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Mito di Ovidio

MITO DI NIOBE, METAMORFOSI DI OVIDIO.
Niobe era figlia del re della Lidia Tantalo e fu data in sposa ad Anfione, re di Tebe,
dalla cui unione nacquero ben quattordici figli, sette maschi e sette femmine. La
regina era una donna fortunata, aveva nobili natali, immense ricchezze e grande
potere, ma ciò che la rendeva maggiormente orgogliosa era la sua numerosa prole.
Durante le festività in onore della dea Latona, Niobe osò interrompere i riti sacri
proclamandosi superiore alla dea, che era madre di due soli figli, Apollo e Diana.
Latona, irata, chiese a loro di vendicare l’onta subita, punendo così le empie parole
della regina. Apollo uccise i sette figli di Niobe fuori dalla città di Tebe, mentre
questi si allenavano a cavallo e nella lotta. In seguito ai nuovi insulti proferiti dalla
superba madre, che era accorsa sul luogo della strage insieme alle sue figlie, anche
queste vengono uccise dalle frecce di Diana. Infine, Niobe per il troppo dolore si
tramutò in dura roccia e, avvolta da un turbine, venne trasportata sulla cima del
monte Sipilo, nella sua terra natìa, dove continua a versare lacrime.
I versi più significativi della vicenda di Niobe narrata da Ovidio appartengono al VI
libro e sono :
“Cum his verbis Latonae iram excitavisset, dea liberos oravit ut contumeliam
vindicarent. Itaque Apollo et Diana omnes Niobae liberos sagittis necaverunt; dolor
autem miseram matrem in saxum mutavit.” Che tradotti in italiano “Poichè con
queste parole destò l'ira di Latona, la dea pregò i figli perché vendicassero l'affronto.
Pertanto Apollo e Diana uccisero con le frecce tutti i figli di Niobe; poi il dolore mutò
la misera madre in sasso.”
Sul significato di questo mito già molto specularono gli antichi, cercando di spiegarne
razionalisticamente i vari elementi e i diversi momenti: i moderni si sono invece
applicati a ricostruire l'etimologia del nome di Niobe, dalla quale potrebbe essere
suggerita la spiegazione più probabile del significato della saga. Così F. G. Welcker
suppone che la radicale del nome di Niobe sia identica a quella dell'aggettivo νέος, e
quindi Niobe sarebbe una Neaira, la natura ringiovanita, la quale presto muore, uccisa
da Apollo, non direttamente, ma nei suoi prodotti mortali, cioè nella sua prole. Non
molto diversamente E. Thrämer, partendo da un'etimologia assai simile, interpreta il
mito di Niobe come "la giovane terra che vede la sua prole (cioè la vegetazione
primaverile) perire sotto i raggi del sole". K. B. Stark preferisce invece ricongiungere
il nome di Niobe a νίζω, νίπτω "bagno", e ne fa una divinità dell'acqua e delle
sorgenti, insistendo specialmente sul particolare del mito che rappresenta Niobe
eternamente seduta, impietrita, sul monte Sipilo, donde seguita a versare senza posa
rivi di lacrime. E, insistendo sempre nella localizzazione della metamorfosi di Niobe
sul Sipilo, non mancano altre etimologie, che la spiegano come "la nuova luce" o "la
regina della neve".
Il mito di Niobe e della strage dei suoi figli offrì argomento a rappresentazioni
artistiche fino dai tempi più antichi; ma dovette la sua maggiore fortuna all'essere
stato presto trattato da grandi pittori e scultori: da Polignoto e da Fidia nel trono dello
Zeus di Olimpia. Notevoli fra le sculture sono un gruppo della prima metà del sec. V
a. C., al quale appartengono la Niobide degli Orti sallustiani, al Museo Nazionale
Romano, e due Niobidi della gliptoteca Ny Carlsberg, facenti parte forse di una
composizione frontonale, e una serie di statue che furono rinvenute nel sec. XVI fuori
Porta S. Giovanni a Roma e si trovano ora agli Uffizî a Firenze. Sono copie di una
grande composizione famosa nell'antichità, portata a Roma da C. Sosio verso la fine
della repubblica e da lui collocata nel tempio di Apollo del Campo Marzio.
MARIA FRANCESCA COZZOLINO IVF.