FILOLOGIA ITALIANA Direttori · Editors Alvise Andreose (Novedrate, eCampus) Lucia Bertolini (Novedrate, eCampus) · Andrea Comboni (Trento) Giulia Raboni (Parma) · Fabio Romanini (Trieste) * Comitato di lettura · Referees Simone Albonico (Lausanne) · Gino Belloni (Venezia) Saverio Bellomo (Venezia) · Stefano Carrai (Siena) Paolo Cherchi (Chicago) Claudio Ciociola (Pisa, Scuola Normale Superiore) Vittorio Formentin (Udine) · Luciano Formisano (Bologna) Guido Lucchini (Pavia) · Brian Richardson (Leeds) Francisco Rico (Barcelona) · Paolo Trovato (Ferrara) Claudio Vela (Cremona-Pavia) · Massimo Zaggia (Bergamo) Tiziano Zanato (Venezia) * Redazione · Editorial Assistant Luca Morlino (Toruń, umk) * I saggi pubblicati da «Filologia Italiana» sono stati precedentemente sottoposti a un processo di peer-review e dunque la loro pubblicazione presuppone: a) il parere favorevole di tutti i direttori; b) l’esito positivo di una valutazione anonima commissionata dalla direzione a due esperti, scelti anche al di fuori del comitato di lettura. * «Filologia Italiana» is an International Peer-Reviewed Journal. The eContent is Archived with Clockss and Portico. Classificazione anvur: a. * Per la migliore riuscita delle pubblicazioni si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali, Pisa-Roma, Serra, 20092 (ordini a: [email protected]). Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabile online alla pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net. FILOLOGIA ITALIANA Rivista annuale 13 · 2016 PISA · ROMA FA B R IZ IO S E R R A E DITORE M M XV II Fabrizio Serra editore ® Casella postale n. 1, Succursale n. 8, i 56123 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888 [email protected], www.libraweb.net I prezzi ufficiali di abbonamento cartaceo e online sono consultabili presso il sito Internet della casa editrice www.libraweb.net. 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Una prima giunta 47 Alessio Decaria, Machiavelli copista, “filologo”, “capocomico”: sulla tradizione della «Commedia in versi» di Lorenzo Strozzi 109 Valentina Gritti, Per l’edizione critica dei «Cinque canti» di Ariosto 139 Giacomo Vagni, Per una nuova edizione delle «Rime» di Giuliano di Lorenzo de’ Medici 193 Carmela Marranchino, L’editio princeps della «Musogonia» di Vincenzo Monti: i due esemplari superstiti 225 Donatella Martinelli, Prove di stampa della Ventisettana. Una pagina utile alla 253 datazione dei «Modi di dire irregolari» («Promessi sposi», i , p. 42) Indici, a cura di Luca Morlino i. Indice dei nomi ii. Indice dei manoscritti e dei postillati 269 277 Sigle impiegate in questa rivista 283 PERCORSI CONFRATERNALI NEL MEDIOEVO LOMBARDO. SULLE LAUDE IN VOLGARE DI UN CODICE LAURENZIANO (MS. ASHBURNHAM 1179) Giuseppe Mascherpa* Università di Sassari Il contributo scava nel milieu confraternale della città di Lodi del secondo Trecento, concentrando l’attenzione su un manoscritto poco studiato, l’Ashburnham 1179 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, verosimilmente appartenuto alla confraternita lodigiana dei disciplini di Santa Marta e strettamente imparentato con il più noto, e più tardo, libro dei battuti di San Defendente. Il manoscritto in questione, oltre alla trascrizione della regola dei Raccomandati della Vergine Maria e ad altri testi devozionali in latino, tramanda una microsilloge di laude in volgare, delle quali si forniscono l’edizione interpretativa, un esame linguistico che ne tratteggia il complesso diasistema, e alcuni appunti di storia della tradizione, volti a meglio definirne la genesi, la circolazione e la ricezione in seno ai consorzi disciplinati della Lombardia medievale. The paper investigates the milieu of the religious confraternities operating in the city of Lodi during the second half of the fourteenth century. The attention is particularly focused on an almost unknown manuscript (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 1179). This manuscript probably belonged to the Confraternity of Santa Marta, that is very close to another manuscript coming from Lodi: the well known and more recent book of the Confraternity of San Defendente. The ms. Ashburnham 1179 contains the statute of the “Raccomandati della Vergine Maria” and some latin prayers and devotional texts; moreover, it includes a little anthology of religious poems written in the old vernacular of Lombardy. These poems are now published in an interpretative edition, with a study of their language and some notes concerning their origin, circulation and reception among the confraternities of medieval Lombardy. 1. Preliminari I l manoscritto Ashburnham 1179 (qui L2) della Biblioteca Laurenziana di Firenze, poco noto e scarsamente utilizzato dai medievisti, è invece documento di ragguardevole interesse per lo studio della diffusione dei movimenti confraternali, dei loro libri e delle loro preghiere (in latino e, ciò che qui importa, in volgare) nella Lombardia del secondo Trecento.1 * [email protected] 1 La Relazione alla Camera dei Deputati del 1884, stilata contestualmente all’acquisto di un lotto della collezione Ashburnham da parte dello Stato italiano, desume la scheda catalografica del Catalogue of the manuscript at Ashburnham Place (Londra, Hodgson 1853) ereditandone tutti gli errori: «Officium Passionis Domini I. C. Cod. membr. in quarto, del xiii sec. Ha alcune poesie nel vecchio dialetto bresciano» (Relazione alla Camera dei Deputati e Disegno di legge per l’acquisto di codici appartenenti alla Biblioteca Ashburnham descritti nell’annesso Catalogo, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1884, p. 53, nº 1108). https://doi.org/10.19272/201601801002 · «filologia italiana», 13, 2016 24 giuseppe mascherpa Il manoscritto è un factice di complessive 44 cc. membranacee numerate modernamente, in-quarto,1 collocabile in tutte le sue parti entro il xiv secolo.2 Tramanda, nella sua unità codicologica principale (cc. 10-40), la regola dei Raccomandati della Beata Vergine Maria nella forma approvata nel 1334 dal vescovo di Pavia Giovanni Fulgosi3 e adottata, a ridosso degli anni Quaranta del Trecento, da una compagnia di disciplini lodigiani: probabilmente quella di Santa Marta (poi di San Defendente), cui il codice laurenziano sembra essere appartenuto, come è possibile desumere da alcuni significativi indizi rintracciabili nel primo e nell’ultimo fascicolo.4 A quanto risulta i battuti di Santa Marta sono, insieme a quelli della Santa Croce, i soli rappresentanti del movimento disciplinato a Lodi intorno alla metà del Trecento. Alla loro biblioteca appartenne il ben noto officio in volgare padano corredato di un’ampia raccolta di laude, che Giovanni Agnelli pubblicò nel 1902: si tratta del quattrocentesco manoscritto Ashburnham 1177 della Biblioteca Laurenziana (L1),5 che insieme al codice qui in esame e al bergamasco Ashburnham 1178 (L)6 compone il prezioso trittico di manoscritti confraternali lombardi posseduti da Guglielmo Libri e in seguito acquistati da lord Ashburnham. Dal testo tràdito da L2 si apprende che l’istrumentario e l’elenco di indulgenze e privilegi dei Raccomandati pavesi furono inizialmente reperiti e trascritti a beneficio dei confratelli lodigiani dal notaio Gregorio de Spinis,7 e successivamente autenticati, il 4 1 La misura delle carte varia sensibilmente a seconda dell’unità codicologica: dai 20 ai 22 cm in altezza, dai 15 ai 17 in larghezza. 2 La composizione non unitaria è una caratteristica tipica di molti manoscritti di confraternita, che sono spesso il risultato di incrementi e accorpamenti avvenuti lungo il periodo di vita del consorzio. Nel caso in esame risultano disorganici all’unità codicologica principale (8 quaderni, cc. 10-40 [-1]) il primo fascicolo (un quinione, cc. 1-9 [-1]) e le cc. 41-44. 