Psicologia Sociale
Capitolo 2
“Pensiero Sociale”
1.0 Definizione di pensiero e cognizione
Pensiero: coincide con il linguaggio interiore e con i simboli che usiamo. È qualcosa di cui si è consci,
consapevoli.
Cognizione: si riferisce a processi mentali che possono essere in larga misura inconsci: non ne siamo
pienamente consapevoli e ce ne accorgiamo solo facendoci attenzione.
È un’attività mentale attraverso cui si elaborano, comprendono e memorizzano informazioni
percettive e attraverso cui si pianifica e programma ciò che si fa.
1.1 Come si formano le impressioni sugli altri?
La psicologia sociale ha sempre proposto teorie dell’attività cognitiva per spiegare il
comportamento sociale. Questo tipo di approccio è definito col termine cognizione sociale.
La cognizione sociale ha subito notevoli cambiamenti lungo la storia:
1940 – 1950: Coerenza cognitiva
Le persone provano disagio quando i loro pensieri sono contradittori. In tal ottica tutti i
comportamenti e le razionalizzazioni possibili sono finalizzati a risolvere l’incoerenza, anche
modificando i propri atteggiamenti.
1970: Scienziato ingenuo
Le persone hanno necessità di attribuire specifiche cause ai comportamenti e agli eventi per rendere
il mondo un luogo dotato di un senso su cui agire.
Le persone però non sono dotate di analisi scrupolose e operano attraverso scorciatoie cognitive.
1980: Economizzatore economico
Modello di cognizione sociale secondo cui le persone utilizzano le cognizioni meno complesse e
faticose in grado di produrre cambiamenti adattivi circa il comportamento.
1985: Tattico motivato
Modello di cognizione sociale secondo cui le persone dispongono di molteplici strategie cognitive
che selezionano in funzione di obiettivi, motivi e necessità personali.
2007: Neuroscienza sociale
Indagine sulle basi neurologiche dei processi tradizionalmente esaminate dalla psicologia sociale.
1.2 Formazione e controllo delle impressioni
La formazione delle impressioni e della percezione della persona sono aspetti importanti della
cognizione sociale.
• Asch (1946): le impressioni che formiamo sono influenzate più da alcune informazioni che da altre.
Tratti centrali: sono quei tratti che hanno
un’influenza spropositata sulla configurazione
delle impressioni facciali.
Tratti periferici: sono quei tratti che hanno
influenza
poco
significativa
sulla
configurazione delle impressioni finali.
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• Asch (1946): le impressioni sono influenzate dall’ordine in cui si ricevono informazioni
Effetto primacy: ordine di presentazione in
cui le informazioni comunicate per prime
hanno un’influenza sproporzionata sulla
cognizione sociale.
Effetto recency: ordine di presentazione in
cui le informazioni comunicate per ultime
hanno un’influenza sproporzionata sulla
cognizione sociale.
• George Kelly (1955): le persone hanno convinzioni idiosincratiche e durature.
Costrutti personali: modi personali e idiosincratici con cui si rappresentano gli altri. Gli attributi sono
i più importanti nel formulare un giudizio verso le persone.
• David Schneider (1973): le persone possono formulare più filosofie della natura umana integrate
Teorie implicite della personalità: modi personali e idiosincratici con cui si rappresentano gli altri e
si spiega il loro il comportamento: principi generali riguardanti quali tipi di caratteristiche si
combinano insieme per formare una certa personalità.
• Knapp (1978): l’aspetto fisico risulta importante nell’influenzare le impressioni.
2.0 Schemi e categorie
La percezione umana non “riproduce” semplicemente la realtà esterna, ma la “ricostruisce”
attraverso l’uso degli schemi.
Uno schema quindi è una struttura cognitiva che rappresenta un oggetto di conoscenza, includendo
i suoi attributi e i loro legami, influenzando le codifiche delle informazioni nuove, il ricordo di
informazioni già acquisite e le inferenze relative ai dati mancanti.
2.1 Processi di conoscenza
Secondo il modello di individuo come tattico motivato, le persone usano processi di conoscenza a
seconda degli scopi che perseguono:
Processi di conoscenza top-down (deduttivo)
Processi di conoscenza bottom-up (induttivo)
Si basano sull’esistenza di concetti e teorie
presenti in memoria, che permettono di
trattare stimoli nuovi facendo riferimento a
informazioni già possedute.
Si basano sui dati della situazione in atto
raccolti tramite la percezione. Sono più
accurati ma più dispendiosi sul piano
temporale in quanto si centrano su ogni
singolo elemento di informazione.
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2.2 Tipi di schemi sociali
Ci sono diversi tipi di schemi sociali, ognuno dei quali influenza la codifica di informazioni nuove, il
ricordo di informazioni vecchie e le influenze capaci di completare le informazioni mancanti.
Schemi di persona
Contengono le informazioni utilizzate per descrivere le persone in base a tratti della personalità e
altre caratteristiche che le distinguono. Includono aspettative che influenzano il ricordo di azioni e
la comprensione di nuove informazioni.
Schemi di sé
Contengono le informazioni relative a se stessi. La descrizione di sé è organizzata intorno ad alcuni
tratti centrali.
Schemi di ruolo
Organizzano le conoscenze relative ai comportamenti attesi da una persona che occupa una
determinata posizione nella struttura sociale.
Schemi di eventi o script
Includono conoscenze relative alla sequenza di azioni appropriate in un determinato contesto,
comprese le aspettative sul modo in cui si comporteranno gli altri.
Schemi senza contenuto
Non descrivono persone o categorie specifiche, ma sono “regole” per elaborare informazioni.
2.3 Categorie
Per applicare uno schema particolare è necessario categorizzare un’istanza in modo adeguato.
Un’istanza può essere una determinata persona, evento o situazione.
Le categorie sono quindi insiemi sfuocati di attributi correlati, definiti complessivamente prototipi.
