IL IV SECOLO A.C.
Il V secolo a. C è considerato l’età classica dell’arte greca perché proprio in questo periodo furono raggiunte
conquiste fondamentali, di cui gli artisti si dimostrarono consapevoli e che furono unanimemente riconosciute come
punti d’arrivo assoluti:
- il raggiungimento della piena maturità dell’architettura dorica nel Partenone
- l’acquisizione in scultura della capacità di rappresentare la figura umana in modo
naturale e organico attraverso il chiasmo e il canone policliteo.
Alla definizione dell’arte classica contribuirono ragioni di natura storica e politica: l’Atene di Pericle, infatti, fu
considerata la fase di massimo splendore della storia e della civiltà greche.
La potenza e la fama raggiunte da Atene, nonché la sua superiorità culturale sulle altre città greche, fecero sì che i
vecchi contrasti con Sparta, sorti ai tempi delle guerre persiane, si riaccendessero. Ciò portò a una lunga guerra
fratricida che coinvolse moltissime importanti città della Grecia e che, dal nome della regione che vide la maggior parte
degli scontri, fu detta Guerra de Peloponneso (431-404 a. C) La guerra si concluse con la vittoria di Sparta, che tuttavia
non fu capace di mantenere l’egemonia ereditata da Atene. Né lo fu, dopo di essa, Tebe che, solo per pochi anni
all’inizio del IV secolo a. C., ebbe momenti di gloria. Questa situazione contribuì a creare negli uomini uno stato
d’animo d’insicurezza e, con l’indebolimento delle poleis e la sconfitta di Atene, pose anche le premesse per la conquista
macedone, che sancì la definitiva perdita della libertà delle città-stato. Nel 338 a.C., infatti, Filippo II di Macedonia
sconfisse le forze elleniche a Cheronèa. Suo figlio Alessandro Magno conquistò in seguito lo Stato persiano, l’Egitto, i
territori estremi dell’Oriente, sino al fiume Indo.
Mentre gli antichi ideali ellenici cominciavano a morire e sempre più forte si faceva la sfiducia nelle leggi divine e in
quelle degli uomini, l’artista, così come tutte le altre persone, non rivolge più i propri pensieri ai grandi problemi e ai
grandi ideali, ma contempla malinconicamente la propria vita, le piccole cose quotidiane, ripiegandosi verso la propria
interiorità.
ARCHITETTURA: IL TEATRO
La tipologia del teatro greco si definì nel corso del V sec.a. C. e giunse a maturazione nel corso del secolo successivo
(sviluppo di tragedie e commedie).
Il teatro era concepito come struttura
aperta, costituito da elementi mobili e
adattabili anche al contesto naturale
circostante (la sua struttura concava
sfruttava il naturale andamento del
terreno).
Esso si componeva di tre parti:
- l’orchestra (da orchenomai, io danzo) era
un’area semicircolare destinata al coro.
(con il teatro di Epidauro divenne di
forma circolare);
- la cavea o koylon (da theatron, luogo
dove si guarda) era una gradinata a forma
di semicerchio suddivisa mediante scalette di accesso. Dapprima in legno e a pianta trapezoidale, dal V sec. a. C. fu
realizzata in pietra e muratura;
-la scena fungeva da fondale architettonico del teatro; originariamente era una pedana lignea destinata alla recitazione
degli attori (per deposito di scene e costumi, e poteva anche ospitare tavole dipinte) poi in età classica fu definita come
parte fissa in pietra.
Alla fine del III sec. a. C. (età ellenistica) l’architettura teatrale si modificò: la scena comincia a prevalere sull’orchestra e
si dotò di un proscenio (palcoscenico sopraelevato dove recitavano gli attori), si precisarono ulteriori aspetti scenografici
(ad esempio venne introdotto l’uso di piattaforme e strutture girevoli, quinte mobili e spazi porticati dietro la scena).
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LA SCULTURA NEL IV SECOLO A. C
PRASSITELE (400/395 – 326 a. C.), scultore ateniese, è l’artista che meglio di ogni altro incarna i modi di
sentire del tempo. Benché lavorasse anche il bronzo, a questo materiale preferiva il marmo; la sua attività più
intensa si colloca attorno al 364-363 a. C., quando scolpisce l’AFRODIÌTE CNÌDIA.