3 Sul consorzio, di fondazione romana, dei Raccomandati alla Vergine si veda il contributo di Kern 1962. La filiazione pavese di questa confraternita ha lasciato consistenti tracce di sé: un altro esemplare della regola, di area tortonese, è trascritto in Legè, Gabotto 1908, pp. 163-75; statuto e officio dei Raccomandati pavesi, con l’aggiunta di orazioni anche in volgare, si conservano nel ms. miscellaneo Ticinesi 385 (secc. xiv s.m.-xv) della Biblioteca Universitaria di Pavia (Grignani, Stella 1977). 4 Nel fascicolo iniziale del codice (cc. 1-9), disorganico all’unità codicologica principale per contenuti (l’ufficio della passione e il formulario per la consacrazione dei nuovi adepti), mise en page, decorazione e copista, ma ad essa aggregato già in antico, Santa Marta è citata prima come patrona della chiesa del consorzio («Deus […] qui locum istum in honore sancte Marthe virginis tue consecrasti…»), poi come intercedente («…per intersessionem [sic] beate Marthe virginis tue…»). Nell’ultimo fascicolo, a c. 39r, è trascritta una breve orazione dedicata alla Santa: «Deus, qui beatam Martam virginem tuam valde fecondam in hominibus gloriosam et in celestibus gloriari fecisti…». Infine, ed è dato esterno di non poco conto, è documentata l’adesione (nel 1580) dei disciplini di Santa Marta-San Defendente all’arciconfraternita del Gonfalone, che a partire dal tardo Trecento aveva raccolto sotto la propria insegna le compagnie di Raccomandati di tutta Italia (Bascapè 1989, p. 271). 5 Si veda Agnelli 1902, da cui le citazioni. Pochi dubbi sussistono ormai sulla datazione del manoscritto, rimasta a lungo sub iudice per via di una rasura che, in corrispondenza della data inserita nel colophon (c. 95v) dallo scriba Habraam Pischator, deturpa l’indicazione del secolo (m. cc[…] liiij): è del resto nota l’abitudine di Guglielmo Libri di retrodatare con questo sistema i propri codici. Dirime l’annosa questione, propendendo correttamente per una datazione al 1454 supportata dal dato linguistico, Andreose 2008, p. 44. 6 È il libro dei disciplini di Santa Maria Maddalena di Bergamo (fine sec. xiv), latore di un’ampia antologia di laude e orazioni in volgare bergamasco. Suo collaterale, appartenuto alla stessa confraternita, è il ms. D 94 suss. della Biblioteca Ambrosiana di Milano (A), del primo Quattrocento. La prima descrizione dei due codici, con edizione di alcuni testi, è fornita in Chiodi 1957. 7 «Ego Magister Gregorius de Spinis de Laude, notarius et scriba ordinatorum […] suprascripta omnia ab exemplo extracto a privilegiis existentibus penes recomendatos de civitate Papie, prout in eo extracto scriptum inveni, fideliter exemplavi, nichilo adito vel diminuito nisi forte punctus vel silaba [sic], quod variet sensum vel mutet intelectum» (L2, cc. 37v-38r). sulle laude in volgare di un codice laurenziano 25 dicembre del 1339, da Symon de Bononis, altro notaio cittadino, per incarico del prevosto Alcherio dell’Acqua, vicario del vescovo di Lodi Leone Palatini (1318-1343).1 Alla sottoscrizione del Bononis fanno immediato seguito (c. 39r) tre brevi orazioni – le prime due dedicate, rispettivamente, a Santa Marta e a Sant’Onofrio confessore – vergate, in una littera textualis di modulo ampio e non priva di tratti cancellereschi, da una mano collocabile nella seconda metà del Trecento. Una mano assai vicina a questa sembra responsabile delle scritture, pur eterogenee per stile grafico, mise en page e contenuti, che occupano le carte finali dell’ultimo fascicolo del codice (39v-40v) e, a seguire, le cc. 41-44: queste ultime hanno oggi l’aspetto di quattro fogli sciolti pesantemente rifilati, disorganici al manoscritto sia nelle misure che nella (pessima) qualità della pergamena; risultano con ogni probabilità dallo smembramento di due bifolî, che l’ultimo copista deve avere aggregato al libro dopo avervi disordinatamente redatto i testi devozionali segnalati qui di seguito ai punti 4 e 5. Ecco dunque, in estrema sintesi, i contenuti delle cc. 39-44: 1. un’allocuzione ai membri della confraternita, in una gotica di modulo piccolo poco curata e con qualche elemento corsivo (c. 39v); 2. un’ulteriore approvazione ecclesiastica, in una scrittura decisamente virata in senso cancelleresco (c. 40r);2 3. la famosa orazione latina Anima Christi indulgenziata da Giovanni XXII († 1334), del tutto prossima, come anche i testi successivi, allo stile grafico del testo al punto 1 (c. 40v);3 4. una microsilloge di laude in volgare lombardo composta da due testi pertinenti all’officio della Settimana Santa – una passione di Cristo (Ceschaduno pianza con dolore)4 e un pianto della Vergine (Oydé fiol mé glorioso) – e da una “lauda dell’Epifania” (I·llo sancto dì de lo Dinatal);5 le preghiere sono redatte su due colonne in una grafia poco 1 La presenza del signum tabellionis di Symon de Bononis potrebbe essere un buon argomento a sostegno dell’autografia della sottoscrizione. «Ego Symon de Bononis, notarius puplicus [sic] civitatis Laude, predicta privilegia et indulgentias exemplavi et de verbo ad verbum examinavi, licentiam michi datam [sic] per venerabilem dominum Alcherium de l’Aqua […] anno Domini Millesimo Trecentesimo Trigesimo nono, die lune quarto decembris». La famiglia dei Bononis fu legata a doppio filo al milieu clericale lodigiano: si ricava infatti dal messale parigino (BNF, nouv. acq. lat. 1030) appartenuto al Consorzio del Clero della città di Lodi che un Andreas de Bononis, figlio di Symon, fu rettore della chiesa di Santa Maria Maddalena e ministro del Consorzio stesso (Lemaître 1987, pp. 215-16 e 219). 2 I testi 1. e 2. sono però mutilati dalla caduta di un foglio tra le cc. 39 e 40. 3 «Oy anima Christi sanctifica me. Corpus Christi salva me. Sanguis Christi inembria me […] Qui dicit istam oracionem ex parte pape Johannis xij [sic] habet tria millia dierum de indulientia» (L2, c. 40v). A margine della preghiera indulgenziata lo stesso copista verga un nome (Barianus de Albano), mentre un’ulteriore mano (notarile) trascrive appena sotto, lungo il margine inferiore della carta, in corsiva cancelleresca, un elenco di testimoni («Ambroxolus de Bevagno, d. Ambrosius de Cucutis (?), d. presbiter Bernardus beneficialis ecclesie Sancti Quirici (?) testes rogati») apparentemente privo di connessioni con il testo che lo precede. 4 L’incipit della lauda, parzialmente evanito in L2, è riportato secondo la lezione di L1, sulla cui prossimità al nostro codice vd. oltre. 5 Forma univerbata da dies natalis, ancora in uso a Milano sullo scorcio del Cinquecento (il Varon milanes registra Danedà: si veda Presa 1977, pp. 21, 36 e 63) e viva a tutt’oggi in un ampio tratto dell’arco alpino, dalla Valtellina al mendrisiotto (denedal), fino alle valli occitane (deinal, dinyal; ais iv, 781; rew 5845). Si veda anche il § 4.3. 26 giuseppe mascherpa curata, di aspetto occasionale e non impermeabile al refuso; i versi sono suddivisi in quartine individuate da graffe marginali (cc. 41r-43r);1 5. la leggenda agiografica in prosa latina di Raniero Fasani, fondatore dei Disciplinati (cc. 43v-44v).2 2. Le laude volgari. Geografia della tradizione e appunti ecdotici Dei componimenti in volgare rinvenuti in L2 quello che conta il maggior numero di testimoni, tutti collocabili in area lombarda lungo un arco cronologico d’un paio di secoli (dalla seconda metà del Tre alla metà del Cinquecento), è la lauda della passione Ceschaduno pianza con dolore (L2, cc. 41ra-vb). Documentata a Bergamo – probabile epicentro della sua diffusione – come lauda incipitaria dell’antigrafo di L e A e nel più tardo frammento Borsetti (Bo),3 essa riaffiora in Val Camonica, a Breno, in apertura del cinquecentesco Officio quaresimale (Br) dei disciplini locali, in versione linguisticamente toscanizzata e saldata al testo della ben nota passio gemella Ki vol odì de nostro Segnor; poche valli più a est la si rinviene, in una trascrizione della seconda metà del Trecento, nella raccolta di preghiere dei battuti di Pinzolo (P), presso Madonna di Campiglio.4 A ovest dell’Adda, oltre che nei lodigiani L2 ed L1, compare nel libro dei battuti comaschi di santa Marta esemplato nel 1420 (Co) e in un laudario, assai prossimo a questo per datazione, scelta dei testi e lezione, appartenuto ai confratelli della chiesa di San Giacomo in Porta Nuova a Milano (Mi).5 La tradizione della “lauda dell’Epifania” (L2, cc. 41vb-42rb)6 e del lamento Oydé fiol (L2, cc. 42rb-43rb) evidenzia ulteriori punti di contatto tra i due testimoni lodigiani e le sillogi milanese e comasca: il primo testo è infatti conservato in questi quattro codici, e non altrove; il secondo, nella redazione qui considerata, in L1 L2 e Mi –7 ma lo si ritrova, in versioni alternative di diversa ampiezza e solo parzialmente collazionabili con la 1 La presenza in L2 di un’antologia di laude volgari è stata segnalata per la prima volta da Contini 1934 (2007), p. 1213 nota 4; Contini 1935b (2007), p. 1200 nota 6 e recentemente da Bino, Tagliani 2012, p. 113 e nota 22. 