1 Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Relazione del corso di Laboratorio di struttura della materia: Studio della dinamica di microsfere in soluzione tramite fotocorrelazione nell’infrarosso Francesco Caltagirone Luce Prignano Anno Accademico 2004-2005 Indice Introduzione 4 1 Le tecniche sperimentali 5 1.1 Fluttuazioni e funzioni di correlazione . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.2 Teoria base dello scattering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.2.1 Risultati della teoria dell’elettromagnetismo . . . . . . . . . 10 1.2.2 Approccio molecolare allo scattering . . . . . . . . . . . . . 12 1.3 Esperimenti di scattering con tecnica omodina . . . . . . . . . . . 13 1.4 Modelli per sistemi di molecole sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.4.1 Molecole sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.4.2 Soluzioni diluite e indipendenza delle particelle . . . . . . . 16 1.4.3 Funzione di correlazione eterodina per la diffusione di particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.4.4 Funzione di correlazione omodina per soluzioni molto diluite 19 1.4.5 Macromolecole in moto uniforme . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.6 Calcolo del termine extra della funzione omodina in presenza di un moto uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 L’esperimento 22 24 28 2.1 I risultati raggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.2 Ipotesi di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.3 Configurazione sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.4 Procedure sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 3 Analisi Dati 31 3.1 Retta di calibrazione e viscosità dell’acqua . . . . . . . . . . . . . . 31 3.2 Thermal lensing: un’ipotesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 3.2.1 Thermal lensing: verifiche sperimentali . . . . . . . . . . . . 36 3.2.2 Luce verde ed infrarossa: misure della potenza in uscita . . 37 3.2.3 Misure di fotocorrelazione in diverse posizioni . . . . . . . . 39 2 INDICE 3 4 Studio della larghezza del fascio nel campione 44 4.1 Il tempo di convezione e il riscaldamento . . . . . . . . . . . . . . . 44 4.2 L’assorbimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 5 Problemi aperti 51 A Larghezza di un fascio gaussiano focalizzato 53 A.1 L’equazione di Helmotz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 A.2 Equazione di Helmotz per ampiezze lentamente variabili . . . . . . 54 A.3 Focalizzazione di un fascio gaussiano tramite una lente sottile . . . 57 B Stima della velocità di convezione per un volume di fluido riscaldato 59 B.1 Forma del volume illuminato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 B.2 Approssimazione delle equazioni di Navier-Stokes per un fluido riscaldato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 B.3 Potenza del laser assorbita dal fluido . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 C Teoria del thermal-lensing 66 Riferimenti bibliografici 68 Introduzione 4 Capitolo 1 Le tecniche sperimentali La radiazione elettromagnetica è una delle sonde più importanti per indagare la struttura e della dinamica della materia [?]. L’assorbimento di ultravioletto, visibile, infrarosso ecc. fornisce informazioni dettagliate sui livelli energetici elettronici, rotazionali e vibrazionali delle molecole. Quando i fotoni incidono su una molecola possono fornire energia ai gradi di libert‡ elettronici, rotazionali e vibrazionali delle molecole (o guadagnare energia da essi). I fotoni mostreranno quindi uno shift nella frequenza. Lo spettro in frequenza della luce diffusa mostrer‡ delle risonanze alle frequenze corrispondenti a queste transizioni. Quando della luce incide sulla materia, il campo elettrico della luce induce una polarizzazione oscillante degli elettroni della molecola. Quindi le molecole fungono da fonte di luce secondaria e conseguentemente irradiano (diffondono) luce. Allora shift in frequenza, distribuzione angolare, polarizzazione ed intensit‡ della luce diffusa sono determinate dalle dimensioni, dalla forma e dalle interazioni molecolari nel materiale che diffonde. Quindi dalle caratteristiche della luce di scattering in un dato sistema dovrebbe essere possibile, con l’aiuto dell’elettrodinamica e della teoria della meccanica statistica dipendente dal tempo, ottenere informazioni sulla struttura e sulla dinamica delle molecole nel mezzo che diffonde. In un tipico esperimento di diffusione della luce la luce di un laser viene fatta passare attraverso un filtro (polarizzatore) che ne definisce la polarizzazione, dopodichè questo fascio di luce polarizzata incide sul mezzo che diffonde. La luce diffusa dal mezzo passa quindi attraverso un polarizzatore che ne seleziona una certa polarizzazione e infine entra nel rivelatore. La posizione del rivelatore definisce l’ angolo di scattering θ e l’intersezione tra il fascio incidente e il fascio che arriva al rivelatore definisce volume di scattering, come illustrato nella Figura 1.1. Il rivelatore comunemente usato in questi esperimenti è un fotomoltiplicatore. I tre differenti metodi usati in questo tipo di esperimenti sono detti tecnica di filtraggio, tecnica omodina e tecnica eterodina, essi sono rappresentati schematicamente nella Figura 1.2. Si noti che nelle tecniche omodina ed eterodina non viene 5 CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 6 Figura 1.1: Rappresentazione schematica di un esperimento di diffusione della luce. Figura 1.1: Rappresentazione schematica di un esperimento di diffusione della luce. Figura 1.2: Rappresentazione schematica delle diverse tecniche usate negli esperimenti di scattering. 4 Figura 1.2: Rappresentazione schematica delle diverse tecniche usate negli esperimenti di scattering. CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 7 usato alcun monocromatore sulla luce di scattering che deve arrivare al fotomoltiplicatore. In particolare nel nostro esperimento utilizzeremo la tecnica omodina con luce non polarizzata. 1.1 Fluttuazioni e funzioni di correlazione Ricordiamo che ogni osservabile misurata di un sistema allı́equilibrio è ovviamente una media sul tempo, cioè ha la forma 1 Ā(t0 , T ) = T Z T +t0 A(t)dt. (1.1) t0 La media ha significato solo se il tempo T su cui è fatta è grande rispetto fluttuazioni di A. Idealmente A andrebbe mediato su un tempo infinito come segue 1 Ā(t0 , T ) = lim T →∞ T Z T +t0 A(t)dt (1.2) t0 Nella meccanica statistica si assume che tale media sia indipendente da t0 , cioè si assume che A sia una proprietà stazionaria,cioè della forma 1 Ai = lim T →∞ T Z T A(t)dt (1.3) 0 Figura 1.3: Lı́osservabile A che fluttua nel tempo, lı́asse dei tempi è stato suddiviso in intervalli discreti ∆t La A(t) somiglia ad un segnale di rumore (Figura 1.3) e sarà diversa ad istanti del tempo diversi A(t) 6= A(t + τ ). Ovviamente se τ è molto piccolo rispetto ai tempi tipici delle fluttuazioni le due A(t) ed A(t + τ ) differiranno di poco CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 8 (sono correlate), ma per τ grande esse potranno essere molto diverse (si perde la correlazione). Definiamo quindi la funzione di autocorrelazione dell’osservabile A come 1 hA(0)A(τ )i = lim T →∞ T Z T A(t)A(t + τ )dt (1.4) 0 Dovendo calcolare la media (1.4) a passi discreti (per un tempo finito), ad esempio in un esperimento, considereremo lı́asse del tempo diviso in intervalli ∆t ed indichiamo t = j∆t, τ = n∆t e T = N ∆t (si noti che t + τ = (j + n)∆t ). Dalla definizione di integrale possiamo approssimare la (1.3) e la (1.4) come hAi ≈ N 1 X A(j∆t) N →∞ N lim (1.5) j=1 N 1 X hA(0)A(τ )i ≈ lim A(j∆t)A((j + n)∆t) N →∞ N (1.6) j=1 Si noti che alcuni termini nella sommatoria (1.6) possono essere negativi ed andranno a cancellare termini positivi. Considerando invece hA2 (0)i = hA(0)A(0)i si ha che tutti i termini nella (1.6) sono positivi o nulli quindi avremo hA2 (0)i ≈ N N 1 X 2 1 X A(j∆t)A(j∆t) = lim A (j∆t) N →∞ N N →∞ N lim j=1 (1.7) j=1 2 hA (0)i ≥ hA(0)A(t)i (1.8) Quindi la funzione di correlazione decade dal suo valore iniziale hA2 (0)i che deve essere il massimo. Inoltre ci aspettiamo che, per τ molto grande rispetto ai tempi tipici delle fluttuazioni, la A(t) e la A(t + τ ) siano totalmente scorrelate quindi lim hA(0)A(τ )i = hA(0)ihA(τ )i = hAi2 τ →∞ (1.9) Allora la funzione di correlazione all’aumentare del tempo decade dal suo valore massimo hA2 i al valore hAi2 (come esempio si consideri la Figura 1.4). In tanti casi pratici la funzione di correlazione decade come un esponenziale singolo della forma hA(0)A(τ )i = hAi2 + [hA2 i − hAi2 ] exp(− τ ) τr (1.10) dove τr è detto tempo di rilassamento o tempo di correlazione dell’osservabile A (Figura 1.4.). CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 9 Figura 1.4: La funzione di correlazione dellı́osservabile A nel caso di decadimento esponenziale singolo. 