma quando viene il momento critico, il re non può fare niente per noi. Il potere non può fare niente. Viene un momento in cui il potere si ferma davanti alla malattia. È questa, dunque, la grande rivoluzione divina e bisogna capire che la malattia è divina. In un certo senso esiste per sistemare le cose: è per questo che la nostra società vede la malattia come un mostro. Una persona che si crea una malattia psicologica o fisica sta facendo una rivoluzione, mentre una persona che nasconde la corruzione e la mo rt e nella sua anima senza manifestarle in una malattia po rt a il peso del suo errore (errore che attualmente ci ha condotti a quello che è evidente per tutti: alla crisi, all'agonia de lla nostra società). Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Un funzionario reale è un militare al servizio del re. Il re non è in grado di curare il figlio del funzionario. Questo vuol dire Da qualche pa rte dentro di noi, siamo tutti dei bambini, bambini che chiedono. Il bambino che vive in ciascuno di noi è malato, quasi moribondo, e sappiamo che, per vivere, dobbiamo curarlo, poiché non ha ricevuto quel che meritava. Dobbiamo dargli quello che non ha. In realtà, il funzionario chiede che venga curato il suo bambino interiore. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». È la sua prima risposta: «Voi esigete dei miracoli per credere». Chiediamo un miracolo per avere fede, quando la condizione sine qua non per sperimentare un miracolo è proprio avere fede. È paradossale. Ottenere la vita eterna equivale a raggiungere uno stato di coscienza che presuppone la morte dell'ego. La persona che 320 321 I MIRACOLI (Giovanni 4,43-54) Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. arriva a questo stato di coscienza si trasforma durante la ricerca. In un certo senso, lascia un cadavere dietro di sé, visto che non è la stessa che era all'inizio della via. In qualche modo, illuminarsi è come morire. Orbene, si cerca l'illuminazione proprio per non morire. Il funzionario, dunque, dice: «Fammi un miracolo e crederò in te»; e Cristo gli risponde: «Come posso fare un miracolo se non hai fede?». Prima di tutto bisogna cercare la fede interiore. Ma il funzionario del re insistette: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Quando ripete la sua richiesta, il funzionario crede. All'inizio, il Vangelo dice: «lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire», e Gesù risponde: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». La seconda volta, il funzionario dice: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va', tuo figlio vive». La sfumatura è molto sottile e può passare inosservata, ma c'è un koan zen, un indovinello sacro, che può chiarirla: Un Maestro zen va a vedere i suoi discepoli che stanno meditando nelle rispettive celle. Apre la porta della prima cella. Un discepolo esce e solleva una lampada davanti al suo viso. Il Maestro lo saluta, poi si dirige verso la seconda cella. Apre la porta. Un altro discepolo esce e alza la sua lampada come quello precedente, ma invece di salutarlo il Maestro gli dà uno schiaffo. il suo spirito non ha ancora trovato la devozione, e il Maestro gli dà uno schiaffo. Ecco un altro esempio; domandi a qualcuno: «Ti sono utile?» «Oh, sì, mi sei molto utile!» «In questo caso ringraziami. Dimmi `grazie"!» « Grazie.» «Il tuo `grazie" non è sincero.» « Grazie!» «Non è ancora sincero. Non mi ringrazi. La tua gratitudine proviene dall'intelletto. Deve provenire da tutto il tuo essere: il tuo intelletto, il tuo cuore, il tuo sesso, il tuo fegato, il tuo pancreas, la tua milza, tutte le tue cellule. Voglio che tu mi dica grazie, che riconosca quello che ti ho dato. Non per farmi piacere o perché io desideri ringraziamenti. Voglio che tu lo riconosca per te, perché se sei riconoscente e mi dici sinceramente "grazie" farai del bene a te stesso. Al contrario, se dici "grazie" soltanto con il tuo intelletto, te ne dimenticherai. Bisogna sapere ringraziare completamente, con ogni cellula, affinché la cosa agisca su di te.» Quando il funzionario ripete la sua richiesta, dice a Cristo: «Scendi prima che il mio bambino muoia». Lo dice con fede e crede profondamente nel fatto che Gesù possa guarire il ragazzo. In quel momento Cristo gli dice: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». S'informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un'ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato». Ciò significa che l'uomo aveva camminato per un'intera giornata. Questo è il koan. Come interpretarlo? Ci sono due persone che stanno lavorando: sono simili e, tuttavia, il Maestro si congratula con uno e dà uno schiaffo all'altro! Sembra una cosa piuttosto misteriosa. Possiamo dire fra noi che il Maestro è pazzo, eppure no, non lo è. Il primo discepolo, pieno di fede e devozione, solleva la sua lampada per dire: «Il mio lavoro compiuto». Il Maestro lo avverte, perciò lo saluta: «Hai fatto bene il tuo lavoro». L:altro fa lo stesso gesto ma senza sentirlo, Gli dice «Va', tuo figlio vive» e l'uomo va: ha fede. Passa una giornata intera. Suo figlio, dunque, si trova lontano. È andato a cercare Gesù a una grande distanza per condurlo a curare il figlio. Questo funzionario reale, che aveva una situazione invidiabile, si era accollato il peso di andare a cercare una 322 323 Il padre riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive». persona molto distante. Questa persona gli dice: «Non ho bisogno di venire al capezzale di tuo figlio. Attraverso di te posso operare a distanza». Fiducioso, il funzionario ritorna a casa e i domestici gli vanno incontro per annunciargli che suo figlio è vivo. Vive perché lui ha avuto fede e ha creduto. I nostri problemi psicologici esistono perché non abbiamo fede. Ci persuadiamo che l'altro non ci ama e ci convinciamo che mente, che niente di quello che ci dice è sincero. Facciamo così in modo che la nostra certezza diventi realtà e facciamo di tutto affinché l'altro si disinteressi di noi e ci abbandoni. Provochiamo un dramma enorme perché non siamo amati... per mancanza di fede! Al contrario, se abbiamo fede, cosa facciamo? Diciamo a noi stessi: «Sto bene con questa persona! È un piacere momentaneo. Non chiedo che mi dia un'ora o qualche giorno di più. Non chiedo niente. In effetti sto bene così!» . E diciamo anche: «Se l'altro non mi vede, è perché non può farlo. Se mi vede, è perché può farlo. Se lavora con me è perché mi ama. Se non lavora al mio fianco è perché non gli interessa. È la vita, sono le circostanze. Non chiedo niente. Sono contento». Oppure: «Studio, studio, studio... Penso, cavillo, medito... Sono intimamente persuaso che riuscirò a fare quello che voglio. So che ce la farò!». La base di tutto è la fede: so che un giorno riusciremo a curare per mezzo dei miracoli, perché tutti possiamo fare miracoli se ce lo proponiamo: possiamo agire sugli altri e oltrepassare il loro muro. Tuttavia, per farlo, dobbiamo oltrepassare anche il nostro. Il problema non è abbattere il muro dell'altro, ma il nostro. quella di tutti coloro che la circondano. Non si fa mai del bene a una sola persona, ma a molte: a tutte quelle di casa. La stessa cosa accade dentro di noi. A partire dal momento in cui ci risvegliamo intellettualmente, ci risvegliamo anche sul piano emotivo, istintivo e corporale. Cominciamo a risvegliarci da qualsiasi parte di noi stessi! GUARIGIONE DI UN PARALITICO A GERUSALEMME (Giovanni 5,1-18) Vi fu poi una festa per i Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Ciò significa che a partire dal momento in cui una persona crede, non è l'unica a farlo: molte altre crederanno insieme a lei. Se diamo a qualcuno un seme e questo germoglia, non abbiamo abbellito unicamente la vita di una persona, ma anche Questa frase è bella. Gesù arriva mentre è in corso una festa. L'occasione in cui scaccia i mercanti dal tempio è la festa di Pasqua. Più tardi, compie il suo primo miracolo durante un matrimonio. Si presenta sempre quando è in atto una festa. Ciò significa che se non c'è festa la presa di coscienza, lo stato di illuminazione, non può arrivare. Se vogliamo ricevere Dio in noi, se vogliamo raggiungere la nostra illuminazione, facciamo una festa dentro di noi. Cominciamo a sentire i nostri nuclei di sofferenza per dissolverli. Dove c'è sofferenza non c'è coscienza. Dove c'è coscienza non c'è sofferenza. Il dolore può consistere in un'infezione ai denti o in un'altra part e del corpo, ma non la sofferenza. C'è una differenza. Quando ci fa male una qualunque parte del corpo, questo dolore rimane localizzato. Al contrario, quando proviamo sofferenza questa invade per intero il nostro corpo, il nostro spirito, il nostro cuore, il nostro desiderio, la nostra memoria: invade il nostro mondo, il nostro intero Universo. Tutti quelli che piangono una persona molto tempo dopo che è scomparsa sono nella sofferenza e non nel dolore. Ciò significa che hanno un enorme complesso di colpa e non lasciano che si dissolva. A un certo punto bisogna seppellire il morto. Se non lo facciamo, riveliamo una mancanza di coscienza. Con la mort e di Deshimaru imparai che quando muore un Maestro zen lo si onora con un lutto di quarantanove gior- 324 325 e credette lui con tutta la sua famiglia. ni, poi cessano i lamenti. Il Maestro è eterno, ovviamente, ma dopo un certo tempo ci si slega, ci si stacca. È una bella cosa stare notte e giorno a vegliare la sua memoria, ma dopo quarantanove giorni diventa una schiavitù. Bisogna vivere. Continua a soffi ire colui che non si è risvegliato. Gesù arriva, dunque, in occasione di una festa. Conviene sottolinearlo: dove c'è lui, è sempre festa. V'è a Gerusalemme, presso la po rta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici... Immaginiamo una piscina con cinque portici. Simboleggia i quattro ego: il corpo, l'istinto, l'emozione, l'intelletto... e la quinta essenza. ... sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Essere malati significa non vivere il proprio Dio interiore. Non conoscerlo è la fonte delle malattie. Essere ciechi significa non vedere la propria verità. Essere zoppi vuol dire avere bloccato il lato maschile o il lato femminile. Un paralitico è qualcuno che non può lavorare su di sé per trovare il proprio centro: non può raggiungerlo e spera che venga un altro per farlo. Essere paralitici significa sperare che l'altro ci dia quello che potremmo darci da soli. ciechi, zoppi e paralitici. Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto. Tutti aspettano la guarigione. Perché sono malati? Immaginiamo la scena: quella moltitudine si trova sull'orlo della piscina. Improvvisamente l'angelo scende e tocca l'acqua; questa si agita e tutti si lanciano facendosi largo a gomitate. Il primo che tocca l'acqua guarisce e si rallegra mentre gli altri, tutti gli altri, lo guardano risentiti e gelosi. Un'immensa moltitudine e un solo guarito. Uno solo... purché lo lascino arrivare all'acqua. Così, in competizione, credo che nessuno potesse guarire. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. 326 Quest'uomo era paralizzato da trentotto anni e dopo tutto quel tempo aspettava, mentre gli altri, malati, zoppi, ciechi ecc., correvano verso l'acqua senza preoccuparsi di nient'altro. Quest'uomo vedeva sfilare tutti ma non poteva avvicinarsi nemmeno di un centimetro all'acqua. Nessuna pietà: l'incredibile egoismo di quei malati. Ognuno per sé. I paralitici, bloccati lontano dall'acqua, costituivano la felicità degli altri malati: qualche rivale in meno. I ciechi, non da meno, corrono in tutte le direzioni, mentre gli zoppi più bellicosi hanno qualche possibilità di farcela... ma inciampano e cadono. Ogni malato, approfittando dei magri vantaggi che la sua malattia gli dà sugli altri, tenta di avanzare a calci, a morsi, menando colpi con i moncherini, con le stampelle, in preda all'angoscia... Il nostro paralitico, impotente, aveva vissuto questa scena per trentotto anni senza che nessuno gli prestasse aiuto avvicinandolo all'acqua. Non c'era li un sacerdote, uno di quelli che leggevano i libri, il Deuteronomio e altri, che gli dicesse: «Poveretto! Starò io al tuo fianco, dato che tu non puoi muoverti, e nel momento in cui l'acqua si agiterà ti ci immergerò»? Certo che no. Ognuno pensava solo a se stesso, poiché un malato pensa solo a se stesso e non si mette mai nei panni di un altro. Ognuno di noi è zoppo, o cieco, o storpio. Intorno a noi ci sono anche tutti questi personaggi che pensano solo a se stessi. C'è il paralitico, e nessuno va verso di lui. Sono trentotto anni che quest'uomo aspetta, e nessuno si mette nei suoi panni. La malattia è dentro di noi, nel nostro ego, e aspetta che venga un angelo dal cielo ad agitare l'acqua miracolosa. Non fanno il loro lavoro personale e sono malati. Perché? Perché peccano. Qual è il loro peccato? Non avere fede. Non fare il lavoro interiore. Siamo venuti qui per vivere nella pienezza, e se una persona non vive in questo stato, pecca. Peccare è darsi tutte le giustificazioni possibili per essere come un malato sull'orlo de ll a piscina che dice: «Gli altri arrivano prima di me perché sono malato. Ma aspetto il giorno in cui avrò abbastanza forza per escludere tutti quanti. Quel giorno non farò loro regali. Mi guadagnerò il mio posto a calci e a 327 La domanda è formidabile e, in realtà, contiene la chiave non solo per qualsiasi malato ma anche per tutti i terapeuti. Ci lamentiamo di essere malati, ma vogliamo guarire? Penso di no. Siamo malati perché non vogliamo affi ontare il problema che nascondiamo. Se guarissimo, ci troveremmo di nuovo davanti al nostro problema. Siamo paralizzati perché ci conviene, perché non vogliamo affi ontarlo. Decidiamoci: vogliamo guarire o no? Tutto il problema sta qui. Se non vogliamo curarci, nessuno al mondo potrà farlo. Potremo consultare tutti i medici possibili e non guariremo morsi come gli altri. Lascerò fuori i paralitici e sarò il primo a toccare l'acqua». Gesù, vedendolo disteso... In trentotto anni, Cristo è il primo che lo vede disteso. È il primo, perché se qualcun altro lo avesse visto, lo avrebbe portato vicino all'acqua. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse... Non gli domanda niente. Lo vede e valuta il suo handicap: paralitico da molti anni. Ora, nel prendere coscienza noi dobbiamo imitare Cristo! Osserviamoci! Valutiamo! Da quanti anni accettiamo di essere paralitici, inchiodati sull'orlo della realizzazione, della fonte, di noi stessi? Da quanti anni c'è in noi qualcosa di paralizzato che ci impedisce di arrivare all'acqua della piscina, a quell'acqua eterna che viene toccata dall'angelo, dallo Spirito Santo, cioè la coscienza cosmica? Da quanti anni non ci realizziamo e cos'è che non realizziamo? Quale pa rte di noi è paralitica e come l'aiutiamo a risollevarsi e a guarire? Lo domando perché vedo l'enorme pa rte paralizzata in me stesso. Se io posso riconoscerla, chiunque può riconoscere la sua. Facciamo uno scambio! Io vi do il mio paralitico e voi mi date il vostro. In questa maniera li cureremo: mostrandoceli. Cos'è che è immobile dentro di te? Della tua creatività, per esempio, cosa hai fatto? Se è paralizzata, valorizzala. Dove sei con la tua creatività sessuale, emotiva, intellettuale, corporale, a rt istica, economica? Dobbiamo trascinare il nostro paralitico, non lasciarlo disteso. Bisogna alzarlo e portarlo vicino all'acqua. Così realizziamo le cose. Al contrario, se rimaniamo impotenti davanti a lui, se abbiamo pietà e lo guardiamo senza far niente, egli non potrà mai arrivare all'acqua. , mai. Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gli sta dicendo: «Dio mio, non ho nessuno, nessuno mi ama». Questa risposta è rivelatrice. «Perché sei malato? Perché sei paralizzato?» «Signore, non ho nessuno.» Lacqua si agita. La vita è lì, e noi non abbiamo nessuno che ci porti all'acqua. Perché non ci andiamo da soli? Fino a quando continueremo a chiedere? «Che papà e mamma mi diano da mangiare!»: separiamoci da nostro padre! Allontaniamoci da nostra madre! Prendiamo le distanze dai nostri nonni, dai nostri amici, dalla società! Dimentichiamoci del nostro nome, del nostro viso, del nostro sesso, della nostra età! Non chiediamo che ci aiutino! Raggiungiamo da soli l'acqua senza aiuto! Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». Vogliamo guarire? Prendiamo il nostro letto e camminiamo! Se vogliamo alzarci, siamo più potenti dell'angelo, dell'acqua e di tutti i simboli! Dipende dalla nostra volontà, pertanto sviluppiamola! Camminiamo! sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. 328 329 Il sabbat, il giorno del sabato, è sacro per gli ebrei. Durante questa giornata non si deve lavorare, non si possono fare sforzi fisici. È durante un sabbat che il paralitico viene guarito e abbandona la piscina col suo lettuccio sotto il braccio. Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito... Invece di meravigliarsi davanti al miracolo, gli ebrei lo vedono passare col suo lettuccio e si arrabbiano perché lo vedono lavorare. Gli dicono: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio.» Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Quest'uomo davvero non sapeva chi l'aveva guarito! Che enorme egoismo! Se non sa chi l'ha guarito, è ancora malato. Non sa dire «grazie». Non è in grado di riconoscere colui che gli ha permesso di camminare. Non è in grado di riconoscere il suo Dio interiore, perché è stato Lui a guarirlo. Abbiamo dentro di noi chi ci guarisce della nostra paralisi. Dobbiamo riconoscerlo. Finché non riconosceremo il nostro potere interiore, incolperemo colui che ci ha guarito. Non crederemo. Non lo definiremo. Non lo vedremo. Pensiamo a tutte le persone che vengono a cercarci mentre soffrono. Ci chiamano, ci consultano, ci chiedono aiuto e nel momento in cui si sentono un po' meglio non ci mandano neanche un fiore. Scompaiono. Quando poi si ammalano di nuovo, chiedono a qualcun altro di curarli perché noi abbiamo «fallito». Ciò significa che, nel nostro egoismo, non vediamo chi ci fa guarire. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio... ti, Cristo dice loro: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», e il Vangelo precisa: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo». Risorge dalla tomba dopo tre giorni; risuscita Lazzaro dopo tre giorni." Quando il paralitico cammina, Gesù lo incontra di nuovo nel tempio, cioè nel suo corpo. Lì gli parlerà di nuovo. Gli darà una nuova opportunità: è stata realizzata solo metà del lavoro, perché quell'uomo è un egoista. Vediamo perché. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio». Qui il Cristo stabilisce molto chiaramente la relazione tra lo spirito e la malattia. Le persone sono malate perché peccano. Ho spiegato prima in cosa consiste il peccato: è non prendere coscienza, non vivere nella pienezza. Essere nella pienezza significa essere pieni d'amore e di bontà. Finché non viviamo come un tempio pieno d'amore e di bontà, e finché non le amiamo, le cose non sono belle. Finché non l'amiamo, la nostra casa è come una prigione. Quando cominciamo ad amarla, diventa sempre più accogliente. Più l'amiamo, più la sistemiamo, e si trasforma in un palazzo, in un tempio. ... non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. «Realizzati! Prima eri paralizzato ma adesso, se non ti realizzi, ti distruggerai. Fa' attenzione, perché hai acquisito un po' di coscienza. Sai che sei. Perciò, non sei una cosa qualsiasi. Fa' attenzione! Non indietreggiare!» Quando una persona si cura, sperimenta il benessere, ma non per questo la cura è terminata. Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Dove vorremmo che fosse Gesù se non nel tempio? È lì che ritrova quell'uomo. Dov'è il tempio? È il nostro corpo. Quando scaccia i mercan- «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Matteo 12,40). 330 331 Dopo averlo visto e riconosciuto, lo accusa! Prima non sapeva chi era ma, non appena lo sa, lo denuncia. In realtà, quell'uomo odia Cristo perché lo ha guarito. Questo vuoi dire che se guariamo una persona che non vuole curarsi, essa ci detesterà. Comincerà a lottare contro di noi e a fare ogni tipo di resistenza. La sua presa di coscienza si manifesterà in un crescendo, e subito ci odierà. Lotterà con lo scopo di paralizzarsi di nuovo. E siccome non ci riuscirà, poiché, nonostante tutto, ha preso coscienza, ci incolperà di tutte le sue disgrazie. Nella misura in cui non voleva essere guarita, le abbiamo fatto un male enorme. Il paralitico aveva organizzato il suo mondo: trentotto anni in mezzo agli altri. Chi lo nutriva? Gli altri! Era contento del suo stato. Era il piccolo mendicante che non costituiva un pericolo nel momento in cui l'acqua si agitava. I suoi limiti erano una maniera di vivere. Ci abituiamo alla nostra malattia. Ci adattiamo e ci sistemiamo tanto bene a questo stato che quando viene qualcuno a turbarci, ci offendiamo ed entriamo in crisi. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Che rivoluzionario! Quando vuole fare del bene, non si preoccupa se è un giorno sacro o ordinario. Quando prendiamo coscienza, poco importano il giorno e il luogo. Poco importa che sia sabato. Niente è più impo rt ante del prendere coscienza. La tradizione dice che Dio riposò il settimo giorno, il sabato. Per questo motivo di sabato nessuno deve lavorare. È una legge, ma nessuna legge ha importanza rispetto al prendere coscienza. Quando lo facciamo, infrangiamo tutte le leggi che ci impediscono di guarire e di vivere. A partire dal momento in cui vediamo il nostro nucleo e quello che siamo, cominciamo a viverci come siamo, a dispetto di qualsiasi legge. La realizzazione non ha leggi: è detto in questo episodio dei Vangeli. Cristo sta dicendo che è falso che Dio riposa. Dio è azione. «Anche oggi lavora mio Padre, e io lavoro.» Questo vuol dire che il nostro Dio interiore obbedisce al Padre, cioè al cosmo, all'Universo. La nostra realizzazione è un atto di obbedienza alla legge cosmica. Perché obbediamo, ci realizziamo, agiamo. Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Portiamo in noi qualcosa d'inconcepibile, d'immenso; allora smettiamo di sminuirci! Non lasciamoci dominare dalla nostra paralisi! Accettiamo di guarire! Riconosciamo il nostro Dio interiore! Lasciamolo agire! Mettiamo da pa rt e l'odio! Non bisogna odiare chi ci cura. Siamo noi a farlo. Se l'altro ci aiuta a prendere coscienza, smettiamo di odiarlo! Eodio è la nostra difesa. Quanto più l'altro ci fa prendere coscienza, più lo detestiamo. Riconosciamo che dobbiamo alzarci e camminare! Invece preferiamo rimanere nella nostra malattia perché è più comodo e perché abbiamo paura della vita. Vinciamo questa paura! Il nostro Dio interiore ce lo insegna a poco a poco. Egli ce To insegna. IL POTERE DEL FIGLIO (Giovanni 5,19-30) Gesù riprese a parlare e disse: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che Egli fa, anche il Figlio lo fa». Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero». Ciò significa che nella vita non si può fare niente per se stessi. Faremo quello che la nostra forza interiore ci detta. In fondo, non facciamo niente: lasciamo che le cose si facciano attraverso di noi. Abbiamo uno scopo ma non lo conosciamo e non abbiamo bisogno di conoscerlo. Dobbiamo aver fede e pensare che le nostre azioni sono giuste e sono guidate dal Padre! 332 333 Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa... Ciò vuol dire che dentro di noi siamo amati. Non dobbiamo cercare l'amore di nostro padre, il nostro progenitore, né quello di nostra madre. Cercandolo, entriamo in un inutile gioco simbolico. Se i nostri genitori non ci hanno dato quello di cui avevamo bisogno, dimentichiamocene! Andiamo avanti! Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. Una volta che cominciamo a obbedire alla nostra voce interiore e a fare quello che vuole, il nostro Padre interiore, il nostro creatore interiore ci spinge a fare cose enormi. Siamo stupiti da tutto ciò che possiamo fare. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita... Se siamo impotenti, se ci sentiamo morti dal punto di vista creativo, il Padre, il nostro creatore interiore, risuscita i morti e li fa vivere. . così anche il Figlio dà la vita a chi vuole. Possiamo far vivere le cose in noi. Non dobbiamo avere paura! Il Padre infatti non giudica nessuno... Sospendiamo il giudizio! Smettiamo di giudicare se vogliamo che il Padre si manifesti in noi! Finché giudicheremo gli altri non potremo esprimere la nostra creatività. Non giudichiamo più! Accettiamo chiunque, perché ogni persona ha una perfezione! Contempliamo la perfezione degli altri! La perfezione, solo quella. Non giudichiamo più! Nessuno ci ha fatto del male, dato che siamo vivi e abbiamo il Padre dentro di noi. Chi non onora il proprio Dio interiore non può avere fede nell'Universo. Onoriamolo! È la prima cosa che dobbiamo fare. Non cerchiamo fuori ciò che abbiamo in noi! Come dice il Tao te Ching, per viaggiare non occorre uscire di casa. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna... In questo momento ci abita la vita eterna. Non ce l'abbiamo per noi; non è un gioiello di cui ci siamo appropriati. Chi comunica col proprio Dio interiore po rta in sé, in questo momento, qui e ora, la vita eterna del cosmo. Questa vita che ci abita è eterna. Non c'è altro che la vita. Allora, dissolviamoci nella vita e saremo eterni! Bisogna capire che dobbiamo soltanto prendercela. Dobbiamo essere un punto di luce che entra fino nel centro del labirinto. È unicamente entrando in estasi, in meditazione profonda, che tocchiamo la vita eterna. Qui e ora, trasportiamo l'eternità dentro di noi è pertanto siamo in estasi. e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla mo rte alla vita. In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo... Ciò significa che il momento è qui e ora. Con il nostro Dio interiore, la nostra vita eterna, siamo finalmente arrivati. Che piacere infinito! La prima volta che sono venuto a Parigi vivevo in una stanza molto modesta. Nella stanza accanto abitava una coppia, e l'uomo era stato in un campo di concentramento. Ogni volta che faceva l'amore con la moglie e raggiungeva l'orgasmo, lo sentivo gridare qualcosa come: «Dio mio, che bello essere qui e non laggiù». Lo gridava regolarmente e io dicevo fra me: «È una lezione. Che bello essere qui e non da un'altra parte!»; non vorrei trovarmi da nessun'altra pa rte. È un piacere inenarrabile. ... in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. ... ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tu tti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In un certo senso ci consideriamo come morti. Perché? Perché non abbiamo ascoltato il nostro Dio eterno. Al contrario, 334 335 quando sentiamo la nostra potenza, quando riconosciamo che dentro di noi esiste un punto eterno, che questo punto non ci appartiene ma lo portiamo in noi, e che possiamo dissolverci nell'immensità che ci abita, allora viviamo. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso... Possediamo la vita in noi stessi. e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita e quanti fecero il male, per una risurrezione di condanna. Quelli che non hanno dato niente e si sono preoccupati soltanto del loro benessere — i paralitici che non pensano che a se stessi e non si mettono mai nei panni dell'altro — saranno condannati. È necessario comprendere che siamo noi stessi a crearci il paradiso o la condanna, e quest'ultima si manifesta attraverso l'angoscia. Perciò in essa cadranno tutti quelli che non hanno aiutato gli altri. Io non posso far nulla da me stesso... Senza fede non possiamo muoverci. Vogliamo guarire? Ascoltiamo il nostro Dio interiore. Disobbediamo alle leggi che ci immobilizzano. Alziamoci e camminiamo. Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. RITORNO DELLO SPIRITO IMMONDO (Matteo 12,43-45) È Cristo a parlare: Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione perversa. Come abbiamo visto, Cristo guarisce il paralitico dicendogli: «Prendi il tuo lettuccio e cammina». Non gli dice solo «Cammina!», ma: «Prendi la tua nevrosi e cammina! Prendi la tua malattia e comincia ad agire! Non sperare di raggiungere la perfezione! Così come sei, nello stato in cui ti trovi: cammina, se vuoi guarire! Prendi il tuo letto di angoscia e cammina! Prendilo, e avanza con i tuoi limiti!». Il discorso del Cristo ha molte assonanze con questo poema del Maestro zen Ejo Takata: Colui che ha solo mani aiuterà con le sue mani, colui che ha solo piedi aiuterà con i suoi piedi questa grande opera spirituale. 