2 Il testo ebbe una discreta diffusione nel milieu disciplinato dell’Italia centro-settentrionale. In seno alla “famiglia lombarda” dei relatori della leggenda, che oltre a L2 annovera i gemelli L A e altri due codici bergamaschi (uno dei quali ne riporta il volgarizzamento), L2 si rivela stemmaticamente molto vicino all’antecedente comune di L A (Ardu 1962, pp. 84-98). 3 Bergamo, Biblioteca Angelo Mai, AB 224: «mannello di fogli sparsi del pieno Quattrocento copia di un codice del secondo Trecento, così chiamato dal nome del suo antico possessore» (Bino, Tagliani 2012, p. 112). 4 Nella sua versione bergamasca la lauda è pubblicata secondo il testo di Bo, con le varianti di L A in apparato, in Chiodi 1957, pp. 35-40, da cui si cita. Era opinione dell’erudito che il testo fosse «evidente rifacimento della lauda “Chi vol, odì” […]: la potremmo chiamare riduzione per funzioni meno solenni» (ivi, p. 35). Il testo di Breno (Brescia, Biblioteca Queriniana, L ii 17) è in Bino, Tagliani 2012, pp. 111-13 (cenni liminari) e pp. 177-82 (edizione). Per la versione contenuta in P (Trento, Biblioteca Comunale, ms. 1708) si veda il vetusto, ma ancora utile contributo di Panizza 1883, pp. 94-97. 5 Entrambe le raccolte sono inedite. Riguardo a Co (Como, Archivio Diocesano, Laudario dei battuti, senza segnatura), in attesa dell’edizione in allestimento per cura di Silvia Isella Brusamolino, si vedano in particolare Re 1943-1944 e il saggio monografico, con relativa bibliografia, di Larghi 1998. Mancano del tutto, invece, studî dedicati al pur notevole laudario milanese (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Z 94 sup.). 6 L’episodio della visita dei Magi è tra i più frequentati fin dalle origini della produzione paraliturgica in volgare. Ad alcune “laude dell’Epifania” dell’Italia centrale accenna Baldelli 1962, pp. 363 ss. 7 Si aggiungano un paio di quartine (corrispondenti, seppure non verbatim, alle strofe 1 e 10 di L2) incastonate nel planctus O dolorosa, dolorosa tràdito da Co alle cc. 47r-48r. sulle laude in volgare di un codice laurenziano 27 nostra, anche nel laudario di Modena (Mo), in una raccolta ferrarese (Fe) e nella silloge cadorina pubblicata dal Carducci (C).1 Un congruo numero di elementi certifica oltre ogni dubbio la strettissima affinità stemmatica tra L2 e il più tardo, e ben più ricco, L1. Significativo in primo luogo è il dato geografico e contestuale, che riguarda non solo l’identica collocazione lodigiana dei due manufatti, ma anche e soprattutto la loro comune appartenenza – come si è visto sopra, sostenibile sulla base di buoni argomenti – alla biblioteca del consorzio dei battuti Santa Marta-San Defendente. A sancire in via definitiva la prossimità dei due codici è naturalmente lo spoglio degli errori condotto sui testi condivisi, che si limitano a due preghiere in latino (orazione a sant’Onofrio e Anima Christi) e alle tre laude volgari. Di questo spoglio si fornisce di seguito un piccolo ma significativo specimen: 1) Orazione a Sant’Onofrio L2: nova mondum arte deleret L1: nova mondum arte deleret pro deluderet2 2) Orazione Anima Christi (testo dell’indulgenza papale) L2: Qui dicit istam oracionem ex parte pape Johannis XII L1: Coloro che diseno questa benedegia oration per parte de uno papa Zohane dodexeno pro xxii 3) Lauda Ceschaduno pianza con dolore (vv. 62-63) L2: et ello se consumava L1: e luy se consumava L A Bo: Po’ dis: «El è consumat» Co: E po disse: «A ’l è consumado» Mi: E posa disi: «El è consumato» P: E po sì dis: «El è consumà ecc.3 L2: I·llora de la ses[ta] (verso ipometro) L1: Allora de la sexta L A Bo: Quand(o) ven illa ora (illora) de la (della) sexta Co Mi: Quando vene in l’ora de la sesta ecc. P: Quando vene l’ora de sexta ecc. 1 Per gli estratti da Mi e Co, inediti, la trascrizione è mia. C (Pieve di Cadore, Magnifica Comunità di Cadore, Archivio antico), Mo (Modena, Biblioteca Estense, Congregazione di Carità, deposito nº 3) e Fe (Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, ms. 211 N B 1), invece, si citano rispettivamente da Carducci 1892, pp. 5-8; Elsheikh 2001, pp. 73-79 (testo 36); Ferraro 1877, pp. 40-43. Elsheikh 2001, p. 73 segnala altresì la presenza di quattro strofe isolate di questo lamento nel laudario udinese (Ud: Udine, Biblioteca Civica, Fondo Ospedale, ms. B, c. 30r) e una sua «redazione più ampia» contenuta nel ms. 220 della Biblioteca Comunale di Treviso, che non mi è stato possibile consultare. 2 Così nella preghiera originale, frequente negli orazionali e messali latini e dedicata principalmente a Sant’Alessio: «Deus, qui beato Alexio confessori tuo tribuisti ut nova mundum arte deluderet…» (testo di München, Staatsbibliothek, Clm 2905 [Diurnale, pars aestivalis], c. 68r). 3 «Iesus dixit: “Consummatum est”» (Gv 19, 30). 28 4) Lauda I·llo sancto dì de lo Dinatal (incipit) giuseppe mascherpa Nei due codici, e non altrove, il testo è preceduto dall’erronea trascrizione dell’incipit di Oydé fiol mé glorioso, traccia evidente di un cambio di progetto nell’antecedente comune.1 L2: Fiol me glorioso|tradito u’ si’ da Juda lo falso|li çudé me v’à toleto. Lasa, tapina, que don’e’ fa’?|I·llo sancto dì… L1: Fiolo mio glorioso,|tradito vuy siti da Iuda falso.|Li zudey me v’àn tolegio.|Lassa mi, tapina, que debia fare?|Indel sancto dì… 5) Lauda Oydé fiol mé glorioso 5) (vv. 65-67) Caduta di un verso (il terzo) nella stanza 17: il copista di L1, avvedutosene, tenta un ripristino maldestro. L2: Plases’el, fiol mé, che mora,| pur che l’anima exsca fora!|Be·me doveres-tu consolà! L1: Con tuto la possanza della rayna| piaxesselo al mio fiolo che mora,| pur che l’anima mia insise de fora.| Bene me doveres-tu consolà! Mo: Plaçave, fiolo, che mora|E l’anema esca fora| Oymè, quelle plaghe m’acorano|che veço sanguenare C: […] ch’eo moyra|e l’anema mea […] ‹-ora›| […] me acora|ch’eo veço sango‹sare› Mi: Piançe [sic] a ti, fiol meo, che mora,|pur che l’anima essa fora! Quele to piage si m’à acorao| quando e’ li vego insanguenare Fe: Piazave fiol chio mora,|Che lanima mia esca fora,|Oimè con quelle piage macora|Quando le vezo cosi sanguinare! Che poi L1 non sia un descriptus di L2 – sospetto legittimo, se si considerano l’alto grado di sovrapponibilità testuale e l’identità del contesto di produzione e prima fruizione – è dimostrato con buona sicurezza da una cospicua serie di indizi ricavati dallo studio della varia lectio.2 1 Il copista di L1 trascrive i quattro versi incipitari del planctus in colonna, come fossero parte integrante della “lauda dell’Epifania”; quello di L2, forse avvedutosi dell’anomalia, ne differenzia la mise en page rispetto al testo che segue copiandoli in scriptio continua. 