1.2 Teoria base dello scattering Immaginiamo che della luce illumini della materia. Il campo elettromagnetico esercita una forza sulle cariche contenute nel mezzo che diffonde, esse quindi accelereranno irradiando luce, tale fenomeno è comunemente detto polarizzazione del mezzo. Ora immaginiamo delle piccole porzioni di volume nel mezzo di dimensioni molto minori della lunghezza dı́onda al cubo della luce incidente. Allora, per tutti gli atomi contenuti in ogni piccola porzione, il campo elettrico sarà circa lo stesso. Se ogni piccola porzione di volume ha la stessa costante dielettrica la luce sarà diffusa solo in avanti, poichÈ per ogni porzione che emette radiazione ce ne sarà unı́altra che emette in opposizione di fase alla prima per qualunque direzione (eccetto che in avanti). La radiazione diffusa è infatti il risultato della sovrapposizione delle onde riemesse da ogni porzione, esse differiscono solo per un fattore di fase, che in avanti è nullo. Tuttavia le fluttuazioni termiche possono cambiare leggermente la costante dielettrica di queste porzioni semimicroscopiche, che non emetteranno più tutte con la stessa ampiezza di campo elettromagnetico. Allora l’interferenza distruttiva non avrà più luogo e avremo lo scattering in altre direzioni. CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 10 Figura 1.5: Vettori d’onda del campo incidente e del campo diffuso. 1.2.1 Risultati della teoria dell’elettromagnetismo Consideriamo il mezzo con una costante dielettrica media ε0 (l’indice di rifrazione √ sarà n = ε0 ) investito da un campo elettrico incidente Ei della forma Ei (r, t) = ni E0 ei(ki ·r−ωi t) (1.11) dove ni , ki , ωi ed E0 sono rispettivamente polarizzazione, vettore d’onda, frequenza ed ampiezza del campo incidente. La costante dielettrica locale si può scrivere in forma di matrice come ε(r, t) = ε0 I + δε(r, t) (1.12) dove δε(r, t) è la fluttuazione della costante dielettrica alla posizione r al tempo t ed I è la matrice identità. La componente Es (R, t) del campo elettrico diffuso a grande distanza R dal volume che diffonde è data da E0 ikf R Es (R, t) = e 4πRε0 Z d3 r ei(q·r−ωi t) {nf · [kf × (kf × (δε(r, t) · nf ))]} (1.13) V dove V è il volume che diffonde, nf è la polarizzazione selezionata del campo diffuso, kf è il suo vettore d’onda e q = kf − ki . L’angolo θ compreso tra kf e ki è detto angolo di scattering (Figura 1.5). Solitamente la lunghezza d’onda della luce incidente cambia molto poco nel processo di diffusione, quindi avremo |ki | ≈ |kf | = 2πn λf (1.14) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 11 quindi otteniamo θ 4πn θ |q| = 2|ki | sin ( ) = sin ( ). 2 λf 2 (1.15) Introduciamo la trasformata di Fourier (spaziale) della fluttuazione della costante dielettrica Z δε(q, t) = d3 reiq·r δε(r, t) (1.16) V Grazie alla (1.16) possiamo riscrivere il campo diffuso (1.13) come Es (R, t) = E0 i(kf R−ωi t) e {nf · [kf × (kf × (δε(q, t) · nf ))]} 4πRε0 (1.17) che può essere ridotta1 a Es (R, t) = −kf 2 E0 i(kf R−ωi t) e δεif (q, t) 4πRε0 (1.18) avendo definito εif (q, t) = ni · δε · (q, t)nf che è la componente della fluttuazione della costante dielettrica lungo le polarizzazioni iniziale e finale. La funzione di 2 correlazione dipendente dal tempo hEs ∗ (R, 0)Es (R, t)i = del campo (1.18) può allora scriversi come kf 4 |E0 |2 hδεif ∗ (q, 0)δεif (q, t)ie−iωi t 16π 2 R2 ε0 2 (1.19) E’ utile ora introdurre la desnistà spettrale o spettro di potenza del campo elettrico E, definita come la trasformata di Fourier della funzione di autocorrelazione 1 I(ω) = 2π Z +∞ dt e−iωt hE ∗ (0)E(t)i (1.20) −∞ Quindi, usando la (1.19), per il campo diffuso avremo 1 kf 4 |E0 |2 Iif (q, ωf , R) = 2π 16π 2 R2 ε0 2 Z +∞ dt hδεif ∗ (q, 0)δεif (q, t)iei(ωf −ωi )t (1.21) −∞ Notiamo che nella (1.21) 1 Usiamo A × (B × C) = B(A · C) − C(A · B) Si noti che la funzione di autocorrelazione appropriata per un’osservabile A a valori complessi, come il campo elettrico, è Z 1 T ∗ hA∗ (0)A(t)i = lim A (t)A(t + τ )dt T →∞ T 0 . 2 CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 12 1. Iif ∝ kf4 ∝ λ−4 2. Iif ∝ R−2 3. Iif dipende da ωi e da ωf solo attraverso la loro differenza ωf − ωi = ∆ω La proporzionalità a λ−4 spiega perchË il cielo è blu: le lunghezze d’onda più piccole (come il blu) subiscono molto di più la diffusione. La proporzionalità a R−2 è la semplice attenuazione dell’onda sferica. Si ha inoltre un cambiamento di frequenza ∆ω solo se la δε(q, t) varia col tempo, infatti se essa non dipendesse R +∞ dal tempo l’integrale della (1.21) si ridurrebbe a −∞ dt ei(ωf −ωi ) t che è diverso da zero solo se ωf = ωi . 1.2.2 Approccio molecolare allo scattering Consideriamo una radiazione monocromatica che incide su una molecola dotata di una certa polarizzabilità anisotropa descritta dal tensore di polarizzabilità α. Il campo incidente E(t) induce un momento di dipolo d(t) = α · E(t) (1.22) che varia col tempo. Esso emetterà un campo proporzionale a k̂f ×[k̂f × d̈(t0 )] dove t0 è il tempo ritardato. Si può dimostrare che, il campo al rivelatore prodotto dalla singola molecola j-esima Ej è proporzionale alla componente della polarizzabilità lungo nf ed ni modulata da un fattore di fase Ej (t) ∝ αif (t) eiq·rj (t) (1.23) αif (t) = nf · α(t) · ni (1.24) dove abbiamo definito qui r(t)j è la posizione del centro di massa della molecola al tempo t. Nella (1.23) αif (t) varia col tempo perché la molecola ruota e vibra, metre il fattore di fase Ë un funzione del tempo attraverso r(t) poiché la molecola trasla. Supponendo che le ransizioni elettroniche siano trascurabili, il campo di scattering Es prodotto dall’insieme delle molecole sarà dato dalla sovrappoisizione dei campi Ej diffusi da ogni singola molecola j-esima, quindi avremo (a parte fattori moltiplicativi) Es (t) ∝ X0 j j αif (t) eiq·rj (t) (1.25) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 13 dove con l’indice 0 indichiamo che la somma (1.25) Ë estesa alle molecole contenute nel volume illuminato e non a tutte le molecole del mezzo. Tale interferenza è modulata dai moti molecolari e quindi contiene informazioni, ad esempio, sul comportamento diffusivo delle molecole. 1.3 Esperimenti di scattering con tecnica omodina In un tipico esperimento di scattering un raggio luminoso (polarizzato) Ë indirizzato su una regione di fluido dal quale Ë diffuso, in seguito la radiazione di scattering passa per un polarizzatore (ed un eventuale monocromatore) fino ad arrivare al rivelatore. Il campo diffuso istantaneo è la sovrapposizione delle onde diffuse da ciascun centro di scattering, esso fluttuerà a causa del moto molecolare. Ci sono vari metodi di studiare la dipendenza dal tempo di tali fluttuazioni che dipendono dalla scala di tempo delle fluttuazioni stesse, ad esempio si può impiegare un monocromatore per studiare la densità spettrale della radiazione diffusa, questo metodo Ë adatto a studiare processi molecolari rapidi (nella scala di tempi ∼ 10−6 ÷ 10−11 s). Diversamente la tecnica omodina ed eterodina (che illusteremo nel seguito)sono adatte allo studio di processi più lenti di ∼ 10−6 s e non prevedono la scomposizione della luce diffusa per mezzo di filtri. Nella tecnica omodina si rivela solo la luce diffusa, quindi il segnale in uscita dal rivelatore sarà proporzionale al modulo quadro del campo incidente i(t) ∝ |E(t)|2 che è proporzionale all’intensità. Questo segnale di output viene inviato all’autocorrellatore, tale dispositivo calcola la funzione di correlazione hi(0)i(t)i ∝ h|E(0)|2 |E(t)|2 i (1.26) Quindi misiuriamo una quantità proporzionale alla funzione di correlazione omodina del campo diffuso definita come I2 (t) = h|Es (0)|2 |Es (t)|2 i (1.27) Possiamo immaginare il volume V che diffonde suddiviso in tante piccole regioni ciascuna di volume molto più piccolo della lunghezza d’onda della luce incidente (n) al cubo. La regione n-esima produrrà un campo di scattering Es complessivo sarà dato dalla sovrapposizione dei vari Es = X Es(n) (n) Es , ed il campo cioè (1.28) n Se le particelle che diffondono luce, contenute in ciascuna ragione, si muovono indipendentemente le une dalle altre il campo Es Ë il risultato della somma di tante CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI (1) 14 (2) variabili casuali indipendenti Es , Es , .... Quindi anche Es sarà una variabile casuale ed avrà distribuzione Gaussiana per il teorema del limite centrale. I momenti della distribuzione Gaussiana Es sono determinati una volta noti il primo ed il secondo momento che sono rispettivamente3 I1 (0) = hEs∗ (0)Es (0)i = h|Es (0)|2 i ed I1 (t) = hEs ∗ (0)Es (t)i. Il quarto momento della distribuzione è cosı̀ determinato I2 (t) = |I1 (0)|2 + |I1 (t)|2 (1.29) L’assunzione importante per ricavare questo risultato è che il volume che diffonde possa essere suddiviso in tante porzioni statisticamente indipendenti. In alcuni casi ciò può non essere valido. Per esempio, nelle vicinanze del punto critico, i sistemi hanno lunghezze di correlazione molto grandi; in tal caso bisogna fare attenzione a usare la (1.29). In particolare occorre che il volume che diffonde sia abbastanza grande da contenere molti volumi di correlazione per giustificare l’uso del teorema del limite centrale. Se la I1 (t) è una somma di esponenziali (come di frequente) I1 (t) = X aj e−t/τj (1.30) j avremo che |I1 (0)|2 = X aj X ai = j i X ai e−t/τi = X aj ai ji e che |I1 (t)|2 = X aj e−t/τj j i X aj ai e−(t/τj )−(t/τi ) ji quindi la (1.29) diviene I2 (t) = X aj ai [1 + e−(t/τj )−(t/τi ) ]. (1.31) ji Si noti che un processo a decadimento esponenziale multiplo introduce numerosi termini misti nella funzione di correlazione omodina, ciascuno con tempo di decadimento τj τi /(τj + τi ). 1.4 Modelli per sistemi di molecole sferiche La luce diffusa da sistemi complicati ha caratteristiche che sarebbero di difficile comprensione se non esistessero modelli per sistemi particolarmente semplici. Grazie a questi modelli possiamo predire completamente le caratteristiche della 3 La I1 (t) è detta anche funzione di correlazione eterodina e sarà discussa nel seguito. CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 15 luce diffusa dai sistemi più semplici. In questo paragrafo esamineremo dei modelli classici frequentemente utilizzati per interpretare la radiazione di scattering. 1.4.1 Molecole sferiche Ricordiamo (Paragrafo 1.2.2) che il momento di dipolo indotto dal campo oscillante su una molecola è dato da d=α·E (1.32) Tale relazione può essere riscritta in forma di matrice come dx αxx αxy αxz dy = αyx αyy αzx αzy dz Ex αyz · Ey Ez αzz (1.33) Per una molecola sferica il momento di dipolo indotto è sempre proporzionale al campo applicato, perciò deve essere nella (1.33) α 0 0 α= 0 α 0 0 0 α (1.34) d = αE (1.35) in modo da avere In questo modo avremo, per la componente della polarizzabilità lungo la polarizzazione e finale αif = nf · α · ni = α nf · ni = cost Il campo diffuso complessivo (1.25) sarà allora Es (t) ∝ X0 (1.36) 4 j iq·rj (t) αif e (1.37) j j se inoltre le molecolecole sferiche sono tutte identiche αif = αif avremo Es (t) ∝ X0 eiq·rj (t) = ψ(q, t) (1.38) j 4 Ricordiamo che l’indice della somma indica che essa è estesa alle sole molecole contenute nel volume illuminato. CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 16 Si noti che la ψ(q, t) qui introdotta è proporzionale al campo diffuso e quindi per la funzione di autocorrelazione eterodina si avrà I1 (t) = hEs ∗ (0)Es (t)i ∝ hψ ∗ (q, 0)ψ(q, t)i = F1 (q, t) (1.39) E’ conveniente riscivere la ψ definita nella (1.38) come ψ(q, t) = N X bj (t)eiq·rj (t) (1.40) j=1 avendo introdotto ( bj (t) = 0 se j 6∈ V 1 se j ∈ V dove V è il volume illuminato, in modo da estendere la somma a tutte le N particelle del mezzo. Si noti inoltre che, per come è definito b(t), si ha N (t) = N X bj (t) (1.41) j=1 dove con N (t) indichiamo il numero di particelle contenute nel volume illuminato al tempo t. 1.4.2 Soluzioni diluite e indipendenza delle particelle In molti casi pratici, nelle soluzioni di macromolecole sferiche, si ha che 1. La polarizzabilità della macromolecola è enorme rispetto alla polarizzabilità del solvente 2. Le macromolecole si muovono molto più lentamente delle molecole del solvente Dall’assunzione (1) si conclude che le macromolecole diffonderanno molta più luce delle molecole di solvente; inoltre, in base alla (2), le macromolecole produrranno un campo elettrico che fluttua lentamente riespetto a quello prodotto dal solvente, cosı̀ il moto macromolecolare può essere separato da quello delle molecole del solvente. Quindi, essendo interessati al comportamento a lungo tempo della (1.40) la somma che compare in essa va estesa alle sole macromolecole. Perciò nella ψ(q, t) = N X j=1 bj (t)eiq·rj (t) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 17 la rj (t) rappresenta la posizione del centro di massa della macromolecola j-esima al tempo t. Se ora assumiamo che la soluzione sia molto diluita le macromolecole si incontreranno raramente e quindi le le loro posizioni saranno statisticamente indipendenti, cosı̀ la (1.39) si riduce5 a F1 (q, t) = hψ ∗ (q, 0)ψ(q, t)i (1.42) N N X X = h bj (0)e−iq·rj (0) bj (t)eiq·ri (t) i j=1 (1.43) i=1 N X = h bj (0)bj (t)eiq·(rj (t)−rj (0)) i (1.44) j=1 La (1.44) è un esempio di funzione di correlazione in cui solo le proprietà della stessa particella sono correlate. 1.4.3 Funzione di correlazione eterodina per la diffusione di particelle La funzione di correlazione (1.44) (proporzionale alla funzione di correlazione eterodina (1.39)) contiene termini che variano su diverse scale di tempo. Innanzitutto notiamo che le sole particelle che contribuiscono alla F1 della (1.44) sono quelle che che si trovano in V a t = 0 poiché bj (0) = 0 se j 6∈ V , inoltre il termine bj (0)bj (t) è inizilamente 1 e va a zero quando j lascia V . Quindi la scala di tempi su cui varia bj (0)bj (t) è data dal tempo che impiega la molecola j-esima a percorrere la distanza caratteristica L del volume di scattering V (che è tipicamente nell’ordine di 10−3 m). Un particella diffonde su una distanza L nel tempo τb = L2 /D (1.45) dove l’indice b indica che questo è il tempo tipico della variazione di bj (0)bj (t) e D è il coefficiente di diffusione6 . 5 Si noti che se le particelle i e j sono statisticamente indipendenti (i 6= j) si ha he−iq·ri (0) eiq·rj (t) i = he−iq·ri (0) iheiq·rj (t) i = hδ(q)i2 = 0 quindi sopravvivono solo i termini per j = i. 6 In base alla relazione di Einstein il coefficiente di diffusione è D = kB T /ζ con ζ = 6πηa, dove η è la viscosità del solvente ed a è il raggio della macromolecola. CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 18 Il termine eiq·(rj (t)−rj (0)) contenuta nella (1.44) vale 1 per t = 0 e varia apprezzabilmente da 1 quando |rj (t) − rj (0)| ≈ q −1 perciò ad un tempo τq = q −2 /D (1.46) In un tipico esperimento di scattering avremo q ≈ 105 cm mentre L ≈ 10− 2cm quindi avremo τb = q 2 L2 = 106 τq (1.47) Quindi τb τq , se siamo allora interessati a studiare la F1 per tempi ∼ τq potremo considerare bj (t) = bj (0) in modo da avere bj 2 (0) = bj (0), allora la (1.44) diventerà N X F1 (q, t) = h bj (0)eiq·(rj (t)−rj (0)) i (1.48) j=1 Notiamo ora che lo spostamento rj (t) − rj (0) è indipendente dal fatto che la particella si trova o no all’interno di V a t = 0, quindi è indipendente da bj (0), ne segue che possiamo riscrivere F1 (q, t) = N X hbj (0)iheiq·(rj (t)−rj (0)) i (1.49) j=1 Se le macromolecole sono identiche la quantità Fs (q, t) = heiq·(rj (t)−rj (0)) i (1.50) P è la stessa per ogni j, inoltre notiamo che h j bj (0)i = hN i dove hN i è il numero medio di macromolecole contenute in V . Cosı̀ possiamo riscrivere la F1 come F1 (q, t) = hN iFs (q, t) (1.51) Introduciamo ora la distribuzione di probabilità Gs (R, t) che una macromolecola abbia subito uno spostamento R al tempo t, essa è definita come Gs (R, t) = hδ(R − [rj (t) − rj (0)])i (1.52) Si noti che Gs (R, t)d3 R rappresenta la probabilità che una macromolecola abbia subito un spostamento nell’intorno di volume d3 R del punto R al tempo t. Se facciamo la trasformata spaziale di Fourier della (1.52) otteniamo la Fs CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI Z 19 d3 R eiq·R hδ(R − [rj (t) − rj (0)])i (1.53) Z = h d3 Reiq·R δ(R − [rj (t) − rj (0)])i (1.54) = heiq·(rj (t)−rj (0)) i = Fs (q, t) (1.55) Gs (q, t) = Viceversa la Gs (R, t) è l’antitrasformata della Fs (q, t) Gs (R, t) = 1 (2π)3 Z d3 q eiq·R Fs (q, t) (1.56) Ora assumiamo che la Gs (R, t) soddisfi l’equazione di diffusione ∂ Gs (R, t)D ∇2 Gs (R, t) ∂t (1.57) La trasformata spaziale della (1.57) è ∂ Fs (q, t) = −q 2 DFs (q, t) ∂t (1.58) La soluzione di questa equazione con condizione al bordo Fs (q, 0) = heiq·[rj (0)−rj (0)]1 i = 1 è Fs (q, t) = e−q 2 Dt = e−t/τq (1.59) dove τq = (q 2 D)−1 . Concludiamo, in base alla (1.51), che la funzione di correlazione eterodina dipendnete dal tempo ha la forma di un’esponenziale con tempo di decadimento τq F1 (q, t) = hN ie−t/τq . 