Tuttavia, oltre a rappresentare le categorie come prototipi, le persone possono rappresentarle
come esemplari.
I prototipi sono rappresentazioni cognitive
delle caratteristiche tipiche/ideali che
definiscono una categoria.
Gli esemplari sono istanze specifiche
rappresentate dai singoli membri di una
categoria.
Quando le persone acquistano più familiarità con una categoria passano dall’uso dei prototipi all’uso
degli esemplari.
2.4 Stereotipi e Il principio di accentuazione di Tajfel
Gli stereotipi sono fondamentalmente schemi di gruppi sociali caratterizzati da immagini
semplificate dei membri di un gruppo (spesso dispregiative verso i membri di un outgroup) e si
basano su differenze, talvolta creandole, chiaramente visibili tra i gruppi.
La stereotipizzazione quindi è una scorciatoia cognitiva che ha una funzione adattiva, dato che
permette di formare rapide impressioni sulla gente.
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Gli stereotipi non sono imprecisi o errati e possono anche avere un fondo di verità; il punto chiave,
tuttavia, è che servono a comprendere particolari interazioni intergruppo. Difficilmente cambiano,
e se succede è in risposta a più ampi cambiamenti sociali, politici o economici. Tenderanno a
persistere se nella memoria possiamo facilmente accedervi, vista la loro funzione adattativa dal
punto di vista cognitivo e l’importanza circa la definizione della propria identità.
Cambiamenti nell’accessibilità o nell’adeguatezza modificheranno lo stereotipo.
Alcuni stereotipi sono acquisiti precocemente, spesso prima che il bambino conosca il gruppo che
viene stereotipato, mentre altri si cristallizzano dopo i 10 anni.
All’aumentare dei conflitti tra i gruppi, aumentano gli stereotipi e la difficoltà nel modificarli.
L’effettivo processo di categorizzazione può portare ad una “distorsione” percettiva che conferisce
alla stereotipizzazione alcune delle sue caratteristiche distintive.
Affidarsi a categorie per chiarire le percezioni è un’attività umana assolutamente indispensabile, ma
che produce anche distorsioni cognitivo-percettive generalizzate.
Tajfel ha dimostrato come diamo risalto:
1) alle analogie tra istanze appartenenti alla stessa categoria;
2) alle differenze tra istanze appartenenti a categorie diverse;
3) alle differenze tra categorie diverse considerate nel loro complesso;
Questo effetto aumenta quando le persone sono incerte su come giudicare qualcosa e quando esse
pensano che ciò che stanno categorizzando sia molto importante, pertinente e dotato di valore.
Inoltre, Shelley Taylor ha scoperto che tendiamo a fare più errori all’interno di una stessa categoria
che tra le diverse categorie.
Le categorie che usiamo fungono da base per gli stereotipi. Tuttavia, per una più profonda
comprensione di questi ultimi è necessario riconoscere che essi si sviluppano da un gruppo per
caratterizzarne un altro e che sono strettamente legati alla natura delle relazioni tra i gruppi
coinvolti, fornendo una spiegazione di fenomeni sociali complessi come la rappresentazione sociale.
2.5 Come si usano e cambiano gli schemi
Secondo Eleanor Rosch (1978) le persone tendono a fare ricorso a categorie di base: categorie di
ampiezza media che godono di priorità cognitiva perché più utili (es. “sedia” al posto di “mobile” al
posto di “sedia a dondolo”). Bisogna sottolineare che le categorie sono organizzate gerarchicamente
in modo che quelle meno inclusive siano inserite sotto quelle più inclusive.
Secondo la teoria della distinzione ottimale di Brewer (1991), le persone si sforzano di raggiungere
un equilibrio tra spinte opposte tendenti all’inclusione e alla distinzione: un equilibrio espresso nei
gruppi come bilanciamento tra la differenziazione e l’omogeneizzazione intragruppo.
Gli schemi che usiamo in modo automatico sono sufficientemente accurati per l’interazione
quotidiana andando a generare un compromesso tra la rapida cognizione deduttiva top-down e la
scrupolosa cognizione induttiva bottom-up.
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Un fattore che determina questo compromesso è la percezione dei costi dell’errore o
dell’indecisione.
Costi dell’errore
Se le conseguenze dell’errore hanno costi più
elevati, stiamo più attenti ai dati e
adoperiamo schemi più accurati. I costi
dell’errore risultano rilevanti quando i rinforzi
(positivi o negativi) che riceviamo dipendono
da altre persone e avvertiamo una forte
responsabilità.
Costi dell’indecisione
Se ad essere elevati sono i costi
dell’indecisione, le persone prendono
decisioni rapide e formano velocemente le
proprie impressioni in quanto si segue uno
schema secondo il quale è più funzionale
costruire un’impressione veloce e inaccurata
piuttosto che non costruirne alcuna. I costi
dell’indecisione sono alti quando le persone
devono assolvere un compito sottopressione,
sono ansiose o distratte.
Le persone, nonostante ciò, sono comunque consapevoli del fatto che gli schemi possono essere
incerti e in alcuni casi sgradevoli. Alcuni riescono meglio di altri ad evitare l’eccesiva dipendenza
dagli schemi. Tuttavia, i tentativi di attenuare o aggirare i processi automatici non hanno molto
successo.
2.5.1 Acquisizione degli schemi
Da dove derivano i nostri schemi?
Le persone possono semplicemente comunicarceli oppure possiamo esserne informati leggendo.
Tuttavia, vi è una maggiore probabilità che sia l’incontro (diretto o indiretto) con istanze che si
inseriscono nella categoria a generare uno schema. Non solo, uno schema più arricchirsi, diventare
più complesso e organizzarsi più saldamente attorno a una singola, compatta struttura mentale,
attivabile esclusivamente nel suo insieme. Gli schemi che si formano in questa maniera sono
piuttosto elastici e anziché ignorare le eccezioni soltanto perché possono minacciare lo schema,
tendono ad includerle.