2 Nel testo di Ceschaduno pianza con dolore fanno sistema alcune soluzioni singulares di L2 a fronte dell’accordo tra L1 e gli altri testimoni della lauda: L1 «Ay te spoyàno [pf.] li pagni de dosso,|si te baténo sulle laude in volgare di un codice laurenziano 29 A conclusione di questa indagine si può dunque ipotizzare che fosse in uso, presso i disciplini lodigiani di santa Marta, una raccolta di laude e preghiere in latino e in volgare di tradizione principalmente padana e più spesso segnatamente lombarda, caratterizzata da una certa somiglianza, nella scelta dei testi antologizzati, con l’antecedente dei laudari di Como e Milano, non a caso riconducibili entrambi (certamente il primo, ma forse anche il secondo)1 a milieu confraternali devoti alla stessa patrona. Da questa raccolta dipendono sia la piccola, quasi avventizia appendice devozionale copiata nel secondo Trecento dall’anonimo scriba di L2, sia il liber officii in volgare, ricco di testi, di buona fattura e linguisticamente expolito,2 che il poco meno oscuro Habraam Pischator ha composto, quasi cento anni più tardi, «ad instantiam disciplinorum Sancti Defendenti». Le laude di L2 sono qui offerte in edizione interpretativa. Al netto dei consueti accorgimenti (distinzione u/v, scioglimento delle abbreviazioni, divisione delle parole e introduzione dei segni paragrafematici),3 la facies grafico-fonetica della copia è stata fedelmente riprodotta. I pochi e minimi interventi sul testo, a rettifica di errori palesi (caduta o apposizione superflua di tituli, aplo-/dittografie, errori di jambage, scambio n/v), sono racchiusi tra parentesi uncinate. Le lacune insanabili, dovute a rifilatura della carta o evanizione dell’inchiostro, sono segnalate con una stringa di punti tra parentesi quadre; tra quadre si indicano anche le ricostruzioni, operate soltanto nei casi più semplici (caduta di singole lettere o gruppi di lettere per guasto meccanico) e di interpretazione univoca sul piano linguistico. [perf.]…» (= L A Bo P Co Mi ecc.) vs L2 «Ey te spogauan [imperf.] li pagni del doso|si te batevan [imperf.] … » (vv. 19-20); L1 «e denanze de Pillato ay te menàn» (= L A Bo P Co Mi [inanze] ecc.) vs L2 «davanto Pilato ay te menàn» (v. 13); L1 «E per farte più grande desnore» (= L A Bo P Co Mi [farge] ecc.) vs L2 «per far più grande desenor» (v. 23); L1 «zeschaduno che in lo vostro fiolo credarà l’anima soa si serà salvada» (= L A Bo, manca in P, Co, Mi) vs L2 «çascau ch’in del to fiolo credeva|l’anima sova serà salvata» (vv. 8586). Viceversa, c’è un drappello di soluzioni individuali del copista di L1 che difficilmente potranno discendere da una cattiva lettura di L2, nel complesso graficamente limpido: per es., nella passio, l’erroneo apresso («Longino era apresso e non se demorava», L1 v. 71) non sarà fraintendimento del ben leggibile, oltreché corretto, ebré di L2, bensì corruzione di un *abré ‘ebreo’ dell’antecedente comune (abreo, variante dissimilata di ebreo, è diffusa nei dialetti italiani: si veda Schweickard 2002, s.v. ebrèi; abré occorre anche in L [Tomasoni 1984, pp. 76-77]); nel planctus, l’arbitraria – per quanto semanticamente interessante – sostituzione di scoso ‘grembo’ a çoso ‘giù’ (v. 35: L1 «Chi me lo desse in del mio scoso?», L2 [come Mo, Mi, Fe] «Chi me ve tolesse çoso?») sarà stata suggerita da un antigrafo in cui, diversamente da L2, la sillaba finale di tolesse fosse saldata all’iniziale di çoso; nello stesso testo, al v. 82 della copia di L1 («da nesuno non porà fu refudada»), l’errata lettura fu (< fir) presuppone un modello che, a differenza del lacunoso L2 («da nesuno refutata»), conservasse l’ausiliare. 1 Accenna alla questione Larghi 1998, pp. 57-58. 2 Alla fisionomia complessivamente dialettale, seppure screziata, della scripta di L2 risponde infatti, in L1, l’opzione per una compatta coiné padana di base “milanese”. La ristrutturazione linguistica impostata da Habraam Pischator, unita a una certa propensione alla glossa, non è priva di conseguenze sull’originario assetto metrico-ritmico delle laude, che risulta assai meglio conservato, così come il colore linguistico, nella versione antiquiore di L2. La lingua di L1 è ancora in attesa di una descrizione complessiva: ad oggi si dispone soltanto del glossario che l’Agnelli ha allegato all’edizione dei testi, opportunamente integrato dai puntuali rilievi, lessicali e grammaticali, di Salvioni 1904 (2008). 3 Si segnalano in particolare: il punto alto (·) per l’assimilazione consonantica in fonosintassi; il tratto breve (-) per due casi particolari di enclisi pronominale (to’-me [Ceschaduno, 35], con troncamento del verbo; dov(e)res-tu [Oydé fiol, 24, 60, 67, 75], con soggetto enclitico); l’accento circonflesso per le contrazioni sillabiche. Tra gli omografi distinti si evidenziano: a (prep.) / à (‘egli ha’), o (cong.) / ò (‘io ho’), me (pron.) / mé (‘mio’), è (‘egli è’) / é (it. sett. ‘tu hai’ [< ai]), fa (‘egli fa’) / fà (‘fare’), si (rifl.) / sì (< sic) / si’ (‘voi siete’), fo (‘egli fu’) / fo’ (‘fuori’), de’ (‘deve’) / dè (interiez.), dì’ (‘detto’) / dì (‘dire’) / dî (‘dai’), le (art.) / lé (pron.). 30 giuseppe mascherpa Si è infine scelto di rimandare all’auspicabile edizione critica dei testi il loro restauro metrico, che avrebbe richiesto riflessioni profonde e interventi onerosi soprattutto sulla lauda Oydé fiol, il cui assetto prosodico è stato considerevolmente compromesso dalle dinamiche di una tradizione per nulla quiescente. 3. Testi i. Ceschaduno pianza con dolore Lauda di 23 quartine di novenari rimati o assonanzati prevalentemente secondo lo schema aabb, tranne la prima, che presenta uno schema zagialesco (aaab); ripresa di due novenari baciati (xx). [… … …] pia[n]ça con dolor [l]a pasion del Salvator. 5 10 [D]olce Segnor omnipotente chi sofré pena e grande tormento, e Yuda sì fé ’l tradimento [o]nd’el morì sus i·la crose. Trenta diné ne recevé [q]el traytor malvax chi te vendé, e per la boca el te basà quando li çudé sì te piàn. Egy te menà con tal foror [… … … … …] un malfator. Davanto Pilato ay te mennà e falsamente ay t’acusà. 15 20 25 30 E tuti cridavan con gran remore: «Mora Iesu Christi, quel malfator! El s’apelà re de li çudé e sì se fa fiol de Deo». Ey te spogavan li pagni del doso sì te batevan le carne e li ose, e per la ‹faça› t’aspu[t]açàn, de spine ponçente t’incorronà. Per far più grande desenor portar te fé in collo la crox, e tuti cridavan e sì disevan: «Crucifia e crrucifia!» E sula crox ay te driçàn, le man e i pe ey te pasàn, in meço te misen de du latron: l’un si salvò e l’oltro no. La matre toa era lì apreso 1. illeggibile il pronome esordiale (L1 Ceschaduno, L A Bo Ceschadu ecc.) pia[n]ça] piaça (titulus forse rifilato) 6. crose] crosese 12. evanito (L1 como tu fossi ben, L cum s’tu fos stat ecc.) 21. e per la ‹faça›] e p la fa façan 22. incorronà] sic nel codice (in cõrona) 23. più grande] piu aggiunto in interlinea 26. crrucifia] sic nel codice 29. du latron] du aggiunto in interlinea sulle laude in volgare di un codice laurenziano 31 chi te vedeva penar adeso, e sì disiva: «Oy vita mia! To’-me con tego in compagnia. Oy dolorosa, mi tapina! L’anima mia fi partita. Dayme la morte, fiol mé carr, ch’el coro se fende e sì se parte!» E Iesu Christi sì ge respose e sì disiva in piana vox: «Per to fiol te lase Çovan», po dis a lu: «E’ te la recoman». Sancta Maria sì pianceva e co·le palme se bateva, e san Çovan la consolava e fortemente lagremava. E lagremando Çovan dise[va]: «Matre de Christi, virgen rayna, per quello dolce fruto che tu é port[…], che tute el mondo serà salvat[o]». 35 40 45 50 Ela respose: «Dolenta my! Morta fos’e’ in questo dỳ!» Volçevase contra la çente e sì faseva ’sto lomento: «[V]uy c‹u›y andé per la via [v]enì a veder ’sta doya mia, [s’]al fo mai alcù langorre [s]omiente al mé dolore» Iesu Christi dise: «E’ ò sete», e ge sporcé fel et aseto. El Segnor non vos cercà et ello se consumava. I·llora de la ses[ta] Christi sì levà al cel la testa, clamà lo so pare e [… … …]: «E’ te recomando l’anima mia». E basà y ogy e stram[… …] [… …] spirtu era [… … …]. La mare el so fiolo guardava, caçeva in tera strangozà. 