336 337 Una volta espulsa la nostra malattia, ci sentiamo vuoti, in luoghi aridi e non troviamo sollievo. È falsa la credenza che guarire provoca sollievo. Nei miei corsi di Tarocchi propongo ai partecipanti degli atti di psicomagia. Un atto di psicomagia è un'azione simbolica che utilizza il linguaggio dell'inconscio e può curare la persona su cui viene esercitato. Orbene, molte persone a cui ho prescritto uno di questi atti sono entrate in crisi e non lo hanno compiuto, oppure hanno fatto il possibile per cambiarlo. La maggioranza trova innumerevoli scuse per non compiere l'atto o per farlo «in modo approssimativo». Mercanteggiano. Sarebbe stato necessario far firmare un contratto a queste persone, con la clausola che avrebbero realizzato l'atto prescritto fin nei minimi dettagli, senza omettere niente. In effetti, gli individui non vogliono veramente guarire: la guarigione li angoscia. Quante persone seguono un trattamento fino a lla fine senza dimenticarsene nemmeno una volta? Cominciano il trattamento, prendono le loro pillole e, dopo quindici giorni, se ne dimenticano. Chi non ha dimenticato almeno una volta di prendere h' medicine prescritte? È perché non desideriamo guarire. Vogliamo essere accuditi, accarezzati, ascoltati... ma non curati. Quando la vecchia concezione che abbiamo di noi stessi ci abbandona, ci ritroviamo nelle regioni aride. Niente ha più significato nella vita. In un primo momento, naturalmente, ci sentiamo bene. Prendiamo il nostro lettuccio e camminiamo. Ma subito andremo a denunciare Gesù davanti ai sacerdoti. Succede cioè che montiamo in collera contro colui che ci ha guariti. Nell'ambito della magia bianca si dice che occorre un'enorme attenzione perché, quando guariamo qualcuno, per sette anni questa persona non ci ringrazierà; inoltre, i demoni che le togliamo si metteranno contro di noi. Cosa sono i demoni? Quando diciamo «la mia angoscia», è come se dicessimo «la mia auto»; parliamo della nostra angoscia come se si trattasse di un oggetto di cui siamo proprietari, come se da qualche parte dentro di noi non fossimo angosciati perché possediamo un'angoscia. Se ne sta lì, come un oggetto, e noi la possediamo. È la nostra angoscia: i nostri limiti, il nostro fallimento, la nostra impotenza. Ma chi possiede tutto ciò? Bisogna trovare colui che dice: «Ho». Si tratta di un punto dentro di noi che non è un oggetto: in fondo, l'angoscia è una sorta di diavolo, una nostra creazione, una marionetta all'interno della quale viviamo. In genere non viviamo nella pienezza. Deformiamo il nostro corpo in funzione di vecchie concezioni che ci sono state imposte attraverso varie generazioni. Ci sono state trasmesse queste deformazioni e noi le portiamo: ci carichiamo sulle spalle la nostra marionetta. D'improvviso arriva Cristo, scaccia lo spirito immondo e ci guarisce. Siamo guariti, ma ci troviamo nel deserto arido. Chi siamo ora? Chi siamo nel momento in cui non soffi iamo più di quella malattia, di quell'angoscia, di quella personalità, di quella sofferenza e di quella tristezza che prima ci definivano? Chi siamo a partire dall'istante in cui conosciamo la pienezza e il piacere di noi stessi? Cosa ci rimane da fare? La vita non ha più significato. Non siamo più gli stessi. Quello stregone ci ha curato, ci ha cambiato. E adesso, cosa diventeremo? 338 339 Con l'aiuto di un terapeuta, di un amico o di qualcuno che amiamo, riusciamo a prendere coscienza. Allora dobbiamo prestare attenzione, perché la pa rtita non è ancora vinta. Prendere coscienza significa che d'improvviso lo spirito immondo esce da noi. Se ne va la vecchia concezione che abbiamo di noi stessi. È il bambino insoddisfatto che ci trasciniamo dietro dall'infanzia, la vecchia convinzione di essere un bimbo abbandonato, un perdente, di non essere amato, di non essere realizzato, l'idea che bisogna soffrire, le nostre paure, i limiti, le tensioni, le frustrazioni, la nostra solitudine, la nostra sensibilità ferita ecc. Tuttavia, all'improvviso prendiamo coscienza e cambiamo. Lo spirito immondo è uscito da noi. Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. Chi ci ha guarito non ci ha dato uno stato privilegiato, ci ha semplicemente concesso la guarigione. Che tristezza! Come potremo chiedere che si occupino di noi ora, se non siamo più malati? Cosa chiederemo, se non abbiamo più niente da chiedere? Qual è adesso il nostro significato? Eabbiamo perso, perché consisteva nell'ispirare pietà e nel chiedere che si occupassero di noi. Ora che non siamo più malati, chi si occuperà di noi? Che angoscia non provare più angoscia! Che orrore essere contenti, farsi carico della propria vita! Che spavento essere guariti! Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione... «Ritornerò alla mia vecchia personalità. Voglio ritrovare le mie angosce. Quel matto non mi separerà da me stesso. Ritorno al luogo da cui provengo.» Uscire dalla gogna de ll e nostre concezioni e frustrazioni è un'avventura difficile da tentare. Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. «Vuota, spazzata e adorna.» Tutto è vuoto. Niente fastidi, collere, tempeste. Non c'è niente. Se la nostra casa è vuota, il mondo non ha motivo di occuparsi di noi. Prima rompevamo le scatole a tutti, e tutti si occupavano di noi. Adesso non rompiamo le scatole a nessuno, e nessuno si occupa di noi. Nessuno ci vede. E com'è angosciante non essere visti! Percepiamo molto bene l'esistenza di questi sette centri nervosi. Lo spirito immondo è dunque formato da altri sette spiriti: uno spirito negativo entra in ognuno dei nostri centri. Nelle nostre fondamenta: il nostro rapporto con la terra diventa negativo e perdiamo l'equilibrio. Nella nostra sessualità: non realizzazione, negazione del piacere, punizione, castrazione, nevrosi. Nel nostro centro di gravità: il nostro potere di azione si indebolisce; non possiamo realizzare né creare. Nella nostra gola: l'angoscia s'insinua; non vediamo niente e ci chiudiamo al mondo; le nostre emozioni diventano negative, il nostro cuore è colmo di rancore. I nostri pensieri ci tolgono ogni speranza di realizzazione. Non ci uniamo al Cosmo. e la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima. La nostra condizione è peggiore perché per un momento abbiamo conosciuto il piacere e facciamo un paragone. GESÙ SFAMA UNA GRANDE FOLLA (Giovanni 6,1-15) all'altezza della ghiandola pituitaria, fra le sopracciglia; e il settimo e ultimo, il Sahasrara, alla sommità del cranio. Cristo sfama una moltitudine di persone e subito dopo cammina sulle acque del mare. Le cose si svolgono nel seguente modo: anzitutto c'è una montagna, e poi il mare; nel mare ci sono le onde, il vento e una povera barca che lotta contro questi elementi. La montagna è un simbolo del centro. Non è un caso se, dopo che Cristo è salito sulla montagna, appare immediatamente il tema dell'oceano e della barca che deve attraversarlo. La montagna mette in comunicazione il cielo con la terra, ma è rivolta anche verso l'interno, verso la nostra profondità, verso il nostro centro, verso la nostra coscienza cosmica. L'oceano, con la sua super fi cie turbolenta, con tutti i suoi pericoli e i suoi mostri marini, è un luogo di vita e di mo rt e, un simbolo dell'inconscio. Non si può capire la moltiplicazione dei pani se non si leg- 340 341 Allora va, si prende sette altri spiriti... Sempre il numero sette. Nella Bibbia questo numero è importante. Secondo gli orientali, i chakra, centri nervosi situati dentro di noi, sono sette. Il primo, chiamato Muladhara, è all'altezza del perineo, tra il sesso e l'ano; il secondo, Svadishtan, è all'altezza della pelvi; il terzo, Manipura, si trova vicine all'ombelico; il qua rt o, Anahata, all'altezza del plesso solare; il quinto, Vishuddha, all'altezza della tiroide; il sesto, Ajna, Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto... ge l'episodio insieme a quello successivo, nel corso del quale Cristo cammina sull'oceano. Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade... Cioè: «Il giorno in cui io facevo miracoli fuori di loro». A quell'epoca vigeva la Legge di Mosè che imponeva l'autorità. Era l'autorità del Libro, l'autorità dei sacerdoti, l'autorità esteriore. Cristo passa sull'altra riva. Passare da una riva all'altra significa approfondire lo studio, cambiare il livello dell'insegnamento. e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. La folla lo segue per uno scopo totalmente fisico: sono tutti malati. Noi stessi, in genere, preghiamo quando soffriamo per qualche malattia o quando abbiamo delle necessità. Dentro di noi c'è una luce che non è noi stessi ma il nostro Dio interiore, e sempre dentro di noi c'è una moltitudine di personalità che inseguono questa luce interiore: non la cercano per ottenere una guarigione definitiva, ma per sopprimere i sintomi che impediscono loro di continuare la loro vita meschina e superficiale. In fondo, quello che vogliamo è che ci vengano tolti i sintomi, non la malattia, perché non osiamo guarire. Forse non vogliamo che ci dicano francamente di cosa si tratta, perché se ci rivelassero in cosa consiste e cosa significa la nostra malattia ne saremmo molto turbati: implicherebbe lasciare tutto, proprio quando non vogliamo abbandonare niente. Per arrivare davvero nel nostro centro dobbiamo lasciarci alle spalle tutto quanto: le idee che abbiamo di noi stessi. Se invece manteniamo queste concezioni («Io sono così, io sono cosà»), non abbandoniamo niente. In tal caso, crediamo di essere Dio e non che Dio sia dentro di noi. Quando si parla di Dio, si parla della pienezza interiore. Abbiamo insistito sul fatto che Dio è dentro di noi: è scritto nell'Antico Testamento («La nuova alleanza», Geremia 31,31 34). Del resto, nel capitolo dei Vangeli che affronteremo adesso, il Cristo cita testualmente Geremia. Essendo Dio, Cristo cita le parole che Lui stesso aveva dettato molte generazioni prima: È scritto nero su bianco: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore». Non si può essere più chiari. No n studieremo la Legge: non dobbiamo far altro che scoprirla nel nostro cuore. Non cercheremo Cristo da nessun'altra pa rt e se non nel nostro cuore, perché l'alleanza si è realizzata e Cristo ce lo ricorda. . Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore... Nessuno ci insegnerà che Dio è dentro noi. Cerchiamolo nel nostro cuore. ... perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato. Vale a dire: «Iscriverò la mia legge nel cuore di ciascuno e perdonerò loro tutto». Questa frase è indicibilmente bella. Dio l'aveva già pronunciata nell'Antico Testamento. È una dimostrazione della sua infinita bontà. E il Verbo si fece ca rn e e abitò tra noi. Abbiamo visto la sua gloria. Il Verbo è la vera luce, la Verità, l'energia primogenita che, venendo al mondo, illumina ogni uomo. Il Verbo è dentro di noi. . 343 342 ..t Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Ma a quelli che l'hanno ricevuto, a quelli che credono nel suo nome, ha dato il potere di diventare bambini di Dio. Ciò significa che nascere dalla divinità è riconoscerla in noi stessi. Siamo stufi di quelle persone che cercano in un altro il mediatore fra loro e la Legge che è scritta nei loro cuori! e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. È evidente che se qualcuno può curare il mio eczema lo seguirò affinché mi renda più lieve la malattia: posso seguire un farmacista, un medico, un ciarlatano, un sacerdote, chiunque, purché smetta questo prurito continuo! Gesù salì sulla montagna... Gesù è buono, ma è stufo di essere seguito per curare sintomi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. In questo momento vediamo Cristo stanco: ogni volta che guarisce qualcuno, questi diventa peggio di prima. Cristo ha appena fatto camminare un paralitico e subito lui lo denuncia poiché gli ha detto di prendere il suo pagliericcio in un giorno di sabbat, e ora lo cercano per imprigionarlo. Ciò nonostante, Cristo continua: possiede la volontà. Non abbandonerà tutti quanti, benché attraversi un momento di fatica. Si apparta con i suoi discepoli salendo sulla montagna; tiene gli occhi bassi, come se si trattasse,. ' di mettere della distanza tra lui e la folla, ma ben presto li .`. rialza. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui... Ci sono tutti: i paralitici, i vilipesi, i tristi, i calunniati, g inibiti, i frustrati... Che gioia deve provare Cristo vedendo cbc tutti hanno fatto lo sforzo di salire sulla montagna. 344 w. Mette alla prova Filippo: «Come sfameremo questa folla?». I discepoli erano poveri, ed era un problema. Dunque, è una faccenda di soldi. Filippo contempla la folla: cinquemila persone! Dice fra sé: «Accidenti! L'ho seguito affinché mi dia tutte le soluzioni e ora è lui che me ne chiede una! La chiede a me! Non posso far scendere a uno a uno tutti questi ciechi e zoppi dalla montagna! Come farò?». Entra allora in uno stato di confusione, poiché si rende conto di non avere la soluzione. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Duecento denari equivalgono approssimativamente a quattrocento dollari attuali. Perciò Filippo chiede: «Come sfameremo tutta questa gente, Maestro?». Sono dodici discepoli: potrebbero fare una piccola colletta per sfamare cinquemila persone. Allo stesso tempo pensano: «Ehi, non prenderai i miei risparmi! Ho qualche moneta ma non te la darò! Sono le ultime che mi rimangono. Non ti daremo tutto quello che abbiamo per questa combriccola di pidocchiosi! Siamo venuti qui e seguiamo Cristo per stare con lui. Siamo i suoi discepoli. Non come questa folla di mendicanti! Cosa vengono a fare qui? Io ho un po' di soldi miei per mangiare mentre ascolto, ma non voglio darli agli altri!». Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci...» . In pratica, il ragazzo ha quel cibo perché è un bambino. Non è né cieco né zoppo o niente del genere. È ancora puro. Ha il suo cibo: cinque pani e due pesci. Perché se lo è portato? Un bambino è un essere puro: porta il suo alimento spirituale per sé e per tu tti. «... ma che cos'è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». 345 Farli sedere significa far assumere loro la postura della meditazione. Chi non sa meditare non può trovare il suo Dio interiore. Probabilmente, Gesù pensa: «Ah, i miei discepoli mi deludono un'altra volta. Di nuovo non riconoscono la virtù della ripartizione. Di nuovo devo insegnar loro a condividere. Devo insegnar loro che quel che hanno non è solo per loro. Solo condividendo quel che hanno potranno moltiplicarlo». Ciò mi fa pensare a Pierre, un uomo che si impiccò con del fil di ferro all'età di cent'anni. Lo trovarono tre mesi dopo. Aveva studiato per tutta la vita senza mai condividere niente. Cosa ne fece della sua conoscenza? Cosa guadagnò? Come moltiplicò il suo pane? Se teniamo per noi tutto ciò che sappiamo per avere del potere, se non condividiamo, se non diamo quel che abbiamo, come potremo moltiplicare l'amore dell'altro? Se vogliamo una persona solo per noi e la soffochiamo perché non vogliamo condividerla, cosa diventerà il nostro amore? Se non vogliamo condividere, non moltiplicheremo mai i nostri pani e i nostri pesci. Non ci arricchiremo mai. Fateli sedere. Com'è bello questo! I suoi discepoli, che guardano lui, non pensano che in quella folla ci sono anziani, donne, bambini, paralitici, malati che hanno scalato la montagna con fede e ora stanno tutti in piedi ad aspettare. I discepoli non si sono preoccupati de ll a fatica fisica degli altri. Ciascuno è immerso nel suo piccolo problema... e poco più in là cinquemila persone in piedi che soffi ono. «Fateli sedere.» C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque... di noi, tutta la nostra vita diventa un giardino erboso, la nostra casa si rallegra. Al contrario, finché siamo chiusi, finché vorremo i cinque pani e i due pesci solo per noi, vivremo nel deserto come lo spirito immondo menzionato sopra. «Fateli sedere» significa: «Ricevete queste persone. Hanno fatto uno sforzo. Sono saliti sulla montagna! Insegnate loro a meditare!». Se non scaliamo la montagna e rimaniamo di sotto, il Maestro non ci sfamerà. È necessario, dunque, fare uno sforzo per arrivare nel più profondo di noi stessi. Dobbiamo lavorare su di noi, meditare e realizzare la preghiera nel cuore. Finché non avremo imparato a meditare e a pregare, non troveremo il nostro centro. È necessario lavorare in noi stessi, non possiamo chiedere senza salire sulla montagna! ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie... Cosa significa ringraziare? Vediamo cosa dicono gli altri evangelisti. Nel raccontare lo stesso episodio, Matteo (14,1321) afferma: «Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini». Poco prima scrive: Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». Qui è ancora più chiaro che in Giovanni. Dicendo: «date loro voi stessi da mangiare», Cristo li mette di fr onte a se stessi. Egoisti, non sanno condividere. Continua Matteo: Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qua». Come mai in cima alla montagna c'era molta erba, dove in genere non ce n'è? Pensiamo ad Attila: dove passava, non cresceva più l'erba. Al contrario, dove passa Cristo l'erba nasce e appare il giardino. Perciò, dal momento in cui il Dio interiore appare dentro Non dimentichiamo che i cinque pani e i due pesci sono stati offerti da un bambino, cioè dalla pa rt e pura del nostro spirito. Cinque pani e due pesci: di nuovo il sette. Portiamo dunque 346 347 i nostri sette chakra! Offriamo i sette elementi! Concediamo tutto quel che abbiamo al nostro essere essenziale! Diamo tutti i nostri elementi: il nostro corpo, le nostre attività, la nostra energia sessuale, la nostra vita emotiva, il nostro intelletto, la nostra coscienza. A questo punto cosa succederà? E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione... Si noti che il testo non dice «alzò la testa verso il cielo», e nemmeno «guardò verso il cielo». Alzare gli occhi al cielo, senza muovere la testa, vuoi dire quasi stralunarli... Stralunare gli occhi significa distoglierli dal mondo per rivolgerli verso l'interiorità. Quando Gesù benedice, contemporaneamente insegna a meditare e pregare alla folla. Con il suo gesto, dice loro: Fate come me, rivolgete il vostro sguardo dentro di voi, comunicate con il vostro principio cosmico, con il Padre, e consegnatevi a Lui. Non sono io, Gesù, a compiere il miracolo: condividerò con voi quello che ricevo dal Padre. Se volete il cibo vero, ricevetelo dal vostro Dio interiore. Quel cibo è l'Amore. Quello che diamo agli altri è l'amore. Non il nostro limitato amore terrestre, bensì l'amore di Dio. Quella che diamo è la speranza in Dio e la fede in questo essere cosmico. Lasciamo passare il cosmo dentro di noi. Siamo un canale: ricettivi verso il cielo ma attivi verso la terra. Cristo rivolge lo sguardo nel suo intimo e pronuncia la benedizione. Lascia cioè passare la corrente divina, la conoscenza, e non tenta di firmare la sua opera. Nemmeno noi firmiamo la nostra opera: la riceviamo e la consegniamo a mano a mano che arriva. La diamo alla folla che è salita sulla montagna. nostri pani si coprono di muffa. Quando non diamo, cadiamo in uno stato di decomposizione, ci inaridiamo e finiamo in manicomio, all'ospedale o al cimitero. Cosa pretendiamo, se non abbiamo mai dato niente e abbiamo sempre chiesto tutto? Ma c'è un momento in cui la cosa finisce e la gente che ci circonda non ci dà più niente perché è stufa di noi. Impegniamoci a dare subito! Invece di chiedere, dedichiamoci a dare! Condividiamo! Tutti mangiarono e furono saziati... Senza dubbio, tutto ciò è di una bellezza enorme. Ma ritorniamo alla versione di Giovanni: E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» . Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Dodici canestri: è molto simbolico. Equivale a dire: «Tu non potevi dare il più piccolo dei tuoi averi, ma una volta che hai cominciato a farlo, quello che hai ceduto si è moltiplicato. Tutti sono contenti, e in più adesso ricevi un canestro pieno di pani». Dodici canestri: uno per ogni discepolo. Che lezione! Questi apostoli sembrano dei pagliacci. Vedremo che per quasi tutto il Vangelo non capiscono niente. Molto più tardi ci riescono e diventano formidabili. Ma prima, quanto ha dovuto sopportarli Cristo! Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». Chiaro: ora lo dicono perché sono sazi e ognuno ha la sua cena! spezzò i pani e diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono al la folla. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re... Più ne dava, più ne aveva. Nella vita ci rendiamo conto che nella misura in cui diamo, moltiplichiamo. Quando li teniamo per noi, i nostri pesci marciscono; quando li conserviamo, i Ora che sono sicuri del fatto che egli è il profeta, lo tentano: se lo porteranno via per dargli il potere. Lo faranno guru, papa, imperatore. Gli daranno la corona, lo scettro, il mantello del 348 349 potere, e poi oro e incenso. L'innalzeranno fino alle nuvole perché compie miracoli ed egli si gonfierà come un pavone. La sua pancia aumenterà, si adornerà con collane di fiori e dirà. «Chi mi ama, beva del mio vino», e dimenerà le anche. In quell'istante Cristo dice «No». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo. Sparisce. Ai discepoli sarebbe piaciuto molto che si fosse fatto re. Sarebbe stato un buon affare per loro. GESÙ CAMMINA SULLE ACQUE (Matteo 14,22-23) Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca... Li obbliga: non potrebbe essere detto più chiaramente. Avrebbero preferito essere ministri del re, ma Gesù li obbliga a ritirarsi. Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Cosa fa appartato sulla montagna? Non aveva bisogno di pregare il Padre perché era con lui. Rimase nel proprio centro: egli era il centro del cosmo. Il nostro Dio interiore ha molte altre cose da sistemare oltre alle nostre difficoltà quotidiane. Deve regolare la circolazione del nostro sangue, la moltiplicazione delle nostre cellule, la consistenza dei nostri organi. Vigila, per esempio, che il nostro fegato non si deformi trasformandosi in un gatto. Controlla la crescita de ll e nostre unghie, fa sì che il nostro indice non cominci ad allungarsi smisuratamente o che le ossa non perforino la pelle estendendosi fino alla strada di fr onte. Fa in modo che non spunti una coda in fondo alla nostra colonna vertebrale, cosa piuttosto imbarazzante per noi. In realtà, il nostro Dio interiore si occupa di molte questioni. Si impegna a creare i nostri sogni e dirige la produzione del nostro sperma 350 o dei nostri ovuli affinché avvenga nella purezza totale. Lotta contro la dispersione del nostro cervello, e non si tratta di un compito semplice. Ha, dunque, molto da fare sulla montagna. Lì, nell'oscurità, lavora in completa solitudine: non deve preoccuparsi delle nostre continue richieste d'amore, né delle nostre incessanti petizioni di essere visti. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. È formidabile starsene soli. Quando abbiamo dato tutto quello che potevamo, quando abbiamo fatto il nostro lavoro quotidiano, allora è straordinario ritrovarsi soli, poiché ci si rigenera. Cristo non ha paura della solitudine, noi invece la temiamo. Siamo in compagnia di qualcuno almeno il novanta per cento del tempo, giorno e notte. E oltre alla compagnia degli altri, c'è quella dei nostri sogni, dei nostri desideri, delle nostre preoccupazioni. Non ci svuotiamo mai e non siamo mai soli. Creiamo continuamente altri personaggi dentro di noi, altri archetipi. Siamo imbevuti di opinioni degli altri, oltre che delle opinioni e delle critiche che abbiamo su di loro. Siamo invasi da una folla e non ci ritroviamo mai soli. Tuttavia è necessario starsene soli, imparare a distaccarsi completamente come la carta chiamata Llmpiccato, il dodicesimo Arcano dei Tarocchi. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Cristo non è con loro e i discepoli si trovano a bordo della barca sballottata dal vento e dalle onde. Quei poveri uomini hanno timore di naufragare nella malattia, nella miseria, nella vecchiaia, nella mo rt e. È la paura quotidiana: quando ci alziamo la mattina, il mondo ci piomba sulle spalle come una gigantesca tartaruga e abbiamo paura. Siamo come l'uccellino del folclore iugoslavo che suda sangue e che, supino, agita le zampe in aria. Gli chiedono: «Cosa fai lì disteso, perché tremi in quel modo?» «Sostengo il mondo!» 351 «Stai sudando.» «Sì, diecimila litri.» «Esageri. Saranno al massimo tre gocce.» «Per te sono tre gocce, ma per me sono diecimila litri!» Per noi, la nostra angoscia equivale a diecimila litri. Ogni mattina sudiamo diecimila litri e sosteniamo il mondo perché saliamo sulla barca senza il nostro Dio interiore. Quando non abbiamo Dio interiore, sosteniamo il mondo e siamo angosciati perché niente ci sorregge. Nel nostro intimo non c'è niente che possa sostenerci; perciò chiediamo tutto agli altri. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. Cristo si reca da loro verso l'alba, al sorgere del sole. Sulle onde scatenate, la coscienza cammina. I discepoli, nel vederlo camminare sul mare... Cosa fanno? Accolgono il miracolo entusiasti? Quando siamo sballottati dalle onde, cioè quando ci troviamo nella sofferenza, quando lottiamo affinché il mondo non ci schiacci, forse facciamo salti per la contentezza se dentro di noi appaiono la luce, la coscienza e la pace? No. Pensiamo: «In fondo, tutto questo dolore è una sciocchezza. Ho sofferto come un imbecille per quaranta, cinquanta o sessant'anni, e ora che la luce arriva mi rendo conto che questa sofferenza era inutile. Se oggi smetto di soffrire significa che tutta la mia passata sofferenza era inutile e ingiusta, e sembra perfino stupido aver vissuto come ho fatto. Dunque, sono un imbecille, ma rifiuto di riconoscerlo perché voglio una giustificazione per la mia sofferenza. Non mi si venga a dire che soffrire è stato inutile. Era necessario invece!». In quel momento, in mare, gli apostoli si trovano in questo stato d'animo, perciò non ricevono Cristo serenamente. Al contrario: I discepoli, nel vederlo camminare sul mare, furono turbati... 352 Si turbano perché cammina sull'acqua; eppure conoscevano abbastanza bene Cristo, l'avevano già visto fare dei miracoli. I discepoli, nel vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma»... Incredibile! Come possono Pietro, Giovanni e gli altri discepoli dire di Cristo: «È un fantasma!»? Può essere dovuto solo al fatto che in quel momento non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo. Erano ancora uomini immaturi e non i Padri della Chiesa che sono diventati in seguito. Un Padre della Chiesa ha dovuto essere prima un bambino e un pazzo. Se non sbagliasse e non passasse per tutto questo, non potrebbe diventarlo: è imparando a cadere, infatti, che si impara a camminare. È a partire da tutti i nostri peccati che costruiamo la nostra virtù, e con tutti gli insuccessi costruiamo la perfezione. Trionfiamo nella vita perché impariamo a fallire. Abbiamo causato sofferenza e infastidito molte persone. Abbiamo ammazzato molti animali. Perciò ora non disturbiamo più nessuno e rispettiamo la vita degli animali. Abbiamo smesso di soffrire. Possiamo dare perché prima non abbiamo mai dato. Abbiamo realizzato prese di coscienza successive. Ogni volta abbiamo finito per piangere e vomitare scoprendo che cosa eravamo e cosa avevamo fatto, vedendo come abbiamo ferito nostra madre, l'odio che abbiamo riversato su nostro padre, la gelosia che provavamo per nostra sorella, il disprezzo che nutrivamo per i nostri zii e zie. Ci siamo distaccati dalle nostre radici, dal nostro paese. E tutte le sofferenze che abbiamo inflitto ai nostri figli! Siamo all'origine di ogni loro malattia perché abbiamo commesso errori innominabili. Retrospettivamente, quanto dolore! furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Che tipo di grida lanceranno vedendo un fantasma? Strilli da bambini? E perché avere paura di un fantasma se credevano nella vita eterna? Com'è possibile? 353 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio...». «Coraggio» è la prima parola che dice loro: è una parola formidabile. Se non si ha coraggio, non si può amare. Tutti i problemi provengono dalla nostra mancanza di coraggio e di fiducia nell'altro, in noi, nel mondo, in tutto. Dobbiamo avere fiducia! Se non l'abbiamo, non guariremo. Dobbiamo avere fiducia! Non sottovalutiamoci! Coraggio, sono io, non abbiate paura. Vale a dire: «Abbi fiducia! Io sono il tuo Dio interiore. Non avere paura di Me!». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Pietro lo mette alla prova. Si fa fatica a crederci! Pietro, il Padre della Chiesa, dubita ancora! «Se sei tu, comanda che io venga. Fammi fare un miracolo e crederò in te. Dammi una prova!» L'unico modo di avere fede è averla senza miracoli. Se non confidiamo, non ci sarà miracolo. I miracoli avvengono senza che li chiediamo, nel momento in cui sono necessari. Non bisogna dimenticare che ogni miracolo è utile, altrimenti non è un miracolo ma un'illusione. ... comanda che io venga da te sulle acque.» Ed egli disse: «Vieni!». Dice solo «Vieni», ma con questo «Vieni» Cristo gli chiede di abbandonare tutto. Vieni! Lascia perdere! Lascia perdere i tuoi desideri! Pietro esita. Ha paura. Non vuole lasciare tutto ciò che lo definisce. Dice fra sé: «Lo abbandono o no? E se mi ritrovo impotente?». «Liberati dell'odio, di tutto quello che hai nel cuore! » «Ma cosa diventerò? Può darsi che muoia se abbandono tutto. E se questo mi uccide?» «Vieni.» «No! Non dirmi "vieni" così! Aspetta un po'! Potrebbe essere 354 pericoloso. E se affondo nell'oceano, se la mia personalità si dissolve? Se m'inghiotte una balena? Può succedere!» «Vieni.» «Ma, ascolta...!» «Vieni.» «Non è possibile! Non posso... Ho paura.» «Abbandona la tua paura.» «D'accordo, abbandono la mia paura!» «Abbandona i desideri di potere!» «Li abbandono.» «Non identificarti più col tuo corpo! Donalo! Sii pronto a morire! Vieni alla vita eterna!» Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Lo fa. È il grande momento di Pietro, il suo momento cosmico, totale. Abbandona tutto. Questo pover'uomo che pochi minuti prima gridava terrorizzato credendo di vedere un fantasma, ha sentito improvvisamente dentro di sé questa comunicazione col Tutto. Il Cristo era in Pietro, e Pietro era in lui. Scende dalla barca. Scende dalla sua razionalità. Non ha più paura. Niente può abbatterlo. Non teme più la pazzia né la dissoluzione. Può attraversare tutti i suoi sogni, tutti i suoi demoni. Avanza. Solca i suoi desideri più profondi, i più neri. Non ha paura. Attraversa la sua collera, i suoi impulsi distruttivi. Avanza. Si trova nello stato del genio, dell'eroe, del santo. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare... Il vento è la pazzia e la collera, e bisogna affi optarle. Pietro comincia ad avanzare, ma la forza di quel vento raddoppia e il discepolo si lascia sommergere dall'angoscia. Perde la fede in se stesso. cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò... 355 Non lo lascia naufragare nell'angoscia. Ciò significa che nessuno medita o prega da solo. Possiamo meditare solo se abbiamo invitato il nostro Dio interiore, e possiamo guarire solo se è presente. «Il medico non mi guarisce: mi aiuta, mi dà i mezzi, ma Tu, Dio, aiutami a guarire! Aiutami a liberarmi della mia pazzia! Aiutami a liberarmi della mia malattia! Aiutami a liberarmi del mio dolore!» All'inizio Pietro è pieno di orgoglio. Sfida Cristo dicendogli: «Se sei il Cristo, fammi camminare sulle acque!». Riesce a farlo, ma d'improvviso ha paura: crede che il miracolo che sta facendo provenga da un potere esteriore. Non appena comincia ad affondare, perde subito il suo orgoglio e diventa umile. Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?.. Quando ci mettiamo sulla via non dubitiamo. Se pretendiamo di guarire, avanziamo impeccabili, implacabilmente. Non abbiamo alcun dubbio. Se pensiamo di impazzire, attraversiamo la pazzia, e se crediamo di morire, attraversiamo la morte! Preghiamo nel nostro intimo e così troveremo la forza, poiché saremo aiutati. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». Anche Giovanni (6,21) racconta l'episodio de ll a barca, ma aggiunge un dettaglio impo rt ante. Vedremo quanto è sottile. Dunque, i discepoli si trovano sulla barca sballottata dal vento. Vedono Gesù avvicinarsi e si spaventano, ma egli li tranquillizza. Allora vollero prenderlo sulla barca e rapidamente la barca toccò la riva alla quale erano diretti. È bello. Dal momento in cui abbiamo fede, in cui avviene il miracolo, ci troviamo sulla terraferma. Il problema è superato. Raggiungiamo la riva. Entriamo nell'eternità del presente. 356 GESÙ, PANE DI VITA (Giovanni 6,22-59) ^^. Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra pa rt e del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. La folla si mette a cercarlo perché non è salito sulla barca. Immagino che la montagna sia su un'isola e che la gente lo cerchi dappertutto, ma senza trovarlo. Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. È normale: se sfamiamo una persona e, a maggior ragione, quattro o cinquemila, subito cinquanta milioni di persone smetteranno di lavorare per chiederci del cibo. Ci trasformiamo in filantropi universali, e il mondo intero smette di lavorare e si lascia sfamare da noi. È per questa ragione che se un Maestro fosse tentato dal diavolo e dicesse: «Venite da me, io risolverò tutti i vostri problemi!», sarebbe subito seguito da cinquecento milioni di persone. Sono pochi quelli che vogliono prendersi la briga di dedicarsi al lavoro, e se qualcuno si offre di farlo al nostro posto, ne restiamo affascinati. E se lo fa gratis, ancora meglio. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Tutti vorrebbero mangiare gratuitamente. Sono gli «scrocconi». Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». Di sicuro si dicono: «Miracolo! Miracolo! È un mago. Può fare dei balzi nello spazio-tempo». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». 357 Che dolore per Gesù! Si è impegnato in un lavoro pazzesco e non è riuscito a convincere nemmeno una dozzina di persone. Le altre cinquantamila che si trovano lì non hanno capito niente e vogliono soltanto riempirsi la pancia. ... ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna... Vale a dire: «Smetti di cercare sempre soddisfazioni dappertutto! Supera le tue frustrazioni sessuali! Supera i tuoi conflitti emotivi e i tuoi complessi d'inferiorità! Lasciali perdere una volta per tutte e chiarisci le tue pulsioni! Realizza quello che devi realizzare!». E inoltre: «Quando sei soffocato, soffochi gli altri. Vorresti che vivessero in funzione delle tue inibizioni. Sei una trappola per i tuoi simili». Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà... Esiste un alimento incommensurabile che dura in eterno: si trova nel cuore. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Abbiamo detto che la Legge divina è stampata nel cuore. Dato che questa Legge è eterna, portiamo in noi l'eterno. Che ci crediamo o no, dobbiamo aver fiducia! Non per ottenere la vita eterna, ma perché l'eterno è dentro di noi. È molto diverso. Quando ci rendiamo conto che l'eterno si trova in noi, le cose che ci succedono diventano messaggi con cui dobbiamo lavorare. Saliamo sulla montagna! Abbiamo fiducia! Non addormentiamoci! Smettiamo di inibire le persone con le nostre frustrazioni personali! Stacchiamoci dal dolore! Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Vale a dire: «Dobbiamo smettere di aver fame?». 358 Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credete in colui che Egli ha mandato». Siamo nostro padre, nostra madre, e siamo il figlio. Dobbiamo avere fede in noi stessi, tutto qui! Abbiamo fiducia in noi stessi! Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti?». Per l'ennesima volta, dacci un segno! Dio interiore, se esisti, facci fare un miracolo affinché crediamo in te! Facci guarire qualcuno! Dacci il dono della divinazione! Dicci che il presidente di un paese qualsiasi sarà assassinato nei prossimi sei giorni, in modo che possiamo annunciarlo e vedere così riconosciuto il nostro miracolo. Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo. Fa' un miracolo! Dacci da mangiare un pane che viene dal cielo. Riempi le nostre borse di denaro. Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero». Il vero pane del cielo è essere vivi, qui e ora. È la vita e, in questo stesso momento, noi ce l'abbiamo. Non siamo venuti al mondo: siamo stati prodotti da lui. Siamo chiamati dal mondo. Abbiamo il nostro pane. Mangiamolo! ... il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo. È molto chiaro: siamo il pane di Dio, il pane che viene dal cielo. Siamo la manna. Non dobbiamo aspettare che ci venga dato: è in noi. Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose: «Io sono il pane de ll a vita...». 359 Siamo il pane della vita. Oltre a noi, nessuno può darci il pane. Secondo noi, nessuno è migliore di noi, nessuno conosce la verità più di noi. Possono guidarci alla nostra verità, impartirci lezioni affinché risvegliamo il nostro Cristo interiore e diventiamo dei Maestri, ma siamo - e saremo sempre - il pane della vita. Dentro di noi abbiamo il nostro pane. Mangiamolo e co ll aboriamo con gli altri. ... chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Abbiamo tutto il pane e l'acqua necessari per saziare la nostra fame e la nostra sete. Abbiamo tutte le risposte. Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. Vale a dire: «A tutti voi manca la fede». Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò... Ogni persona che medita e si cerca, si troverà. Dedichiamoci , al lavoro e ci troveremo! Se non lavoriamo e non abbiamo fiducia in noi, non ci troveremo. ... non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. Nel nostro intimo non possediamo volontà. Non facciamo , la nostra volontà. È la stessa cosa quando ci cerchiamo: non dobbiamo farci guidare da una volontà personale. Affidiamoci alla volontà cosmica! Dobbiamo avere fiducia! Realizziamoci, è questo il nostro dovere. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto Egli mi ha dato... La volontà del cosmo è che ognuno di noi arrivi alla coscienza cosmica, alla coscienza totale di sé, che non viva più a livelli di coscienza inferiori e che lotti insieme a quelli che ha intorno per elevare il livello di coscienza degli altri. Non cadremo più nelle trappole che gli altri ci tendono . 360 Diremo loro: «La tua nevrosi e le tue angosce ti appartengono. Io so cosa diventerà la mia vita. Ho un Dio interiore e la mia vita è la mia vita. Non mi farai cadere nella tua trappola! Non mi farai vivere a livelli inferiori al mio!». Ogni giorno è festa. Se di mattina ci alziamo di cattivo umore, è perché la nostra vita va male. Tutte le mattine ci svegliamo e scoppiamo a ridere perché è una festa. Il mondo può crollare, possiamo perdere tutto quel che abbiamo, moglie, beni, casa, non significa niente: è comunque una festa. La vivremo tutta essendo impeccabili e implacabili. che io non perda nulla di quanto Eg li mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Significa che tutti, così come siamo, abbiamo vissuto la nostra vita come morti. A partire dal momento in cui abbiamo fede nel nostro Dio interiore e ci diamo a Lui, torniamo noi stessi e così risuscitiamo. Qui e ora, il nostro passato di morte è arrivato alla fi ne. Siamo risuscitati: viviamo, dunque, come risorti! Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». Al Allaj, un martire sufi, visse lo stesso problema. Fu ucciso per aver detto: «Io sono Dio»; il suo sangue, spargendosi a terra, scrisse il nome di Dio e quando gettarono il suo corpo nel fiume, questo disse: «Io sono Dio». Allora i suoi carnefici si resero conto che Al Allaj era un santo e che non si considerava Dio, ma Dio parlava attraverso di lui. Avevano assassinato il flauto pensando che dicesse di essere il fiato e negasse il musicista. Viene il momento in cui bisogna scegliere la fede e dire a se stessi: «Non sono pazzo. Non è un'allucinazione. Qualcosa parla attraverso di me». La fiducia non è nient'altro: attraversare la pazzia e avere la fede che qualcosa parla tramite noi. E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». 361 I nostri amici d'infanzia fanno pa rte dei nostri ricordi. Quando li incontriamo di nuovo, per noi sono esseri umani come gli altri, e si tratta di risorti oppure di cadaveri. Se siamo risuscitati è meraviglioso: ci abbracciamo. Abbiamo un contatto diretto, qui e ora. Ma se l'altro è un cadavere, viene a invaderci con i suoi vermi tentando di riportarci al passato. Vivremo sempre trascinandoci appresso il peso dei nostri ricordi? Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno». È il Padre che ci attira a sé. Noi non cerchiamo Dio, è Dio che ci cerca. Non inseguiamo la pienezza: è lei che viene a cercarci. Il nostro centro ci cerca. Il Maestro che scegliamo non è altro che una via: è la barca che ci permette di attraversare il fiume. Ma siamo attratti verso noi stessi. Il nostro essere essenziale ci cerca: vuole che ci realizziamo. Realizzarsi significa mettere immediatamente al loro posto gli archetipi paterni, onorarli e amarli, ma essere se stessi . Questo è realizzarsi: smettere di chiedere ai genitori ed essere se stessi. E poi, di risurrezione in risurrezione, camminare insieme ai nostri figli, e che i nostri figli camminino insieme a noi. e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Qui Cristo cita Ezechiele. Sia Ezechiele sia Gesù sono maschere di Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me. Ciò significa che colui che ha udito la chiamata va verso i l Dio interiore, verso la Legge del cuore. «Vieni a me»: questo «me» è il cuore. È la soluzione dei problema emotivo. Quando si ascolta il proprio cuore, si sente una preghiera formidabile. 362 E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. È il nostro cuore a vedere Dio. Il cuore è il punto d'unione con Dio. È stato lui a vedere, non noi. Ascoltiamo il nostro cuore! Lui sa, conosce: ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti... Sono morti perché hanno cercato la soluzione fuori di loro stessi. L'hanno cercata in Mosè, nelle Scritture: volevano che qualcuno li sfamasse. questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Quando siamo nutriti dal nostro cuore troviamo l'eternità. È questa la sfida. Non aspettiamo che qualcuno ci dia la manna, il miracolo esteriore. Compiamo il nostro miracolo interiore! Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. La nostra carne è il pane. La carne è la materia. Senza materia, il mondo non ha vita. Imbeviamo il nostro corpo di vita! Lasciamo che il cuore lo riempia! Lasciamo parlare il nostro cuore, affinché la sua parola circoli in tutto il corpo, nel nostro sangue illuminato! Non c'è un solo posto del nostro corpo che non possa accogliere la voce del cuore. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro... Qui gli ebrei simboleggiano l'umanità che non ha ancora fede nella nuova verità. Come può costui darci la sua carne da mangiare? 363 Pensano di trasformarsi in cannibali. Che ingenuità! Cristo sa di rivolgersi a persone che non sono ancora evolute, ma comincia da dove si trova. Getta il seme. XVI Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia ca rne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo gio rno». Il sangue è la vita imbevuta di luce e di coscienza. Dobbiamo introdurre la coscienza in ogni goccia del nostro sangue. Dobbiamo permettere a Cristo di penetrare completamente in tutto il nostro essere. Non sottovalutiamoci! Smettiamo di arrabbiarci con noi stessi! Smettiamo di dirci: «Mi suiciderò perché sono un incapace»! Lasciamoci guidare dal nostro Cristo interiore! Ascoltiamolo! Non lanciamo grida che zittiscono la voce del cuore! Non compiamo azioni che potrebbero soffocarlo! Non disperdiamoci in rapporti umani che lo imprigionano! «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.» Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. L:ADULTERA (Giovanni 8,1-11) Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Gesù part e da solo e sale sul monte degli Ulivi. Di nuovo una storia che comincia sulla cima di una montagna. È interessante chiedersi perché l'episodio dell'adultera avvenga proprio lì. Bisognerebbe domandarsi perché Gesù sale da solo sul monte degli Ulivi. Cosa cerca? Vuole sicuramente isolarsi e meditare. È scesa la notte: ha bisogno di dormire? È importante chiedersi cosa fa lì e anche se la cima della montagna non rappresenti il nostro essere più profondo. Partire da soli significa abbandonare il nostro lavoro con gli esseri umani per compiere il lavoro personale. Se saliamo in solitudine sul monte degli Ulivi, cioè se scendiamo profondamente in noi stessi, troveremo il nostro tesoro: il nostro Cristo interiore che ci aspetta per farci rinascere. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio... All'alba Cristo ritorna al tempio. Scende dalla montagna, cioè va verso la realtà nel momento in cui appare la luce del sole. Andare al tempio, luogo di preghiera, dovrebbe essere la prima azione del giorno. E il tempio è l'intero pianeta sacraliz364 365 11 zato. Ogni metro quadrato di terreno, ogni stanza sono santi, ossia abitati dallo Spirito, dalla Coscienza. e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Che coraggio! È indispensabile segnalare che in questo momento Gesù è minacciato di mo rte, e lo sa. Ciò non gli impedisce di proseguire le sue azioni. Poco prima, indicando in Giuda Iscariota colui che lo avrebbe tradito, aveva detto ai suoi discepoli (Giovanni 6,70): Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo! Egli dunque sa perfettamente che, andando in mezzo alla folla e mettendosi a insegnare nel tempio, si espone al pericolo, poiché il tempio è la Legge di Mosè, una Legge scritta, inalterabile, mentre la Legge viva si riassume in due parole: Permanente impermanenza. Chi può proporre un insegnamento che va oltre la Legge stabilita? Il nostro Dio interiore, la nostra voce intima. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo... Gli scribi e i farisei arrivano mentre Cristo sta insegnando alla folla. Se cerchiamo di immaginare cosa dice Cristo, possiamo essere sicuri che si tratta di cose di una bellezza sublime. Cosa può insegnare di più grande, se non a considerare la vita come un'arte poetica, come una pienezza? Che in ciascuno di noi c'è l'eternità, la meditazione, la preghiera e la realizzazione totale? Quale insegnamento più grande dell'amore può essere offerto? Cristo è davanti al tempio e insegna alla folla l'amore per gli altri, la pace, la benevolenza. In quel momento conducono l'adultera. Perché non conducono un uomo, bensì una donna? Sono persone piene di collera e di disprezzo verso la donna e soprattutto verso il piacere sessuale, come se fosse un peccato atroce. Odiano questa donna che ha osato sfidare la mo rte per amore! A quell'epoca le adultere erano condannate a mo rte. Che 366 passione doveva nutrire questa donna per osare tradire il marito! Lo ha ingannato anche se la Legge glielo proibiva. Cristo sta insegnando l'amore e gli conducono davanti una donna che ha corso pericolo di vita per amore. Fra l'altro, l'uomo non veniva punito. Come se la donna si sporcasse con il piacere, e l'uomo no. Quello che si proibiva era il piacere femminile. Cosa intendono fare con quella donna, mentre Cristo sta insegnando l'amore, la bellezza, la comprensione e la tolleranza? Ucciderla. Tutti i farisei e gli scribi hanno in mano delle pietre e la spingono in mezzo al gruppo che ascolta Cristo. Di fronte al tempio, il luogo della parola e dell'amore, scaglieranno delle pietre contro un essere umano. Vedranno scorrere il sangue. Quella donna sarà ferita: la sua bellezza, il suo sesso, la sua carne, il suo seno, le sue ossa verranno distrutti... Con la scusa dell'applicazione della Legge, sarà ridotta a una poltiglia sanguinante di fr onte al tempio. Tra la folla non compare una sola donna. Ci sono soltanto uomini seguaci della Legge di Mosè. Partorire era considerato un atto impuro, perché la donna partorisce nel sangue; anche le mestruazioni erano ritenute impure, poiché in quel momento le donne perdono sangue. Era il sangue, dunque, a essere considerato impuro, e si puniva l'adultera, curiosamente, spargendo il suo sangue. La punizione era allo stesso livello del crimine, altrettanto impura. In realtà, i farisei e gli scribi conducono quella donna da Cristo per metterlo alla prova. Sanno che vorrà salvarla e sperano avidamente che Cristo dica loro «Perdonatela!» per potergli ribattere: «Tu parli contro la Legge di Mosè. Difendi una peccatrice! Anche tu devi essere lapidato». Cercano un pretesto e si appoggiano proprio sulla bontà di Cristo. gli dicono: «Maestro...» . La formula è molto ipocrita. In realtà credono che Gesù sia un impostore e non un Maestro. 367 «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. Questa frase è molto impo rt ante. È un momento sublime. Nel momento in cui gli espongono un preciso quesito intellettuale, Gesù china la testa e si mette a tracciare delle linee per terra. Non guarda nessuno. Possiamo chiederci cosa tracciava. Nessuno guarda cosa fa Cristo. Scrive una frase? Si tratta di disegni geometrici? È semplicemente distratto o consegna il suo messaggio alla terra? Non credo che agisse distrattamente, essendo pura coscienza cosmica. Stava dunque consegnando il suo messaggio. Un essere che sa tutto non ha bisogno di scrivere. Cosa avrebbe potuto scrivere? Cosa rimane da fare a un uomo completamente realizzato e che sa tutto? Larte. Cristo traccia per terra linee di un'inconcepibile bellezza. Esprime la sua a rte sulla terra. La cosa più bella è che quando cercano di indurlo a commettere un crimine, Cristo risponde: «Faccio penetrare il mio spirito nella terra. Guardate, sto creando», e si mette in contatto con l'elemento tellurico. Se partiamo dal mito e ammettiamo che Dio è in Gesù, dobbiamo anche ammettere che la terra possiede un'anima e che le linee tracciate dalla divinità segnano la terra. Quelle righe la santificano. Cristo ne ha fatto un'opera d'arte. L'ha segnata col suo spirito. E siccome insistevano nell'interrogarlo... Nessuno ha colto il messaggio e tutti continuano a porgli quesiti intellettuali. fiopera che traccia sul suolo sarà spazzata via dal vento, e tuttavia il messaggio rimarrà inciso nella materia. Cristo ci dice che un messaggio impresso nella materia vale pii t di diecimila parole. Allo stesso tempo, insemina la terra col suo immenso amore: non può darlo a quegli esseri umani, poiché non sono in grado di riceverlo. A partire da quel momento, 368 terra, il suolo e perfino il cuore del pianeta si riempiono d'amore. Quando la divinità traccia quelle righe sulla sua superficie, il cuore della terra si mette a vibrare di gioia. Ciò significa che quando siamo smarriti nel tumulto de ll e nostre idee, delle nostre leggi e dei nostri progetti, il nostro Dio interiore non risponde a nessuno dei nostri quesiti intellettuali: incide il suo messaggio nella nostra materia, nel nostro cuore. Siccome non può dirlo a parole — risulterebbero sporche e senza significato —, fa scivolare nella nostra carne l'immenso amore che ci po rt a. ... disse loro... Si alza, eppure la sua opera rimane lì: un'opera effimera in un Universo effimero. Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. La sua risposta è semplice: per rivendicare l'applicazione di una legge, bisogna rispettarla, non chiedere agli altri quello che noi non abbiamo realizzato. Non dobbiamo chiedere agli altri di essere buoni se non abbiamo scoperto la nostra bontà. Non dobbiamo esigere la perfezione se non siamo arrivati alla perfezione. Non possiamo chiedere comprensione se non ne abbiamo. Perché chiedere amore se non lo diamo? Perché esigere fedeltà se non siamo fedeli? Perché chi non è attento all'altro chiede per sé un'attenzione totale? Quando prendiamo coscienza di ciò, facciamo una lista di tutte le nostre richieste e vediamo se noi stessi le abbiamo realizzate. Diciamoci: «Voglio essere compreso, ma cosa comprendo io dell'altro? Voglio essere perdonato, ma io perdono forse?». «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei.» E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Gesù si rimette'a disegnare e lascia che riflettano sulle sue parole. Dopo aver dato la sua risposta torna a concentrarsi, ritorna alla sua montagna. 369 Davanti a qualsiasi difficoltà della vita, dobbiamo tornare a noi stessi, al nostro centro. Il dolore si basa su quattro principi molto semplici. Il primo principio è 1'«Io», che crea la malattia perché «Io» vuole essere «Me». «Io» non vuole che entrino nel nostro intimo le cose che non sono «Me». «Io» non vuole aprirsi per lasciar passare la coscienza cosmica che non è «Me». «Io» non vuole essere un flauto al servizio di un musicista qualsiasi. «Io» pretende di essere «Me». L'«Io» è la fonte del dolore perché ci conduce all'immobilità. Ci spinge alla pesantezza e al suicidio. Il desiderio di possesso è il secondo principio su cui si basa il dolore. Voler possedere non è amare. Amare l'altro significa essere contenti de ll a sua esistenza e de ll a sua realizzazione, mentre volerlo possedere significa desiderare il suo annullamento, nel tentativo di incorporarlo in noi. Quando non possiamo soddisfare il nostro desiderio di possesso, subentra l'odio. È il terzo principio. Distruggiamo quello che non possiamo possedere. Lo distruggiamo o ci roviniamo. Aggrediamo. Il qua rt o principio è la paura. Dal momento in cui distruggiamo o siamo distrutti, abbiamo paura. È la paura di dissolversi, di perdere l'«Io». Non c'è altro da aggiungere sul dolore. È contenuto in queste quattro parole: «Io», possesso, odio e paura. Quando Cristo ricomincia a scrivere per terra, non ha «Io». Se il vento soffia, egli canta. Il vento è il Padre. In questo episodio i farisei acquisiscono una coscienza: lo ascoltano, si interrogano e gli danno ragione. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani... Mentre scrive per terra, ha fiducia in loro. Se quegli uomini non si fossero posti degli interrogativi, se non avessero capito le parole di Cristo, avrebbero lapidato la donna. Erano persone che, malgrado tutto, avevano una certa sensibilità. 370 Rimase solo Gesù... I farisei e gli scribi non poterono lapidare la donna né Cristo perché si resero conto che la Legge ormai era lettera morta. Non potevano far rispettare una Legge che essi stessi non rispettavano, una Legge che era diventata una forma vuota. ... con la donna là in mezzo. Allora Gesù, alzatosi, le disse... Quella donna, che è viva grazie a lui, dev'essere piena di infinita gratitudine. Per lei si è compiuto un miracolo: doveva essere lapidata e invece è viva. Questo essere, questo uomo - se possiamo chiamarlo «uomo» -, l'ha salvata e inoltre non le chiede ringraziamenti. Mentre i farisei e gli scribi se ne vanno, Cristo prosegue nella sua opera, continua a sacralizzare la terra rispetto alla scrittura. Dice: «Ho registrato la mia parola nei libri e l'hanno fissata. Ora la scrivo sulla terra affinché sia cancellata dal vento. Abbandonate i libri!». Allora Gesù, alzatosi, le disse: «Donna...». Come abbiamo visto, Gesù si rivolge con questa parola soltanto a tre donne in tutto il Vangelo: lo dice alla Vergine Maria, alla samaritana che aveva avuto sei uomini e, ora, a questa adultera. La riconosce in quanto donna, con tutto ciò che questo presuppone. «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». «Nessuno mi ha condannata, Signore.» Nel momento in cui il suo Cristo interiore le parla, la donna lo chiama «Signore»: lo riconosce come il suo Maestro e, riconoscendolo, realizza un'enorme presa di coscienza, in lei avviene un cambiamento. Comprende. Comprende il suo valore personale e il suo Dio interiore. Comprende che non sarà mai più umiliata da leggi che non le appartengono, che la Legge di Mosè non ha più valore. Questa donna si rende conto di non essere impura e di avere il diritto 371 di recarsi al tempio. Sa che ha il diritto di possedere un Dio . interiore e che dispone di un'anima e di una dignità umane; sa che nessuno può giudicarla perché nessuno è superiore a lei, nemmeno un sacerdote: abbiamo tutti lo stesso valore. Sa anche che a partire da adesso dovrà migliorare. E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno...». Come si può condannare, vivendo in un mondo simile? Non possiamo condannare nessuno. Possiamo solo metterci al posto dell'altro e comprenderlo. ... va' e d'ora in poi non peccare più. D'ora in poi, sii cosciente e vivi i tuoi desideri! Non peccare più significa smettere di vivere con un uomo o con una donna che non ci corrispondono. Significa vivere in accordo con i reali desideri de ll a nostra età. Il peccato consiste nel condurre una vita di sacrifici e sofferenze. Dunque, bisogna abbandonare la sofferenza. È necessario dominare l'«Io», estirpare il desiderio di possesso, l'odio e la paura. LA GUARIGIONE DI UN CIECO (Giovanni 9,1-12) Dopo aver salvato la donna adultera, Cristo continua a insegnare nel tempio fino al momento in cui dice: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò.» Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio... Che età abbiamo? In fondo, abbiamo l'età dell'Universo. La nostra divinità interiore è più vecchia di Abramo: «Prima che Abramo fosse, Io Sono». Prima che il nostro essere esistesse, la nostra scintilla divina esisteva già. Portiamo in noi un tesoro infinito che è oltre il tempo e lo spazio. Più avanti si legge: Passando vide un uomo cieco dalla nascita... Questa frase è bella. C'è un contrasto fra gli occhi di Cristo, che costituiscono il vertice dello sguardo (se accettiamo il mito, sono gli occhi più perfetti dell'umanità), e quegli occhi vuoti. Cosa accadrà? e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Una volta che abbiamo riconosciuto il nostro valore, ci manca la fede nell'altro. Gesù cura un uomo cieco dalla nascita. Ha già guarito un paralitico dicendogli: «Prendi il tuo lettuccio e cammina». Il paralitico non era tale dalla nascita, prima camminava. Ora Cristo guarisce qualcuno che non ci ha mai visto e che ignora completamente cosa sia vedere: fi n dalla nascita è stato immerso nell'oscurità. Cosa significa il fatto che non possa vedere? Che quest'uomo non ha mai visto la Legge. Lha ascoltata, ma non l'ha mai letta. A quell'epoca la realizzazione suprema consisteva nel leggere, recitare e cantare la Legge. I discepoli, passando, vedono il cieco. Non si preoccupano di guarirlo: accettano immediatamente il suo stato. Gli mettono l'etichetta «cieco» e iniziano a porsi domande squisitamente intellettuali: «Chi è colpevole della sua cecità, lui o i suoi genitori?». Di chi è la colpa? È legata al suo albero genealogico? Una colpa è stata commessa. Se un bambino nasce cieco, è insorto qualche problema fra i suoi genitori. Per generare uno schizofrenico ci vogliono almeno tre generazioni di individui che non sono stati amati e hanno vissuto situazioni conflittuali e sfortunate. La schizofrenia non si manifesta all'improvviso: inizia con i bisnonni del malato. Chi è colpevole? Nell'Esodo (20,5) Dio dice «che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e quarta generazione» . 372 373 Gesù rispose: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio». Dunque, si tratta di una benedizione. La sofferenza che portiamo con noi è una benedizione. La pazzia, la mutilazione, qualsiasi handicap è una benedizione se a un certo punto riconosciamo il nostro Dio interiore e Lui si manifesta in noi. In realtà, i nostri limiti, la malattia e la pazzia saranno la base della nostra realizzazione e de ll a nostra presa di coscienza. Ecco la risposta di Cristo. Non è colpa, quindi, né del cieco né dei suoi genitori. Si tratta di una magnifica prova affinché egli trovi la sua divinità interiore. Se non fosse stato cieco, non l'avrebbe mai trovata. Il suo svantaggio costituisce la sua forza. Tutte le sofferenze che ereditiamo dal nostro albero genealogico diventano i nostri punti di forza dal momento in cui prendiamo coscienza. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo. Finché non troviamo questo Dio interiore che va al di là dell'«io», restiamo nell'oscurità, nella sofferenza, nel dolore e nella cecità. Quando riconosciamo il nostro Dio interiore, appare la luce e possiamo realizzare il nostro compito, lavorare con l'altro. ... sono la luce del mondo. Il nostro Dio interiore è la luce del mondo. Finché non lo troviamo, ricadono su di noi tutte le maledizioni del nostro albero genealogico. Al contrario, quando troviamo la nostra luce, tutte quelle maledizioni diventano benedizioni. Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco... col fango. Gesù, quindi, riproduce l'azione del Padre creando il nuovo uomo, il nuovo Adamo. Sputa sulla terra che aveva santificato nell'episodio della donna adultera. La sua saliva doveva essere di una purezza incredibile, dato che tutte le sue ghiandole erano pure e piene di bontà. Dà la sua materia alla terra. È già lo Spirito, la parola completa. Non una parola scritta, ma quantomai concreta. sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Siloe (che significa Inviato)». La piscina di Siloe era situata nella città, all'interno delle mura di Gerusalemme. La Toràh dice che si trovava accanto alla tomba di Davide, e noi sappiamo che Gesù discende da Davide. La piscina è in mezzo alla Città Santa. Gerusalemme era costruita attorno a questa piscina, che costituiva la sua fonte di vita. Lavandosi in quest'acqua, il cieco non la sporcherà. Al contrario, porterà la parola di Dio alla piscina sacra. Attraverso il cieco, Cristo realizzerà l'unione: inseminerà la tradizione, e la parola, che era priva di significato, prenderà vita. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Vedere significa anche prendere coscienza. Quest'uomo, quando vede, si vede. Prima non poteva farlo, non sapeva chi fosse. Ora si vede. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Perché fa questo, se per guarire un paralitico gli è bastato dire: «Alzati e cammina»? Potrebbe guarire il cieco senza toccarlo, ma vuole impartire una lezione. Bisognava ritornare al principio, al momento in cui, come dice la Toràh, Dio crea Adamo dal fango e con la sua parola. Saliva-Parola mescolata I vicini non ci possono credere. Per loro, un mendicante sarà sempre un mendicante. Non crediamo che un nevrotico possa guarire dalla sua nevrosi. Quando qualcuno guarisce, quelli che gli stanno intorno non vogliono accettare la sua guarigione. La guarigione coinvolge tutta la famiglia. Se uno dei suoi membri guarisce, gli altri cercano di impedirglielo. Se 374 375 realizziamo un cambiamento, se otteniamo qualche risultato sulla strada della guarigione, non parliamone, e soprattutto non diciamolo alle persone che ci amano! Cadrebbero in preda all'angoscia e cercherebbero di demoralizzarci per farci riassumere il nostro ruolo. Manteniamo il segreto finché ciò che si realizza in noi non è solido. Quando si sarà installato saldamente, nessuno potrà demolirci. Altrimenti, qualsiasi acquisizione verrà subito distrutta e non guariremo mai. Dunque, tutti si impegnano a far sì che quell'uomo ridiventi cieco. Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Non ci credono. Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Siloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so». Lo aggrediscono subito. Vogliono sapere chi è e dove si trova colui che lo ha guarito. Non possono sopportare che qualcuno faccia del bene: lo detestano, lo odiano. Eravamo dei mendicanti e ora ci vediamo. Vogliono che torniamo a essere quello che eravamo. Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco. Ora giudicheranno questo pover'uomo per avere recuperato la vista. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». È la seconda volta che il cieco racconta la sua storia. Ciò significa che bisogna comprendere bene che la luce nasce dal fango, che il loto nasce dal fango, che la Coscienza nasce dall a materia... Quando l'uomo dice: «Mi sono lavato e ci vedo», significa che per il cieco la Coscienza nasce da ll a materia. Quando smette di identificarsi col suo corpo e arriva all'illuminazione, comprende finalmente che l'intero Universo è Coscienza pura e che la materia è illusione. Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro. Comincia a sorgere il dubbio: forse è avvenuto un miracolo. Questo pensiero, invece di rallegrarli, li angoscia. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». «Cosa volete che dica di qualcuno che mi ha dato la luce e mi ha aiutato? Gli sono infinitamente grato: lo amo. Non so chi è, ma lo ringrazio per avermi dato la vita.» Vogliono sapere cosa pensa di lui. Cristo è un demonio o un dio? Sono in preda all'odio e alla paura. Paura di perdere la loro Legge consolidata. Egli rispose: «È un profeta!». era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Lo riconosce o, almeno, comincia a riconoscerlo; ancora non lo riconosce come Dio, ma come profeta. Ancora una volta, Cristo compie un miracolo nel giorno in cui non è lecito lavorare. Non tiene conto della tradizione e delle leggi scritte. Doveva guarire un uomo e l'ha fatto! La nostra luce interiore non arriverà seguendo qualche codice: verrà quando il suo tempo sarà compiuto. Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. Negano il miracolo. Vogliono che i genitori diventino dei capri espiatori! 376 377 E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». «Avete mentito riguardo alla sua cecità! In realtà, vi siete inventati questa menomazione per mandarlo a elemosinare nel tempio. Confessate che volevate arricchirvi alle sue spalle!» I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso». I genitori non vogliono essere coinvolti: se ne lavano le mani . È incredibile: hanno un figlio cieco da ll a nascita e quand( ) appurano che qualcuno gli ha aperto gli occhi, invece di rallegrarsi o di difenderlo, se ne lavano le mani. In genere, quando si guarisce uno schizofrenico i suoi genitori soffrono di depressione. La malattia dei figli conviene a padri e madri, che a causa della loro nevrosi hanno bisogni di un capro espiatorio. La malattia ha origine nei genitori: con la guarigione, invece di rallegrarsi, si deprimono. Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!». I genitori se ne lavano le mani perché hanno paura. Pre- feriscono dare ragione alla società piuttosto che difendere il figlio. Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». La sua presa di coscienza comincia ad agire e lui inizia a essere obiettivo. Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 378 Questa storia mi ricorda quella accaduta a uno scrittore spagnolo omosessuale, Jacinto Benavente. Una volta un giornalista maleducato lo fermò per strada e gli domandò: «Don Jacinto, com'è diventato omosessuale?». Gli rispose: «Come lei, domandando». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!». Il cieco guarito è il discepolo di un miracolo, di una luce. Gli altri sono discepoli di Mosè, di una Legge scritta e fissata. Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia. Vale a dire: crediamo nelle leggi che ci sono state trasmesse, e non a qualcosa che proviene direttamente dalla nostra interiorità. C'è una differenza tra quello che si impara in un libro e quello che impariamo da soli, nel nostro intimo. Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi». Dovrebbero sapere da dove viene, visto che si trova in ognuno. Il cieco guarito continua: «Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, Egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla.» Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori. «Eri cieco dalla nascita. Non hai mai letto né studiato. Non conosci la Legge, e ora vieni a darci lezioni! Come potrebbe la verità uscire dalle tue tenebre? Come può un individuo oscuro e mediocre come te dire la verità a noi che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria tutta la cultura del mondo? Come puoi dire una cosa simile?» Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse... 379 ... ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane. Gesù va da lui perché quell'uomo ha difeso il proprio livell di coscienza. Non ha avuto paura. Sapeva di dire qualcosa d importante. Non poteva tradire chi gli aveva fatto del bene. Non eradiqulchsnvoemai,csugntor. Il suo Dio interiore era arrivato perché egli aveva fatto un) sforzo: aveva fede. Quando possediamo la fede e difendiamo quello in cui crediamo contro tutti gli attacchi, l'essere che cerchiamo viene a trovarci. Che cosa meravigliosa dev'essere stata per quell'uomo vedere il Cristo! Lo vede per la prima volta. Prima non poteva: era cieco per la sua essenza. In altre parole: «Rimanete nell'oscurità». Il punto essenziale di questa storia è l'amore per la nostra divinità interiore, la parola scritta per terra, la fede nella forza interiore che ci abita. Tutti crediamo di essere nell'oscurità, ma la luce è sempre stata lì con noi. incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?» . Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Chi siamo perché le cose parlino dentro di noi? Perché la coscienza dovrebbe manifestarsi in noi che siamo ciechi dalla nascita? La risposta è: «E perché no?». «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui.» Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Ovvero, accettò se stesso. Ora possiamo domandarci chi sono i veri ciechi. A questo quesito Gesù risponde: Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi. Quelli che accettano il miracolo interiore vedranno la luce, mentre quelli che rimangono legati a ottuse concezioni religiose non la vedranno: diventeranno ciechi. Essere ciechi significa rimanere in un mondo chiuso, pieno di dolore e angoscia. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato...». Cioè: «Se foste semplici, puri, essenziali, e se invece di aggrapparvi alla tradizione aveste obbedito alla vostra vita interiore, non avreste peccato». 380 381 XVII I:ESSERE E EAVERE Per la lettura di questo capitolo di Giovanni, «Risurrezione di Lazzaro» (11,1-44), utilizzeremo i Tarocchi. Non possiamo operare una dissociazione tra il corpo e la divinità. Siamo una goccia che rappresenta e contiene tutto l'Universo: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il nostro corpo è la Vergine Maria. Per sentirlo davvero eterno e infinito, bisogna sperimentarlo così com'è. In genere non ci sentiamo come siamo. Non viviamo in quanto Padre, Spirito, Figlio e Vergine. Siamo frammentati. Generalmente i pensieri (Spade), i sentimenti (Coppe), i desideri (Bastoni) e le necessità (Denari) hanno finalità distinte. Si pensa una cosa, se ne sente un'altra, certi sentimenti vengono traditi dal desiderio, certi desideri vengono sacrificati per avidità materiali... Si capisce questa situazione se ci si immagina di viaggiare su un carro trainato da quattro cavalli a briglia sciolta. Il carro non si muove perché ogni cavallo tira in una direzione diversa. Il conducente deve domare i quattro animali, metter loro le redini, calmarli e proporsi una meta, trovare il proprio Dio interiore e dare ai quattro cavalli un unico ideale. In questo capitolo Giovanni fa pronunciare a Tommaso una frase formidabile. Cristo viene a sapere che Lazzaro è malato e decide di andare a guarirlo; Lazzaro però vive in una regione (a Betania, in Giudea) dove Cristo è minacciato di mo rte. Recandosi in quel posto Cristo rischia la sua vita e anche quella dei discepoli. Allora Tommaso dice: Andiamo anche noi a morire con lui! Cercherò di dimostrare che i Bastoni corrispondono al Padre (il fuoco originario) e le Spade allo Spirito Santo che s'incarna, mentre le Coppe sono evidentemente il Figlio e i Denari corrispondono alla Vergine. Come il lettore può comprovare nelle carte dei Denari, la Vergine è sempre simboleggiata da un mandala. Maria si sente centrata: è la terra, la materia, la carne. Senza la sua opera, Cristo non esisterebbe. Dio è intimamente legato a lei, che è l'Universo infinito ed eterno. Se l'accettiamo come tale, l'Universo non è altro che il corpo della divinità. 382 È pronto a rischiare la vita per accompagnare Cristo. Chi è Tommaso? Perché viene citato in questo episodio? Egli appare di nuovo in Giovanni (20,24-29), dopo la crocifissione e la risurrezione di Cristo. Tommaso non è con i discepoli a cui Cristo risorto appare la prima volta, e non crede al loro racconto. Otto giorni dopo, quando appare di nuovo davanti ai discepoli riuniti, Gesù gli dice: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! 383 Allora Tommaso affonda una mano nella ferita di Cristo, che si riforma in quell'istante. Il sangue caldo del Signore lava amorevolmente la mano dell'apostolo, entra nei suoi pori, attraversa le pareti delle sue vene e, sangue divino nel sangue umano, arriva al cuore di Tommaso. Allora egli esclama: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio.» Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata)...». Nella fede interiore c'è un livello in cui dobbiamo accettare il primo principio, quello del Padre. Ricordiamo che il Padre corrisponde ai Bastoni dei Tarocchi e notiamo che la mano che sostiene il Bastone esce dal centro di un cerchio, mentre quella che afferra la Spada esce dall'esterno di un cerchio. Per concepire la nostra psiche, il nostro essere in tutte le sue dimensioni, per concepirci come siamo, non dobbiamo negare il fatto che la goccia, in qualche sua pa rte, è connessa con l'oceano. In qualche modo siamo collegati non solo con l'Universo intero, ma anche con il suo segreto ultimo. Se così non fosse, perché saremmo vivi? Dunque, da qualche pa rte dentro di noi portiamo completamente questo Dio interiore: il Padre. Per comprendere bene questo punto, dobbiamo tornare al capitolo (Giovanni 10,33-35) che precede la risurrezione di Lazzaro. Qui il Cristo pronuncia una frase fondamentale. Si trova nel tempio. Alcune persone lo interrogano e concludono: La Legge chiama «dèi» coloro ai quali Dio parla. Cristo afferma chiaramente che se Dio ci parla, noi siamo dio. Tutti siamo dei. Abbiamo in noi il Padre, in quel punto, in quella «X» nella quale dobbiamo credere senza averla mai vista. È l'infinito, il mistero che si trova in ognuno di noi. L;essere umano non è spazzatura, come vogliono farci credere. È un gioiello splendido. Sono stati la civiltà e dieci o ventimila anni di guerre e di dolori a farci credere di essere spazzatura. Esiste in noi un punto infinitesimale dove la vita ci sorregge. È il nostro contatto con il Padre, il Dio interiore sconosciuto. Non possiamo definirlo, ascoltarlo o toccarlo. Non abbiamo nessuna prova, eppure dobbiamo credere nella sua esistenza. Se non ci crediamo, siamo dei cadaveri, degli esseri corrotti; ci disgreghiamo, aggrediamo e soffriamo senza sosta. Una volta che accettiamo il concetto di «X», intorno a Lui sorge la coscienza. Il punto «X» è lungi dall'essere o dal non essere Spirito. È il punto che ci mantiene vivi e ci collega con il centro dell'Universo, con ciò che chiamiamo la divinità: l'energia non manifesta. In ogni parte di noi, il principio di base è il non manifesto. Poi viene il nostro essere essenziale: il Se stesso supremo. È puro spirito, pura coscienza. Non è né «Essere» né «Non essere». È qualcosa che esiste al livello della coscienza. È giusto chiamarlo «Spirito», e ancora meglio «Spirito Santo». Questa coscienza ci vede. Non siamo sempre impegnati in un dialogo interiore? Diciamo fra noi: «Sono così». Colui che parla, che si vede, è come un osservatore separato da ciò che vede. Colui che soffre, non soffre: se siamo coscienti di soffrire, è perché da qualche parte non soffi iamo. Per essere coscienti di amare, di muoverci, di pensare, bisogna che qualche pa rte 384 385 Mio Signore e mio Dio! E Gesù gli dice: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! Grazie a Tommaso, il Cristo pone le basi di una mistica utile per noi: per credere, Tommaso ha bisogno di vedere, cioè di definire, pensare, analizzare. Orbene, non si può trovare la vera vita eterna, infinita, meravigliosa, il vero risvegliarci a noi stessi, se non quando crediamo senza vedere, immersi nel vuoto totale, senza prove, senza niente: quando sperimentiamo l'amore. di noi non ami, non si muova e non pensi. La coscienza implica una dualità. In qualche punto di noi stessi siamo lo Spirito Santo assoluto, meraviglioso e ubiquo. Poi, questo spirito si incarna, questa coscienza pura si evolve in «coscienza della Coscienza». È il Figlio: quindi, il Figlio, il Cristo, si incarna, entra nella carne, nella nostra materia. Da un lato, il Cristo appartiene allo Spirito e al Padre; dall'altro, appartiene anche alla materia. È il mediatore e insieme il risultato di tutti questi elementi. Da chi ha preso la materia? Dove viene a concentrarsi lo Spirito Santo per creare il Figlio? Si situa nell'Universo stesso, nella Vergine Maria, nei Denari, nel corpo. Sentiamo il nostro corpo in un modo limitato. Lo imprigioniamo nella pelle, sentiamo la sua morte. Mai, o quasi mai, pensiamo al corpo come farebbe il Padre. La coscienza possiede il dono dell'ubiquità: è da tutte le pa rti contemporaneamente e sa tutto del corpo che abita. Ascolta tutto. Vede tutto. È capace di curare tutto. Ci insegna tutto. Conosce tutto. Sa quando moriremo, quando ci riprodurremo, come funziona il nostro cuore ecc. È al corrente di tutti i nostri progetti. In fondo, Dio è noi. Il nostro corpo è un dio che conosce tutto, se lo viviamo com'è. Abbiamo paura di vivere il nostro corpo così com' è . Lo frammentiamo. Abbiamo molta paura dello Spirito Santo che ci abita. Io sono colui che sono! Abbiamo un'enorme paura di essere ciò che siamo. Ci terrorizza questo incredibile potere. Al livello delle Spade, dello Spirito, parleremo di «paura di essere». Poiché abbiamo paura di essere questo potere, in Cristo, al livello del cuore — le Coppe —, sostituiamo questa paura con l'avere. Quanto più abbiamo, più siamo apparenza e meno coscienza. Anneghiamo nell'avere, per paura di vivere questa immensità priva di definizione, dato che ogni individuo è un essere eterno incapace di concepirsi e di definirsi. Nessuno di noi è una caricatura. Nessuno ha dei limiti. Possiamo cambiare da un giorno all'altro. Come l'Universo, siamo in perpetuo cambiamento. Movimento totale! Chi non avanza con l'Universo, retrocede e si pietrifica. Questo avere ci spinge, nei Denari, non a voler essere bensì a voler apparire. Tutto quello che facciamo e che possediamo ci serve per apparire. Ricordiamo che il corpo umano si divide in quattro settori: il corpo in sé, la parte fisica con le sue necessità che spingono a sopravvivere; la parte sessuale con i desideri che inducono a perpetuare la vita; la parte emotiva con i sentimenti che conducono all'unione con il Tutto, e la parte intellettuale con l'elaborazione di idee che sfociano nella libertà di essere quello che si è. Questi quattro versanti devono mescolarsi in un'unica onda e fluire con l'Universo. Devono fluire tranquillamente, nutrendo una fede inattaccabile nel fatto che questo Dio interiore sa quel che fa. La fiducia è la base indispensabile. Il problema è che non abbiamo fede e, in questo modo, ci blocchiamo. In genere, data la nostra cattiva interpretazione del mito, reprimiamo i Bastoni, la pa rt e sessuale. Eppure, dove può stare il Padre nel nostro corpo? Sono lo sperma e l'ovulo a contenere l'eterno e l'infinito: nel sesso non troveremo il diavolo bensì l'eternità divina, visto che il diavolo è solo la dimenticanza di Dio. Inibendo la part e sessuale, la sporchiamo. Evidentemente, anche il nostro intelletto si è atrofizzato: lo utilizziamo per analizzare, e analizzare significa non amare, frammentare, fissare. Un cuore messo da parte vive nella negazione e nell'avidità: vuole solo avere e non riesce a mettersi nei panni di coloro che chiamiamo gli altri e che in realtà non sono altro che noi stessi. Quando il corpo viene negato, non lo viviamo né l'amiamo per quel che è: invece di viverlo, lo possediamo. È molto diverso «essere» un corpo o «avere» un corpo, co rne l'«essere» amore è molto diverso dall'«avere» amore. Perché questo dubbio? Perché l'intelletto, per poter analizzare, deve prima di tutto dubitare. Per non avere dubbi è indispensabile la fede, ma per credere bisogna disfarsi dell'«avere», ed è precisamente ciò che non desideriamo affatto. Ci 386 387 aggrappiamo all'angoscia di essere una goccia con un guscio di tartaruga: è quello in cui accettiamo di trasformarci. Non vogliamo appartenere all'oceano. Aver fede significa infatti immergersi nell'oceano e risalire verso lo Spirito e verso il Padre, verso la coscienza. È questa la chiave per interpretare la storia di Lazzaro, che inizia con un'accusa di bestemmia. Quando la luce comincia ad apparire nell'anima so tto la nostra corazza di dolore, quando il cambiamento desiderato comincia a prodursi effettivamente, anzitutto proviamo paura, perché tutta la nostra vita basata sull'avere inizia a crollare. Se abbiamo un compagno o una compagna, il nostro rapporto irrimediabilmente si sfascia; se abbiamo una famiglia, dei beni, una professione, tutto precipita perché si tratta solo del risultato del dolore e della nevrosi. Se invece cambiamo, tutte le persone che ci stanno intorno sentono in pericolo il loro avere e vorranno quindi lottare contro il nostro cambiamento. E anche nel nostro intimo, tutte le parti di cui siamo costituiti lotteranno per sopravvivere. Cristo viene dunque accusato di blasfemia e la gente raccoglie delle pietre per lapidarlo. Eg li dice allora (Giovanni 10,32): Vi ho fatto vedere molte opere buone da pa rte del Padre mio... Vale a dire: «Vi ho mostrato tante cose belle che provenivano dalla vostra interiorità». ... per quale di esse mi volete lapidare?» Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi...». Qui Cristo si compromette: «Se non faccio le opere del Padre mio...». Nell'inconcepibile cervello del Figlio, è già presente l'idea di risuscitare i morti. Tutti siamo morti: finché non avremo preso coscienza, siamo tutti Lazzaro, rinchiusi come lui in una grotta bloccata da una pietra. ... ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere... «Non dovete credere in quello che dico ma in quello che faccio.» Dobbiamo credere in quel che facciamo nel momento in cui cominciamo a sviluppare il nostro essere: dobbiamo credere nelle nostre opere. Prendere coscienza non significa automaticamente guarire. Anche se l'intelletto riesce a comprendere, non per questo siamo salvi. Una persona può comprendere perfettamente le ragioni che la spingono ad agire in un certo modo, il suo albero genealogico e quant'altro, ma se non prende quello che ha capito intellettualmente per incarnarlo nelle Coppe e nei Denari, cioè nel cuore e nel corpo, essere giunta alla coscienza non le servirà a niente. A cosa serve avere talento, se chi lo possiede non canta? A cosa serve parlare dell'amore per i bambini, se li educhiamo male? A cosa serve pensare, se i nostri pensieri rimangono lettera morta? Perciò, una volta che abbiamo compreso, la nostra comprensione è inutile se non agiamo. credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre. Ecco l'accusa: «Vogliamo lapidarti perché tu che sei un mortale, un essere che vive nell'avere e nell'apparire, d'improvviso cominci a dire a questa società: "Non voglio più avere. Non voglio più apparire. Voglio smettere di vivere dietro una maschera di dolore. Voglio essere. Voglio vivere la mia essenza. Voglio raggiungere la mia purezza originale!"». «Il Padre è in me. Nella mia carne»: non bisogna mai dimenticare che Cristo si è incarnato in un corpo umano; la carne che Maria gli ha donato è carne umana, una carne che sanguina. 388 389 ti Quando Cristo pronuncia queste parole, gli ebrei vorrebbero ancora lapidarlo, ma lui fugge e per un po' di tempo se ne sta al sicuro. A quel punto ha inizio la storia di Lazzaro. Come riesce Gesù a sfuggire a una folla inferocita che gli scaglia delle pietre? Può riuscirci solo grazie a un miracolo: rendendosi invisibile. Quando poniamo degli ostacoli al nostro risveglio, quando ci rifugiamo in qualsiasi tipo di atteggiamento difensivo e aggressivo, il nostro Dio interiore si occulta... E allora cominciamo a inclinarci come una ruota senz'asse. LA RISURREZIONE DI LAZZARO (Giovanni 11,1-44) Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Abbiamo, dunque, due donne: Maria e Marta. Nell'Arcano VI dei Tarocchi, L'Innamorato, una delle donne potrebbe essere benissimo Maria e l'altra Ma rta, e potremmo inoltre affermare che l'uomo al centro è Lazzaro. Quest'uomo è affiancato a sinistra da una «sorella» che dubita (Ma rta), e a destra da un'altra che crede (Maria). Dove si trova Lazzaro? Proprio tra il dubbio e la fede. E noi, dove ci troviamo? Esattamente nella stessa posizione. Il Vangelo di Giovanni precisa: Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. Detto in altro modo: «I poveri ci saranno sempre, ma io sono unico. Per una volta almeno nella vita, devono dedicarmi quanto hanno di meglio». Per una volta almeno, nella nostra vita, dobbiamo darci quanto abbiamo di meglio. Diamo molto all'esterno, ma quanto tempo concediamo a noi stessi durante la giornata? E quante volte al giorno ci «droghiamo» per non vederci? Se ci diamo quanto abbiamo di meglio, lo diamo automaticamente al Padre attraverso il Figlio. Scaviamo in noi stessi per arrivare fino in fondo, per vivere il nostro essere essenziale. Essere essendo. Il Padre è immobile ma l'essere, la coscienza, evolve, cambia, si muove. Il problema è che noi non vogliamo cambiare, vogliamo un tempo e uno spazio precisi. È per questo che siamo in decomposizione, perché non ci rivitalizziamo: ci fossilizziamo nelle solite abitudini mentali, emotive, sessuali e fisiche. Ci aggrappiamo a pochi e invariabili gesti quotidiani. Ci ripetiamo per tutta la vita, ci sclerotizziamo in un'immagine data di noi stessi e pretendiamo di salvaguardarla per sempre. Ci cristallizziamo e cristallizziamo gli altri. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». Dopo la risurrezione di Lazzaro, Cristo viene invitato a una cena e Maria, che è presente, gli cosparge i piedi di un olio profumato e poi glieli asciuga con i propri capelli per rendergli omaggio. Giuda, presente anche lui, interviene per dirle che sarebbe stato meglio vendere i profumi e dare il denaro ai poveri. Gesù gli risponde (Giovanni 12,7-8): Il nostro corpo è malato: è prostrato nel marciume e nella sofferenza. Non ci muoviamo, e dunque Marta e Maria, il nostro dubbio e la nostra fede, si rivolgono a noi, alla coscienza incarnata in noi, e ci dicono: «Sono malato. Sto andando in malora. Mi trovo davvero in trappola, in una situazione impossibile. Devo fuggire. Sono rinchiuso in una realtà che mi soffoca. Mi rendo conto che non sto affatto vivendo la mia vita. Sono immerso nell'avere e nell'apparire. Non presto attenzione all'incredibile processo che avviene in me. Non sono un dio. Non sono libero. Non ho libertà interiore né esteriore. Sono pieno di miserie, dolori e 390 391 Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. insoddisfazioni, di idee che non mi appartengono. Sono pieno di esigenze. Ecco il problema: non posseggo la gioia di vivere e sono morto.» Per cominciare a guarire, bisogna prima di tutto accettare la propria malattia. Finché conserviamo l'orgoglio di voler apparire in perfetta salute non guariremo, perché non chiediamo aiuto. All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Nessuna malattia conduce alla mo rte, perché la mo rte non esiste. Se crediamo nel Figlio di Dio, la vita è eterna. Se crediamo in noi, nel Padre, nello Spirito Santo, in Cristo e nella Vergine Maria, non moriremo. Vivremo l'eternità, e la vivremo diversamente dalla forma che abbiamo oggi. Ciò vuol dire che non «avremo» l'eternità, ma «saremo» l'eternità. Diventeremo una parte della divinità, ci trasformeremo nel cosmo. La mo rte è una trasformazione e una realizzazione. Ritorneremo tutti all'oceano; perché, allora, spaventarsi? In fondo, questo essere che è tutto amore dice: «Perché spaventarsi? Forse Lazzaro non mi conosce?». ... ma per la gloria di Dio; perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato. Lazzaro sa benissimo che deve sacrificarsi. Affinché la coscienza, l'essere cristico, possa nascere, è necessario che egli muoia. Nel nostro iter psicologico è la stessa cosa: affinché nasca in noi il nuovo essere, bisogna che muoia quello vecchio che si è disgregato. Se ci aggrappiamo a lui e non lo lasciamo morire, il Cristo non potrà compiere il miracolo, non potrà nascere. È necessario dunque che muoia il vecchio essere (i vecchi rancori, le vecchie malattie ecc.) affinché nasca quello nuovo. È quindi coscientemente e con infinita bontà che Cristo chiede a Lazzaro di affi optare la mo rte. Proviamo a immagi392 nare l'angoscia di Lazzaro in quel momento, angoscia tanto più grande in quanto si sente diviso tra il dubbio e la fede. Lazzaro è un personaggio formidabile perché, malgrado i suoi dubbi, sa di dover morire affinché il Cristo appaia in tutta la sua gloria. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. È la descrizione dell'Arcano VI, L'Innamorato: l'angelo in cielo ama i tre personaggi che stanno sotto di lui. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Cristo rimane lì ancora due giorni; così, quando arriva a casa di Lazzaro, questi sarà già stato sepolto da quattro giorni. È strano: sembra crudele aspettare così tanto tempo mentre Lazzaro sta morendo. Gesù però aspetta deliberatamente: lascia che muoia e che il suo corpo si decomponga. Si può quindi immaginare l'angoscia provata da Lazzaro e dalle sue sorelle. Se a un certo punto non siamo crudeli con noi stessi, se non diamo prova di un coraggio e di una volontà enormi, il processo non avviene. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». In Giudea vogliono ucciderlo, ma egli non dice: «Vado di nuovo in Giudea», bensì: «Andiamo di nuovo in Giudea». Allora i discepoli si sentono a disagio: hanno paura. I discepoli gli dissero: «Rabbi...». Non lo chiamano Signore, ma Rabbi: scelgono un termine religioso per ricordargli che in Giudea altri rabbini lo aspettano per ucciderlo. Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? I discepoli vogliono sicuramente che Cristo risusciti Lazzaro, ma se devono rischiare la vita sono meno d'accordo. In noi succede la stessa cosa: c'è una pa rte che dubita, che 393 vuole evolvere, ma c'è anche il desiderio di avere e di apparire, che ci dice: «Ascolta, così rischiamo la vita. Cercando l'illuminazione, la fede, il misticismo, potresti farci perdere il nostro pane quotidiano. Tutti ti prenderanno per matto. Cosa significa volere la pace in questa società decadente che è in guerra? Parli di dare agli altri, ma faresti meglio a prendere!». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno?». Detto in altre parole: «Ci sono dodici ore di luce e dodici di oscurità. Ogni luce ha la sua ombra, ogni positività la sua negatività. In un certo senso, voi vi trovate nell'ombra, state pensando negativamente. Preferite immaginare che vi uccideranno invece di essere positivi e pensare che in fondo la morte non esiste, che è necessario correre dei rischi per non vivere più nell'avere e per arrivare alla nostra essenza, arrivare a ri-vivere». Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce. Questa frase mi ricorda una storia zen: In pieno giorno un Maestro zen dà una lanterna accesa a un discepolo e, nel momento in cui quest'ultimo sta per prenderla, il Maestro soffia e la spegne. Il Maestro dice al discepolo: «Perché cerchi una luce fuori di te? Ce l'hai dentro». Non dobbiamo camminare di notte! Non dobbiamo continuare con le nostre angosce e l'egoismo! Non viviamo nella paura di perdere la nostra personalità, l'immagine che ci siamo costruiti! Camminiamo nella luce! Abbandoniamoci! Liberiamoci di tutte le nostre sicurezze e andiamo verso la creazione, verso il rinnovamento di noi stessi! Immagino che dopo qualche esitazione gli apostoli si siano detti: «In noi c'è sicuramente la luce, altrimenti non gli staremmo così vicini per cercare di capire il suo messaggio». Se non avessimo la luce dentro di noi non cercheremmo nemmeno di leggere il Vangelo. Da una parte vogliamo cre394 dere, ma dall'altra s'insinua il dubbio: ci troviamo fra la luce e l'oscurità, vale a dire nell'alba. La notte è finita. Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». I discepoli non capiscono niente: per loro, se Lazzaro è addormentato, vuol dire che non è morto, e Cristo potrà guarire la sua malattia. Non immaginano nemmeno il potere del loro Maestro, non riescono a concepire che possa far rivivere un morto. Gesù parlava della mo rt e di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Giovanni precisa che i discepoli si sbagliano. Nonostante il livello raggiunto e tutti i miracoli a cui hanno assistito, ancora non hanno fede. In noi vivono i dodici apostoli: sono diversi aspetti del nostro io che considero le dodici deformazioni del nostro spirito. Assistono al miracolo quotidiano e non credono; non riescono a pensare che siamo immortali; credono soltanto alla mo rte e alla putrefazione. Eppure, da qualche parte dentro di loro, l'angoscia li spinge a credere. Si potrebbe dire che il motore della loro fede non sia la gioia ma l'angoscia. Prima di capire, gli apostoli devono percorrere una lunga strada. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto...». Glielo dice apertamente perché ha sentito la loro mancanza di fede. Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. «Sono felice per voi, non per me, perché vedrete quello che dovete vedere, e allora crederete.» E per credere, cosa è necessario? Non è scritto ma è molto chiaro: bisogna rischiare la vita recandosi in Giudea. Se i discepoli non rischiano la vita, cioè, se non si mettono in gioco fino in fondo, non potranno mai credere. Se non abbandonano tutto quello a cui si aggrappano per avere, non raggiungeranno mai l'essere. Bisogna rinunciare alla quantità per arrivare alla qualità, all'essere. 395 Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù andiamo da lui! , Tutti gli apostoli si mettono allora a tremare di paura, immaginano le pietre che si abbatteranno su di loro: saranno scagliate con incredibile ferocia perché, per gli ebrei che rispettano scrupolosamente la tradizione e la Bibbia, è un dovere lapidare i blasfemi. Il pericolo che si annuncia, dunque, non è astratto. Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Tommaso è l'apostolo che dubita. È sicuro che sarà ucciso e che Cristo non compirà il miracolo. Non crede. La cosa meravigliosa è che Tommaso, pur senza credere, decide comunque di andare in Giudea. Segue Cristo perché lo ammira come essere umano: è un immenso atto d'amore, uno dei più belli. Anche se non crede e sa che lo uccideranno, vince la paura. Inoltre, non offre la sua vita a un Dio ma a Gesù, un uomo. Tommaso sa che quell'uomo è giusto e buono: è sedotto dalla sua bellezza spirituale. Proviamo a domandare a chiunque: saresti disposto a dare la tua vita per un uomo anche se non credi nei miracoli, anche se non hai fede e sai che si sacrifica e sarà assassinato? La venerazione di Tommaso e il suo amore per un essere umano sono senza limiti: in quel momento egli si trasforma in un personaggio ammirevole perché è capace di venerare un essere umano senza alcuna speranza. Infatti, bisogna realizzare l'opera per puro amore, anche se pensiamo che sarà accolta male o che non otterrà premi: realizziamola, poiché siamo capaci di amare senza speranza! L'entrata nel miracolo si compie senza speranza, senza fede e senza volerne trarre vantaggio. Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia... tuttavia, nessuno lo vede. Secondo il racconto del Vangelo, Cristo si mette al centro del pericolo molte volte e mai nessuno lo vede. Sa rendersi invisibile. Sa creare il vuoto. Nessuno vede mai il nostro Cristo interiore, che non ha forma: il nostro essere essenziale non è una caricatura. Quando vediamo una persona e la definiamo, vediamo il suo io, ma non possiamo vedere l'essere senza volto, il suo essere essenziale, che non si può definire. Non si può afferrare il nostro essere essenziale: è come il vento, non offre alcuna resistenza. È come l'acqua: prende la forma del recipiente che la contiene. È come l'aria: attraversa tutto. Non possiamo delimitarlo. Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei... Sono presenti molte persone che non credono e vogliono uccidere Cristo, eppure non lo ammazzano subito: non fanno niente contro di lui perché Dio vuole che i non credenti assistano al miracolo. Questi individui simboleggiano il peso della cultura: sono il seme dell'umanità e dunque daranno l'albero. Se eliminiamo il seme, si avrà la sterilità e non avverrà il miracolo dell'albero. Perciò la storia ha bisogno che certe persone possano captare e incorporare questa mo rte affinché l'umanità riceva il messaggio. Perché avvenga il miracolo interiore, dobbiamo portare con noi le vecchie forme, il nostro passato, il nostro marciume, dato che illumineremo tutto quello che siamo e che siamo stati. Dobbiamo raggiungere l'illuminazione rivestiti di tutti gli abiti che abbiamo indossato nella vita, con la nostra collezione di maschere e di ricordi. Tutto dev'essere presente nel momento in cui dovremo nascere. ... molli Giudei erano venuti da Ma rt a e Maria per consolarle per il loro fratello. Due miglia equivalgono a poco più di tre chilometri: si trova quindi a circa tre chilometri dal posto dove lo uccideranno e, Dato che Cristo non era lì, Lazzaro era morto: che angoscia per Mart a e Maria aver perso il fratello. Che angoscia quando si è vissuto molti anni con una persona e questa muore. Che angoscia adattarsi alla nuova libertà 396 397 quando muore qualcuno che detestavamo e che ci ha fatto del male. Che angoscia quando i nostri genitori si separano, quando nasce un fratello e il nostro mondo cambia, quando cambiamo lavoro. Qualsiasi cambiamento rappresenta sempre un motivo d'ansia. Marta crede nella teoria della risurrezione insegnata dai libri. Crede con la testa ma non con il cuore. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». «Chiunque crede in me, nel mio amore, nella mia esistenza, non morirà»: colui che crede nel proprio Dio interiore non morirà mai. E Cristo chiude il suo discorso domandando a Ma rta: Gesù ascolta questa povera ragazza; lei non si rende conto che lo sta accusando duramente quando gli dice: «Vedi, è putrefatto ed è successo perché tu non c'eri. Se fossi stato qui, non sarebbe morto». Immagino che Cristo le abbia risposto: Non ho smesso nemmeno per un secondo di essere qui, e ti confesso anche che sono stato io a dargli quella malattia. E gliel'ho data perché, se mi avesse visto davvero, sarebbe stato un apostolo al mio fianco. Lazzaro, il mio grande amico, non mi ha seguito perché è rimasto tra il dubbio e la fede. È rimasto nel raziocinio. Non ha avuto cuore, perciò gli ho dato la malattia. Anche noi ci ammaliamo se rimaniamo tra il dubbio e la fede: è una prova cui ci sottopone il nostro Cristo interiore. Ogni malattia è sacra poiché ci riporta a noi stessi, ci obbliga a comprenderla, a capire perché l'abbiamo creata. Marta aggiunge: Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà. Marta ritiene che Cristo sia un mediatore, non ha ancora capito che egli è in Dio e Dio è in lui, e che insieme formano un'unità. ... anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Eg li te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Se Cristo si trova davanti a noi e ci dice: «Tuo fratello risusciterà», subito lo ringraziamo, poiché siamo assolutamente sicuri che onorerà la sua parola. La fede di Ma rta però non è ancora completa, infatti gli risponde: So che risusciterà nell'ultimo giorno. 398 Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno». Credi tu questo? La domanda ricorda quella rivolta da Gesù al paralitico che aspettava un miracolo vicino alla piscina: «Vuoi guarire?». Quando il paralitico gli risponde: «Sì, voglio», Cristo lo guarisce subito. In fin dei conti il paralitico si guarisce da solo. Se crediamo profondamente di poter guarire ci salviamo, poiché realizziamo tutto ciò in cui crediamo con fede. Se ci proponiamo di essere lucidi nei nostri sogni e di unire lo stato di veglia con il sonno, e ci riusciamo, chi ci dice che un giorno non riusciremo ad attraversare la mo rte per annullarci in questa luce in cui dobbiamo dissolverci? Se siamo capaci di fermare il pensiero, interrompendo il discorso interiore e creando il vuoto nel nostro spirito, allora saremo in grado di ascoltare: in quel momento siamo capaci di morire perché blocchiamo la dualità e la coscienza di noi stessi. Se si è capaci di morire non si muore: in realtà la paura che abbiamo della mo rte corrisponde a un suicidio. Non conosciamo il fiore, il loto che si apre per ricevere il diamante, il corpo che si apre per essere fecondato dall'eternità. «Credi tu questo?» Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Nell'Arcano XXI, Il Mondo, sono rappresentate le quattro parti. Ci sono i Denari, vale a dire il corpo (l'animale color carne); i Bastoni, vale a dire il sesso (il leone); le Spade, l'intelletto (l'aquila) e le Coppe, il cuore (l'angelo). Al centro c' è 399 l'androgino. Quando crediamo davvero, l'androgino viene al mondo: arriva al nostro intero essere. Realizziamo Il Mondo quando accettiamo i nostri quattro giorni di putrefazione, affinché le nostre quattro pa rti diventino un'unità. Non possiamo andare avanti se l'intelletto, la sfera emotiva, i desideri e le sensazioni fisiche sono separati uno dall'altro. I nostri centri devono essere uniti affinché operino di conce rto, in modo equilibrato, ogni volta che compiamo un'azione. Quando soffriamo, le persone che ci consolano non ci aiutano: ci trattano bene per tenerci nella nostra sofferenza. Così, il processo di putrefazione continua, ma siamo in buona compagnia. Da una decomposizione all'altra, ci si scambiano parole di conforto. Le persone si consolano mutuamente e si fanno compagnia. Non vogliono cambiare: vogliono solo stare con qualcuno. Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». È quindi per farle compagnia nella sua sofferenza che la seguono. «Il Maestro è qui»: è l'androgino del Mondo che ci chiama. Abbiamo un Maestro interiore e dobbiamo obbedirgli. Ma rta è passata dal dubbio, da lla rabbia e dal rancore alla fede. Si è lasciata convincere. Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Cristo vuole che le due sorelle, il dubbio e la fede, siano presenti per poter compiere il miracolo. È come se dicesse: « Smettetela di analizzare, entrate nel cuore, altrimenti non realizzeremo alcuna opera! Per realizzarla, il dubbio e la fede devono entrare in azione insieme». Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla... pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei... Tutti quelli che andavano a lapidare Cristo si trattengono per lamentarsi insieme a Maria: quando una pa rte di noi, fra tutte quelle che non credono, comincia a credere, diventa un faro per le altre e le trascina con sé. Se comprendiamo dapprima con l'intelletto, tutto il resto viene di conseguenza. Se comprendiamo con il cuore, con il sesso o col corpo, il resto ne consegue e il cambiamento avviene. quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente... Nel momento in cui perdiamo i dubbi e cominciamo ad agire, l'intera tradizione ne viene turbata. Il nostro albero genealogico, la vecchia vita trascorsa, i nostri genitori, fratelli e sorelle, i nostri pensieri, il mondo intero si mobilitano perché si aggrappano a noi. È incredibile che Maria, la donna di gran fede, si sia indebolita e si sia lasciata convincere dai dubbiosi! Cristo dice fra sé: «Oh, gli esseri umani sono ancora in questo stato!». Quando abbiamo realizzato un progresso spirituale e attraversiamo la città, non ci turbiamo vedendo le persone ancora in questo stato? La pubblicità è così. La televisione pure. Le persone che non condividono, sfruttano gli altri, li fanno soffr ire e fanno patire la fame al mondo, sono così. Se ci commuoviamo, allora siamo nella posizione di Cristo. Gesù si turba perché sente sorgere la collera dentro di sé, ma non la esprime. 400 401 Maria è immersa nel proprio passato, nella vecchia tradizione, mentre Marta, il dubbio, è diventata tutta fede. Contemporaneamente Maria, la fede, a contatto con i tradizionalisti, si è lasciata convincere e adesso è piena di dubbi. quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono... e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Si sbagliano: non comprendono quello che turba Cristo. Pensano che pianga a causa de ll a sua amicizia per Lazzaro. È incredibile: rispondono tutti insieme. Gli ebrei, che dovevano lapidarlo, non solo non lo fanno ma lo chiamano addirittura «Signore» e aggiungono «vieni a vedere». Quando Cristo chiede: «Dove l'avete posto?», la sua domanda non permette tergiversazioni. Esprime un'autorità assoluta. Se così non fosse, lo ucciderebbero. Noi stessi, quando crediamo profondamente in qualcosa, lo affermiamo senza la minima esitazione: in quel momento manifestiamo un'autorità senza difetto che non fa dubitare gli altri. Davanti a quest'immensa autorità, gli ebrei rompono immediatamente con la loro tradizione, visto che gli rispondono «Signore»: sanno dunque rispettare una persona che prima volevano lapidare. Nel momento in cui percepiscono la bellezza di Cristo, mettono da pa rt e tutta la tradizione e gli offrono un'opportunità. Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Lo giudicano senza sapere cosa accade nel suo spirito: come si può giudicare un essere in base alle sue azioni? Quando eravamo bambini giudicavamo i nostri genitori e le altre persone per le loro azioni. Nella nostra mentalità infantile, i giudizi erano rapidi e semplicistici. Dicevamo dell'uno o dell'altro: «Non mi ama», ma non riuscivamo a vedere l'immensa sofferenza nell'anima di quegli esseri che non ci davano amore. Non sapevamo che non ci amavano perché non avevano mai imparato a farlo, in quanto nemmeno loro erano stati amati. Non sapevamo che avevano vissuto in una società in cui si insegnava che era indispensabile avere per apparire, per comunicare ed essere accettati. «Dove lo avete posto?» Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro... Cristo piange di emozione perché vede la bellezza di queste persone capaci di rompere con la tradizione. Hanno fatto il primo passo e alla fi ne il muro ha cominciato a cedere: Cristo avrà dunque dei testimoni, affinché la sua crocifissione e la sua risurrezione possano passare alla storia. Se questi ebrei non gli avessero creduto, non ci sarebbe stata alcuna crocifissione, perché lo avrebbero lapidato. Cristo non avrebbe potuto terminare la sua opera: sarebbe morto prima del tempo. Il suo messaggio non sarebbe stato trasmesso. Cristo piange di commozione perché sa che compirà la sua missione e che un giorno, da qualche parte, alcuni di noi la porteranno a compimento; sa che dentro di noi, quando il muro crollerà, piangeremo di emozione e sarà la gioia non appena saremo sicuri de ll a nostra realizzazione. È allora che appare l'eternità. Quando dicono che lui ha lasciato morire Lazzaro, Cristo si turba ma non risponde. Sapendo dove si trova il sepolcro, si lascia dietro tutti e vi si dirige. Va ad agire direttamente. ... era una grotta e contro vi era posta una pietra. Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Cosa significa questa pietra? «Su questa pietra costruirò la mia chiesa.» La nostra gabbia, la nostra sofferenza, i nostri ricordi dolorosi, i personaggi che ci hanno fatto del male e che tuttavia ci portiamo dentro: tutto ciò costituisce la pietra che ci imprigiona nella tomba. Quando riusciremo ad aprirla, rinasceremo e useremo quella stessa pietra come altare per il tempio, vale a dire che la nostra sofferenza si trasformerà nel motore principale della nostra liberazione. La nostra gabbia sarà la nostra forza. Questo si coglie molto chiaramente studiando gli alberi genealogici. All'inizio, quando una persona comincia a parlare della sua famiglia, si direbbe che tutti i suoi componenti siano tremendi. Poi, quando comincia a perdonare, questa persona si 402 403 rende conto che erano a lla base del suo spirito, e che la pietra che porta dentro costituisce l'alimento, il carburante, l'atomo di energia che la farà vivere. Tutto quello che abbiamo vissuto, tutte le nostre sofferenze, perfino un parto doloroso, sono la pietra che chiude l'uscita e ci impedisce di nascere allo spirito. Poi questa pietra si trasforma in legna per il nostro fuoco. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Avevano detto: «Non è stato capace d'impedire la mo rte di Lazzaro», ed egli ordina: «Togliete la pietra». È la sua unica risposta: «Togliete la pietra! Venite e affrontate il mistero!». Possono rispondergli: «Ma io non posso affrontare il mio diavolo! Non posso vedere i miei desideri segreti, i miei incesti, i miei nuclei di omosessualità, i miei nuclei sadomasochistici, il mio egoismo, la mia immensa richiesta e la mia incredulità, la mia pigrizia, la mia paura, la mia angoscia...». «Vedete! Togliete la pietra!» «Ma...!» Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Puzziamo, quindi! Perciò abbiamo tanta paura di vederci. Togliere la pietra è vederci nella nostra mediocrità, nella nostra impotenza, nel nostro egoismo, in quel delirio di grandezza che maschera il nostro complesso di inferiorità. Non ci amiamo: davanti all'immensità dell'Universo, ci consideriamo spazzatura. Quando apriamo la grotta, dobbiamo essere capaci di fare pulizia. A volte le persone si suicidano perché si vedono come sono e non lo accettano. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato». «Gesù allora alzò gli occhi»: è curioso. Come ho detto in un'altra occasione, non riesco a immaginare Cristo, dato il grado di coscienza che possiede, alzare gli occhi, rivolgerli al cielo e dire: «Grazie, papà, per aver fatto quello che ti ho chiesto». È semplicemente impensabile. In realtà non alza tutta la testa ma solo gli occhi, finché le pupille non scompaiono dietro le orbite: guarda cioè nel più profondo di se stesso, si rivolge all'interno e non all'esterno. Ecco cosa penso sia successo, poiché non riesco a immaginare che Cristo guardi in cielo. Dio non è tanto in ciò che sta in alto quanto, piuttosto, in ciò che sta dentro, è in tutto il nostro essere. Non c'è un solo punto di noi in cui Egli non sia: è dunque indispensabile smettere di cercarlo all'esterno. e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dài ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». «Parlo per la gente. Manifesto la mia preghiera ma, in fondo, la mia preghiera è intima.» Cristo ha già detto che la preghiera si realizza senza parole. La preghiera del cuore non ne ha alcun bisogno, infatti. Non abbiamo niente da chiedere al Padre, poiché Egli conosce esattamente le nostre necessità. Dunque, non dobbiamo dire niente: basta che ci immergiamo con fede nel nostro Dio interiore. Nel momento in cui chiediamo qualcosa, è perché vogliamo apparire e avere. E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Se crediamo e togliamo la pietra, non dobbiamo avere paura. In noi, dopo la nostra decomposizione e la paura, vedremo la gloria di Dio, la luce, il gioiello che conteniamo. Perciò dobbiamo credere, altrimenti resteremo nella putrefazione. Bisogna immaginare la voce con cui Cristo dice: «Vieni fuori!». Finora ci è sempre stato presentato un Cristo dolce e non violento. L'unico atto di forza che ha compiuto è stato rovesciare i tavoli di alcuni venditori di colombe nel tempio. Non ha ancora mostrato tutta la sua potenza, ma quando esclama: «Lazzaro, vieni fuori!», il grido è così fo rte che un uomo morto da quattro giorni, il cui corpo si sta decomponendo, gli obbedisce. 404 405 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Cristo riunisce tutto il suo corpo, la sua sessualità, il suo amore, il suo intelletto, la sua pelle, le sue viscere, la sua memoria, tutto il suo essere... Risale il corso del tempo, attraversa tutta la memoria dell'umanità, tutto l'Universo, prende tutta la forza della materia, la forza del cosmo, e arriva a quello che c'è in lui: il Padre. Cristo è nel Padre e il Padre è in Cristo. Arriva a suo Padre, che è onnipotente, incommensurabile, più potente di milioni di bombe atomiche, e allora dice: «Vieni fuori!». Il suo grido viene lanciato da ognuna delle sue cellule, da ognuno dei suoi atomi. È un Universo completo, è la forza estrema a emettere quel grido. In quel momento, il morto — il morto che siamo fin dalla nascita per mancanza di amore e di fede —, quella carne in decomposizione, comincia a tremare e si alza. L'ordine è talmente forte che, come vedremo, Cristo estrae la luce dall'oscurità. «Lazzaro, vieni fuori!» Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo, e lasciatelo andare». Lazzaro esce come una mummia. Ha i piedi e le mani legate. Non può camminare. Cristo dice: «Scioglietelo, e lasciatelo andare». Tutti sono perplessi, terrorizzati davanti a quel nuovo essere. All'improvviso sorge in noi il nuovo essere che siamo, ma è impedito da bende e legami. Abbiamo lottato tutta la vita per cambiare, per diventare noi stessi, per trovare la nostra libertà, e di colpo ci alziamo, ma siamo ancora legati. Ciò significa che quando ci realizziamo, per vivere veramente quel che siamo è indispensabile che tutte le nostre altre pa rt i non abbiano paura di noi e che ci accettino. Se le persone a cui Cristo chiede di slegare Lazzaro non osassero avvicinarsi per paura e disgusto, questi non potrebbe camminare. Al nuovo essere, Cristo non chiede solamente di uscire: tutte le nostre parti devono partecipare affinché possiamo liberarci dai legami. La mente, staccandosi dai brutti pensieri, deve accettarne di nuovi, basati sulla non esistenza de ll a mo rt e, che è solo cambiamento. Il centro emotivo deve slegarsi dai sentimenti egoistici per darsi all'amore per l'umani406 tà; quello sessuale deve staccarsi dall'animalità e mettere i suoi desideri al servizio dei disegni divini. Il corpo deve cessare di intossicarsi per fondersi con l'immortale materia universale. Liberato, Lazzaro appare come un essere completamente ricreato e rinnovato da Cristo. Possiede la totale conoscenza del nulla. È un essere completo che ha obbedito all'ordine del Padre, dello Spirito Santo e del Figlio e la cui carne si è purificata come quella della Vergine. Lazzaro è l'uomo immortale di cui parlano certi miti: la sua carne è eterna come quella della Vergine Maria ed egli non può più morire perché, per lui, la mo rt e non esiste. Da qualche pa rt e dentro di noi, nella nostra carne, esiste l'immortalità: bisogna viverla. Affinché l'ordine di Cristo sia compreso, è necessario che il nostro proprio Cristo penetri fino in fondo alla materia imputridita. Perciò l'alchimia parla del «corvo», cioè del marciume primordiale, generatore. L'intero processo alchemico non è altro che una descrizione oscura di quello che è detto invece chiaramente nell'episodio della risurrezione di Lazzaro. Le persone che erano presenti, piene di entusiasmo, raccontano poi il miracolo. In quel momento viene ordinata la morte di Cristo: egli ha fatto qualcosa che un uomo non può permettersi, ha rotto con la sua tradizione. Ha dato la libertà. Dunque, la risurrezione di Lazzaro è il motivo essenziale della crocifissione. 407 i XVIII PROEMIO Con la crocifissione affronteremo numerosi argomenti. È però necessario in primo luogo scegliere tra la versione condivisa da tre evangelisti e quella del qua rto, che differisce in maniera considerevole. In questo studio non si nega la veridicità dei Vangeli: li si accetta integralmente. Interpretare non significa trasformare un testo né metterlo in dubbio, ma accettarlo senza cambiare una virgola né un punto. Orbene, tre evangelisti affermano che Cristo non si caricò la croce sulle spalle e uno dice il contrario: dov'è la bugia e dove la verità? Uno degli argomenti che affi onteremo sarà la dimostrazione che Cristo non si caricò affatto la croce sulle spalle. Bisogna capire che è un dettaglio di enorme importanza: siamo stati abituati a essere crocifissi, a morire in mezzo alla sofferenza e all'orrore... Vedremo che Cristo muore come un Maestro. Non subisce il martirio di caricarsi la croce sulle spalle e non muore nell'angoscia e nel dolore. Dona la sua vita in piena coscienza perché così vuole. Muore come un guerriero, come un essere trionfante. È un leone che offre la sua vita per impartire una lezione al mondo. È davvero il dono di sé in piena coscienza e non si tratta di una vittima sofferente. 408 Le interpretazioni erronee del testo sacro non smettono mai di ricordarci che è necessario soffrire e caricarsi la propria croce sulle spalle come il Cristo crocifisso. Abbiamo sofferto per intere generazioni per questo motivo, ed esse continuano ancora a predicare il sacrificio e il senso di colpa. Queste interpretazioni erronee si basano su affermazioni come quella che si trova in Luca 9,23, dove Cristo dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Ma qual è il profondo significato delle sue parole? «Se qualcuno vuol venire dietro a me» allude a colui che vuole darsi al suo essere essenziale; «rinneghi se stesso» significa che deve smettere di identificarsi con il suo Ego, il suo essere individuale; «prenda la sua croce ogni giorno» vuol dire che deve vivere nel presente, il punto dove il tempo incontra lo spazio, l'ora, il qui; «e mi segua» è un invito a darsi alla gioia di vivere. Cristo e la gioia di vivere sono infatti la stessa cosa. Vedremo che, secondo gli evangelisti — e su questo punto sono d'accordo tutti e quattro —, la verginità di Maria si interrompe con la nascita di Cristo. Si tratta di un tema ancor più delicato del precedente, poiché dimostra che l'immagine della donna sessualmente inibita è del tutto sbagliata. Una donna che non vive la sua sessualità non può essere venerata, e i quattro evangelisti concordano su questo punto: la verginità non è quella che ci hanno raccontato. Un altro tema che affronteremo è la personalità di Giuseppe di Arimatea, l'uomo che toglie Cristo dalla croce e lo seppellisce. Chi era? Io suggerisco che era Giuseppe il falegname, che non era morto. È bello immaginare che sia stato lui a deporre Cristo nel sepolcro, e in seguito avremo modo di approfondire l'importanza che riveste questo suggerimento. Vedremo anche l'importanza di Giuda Iscariota e lo rivaluteremo. 409 1 CRISTO E LA PASSIONE Matteo inizia il racconto della crocifissione (27,32-44) con queste parole: Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui [Gesù]. Giunti a un luogo detto Golgota, che significa luogo del Cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele... Secondo Matteo, dunque, i soldati che sorvegliano Gesù escono da un edificio, poi chiamano Simone di Cirene e gli ordinano di caricarsi in spalla la croce; ciò fatto, si dirigono tutti verso il Golgota. Cosa significa? Matteo sta delirando? Vediamo cosa dice Marco (15,20-23): poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del Cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Marco conferma completamente la versione di Matteo e aggiunge che Simone di Cirene è il padre di due ragazzi, Alessandro e Rufo. Cristo, dunque, non si caricò la croce sulle spalle! Ecco cosa dice Luca (23,26-28) al riguardo: Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse... Nella versione di Luca possiamo immaginare facilmente Cristo che avanza in piena coscienza davanti a Simone di Cirene che trasporta la croce. La folla lo segue e Cristo si volta verso le donne che sono dispiaciute per lui. Non porta la croce. «Dignità» è il termine che meglio caratterizza il suo avanzare silenzioso tra la folla. 