1.4.4 (1.60) Funzione di correlazione omodina per soluzioni molto diluite La funzione di correlazione omodina si può ottenere ricordando che (si veda la (1.27)) I2 (t) = h|Es (0)|2 |Es (t)|2 i (1.61) Es (t) ∝ ψ(q, t) (1.62) e che (si veda la (1.38)) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 20 In base alle precedenti equazioni possiamo affermare che I2 (t) ∝ h|ψ(q, 0)|2 |ψ(q, t)|2 i = F2 (q, t) (1.63) ricordando la (1.40) otteniamo F2 (q, t) = h N X bj (0)bk (0)bl (t)bm (t)eiq·[rk (0)−rk (0)+rl (t)−rm (t)] i (1.64) j,k,l,m=1 Analogamente a quanto visto per la (1.44) nella (1.64) sopravvivono solo il termine con j = k 6= l = m che porta un termine h N X bj 2 (0)bl 2 (t)i j,l=1 e il termine con j = l 6= k = m che porta un termine h N X [bj (0)bj (t)eiq·(rj (t)−rj (0)) ][bk (0)bk (t)e−iq·(rk (t)−rk (0)) ]i j6=k=1 Considerando le macromolecole j e k statisticamente indipendenti e il fatto che bj,k (0)bj,k (t) fluttua molto più lentamente di rj,k (t) − rj,k (0) questo termine può essere ridotto a N N X X e−iq·(rk (t)−rk (0)) i h bj (0)eiq·(rj (t)−rj (0)) ihbk (0) j=1 = h k=1 N X bj (0)bk (0)iheiq·(rj (t)−rj (0)) ihe−iq·(rk (t)−rk (0)) i j6=k=1 = h N X bj (0)bk (0)i|Fs (q, t)|2 j6=k=1 dove abbiamo usato il fatto che bj,k (0)bj,k (t) e rj,k (t)−rj,k (0) sono statisticamenete indipendenti. Ora possiamo riscrivere la (1.64) ricombinando i due termini ottenendo F2 (q, t) = h N X bj 2 (0)bl 2 (t)i + h j,l=1 Osserviamo che il termine N X j6=k=1 bj (0)bk (0)i|Fs (q, t)|2 (1.65) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI h N X 21 bj 2 (0)bl 2 (t)i = hN (0)N (t)i j,l=1 e che il termine h N X bj (0)bk (0)i = hN (N − 1)i j6=k=1 cosı̀ la (1.65) diviene F2 (q, t) = hN (0)N (t)i + hN (N − 1)i|Fs (q, t)|2 (1.66) Possiamo esprimere il numero di particelle contenute in V al tempo t come N (t) = hN i + δN (t) (1.67) dove δN (t) è la deviazione del numero di macromolecole dal numero medio. In questo modo possiamo esprimere hN (0)N (t)i = hN i2 + hδN (0)δN (t)i (1.68) dove abbiamo usato il fatto che hδN (t)i = hδN (0)i = 0. In questo modo la (1.66) diventa F2 (q, t) = hN i2 + hδN (0)δN (t)i + hN (N − 1)i|Fs (q, t)|2 (1.69) La probabilità PN che N macromolecole si trovino nella regione V ad ogni istante è data dalla distribuzione di Poisson PN = hN iN −hN i e N! Tale distribuzione ha i seguenti momenti 7 P 2 2 1. hN 2 i = ∞ N =0 N PN = hN i + hN i 2. hN (N − 1)i = hN i2 Cosı̀ possiamo riscrivere la (1.69) come F2 (q, t) = hN i2 (1 + |Fs (q, t)|2 ) + hδN (0)δN (t)i −2q 2 Dt = hN i2 (1 + e 7 Ricordiamo che xN N =0 N ! P∞ = ex . ) + hδN (0)δN (t)i (1.70) (1.71) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 22 Si noti che il primo termine della (1.70) può essere ottenuto nell’approssimazione Gaussiana (si veda la (1.29)) in cui abbiamo F2 (q, t) = |F1 (q, 0)|2 + |F1 (q, t)|2 , ricordando che F1 (q, t) = hN iFs (q, t). Il termine aggiuntivo hδN (0)δN (t)i della (1.70) dipende dalla fluttuazione del numero di particelle contenute nel volume illuminato, tali fluttuazioni sono caratterizzate dal tempo τb che occorre alla particella per attraversare il volume V . Diversamente il termine hN i2 (1 + |Fs (q, t)|2 ) decade su una scala di tempo τq che caratterizza il tempo impiegato dalla particella a percorrere la distanza q −1 . Nella maggior parte dei casi avremo che τb τq quindi essendo interessati a processi che si svolgono nel tempo caratteristico τq il termine hδN (0)δN (t)i sarà praticamente una costante. Tuttavia in alcune situazioni particolari, come nel caso di un moto uniforme all’interno del fluido, potremmo avere τb ≈ τq e quindi questo termine non potrà essere ritenuto costante. 1.4.5 Macromolecole in moto uniforme Se le macromolecole sono spinte, da qualche fattore esterno, a scorrere con una velocità V, lo scattering della luce può essere utilizzato per misurare tale velocità. Un esempio pratico di una situazione simile è rappresentato da delle macromolecole sospese in un fluido in cui si instaurano moti convettivi di velocità V. Nel caso di diffusione spontanea il flusso delle macromolecole nel punto R al tempo t è dato dalla prima legge di Fick J(R, t) = −D∇c(R, t) (1.72) dove D è il coefficiente di diffusione e c(R, t) è la concentrazione di macromolecole nel punto R al tempo t. In presenza di una forza che accelera le macromolecole ad un velocità V avremo un flusso aggiuntivo Vc(R, t), cosı̀ la (1.72) diverrà J(R, t) = Vc(R, t) − D∇c(R, t) (1.73) Assumiamo ora che il numero totale N delle macromolecole del mezzo si conservi8 . Possiamo esprimere la conservazione del numero di macromolecole tramite l’equazione di continuità ∂ c(R, t) + ∇ · J(R, t) ∂t 8 Ciò è vero in assenza di reazioni chimiche che conivolgono le macromolecole. (1.74) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 23 Usando la (1.73) nella (1.74) otteniamo l’equazione ∂ c(R, t) + V · ∇c(R, t) = D∇2 c(R, t) ∂t (1.75) Possiamo assumere9 che la Gs (R, t) soddisfi la stessa equazione della c(R, t), quindi avremo ∂ Gs (R, t) + V · ∇Gs (R, t) = D∇2 Gs (R, t) ∂t (1.76) La trasformata di Fourier (spaziale) della (1.76) sarà ∂ Fs (q, t) − iq · VFs (q, t) = q 2 DFs (q, t) ∂t (1.77) La soluzione della (1.77) con condizione al bordo Fs (q, 0) = 1 ha soluzione Fs (q, t) = eiq·Vt e−q 2 Dt (1.78) Cosı̀ la funzione di crrelazione eterodina sarà (si vedano la (1.39) e la (1.51)) I1 (t) ∝ ReF1 (q, t) = Re[hN iFs (q, t)] = hN i cos(q · Vt)e−q 2 Dt (1.79) Diversamente la funzione di correlazione omodina sarà (si veda la (1.70)) I2 (t) ∝ F2 (q, t) = hN i2 (1 + |Fs (q, t)|2 ) + hδN (0)δN (t)i = hN i2 (1 + e−2q 2 Dt ) + hδN (0)δN (t)i Si noti che il primo termine della funzione di correlazione omodina non viene cambiato dal moto uniforme delle macromolecole, l’unica modifica avverrà nel termine hδN (0)δN (t)i come vedermo nel prossimo paragrafo. 9 Si noti che, nell’ipotesi di macromolecole statisticamnete indipendenti, la Gs (R, t) rappresenta la probabilità che una macromolecola abbia subito un spostamento nell’intorno di volume d3 R del punto R al tempo t (si veda la (1.52)) quindi è direttamente proporzionale alla c(R, t). CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 1.4.6 24 Calcolo del termine extra della funzione omodina in presenza di un moto uniforme Nel calcolo della funzione omodina abbiamo ottenuto un termine di deviazione dell’approssimazione Gaussiana. Tale termine aveva la forma hδN (0)δN (t) (si veda la (1.70)). Per poterlo calcolare dobbiamo esprimere il numero di macromolecole contenute nel volume illuminato V come un integrale della concentrazione c(r, t) Z N (t) = c(r, t)d3 r V Cosı̀ possiamo esprimere la fluttuazione del muero di molecole presenti in V al tempo t come Z δN (t) = δc(r, t)d3 r (1.80) V Supponiamo ora che il volume illuminato V sia un cubo di lato l centrato nell’origine definito dalle relazioni −l/2 < x1 < l/2, −l/2 < x2 < l/2 e −l/2 < x3 < l/2. Definimao inoltre il vettore l = (l, l, l). Ora introduciamo la funzione a gradino tridimensionale definita come Θ(r + l/2) = θ(r1 + l/2) · θ(r2 + l/2) · θ(r3 + l/2) dove la funzione θ è definita come di consueto ( θ(ri + l/2) = 0 se ri < −l/2 1 se ri > −l/2 con i = 1, 2, 3. In questo modo possiamo estendere l’integrale (1.80) a tutto lo spazio Z δN (t) = Θ(r + l/2)Θ(l/2 − r)δc(r, t)d3 r (1.81) Poiché le macromolecole sono gli unici elementi che diffondono luce, la fluttuazione dell’intensità della luce diffusa è proporzionale alla fluttuazione del numero di macromolecole δN (t) δIs (t) ∝ δN (t) Quindi possiamo considerare più propriamente δIs (t) al posto di δN (t), soprattutto nel caso in cui il mezzo non è uniformemente illuminato. In tale situazione bisogna pesare diversamente le macromolecole, esse non saranno più solo illuminate (bj (t) = 1) o non illuminate (bj (t) = 0), bensı̀ ciascuna di esse sarà irradiata da un campo elettrico di diversa ampiezza e quindi emetterà