55 60 65 70 Longì ebré no demorava: con una lança l’impiagava 37. carr] sic nel codice (cãr) 49. fruto] fruto port[…]] rifilato (portà o portato) 55. c‹u›y] cuuy 57. langorre] sic nel codice (langõre) 65. evanito (L1 si diseua, L A Bo si disia, -iua, P sì diseva ecc.) 67. evanito (L1 stramontì, Bo stramortì, P Co Mi stramortiva ecc.) 68. evanito (L1 perché ch’el spirito era partito, L perké ’l so spirit se partia, Co Perké lo spirito s’en partiva ecc.) 72. lança] lā ça 32 giuseppe mascherpa e sang[… …]qua sì ne insiva, e tuto el mon sì s’ascuriva. 75 80 85 90 Tuta la tera sì tremava e molti corpi resusitava, insiva fora dî monimenti chi eran stati longi tempi. E la matre del criator, chi stava lì con gran dolor, è più trista et angososa, del so fiolo abandonata. Le so seror la consolava e sì disivan: «Matre beata, çascaù ch’in del to fiolo credeva l’anima sova serà salvata». Çescun sì prega Christi verax ch’el ne conserva in bona pax, chi nne guarda day pecati mortay, ch’u‹m› si‹a› defesi dal fogo ’ternal. Chy volo seguir a l’overa di‹v›ina [pr]enda la santa disiplina. [… … … … … … … … …]ati che Christi [… … … …] al so regno beato. 73. san[… …]qua] parzialmente evanito (L1 P sangue e aqua, L e sangue et aqua ecc.) 89. chi nne] chin ne 90. ch’u‹m› si‹a›] chusiam (L Bo cum sia)1 91. di‹v›ina] diiína 93. evanito (L1 non dorma più in deli peccadi, Mi no dorma piu intr’i peccay, L e plu non demori [A dormir] int’i peccat, Co e più no se demora int i peccay) 94. parzialmente evanito (L1 A Co Mi n’aspegia, L n’aspeta ecc.) ii. I·llo sancto dì de lo Dinatal Lauda di 11 quartine di novenari rimati e assonanzati, prevalentemente a schema zagialesco aaab (strofe 1, 5, 6, 7, 10, 11: b corrisponde sempre a un’assonanza in ì_a), meno spesso baciato (aabb: strofe 2, 4, 8, 9), in un caso monoassonanzato (3); ripresa di due novenari baciati (xx). I·llo sancto dì de lo Dinatal nasé lo Segnor per nu salvà. 5 Chi vol odì bona rason de Iesu Christi lo Salvató, chi se fé servo – el è Segnor – per scampà nu de la mala via? 6. scampà] scampa 1 È il costrutto impersonale del tipo homo cantat; um < homo, con chiusura della tonica ante cons. labiale, è documentato negli antichi volgari lombardi, da Bonvesin alle scriptae orientali (si recuperano le occorrenze bonvesiniane dal Corpus ovi); quanto al lombardo orientale, si vedano Lorck 1893, p. 88; Contini 1935b (2007), p. 1209. sulle laude in volgare di un codice laurenziano Quando al fo in llo ‹mo›ndo venu[…], a li tri Mayni al fo aparu[…]: un tal segno in cel pariva che tuto lo mondo sì relusi[va]. 33 10 Quando li May intràn in la cità [… …] Arode quel malvax, [… …] [in]trà a […]sonar […] questo re chi era nat. Quando lo re ave sì olcuto de questo re chi era aparuto, gran paura ch’ely n’aviva c’al no ge tolese la segnoria. Li so savy al fé venì, sì començà spià e dỳ de questo re chi de’ venì, und’el de’ nase et in qual partita. Et intròn a rasonar: «Qesto sì è profitiçato e in scritura fi atrovato: ch’in Betlem naser doviva». Ilora «Çé» a li Mayn à dì’, «dillientment cerché el fantì, po me ’l tornarì a dì», ché adorar che·re ’l voliva. 15 20 25 30 Qande li May fon fo’ de la tera, illora g’aparì la stella: grande alegreca ch’eli n’avivan, c’ela ge mostrà la via. Quande la stella fo sor la mason et ella fé demorason, ly May [… … … … … … … …]: «Quilò serà quel chi nu quer». E çén a lu alegrament sì l’asalutavan devota[…]. 35 40 7. in llo mondo] īllondo 7-8. venu[…], aparu[…]] rifilato (venu : aparu o venuto : aparuto) 8. Mayni] sic nel codice (< *magni, forse incrociato con may)1 10. che] chel= 12-13. parzialmente evaniti (L1 Del re Herodes…a’y ’ntrano a rasonare, Co de lo re Herodex…a’y comenzon a resonar, Mi de lo re Erodex…a’l comenzon a rexo‹na›re) 14. evanito in principio (L1 Co Mi de) 17. n’aviva] nauiuā (con titulus erroneo) 34. c’ela] C = al== g ela 37. rifilato (L1 e lli Magi illora se penson, Mi li tri Magni sì s’apensón, Co e inlora a’y perpensone) 39. alegrament] con titulus superfluo 40. devota[…]] rifilato (devotament o devotamente) 1 La dicitura ‘re magni’, facilior per ‘magi’, occorre anche in Mi nello stesso testo («ali tri Magni al fo apario»; «li tri Magni sì s’apensón»; «Quando li tri Magni intróno») e conta qualche attestazione ancora nel Cinquecento: «vennero i Re Magni di Oriente» (Vite di tutti gli imperadori, cominciando da Giulio Cesare fin a Massimiliano…, Venezia, Valgrisio, 1561, p. 76); «tre magni Re» (Antonio di Atri, Exercitio spirituale, Venezia, Melchiorre Sessa, 1536, pp. 13 e 19). 34 giuseppe mascherpa Po ge ofrivan un bel presen[…], ço fo or e yncenso e mira. 45 Sì com piasé al Sallvató, la no‹ge› ge ven in visió c’al no çese per quel rion ma cese per un’oltra via. 41. presen[…]] rifilato (present o presente) 44. la no‹ge› ge ven] la no geuē (il primo -ge cade probabilmente per contiguità con il secondo: si veda L1 La nogie ge; manca in Mi, Co) iii. Oydé fiol mé glorioso Lauda di 22 quartine (21, se si considera la prima come ripresa tetrastica)1 di otto e novenari rimati o assonanzati, a schema zagialesco aaax (con x = rima/assonanza in à). «Oydé, fiol mé glorioso! Tradito vu si’ da Yuda el falso. Li çuderi me v’à toleto: lasa, tapina, que don’e’ far?» 5 10 15 20 Monte se lomenta forte: «Oydé, fiol, com dura morte! Chi ve ’l fa sofrir a torto certo y n’averan lo grande p[e]cà! Oydé, fiol, com bianco vis[…], chi er plu bel ca flor de li[…]! Tanto l’à batuto et l’à ferito che tuto me par desomiato. Oydé, lasa, mi dolenta, com bla‹n›ca carne è fata tenta! Quel so sangue sì aulente per tera lo veço sparpagar. Fiol mé, per quale ofension si’ mis in crose con du latrone? Qella grande pasion tuta me fa torçe e malmenar. Lasa, com pos’e’ sofrir che te veço in crose morire? 2. vu] aggiunto in interlinea 6. fiol] aggiunto in interlinea 8. p[e]cà] p[.]ca (-e- rifilata, -ca aggiunto in apice per termine della carta) 9. vis[…], lis[…]] rifilato (vis, lis o viso, liso) 14. bla‹n›ca] blaca (titulus omesso) 18. latrone] latrone 1 Nella redazione alternativa di Mo la prima quartina («O Maria dolorosa,|vego lo meo fiolo pennare,|Oymè fiolo glorioso,|Lassa mi que doe fare?»), ripetuta ogni quattro strofe, funge effettivamente da refrain; in quelle cadorina, ferrarese e udinese la ripresa è di due soli versi (C: «Oy me, figlol glorioso,|lasa mi, com’ deç’eo fare?»; Fe: «Oimè fiolo glorioso|Lasso mi con debbo fare?»; Ud: «Oymè fiol glorioso| lassa me, cho’ la deo fà?»). sulle laude in volgare di un codice laurenziano 35 Lo core mé deverave partir! Be·me doveres-tu consolar. Lasa, com pos’e’ defende che no te veço y·la croxe pende? Lo cor mé dorave fender! Certo no doverese miga far! Lasa mi, no so que me faça, sì greve dolore me strence e braça! Tuto m’arde lo vis e la faça, pur de lagreme mi ‹n›’éve lavar. Oydé fiol mé glorioso, lo santo corpo e sprecioso chi me ve tolese çoso, qui ve podese abraçar? Fiol mé, s’e’ t’avese in braço, che morireve tosto e viaço pur del grande dolor che n’aço! Be·me doverese consolar. 25 30 35 40 Fiolo mé, se çoso t’avese e abraçar che te podese e basar che te devese, tuta me n’éve consolà!» Ela piançeva in tal guisa, con greve dolor ela suspira, in tera cazia destesa: no se porev’ela su levà. E le so tre seror sì menavan sì grand doló, ni co·lagreme, nià con piur no la podevan consolar. «Dolçe fiol, chi me v’à toleto? Li çudé chi n’à gran torto. Dè, com ai ve fa dura mor[…]! Certo no ve ’l dovrian fà. [Oydé la]sa mi, tapina! [… … …] romanir pur viva? [La m]orte, per que me scliva? [B]e·me dovres-tu acompagnà! 45 50 55 60 Que farà la vostra matre, oydé, dolçe fiolo e patre? [La] nostra vita non guardare, açò ve vogo acompagnar! 