2.5.2
Modificare gli schemi
Gli schemi possono conferire un senso di ordine, struttura e coerenza a un mondo sociale che
sarebbe altrimenti altamente complesso e imprevedibile.
Le persone pensano molto ai loro schemi e presentano ogni sorta di prova a loro supporto.
Tuttavia, se davvero sono inesatti, gli schemi possono cambiare.
Mick Rothbart (1981) ha proposto tre possibili modalità di cambiamento degli schemi:
1. Per registrazione: gli schemi cambiano di fronte all’accumulo di prove;
2. Per conversione: gli schemi cambiano all’improvviso dopo che si è accumulata una massa
critica di prove discordanti
3. Per formazione di sottotipi: per rimediare alla presenza di prove discordanti, gli schemi
possono formare una nuova sottocategoria. Questa modalità risulta essere la più comune.
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3.0 Come percepiamo gli altri
La codifica sociale è il processo di rappresentazione degli stimoli esterni nelle nostre menti.
È composta da almeno quattro fasi principali:
1. Analisi preattentiva: scansione automatica, inconscia dell’ambiente.
2. Attenzione focalizzata: identificazione e categorizzazione consapevole degli stimoli una
volta che sono stati identificati.
3. Comprensione: attribuzione di significato agli stimoli.
4. Elaborazione inferenziale: collegamento dello stimolo ad altre conoscenze per rendere
possibili inferenze complesse.
La codifica sociale dipende in larga misura da ciò che cattura la nostra attenzione. A sua volta,
l’attenzione è influenzata dalla salienza e dall’accessibilità.
Per salienza s’intende la proprietà che distingue uno stimolo dagli altri in un contesto specifico.
Le persone possono essere salienti perché:
• sono inusuali e si distinguono dall’ambiente circostante;
• il loro aspetto o comportamento non corrisponde alle vostre aspettative;
• sono importanti in un determinato contesto.
Le persone salienti sono considerate più influenti e più direttamente responsabili del loro
comportamento e tendiamo a formarci impressioni coerenti su di loro; la gente, infatti, non ricorda
necessariamente più aspetti delle persone salienti, ma trova più facile conservare una loro
immagine mentale coerente.
Per accessibilità s’intende la facilità nel richiamare categorie o schemi che già abbiamo in mente.
Siccome le categorie accessibili sono quelle che usiamo di più e sono coerenti con i nostri obiettivi,
necessità e aspettative, vengono attivate molto facilmente da ciò che vediamo e ascoltiamo.
Tale processo prende il nome di priming ovvero l’attivazione nella memoria di categorie o schemi
accessibili, che influenzano il modo in cui elaboriamo nuove informazioni.
Una volta attivata, una categoria interpreta gli stimoli, in particolare quelli ambigui, in maniera
coerente. Talvolta però, è possibile che le persone riescano a contrastarne l’impiego.
3.1 Come ricordiamo gli altri
Ciò che ricordiamo costituisce la nostra memoria delle persone.
Di solito, tendiamo a non affidarci alla memoria; piuttosto ci formiamo delle impressioni basandoci
sui dati in entrata che vengono assimilati dagli schemi per produrre un’impressione: quanto più la
nostra attenzione è focalizzata, tanto più profondamente elaboriamo e immagazziniamo
informazioni sulle persone.
Secondo il modello della rete di associazioni, la memoria è costituita da nodi o idee che sono
collegati da legami associativi lungo i quali può propagarsi l’attività cognitiva.
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Una caratteristica fondamentale che si applica alla memoria delle persone è che l’informazione
incoerente con l’impressione che abbiamo di una persona attrae attenzione e genera cognizione,
venendo quindi ricordata meglio. È più probabile che questo si verifichi nel momento in cui non
abbiamo un’impressione ben definita.
La memoria di solito si basa su informazioni concrete direttamente osservabili ed è conservata nella
mente come un’immagine.
Ricordo dei tratti fisici
Ricordo dei tratti delle persone
Siamo incredibilmente accurati nel ricordarci
dei volti. Tuttavia ci risulta difficile ricordare
quei volti di persone che non appartengono al
nostro gruppo a causa della bassa attenzione
che poniamo d’innanzi a loro.
Conserviamo i ricordi dei tratti delle persone
sotto forma di proposizioni che possono
essere alquanto astratte, queste si basano su
inferenze causali derivate dal comportamento
e dalle situazioni e tendono a codificare i tratti
in termini di desiderabilità sociale e
competenza.
Anche se osserviamo direttamente il
comportamento, il modo in cui lo ricordiamo
è influenzato dalle nostre inferenze sul suo
obiettivo o fine.
Ci sono due modi distinti attraverso i quali, una volta percepite, possiamo organizzare le
informazioni riguardanti le persone: per individuo o per gruppo.
Per individuo
L’organizzazione per individuo consiste nel
ricordare le persone considerandole come un
insieme di informazioni che combinano tratti
di
personalità,
comportamenti
e
caratteristiche fisiche.
Tale organizzazione produce ricordi ricchi e
accurati e facilmente richiamati alla memoria
e avviene principalmente con persone reali
con le quali siamo in grado di interagire (es.
familiari, amici, colleghi).
Per gruppo
L’organizzazione per gruppo consiste
nell’etichettare l’individuo, descrivendolo e
memorizzandolo in termini di attributi
stereotipati relativi a una categoria sociale
saliente.
È possibile che entrambi i modi di organizzare le informazioni possano coesistere e attivarsi a
seconda del contesto.