una radiazione di CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 25 intensità proporzionale a quella dela luce incidente. Ad esempio consideriamo un elemento di volume infinitesimo illuminato d3 r attorno al punto r, esso conterrà dN (r, t) = c(r, t)d3 r macromolecole, se l’intensità I della luce incidente è funzione della posizione I = I(r) avremo che dIs (r, t) ∝ I(r)n(r, t) = I(r)c(r, t)d3 r che integrata da Z I(r)c(r, t)d3 r Z I(r)δc(r, t)d3 r Is (t) ∝ Considerando le fluttuazioni avremo δIs (t) ∝ (1.82) Ricapitolando, per passare dalla (1.80) alla (1.82) occorre considerare le seguenti sostituzioni δN (t) → A δIs (t) Θ(r + l/2)Θ(l/2 − r) → I(r) dove A è un coefficiente moltiplicativo che ignoreremo. Essendo interessati alla funzione di correlazione avremo hδN (0)δN (t)i → A2 hδIs (0)δIs (t)i Tenendo presente la (1.82) sarà Z I(r0 )δc(r0 , 0)d3 r0 Z d3 r0 I(r)I(r0 )hδc(r0 , 0)δc(r, t)i δIs (0) ∝ Quindi dovremo calcolare Z hδIs (0)δIs (t)i ∝ 3 d r (1.83) Si può dimostrare (si veda l’appendice A)che la (1.83) può scriversi come Z hδIs (0)δIs (t)i ∝ dove d3 q|I(q)|2 F (q, t) (1.84) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI Z I(q) = 26 d3 rI(r)eiq·r r F (q, t) = hδc∗ (q, 0)δc(q, t)i con δc(q, t) = R d3 r δc(r, t)eiq·r Per procedere al calcolo della (1.84) occorre specificare una forma della I(r). Suppponiamo quindi che la radiazione incidente si propaghi lungo l’asse z e che essa abbia un profilo gaussiano di larghezza σ1 lungo gli assi x e y. Assumiamo inoltre di rilevare la radiazione diffusa lungo l’asse x attraverso una fenditura che ammetta la radiazione con un profilo gaussiano di larghezza σ2 . In questo modo una gaussiana descrive efficacemente il volume illuminato I(r) = I0 e−(x 2 +y 2 )/(2σ 2 ) 1 e−z 2 /(2σ 2 ) 2 La trasformata di Fourier della I(r) è allora I(q) = (2π)3/2 σ1 2 σ2 I0 e−σ1 2 (q 2 +q 2 )/2 x y e−σ2 2 q 2 /2 z Si ricordi che nel caso di sola diffusione avevamo F (q, t) = e−q 2 Dt con q 2 = qx 2 + qy 2 + qz 2 (si veda la (1.60)), quindi nella (1.84) avremo Z d3 qe−σ1 Z dqx e(σ1 hδIs (0)δIs (t)i ∝ = 2 (q 2 +q 2 ) y x 2 +Dt)q 2 x Z e−σ2 2q 2 z e−q dqy e(σ1 2 Dt 2 +Dt)q 2 y Z dqz e(σ2 2 +Dt)q 2 z = π 3/2 (σ1 2 + Dt)−1/2 (σ1 2 + Dt)−1/2 (σ2 2 + Dt)−1/2 = π 3/2 (σ1 2 + Dt)−1 (σ2 2 + Dt)−1/2 Se le macromolecole sono sospese nel fluido che scorre con velocità V abbiamo trovato che F (q, t) = eiq·Vt e−q Z hδIs (0)δIs (t)i ∝ Z = d3 qe−σ1 dqx e(σ1 2 Dt (si veda la (1.78)), quindi avremo nella (1.84) 2 (q 2 +q 2 ) x y e−σ2 2q 2 z 2 +Dt)q 2 +(iV t)q x x x Z eiq·Vt e−q dqy e(σ1 = π 3/2 (σ1 2 + Dt)−1 (σ2 2 + Dt)−1/2 e t2 4 2 Dt 2 +Dt)q 2 +(iV t)q y y y „ 2 Vx 2 +Vy 2 + V2z σ1 2 +Dt σ2 +Dt (1.85) Z dqz e(σ2 2 +Dt)q 2 +(iV t)q z z z (1.86) « Si noti che, se consideriamo delle particelle di raggio a ∼ 0.1µm, avremo D ∼ (1.87) CAPITOLO 1. LE TECNICHE SPERIMENTALI 27 10−13 × a−1 ∼ 10−8 cm2 /s; se inoltre abbiamo σ1 ∼ σ2 ∼ 10−4 cm e se siamo interessati alla funzione (1.87) fino ad un tempo massimo τ ∼ 10−2 s avremo che σ1,2 2 ∼ 10−8 Dτ ∼ 10−10 Ne segue che nella (1.87) potremmo trascurare il termine Dt rispetto ai termini σ1,2 2 cosı̀ da ottenere hδIs (0)δIs (t)i ∝ e t2 4 „ 2 Vx 2 +Vy 2 + Vz 2 σ1 2 σ2 « dove abbiamo tralasciato i termini costanti. Se inoltre assumiamo che la componente verticale della velocità sia quella dominante Vy Vx,z , come ad esempio in un moto convettivo si avrà hδIs (0)δIs (t)i ∝ e t2 4 „ Vy 2 σ1 2 « Capitolo 2 L’esperimento L’esperimento consiste nella misura della funzione di correlazione omodina della luce laser infrarossa (λ = 1064nm) diffusa da una soluzione di microsfere in acqua. Lo studio svolto nell’anno accademico precedente ha interessato diversi campioni di macromolecole sferiche di latex di due diametri (110 nm e 989 nm) in soluzioni acquose a differenti concentrazioni. In ogni caso era stata misurata la funzione di correlazione omodina del campo elettrico diffuso ad un angolo di scattering fissato θ = π/2. 2.1 I risultati raggiunti Dalle misure precedenti era emerso come i tempi di diffusione fossero in buon accordo con i valori previsti teoricamente a basse intensità incidenti, ovvero in condizioni tali che il riscaldamento dovuto all’assorbimento da parte dell’acqua della radiazione laser fosse trascurabile. Al contrario, per potenze incidenti crescenti risultavano sensibilmente ridotti. Inoltre i dati raccolti sembravano dimostrare l’esistenza di un moto convettivo azionato dal riscaldamento locale della soluzione acquosa che assorbe molto alla lunghezza d’onda infrarossa utilizzata ed evidenziato, almeno per concentrazioni sufficientemente basse, dalla presenza di discesa gaussiana. Nella sezione 1.4.5 abbiamo visto infatti come nella funzione di correlazione omodina sia presente un termine legato alla fluttuazione del numero di particelle nel volume di scattering hδN (0)δN (t)i ed abbiamo mostrato come questo termine possa generare una discesa gaussiana nel caso in cui il tempo caratteristico della fluttuazione rientri nell’intervallo di tempo campionato. Le funzioni di correlazione sono state misurate nell’intervallo [10−6 , 1]s, e la lunghezza caratteristica del volume di scattering è w2 = 13 µm, quindi la presenza di una discesa gaussiana non può essere ricondotta alla diffusione che avrebbe un tempo caratteristico mol- 28 CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO 29 to più lungo τd = L2 /D. Ad esempio il tempo caratteristico di questa fluttuazione per microsfere di Latex di diametro 110nm è τd ' 4s. Tuttavia sono sufficienti velocità di convezione poco maggiori di 0.01 mm/s a far fluttuare il numero di particelle su tempi minori di 1 s: τc = w2 /Vy . 2.2 Ipotesi di lavoro Il tempo di diffusione di una soluzione dipende dalla temperatura, quindi noto il suo valore è possibile stimare il riscaldamento dovuto al laser. Conoscendo la relazione teorica che lega la potenza incidente alla variazione di temperatura indotta si può verificare la validità dell’ipotesi. 2.3 Configurazione sperimentale Le misure sono state effettuate nella configurazione schematizzata in Figura 2.1. Il laser è disposto ad una distanza d = 1.5 m dalla lente di focalizzazione L1. La luce laser, dopo aver attraversato il filtro attenuatore F1, viene focalizzata dalla lente L1 (con lunghezza focale f1 = 40 cm) sul campione S posto ad una distanza f1 da L1. La luce diffusa da S ad un angolo di π/2 viene raccolta da una seconda lente L2 (con focale f2 ) posta ad una distanza 2f2 da S. La lente L2 focalizza la radiazione diffusa nel punto P a distanza 2f2 da L2. La radiazione viene poi raccolta da un lente L3 (con focale f3 ) posta ad una distanza f3 da P in modo da focalizzare la radiazione all’infinito. Tra le lenti L3 ed L4 può essere posto un secondo filtro attenuatore F2. La lente L4 del collimatore (con focale f4 = f3 ) raccoglie la luce proveniente da F3 e la focalizza su un fibra ottica collegata al fotomoltiplicatore. Infine il segnale del fotomoltiplicatore viene eleborato da un computer che calcola la funzione di autocorrelazione e la memorizza. Il campione, una provetta di vetro sigillata contenente la soluzione in studio, è contenuto in un cilindro metallico la cui temperatura viene controllata tramite un termoregolatore. breve nota tecnica sul termoregolatore: dire che scalda ma non refrigera, i parametri della funzione, l’elettronica CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO 30 Figura 2.1: rappresentazione schematica dell’apparato sperimentale 2.4 Procedure sperimentali Sono state svolte misure di due tipologie: • con una configurazione sperimentale (filtri F1 e posizione della raccolta) fissata, si misurano funzioni di correlazione a diverse temperature; • le funzioni di correlazione sono misurate per diverse configurazioni sperimentali, mantenendo fissa la temperatura globale del campione. Nel primo caso l’intera serie di misure è automatizzata, la temperatura è gestita dal termoregolatore opportunamente programmato, impostando adeguatamente i tempi di attesa in modo da assicurarsi che il sistema abbia raggiunto l’equilibrio. Nel secondo caso, invece, l’unico ruolo svolto dal termoregolatore consiste nel mantenere la temperatura costante. A questo scopo, poiché non è possibile raffreddare il campione ma solamente riscaldarlo, è opportuno tenersi sempre alcuni gradi al di sopra della temperatura ambiente in modo che eventuali variazioni di quest’ultima non possano inficiare la misura. Con queste procedure ci si assicura la conoscenza della temperatura globale del sistema e si potrà facilmente calcolarne la variazione locale una volta che questa sia stata stimata dal tempo di diffusione. Capitolo 3 Analisi Dati 3.1 Retta di calibrazione e viscosità dell’acqua Sotto opportune approssimazioni, la variazione locale della temperatura dovuta al riscaldamento dell’acqua è legata alla potenza assorbita dalla relazione (si veda l’appendice. . . ): ∆T ∝ P 1/2 (3.1) La temperatura del volume illuminato può essere ricavata dai tempi di diffusione dall’espressione τ = (2q 2 D)−1 dove q è la quantità di moto scambiata, sapendo che il coefficiente di diffusione D dipende dalla temperatura (espressa in Kelvin): D= kB T 6πη(T )a (3.2) dove η è la viscosità dell’acqua e a il raggio delle microsfere. Per il tempo di diffusione si ha allora: τ= 6πη(T )a . 