32. ‹n›’éve] ueue 36. ve] ve 47. In tera] Intera, con -a finale sovrascritto ad erroneo -e 53. me v’à] me ua (e, a in apice per guadagnare spazio) 55. dura] dura mor[…]] rifilato (mort o morte) 58. evanito (L1 como e’ posso, Mo Cum posso e’) 61. vostra] nostra (Mo C vostra) matre] matre 36 giuseppe mascherpa 65 70 75 Plases’el, fiol mé, che mora, pur che l’anima exsca fora! Be·me doveres-tu consolà! Oydé, qua’ dolçe la conpagnia, tal era la vosta co·la mia! Grande dolor sì l’à partita. Lasa, no la pos’e’ durar! E’ non ò nervo ni anche oso che de dolor non sia morto. Morir voreve et e’ non poso. Be·me doveres-tu consolà!» Sì grande dolor ela menava, tuta la çente chi da ylò pasava apreso de lé s’asembiava: tuti y faseva lagremà. 80 85 Qesta sì è una rosata: Christi dal celo ne l’à mandata, da nesun refutata chi de y so pecati se vol lavà. Or pregaremu la rayna, relucent stela marina, ch’ela ne dia tal medesina, con tuta lé posam regnar. 85. stela marina] stela la marina 4. Nota linguistica1 Data la completa mancanza di documenti volgari sicuramente attribuibili al Medioevo lodigiano (con la parziale eccezione di L1, tardo e avarissimo di tratti municipali),2 non è possibile costruire il canone grammaticale di questo tipo linguistico tra xiii e xiv secolo, come si è potuto fare con quasi tutte le altre varietà lombarde. Né l’antologia devozionale di L2, ad oggi la più antica testimonianza di scrittura volgare riconducibile a Lodi, permette purtroppo di colmare la lacuna: l’ibridismo spesso caratteristico dei testi d’ambito confraternale – itineranti e vincolati all’esecuzione, e pertanto continuamente mutevoli nell’assetto linguistico e nelle strutture testuali – impedisce infatti di considerare le nostre laude come genuini “monumenti” della scripta lodigiana del secondo Trecento;3 tanto più che per nessuna di esse si può invocare a buon diritto 1 Nello spoglio i tre testi saranno indicati come segue: Ceschaduno pianza con dolore = i; I·llo sancto dì de lo Dinatal = ii; Oydé fiol mé glorioso = iii. 2 Sulla difficile impresa di attribuire la scripta di L1 a Lodi in base al solo esame linguistico si esprime ancora Salvioni 1904 (2008), p. 474: «I criteri estrinseci […] pongon fuori di dubbio l’origine lodigiana dei testi, quali ci si presentano nel codice. Ma gli intrinseci, desunti dalle peculiarità idiomatiche, conferman essi questa provenienza? […] nessuno sospetterebbe il dialetto lodigiano ne’ testi pubblicati dall’Agnelli, e che pure sono stati manipolati o rimaneggiati a Lodi. Questo dialetto non vi fa capolino per nessuna delle sue decise caratteristiche positive». 3 Simili difficoltà rileva Angelo Stella a proposito della classificazione linguistica del laudario modenese (pure trascritto da un copista locale), recuperando in parte le osservazioni di Giulio Bertoni: «Le sulle laude in volgare di un codice laurenziano 37 Fig. 1. Firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 1179, cc. 42v-43r. un’origine locale, né si conoscono il nome e la patria del copista. A confondere ulteriormente il quadro, in ragione anche della cronologia del reperto, interviene la tendenza verso un modello di lingua sovramunicipale che, pur lasciando intatte alcune significative marche dialettali, stempera tanto il colore idiomatico originario dei testi quanto i tratti individuali dei copisti.1 4. 1. Aspetti grafici Sul piano grafematico merita un cenno il sostanziale annientamento dell’uso di <x> per la sibilante sonora (< c, sj latina), in coerenza, oltre che con la cronologia relativamente tarda del codice, con le consuetudini grafiche di area lombarda orientale:2 al netto di un isolato croxe (iii 26), con <x> nella consueta posizione intervocalica, il grafema sopravvive soltanto in sede esposta (malvax i 8, ii 12, crox i 24, 27, verax i 87, pax i 88); per il resto è sostituito da <s>.3 poche “caratteristiche regionali” non specificano particolarmente la lingua dei capitoli e del Laudario, che “si presenta su per giù, nelle linee generali, nelle condizioni che conosciamo per altri monumenti letterari dell’alta Italia nel secolo xiv”» (Stella 1994c, p. 276). 1 Questa sorta di bidirezionalità, caratteristica delle scriptae trecentesche nel loro percorso di affrancamento dal modello municipale (Stella 1994b, pp. 168-70), è segnalata da Ciociola a proposito dell’escursione linguistica che distanzia A da L (Ciociola 1979, pp. 62-63). 2 Per una verifica sulla resa di /z/ negli antichi volgari di Bergamo e Brescia, si vedano Lorck 1883, pp. 41-44 e 51-52; Sabbadini 1904, pp. 281-92; Contini 1935b (2007); Ciociola 1979; Tomasoni 1984, ecc. 3 In L1, coerentemente con il modello linguistico “milanese”, <x> è di largo utilizzo. 38 giuseppe mascherpa Fig. 2. Firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 1179, cc. 41v-42r. Da segnalare poi l’ampio ricorso – specie in principio e in fine di parola, e spesso allo scopo di evitare un proliferare di jambages – a <y>, sia semivocalica (nei pron. ay, ey i 13, 19, dayme i 37, doya i 56, Mayni ii 8, Yuda i 5, iii 2 ecc.) che vocalica (gy i 11, ogy i 67, rayna i 48, iii 84, yncenso ii 42 ecc.).1 Tra le occorrenze di <g>, si evidenziano in particolare quelle con valore di affricata palatale ante a/o (spogavan i 19, sparpagar iii 16, vogo iii 64: sull’esito lj > /dȜ/ si veda il § 4.2); mentre la grafia ipercorretta dell’isolato scliva (‘schiva’ iii 59 [< germ. skiuhan: rew 8002]) permette di associare <cl> (altrove solo in voci dotte) a /t∫/. L’affricata dentale sorda e sonora è resa in genere da <ç>; sporadici <z> (in due isolate comparse: strangozà i 70, cazia iii 47) e <c>, che nel solo ii occorre anche davanti a vocale non palatale (olcuto 15, alegreca 33, se non è per omissione di cediglia). La caratteristica grafica più sorprendente dei vulgaria di L2 risiede però in una inusuale rappresentazione della dentale intervocalica. Accanto a <t> (largamente maggioritaria) e <d> si contano infatti ben tredici occorrenze, equamente distribuite lungo i tre testi,2 della scrizione <2>, del tutto simile nel tratteggio al segno utilizzato per r rotunda, z ed et tironiano: con ogni probabilità vi si deve leggere la riproduzione meccanica, oltremodo passiva, di una peculiarità scrittoria del modello, nel quale, evidentemente, alcune <t> dal ductus corsivizzante dovevano avere l’aspetto di <r> rotunde.3 1 Un uso abbondante di questa grafia si registra anche nei coevi laudari bergamaschi: si vedano in particolare i rilievi di Tomasoni 1984, pp. 80-81. 2 i: salva2or 2, aspu2açàn 21, se2e 59, e2 aseto 60, bea2o 94; ii: Na2al 1, salva2ó 4, na2 14, parti2a; iii: batu2o, parti2a, rosa2a, refu2ata. 3 Il suggerimento è di Sandro Bertelli, che ringrazio. sulle laude in volgare di un codice laurenziano 39 Fig. 3. Firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 1179, cc. 40v-41r. 4. 2. Aspetti fonetici e morfologici Nel contesto di una robusta fenomenologia fono-morfologica genericamente padana, meritano di essere segnalate in primo luogo le condizioni lombarde di caduta delle atone finali -e e -o, apocopate soprattutto dopo liquida o nasale (i: dolor 1, disevan 25, cel 64 ecc.; ii: Dinatal 1, Segnor 2, rason 3 ecc.; iii: pasion 19, celo 81, fiol 1, ecc.), meno spesso dopo -m (ii: com 43; iii: com 6 ecc.), sibilante (i: malvax 8, crox 27, dis 42, vos ‘volle’ 61, ecc.; ii: malvax 12; iii: mis 18, vis 31) e n + dentale (i: recoman 42, mon [< mond] 74; ii: dillientment 28, alegrament 39, devotament 40, present 41; iii: relucent 85), in un solo caso – di colore schiettamente lombardo-orientale – dopo dentale semplice (ii: nat 14). Ancora più consistente, e in buona parte dei casi riconducibile alla tendenza ricostruttiva della scripta, è però il drappello delle forme piene (i: remore 15, langorre 57, dolore 58, doso 19, apreso 31 ecc.; ii: segno 9, quando 7, 11, 15, yncenso 42, q(u)esto 14, ecc.; iii: crose 5, aulente 15, doverese 28, çente 77, toleto 3, grande 8 ecc.), con qualche caso di restituzione indebita (-o pro -e: volo i 91, coro i 38, davanto i 13; -e pro -o/i: q(u)ande ii 31, 35, latrone iii 18, monte ‘molto’ iii 5, lase i 41 [o las’e’]).1 Le due sole occorrenze di -u – spirtu i 68, pregaremu iii 84 – si spiegano la prima co- 1 Da segnalare tuttavia come -o > -e non sia sconosciuto alla fonetica del dialetto lodigiano moderno: il tipo quande è ampiamente documentato nella Sposa Francesca di Francesco De Lemene (Isella 1979, Concordanze, s.v.), le forme sòpe, göbe ‘zoppo’, ‘gobbo’ ecc. sono registrate dall’ais per Sant’Angelo Lodigiano e riprese da Contini nel suo celebre saggio dialettologico: vd. Contini 1935a (2007), p. 57. 