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Informazioni
sulla persona
Organizzazione
per individuo
Capitolo 2
Giovanna è una patita del cinema
Luca è un nuotatore
Davide è uno studente di medicina
Giovanna è una studentessa di medicina
Davide è un nuotatore
Davide
Giovanna
patita
del
cinema
Organizzazione
per gruppo
“Pensiero Sociale”
Studentessa
di medicina
nuotatore
Giovanna
Davide
nuotatore
Studente di
medicina
Studenti di
medicina
Patiti del
cinema
Luca
Giovanna
Nuotatori
Davide
Luca
4.0 Inferenza Sociale
Il termine si riferisce al modo in cui elaboriamo informazioni sociali per formarci impressioni sulle
persone ed esprimere giudizi al loro riguardo.
Considerata l’esistenza dei due processi di conoscenza (bottom-up e top-down), ogni volta che
entrano in gioco i nostri atteggiamenti utilizziamo due differenti percorsi di elaborazione.
Possiamo scegliere un percorso euristico/periferico per rapide decisioni da prendere su due piedi,
basate su stereotipi, schemi e altre scorciatoie cognitive o un percorso sistematico/centrale quando
dobbiamo riflettere attentamente e in modo ponderato.
Qualunque processo usiamo, però, le nostre inferenze di solito sono meno accurate di quanto
potrebbero essere e non molto scientifiche. Siamo quindi prenda di errori sistematici.
4.1 Correlazione illusoria
Una tendenza sistematica che ci porta a commettere errori è la correlazione illusoria. Essa consiste
nell’esagerazione cognitiva della frequenza con cui si manifestano contemporaneamente due
stimoli o eventi, o percezione di una co-occorenza inesistente.
Quando facciamo un’inferenza, in sostanza giudichiamo che esista una correlazione. Il carattere
illusorio è dato dalla tendenza a sopravvalutare il tasso di correlazione o persino a vedere una
correlazione dove obiettivamente non ne esiste alcuna.
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Secondo Chapman (1967) ci sono due basi per la correlazione illusoria: il significato associativo e la
differenziazione condivisa.
Significato associativo
Si considerano gli elementi associati perché
“dovrebbero” esserlo, sulla base di
aspettative precedenti.
Differenziazione condivisa
Si considerano gli elementi associati perché
condividono qualche caratteristica inusuale.
Entrambi i processi condivisa sono collegati all’attivazione dello stereotipo.
Il significato associativo è abbastanza chiaro, mentre per quanto riguarda la differenziazione
condivisa bisogna dire che gli eventi negativi della vita reale sono distintivi in quanto considerati più
rari di quelli positivi e i gruppi minoritari sono distintivi perché le persone hanno pochi contatti con
loro. L’attivazione di stereotipi circa i gruppi minoritari sarà scaturita, in tal senso, da una
correlazione illusoria basata sulla distintività.
4.2 Euristiche cognitive
Le euristiche cognitive sono scorciatoie inferenziali guidate dallo schema: traiamo conclusioni a
sostegno di schemi che già possediamo. Viene tradotta quindi la soluzione di un problema dalle
caratteristiche complesse a più semplici operazioni di giudizio.
4.2.1 Euristica della rappresentatività
Scorciatoia cognitiva grazie alla quale gli esemplari vengono assegnati a categorie o tipologie sulla
base della somiglianza complessiva che essi presentano nei confronti della categoria di riferimento.
Se consideriamo sufficiente il livello di somiglianza, inferiamo che la persona possiede tutti gli
attributi di quella categoria e che quindi sia parte di questa.
4.2.2 Euristica della disponibilità
Scorciatoia cognitiva in cui la frequenza o la probabilità di un evento di basano sulla velocità con cui
vengono alla mente esemplari o associazioni.
Gli eventi o le associazioni che vengono in mente con facilità sono considerati più comuni e diffusi
di quanto non lo siano realmente, non sempre quindi questa euristica risulta affidabile dato che
possiamo essere esposti personalmente a eventi o associazioni che obiettivamente rare.
4.2.2 Ancoraggio e accomodamento:
Scorciatoia cognitiva in cui le inferenze sono collegate a modelli iniziali o a schemi, non solo, le
inferenze riguardo agli altri sono spesso ancorate alle convinzioni che abbiamo su noi stessi.
Possiamo quindi produrre giudizi riferendoci agli schemi del nostro io.
Aspetti critici delle euristiche cognitive.
Sebbene l’inferenza sociale delle euristiche cognitive non sia affidabile come potrebbe, di solito è
sufficiente e adatta alla vita quotidiana: obiettivamente, “rimedi” alle nostre scorciatoie cognitive
possono non essere necessari.
Nonostante ciò, mancare di accuratezza può avere alcuni effetti indesiderabili.
Tra questi, la formazione di impressioni imprecise sugli altri, o lo sviluppo di stereotipi sulle
minoranze. Si potrebbe migliorare questo aspetto grazie ad un’educazione formale che abitui
all’impiego del pensiero scientifico e della razionalità e nella comprensione delle tecniche
statistiche.
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5.0 Ricerca delle cause del comportamento
Uno dei motivi chiave che sta alla base dell’inferenza sociale è raggiungere una comprensione
sufficiente degli altri per prevedere come si comporteranno, come ci tratteranno, come dovremmo
comportarci noi e più in generale quale sarà il corso dell’interazione.
Il modo più efficace per far ciò è capire cosa provoca che cosa, grazie alla capacità di attribuire cause
al comportamento e agli eventi.
Heider (1958) credeva che le teorie psicologiche ingenue o del senso comune fossero importanti in
quanto capaci di influenzare il comportamento. Difatti, Heider credeva che le persone fossero
psicologi intuitivi capaci di costruire teorie causali del comportamento umano, aventi la stessa
forma di quelle sistematiche e scientifiche della psicologia sociale.
Per questo motivo, Heider propose una distinzione tra fattori individuali e fattori ambientali.
Fattori individuali: attribuzione interna o
disposizionale.
Fattori ambientali: attribuzione esterna o
situazionale.
Processo di assegnazione delle cause del
comportamento, nostro o altrui, a fattori
interni o disposizionali (es. personalità,
capacità).
Processo di assegnazione delle cause del
comportamento, nostro o altrui, a fattori
esterni o ambientali.