2q 2 kB T (3.3) Il valore di η in funzione di T è ben descritto dalla legge esponenziale: − η(T ) = η1 e T −T0 T1 + η0 dove η1 = 1.8 mPoise, T0 = 273 K, T1 = 25 K ed η0 = 0.03 mPoise. Dai valori di τ stimati mediante fit si può dunque dedurre la temperatura della zona illuminata risolvendo numericamente l’equazione (3.3) rispetto alla T . Tale procedimento risulta evidentemente molto macchinoso mentre la possibilità di disporre di un termoregolatore ci offre una via più diretta per raggiungere lo 31 CAPITOLO 3. ANALISI DATI 32 stesso scopo: selezionando un potenza sufficientemente bassa da non produrre riscaldamento apprezzabile e facendo variare la temperatura dell’intera soluzione in maniera controllata si può ricavare sperimentalmente l’andamento dei tempi di diffusione del nostro campione con la temperatura. Si ottiene in questo modo una “retta di calibrazione” con quale confrontare i tempi ottenuti tenendo fissa retta di calibrazione la temperatura esterna a diverse potenze incidenti determinando direttamente la temperatura effettiva della regione illuminata Tef f (P ). y = 0,0012719 - 1,5636e-05x R= 0,99851 0,0008 tau(T) tau(P) t(s) 0,00075 0,0007 0,00065 0,0006 32 34 36 38 40 42 T(°C) Figura 3.1: retta di calibrazione a 13 mW Si ottiene quindi la variazione di temperatura cercata in funzione della potenza: ∆T = Tef f (P ) − Text , dove Text è la temperatura iniziale impostata sul termoregolatore. Graficando i valori trovati in funzione della potenza erogata dal laser si dovrebbe ritrovare la relazione (3.1) a meno di un coefficiente di assorbimento. CAPITOLO 3. ANALISI DATI 33 40 39 38 Teff(°C) y = M0^ 0.5*m1 Teff_m Value Error tau(T)ab m1 2,7011 0,033213 Chisq 2131 NA R 1 NA 37 36 35 0 100 200 300 400 500 P(mW) Figura 3.2: Temperature efficaci in funzione della potenza. La linea continua √ rappresenta un fit del tipo y = a x + b. I punti sperimentali sopra riportati non possono in alcun modo essere fittati con una funzione del tipo radice quadrata: le temperature ottenute per alte potenze eccedono certamente la sovrastima teorica, mentre sotto la soglia dei 100 mW i risultati ottenuti sono molto più ragionevoli, come si può osservare nel grafico seguente. Teff_m CAPITOLO 3. ANALISI DATI 34 35,45 35,4 35,35 Teff (°C) 35,3 35,25 35,2 35,15 35,1 35,05 0 20 40 60 80 100 120 P(mW) Figura 3.3: Temperature efficaci per basse potenze. La linea continua rappresenta √ un fit del tipo y = a x + b. Gli errori sperimentali non sono riportati perché troppo grandi. La prima verifica compiuta ha riguardato la “retta di calibrazione”. Utilizzando i valori tabulati della viscosità dell’acqua η(T ) si è risaliti ai valori di nostro interesse eseguendo un’interpolazione non un polinomio di secondo grado. M1 M2 R -0,023188 0,00013535 0,99977 CAPITOLO 3. ANALISI DATI 35 0,8 0,75 0,7 viscosità (T) 0,65 0,6 0,55 0,5 0,45 0,4 20 30 40 50 60 70 80 T(C°) Figura 3.4: Viscosità dell’acqua in funzione della temperatura interpolata con un polinomio di secondo grado. Non conoscendo il valore della quantità di moto scambiata q, si è imposto che il valore sperimentale del tempo di decadimento alla temperatura più bassa coincidesse con il rispettivo valore teorico al fine di rimuovere l’indeterminazione della costante moltiplicativa: τ (T = 33 C) = α dove α= η(T = 33 C) T + T0 6πa = 0.3104 s C/mP oise. 2q 2 kB Nel grafico seguente sono riportati insieme i valori sperimentali e quelli cosı̀ ricavati dei tempi di diffusione in funzione della temperatura. confronto dei tempi di decadimento sperimentali e teorici CAPITOLO 3. ANALISI DATI 36 0,0008 t sperim t teor 0,0007 t(s) 0,0006 0,0005 0,0004 0,0003 30 35 40 45 50 55 60 65 70 T(°C) Figura 3.5: andamento dei tempi di diffusione sperimentali e teorici in unzione della temperatura Come si vede, la sovrapposizione è quasi perfetta. La spiegazione del comportamento anomalo ad alte potenze va ricercata altrove. 3.2 Thermal lensing: un’ipotesi Il riscaldamento locale di un fluido induce all’interno di questo un campo di densità e conseguentemente indice di rifrazione n(x, y, z). Per effetto di tale fenomeno la forma del fascio laser gaussiano all’interno del campione può modificarsi: si può verificare uno spostamento del fuoco simultaneamente ad un aumento della divergenza (mentre si mantengono inalterati in prima approssimazione il profilo gaussiano del fascio e la simmetria cilindrica attorno all’asse ottico). Riportiamo in Appendice C la trattazione quantitativa del thermal-lensing nel caso in cui il campione abbia dimensioni lineari trascurabili rispetto alla scale tipica su cui varia la larghezza del fascio, e sia quindi approssimabile con una lente sottile. 3.2.1 Thermal lensing: verifiche sperimentali Per verificare la presenza dell’effetto lente, si è posizionato un pin − hole a valle del campione (figura 3.2.2), sufficientemente stretto da non lasciar passare l’intero CAPITOLO 3. ANALISI DATI 37 spot del laser. Si è misurata la potenza in uscita dal pin − hole in funzione di quella incidente sul campione, sia per luce verde che per luce infrarossa. Se la previsione della presenza di thermal − lensing è corretta, per la luce verde ci si aspetta di trovare che Pout è lineare in Pin , dal momento che l’assorbimento dell’acqua nel verde è trascurabile e, di conseguenza, lo è l’effetto lente; al contrario, per l’ IR, si prevede un andamento che, per le alte potenze, devia fortemente da quello lineare. 3.2.2 Luce verde ed infrarossa: misure della potenza in uscita LASER FILTRI insieme SAMPLE PIN-HOLE POWER-METER F Figura 3.6: Una schematizzazione dell’apparato sperimentale y = -4,3791 + 0,74301x R= 0,99904 350 300 P_out (mW) 250 200 150 100 50 0 0 100 200 300 400 500 P_in (mW) Figura 3.7: Andamento lineare per la luce verde In figura 3.2.2, si vede che la previsione fatta è rispettata: la potenza in uscita è lineare in quella incidente, il che conferma che l’acqua non assorbe il verde e non ci sono effetti non considerati che compromettano tale linearità. M5 R -7,3939e-11 0,99986 IR con CAPITOLO 3. ANALISI DATI 38 100 80 P_out (mW) 60 40 20 0 0 100 200 300 400 500 P_in (mW) Figura 3.8: Andamento non lineare per la luce infrarossa La potenza in uscita per la luce IR, come ci si aspettava, non è lineare; inoltre si trova che essa non è neanche monotona: nel range analizzato, infatti, sembra presentare due punti di flesso (uno intorno ai 200 mW e l’altro intorno ai 400 mW ). Questo andamento oscillante è da attribuirsi agli effetti competitivi dell’aumento dell’ intensità incidente e dell’aumento della divergenza del fascio all’interno del campione. H IR lin CAPITOLO 3. ANALISI DATI 39 y = -0,30675 + 0,76516x R= 0,9991 80 70 60 P_out (mW) 50 40 30 20 10 0 0 20 40 60 80 100 P_out (mW) Figura 3.9: Parte lineare nell’infrarosso Per potenze incidenti fino a 100 mW la potenza in uscita è, in ottima approssimazione, lineare, pertanto l’effetto di thermal-lensing in tale range risulta sostanzialmente trascurabile. 