410 Cosa rimane allora di tutte le idee che ci hanno messo in testa nei secoli? Perché dovremmo caricarci in spalla la nostra croce e soffi ire? Dov'è la questione del manto di Veronica, per cui una pudica donzella asciuga solo il viso del Signore e non tutto il suo corpo? La via della croce con le sue stazioni non è menzionata una sola volta. Da dove è uscita una storia del genere? E perché dovremmo crederci? Tre dei quattro evangelisti dicono molto chiaramente che Cristo non ha portato la croce e anche il qua rto, Giovanni, la menziona soltanto una volta (19,17-18): Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero... Quello che non mi piace è che Giovanni dice che Cristo ha effettivamente trasportato la croce. In ogni caso, Cristo non ha vissuto il suo calvario come ce l'hanno descritto. Non ha mostrato alcun segno di debolezza, non è caduto in ginocchio, nessuno gli ha asciugato il sudore dal viso. Sapeva e voleva quello che sarebbe successo. Abbiamo visto che Cristo risuscita Lazzaro per meritarsi una sentenza di mo rte. Egli stesso manda Giuda a denunciarlo, dicendogli: «Quello che devi fare fallo al più presto» (Giovanni 13,27). Cristo annuncia varie volte che deve bere il suo calice, come precisa Luca nel passo intitolato «Lezione di umiltà». LEZIONE DI UMILTÀ (Luca 22,35-37) Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». «Senza borsa, né bisaccia, né sandali», detto altrimenti: in uno stato di purezza totale. «Senza borsa»: intelletto puro; «senza bisaccia»: cuore puro; «senza sandali»: corpo puro. Risposero: «Nulla». Non avevano denaro per cibarsi; non avevano niente e, tuttavia, non mancò loro niente. 411 Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una». Una povera vittima si esprimerebbe così? «Chi ha una borsa, la prenda!»: è necessario usarla ora. Non si tratta di essere poveri: si tratta di mettere tutto in gioco, molto o poco che sia. Quando non abbiamo niente, niente ci manca. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine. Qual è il passo della Scrittura a cui allude Cristo? È l'oracolo del Servo di Dio (Isaia 53,1-17): Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a Lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fr onte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. È per questa ragione che Cristo non proferirà parola di fr onte a Pilato. Non tenterà di difendere la propria vita perché sa che il suo Spirito è immortale e non teme quella trasformazione chiamata mo rte. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua so rt e? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebben non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando off ri rà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà de ll a sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. ) Si tratta, evidentemente, di una descrizione di Cristo. Dalle sue ferite non nasce una fonte di sofferenza: ci viene insegnato anzi che sono ingiuste e che bisogna sopportarle con una tale forza spirituale da trasformarle in po rte attraverso le quali la Coscienza possa entrare nel nostro mondo. Cristo annuncia che, in conformità con l'oracolo di Isaia, si darà alla morte. Non dice di essere una vittima: sapeva perfettamente che si sacrificava per gli altri. Lo dice con estrema 412 413 chiarezza ma in modo dissimulato, citando la Bibbia davanti alle persone che conoscono alla perfezione il Libro: «Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola de ll a Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine». Cristo non arrivò alla Passione impotente e angosciato! Sapeva esattamente cosa sarebbe successo. Così volle, e visse il tutto come un guerriero. MARIA Leggendo il passo della crocifissione, ci viene detto per la seconda volta che Maria ebbe dei figli dopo la nascita di Cristo. Ho già detto in precedenza che in realtà non è impo rt ante il fatto che li abbia avuti o no, dato che si tratta di un simbolo, ed è il simbolo della Vergine che mi interessa. Se si segue alla lettera il mito, però, la prima allusione (Marco 6,1-3) è quando Cristo insegna in una sinagoga e i suoi ascoltatori si pongono delle domande su di lui: tiva interpretazione e che si deve prendere la parola «fratello» nel senso di «compagno», ma non mi convince. In primo luogo perché il concetto viene ribadito durante la Passione, secondo Matteo (27,55-56) e Marco (16,1): C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Magd al a, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Maria dunque non rimane vergine, dato che Cristo ha quattro fratelli, Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone, e anche delle sorelle! Qualcuno potrebbe sostenere che si tratta di una cat- Maria è indicata come la madre di Giacomo. Non si può più negare: i Vangeli ci dicono che, dopo Cristo, Maria ebbe altri figli. Dobbiamo meditare su questo punto perché cambia tutte le vecchie concezioni delle nostre nonne, che hanno proibito l'orgasmo di generazione in generazione, divinizzando una donna frustrata a livello sessuale. Queste concezioni non hanno niente a che vedere con il Vangelo, il quale suggerisce che per Maria, una volta compiuta la sua opera che consisteva nel partorire Dio, non c'era niente di più puro e di più bello che cono pire dei figli con un essere umano. Inuale modo fare l'amore e procreare potrebbero sopprimere la santità di una donna? Perché una santa dovrebbe avere le ragnatele sulla vagina? Questa non è una prova di santità, ma piuttosto il frutto di una concezione malata. Le donne dovrebbero ribellarsi: è un attentato, un insulto nei loro confronti. Finché penseremo che una donna che non ha relazioni sessuali e un uomo castrato - vale a dire, permanentemente casto - si trovano in stato di santità, ci saranno sempre delle guerre, perché il sacrificio della sessualità è una malattia. Il Vangelo non ne parla mai! Se la Vergine ha avuto dei figli, allora cambia tutto! Possiamo dunque consegnarci tranquillamente all'energia divina e accettare il piacere sessuale senza considerarlo il diavolo, la sporcizia e l'orrore. 414 415 Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti d al le sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». Anche Matteo 13,54 - 56: Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Possiamo benissimo venerare una donna che ha avuto diversi figli, e sarebbe criminale dire che per questo motivo non può più essere santa. Non ci vengano a raccontare storie! Bisogna ribellarsi subito! E bisogna ribellarsi anche quando ci dicono che un padre di famiglia non può raggiungere la santità. Non è possibile: un'affermazione del genere ci getta nella guerra, nella distruzione dell'umanità. Il celibato fa ammalare gli esseri umani. GIUSEPPE (Luca 23,50-53) C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri [i giudici di Gesù]. Egli era di Arimatea, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Perché questo Giuseppe, che è un uomo buono e giusto, non dovrebbe essere Giuseppe, il padre di Gesù, che viene a seppellire suo figlio? All'inizio del nostro studio abbiamo visto che la caratteristica essenziale di Giuseppe è precisamente quella di essere un uomo giusto. So che si tratta di un'interpretazione molto personale, però mi piace pensare che Cristo ha un padre di nome Giuseppe; un padre che non lo ha mai abbandonato e che nel momento della sua morte era presente in modo sottile e segreto: camuffato. È stato lui a deporlo dalla croce e a rivestirlo. Quest'uomo umile e giusto che aveva visto crescere il Figlio di Dio, che gli aveva permesso di esprimersi senza mai opprimerlo e che è rimasto al suo servizio fino alla sua mo rte, quest'uomo meraviglioso ha procreato con la Vergine. Abbiamo già stabilito che si trattava di un uomo dell'età di Maria, poiché da nessuna parte nel Vangelo si dice che fosse un anziano. Immagino, dunque, che fosse un uomo giovane e straordinario. Vide la Vergine e la rispettò, aspettando che lei si 416 realizzasse. Poi, con la presenza del bambino divino in casa, Giuseppe e Maria si sono realizzati insieme. Dio avrebbe forse permesso che l'uomo che aveva salvato diverse volte la vita a Cristo, che lo aveva condotto in Egitto e lo aveva educato, morisse insoddisfatto, senza che il suo amore fosse completamente realizzato? È fondamentale smettere di vedere la Vergine come una donna sessualmente inibita, e decidersi a vederla invece come una persona normale che offre a Dio il suo intelletto, il suo cuore, il suo sesso e il suo corpo. Essere mistici non significa essere dei frustrati sessuali. Abbandoniamo la credenza che l'orgasmo sia un peccato diabolico e che la frigidità equivalga alla santità. Lasciamo perdere questo gioco idiota! Non ci appartiene più: i tempi sono cambiati. GIUDA (Matteo 27,3-10) Un altro aspetto che voglio approfondire riguardo al tema della crocifissione è la personalità di Giuda Iscariota. Si è già detto abbastanza male di lui e il suo nome è diventato sinonimo di odioso traditore; eppure, se leggiamo Matteo, ci rendiamo conto che tutto ciò non è giustificato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. È molto bello: Giuda riconosce il suo errore e restituisce il denaro. Siccome i sacerdoti non vogliono riprendersi le monete d'argento, Giuda va oltre il rifiuto dei sacerdoti e degli anziani e getta il denaro nel santuario affinché sia benedetto. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E, tenuto consiglio, comprarono con esso il campo del vasaio per 417 la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato «Campo di sangue» fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. Quel denaro servì per la sepoltura degli stranieri, poveri diavoli che morivano lontano dalle loro case privi di mezzi per pagarsi una sepoltura. Quelle monete d'argento fecero dunque del bene all'umanità. Che Giuda riposi in pace, allora! Non era una canaglia: interpretò il suo ruolo affinché si realizzassero le profezie, quella di Geremia e tutte le altre. Senza Giuda, Gesù non avrebbe trionfato, dato che la sua gloria passa attraverso la crocifissione. Giuda perciò deve essere venerato: è una bella figura, dovremmo dedicargli delle chiese, così come dovremmo dedicarne a Giuseppe. Dobbiamo capire che è stato Gesù a obbligare Giuda a tradirlo, ad affidargli la sacra missione di tradirlo, e che Giuda ha obbedito affi anto dal dolore. LA PASSIONE E LA CROCIFISSIONE La crocifissione avviene sul Golgota, una parola che — come abbiamo visto — significa «luogo del Cranio» o «del Teschio»: una probabile allusione alla forma della collina che ricordava quella di un cranio umano. Nelle leggende della «Santa Croce», che risalgono al Medioevo, si assegna un'origine alla croce di Cristo: quando Adamo morì, fuori del paradiso, uno dei suoi figli sarebbe andato proprio nell'Eden per tagliare un ramo dell'albero della vita, poi sarebbe tornato da Adamo per introdurgli il ramo nel corpo attraverso la bocca. Dal ramo sarebbe nato un albero, dal quale in seguito sarebbe stata ricavata una trave. Quando Salomone costruì il tempio, ricevette proprio questa trave, ma non poté utilizzarla perché era troppo grande, o troppo piccola, e lui non voleva tagliarla. Allora decise di costruirci un ponte e la regina di Saba, quando venne a trovarlo, si rifiutò di attraversarlo perché non voleva calpestare quel legno sacro. Allora 418 Salomone ordinò di seppellire la trave e lì sgorgò una fonte. Secondo la leggenda, con quella trave fu costruita la croce su cui fu crocifisso Cristo: è senza dubbio una bella storia. Penso che il «luogo del Teschio» sia un'allusione al cranio di Adamo. La crocifissione dell'Uomo con la «u» maiuscola, cioè Cristo, vale a dire il mito, dove potrebbe avvenire se non al centro stesso dell'umanità? E questo centro è il cranio di Adamo. Dicendo che Gesù arriva al Golgota, cioè al «luogo del Cranio», si sostiene che egli arriva all'origine dell'errore. È qui che sorgerà la croce: in mezzo alla testa, nel chakra dalle mille foglie chiamato Sahasrara. Crescerà dalla testa di Adamo. Cristo è il nuovo Adamo e viene per risalire la caduta di Adamo. Partendo dal Golgota, stabilisce un asse tra l'origine dell'umanità e il momento in cui questa arriverà ad aprirsi al suo stato di coscienza più elevato. Tramite la crocifissione, un essere umano (il Cristo lo è: si è incarnato) giungerà al più alto livello di coscienza di tutti i tempi. Se accettiamo il mito, non ci sarà mai una presa di coscienza più grande della sua. L'unica paragonabile si avrà quando tutti gli esseri umani si risveglieranno alla coscienza collettiva e quando lo Spirito Santo soffierà attraverso ognuno di noi. Mentre aspettiamo che questo accada, vediamo intanto la sua presa di coscienza, descriviamo il più elevato grido di coscienza che un essere umano — il Dio incarnato — abbia mai proferito. Un giorno dovremo arrivare sul Golgota e lanciare lo stesso grido. Vale a dire che un giorno, per nostra volontà, dovremo superare tutto il nostro passato e crocifiggere il nostro io, che conosciamo così bene. È necessario fare dono della nostra vecchia personalità e, con una volontà assoluta, lanciare un grido e morire dentro per trasformarci in esseri cosmici ed eterni. In questo grido della coscienza, la sofferenza non ha posto. Ricordiamo le parole di Marco (15,23): e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Il vino mischiato con la mirra era una bevanda soporifera. In Matteo si parla di vino mescolato a fiele, che pure possie419 de virtù calmanti. Perciò, prima di inchiodarlo sulla croce, volevano dargli un sedativo per mitigare il dolore, ma egli lo respinse, e non perché la bevanda fosse sgradevole, ma perché non voleva essere anestetizzato: voleva darsi in piena coscienza a quell'atto volontario e necessario per tutta l'umanità. Poi [i soldati] lo crocifissero, e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse... [Marco 15,24] «Si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse» è un riferimento al Salmo 22,18: «Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la so rte», e non è l'unico. Secondo Matteo (27,46) e Marco (15,34), Cristo, una volta sulla croce, dice: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? I presenti si fanno beffe di lui prendendo alla lettera le sue parole e, tuttavia, anche qui Cristo cita il Salmo 22. Abbiamo visto che Cristo aveva già citato Isaia (53,1-12) per annunciare il suo sacrificio; ora cita Davide: dunque, non si sta lamentando. Sulla croce avrà il tempo di perdonare il ladro crocifisso insieme a lui e di sistemare Maria, sua madre, in casa di Giovanni. Non è un uomo giunto all'estremo che trema perché è stato abbandonato. Quello che fa è trasmettere un messaggio; vediamo il Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza»: sono le parole del mio lamento. Egli griderà, e il suo grido sarà un ruggito. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo... 420 Nel Vangelo di Marco (15,29) si dice: «I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo...». Si è affidato al Signore, Lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico. In Matteo (27,43) gli scribi e i sommi sacerdoti dicono: «Ha confidato in Dio; lo liberi Lui ora, se gli vuol bene...». Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata a ll a gola, su polvere di morte mi hai deposto. Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Qui descrive il suo stato di coscienza sulla croce: può contare tutte le sue ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte. Abbiamo visto cosa fanno i soldati ai piedi della croce. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto. Scampami dalla spada, 421 dalle unghie del cane la mia vita. Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali. Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea. Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché Egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito. Ciò significa: «Ha ascoltato quando gridavo rivolgendomi a Lui». Vale a dire: il Dio interiore non ci abbandona mai. Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati... Se siamo poveri, mangeremo fino a saziarci. Essere «povero» significa staccarsi dalle illusioni dell'io. A chi non ha niente, non manca niente. loderanno il Signore quanti lo cercano: «Viva il loro cuore per sempre». Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, Egli domina su tutte le nazioni. A Lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a Lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per Lui... Quest'uomo crocifisso su una croce è divino: sente i chiodi nella propria carne. Tutti lo scherniscono, i soldati si giocano a dadi i suoi vestiti, i cani gli abbaiano contro. E invece di lamentarsi, Cristo dichiara: «Il regno è del Signore! Egli domina su tutte le nazioni». È come un re: vede già tutte le nazioni mentre lo riconoscono e si prostrano davanti al Dio che egli rappresenta. Non ho mai visto niente di così bello e non vi trovo nessun tipo di sofferenza. È evidente che Cristo esclama «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», ma non si tratta del grido di un umiliato. È un grido di regalità. Di dolore, sì (è crocifisso!), ma non di sofferenza! In piena coscienza, cita un salmo profetico: proclama il trionfo della Verità e inoltre si mette a perdonare. Dice (Luca 23,34): Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno. E salva uno dei due ladri (Luca 23,43): In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso. Poi affida sua madre a Giovanni. In realtà, fa molte cose mentre è in croce. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero... [Marco 15,25] Perché alle nove? I numeri non sono scelti a caso. Nei Tarocchi il nove è la crisi, l'ultima azione che si compie prima di terminare un ciclo. È L'Eremita. Ciò significa che un ciclo sta per concludersi e che un nuovo ciclo sta per cominciare. e l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il Re dei Giudei. [Marco 15,26] Vediamo cosa dice Giovanni (19,19 20) in proposito: - Chi non fa il proprio lavoro, quello di domare l'io, è condannato all'autodistruzione. lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l'opera del Signore!». 422 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. L'iscrizione è in tre lingue affinché tutte le nazioni possano leggerla. È scritta in mezzo alle nazioni, in mezzo all'umanità. 423 Continua Giovanni: I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». Pilato è soggiogato da quest'uomo. Non è riuscito a sottrarlo alla crocifissione perché la folla, istigata dai sommi sacerdoti, ne reclamava la morte, ma lo ha fatto contro la propria volontà. E lo riconosce come re. I Vangeli descrivono continuamente Cristo che va alla crocifissione come un re e non come una vittima: riusciamo a immaginare la forza d'animo di questo essere? Cristo sa che il suo corpo umano sentirà dolore, ma non esita. Va come un re verso il suo sacrificio affinché le generazioni future prendano coscienza. I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cucitura, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. I quattro soldati non possono appropriarsi della tunica di Cristo: si vedono obbligati a giocarsela ai dadi. Quella veste non ha proprietario. Noi stessi non abbiamo proprietario. Quando prendiamo coscienza di questo fatto, ci rendiamo conto che esiste in noi un'unità che nessuno può possedere né dividere. Tale entità tocca le nostre quattro pa rti. Alimenta in noi la parte intellettuale, quella emotiva, quella sessuale e quella corporale. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». I soldati romani che avevano avuto la forza di crocifiggerlo si rifiutano di tagliare la tunica. Diventano molto delicati. «Non stracciamola, ma tiriamo a so rt e a chi tocca.» Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la so rt e. E i soldati fecero proprio così. La crocifissione, come sappiamo, è in relazione con il Salmo 22. Le vesti di Gesù sono divisibili per quattro: come le stagioni, i punti cardinali, gli assi dei Tarocchi... Perfino i segni dello zodiaco sono divisibili per quattro. Le vesti esteriori possono essere divise in quattro pa rti, mentre la tunica interiore è cucita in un pezzo unico. Questa tunica è completamente iniziatica: indica che l'essere essenziale di Cristo è tessuto tutto d'un pezzo, cioè dalle sue profondità, dal suo contatto con la divinità. Chi ha tessuto questa tunica? C'è da credere che sia stata Maria. Indossando questa veste, Cristo portava in sé l'amore e il riconoscimento totale di se stesso. Il nostro spirito, come gli indumenti di Cristo, è composto di quattro pa rti: l'intelletto, la pa rte emotiva, quella sessuale e quella corporale. Deve possedere anche una quinta essenza intessuta in un pezzo unico. In qualche luogo dentro di noi dobbiamo trovare quella parte in(di)visibile che è la nostra scintilla di divinità. È questa parte che deve rivestire il nostro spirito. Nessuno può dividerla dall'esterno. Non lo dice piagnucolando. Dalla croce perdona i suoi boia, toglie i peccati a uno dei due ladri crocifissi insieme a lui e sono sicuro che perdona anche l'altro. Affida sua madre al discepolo che ama. Vede come i soldati si spartiscono le sue vesti. Vede tutto. Vede anche l'umanità futura. Vede quello che provocherà la sua rivelazione mal interpretata, vede l'Inquisizione, le guerre e i milioni di morti che ne deriveranno. Sa che provocherà una catastrofe, ma sa anche che ci saranno persone che, come lui, si sacrificheranno affinché più tardi l'umanità cominci a cambiare e a evolvere. 424 425 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria donna di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio fedele. Tu detesti chi serve idoli falsi, ma io ho fede nel Signore. Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce; non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i miei passi. Vede tutto dalla croce: vede anche tutta la Legge, tutti i libri sacri e tutto il passato. Si trova in uno stato di iperconoscenza a dispetto dei chiodi e delle ferite che martirizzano la sua carne. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. Cristo sceglie il momento della sua mo rte. Risulta molto chiaro quando si legge ciò che segue. I giudei non volevano che i crocifissi rimanessero ad agonizzare sulla croce durante il sabbat, e abitualmente rompevano loro le ossa per accelerarne la fine, per poterli seppellire quello stesso giorno. I soldati rompono quindi le gambe dei due ladri, che sono ancora vivi, ma quando arrivano davanti a Cristo si rendono conto che è già morto, anche se sarebbe dovuto passare molto più tempo prima che spirasse. Cristo muore prima dei due ladri, anche se era un uomo giovane e fisicamente robusto. Abbiamo visto che cammina senza sandali per molti chilometri e che scaccia i mercanti dal tempio con una frusta. Non c'era alcuna ragione per cui un essere divino come lui morisse tanto rapidamente, a meno che ciò non rifletta un atto cosciente. Marco (15,44) dice al riguardo: «Pilato si meravigliò che fosse già morto». Quando tutto si è consumato, Cristo spinge il proprio spirito fuori dal suo corpo. O meglio, il Cristo (spirito) si stacca da Gesù (il corpo). In un altro punto (23,46), Luca lo esprime molto chiaramente: Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» . Detto questo spirò. Benedetto il Signore, che ha fatto per me meraviglie di grazia in una fortezza inaccessibile. Amate il Signore, voi tutti suoi santi; il Signore protegge i suoi fedeli e ripaga oltre misura l'orgoglioso. E il Salmo finisce con questa frase: Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore. Le ultime parole di Cristo sono dunque: «Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore». Luca continua la sua descrizione: Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto». Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i testimoni sono in preda a un'intensa emozione. Veiamo cosa dicono Marco (15,33) e poi Matteo su questi ultimi istanti. t Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. di nuovo a un testo biblico: il Salmo 31. È un canto di gloria di cui riporto alcuni passi: Cristo è crocifisso alle nove del mattino, ma già a partire da mezzogiorno tutto il pianeta rimane immerso nelle tenebre per tre ore. Si tratta di un segno. Il mondo intero rimane nell'oscurità ad aspettare. 426 427 Dicendo «nelle tue mani consegno il mio spirito» egli a ll ude I; I I Prosegue Marco: Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo da ll a croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Qual è il grido che lancia Gesù? Ha citato i Salmi dicendo: «Siate forti, riprendete coraggio», e poi urla a gran voce. Quell'urlo è così fo rt e che arriva fino ai nostri giorni. Più ancora, arriva fino alla fi ne dell'Universo. Quel grido prosegue: non si è mai interrotto. È risuonato nell'Universo e ancora continua a risuonare. Quando Cristo grida, emerge tutta la sua forza interiore: quello che chiamiamo inconscio. Tutto ciò che l'essere umano possiede, Cristo lo concentra in quel grido: doveva depositare il suo messaggio nella terra e non poteva certo metterlo nelle parole. Tramite il suo grido Cristo ha fecondato la terra, le pietre, gli animali, la razza umana, l'aria, l'idrogeno, l'ossigeno, le stelle... Secondo me, quel grido ha fecondato l'Universo intero. Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Capite bene il potere di quel grido! Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». [Matteo 27,54] SEPOLTURA DI GESÙ Come ricorderemo, Matteo (27,55) specifica: C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Ciò indica che Cristo è sempre stato circondato da donne e non era accompagnato soltanto dai dodici apostoli. Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera giunse un uomo ricco da Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Le tombe si aprono e, come Lazzaro, i morti ne escono indossando ancora il lenzuolo funebre. Cristo non risuscita solo Lazzaro, dunque, ma centinaia, anzi migliaia di persone in stato di santità, che vivranno sulla terra e collaboreranno alla sua opera. Quando mai questo Giuseppe era diventato discepolo di Gesù, se non era sul posto? È un mistero. Come ho già detto, mi piace di più immaginare che questo Giuseppe di Arimatea sia Giuseppe il falegname. Quando in precedenza ho menzionato lo studio degli alberi genealogici ho sottolineato che, nell'inconscio, i nomi hanno una grande importanza; ho verificato moltissime volte che è facile trasferire un sentimento o un'emozione su una persona che ha lo stesso nome di un'altra per cui quel sentimento era nato. Per esempio, ho visto un Alberto e una Susanna, due fratelli che possedevano un nucleo incestuoso, sposare lui una Susanna, e lei un Albe rt o, che per di più erano anche loro fratelli. Dunque, nei nomi trasferiamo dei contenuti emotivi. Per il nostro inconscio è fondamentale che l'uomo che de- 428 429 Che grido fu! Che potenza! Matteo (27,50) lo descrive meglio: E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono... È un terremoto! La terra intera osi scuote a quel grido. i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. pose il corpo di Cristo dalla croce si chiami Giuseppe: c'è un messaggio da decifrare. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. È molto coraggioso, da pa rt e sua, reclamare il corpo: Gesù era considerato un criminale. La fede di quest'uomo é dunque colossale. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Per comprendere questo dettaglio bisogna vedere le pietre delle tombe a Gerusalemme: sono enormi. Giuseppe perciò doveva avere una forza titanica per rotolare, da solo, una pietra così grande davanti all'entrata del sepolcro. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Magdala e l'altra Maria. Con questa frase finisce il racconto della Passione. Se i bonzi sono capaci di immolarsi senza battere ciglio e gli asceti di scegliere il momento per morire, non c'è nessuna ragione per cui Cristo non potesse fare la stessa cosa. È evidente che i Vangeli descrivono la mo rt e di un re, di un leone, di un essere potente che non cede mai, nemmeno all'ultimo secondo. Non è meglio immaginarlo così, invece che come una persona sofferente e coperta di ferite che si lamenta per essere stata abbandonata? Non è preferibile concepirlo al culmine della gloria? È un essere dotato di un tale potere che, lanciando un grido, risuscita i morti. Come possiamo parlare della sua debolezza di mort ale? Come possiamo pensare che inciampi ai piedi della croce in modo così penoso e che un uomo lo soccorra per aiutarlo a trasportarla? Davanti a questo leone, il cui grido è così fo rt e da squarciare il velo del tempio, da spaccare le pietre e far tremare la terra, è concepibile che egli debba asciugarsi il sudore nel manto di Veronica? Leggendo il Vangelo, è impossibile pensare una cosa simile. La via della croce non è mai esistita: è un'invenzione. È una favola ma, sia ben chiaro, il Vangelo non è una favola. 