40 giuseppe mascherpa me cultismo,1 la seconda, se non c’è errore di copia (*pregarem nu → pregaremu), come relitto di uno strato linguistico allotrio difficilmente precisabile. Una certa resistenza all’apocope si manifesta anche nella resa degli infiniti, dove le forme con desinenza -r(e) (i: far 23, portar 24, penar 32, veder 56, seguir 91; ii: rasonar 13, 23, naser 26, adorar 30; iii: far 4, 28, consolar 24, 40, 52, abraçar 36, romanir 58, guardare 63, morir(e) 22, 74 ecc.) controbilanciano il tipo lombardo in -à/-ì più compromesso con il dialetto (i: cercà 61; ii: salvà 2, scampà 6, spià 20, odì 3, venì 19, 21, dì/dỳ, 20, 29; iii: consolà 44, 67, 75, levà 48, fà 56, acompagnà 60, lagremà 79, lavà 83); o nei continuatori di -atu/-itu/ -utu, che al netto di trascurabili eccezioni (i: strangozà 70; ii dì ‘detto’ 27; iii pe[cà] 8) compaiono sempre in forma piena (i: Pilato 13, abandonata 82, partita 36 ecc.; ii: olçuto 15, partita 22, profitiçato 24 ecc.; iii: tradito 2, ferito 11, desomiato 12 ecc.). Riconducibile alla Lombardia orientale, benché non ne sia esclusiva, è la chiusura di ē > i,2 che nei nostri testi (soprattutto in i e ii) investe la desinenza dell’indicativo imperfetto dei verbi in -e- (i: disiva(n) 33, 40, 84, ma bateva(n) 20, 44, pianceva 43, faseva 54, ‹caç›eva 70, credeva 85; ii: pariva 9, relusiva 10, aviva(n) 17, 33, doviva 26, voliva 30; iii: cazia ‘cadeva’ 47, ma piançeva 45, podevan 52, faseva 79); nel consonantismo, orientano oltre l’Adda i casi di caduta della nasale postonica (i: alcù 57, Longì 71, çascaù 85, ma gran 15, 80, çescun 87, man 28, Çovan 41 ecc.; ii: fantì 28, visió 44, ma rason 3, mason 35, demorason 36; iii: nià 51 ‘neanche’) e la già rilevata occorrenza della dentale scoperta (ii 14 nat), peraltro ammessa anche dal dialetto moderno di Lodi.3 Pertinenti all’area occidentale e altresì compatibili con il lodigiano sono i casi di troncamento dell’uscita -re nei continuatori di -ore (> -ó ii: Sal(l)vató 4, 43, ma Segnor 2, 3; iii: doló 50, ma dolore 30, flor 10, seror 49, dolor 39; sempre -or in i)4 e negli infiniti rizotonici della coniugazione in -e- (ii: nase 22, ma naser 26; iii: torçe 20, defende 25, pende 26, ma fender 27).5 1 Si segnala però che, nel quadro dei dialetti lombardi, -u finale (< -ŭ) persiste dopo nesso consonantico, come vocale d’appoggio, nel lodigiano, oltreché, anche dopo consonante semplice, in altre parlate periferiche: vd. Contini 1935a (2007), pp. 56-59; Rohlfs 1966-1969, § 146. 2 Il fenomeno, normale in bergamasco e mantovano, raro nel bresciano, non è sconosciuto agli antichi volgari lombardo-occidentali. Si veda in proposito la nota, con relativa bibliografia, di Buzzetti Gallarati 1982, p. 35. 3 Nel trattamento delle dentali, il dialetto lodigiano è oggi allineato al gruppo lombardo orientale, che contempla la sonorizzazione all’interno della parola e la conservazione in sede esposta. Non consentono di accertare le condizioni medievali né L1, che perlopiù testimonia una sonorizzazione di coinè (-d-), né il nostro codice, dove le dentali sorde sembrano mantenute per cultismo, sia in posizione intervocalica (i: Salvator 2, Pilato 13, sete 59, aseto 60, abandonata 82, partita 36 ecc.; ii: Salvató 4, partita 22, profitiçato 24, atrovato 25 ecc.; iii: batuto, ferito 11, tradito 2, desomiato 12, rosata 80 ecc.) che nel nesso -tr- (i: latron 29, matre 31, 48, 79, 84; in iii solo -tr-; in ii manca il tipo), con eccezioni poco significative (i: traytor 8, podevan 52; la riduzione -tr- > r è solo in i: pare 65, mare 69). Più indicativi risultano i documenti latini d’area lodigiana dei secoli xii-xiii, nei quali non è infrequente la grafia “bresciana” <th> a rappresentare un esito probabilmente spirantizzato della dentale intervocalica: si vedano il toponimo Mezothano in un libellus del 1174, l’antroponimo Oldrathi e il sost. pothere ‘podere’ in un testamento vergato a Lodi nel 1181, l’antroponimo Tethoria ‘Teodora’ in una rinuncia di Castiglione d’Adda del 1166, ecc. (cdlm, s.v.). 4 Esempi di -ore > -ó si trovano nell’antico milanese (segnó in Bonvesin e nella Disputatio roxe et viole, doló nel Bascapè ecc.), a Pavia nel Grisostomo (candeó: forme desunte dalla banca dati dell’ovi), con ulteriore chiusura > -ú a Como (peccadú, benefactú in Co: Stella 1994b, p. 195 e nota 29). Per Lodi, alle numerose occorrenze di L1 (peccadó, doló, Salvadó) si aggiungano quelle registrate nell’opera del De Lemene, dove il fenomeno si mostra ancora ben vivo (lavó, tenzadó, testó ecc.: Isella 1979, Concordanze, s.v.). 5 La «-e uscita secondaria nell’infinito dei verbi forti» secondo Salvioni 1904 (2008), p. 475, oggi caratteristica del dialetto lodigiano e del resto già abbondantemente attestata in L1 e nella Sposa Francesca (Isella 1979, pp. 12, 91 e 115 [perde], 54 [vende] ecc.), ricorre in antico in tutti i volgari lombardo-occidentali e in genovese. Per le occorrenze del tipo nel lodigiano moderno si rimanda a Biondelli 1853, p. 8. sulle laude in volgare di un codice laurenziano 41 Tra i fatti morfologici si segnalano come lombardi i pronomi di 3ª/6ª al/ay (i: al 57, ay 13, 14, 27, ma ey 19, 28, el 9; ii: al, el 5, 9; iii: ai 55, el 65), abbondantemente attestati in antico milanese a partire dalla metà del Trecento e poi, tra xiv e xv secolo, nelle scriptae di Como, Lodi e Bergamo;1 tipica soprattutto delle varietà orientali è invece l’uscita della 3ª/6ª pers. dell’indicativo perfetto in -à (< *-at), comunque già reperibile nel milanese di Bonvesin e di larga diffusione in area veneta (i: basà 9, piàn 10, menà 11 ecc., ma salvò 30; ii: intrà 11, començà 20 ecc.; in iii manca il tipo);2 notevole, nel planctus, è la tessera arcaica del condizionale analitico (perf. + inf.: éve lavar 32 ‘laverei’, éve consolà 44 ‘consolerei’), presente in antico nei volgari bonvesiniani, nel Grisostomo pavese e nei testi veronesi studiati da Mussafia, e vivo fino a tempi recenti nel dialetto bergamasco.3 Meritano infine una segnalazione alcuni fenomeni di attestazione rara o periferica negli antichi volgari di Lombardia, che le vicende della tradizione hanno depositato nei nostri testi. Si ricordano in particolare l’evoluzione di lj in affricata palatale sonora – normale negli antichi testi di provenienza ligure e veneta e ben documentata anche in Emilia (Ferrara, Modena, Bologna)4 –, che nelle laude di L2 conta tre sparute occorrenze (i: spogavan 19; iii: sparpagar 16, vogo 64; manca il tipo in ii) a fronte del largamente maggioritario /j/; la risoluzione palatale -lli > -gi (i 11 egy ‘essi’), che ha propaggini “lombarde” nelle scriptae di Piacenza e (forse) Cremona, ma che è diffusa prevalentemente nella pianura veneta (fino a Treviso) ed emiliana (Modena);5 la forma monte ‘molto’ (iii 5), marca linguistica principalmente ligure ma non estranea ai dialetti emiliani, rarissima in Lombardia;6 in ambito morfologico, il tipo don (iii 4) per l’ind. pres. 1ª sing. di dovere (‘io devo’), normale a Genova fin dall’Anonimo e, a partire dal pieno xiv seco1 Per la situazione a Milano e Como si veda Stella 1994b, p. 195; per Bergamo, Ciociola 1979, pp. 71-72 nota 32; per l’abbondante casistica esibita da L1, Agnelli 1902, p. 3 ss. Di grande utilità in proposito sono anche gli appunti di grammatica storica offerti in Vai 2014, pp. 110 e 119 ss. 2 Per un quadro generale si veda Rohlfs 1966-1969, § 569; per il lombardo orientale, Contini 1935b (2007), pp. 1209-11 (ripreso in Ciociola 1979, p. 65; Tomasoni 1984, p. 79; Stella 1994b, pp. 172-74). 