3.2.3 Misure di fotocorrelazione in diverse posizioni Essendo stata appurata la presenza di un effetto di thermal-lensing, è opportuno condurre uno studio dei tempi di convezione e di diffusione in funzione della posizione della raccolta lungo l’asse ottico. Se la convezione e la diffusione sono influenzate dalla forma del profilo del fascio all’interno del campione, questo risulterà evidente da tale studio. m2 0,42051 0,0012043 m5 m5 0,005934 0,0063593 0,00021369 0,00022766 0,0062678 0,00023638 m3 0,00092424 NA 5,3618e-06 Chisq 0,00051454 Chisq 8,0818e-05 NA 8,8609e-05 m4 NA 0,026238 NA 0,0012484 R R 0,99998 0,99999 NA Camp B, posiz 0,99998 m5 NApositive 0,0063126 0,00026124 Chisq 0,00022154 NA R 0,99998 NA m5 Chisq R CAPITOLO 3. ANALISI DATI 40 1,8 g0 fp g4 fp g8 fp g12 fp 1,6 f_corr 1,4 1,2 1 0,8 10-6 10-5 0,0001 0,001 y = M1+M2*exp(-M0/M3)+M4*exp... 0,01 0,1 1 y = M1+M2*exp(-M0/M3)+M4*exp... Value Error m1Value 1,0028Error0,00012202 y = M1+M2*exp(-M0/M3)+M4*exp... t(s) m1 1,0043 0,00015151 0,0010385 m2 0,34018 Value Error m2 0,34714 0,0012371 5,5383e-06 m3 1,0045 0,00097983 m1 0,00026646 m3 0,0010003 6,6741e-06 0,0010732 m4 0,017874 m2 Camp0,33656 0,0013897 B, posiz negative m4 0,0012786 m50,015 0,005605 0,00024521 m3 0,0010296 9,1479e-06 m5 0,0058597 0,00037375 9,6149e-05 NA m4 Chisq0,020031 0,0014389 Chisq 0,00014696 NA R 0,99998 NA m5 0,0080769 0,0005691 R 0,99998 NA Chisq 0,00042624 NA R 0,99993 NA 10 Figura 3.10: Funzioni di correlazione per diverse posizioni della raccolta lungo l’asse ottico; ciascuna posizione è contrassegnata dal numero di giri corrispondenti della vite micrometrica. 1,4 g-1 fp g-2 bis fp g-3 fp 1,3 f_corr 1,2 1,1 1 0,9 10-6 10-5 0,0001 0,001 0,01 0,1 1 10 t(s) Figura 3.11: Funzioni di correlazione per diverse posizioni della raccolta lungo l’asse ottico; ciascuna posizione è contrassegnata dal numero di giri corrispondenti della vite micrometrica. andamento del tempo di decadimento esponenziale e gaussiano in funzione della posizione di raccolta CAPITOLO 3. ANALISI DATI 41 0,007 0,006 0,005 0,004 t(s) tau exp tau gauss 0,003 0,002 0,001 0 -5 0 5 10 15 giri Figura 3.12: I tempi della prima caduta esponenziale e della seconda caduta gaussiana in funzione della posizione, dove nuovamente la posizione è scritta in numero di giri della vite micrometrica. Vy = w2 τc (3.4) dove w2 è la dimensione lineare della raccolta e τc il tempo di convezione. Vy = αgw12 ∆T 2ν (3.5) conoscendo τc si trova: w1 ∝ τc−2 (3.6) avendo supposto costante ∆T lungo l’asse ottico (discutibile, vedi dopo). Non conoscendo le costanti di proporzionalità, si può graficare la variazione relativa percentuale della larghezza del fascio in funzione della posizione: ∆w1 w1 (z) − w1min τc−2 (z) − (τcmax )−2 = = w1 (τcmax )−2 w1min (3.7) Y = M0 + M1*x + ... M8*x8 + M9*x9 M0 -0,0021529 M1 -0,010663 err perc M2 0,96704 waist R 0,99868 CAPITOLO 3. ANALISI DATI 42 16 14 12 variazione % 10 8 6 4 2 0 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 x (mm) Figura 3.13: La variazione percentuale della larghezza del fascio rispetto alla waist, ricavata dai τc sperimentali. Le posizioni sono espresse in millimetri e lo zero è stato posto in corrispondenza del minimo. In assenza di thermal-lensing si dovrebbe trovare una variazione percentuale graficata nella figura successiva (vedi A) Y = 100*(0.01*sqrt(1+(x^ 2/5.95^ 2))-0.01)/0.01 CAPITOLO 3. ANALISI DATI 43 B 0,7 0,6 0,5 variazione % y = m1*M0^2 Value Error m1 1,4053 9,3766e-05 Chisq 0,00044224 NA R 1 NA 0,4 0,3 0,2 0,1 0 -0,6 -0,4 -0,2 0 0,2 0,4 0,6 x (cm) Figura 3.14: Variazione percentuale teorica della larghezza del fascio, in assenza andamento del tempo di decadimento esponenziale di thermal-lensing. in funzione della posizione di raccolta tau exp 0,00115 0,0011 t (s) 0,00105 0,001 0,00095 0,0009 -5 0 5 10 15 giri Figura 3.15: Tempo di diffusione in funzione della posizione della raccolta. Capitolo 4 Studio della larghezza del fascio nel campione Abbandoniamo l’ipotesi che la temperatura sia uniforme lungo l’asse ottico e scegliamo invece di ricavarla dai tempi diffusione misurati alle relative posizioni. Ricaviamo quindi nuovamente la relazione che lega la potenza assorbita, il riscaldamento e, a questo punto, la larghezza del fascio nel punto. 4.1 Il tempo di convezione e il riscaldamento Poniamoci nel sistema di riferimento rappresentato in fig. 4.1: l’asse ottico è l’asse ζ, origine è posta nel punto più stretto mentre l’inizio del campione è alla coordinata ζ0 < 0 =inizio del campione. Figura A.3: Formazione dell’immagine con i fasci gaussiani, si noti come l’immagine σ0! della larghezza caratteristica trova oltre sotto il fuoco dellaapDalle equazioni di Navier-Stokes la velocitàσ0disiconvezione, alcune lente. ! w ! (d − f ) = w0! 44 1 + [(d − f )2 /z0! 2 ] (A.23) In base alla (A.23) possiamo calcolare la larghezza del fascio laser incidente sul campione nel nostro esperimento. Considerando che il nostro laser (con lunghezza d’onda λ = 1064 nm) ha una larghezza caratteristica CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE45 prossimazioni la cui plausibilità sarà possibile verificare solo a posteriori, è data da (vedi l’Appendice B): vy ∝ w12 (ζ)∆T (ζ) ≡ w2 /τc dove w1 (ζ) è la larghezza del fascio nel punto e w2 è la dimensione lineare del volume di raccolta. Quindi si ha: w1 (ζ) ∝ (∆T (ζ) τc (ζ))−1/2 (4.1) ed a meno di una costante moltiplicativa il profilo del fascio può essere ricavato dai dati sperimentali. La costante in realtà è data semplicemente da w2 αg/2ν 1/2 , dove ν = 10−6 m2 /s α = 1.8 10−4 K −1 g = 9.8 m/s2 w2 = 13 µm Per determinare T (z) utilizziamo la curva di taratura τ (T ) ed estrapoliamo i tempi di diffusione per temperature più basse, sfruttando la relazione teorica (3.3) tra questi ultimi e la viscosità dell’acqua; a questo punto si può invertire per via grafica τ (T ) per avere T (τ ). Poichè abbiamo una relazione sperimentale tra τ e z, possiamo ricavare l’andamento sperimentale di T (z). CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE46 26 25 24 T(°C) 23 22 21 20 19 -6 -4 -2 0 2 4 x(mm) Figura 4.1: La temperatura locale in funzione della posizione z all’interno del campione, lungo l’asse ottico Dal momento che l’esperimento è stato condotto senza termostato, il campione si trovava alla temperatura ambiente T0 , che è stata (arbitrariamente) fissata a 17 ◦ C. Tuttavia questa arbitrarietà non influisce in modo rilevante sull’analisi qualitativa della forma del fascio, che rimane sostanzialmente invariata per cambiamenti di T0 dell’ordine di qualche grado. L’andamento dei tempi di diffusione τ in funzione della posizione z, stimati dalla relazione (4.1), utilizzando i valori di ∆T (z) ricavati come appena illustrato, è rappresentato in fig. 4.1. CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE47 0,0007 w (m) 0,00065 0,0006 0,00055 0,0005 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 x(mm) Figura 4.2: Andamento della larghezza del fascio w all’interno del campione, lungo l’asse ottico Se i risultati ottenuti sono attendibili, il fuoco del fascio è fortemente spostato verso destra. Questo sembrerebbe essere in contrasto con l’andamento della potenza passante attraverso il pin-hole (fig. 3.2.2), tuttavia possiamo pensare che, nonostante lo spostamento del fuoco verso destra, il fascio esca dal campione con una divergenza molto elevata, tale da giustificare il difetto di potenza in uscita. 4.2 L’assorbimento Se un fascio laser incide su di un mezzo di coefficiente di assorbimento γ nel punto ζ0 con una potenza P0 e prosegue al suo interno, in un successivo generico punto sull’asse ottico ζ > ζ0 si misurerà una potenza inferiore P (ζ) data dall’espressione: P (ζ) = w0 I0 e−γ(ζ−ζ0 ) = P0 e−γ(ζ−ζ0 ) dove w0 è la larghezza del fascio in ζ0 . Rifolmuliamo ora la trattazione svolta nella sezione B.3 nel caso il cui il fascio all’interno del campione abbia un profilo generico, rimuovendo l’ipotesi che possa essere assimilato ad un cilindro. Otterremo quindi delle relazioni locali in funzione della posizione sull’asse ottico, anziché globali come nell’Appendice B. CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE48 Considerando una fettina di volume illuminato attorno all posizione ζ che si sposta verso l’alto di un tratto dy, il volume spostato è dato da: dV (ζ) = dy dζw1 (ζ) e la sua massa è dm(ζ) = dy dζρw1 (ζ) y dy w1(z) O (0,0,z) x Figura 4.3: Sezione del volume spostato Il calore assorbito dal volume dV è: dQc (ζ) = cdm(ζ)∆T = c dy dζρw1 (ζ) = dPass dt dove dPass è la potenza assorbita da una rotella di volume illuminato spessa dζ: dPass = [P (ζ) − P (ζ + dζ)] ' −P 0 (ζ)dζ Sostituendo e derivando rispetto dt: w1 (ζ)vy (ζ)∆T (ζ) ∝ −P 0 (ζ) Sostituendo ancora le espressioni di vy e w1 in funzione di ∆T e τc : (∆T τc ) ∆T ∝ −P 0 (ζ) τc (4.2) τc−2 (ζ) ∝= −P 0 (ζ) = γP0 e−γ(ζ−ζ0 ) (4.3) (∆T τc )−1/2 e semplificando: CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE49 ∆T non compare nell’espressione ottenuta e l’andamento previsto per i tempi di convezione non è compatibile con i dati