Heider credeva che poiché le cause interne (o intenzioni) ci sono nascoste, possiamo inferirne la
presenza solo se non esistono chiare cause esterne. Tuttavia, le persone tendono, nella stragrande
maggioranza dei casi, ad attribuire cause interne al comportamento.
5.1 Modello della covariazione di Kelley
Una teoria ben conosciuta su come si compiono le attribuzioni è il modello della covariazione di
Harold Kelley (1967) per capire se il comportamento di un individuo sia causato dalla disposizione
interna o esterna.
Per rispondere a questo quesito, le persone considerano tre tipi di informazioni: la coerenza, il
valore distintivo e il consenso.
–
–
–
Coerenza: l’effetto si manifesta ogni volta che lo stimolo è presente indipendentemente
dalle forme di interazione, è alta quando la generalizzazione della risposta dell’attore nel
tempo e nelle possibili modalità di rapporto con il particolare evento-stimolo risulta alta, è
bassa in caso contrario.;
Consenso: le altre persone subiscono lo stesso effetto in riferimento allo stesso stimolo; è
alto quando la generalizzazione ad attori diversi della risposta dell’attore specifico nei
confronti del particolare evento stimolo risulta alta, è basso in caso contrario.
Valore distintivo: l’effetto si manifesta quando è presente lo stimolo ed è assente quando
lo stimolo è assente. È basso o nullo quando il comportamento osservato si verifica anche in
presenza di fattori diversi dall’evento-stimolo, è alto o completo quando si verifica soltanto
in presenza dell’evento-stimolo.
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Le persone compiono con maggiore
probabilità un’attribuzione interna in
presenza di:
– basso valore distintivo
– alta coerenza
– basso consenso
“Pensiero Sociale”
Le persone compiono con maggiore
probabilità un’attribuzione esterna in
presenza di:
– alto valore distintivo
– alta coerenza
– alto consenso
Le ricerche dimostrano che le persone possono certamente fare attribuzioni causali del
comportamento in questo modo, tuttavia usano molto poco l’informazione sul consenso e di solito
non sono molto brave a valutare la covariazione.
5.2 Il modello di Weiner
Bernard Weiner (1979) si è interessato alle cause e alle conseguenze dei tipi di attribuzione compiuti
dalle persone quando eseguono un compito di successo oppure no.
Le tre dimensioni che influenzano l’attribuzione del risultato sono: il luogo, la stabilità e la
controllabilità.
Interno
Esterno
Stabile
Instabile
Stabile
Instabile
Controllabile
Sforzo
tipico
Sforzo
inconsueto
Aiuto o impedimento
costante degli altri
Aiuto o impedimento
inconsueto degli altri
Incontrollabile
Capacità
Umore
Difficoltà del compito
Fortuna
Il modo in cui attribuiamo il risultato di qualcuno in un compito dipende da:
Luogo: la prestazione è dovuta all’attore (causa interna) o alla situazione (causa esterna)?
Stabilità: la causa interna è stabile o instabile?
Controllabilità: in quale misura la prestazione nel futuro compito è sotto il controllo dell’attore?
Il modello di Weiner è di tipo dinamico: prima le persone valutano se hanno avuto successo o hanno
fallito e di conseguenza avvertono un’esperienza emotiva positiva o negativa; quindi compiono
un’attribuzione casuale a proposito della prestazione.
Inoltre, le persone possono provare emozioni specifiche e maturano aspettative capaci di
influenzare le prestazioni future.
Tale modello ha avuto conferme attraverso numerosi esperimenti.
I critici hanno suggerito però che la dimensione della controllabilità possa essere meno importante
di quanto si pensasse all’inizio. Si sono chiesti, fino a che punto le persone, al di fuori delle
controllate condizioni di laboratorio, analizzino i successi in questo modo.
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5.3 Attribuzione causale in azione
Le attribuzioni causali sono quei processi che le persone mettono in atto per cercare spiegazioni per
il loro e per l’altrui comportamento inferendo le cause che stanno dietro specifiche azioni e
sentimenti.
Se si può attribuire un atto alla disposizione di un individuo, ciò significa che di quell’individuo si
conosce la personalità.
Daryl Bem (1972) propose la teoria dell’autopercezione secondo la quale:
1. facciamo attribuzioni del nostro comportamento allo stesso modo in cui facciamo
attribuzioni del comportamento altrui;
2. è per mezzo dell’attribuzione interna del nostro comportamento che aumentiamo la
conoscenza di noi stessi, del nostro sé e della nostra identità.
Secondo Bem quindi, aumentiamo la conoscenza di noi stessi solo facendo autoattribuzioni: per
esempio, inferiamo i nostri atteggiamenti dal nostro comportamento.
5.3.1 Come spieghiamo le nostre emozioni
Il fare attribuzioni svolge un ruolo anche nel definire le emozioni: sappiamo che le emozioni sono
costituite dall’attivazione fisiologica e dalla cognizione che viene usata per etichettare tale stato di
attivazione come emozione.
Sebbene l’attivazione e l’etichetta di solito procedano insieme e i nostri pensieri possano generare
l’attivazione associata, in alcuni casi uno stato di attivazione, di per sé, potrebbe essere considerato
come un’emozione oppure un’altra, a seconda del tipo di attribuzione che compiamo
sull’esperienza he stiamo vivendo.
William James (1964) descrisse tale processo con il termine di “labilità emotiva” e sostenne che
prima il corpo risponde automaticamente a uno stimolo, poi interpretiamo le nostre risposte
corporee sulla base di ciò che capita attorno a noi: se vediamo un orso, ci mettiamo a correre e poco
dopo i battiti accelerati del nostro cuore ci dicono che abbiamo paura.