3 Rohlfs 1966-1969, § 601. Per le occorrenze in antico pavese si rimanda a Salvioni 1902 (2008), p. 434. Un cenno alla consistenza del fenomeno negli antichi testi veronesi è in Bertoletti 2005, p. 246. 4 In assenza di studî specifici sulla distribuzione geolinguistica dell’esito, si rimanda ai contributi riassuntivi, con relativa bibliografia, di Stella 1994a e 1994c e Tomasoni 1994. Vanno forse attribuiti al copista cremonese del codice gli esempi individuati da Lucia Bertolini nella scripta del ms. Palatino 556 (Bertolini 2009, pp. 38-39 e note); quanto alle poche occorrenze mantovane, certo spiegabili alla luce della contiguità con il dominio veronese, si veda invece Ghinassi 1965 (2006), pp. 75-76 e note. 5 Per la ben nota diffusione veneta (centrale e occidentale) ed emiliana di questo esito si rimanda principalmente al saggio di Formentin 2002. Affronta la questione, fornendo una ricca bibliografia specifica, anche Bertoletti 2005, pp. 180-81 e note. Quanto alle occorrenze lombarde, desta più di un sospetto l’abbondante casistica ricavabile dai poemetti cremonesi di Uguccione e Patecchio, nei quali il fenomeno potrebbe rimontare al copista veneto del codice Saibante (tanto più che non ve n’è traccia nei testi documentari riconducibili sicuramente a Cremona editi in Grignani 1980 e Saccani 1985). Meno ambigua la situazione emiliana: per l’area piacentina, la sparuta occorrenza dell’articolo gi < illi nell’iscrizione volgare del castello di Montechiaro («vu siè tuti gi ben vegnù»: si veda Stussi 1997, p. 174) è ora corroborata dalla ricca esemplificazione ricavabile dal frammento quattrocentesco di un inedito libro di confraternita conservato presso l’Archivio di Stato di Pavia e attualmente allo studio per cura di chi scrive. Per Modena e Bologna un’utile sintesi è in Stella 1994b, pp. 269-70 e 266-67. 6 Parodi 1901, p. 6, Rohlfs 1966-1969, § 245, ecc. Quanto alla diffusione lombarda del tipo, Salvioni 1902 (2008), p. 447 registra un’occorrenza di monte ‘molto’ a Pavia (per influsso ligure?) in un codice confraternale quattrocentesco. Circa l’uso emiliano, noto a Dante almeno per Parma (dve, I xv), ma documentato oggi anche a Modena e Bologna, si veda D’Ovidio 1876, p. 101 e nota 3; all’Emilia potrebbero ricondurre anche le due occorrenze di monto registrate da Lucia Bertolini nella scripta del ms. Palatino 556 (Bertolini 2009, p. 48 e nota 187). 42 giuseppe mascherpa lo, a Venezia, quasi assente in area lombarda, se si eccettua qualche sporadica comparsa pavese e mantovana lungo il Trecento;1 nel lessico, infine, le forme çuderi (‘giudei’, iii 3) e sprecioso (‘prezioso’, iii 34): la prima di diffusione specialmente toscana e umbra, con tracce di risalita in Liguria (due occorrenze nel Tratao de li vii peccai mortali) e Veneto (nel laudario udinese, c. 15r); la seconda documentata, oltreché nel manoscritto (con patina modenese) del Flore de parlare di Giovanni da Vignano, in testi di area genovese.2 4. 3. Proposte conclusive Una considerazione complessiva di alcuni tratti fono-morfologici emersi dallo spoglio (apocope delle finali, caduta di -n postonica, dentale scoperta, imperfetto in -iva dei verbi in -e-, perfetto di 3ª/6ª in -à), incrociata con l’esame delle strutture metrico-prosodiche e – laddove possibile – con i dati offerti dalla tradizione, sembra indicare un’origine bergamasca per Ceschaduno pianza con dolore e più genericamente lombardoorientale per la “lauda dell’Epifania”. Nel caso della passio, la localizzazione pare già suggerita dall’indiscutibile bontà testuale esibita dal gruppo dei manoscritti riconducibili a Bergamo (L A Bo) a fronte degli altri numerosi testimoni; alla lezione di questi codici la copia di L2, pur dipendente da un antigrafo già in parte annacquato nei caratteri idiomatici originari, si rivela in effetti molto vicina. Una volta rimossa la patina di coiné che investe anche il fine verso (çudé : Deo 17-18, omnipotente : tormento : tradimento 3-5, çente : lomento 53-54, sete : aseto 59-60, disevam : crucifia 25-26, diseva : rayna 47-48),3 riaffiorano in L2 le stesse rime e assonanze della redazione di L A Bo, tra le quali, in particolare, ben si accordano con l’ipotesi bergamasca quelle dei vv. 25-26 e 47-48; allo stesso modo, l’obliterazione mentale delle finali reintegrate dai copisti consente di restituire all’esatta misura del novenario buona parte dei versi che in L2 risultano ipermetri (10 «quandọ li çudé si te piàn», 13 «Davantọ Pilatọ ay te mennà», 22 «de spinẹ ponçentẹ t’incoronà», 29 «in meçọ te misẹn de du latron», 49 «per quellọ dolcẹ frutọ che tu é port‹ato›», ecc.), rivelando condizioni di caduta piuttosto radicali e del tutto coerenti con la lezione dei tre bons manuscrits.4 Anche nella “lauda dell’Epifania”, che dei componimenti di L2 è quello che meglio conserva l’originaria fisionomia dialettale,5 soltanto l’apocope massiccia (di nuovo, reale e mentale) garantisce le assonanze cità : malvax : rasonar : nat 11-14, rasonar : profitiçatọ : atrovatọ, dì (‘detto’): fantì : dì (‘dire’), nonché la tenuta metrica dei vv. 10 «che tuto lọ mondọ si relusiva», 18 «c’al no gẹ tolesẹ la segnoria», 22 «und’el de’ nasẹ et in qual partita», 28 «Dillientment cerché el fantì», 44 «la no‹gẹ› ge ven in visió» ecc.; al contempo l’abbondanza degli imperfetti in -iva anche in sede di rima (pariva : relusi[va] 9-10,6 aviva : segnoria 17-18, avivan : via 33-34, doviva 26, voliva 30) costituisce un ulteriore argomento 1 Una scheda esaustiva sulla distribuzione dei tipi do/doe/don ‘io devo’ negli antichi volgari settentrionali è offerta da Bertoletti 2007, pp. 47-52 e note. 2 Rohlfs 1966-1969, §§ 284 e 339; Corpus ovi, forme sprecioso, spritios*. Sul colore linguistico del Flore è decisivo il contributo di Corti 1961. 3 L’obliterazione del lomb. or. -iva nelle desinenze dell’imperfetto, anche in sede di rima (vv. 25-26), a favore della soluzione non municipale (-eva) non può essere iniziativa del copista di L2, che nel testo successivo conserva senza eccezioni il primo tipo. 4 Per la verifica si veda Chiodi 1957, pp. 36-38. 5 L2 è latore di un buon testo anche a fronte di Mi e Co, la cui lezione, al netto delle differenze strutturali con la copia lodigiana (rispetto alla quale sono presenti tre quartine in più nella parte iniziale, ma vengono meno le due conclusive), è spesso deteriore sul piano della varianti sostanziali, del metro e della lingua. 6 Conservata anche da Co (apariva : reluxiva) e Mi (apariva : luxiva). sulle laude in volgare di un codice laurenziano 43 in favore della provenienza lombardo-orientale del testo, pure in assenza di testimoni pertinenti a quell’area. Una tradizione interregionale testualmente instabile (vd. sopra, § 2) e una lingua di fondo padano avara di tratti marcati rendono infine problematica la collocazione geografica del planctus, vero e proprio “testo aperto” che rimane complessivamente inattingibile nella sua primitiva fisionomia strutturale, metrica e linguistica. Ciò che più lo caratterizza in tutti i testimoni, sotto il profilo della scripta, è una spiccata conservatività nel trattamento delle atone finali, caduche dopo liquida o nasale ma in genere mantenute – non solo graficamente, lascia supporre il metro – nelle altre sedi:1 fatto che, insieme alla sostanziale mancanza di indizi lombardo-orientali,2 sancisce per questa lauda un’origine diversa, probabilmente neppure lombarda, rispetto alle altre accolte in L2; considerata la geografia della tradizione, si può invece pensare a un prodotto di area emiliana o veneta, di cui la redazione testimoniata dai codici lodigiani, da Mi e per minimi lacerti da Co rappresenterebbe l’estrema propaggine occidentale. Abbreviazioni bibliografiche Agnelli 1902 = Giovanni Agnelli, Il libro dei battuti di San Defendente di Lodi. Saggio di dialetto lodigiano del secolo decimo quarto, «Archivio Storico Lodigiano», 21, pp. i-xv, 1-108. 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