Per la prima volta una dea viene rappresentata nuda mentre, prima del bagno
rituale (o subito dopo), appoggia un panno sopra un’anfora (o lo prende). Il
corpo sinuoso, a S, mostra tutti gli attributi della femminilità. Proprio per
l’articolarsi delle membra secondo una linea curva è necessaria, ai fini
statici, la presenza dell’anfora con il soprastante panno
drappeggiato, per fornire un adeguato appoggio. Tale elemento,
inoltre, è parte attiva dell’intera composizione: le pieghe del drappo, in
presenza della luce, generano, infatti, ombre che contrastano con la morbida,
ondeggiante e liscia nudità della dea. Nel leggero scarto laterale della testa di
Afrodite, che avvicina le ginocchia e copre le proprie parti intime con la mano
destra, pare cogliersi l’atteggiamento di stupore di chi è stato sorpreso
dall’inaspettato apparire di un estraneo o dall’improvviso arrivo dell’atteso
amato. In questo modo l’artista avvicina le reazioni della divinità a
quelle naturali di un essere umano; inoltre, lo spettatore che si
immedesima in colui che è causa dell’espressione e dei gesti della
dea, è coinvolto nell’azione.
La stessa composizione sinuosa dell’Afrodite, con le membra
che si articolano attorno a un asse obliquo e non più verticale,
è alla base dell’APOLLO SAUROCTNÒNOS (Apollo uccisore di
lucertole). Apollo, ancora fanciullo e dalle membra molli, acerbe,
quasi femminee, si appoggia con morbido abbandono ad un tronco
d’albero (necessario per reggere la statua). Il piede sinistro, accostato
al tallone destro, fa sì che la gamba sinistra sia completamente
rilassata e quasi disarticolata, accrescendo il senso di cedevolezza del
tenero corpo flessuoso. Il giovane dio, dallo sguardo un po’ distratto, è
colto nell’attimo in cui sta per trafiggere con uno stilo una lucertola
arrampicatasi sul tronco. È un dio che sta giocando: si tratta quindi di
un’attività che nessuno scultore precedente avrebbe mai pensato di
attribuire a un essere divino. Il gioco di Apollo è visto come un evento
chiuso in se stesso, non prevede cioè, come nel caso dell’Afrodite
Cnidia, il coinvolgimento diretto dell’osservatore; il quale in questo
caso si limita ad osservare l’azione, rubando quasi un istante di
intimità al giovane dio.
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SKÒPAS (417?-340 a. C.), nativo di Paro, porta alle estreme conseguenze la ricerca
formale di Prassitele, inaugurando uno stile drammatico e patetico, cioè ricco di
pàthos, sentimenti forti e profondi, come si vede nel piccolo busto della MÈNADE
DANZANTE .
Il corpo, in preda ai furori dionisiaci, è tutto un movimento che le conferisce grande
vitalità. Il capo è rovesciato all’indietro, come trascinato dalla gran massa dei capelli
a lunghe ciocche ondulate. Lo sguardo perso verso l’alto invita l’osservatore a
penetrare nei meandri della sua mente per provare le sue stesse violente sensazioni.
La veste della baccante, tenuta in vita da una cintura, si apre lasciando nudo un
intero lato del corpo. Espediente, questo, che le conferisce un’elevata carica erotica e
proprio l’erotismo era ingrediente essenziale nei riti orgiastici in onore di Dioniso.
Per LISIPPO (390 – 305 a.C.) l’oggetto della rappresentazione artistica deve essere la natura, ovvero ciò che
si vede e non più un modello ideale. La realtà è accettata per la prima volta quale essa è, in tutte le sue
infinite manifestazioni. Chiunque, dunque, anche un essere brutto, può costituire un modello degno da
rappresentare: questo è un fatto totalmente nuovo, anzi rivoluzionario. Il ritratto, inteso come raffigurazione
realistica di un soggetto, è conseguenza diretta di tale atteggiamento.
Lisippo contribuì molto al progredire della statuaria. Infatti,
facendo alle statue la testa più piccola e il corpo più
snello e asciutto rispetto agli artisti precedenti, esse
sembravano più alte. Inoltre, Lisippo è il creatore di un
nuovo canone compositivo, basato sull’antitesi, che si
sostituisce a quello di Policleto, basato sul chiasmo.
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