Stimolo immediato
Iniezione di
adrenalina
Valutazione soggettiva
del contesto
Risposta corporea
(automatica)
Emozione soggettiva
L’altra persona è
irritante
Collera
L’altra persona
è divertente
Euforia
Attivazione
(incremento
del battito
cardiaco)
5.3.2 Stili di attribuzione
Tutti facciamo attribuzioni ma sembriamo differire nello stile attribuzionale ovvero quella
predisposizione individuale (personalità) alla base di un certo tipo di attribuzione causale del
comportamento. A tal proposito Julian Rotter (1966) scoprì che gli interni tendono a far attribuzioni
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Capitolo 2
“Pensiero Sociale”
interne ritenendo che il nostro destino dipenda in gran parte da noi: le cose accadono perché le
facciamo accadere; mentre gli esterni tendono a fare attribuzioni esterne, ritenendo che ciascuno
di noi ha poco controllo su ciò che ci accade: le cose accadono semplicemente per caso, fortuna,
oppure per forze agenti esterne.
Possiamo anche differire nel peso che attribuiamo, in comportamenti o eventi, a cause assai
generali, diffuse o molto ampie o a cause definite in maniera più precisa.
5.3.2 L’attribuzione nelle relazioni di coppia
Le attribuzioni ricoprono un ruolo importante anche nelle relazioni di coppia, dove sono comunicate
per soddisfare funzioni differenti tra cui spiegare, giustificare o scusare un comportamento,
attribuire responsabilità e generare senso di colpa.
Una scoperta fondamentale è stata quella per cui il conflitto attribuzionale, che si verifica quando i
partner si trovano in disaccordo sulle attribuzioni, ha un forte legame e svolge un ruolo causale
nell’insoddisfazione e nelle difficoltà della relazione.
Nelle buone relazioni le persone attribuiscono ai propri partner i comportamenti positivi citando
fattori interni, stabili, globali e controllabili, giustificando quindi tutti i comportamenti negativi
ascrivendoli a cause esterne; mentre nelle relazioni in bilico avviene esattamente il contrario.
6.0 Tendenze sistematiche nell’attribuzione di motivazioni
Nel fare attribuzioni, le persone elaborano pensieri solo nella quantità necessaria ad ottenere un
risultato sufficiente, comportando così una serie di tendenze sistematiche ed errori.
6.1 Dagli atti alle disposizioni: l’inferenza corrispondente e l’errore fondamentale di attribuzione
Secondo Jones e Davis (1965, 1976) il processo attributivo consiste nel risalire, dal comportamento
osservabile e dai suoi effetti, alle eventuali intenzioni dell’attore, e da queste alle disposizioni
personali non occasionali che le sottendono.
Osservato (I fase)
Conoscenza
Effetto 1
Effetto 2
Effetto 3
Inferito (II fase)
Azione
Intenzione
Disposizioni
Capacità
Il processo di attribuzione quindi è composto da due fasi:
la prima è costituita dal riconoscimento del carattere intenzionale dell’azione osservata;
la seconda è costituita dalle caratteristiche delle disposizioni inferite dell’attore stesso.
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Capitolo 2
“Pensiero Sociale”
Per stabilire l’intenzionalità (1 fase) di un’azione bisogna essere certi che:
1. la persona conosca i possibili effetti della sua azione;
2. la persona possegga le capacità, le competenze, per compiere l’azione, produrre cioè gli
effetti osservati;
3. la persona, al momento dell’azione, si trovava in condizioni di libera scelta, o almeno
riteneva di essere in tali condizioni (libera scelta percepita);
4. la persona non ha messo in atto comportamenti che possono essere considerati come
semplici adeguamenti a prescrizioni di ruolo o comunque a norme sociali.
Per inferire le disposizioni (2 fase), i tratti, le caratteristiche dell’attore, l’osservatore inizia con il
confrontare gli effetti potenziali dell’azione scelta con quelli delle altre azioni possibili, allo scopo di
isolare gli “effetti non comuni” cioè quelli caratteristici solo dell’azione scelta. Gli effetti comuni,
proprio perché aspecifici sono privi di significato ai fini dell’attribuzione di una caratteristica
distintiva dell’attore.
In sintesi, l’azione intenzionale della persona verrebbe percepita come espressione osservabile di
particolari disposizioni personali:
1. quanto più gli effetti di essa sono specifici, “non comuni” rispetto ad altre azioni possibili
nella particolare situazione e quanto più è basso il numero di tali effetti “non comuni”,
distintivi;
2. quanto meno l’effetto stesso è socialmente desiderabile, ovvero quanto maggiori sono le
conseguenze negative per l’attore che si associano a tale effetto.
Solo nel caso di un basso numero di “effetti non comuni” (cioè di motivi distintivi che sottendono
l’azione) e di bassa “desiderabilità” di tali effetti (cioè di scarsa condivisione dei motivi stessi nella
cultura di appartenenza) può aver luogo un’inferenza dotata di “alta corrispondenza”.
L’errore fondamentale di attribuzione consiste nella tendenza delle persone ad attribuire il
comportamento a stabili disposizioni di fondo della personalità, persino di fronte a forti prove della
presenza di cause esterne. Viene anche chiamato bias di corrispondenza in quanto contiene degli
errori sistematici (bias) che porta a considerare il comportamento come corrispondente a
disposizioni interne, piuttosto che a situazioni esterne.
È stato ampiamente dimostrato che l’errore fondamentale di attribuzione è un errore inferenziale
comune che facciamo tutti. Tale errore si manifesta soprattutto perché le persone tendono
automaticamente a concentrarsi sulla persona a sfavore del contesto. Questa tendenza sistematica,
tende a venir meno se ci si concentra più sul contesto, come avviene nelle culture orientali.
Secondo Nick Haslam, in alcune situazioni, l’errore fondamentale di attribuzione può assumere una
forma estrema definita essenzialismo: tendenza pervasiva a ritenere che il comportamento rifletta
caratteristiche di fondo immutabili, spesso innate, delle persone o dei gruppi a cui appartengono.