430 Cristo è descritto come un essere coraggioso che af fr onta questa prova come un guerriero, poiché sa che il suo gesto è necessario per l'umanità futura. Cristo sacrifica la sua vecchiaia. Così come Adamo non ha conosciuto la gioventù (essendo nato adulto), Cristo non ha conosciuto la vecchiaia. Ambedue sono stati privati di una pa rt e della loro vita. Quando penso a tutto il tempo che ho vissuto dopo i miei trentatré anni, mi rendo conto che mi sarebbero mancati molti motivi per essere felice, se non fossi potuto invecchiare. È terribile privarsi della gioia che rappresenta raggiungere la tappa avanzata della vita. Per il bene dell'umanità, Cristo lo ha fatto: ha sacrificato metà della sua esistenza, o addirittura tre quarti, poiché avrebbe potuto vivere centoventi o centocinquant'anni come Giovanni l'evangelista. Giovanni, il discepolo prediletto, raggiunge un'età avanzata perché Dio, che lo ama, vuole così; anche Cristo ci sarebbe potuto arrivare benissimo. Che sacrificio incommensurabile per un essere pieno d'amore nei confronti di tutta la creazione! Che sacrificio per un uomo che godeva dell'amicizia, dell'amore, e che aveva qualcosa da dire! Cristo condensa in un grido tutto il tempo che gli rimaneva da vivere. Come una candela che si consumasse in un secondo, Cristo brucia novant'anni in un unico grido. È per questo motivo che la sua esclamazione risulta così potente. Cristo muore al culmine della gloria, dunque, come un re. Nel giardino di Getsemani, prima del suo arresto, Gesù prova tristezza e angoscia. È normale che l'angoscia lo opprima, ma non si tratta dell'angoscia della mo rt e: vivere in mezzo alle persone che ama gli procura tanta gioia... Ama i suoi apostoli. Ama l'umanità. È la separazione imminente a suscitare quella tristezza. Si tratta di un sacrificio immenso: lo accetta perché sa che è necessario e che la mo rt e non esiste. Anche la Vergine lo sa. Lei ha assistito alla risurrezione di Lazzaro, come si può pretendere che sia afflitta in un simile momento? Maria è triste 431 perché non ha la gioia di baciare Cristo, né di accarezzarlo, ma sa che egli non può morire. Quale angoscia può provare la Vergine sapendo che Cristo, come egli stesso dice a uno dei ladri, andrà in paradiso? Dove può annidarsi l'angoscia se sappiamo che quell'essere si trasformerà di nuovo nel Padre? Maria non può piangere perché sa quello che deve succedere. In ultima istanza, è orgogliosa; ma il suo non è l'orgoglio della vanità, bensì quello di chi sa e comprende tutto. La Vergine non si è mai lamentata quando il corpo del figlio defunto riposava sulle sue ginocchia. La «Pietà» non è mai esistita. È stato il nucleo edipico di Michelangelo a imporci questa visione della madre desolata. Si tratta di una rappresentazione completamente falsa che intacca il mito. Non è la madre a sostenere Cristo dopo che questi è stato deposto dalla croce, bensì il padre o un archetipo paterno come Giuseppe. È lui che, senza alcun aiuto, toglie dalla croce il corpo e lo po rt a fino all a tomba. Con infinita attenzione lo avvolge nel più bel sudario del mondo, tessuto da ll a Vergine Maria. Le donne (e quindi Maria), rispettosamente, guardano agire Giuseppe senza intervenire, perché spetta a lui, il padre, farlo. Giuseppe era un Maestro, natur mente. Solo un Maestro poteva trasportare il corpo di Cristo per depositarlo delicatamente nel sepolcro. In quel momento seppellisce suo padre, suo figlio, il suo Maestro e il suo amico. Per finire, pone la grande pietra a chiusura del sepolcro e in quel modo si assicura che nessuno lo profani. Così, ha compiuto il suo dovere. Sul piano fisico e anche su quello psicologico c'è una grossa differenza tra il fatto che sia stata la madre a seppellire Cristo — come suggerisce la Pietà di Michelangelo —, o invece il padre, o un archetipo equivalente. Bisogna capire il cambiamento che provoca in noi l'inserimento del padre nel mito, che in tal modo recupera immediatamente la sua integrità. Un mito in cui il padre scompare quando il bambino arriva alla pubertà, e dove questi resta solo con la mamma, è un mito ammalato. Alla fi ne è necessario che si ripresenti Giuseppe (qualcuno che simboleggi l'uomo o il padre), il protettore. Senza Giuseppe, il mito non sarebbe esistito. Grazie a lui, la Vergine non fu lapidata e la famiglia fuggì in Egitto nel momento in cui tutti i neonati venivano uccisi. È lui che lavora per nutrire la propria famiglia. Senza Giuseppe non c'è mito. Ci voleva un uomo di fede, un uomo giusto, ed è lui che seppellisce Cristo. 432 433 Come possiamo adattare queste nozioni al nostro processo interiore? Il Dio che risvegliamo in noi, quest'uomo nuovo, è formato da vari principi. Il primo è il nostro corpo; il secondo, lo spirito. Anzitutto, purificheremo il nostro corpo e i suoi desideri al fine di aspirare e assorbire il principio essenziale e divino che ognuno ha nella pa rt e più profonda di se stesso. Assorbiremo lo spirito nel nostro corpo. Avremo allora un corpo luminoso. Lo spirito non sarà in nessun'altra pa rt e che non sia il nostro corpo. E il nostro spirito (cioè la nostra volontà e la nostra coscienza), pieno di rispetto e di considerazione, seguirà questo processo di assorbimento e lo aiuterà affinché si sviluppi bene, affinché non degeneri, affinché il nostro corpo non si smarrisca nella follia, nella depressione, nella fatica o nella mo rt e. È il ruolo di Giuseppe: la ragione. Mentre sorveglia questo processo, egli dona se stesso, sapendo che l'apparizione dello spirito nella materia significa che, in qualche modo, egli deve cominciare a studiare, lavorare, cambiare. Nel momento in cui la nostra coscienza lancia il grido finale, la nostra vecchia personalità muore e la ragione, che ci guida e ci protegge, deve prendere il nuovo essere che siamo diventati e metterlo in una grotta per salvaguardarlo. La ragione deve difenderlo perché l'uomo nuovo non può agire subito. È molto potente e, allo stesso tempo, molto fr agile. Se un essere del genere si addentrasse immediatamente nel mondo, provocherebbe catastrofi e si disintegrerebbe. Come Cristo, deve chiudersi in una «grotta» e aspettare di acquisire un nuovo corpo: un corpo purificato grazie alla presa di coscienza che ha realizzato. Altrimenti, il nuovo essere potrebbe naufragare nella pazzia. In quel momento la sua ragione (cioè, il suo Giuseppe interiore) lo curerà e lo proteggerà per l'ultima volta, come aveva già fatto alla sua nascita e durante la sua infanzia. Ben custodito e protetto, il nuovo essere potrà creare un'anima che agirà nel mondo sostenuta da ll e sue due pa rt i: il corpo e lo spirito. LE DODICI DEFORMAZIONI La tradizione cerca generalmente di fissare l'immagine del Cristo crocifisso, pensando che il messaggio sia stato trasmesso integralmente con la crocifissione: risulta però sorprendente vedere come ogni evangelista dia una versione distinta della risurrezione. Quando si parla di Cristo, come abbiamo fatto qui, non si tratta del Dio esteriore ampiamente studiato e riconosciuto dalle religioni ufficiali. In questo tipo di approccio al Vangelo, il concetto di Dio interiore dev'essere sempre presente nel nostro spirito. Non si può cogliere il concetto di Dio Padre. È inconcepibile. Non possiamo definirlo né conoscerlo, neppure immaginarlo. È assolutamente al di là de lla nostra portata. Comunichiamo con Lui tramite l'intermediazione del nostro Dio interiore, l'unico mediatore possibile. Nessuno può sostituirlo, né un sacerdote né un guru, allo stesso modo in cui nessuno può pregare al posto nostro. Se non lo facciamo noi, nessun altro lo farà per noi. Non mi offriranno la fede su un vassoio d'argento. Spetta a noi trovarla. Come potrebbe essermi utile la fede dell'altro, il suo amore per l'umanità o la sua opera? Solo come so(gtegno e modello nella ricerca del mio Dio interiore. Come trovarlo? Per mezzo della quinta essenza. I quattro semi dei Tarocchi - Denari, Bastoni, Spade e Coppe - ci simboleggiano: parlano del corpo, del sesso, dell'intelletto e dell'energia emotiva. Questi nostri quattro aspetti ci condurranno al nostro Dio interiore. Il sesso è il secondo punto impo rt ante: senza sesso non c'è misticismo! Come può pregare chi rifiuta la propria parte inferiore? La bellezza, la purezza e l'eternità esistono nel sesso. Il Vangelo non è una storia di cherubini: Cristo, Maria e Giuseppe avevano un sesso! Gli altri due punti importanti sono l'intelletto e la parte emotiva. Essere equilibrati significa essere un corpo (e non «avere» un corpo), un'energia sessuale, un'energia emotiva e un'energia intellettuale. Lo squilibrio nasce con l'apparizione delle deformazioni, che sono dodici e si caratterizzano per il traboccare o per l'invasione di un'energia nel dominio delle altre. Quando i Denari sono al loro posto, cioè quando il corpo viene vissuto pienamente per quel che e, si ha la perfezione. Il problema sorge nel momento in cui le altre tre energie invadono il corpo, o quando esso stesso si sostituisce alle altre energie. Vediamo i casi particolari. Le Spade invadono i Denari: il corpo è diretto dall'intelletto: concezioni e idee lo debilitano. Ne scaturisce quello che chiamiamo un «intellettuale», un uomo che non permette al suo corpo di vivere e di esprimersi. Lo inibisce. Si muove male, balla male: è contratto. È con il corpo che intraprendiamo la via della nostra vita spirituale: è lui che produce il pensiero. L:atto di riconoscere il corpo comincia dai piedi. Una persona che non è cosciente dei suoi piedi non può meditare, né lottare, né praticare arti marziali, né ballare, né esprimersi, né comunicare. Il suo cervello delira: è squilibrato, non può pretendere di avere una vita spirituale. Lo squilibrio è a tutti i livelli: nell'intelletto, dove il pensiero non è ben strutturato, così come nella parte emotiva, nella sessualità e nel corpo. Una persona simile non è insediata nella realtà, non prende possesso del mondo. 434 435 I Bastoni nei Denari: il corpo diventa un puro oggetto sessuale. Si vive nella seduzione. L'aspetto esterno è prevalente, a scapito dell'interiorità. La persona in questo caso è cinica e distruttiva, poiché si concepisce soltanto come oggetto. Naturalmente, il tempo che scorre in modo inesorabile viene vissuto con angoscia e, quanto più quella persona perde la corsa contro il tempo, tanto più il suo corpo diventa un nemico. Le Coppe nei Denari: il corpo viene invaso dall'emotività: è mite, massiccio, molle, pigro. Chiede costantemente calore e si aggrappa agli altri per riscaldarsi, oltre che per essere ospitato e nutrito. Un'energia sessuale equilibrata è meravigliosa. Invasa, provoca tre deformazioni possibili: Le Spade nei Bastoni (l'intelletto nel sesso): provoca frigidità, impotenza, eiaculazione precoce ecc. Il sesso possiede la propria saggezza, e invaderlo con teorie o dottrine risulta inutile, anzi nocivo. Esso è naturalmente perfetto, mistico, divino. Smettiamo di colpevolizzarlo, di mascherarlo, di sfuggirgli! Lasciamolo vivere com' è . Mi rifiuto di pensare che nel nostro corpo abbiamo qualcosa di sporco o di diabolico. Questa meravigliosa energia è all'origine della nostra creatività, oltre a trasmettere l'eternità. 436 Le Coppe nei Bastoni: non c'è orgasmo. La relazione sessuale si diluisce in un'insaziabile domanda di tenerezza e di carezze. «Mollezza» è la parola chiave di questa deformazione. L'orgasmo non può realizzarsi perché l'animale interiore non ha la possibilità di manifestarsi in tutto il suo potere. L'energia sessuale non è brutale, e tuttavia è potente. A un certo punto bisogna viverla com'è, senza aver paura di annegarci dentro, dato che, una volta soddisfatto il desiderio, si ritorna sempre alla personalità di base. Le persone che hanno delle paure infantili pensano che morirebbero se si lasciassero sommergere da tale energia. I Denari nei Bastoni: conduce alla prostituzione. Il sesso viene valorizzato per motivi diversi da quello essenziale, che consiste nel trovare la verità divina. Quest'invasione della pa rte materiale è una vera disgrazia. Le Coppe parlano dell'energia emotiva. Le Spade nelle Coppe: quando le Coppe vengono invase dalle Spade, l'energia emotiva, che permette di entrare in comunicazione con l'altro, diventa calcolatrice. Tutto è soppesato, registrato, ogni gesto aspetta una risposta, un rimborso. «Ti ho chiamato ieri al telefono: oggi spetta a te!» «Se fai un passo verso di me, io ne farò uno verso di te» 437 Ì9^ ecc. Il calcolo nelle relazioni amorose è qualcosa di estremamente penoso. I Bastoni nelle Coppe: producono un cuore possessivo e geloso. Cadere nelle mani di una persona di questo genere è un incubo, così come possedere noi stessi questa deformazione. La gelosia è una piaga che rivela un feroce complesso di inferiorità e di abbandono. È «la paura che qualcuno dia alla persona che amo quello che io non posso darle». I Denari nelle Coppe: l'energia emotiva si raffredda. Il cuore è chiuso ed egoista. Avere un cuore chiuso non significa che non si possa amare, ma che si è pieni di un amore inesprimibile. È un cuore anestetizzato. Questa ostruzione emotiva nasce quando un bambino non è stato veramente amato e non ha potuto esprimere il proprio amore. Crescendo, questa persona si forma un guscio per proteggersi. Tuttavia, che lo vogliamo o no, siamo esseri che amano. Le Coppe sono piene d'amore. sedere il mondo. La comunicazione è costellata di aggressioni miranti a ferire l'interlocutore. In questo tipo di deformazione si desidera anche occupare il posto dell'altro, nella convinzione che il suo pensiero sia migliore del nostro. Le Coppe nelle Spade (l'emozione nel pensiero): per chi ne soffre è difficile controllarsi, dato che ci si ritrova a nuotare in un magsma emotivo. Non si arriva mai veramente a concentrarsi, a trovare il proprio centro, a pensare. Nel momento in cui si cerca di risolvere un problema, ci si immerge nella confusione e nel caos. Tutto diventa complicato perché una persona così non pensa: deperisce. Gli individui afflitti da questa deformazione tendono a fare uso di alcolici e a drogarsi. I Denari nelle Spade: producono degli esseri eccessivamente materialisti che pensano solo al denaro. Non ci sono qui immaginazione o propositi spirituali. La persona rimane ancorata alle cose materiali: non ha alcuna possibilità di sviluppare un'anima. Quando l'energia intellettuale, la quale è senza dubbio molto bella, è deformata dalle altre, si hanno tre tipi possibili di comportamento: I Bastoni nelle Spade (la sessualità nell'intelletto): lo spirito di competizione, l'aggressività, la violenza e il dominio sono le caratteristiche di una persona i cui pensieri sono letteralmente invasi dalla sessualità. Pensare diventa una maniera per pos- Finché non troviamo il nostro Dio interiore, soffriamo di una almeno di queste deformazioni. Credere in un Dio esteriore è come voler partecipare a una favola (sono le Coppe nell'intelletto). Una simile ricerca non ci permette di trovare il nostro centro. Avere fede 438 439 si è tramandato tramite i nomi. L'incesto (consumato o no), come molte altre informazioni, si trasmette facilmente da un nome a un altro. Alla luce di questa conferma dell'importanza dei nomi possiamo considerare anche la presenza di Giuseppe nei Vangeli. Secondo la tradizione, Cristo nasce da Maria, e il primo uomo che lo prende in braccio è un Giuseppe. Più tardi, l'ultimo uomo che lo accoglie tra le braccia, dopo averlo deposto da ll a croce, è ancora un Giuseppe. Giuseppe, dunque, è presente sia all'inizio sia a ll a fine de ll a vita di Gesù. Vediamo cosa si dice a proposito di questo Giuseppe che avvolge Cristo nel lenzuolo funebre. Come abbiamo visto, si tratta di un personaggio misterioso; possediamo pochissime indicazioni sulla sua identità. in un Dio interiore è l'unica maniera di trovare il proprio centro. Ciò esige, tuttavia, un impegno eroico da parte nostra, poiché non possiamo fornire prove tangibili de ll a sua esistenza. Evidentemente, è difficile accettare che esista in noi un principio immortale. Ma è molto arduo vivere se non riconosciamo questo principio, se non riconosciamo il Dio interiore, il quale, d'altra pa rt e, possiede tutte le qualità che attribuiamo a quello esteriore (l'onnipotenza, l'onniscienza ecc.). Le dodici deformazioni rappresentano, allora, la nostra carenza quotidiana. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. [Matteo 27,59-60] Studiando l'albero psicogenealogico apprendiamo che, per l'inconscio, i nomi sono carichi di contenuti emotivi molto forti; quando sono ben decodificati, ci trasmettono dei messaggi. Per esempio, il fatto che un Augusto sposi un'Augusta, o un Adriano un'Adriana, o ancora un Luigi una Luisa, non è privo di significato. Vediamo anche con una certa frequenza degli uomini sposare donne che hanno lo stesso nome della propria madre o della propria sorella. E lo stesso accade a quelle donne il cui marito si chiama come il loro padre o il loro fratello. In genere, ciò indica che un complesso edipico Questo misterioso Giuseppe svolge il compito da solo e deposita il corpo in un sepolcro che si era fatto scavare nella roccia. Possiamo benissimo immaginare che questo Giuseppe sapesse cosa doveva succedere e che la tomba che aveva fatto scavare per sé fosse in realtà un sepolcro preparato per un uomo chiamato Gesù, il cui padre si chiamava Giuseppe. Quest'uomo, dunque, per il gioco dei nomi, svolge il ruolo dell'archetipo paterno. Simboleggia il padre che scava la tomba del proprio figlio. Dentro di noi c'è un Giuseppe: è la volontà cosciente. Nella pietra, cioè nel nostro corpo, nella nostra stessa materia, nel nostro essere materiale, questa volontà cosciente crea una tomba nella quale avvolgerà il cadavere del figlio affinché si realizzi la trasfoiniazione. Questo Giuseppe, in effetti, ha costruito un forno alchemico: ha creato tutte le condizioni necessarie per avvolgere il corpo in un ambiente appropriato. Appropriato: cioè puro. Nel momento in cui riceve il seme divino, la Vergine Maria è pura. Perché? Perché è completamente 440 441 I DUE PRINCIPI lì, nel presente. Si stacca dal passato così come dal futuro. Tutto il suo corpo è interamente impegnato in quell'azione. Non ha desideri né pensieri, né altri sentimenti, a parte quelli che favoriscono la sacra unione. Una grotta appropriata è una grotta impermeabile a qualsiasi dottrina, a qualsiasi idea ricevuta, a qualsiasi influenza, a qualsiasi Maestro, a qualsiasi dittatore, a qualsiasi persona amata. È esente da qualsiasi avidità materiale, sessuale, intellettuale ed emotiva. È un posto inviolabile nel quale possiamo realizzare la trasmutazione alchemica della nostra coscienza, la trasmutazione del nostro Dio interiore. Per prepararsi una caverna di pietra, bisogna essere un eroe sacro. È Giuseppe che ha questo ruolo. È il guardiano del figlio. Ha avuto questo ruolo per tutta la vita di Gesù. All'inizio è lui che lo porta in Egitto per proteggerlo, e alla fine è ancora lui che chiede a Pilato il corpo di Gesù. Senza Giuseppe, il corpo del Cristo si sarebbe decomposto sulla croce. Neanche un apostolo ha osato deporre dalla croce il corpo del suo Maestro. Sono fuggiti tutti come conigli. La verità è che, senza Giuseppe, Cristo sarebbe rimasto sulla croce come un ladro. I corvi gli avrebbero cavato gli occhi e gli animali rapaci si sarebbero saziati della sua carne. Paralizzati dalla paura, gli apostoli non avevano mosso nemmeno un dito. Ci voleva un uomo forte che osasse presentarsi a Pilato, reclamare il corpo di Gesù e seppellirlo. Giuseppe lo ha fatto. La prima cosa è dunque osare. Abbiamo o no il coraggio di preparare la nostra tomba di pietra? Abbiamo o no la capacità di abbandonare tutto quello che abbiamo ricevuto? Come un titano, oseremo far rotolare la pietra fino a coprire l'entrata della grotta? Oseremo isolarci da tutto per accedere alla nostra immortalità? Scavare una tomba nella pietra esige una forza enorme. È una tappa obbligatoria senza la quale non possiamo realizzare l'opera alchemica e spirituale. Il nostro Giuseppe interiore, la nostra volontà, deve trasformarci in una tomba di pietra. 442 Ritorniamo a Giuseppe e vediamo cosa dice Matteo (27,59-61) al riguardo: Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano il, davanti al sepolcro, Maria di Magdala e l'altra Maria. Insistiamo su questo fatto: Maria, madre di Giacomo, è la Vergine Maria, che dopo la nascita di Gesù ebbe quattro maschi e alcune bambine. Ed ecco cosa dice Marco (I6,1-4): Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Chi ha fatto rotolare quell'enorme pietra? Sono sicuro che è stato Cristo stesso, nel momento in cui è uscito. È l'essere interiore che rimuove la pietra per liberare il passaggio. L'Arcano si apre da dentro. All'inizio è Giuseppe che chiude la tomba. Abbiamo già supposto che avesse un'enorme forza, poiché la pietra era molto grossa. Doveva essere robusto e muscoloso per deporre il corpo di Cristo da ll a croce, per trasportarlo da solo e per avvolgerlo nel lenzuolo funebre. Bisognerà abituarsi a pensare che la donna dà la vita, mentre l'uomo aiuta la coscienza individuale a morire. Cristo ha un archetipo materno e uno paterno. Bisogna accettare i due principi, e non uno soltanto. 443 XIX storia le donne dimostrano più coraggio degli uomini. Sono le prime che riescono a vederlo. La presa di coscienza cosmica sarà vista in primo luogo dalle donne. È scritto nel Vangelo. Ed ecco che vi fu un gran terremoto... LA RISURREZIONE SECONDO MATTEO (Matteo 27,62-66; 28,1-10) Il giorno dopo, che era Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore de ll a prima!». Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete». Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia. I sommi sacerdoti e i farisei, per paura di un inganno da parte dei discepoli, mettono una guardia davanti a lla tomba. Solo Matteo racconta questo aneddoto. Poi passano tre giorni e avviene la risurrezione. Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. [Matteo 28,1] Il corpo doveva trovarsi nella grotta e le donne vanno a vedere il sepolcro. Ci rendiamo conto di cosa significa il fatto che siano delle donne e non degli uomini che vanno a vedere la tomba? Come mai i discepoli non si presentano a rendere omaggio al sepolcro del loro Maestro? Hanno paura! In questa 444 Si trovano dunque davanti alla pietra, e cosa succede quando sono sul posto? Improvvisamente, la terra trema. Nel momento in cui vediamo la tomba dell'essere che abbiamo adorato e venerato, ci avviciniamo sapendo che si compie un miracolo. L'inconscio trema. Il terremoto è il tremore dell'essere, dell'inconscio. A quel punto la realtà comincia a sparire e cadiamo nel dominio onirico. La terra trema ed entriamo nelle immagini del sogno. La forza che emana da questa tomba oltrepassa la comprensione umana. Lì dentro, Cristo ha attraversato un processo incommensurabile che sarebbe interessante studiare. Cos'è successo nel suo spirito? Quello che è accaduto si manifesta in un movimento di una tale potenza che non possiamo coglierlo se non attraverso il terremoto che ne risulta. Vuol dire che devono tremare le fondamenta: la nostra sicurezza religiosa, la nostra sicurezza emotiva, tutti i nostri irremovibili valori stabiliti nel passato devono essere destabilizzati. Immaginavamo che tutto fosse fissato e scopriamo invece che niente lo è. È adesso che deve cominciare la realizzazione: Dio è restituito all'essere nuovo. Finora avevamo solo assistito e preso parte a un processo; ora vedremo la sua conclusione. Nel Vangelo non c'è momento più impo rtante di questo, in cui la terra trema, dato che qui arriva la verità. Senza questa scena non ci sarebbe Vangelo né religione, non ci sarebbe nemmeno un processo interiore. Non ci sarebbe niente. Sono donne coraggiose quelle che soffi ono volontariamente quello stato di tremore e spavento. Che terrore indicibile devono aver sperimentato! ... un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento 445 che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi!». Chi è l'angelo del Signore? È l'unica entità spirituale capace di guardare in faccia la divinità senza bruciarsi. Abbiamo già sentito parlare di mistici che sono morti dopo essere entrati in trance. Conosciamo anche quel sogno di Jung nel quale vide il suo Dio interiore che dormiva; non osò svegliarlo, sicuro che, se lo avesse fatto, sarebbe morto immediatamente. Ebbe paura di svegliarlo perché non aveva realizzato il suo processo fino in fondo. C'è un momento in cui dobbiamo affrontare il nostro Dio interiore. La terra trema. Le rocce si spezzano, la polvere turbina, i cani abbaiano... tutto si muove, e ci appare la luce, cioè l'entità che è in contatto con il Dio interiore. Restiamo lì, morti di paura. Quando scopriamo la nostra forza interiore, l'entità che comunica con la forza incommensurabile, possiamo essere distrutti. Le donne che hanno risvegliato questa forza simboleggiano la coscienza ricettiva che, con grande coraggio, affi onta il risveglio di questo potere. Ma l'angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi!». Utilizzando una voce udibile, questo angelo, che è una dimensione di noi stessi, ci dice: «Non avere paura, non ti distruggerò». Allora ci calmiamo e continuiamo ad assistere al processo senza paura. So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto... Le parole che l'angelo pronuncia in questo momento sono decisive: marcano una differenza tra «Gesù il crocifisso» e «Gesù il risuscitato», l'essere vivente. Questo significa che noi, che ancora non possediamo la fede, cerchiamo il crocifisso invece di cercare un essere vivente. Finché ci aggrappiamo al mito della crocifissione e cerchiamo un Dio sofferente, non lo troveremo. Quello che desideria446 mo è trovare un crocifisso, una vittima, un martirizzato, un morto. È quello il nostro Dio? Chi ci ha spinto a divinizzare la sofferenza, quando si tratta solo di una tappa del processo, e non del suo scopo? Smettiamola! In questo passo del Vangelo non c'è alcun crocifisso, non c'è sofferenza: c'è un essere vivente, al culmine della gioia. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto. L'angelo lo dice. Questa rivelazione costituisce una presa di coscienza fulminante. Tuttavia, prendere coscienza non serve a niente, in pratica, se non segue immediatamente un'azione. È per questo motivo che l'angelo dice: «Verificate voi stesse che la tomba è vuota e poi andate subito dai discepoli! Agite! Lavorate!». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Come l'arcangelo Gabriele aveva detto alla Vergine: «Ti saluto, o piena di grazia», e l'aveva fecondata, il Cristo, quando vede le donne, dice loro: «Salute a voi», e le feconda spiritualmente. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Troviamo qui la conferma di quanto abbiamo detto in precedenza circa il riconoscimento che comincia dai piedi. Abbracciare i piedi di qualcuno significa seguire le sue orme, la sua via, la sua strada. Significa anche riconoscere la nostra via. Se riconosciamo i piedi di qualcuno, riconosciamo i nostri stessi piedi. A mano a mano che riconosciamo il prossimo, ci riconosceremo. A mano a mano che ci diamo agli altri, ci diamo a noi stessi. Allora Gesù disse loro: «Non temete...». 447 Esattamente come l'angelo, Cristo dice: «Non temete». Ciò implica che si trovava in uno stato di luminosità tale che avrebbe potuto spaventarle. L'incarnazione dello spirito è un processo di inconcepibile purezza che realizza il fenomeno dell'eternità nella carne umana. Incarnandosi, Dio ha dovuto soffi ire tutti i processi di trasformazione della carne. Da neonato, diventa un uomo maturo. Allo stesso tempo, comincia a comprendere e a conoscere la sua creazione dal di dentro. In principio Egli ha creato la vita col suo soffio divino e ha dettato tutte le leggi; poi ha lasciato che la sua creazione, possedendo il libero arbitrio, evolvesse da sola. Incarnandosi, si dà al processo corporale, e Cristo lo vive totalmente. Conosce le sue ossa, il suo midollo, la sua milza, le sue ghiandole, ogni circonvoluzione del suo cervello. Assiste alla nascita e a ll a mo rt e di ognuna de ll e sue cellule. Conosce l'atto di cibarsi e quello di digerire, segue ogni tappa della trasformazione dalla materia con un'attenzione straordinaria. Fa l'esperienza del dolore. A questo dolore non si accompagna la sofferenza: è quello di un essere umano in pieno possesso de ll a propria coscienza. L'osservazione del dolore è perfino gioiosa, poiché Egli ha il piacere di sperimentare quella sensazione. In seguito assiste a ll a propria mo rt e. Eg li , la luce e la vita, Egli, che è come un diamante indistruttibile, rende volontariamente lo spirito perché, a pa rt e Se stesso, nessuno può ucciderlo. Cristo si presta al gioco, a questa mascherata che chiamiamo «mo rt e» e che non è altro che una trasformazione. Durante questa tappa si separa dal suo corpo umano. Realizza una dualità: lascia a Giuseppe il compito di trasportare quella materia ine rt e, e tuttavia Egli è lì in tutta la sua potenza. Lo conducono a una tomba affinché il suo corpo si decomponga e lì, al freddo e al buio, Cristo assiste alla decomposizione del proprio corpo senza scomporsi, poiché può attraversare l'eternità e l'infinito. Una volta che si è separato completamente dalla sua ca rn e, quando non c'è più alcun legame tra la sua coscienza e la sua materia, si introduce di nuovo nel suo involucro 448 umano e lo avvolge interamente col suo potere e con la sua coscienza. Rifiuta irrevocabilmente la dualità, decidendo che la ca rn e e lo spirito siano un'unità. Con amore immenso entra a poco a poco in ciascuna delle sue cellule e concede l'infinito, la plasticità e il cambiamento eterno a ognuna delle sue pa rt i. È detto che mai più Egli avrà una forma precisa: né nel pensiero, né nel cuore, né nel sesso, né nel corpo. Si dona tutte le possibilità della materia. Si concede l'opportunità di dissolversi in atomi per attraversare i muri e poi ricomporsi subito. Si dà la possibilità di cambiare forma e colore come i cefalopodi e il camaleonte. Può disintegrarsi e rifarsi a proprio piacimento. Quando la sua coscienza ha assorbito completamente la sua materia, la dualità non esiste più. È un essere nuovo, un essere di luce, fatto, tuttavia, di carne e di ossa. andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno. [Matteo 28,10] Mentre le donne vanno ad avvertire i discepoli, le guardie riferiscono quello che hanno visto ai sommi sacerdoti, i quali li pagano affinché dichiarino che i discepoli hanno rubato il corpo mentre le guardie dormivano. Poi avviene l'incontro tra Cristo e i discepoli: «La missione degli Apostoli» (Matteo 28,16-20). Gli undici discepoli, intanto... Manca Giuda: il bello, il meraviglioso, l'incredibile Giuda che ha sacrificato la sua felicità affinché il processo si realizzasse. Insieme a Giuseppe, è il grande complice di Cristo. Senza di lui non ci sarebbe stata crocifissione e, pertanto, neanche la coronazione dell'opera. Giuda, il santo dei santi, che è in paradiso. Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Si tratta di una montagna della Galilea impossibile da identificare, ma che forse Matteo avvicina a que ll e de ll a Tentazione e della Trasfigurazione. 449 Come abbiamo visto, dire «montagna» significa dire «centro di un cerchio». Simbolicamente, quando si parla di una montagna, si allude a un pozzo interiore. Avanziamo dall'esterno verso la cima della nostra montagna interiore. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. Dubitano ancora? E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fi ne del mondo». Egli è con noi tutti i giorni fino alla nostra morte, fino a ll a fine del nostro tempo. Facciamo i discepoli, poniamoci nel centro. Accettiamolo come Dio interiore ed Egli sarà con noi fino alla fine dei nostri giorni. Non saremo mai soli. La solitudine consiste nel non saper stare con se stessi, col proprio Dio interiore. Dal momento in cui lo troviamo non siamo più soli , deboli, ma sempre forti. Egli ci aiuta a vincere qualsiasi difficoltà. Diventiamo invulnerabili. La nostra fede è indistruttibile. La nostra parola e la nostra opera pure. Questa forza ci accompagnerà fino alla fine dei tempi, fino alla fine del nostro tempo. LA RISURREZIONE SECONDO MARCO (Marco 16,9-20) Vediamo ora come Marco racconta la risurrezione di Gesù. Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni. all'altezza del sesso; quello di Manipura, all'altezza del ventre; quello di Anahata, all'altezza del plesso cardiaco; quello di Vishuddha, nella gola; poi quello del chakra Ajna, all'altezza della fronte, e infine quello di Sahasrara, alla sommità del cranio. Quelli che certe culture chiamano chakra, come abbiamo già visto, sono centri nervosi del corpo nei quali l'energia deve circolare liberamente. Essere posseduto da un demone equivale a non vivere il nostro Dio interiore, a non lasciar circolare liberamente l'energia. In fondo, il demonio è un tappo, un ostacolo per l'energia, che ci impedisce di vivere il nostro processo così come si presenta. I chakra sono dei fiori aperti al nulla. Il peccato consiste nel dimenticare l'energia essenziale. Gesù aveva tolto a Maria di Magdala tutti gli intoppi che inibivano il suo processo. Ciò equivaleva a dirle: «Vivi! Vivi le tue energie così come sono!». Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Oggi molte persone seguitano ancora, malgrado tutto, a piangere la mo rt e di Cristo. Continuano a far soffrire il prossimo sostenendo che la vita di Cristo è un sacrificio e non un processo trionfale. Ci stiamo ancora martirizzando «per seguire l'esempio di Cristo». Ci fermiamo alla crocifissione e non avanziamo verso la gloria, verso la coronazione dell'opera, verso la perfezione. È come se definissimo il parto solo in base al dolore, tentando di occultare completamente la nascita di un bambino, l'arrivo di un nuovo essere. Quest'ultimo non viene neppure considerato: non esiste. Esiste solo il dolore provocato dalla sua nascita. È mostruoso, ma a volte è così. Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. Gesù aveva cacciato sette demoni: il demone del chakra Muladhara che è situato nel perineo; quello di Svadishtan, Quanto costa loro smettere di fare i pagliacci! Hanno visto risuscitare Lazzaro, hanno assistito a tutti i miracoli di Cristo e non credono che egli possa risorgere. 450 451 Dopo ciò , apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Ora Cristo non è più fissato in una determinata forma. Può cambiare aspetto in funzione della persona con la quale stabilisce una comunicazione. Ciò significa che la morfologia di base non esiste e che il vero volto di Cristo è uno specchio. Con un amore e una generosità infiniti, egli si adatta a ogni persona che lo avvicina. Non ha un io. Neanche noi abbiamo una forma fissa. Possiamo cambiare, scoprire i nostri altri aspetti possibili, se ci rendiamo conto che il nostro io è un'illusione. Quando diventiamo un essere nuovo, non siamo riconosciuti nel nostro ambiente. Con amore infinito, dobbiamo occultare la nostra trasfoi inazione finché l'altro non si adatterà alla nostra nuova forma di essere. Non dobbiamo spaventarlo. Nel Vangelo di Giovanni (20,15), Maria Maddalena lo confonde con il custode del giardino. Questo mi ricorda una storia zen: Una persona desidera incontrare un famoso Maestro zen. Arriva al suo domicilio e crede di vederlo in giardino, circondato da alcuni discepoli che lo ascoltano religiosamente. Vedendo un vecchio giardiniere che spazza delle foglie secche, il visitatore gli chiede di presentarlo al suo Maestro. L'anziano risponde: «Cosa desidera? Sono io il Maestro. Quello è il mio miglior discepolo». Il Maestro più potente è quello che si confonde con un essere umano qualunque. Quando lo avviciniamo, non vediamo niente. È del tutto simile a noi: è un Maestro invisibile. Il giorno in cui troveremo il nostro Cristo interiore, assomiglierà molto a noi. Ci condurrà piano piano alla nostra evoluzione senza illuderci, in maniera disinteressata. Esistono molti Maestri invisibili sul pianeta: sono tali in quanto hanno raggiunto un grado superiore di coscienza e non si fanno notare. Tuttavia, quando ci troviamo in compagnia di esseri simili, ci sentiamo molto bene senza sapere perché. Non ce ne rendiamo conto, ma quegli esseri ci fanno del bene. Sono capaci di farlo senza dircelo. Pregano per noi, ci aiutano, 452 ci guariscono con le loro buone vibrazioni. Quando entriamo nel loro circolo, ci avvolgono nella loro energia, ci sostengono, pensano a noi, ci soccorrono costantemente, e nonostante tutto noi li ignoriamo. Un Maestro invisibile ci guida allo sviluppo e alla realizzazione senza illuderci e senza esigere alcuna retribuzione. La sua passione: levigare gratuitamente il diamante interiore dell'altro. apparve a due di loro sotto un altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere. Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura». Quale Vangelo? Predicare il Vangelo vuol dire predicare tutte le Scritture, perché in Luca (24,44) Cristo dice agli undici: Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Vediamo il Salmo 2, per esempio: Perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli? Perché tutte queste guerre ai nostri giorni? Insorgono i re dalla terra, e i principi congiurano insieme... È esattamente ciò che stiamo vivendo in questo momento. contro il Signore e contro il suo Messia... Viviamo senza dubbio una congiura contro il Dio interiore, contro la presa di coscienza. Spezziamo le loro catene... Vale a dire: «Isoliamoci in una tomba di pietra». 453 «... gettiamo via i loro legami.» Se ne ride chi abita i cieli... Il nostro Dio interiore ride. La risata è divina. li schernisce dall'alto il Signore. Egli parla loro con ira, li spaventa nel suo sdegno: «Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte». Spetta a Sion, dunque, dare al mondo questo concetto di un Dio vivente, il concetto di Figlio, affinché noi possiamo giungere al Dio interiore. Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio...». Oggi più che mai dobbiamo tutti collaborare a quest'opera, perché la terra ci appartiene. È la nostra eredità. Dobbiamo dar vita a una nuova interpretazione dei Vangeli, un'interpretazione che rispecchi il loro vero messaggio e il nostro grado di comprensione. Le cattive interpretazioni conducono alla guerra e alla mo rt e. Credere in un Cristo crocifisso ci porta alla devastazione. Crediamo in un Cristo trionfante, pieno di luce, di salute e di comprensione! Crediamo nella presa di coscienza! Cominciamo a credere nell'umanità! Altrimenti, ecco quello che ci predice il Salmo: E ora, sovrani, siate saggi, istruitevi, giudici della terra; servite Dio con timore... In altre parole: «Servite il vostro Dio interiore». Qui, nel Salmo di Davide, cominciamo a vedere Cristo. e con tremore esultate; che non si sdegni e voi perdiate la via. io oggi ti ho generato. Il nostro Dio interiore ci dice: «Tu sei mio figlio». Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. Vale a dire: «Ti do il tuo corpo intero in eredità e ti do anche la terra». È la verità: si muore di malattia, tumore, infarto ecc. Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in Lui si rifugia. «Con il tuo scettro farai a pezzi questa civiltà e la getterai nella pattumiera della storia.» Un giorno, questo periodo della storia sarà classificato e mostrato nei musei come un mostro, un mostro utile che ha permesso all'umanità di arrivare dove si trova, ma un mostro che, in ogni modo, non si vorrebbe veder rinascere. Tutti i paesi scompariranno, rimarrà solo la metasocietà che stiamo creando. Qui e ora, nella razza umana, sta nascendo una metasocietà. Alcuni lavorano per la pace, altri per un miglioramento nell'alimentazione, altri per la presa di coscienza, altri per l'evoluzione de ll a medicina e per una migliore percezione della salute fisica, altri per una migliore conoscenza della salute mentale ecc. Gli artefici della metasocietà sono all'opera. Quando conobbi in Messico Ejo Takata, un Maestro zen, il suo viso mi stupì. Era evidentemente un giapponese, ma al tempo stesso non lo era. È difficile esprimere la sensazione che mi ispirò, ma in un certo senso assomigliava a un neonato. Quando mi ricevette, si sarebbe detto che accoglieva un vecchio conosciuto mille anni prima. Fu una festa. Non ci conoscevamo, eppure mi ricevette come un fratello. Mi prese per mano e mi condusse davanti a una scritta; me la tradusse (voleva dire «felicità») e mi accompagnò di nuovo alla porta. Tornai a trovarlo molte volte e, ciò nonostante, per lui era stato detto tutto nel corso del nostro primo incontro. Quello che stavo cercando da tanto tempo si riassumeva in una sola parola: «felicità!». «Beato chi in Lui si rifugia.» Beati! Il nostro Cristo interiore è il rifugio. È la fi ne del dolore. Smettiamo di soffrire! Smettiamo di essere delle vittime! In genere, nei nostri paesi civilizzati sembra che si rispetti 454 455 Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai. molto la sofferenza umana. Ma è rispettata nel senso che, quando una persona soffre, la compatiamo e piangiamo con lei, poi però la lasciamo nei suoi problemi. Raramente le diciamo: «Ascolta, puoi uscire da questo stato. La tua sofferenza riflette una mancanza di coscienza. Utilizza quell'energia! Comincia a meditare! Concentrati! Non crogiolarti nei tuoi problemi. Usali come una fonte d'energia! Pensa di avere un falò dentro di te sul quale bruciare la tua sofferenza. Crea un'immagine, un sentimento, un desiderio! Mettiti a creare con questa energia! Non bruciarla inutilmente! A cosa serve il tuo dolore? Fallo diventare utile!». Compatire le persone che soffi ono senza aiutarle è puro narcisismo. È più interessante metterle a lavorare, insegnargli a servirsi della loro energia. Prima di concludere il suo Vangelo con l'ascensione di Gesù alla destra del Padre, Marco fa dire a Gesù: E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni... Non nel nostro nome, ma in quello del nostro Dio interiore, espelleremo le idee dementi e la sofferenza delle persone che ci circondano. E lo faremo perché abbiamo creduto. parleranno lingue nuove... Parleranno in nome del Dio interiore. Ogni lingua metafisica, simbolica, ogni verità sarà vista da una nuova angolatura. Le parole forse saranno le stesse, ma il loro contenuto sarà diverso. Quando ci rivolgeremo a noi stessi, la nostra lingua sarà nuova perché non ci vedremo dal nostro vecchio punto di vista. Per tutta la vita ci siamo visti con lo sguardo di un bambino inibito e mai con quello del nostro Dio interiore. Restiamo vittime delle nostre sofferenze infantili invece di trascenderle e di farne la nostra forza. Non avrei mai letto i Vangeli come faccio ora se mio padre non mi avesse trasmesso il suo feroce ateismo. A ciascuno il suo castigo. Colui che è stato amato nella sua infanzia ha una possibilità, e colui che non è stato amato pure. Tutto quello che ci succede è per il nostro bene. prenderanno in mano i serpenti... 456 Il serpente è la libido, la kundalini.* Gli apostoli lasceranno che l'energia sessuale rinvigorisca i loro corpi e che si accumuli nelle palme delle mani per dar loro il magnetismo che cura i malati. Non dobbiamo respingere il serpente, l'energia sessuale: dobbiamo usarla in quanto la consideriamo degna di essere utilizzata, per curare! E se non scegliamo la via dell'inibizione, usiamo il serpente per come dev'essere usato: imponiamogli di farci diventare medici del corpo e dell'anima. e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno... Le dottrine menzognere non avranno potere su di noi. Non ci faranno alcun male. Potranno incitarci alla crudeltà e all'egoismo con ogni mezzo, ma non ci avveleneranno mai l'anima. La nostra fede sarà l'antidoto che ci renderà invulnerabili. imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Ciò significa che con le nostre mani faremo un massaggio iniziatico ai depressi, trasmettendo attraverso il contatto fisico, senza parole, un elevato livello spirituale. L'unica vera imposizione delle mani consiste nell'abbracciare l'essere nella sua totalità. Il nostro Dio interiore, il nostro Universo intero dev'essere presente nelle nostre mani. Dobbiamo porci interamente al servizio di questo contatto: a mano a mano che imponiamo le mani, tutto il nostro essere riconosce totalmente l'essere che riceve la nostra imposizione e lo percepisce. Il riconoscimento dell'altro è intellettuale, emotivo, istintivo, materiale. A mano a mano che tocchiamo qualcuno Sia l'induismo sia il tantrismo danno il nome di kundalini (in sanscrito «l'attorcigliato») a un'energia spirituale chiamata anche shakti (energia cosmica primordiale). Normalmente viene rappresentata sotto forma di un serpente che giace attorcigliato a ll a base della colonna vertebrale dell'essere umano o nel perineo (punto in cui si localizza il chakra Muladhara). Quando un individuo riesce a svegliare questa energia, essa ascende gradualmente per la Sushumna («il canale cen tr ale sottile»), perforando successivamente i chakra e suscitando diversi processi yoga che causano una purificazione totale e un ringiovanimento di tutto il corpo. Quando kundalini entra nel chakra Sahasrara (situato alla sommità della testa), l'essere individuale si fonde nell'Essere Universale, raggiungendo lo stato di realizzazione. 457 in nome di Cristo, la comunione e il messaggio completo passano in ogni particella del suo essere. Durante un'imposizione delle mani, il nostro intero essere si dà nel contatto. LA RISURREZIONE SECONDO LUCA (Luca 24,13-35) Nel Vangelo di Luca, come negli altri, i discepoli non credono alla testimonianza delle donne e Cristo deve insistere enormemente affinché accettino di riconoscerlo. Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto.» Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». Dice loro: «Perché continuate a soffrire se il Cristo è entrato nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Gesù conosce la Bibbia a memoria. Deve aver parlato del Salmo 16 (7-11): Cristo cammina con loro e ascolta. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Per Cristo non è successo niente di doloroso; niente, in ogni caso, che giustifichi i loro volti tristi. Perciò domanda: «Che cosa?» Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo...». Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio cuore mi istruisce. Nei nostri sogni, la coscienza ci consiglia e ci istruisce. Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro... Il suo corpo non si corrompe. Lo considerano un profeta. Lo vedono, dunque, come qualcosa che proviene dall'esterno. Poiché ha pronunciato alcuni discorsi davanti a tutti, lo catalogano come profeta. ... né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fi ne alla tua destra. «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato Se siamo accompagnati dal nostro Dio interiore, è la gioia, l'estasi. Stiamo bene: blocchiamo la nevrosi e la sofferenza. Cristo spiega ai viandanti che è stato annunciato come simbolo di 458 459 gloria, di gioia, di trasformazione totale, di coscienza assoluta e di eternità. Ognuno di noi è una for mula unica ed eterna: questa formula è stata creata così bella e perfetta che non può essere distrutta. È inscritta qui e ora per l'eternità. Allora, viviamo la nostra eternità! Altrimenti soffriremo e diventeremo degli egoisti risentiti. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Che cecità spirituale! Non lo riconoscono ancora! Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Per pietà nei loro confronti, si mostra in una forma riconoscibile per tranquillizzarli; poi scompare per condurli più lontano. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Di quale pace si tratta? Si parla tanto di fare la pace nel mondo... Quando Cristo dice «Pace a voi!», afferma: «Che la pace sia nella vostra testa, nel vostro cuore, nel vostro sesso e nel vostro corpo. Che sia nel vostro essere essenziale. Che questo sia colmo di pace. Non abbiate alcuna paura. Datevi al vostro Dio interiore al fi ne di riposare nelle delizie dell'infinito e dell'eternità. Quali che siano i vostri genitori nell'albero genealogico, pensate che è stato l'Universo a crearvi. LUniverso è ben disposto verso di voi. Avete un Dio interiore che non ha nome. Possedete la vostra eternità. Quel che più desiderate si avvererà. State tranquilli: siete destinati alla realizzazione. La razza umana e tutte le altre razze sono destinate a trasformarsi nella coscienza cosmica. Quando si realizzerà la pace sulla terra, si realizzerà la pace nell'Universo. Come operai infaticabili, dobbiamo lavorare alla creazione nell'Universo della coscienza cosmica». Attraverso questa crisi meravigliosa, stiamo nascendo alla vera metasocietà di cui l'essere umano ha bisogno. Usciamo dalla nostra tomba di pietra. Senza esigere niente dagli altri, creiamo la nostra pace interiore e invitiamo gli altri a creare la loro. E di pace interiore in pace interiore, riusciremo a dare la pace anche al mondo intero. Non deleghiamo il nostro potere! Realizziamo la nostra pace interiore! È quello che consiglia Cristo dicendo: «Pace a voi!». Non dice: «Andate a costruire una chiesa!», bensì: «Andate a incontrare altre persone in pace»; tantomeno chiede di lasciare il sesso fuori dalla chiesa, né afferma che soltanto l'uomo può comunicare con Dio mentre la donna può farlo solo tramite l'uomo. Cristo non ha mai allontanato da sé le donne. Tutte quelle a cui si è avvicinato erano sessualmente realizzate, anche la Vergine: ricordiamo che il Vangelo ci dice molto chiaramente che ha avuto quattro figli e varie figlie dopo la nascita di Cristo. Egli non è mai stato circondato da uomini impotenti e donne frigide, lo accompagnavano invece esseri umani veri e completi. Se non riconosciamo questo, ci incamminiamo verso la guerra e la devastazione. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma, non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualcosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Cristo non aveva bisogno di essere vegetariano. Assaggiando quel boccone di pesce non perde la sua purezza, dato che tutto ciò che si mette in bocca si purifica al suo contatto. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Perdoneremo tutti, in confoi uiità con le parole del Padre nostro: «E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». La prima cosa da fare quando studiamo il nostro albero genealogico è perdonare tutta la nostra famiglia. È il modo migliore per uscire dalla sofferenza. Perdonare è comprendere. «Di questo voi siete testimoni.» Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. ... LA RISURREZIONE SECONDO GIOVANNI (Giovanni 21,15-20) Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Questa volta va un po' oltre. Prima gli dice «Pascola i miei agnelli», cioè «Nutri i miei agnelli», e ora aggiunge: «Sei il pastore delle mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle». La scena ha luogo dopo che hanno mangiato. Mangiando il pane spezzato da Cristo (il pane è l'ostia), Simon Pietro lo ha amato col proprio corpo. In seguito, alla prima domanda, risponde con l'intelletto: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». La seconda volta risponde con il cuore, e la terza («Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo») risponde con la forza dell'istinto. Alla domanda di Cristo, ogni pa rt e del suo corpo si pronuncia in favore di questo amore. Cristo allora gli dice: In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi... Ciò significa: «Quando sei giovane, non hai esperienza. Ti vesti da solo e vai dove vuoi. Il tuo io ordina e tu ti pieghi alla sua volontà, ma non sei davvero centrato sulla verità». ... ma quando sarai vecchio... In questo passo di Giovanni vedremo che le parole pronunciate da Cristo possono essere accostate a quello che dicevamo all'inizio rispetto alle nostre quattro pa rt i. «Mi ami tu più di costoro?» «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo.» «Pasci i miei agnelli», ossia: «Fa' pascolare i miei agnelli». Dove vuole arrivare Cristo? Vediamo il seguito: Nella Bibbia risulta chiaramente che invecchiare non significa diventare senili. Al contrario, con la vecchiaia raggiungiamo la gloria del nostro processo. Il Dio interiore non conosce la decadenza. La senilità accompagna le idee chiuse. Quando il pensiero si chiude, si fissa in una forma e ogni forma è destinata a invecchiare. Quando ci fissiamo su una forma mentale, invecchiamo. Al contrario, quando rimaniamo vivi interiormente, la decadenza non ci tocca. Il progressivo deterioramento della carne non significa niente. 462 463 Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». ... ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Ciò significa: «Ti abbandoni alla volontà divina. Non sei più tu ad agire: l'azione si realizza attraverso di te e tu obbedisci». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. Gesù spiega che Pietro deve morire nella sua vecchia immagine di giovane per nascere in quella di un uomo che si consegna a ll a volontà divina. E detto questo aggiunse: «Seguimi». Ecco tutto il suo messaggio: «Seguimi». «Quando eri giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi. Ora, lascia che sia io a vestirti: ti condurrò dove non vuoi andare. Per andare lì, non devi desiderare niente: devi lasciarti condurre. Seguimi! Lasciati guidare! Ti condurrò dove devi andare!» Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava... Gesù vede Giovanni. Con quest'ultimo messaggio di Cristo, Pietro ha ricevuto tutto. Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?.. torturarlo... Non capisce. Non sa cosa significhi perdere la volontà e lasciarsi guidare. Pietro è curioso di sapere cosa succederà a Giovanni, il discepolo prediletto. «E a lui, cosa succederà? Dovrà sacrificarsi come me?» Questo passo ci parla della gelosia. Per quale motivo Pietro non si occupa della sua fetta di torta? Perché vuole sapere com'è la fetta dell'altro? Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Cioè: «Se do di più all'altro che a te, cosa t'impo rt a? Tu hai fatto un contratto con me e io lo onoro. Smetti di paragonarti. Finché vivi nel paragone, non potrai godere di quello che hai». Cristo aveva già sollevato questo problema con la parabola degli operai che ricevono tutti lo stesso salario benché alcuni abbiano lavorato una giornata intera e altri solo un'ora o due. Gli dice: «Goditi il tuo talento. Se è piccolo, rallegrati della sua esistenza! Impara a non invidiare gli altri. Fa' il tuo lavoro! Sviluppa la tua esperienza al di là dei paragoni!». «Smettila di fare confronti! Con chi ti paragoni quando ti giudichi bello, brutto, intel li gente, mediocre, piccolo ecc.?» Il paragone impedisce di vivere. Nessuno è più buono o meno buono di noi. Anche Giovanni è un ingenuo. Perché si preoccupa di sapere chi tradirà Cristo? Per caso ha posto questa domanda perché avrebbe voluto essere lui ad assolvere quel compito? Tradire Cristo è un onore, nella misura in cui provoca il più bel sacrificio che possa esistere. Se non sacrifichiamo la nostra vecchia immagine, l'uomo nuovo non potrà mai nascere. Non potremo realizzare la glorificazione del nostro essere di luce. Nel dominio spirituale non c'è illuminazione migliore della nostra. Non vogliamo l'illuminazione o l'estasi degli altri. L'illuminazione consiste nell'accontentarsi di quello che si ha, nel non volere niente di più. Finché non siamo felici per quello che abbiamo, non otterremo di più. Per sviluppare i nostri valori, bisogna riconoscerli e investirli senza paragonarsi agli altri. Non utilizziamo ciò che abbiamo solo perché vogliamo di più, sempre di più. Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Pietro crede di dover morire fra atroci sofferenze. Pensa che lo legheranno con una cinghia, che lo cattureranno per Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?». 464 465 Indice Cristo dà il suo messaggio: «Se voglio dare l'immortalità a uno e la mo rte all'altro, cosa t'importa? Accetta quello che ti do! Non chiedermi quello che hanno gli altri! Lasciati possedere da me!». E, soprattutto: Seguimi. 3 13 Introduzione I Il Vangelo secondo Matteo, 13 - L'annunciazione a Giuseppe, 15 - Maria e la nascita di Gesù, 25 - La visita dei Magi, 27 35 II L'annunciazione della nascita di Giovanni, 35 - L'annunciazione della nascita di Gesù, 46 59 III Maria e Giuseppe, 59 - Visita di Maria a Elisabetta, 65 - Nascita e circoncisione di Giovanni il Battista, 77 - Giovinezza di Giovanni il Battista, 84 86 IV Il censimento, 86 - Il sacrificio di Giuseppe, 90 - La concezione e il parto perfetto, 91 466 115 V La visita dei pastori, 115 - Quello che Maria custodisce nel cuore, 116 - La circoncisione, 118 - La circoncisione del sesso, 121 - La circoncisione del cuore, 121 - La circoncisione dell'intelletto, 122 - La donna e la circoncisione, 123 - Il Cristo e la circoncisione, 125 126 VI La Legge di Mosè, 126 - Presentazione di Gesù nel tempio, 131 - Profezia di Simeone, 138 - Profezia di Anna, 145 148 190 VII Infanzia di Cristo, 148 - Prime parole di Gesù nel tempio, 149 - I Maestri di Cristo, 153 - La vita sessuale di Cristo, 163 - Prefigurazione di Cristo nell'Antico Testamento, 164 Vocazione profetica di Giovanni il Battista, 166 - Chiamata di Giovanni alla conversione. Minaccia del giudizio, 173 - Battesimo con l'acqua e con il fuoco, 174 - Battesimo di Gesù, 174 - La tentazione di Gesù, 181 VIII Gesù si ritira in Galilea, 190 - I primi discepoli, 193 - Gesù e le moltitudini, 196 - Il Discorso della Montagna, 197 - Le beatitudini e i Tarocchi, 200 - La quinta essenza, 201 - Numerologia dei Tarocchi, 206 - Le beatitudini, 208 - Il sale e la luce, 222 225 IX Gesù e la Legge, 225 - Assassinio e riconciliazione, 226 Adulterio e scandalo, 228 - Il ripudio, 230 232 X Il testo dettato dalla divinità, 232 - La preghiera, 233 Noi, 235 248 XI Testimonianza di Giovanni, 248 - L'agnello di Dio, 248 - I primi discepoli, 249 - Il primo segno: le nozze di Cana, 253 266 XII I mercanti del tempio, 266 - La purificazione del tempio, 277 - Il fico senza frutti, 282 - La fede che non basta, 283 La conversazione con Nicodemo, 284 290 XIII Giovanni e Gesù, 290 - Colui che viene dall'alto, 293 - La conversazione con la samaritana, 295 315 XIV Il secondo segno di Cana, 315 - La fede, 318 - I miracoli, 320 - Guarigione di un paralitico a Gerusalemme, 325 - Il potere del Figlio, 333 337 XV Ritorno dello spirito immondo, 337 - Gesù sfama una grande folla, 341 - Gesù cammina sulle acque, 350 - Gesù, pane di vita, 357 365 XVI L'adultera, 365 - La guarigione di un cieco, 372 382 XVII L'essere e l'avere, 382 - La risurrezione di Lazzaro, 390 408 XVIII Proemio, 408 - Cristo e la Passione, 410 - Lezione di umiltà, 411 - Maria, 414 - Giuseppe, 416 - Giuda, 417 - La Passione e la crocifissione, 418 - Sepoltura di Gesù, 429 - Le dodici deformazioni, 434 - I due principi, 440 444 XIX La risurrezione secondo Matteo, 444 - La risurrezione secondo Marco, 450 - La risurrezione secondo Luca, 458 - La risurrezione secondo Giovanni, 462 Le storie narrate nei Vangeli rispecchiano /ttt#gfnz• assolute, immutabili del cuore umano. Qualcuno si ♦ appropriato dei Vangeli per evigorirli e alterarti, ma proprio not mondo di oggi, dominato dall'egoismo, dal materialismo, dalla ganze di calori, dobbiamo riappropriarci di questi testi, imparare a guardarli *ea occhi scevri da pregiudizi • restituire loro la purezza originaria e la ricchezza sorgiva. Un compito necessario non solo per credenti, ma per tutti, purch• sappiano ritrovare nel "mito' evangelico il tondamente delta società, della verita, della vita emotiva: in una parola dell'essere umano. Queste libro ci lasagna a guardare alla Buona Novella con occhi nuovi, e ci spiega come dalla lettura dei Vangeli possa nascere conoscenza che arricchisce le nostre vite, cambiando il nostro modo di vivere, muoverci, pensare, sentire, camminare, Invecchiare • morire. Per sempre. At•hanafro ledör owraky Ntiiique, Gite: 19291 * un arlir4s pstiedrico: mariosiettista, attars, mtsio,sceneggiatore scene di 1uNlt8tt+, regista teatrale e ainetataaiog#aticA, pasta, r+aisirnziera, studios* di paicoatnalisi e daaii Tarocatri. Approdate a Parigi ITeI primi i#10ai Cinquanta, sisals eurrealiatit. t'èllpÄ sta aaCrR f itirlltato it movimento artistico l'aniCO, di wanants ha girato due film cult: La 16lantirgna !ri T om _ -, lM1 0+Atat9n - urAewht mito0irtö 3i+A4'44: var/+t 40400 04 l44ri4dA7fY4iita :.. 6 841,MIC Qìsât VI +ANé riCC414p3 rio bQr"Arf"tf. ftitYD n IF}',W /4R4M974't6C f ■ WtARViIT flOMGNt ISBN 978-88 - 04 - 58848 - 1 788804