Risulta problematico quando porta le persone ad attribuire gli stereotipi negativi riguardanti un
outgroup a qualità essenziali della personalità dei membri che ne fanno parte.
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6.2 Effetto attore-osservatore
L’errore fondamentale di attribuzione è più comune quando si deve giudicare un’altra persona. È
più probabile, invece, che nel momento in cui dobbiamo giudicare il nostro comportamento, ci
rifacciamo a cause e situazioni esterne. Tale discrepanza e asimmetria viene definita “effetto attoreosservatore” e vede le due seguenti cause:
1. Centro dell’attenzione: quando gli altri sono al centro dell’attenzione, li giudichiamo a
prescindere dal contesto; quando siamo noi al centro dell’attenzione, la situazione assume
un significato più saliente.
2. Asimmetria dell’informazione: a differenza degli altri, noi abbiamo una maggiore
conoscenza del nostro comportamento e sappiamo che talvolta dipende da fattori esterni in
quanto sappiamo di comportarci in modo diverso a seconda del contesto.
L’effetto attore-osservatore può ridursi o scomparire completamente se il ruolo dell’attore passa
ad osservatore.
6.2 Effetto del falso consenso
È una tendenza di tipo egocentrico secondo cui si tende a sopravvalutare la diffusione del proprio
comportamento, ritenendo che altre persone si comportino come noi.
L’effetto del falso contesto nasce ed è molto comune perché:
1. di solito cerchiamo persone simili a noi e non dovremmo sorprenderci quando ci accorgiamo
che esistono veramente;
2. le nostre opinioni sono così salienti per noi da farci trascurare l’ipotesi di altre opinioni;
3. siamo motivati ad eseguire le nostre opinioni e azioni sul consenso percepito per avvalorarle
e costruire per noi un mondo di senso.
Il falso consenso è più forte:
1. per le convinzioni importanti e di cui ci preoccupiamo;
2. nei casi in cui avvertiamo una minaccia esterna;
3. quando avvertiamo che ci sono altri simili a noi;
4. quando facciamo parte di un gruppo che ha come status una minoranza.
6.3 Tendenze sistematiche a vantaggio del sé
Seguendo il modello di cognizione sociale del tattico motivato, l’attribuzione è influenzata dal nostro
desiderio di mantenere un’immagine favorevole di noi stessi.
Tendenza sistematica all’autoaccrescimento
Tendenza sistematica all’autoprotezione
Accreditiamo i nostri comportamenti positivi
come espressioni di ciò che siamo e delle
nostre intenzioni e sforzi a fare cose positive
Giustifichiamo i nostri comportamenti
negativi sulla base di coercizione, vincoli
normativi e altri fattori situazionali esterni.
Le tendenze sistematiche all’autoaccrescimento sono più comuni dei quelle all’autoprotezione in
parte perché le persone con bassa autostima tendono a non proteggere se stesse attribuendo i
propri fallimenti all’esterno, ma al contrario, a fattori interni.
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Talvolta entrambe queste tendenze possono attenuarsi se non si ha il desiderio di condividere i
propri successi e i propri fallimenti.
Strategia autolesiva
Chi adotta la strategia autolesiva va alla ricerca di impedimenti, esagera gli svantaggi, abbraccia ogni
fattore in grado di ridurre la responsabilità personale di una prestazione mediocre e di aumentare
la responsabilità personale in caso di successo (Jones e Berglas, 1978).
Le persone usano questa tendenza sistematica quando prevedono di fallire, si tratta quindi di
attribuzioni a fattori esterni espresse pubblicamente in maniera anticipata a proposito di un proprio
fallimento o di una scarsa prestazione in un evento imminente.
Cause delle tendenze sistematiche a vantaggio del sé
Le persone hanno bisogno di credere il mondo sia un posto giusto nel quale controlliamo in parte il
nostro destino. Con la credenza in un mondo giusto, in cui “le cose brutte accadono ai cattivi, quelle
belle ai buoni” (la gente ha ciò che si merita), le persone tendono ad aggrapparsi ad un’illusione di
controllo che le induce a credere di avere più controllo sul nostro mondo di quanto sia vero.
Questo modello di attribuzione fa apparire il mondo un luogo controllabile e sicuro. Nel quale ci
creiamo in modo autonomo il nostro destino.
Una conseguenza di ciò è che spesso incolpiamo gli altri delle loro sfortune, come la disoccupazione,
lo stigma sociale e le persecuzioni e che possiamo persino accusare noi stessi dei crimini che
subiamo: le vittime di un incesto o di uno stupro possono per esempio avvertire in maniera così
drammatica che il mondo non sia più un luogo stabile, dotato di significato, controllabile e giusto,
assumendosi parte della responsabilità di quanto avvenuto.
7.0 Come spieghiamo il nostro mondo sociale
Spesso sono i gruppi o la nostra società a costruire spiegazioni per giustificare eventi e azioni, e noi,
come membri di specifici gruppi, condividiamo queste spiegazioni sociali. Le persone, per la maggior
parte del tempo, si affidano a script causali, stereotipi di gruppo, sistemi di credenze culturali e
ideologie più ampie. Ci fermiamo, pensiamo e compiamo attribuzioni causali solo quando gli eventi
sono inattesi o non coerenti con le aspettative, quando percepiamo una mancanza di controllo,
siamo di cattivo umore o ci viene chiesto di esprimere una spiegazione causale.
7.1 Attribuzione intergruppo
Miles Hewstone (1989) ha osservato che i gruppi sviluppano spiegazioni causali per se stessi, come
membri di un gruppo, e per altri, come membri di un ingroup o outgroup.
Secondo l’errore ultimo di attribuzione le persone hanno la tendenza ad attribuire a fattori interni
i comportamenti negativi di outgroup e quelli positivi di un ingroup e ad attribuire a fattori esterni i
comportamenti positivi di un outgroup e quelli negativi di un ingroup.
FATTORI INTERNI
comportamenti negativi di outgroup
comportamenti positivi di ingroup
FATTORI ESTERNI
comportamenti positivi di outgroup
comportamenti negativi di ingroup
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Bisogna ricordare che ingroup è il gruppo con cui si identificano gli individui e del quale si sentono
membri, mentre outgroup (fuori dal gruppo) è il gruppo con cui gli individui non si identificano.
Alla base delle attribuzioni del comportamento dell’ingroup quindi vi è un processo di attribuzioni
intergruppo etnocentriche: una manifestazione collettiva di tendenze sistematiche a vantaggio del
sé.
Alcuni studi hanno dimostrato che le attribuzioni intergruppo sono più marcate se un gruppo ha
fatto proprio uno stereotipo negativo riguardante un outgroup e meno pronunciate laddove gli
atteggiamenti verso l’outgroup sono più favorevoli.
Le attribuzioni intergruppo, inoltre, sono etnocentriche (etnocentrismo = tendenza a giudicare le
altre culture ed interpretarle in base ai criteri della propria proiettando su di esse il proprio concetto
di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale):
riflettono differenze etnocentriche tra gli schemi e gli stereotipi dell’ingroup e dell’outgroup che
possediamo; i nostri giudizi sono sbilanciati in favore del gruppo a cui apparteniamo.
Le persone spesso accentuano queste differenze percepite per proporre un’immagine positiva di sé
come membri di un gruppo.
A livello sociale le attribuzioni nei confronti dei gruppi ci forniscono spiegazioni per la povertà, la
ricchezza e la disoccupazione.
Nella sfera politica, i conservatori tendono a compiere attribuzioni interne per la povertà e
disoccupazione, i progressisti sono più inclini a ricorrere a spiegazioni esterne.
Come cornice di questo, bisogna ricordare, vi è sempre un’ideologia: insieme di credenze
sistematicamente correlate che ha come funzione primaria la spiegazione. Circoscrive il pensiero,
rendendo difficile uscire dai confini che la delimitano.
Il livello di istruzione delle persone influisce nella formazione delle attribuzioni intergruppo.
7.2 Rappresentazioni sociali
La teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici descrive uno dei modi attraverso cui è possibile
costruire e trasmettere la conoscenza culturalmente determinata a proposito delle cause di
qualcosa.
Le rappresentazioni sociali sono spiegazioni elaborate collettivamente a proposito di fenomeni poco
familiari e complessi, tali da renderli familiari e di semplice comprensione.
Un individuo o un gruppo costituito attorno a un interesse specialistico sviluppa una spiegazione
elaborata, non ovvia, tecnica, di un fenomeno ordinario. Questa spiegazione attira l’attenzione
dell’opinione pubblica, diventando ampiamente condivisa e divulgata, cioè semplificata, distorta e
ritualizzata, attraverso la discussione informale tra non specialisti. Ora quella spiegazione è una
rappresentazione sociale: una spiegazione, cioè, basata sul senso comune, accettata e indiscussa,
che soppianta le spiegazioni alternative e assurge a spiegazione ortodossa.
Le rappresentazioni sociali tendono a trovare il proprio fondamento nei gruppi e differiscono da
gruppo a gruppo, cosicché il comportamento intergruppo può spesso tradursi in uno scontro tra
rappresentazioni sociali.
Di indubbio interesse la possibile relazione tra rappresentazioni sociali e sistemi di atteggiamento.
A partire da una prospettiva centrata sull’atteggiamento, un tema importante è l’inserimento e il
radicamento di atteggiamenti specifici in ampie strutture di rappresentazione che, a loro volta,
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trovano il proprio fondamento nei gruppi sociali. In questo senso, gli atteggiamenti tendono a
riflettere la società e i gruppi in cui le persone vivono.
7.3 Voci
Il modo in cui le rappresentazioni sociali si sviluppano attraverso la comunicazione informale ricorda
come si sviluppano e diffondono le voci. Quest’ultime sono informazioni non verificate, diffuse tra
individui che cercano di capire eventi incerti e confusi. La trasmissione delle voci, infatti, è
caratterizzata da livello, affinatura e assimilazione: la voce diventa più breve e meno dettagliata e
complessa, mentre alcune caratteristiche selezionate vengono ingigantite per conformarsi agli
schemi preesistenti elaborati dalle persone.
Le voci hanno anche una fonte che spesso le produce di proposito per una ragione specifica:
qualcuno può essere intenzionato a screditare un individuo.
È più probabile che le voci si sviluppino durante una situazione di crisi o di stress emotivo. Quando
facciamo circolare una voce contribuiamo a ridurre l’incertezza e lo stress che viviamo e a costruire
integrazione sociale.
7.4 Teorie della cospirazione
Sono teorie causali astruse, che attribuiscono disastri naturali e sociali ad attività intenzionali e
organizzata da parte di specifici gruppi sociali, dipinti come organizzazioni di cospiratori che hanno
l’obiettivo di rovinare e quindi dominare il resto dell’umanità.
Michael Billing (1978) riteneva che a rendere affascinanti le teorie della cospirazione fosse la loro
intrinseca caratteristica di ridurre l’incertezza in termini semplici, riuscendo a spiegare persino gli
eventi più arcani e sconcertanti grazie all’individuazione di trame sleali e macchinazioni
imperscrutabili di cospiratori nascosti. Inoltre, “scoprire” una cospirazione rende gli eventi
preoccupanti più controllabili e più facilmente rimediabili: essi sono il frutto di azioni realizzate da
piccoli gruppi di persone chiaramente individuabili, anziché derivare da circostanze storiche e sociali
difficili da comprendere.
Ovviamente le teorie della cospirazione sono praticamente inaccettabili e quindi false sulla base di
prove presentate a disconferma. Tuttavia, molte teorie di questo stampo continuano a resistere
anche a fronte di evidenze empiriche.
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