sperimentali. Invertendo la (4.1) infine si ha: τc (ζ) ∝ w1−2 (ζ)∆T −1 (ζ) da cui w14 (ζ)∆T 2 ∝ P0 e−γ(ζ−ζ0 ) (4.4) e quindi per ζ fissata: ∆T ∝ P 1/2 w1−4 Questa relazione spiega, almeno ipoteticamente, perché non avevamo un buon accordo tra i dati sperimentali e la sovrastima teorica (3.1). Il riscaldamento dipende fortemente dalla larghezza del fascio, che a sua volta dipende dalla posizione, ma facendo invece variare la potenza incidente tenendo la raccolta in una posizione fissata come nella sezione (3.1) non possiamo escludere che il fuoco del fascio si sposti e che di conseguenza il fascio nello stesso punto abbia larghezza diversa. Piccola Proposta: Supponiamo per esempio che la raccolta non fosse ben allineata col fascio, si avrebbe una situazione come quella mostrata in figura: raccolta asse ottico sample Figura 4.4: Sezione del volume spostato Non mettiamo quindi vincoli sul possibile andamento della potenza e ricaviamola invece dalla (4.3) integrandola. Facendo un fit abbiamo ottenuto: τc−2 (ζ) = aζ 2 + b quindi P 0 (ζ) = −C(aζ 2 + b) (4.5) CAPITOLO 4. STUDIO DELLA LARGHEZZA DEL FASCIO NEL CAMPIONE50 da cui Z ζ Z ζ P (ζ) = P (ζ0 ) − C P (ζ) = P (ζ0 ) + ζ0 avendo 0 ζ0 ζ3 ax + b = −C a + bζ 3 2 ζ3 P0 = P (ζ0 ) = − a 0 + bζ0 3 (4.6) Capitolo 5 Problemi aperti Dallo studio qui presentato si è sostanzialmente evinto che ci siamo posti un problema dotato di un grado di complessità superiore a quello supposto dall’analisi teorica svolta preliminarmente alla fase sperimentale. Giocano infatti un ruolo fondamentale una serie di fattori fortemente accoppiati, nessuno dei quali ha, effettivamente, conseguenze trascurabili rispetto agli altri: • c’è un gradiente di temperatura, e quindi di densità, che è indotto dalla forma del fascio all’interno del campione; • a sua volta la forma del fascio, e la sua divergenza, sono determinate dal campo di indice di rifrazione n(r, z) all’interno del volume del campione; • in un esperimento a potenza incidente variabile, ma con la raccolta in una posizione fissa, non si può tener conto in modo semplice dell’effetto lente; infatti si dovrebbero considerare contemporaneamente l’aumento della divergenza del fascio e lo spostamento del suo punto di focalizzazione; • le pareti del contenitore riflettono la luce e contribuiscono alla rifrazione, in modi che non sempre sono controllabili; • I campioni che si utilizzano sono soggetti a “deteriorazione ”: specialmente se sottoposti a fonti di calore intense, le palline di latex possono formare degli agglomerati che influenzano considerevolmente la forma delle funzioni di correlazione. Date queste considerazioni, a nostro parere , per sviluppare questo studio sono necessari alcuni approfondimenti: • una soluzione più accurata delle equazioni di Navier - Stokes con le opportune condizioni al bordo e con approssimazioni meno grossolane, in modo da disporre di un riferimento plausibile per il campo di velocità all’interno della provetta; 51 CAPITOLO 5. PROBLEMI APERTI 52 • uno studio, a diverse potenze incidenti, dell’andamento delle grandezze fondamentali al variare della posizione della raccolta lungo l’asse ottico z, cosı̀ da poter determinare più precisamente la forma del fascio e la posizione della waist; • utilizzare un dispositivo di refrigerazione per esplorare anche le temperature inferiori a quella dell’ambiente. Appendice A Larghezza di un fascio gaussiano focalizzato Il fascio gaussiano rappresenta un tipo di fascio luminoso molto interessante. L’importanza di studiare dei fasci di forma gaussiana nasce essenzialmente dal fatto che i dispositivi laser emettono una radiazione caratterizzata da un profilo gaussiano. A.1 L’equazione di Helmotz Ricordiamo che la componenete del campo elettrico di un’onda piana polarizzata può essere descritta come una funzione dello spazio r e del tempo t della forma [?] E(r, t) = E0 ei(k·r−ωt) dove k è il vettore d’onda ed ω è Tuttavia l’onda piana non è che la soluzione più semplice dell’equazione delle onde ∇2 E(r, t) − 1 ∂2 E(r, t) = 0 V 2 ∂t2 (A.1) dove V2 = 1 εµ0 Più in generale si può scrivere la soluzione della (A.1) come una funzione della forma E(r, t) = E0 (r)e−ig(r) eiωt 53 APPENDICE A. LARGHEZZA DI UN FASCIO GAUSSIANO FOCALIZZATO54 Introducendo U (r) = E0 (r)e−ig(r) avremo E(r, t) = U (r)eiωt (A.2) Inserendo la (A.2) nella (A.1) otteniamo l’equazione di Helmotz per la U (r) ∇2 U (r) + ω2 U (r) = 0 V2 (A.3) Il problema della risoluzione della (A.3) consiste nel trovare delle soluzioni di questa equazione differenziale alle derivate parziali avendo imposto alcune condizioni al bordo. le soluzioni più comuni della (A.3) sono quelle del tipo onda piana in cui U (r) = e−ik·r oppure onda sferica U (r) = e−ikr . Come vedremo anche il fascio gaussiano rappresenta una particolare soluzione della (A.3). A.2 Equazione di Helmotz per ampiezze lentamente variabili In molte situazioni pratiche la propagazione dell’onda elettromagnetica avviene principalmente lungo un solo asse che assumeremo essere l’asse z. Assumiamo inoltre che la funzione U (r) sia separabile in due parti: una periodica rapidamente variabile con z ed una parte che varia più lentamente con z che indicheremo con Ψ. Avremo quindi che U (r) = Ψ(r)eikz (A.4) con k = 2π/λ dove λ è la lunnghezza d’onda della luce. Inserendo la (A.4) nella (A.3) otteniamo l’equazione ∇2 Ψ(r) − 2ik ∂ Ψ(r) = 0 ∂z (A.5) Riscriviamo ora la (A.5) ricordando che 2 ∇ = ∂2 ∂2 ∂2 + + ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 cosı̀ avremo ∂2 ∂2 ∂2 ∂ Ψ(r) + 2 Ψ(r) + 2 Ψ(r) − 2ik Ψ(r) = 0 2 ∂x ∂y ∂z ∂z Poiché la Ψ(r) varia lentamente con z potremo trascurare il termine (A.6) ∂2 Ψ(r) ∂z 2 APPENDICE A. LARGHEZZA DI UN FASCIO GAUSSIANO FOCALIZZATO55 nella precedente equazione, ottenendo cosı̀ l’equazione di Helmotz per la Ψ ∂2 ∂2 + ∂x2 ∂y 2 Ψ(r) − 2ik ∂ Ψ(r) = 0 ∂z (A.7) Consideriamo ora il caso in cui la Ψ(r) abbia una simmetria radiale attorno all’asse z di propagazione. In questo caso potremo riscrivere la Ψ come Ψ(r) = Ψ(r, z) dove r = p x2 + y 2 . Potremo anche riscrivere l’operatore differenziale della (A.7) come ∂2 ∂2 + ∂x2 ∂y 2 = ∂2 1 ∂ + ∂r2 r ∂r Quindi l’equazione (A.7) diverrà ∂2 1 ∂ + 2 ∂r r ∂r Ψ(r, z) − 2ik ∂ Ψ(r, z) = 0 ∂z (A.8) La soluzione dell’equazione differenziale alle derivate parziali (A.8) è “ kr 2 −i −i ln[1−i(z/z0 )]+ 2(z+iz Ψ(r, z) = Ψ0 e ” (A.9) 0) dove Ψ0 e z0 sono delle costanti di integrazione, in particolare Ψ0 è l’ampiezza del fascio a z = 0 e z0 = πw0 2 /λ con w0 larghezza del fascio a z = 0. La lunghezza z0 qui introdotta è chiamata Rayleigh range, mentre la w0 è anche detta larghezza caratteristica del fascio gaussiano. Si noti che la largezza w0 è il doppio del raggio dela fascio gaussiano σ0 . Utilizziamo ora l’identità ln(a + ib) = 1 p 2 ln a + b2 + i arctan(b/a) 2 per riscrivere il termine della (A.9) 1 e−i(−i ln[1−i(z/z0 )]) = e− ln[1−i(z/z0 )] = p 1 + (z 2 /z0 2 ) ei arctan(z/z0 ) Definendo poi il termine w(z) = w0 p 1 + (z 2 /z0 2 ) (A.10) otterremo 1 p 1+ (z 2 /z0 2 ) ei arctan(z/z0 ) = w0 i arctan(z/z0 ) e w(z) (A.11) APPENDICE A. LARGHEZZA DI UN FASCIO GAUSSIANO FOCALIZZATO56 Possiamo riscrivere in una forma più adatta ai nostri scopi anche l’altro termine della (A.9) 2 kr −i 2(z+iz e 0) −i =e kr 2 (z−iz0 ) z 2 +z0 2 −i =e kr 2 z z 2 +z0 2 − e kr 2 z0 z 2 +z0 2 Introducendo z0 2 R(z) = z 1 + 2 z (A.12) otteniamo −i e kr 2 z z 2 +z0 2 − e kr 2 z0 z 2 +z0 2 − =e r2 w2 (z) −ikr 2 e 2R(z) (A.13) In base alla (A.11) e alla (A.13) potremo riscrivere la (A.9) come Ψ(r, z) = Ψ0 2 w0 i arctan(z/z0 ) − w2r2(z) −ikr e 2R(z) e e w(z) (A.14) In conclusione, in base alla (A.4), avremo U (r, z) = U0 r2 −ikr 2 w0 i arctan(z/z0 ) − w(z) 2 e e e 2R(z) e−ikz w(z) (A.15) dove U0 = Ψ0 . Si noti che la (A.15) per z fissato descrive un campo elettromagnetico con un’ampiezza caratterizzata da un profilo gaussiano (si veda la Figura ??). Se inoltre introduciamo q(z) = z − iz0 potremo riscrivere la (A.15) come U (r, z) = 2 U1 −ikr e 2q(z) q(z) (A.16) dove U1 è una costante moltiplicativa proporzionale ad U0 . Si noti inoltre che la q(z) è legata alla σ(z) e alla R(z) tramite la formula 1 2 1 = −i 2 q(z) R(z) kw (z) (A.17) Notiamo(in base alla (A.10)) che la larghezza del fascio aumenta all’aumentare di z e che la w0 è la larghezza minima del fascio gaussiano; inoltre il massimo di questa distribuzione gaussiana decresce al crescere di z (si veda la Figura ??). In questo modo si ha che l’area sottesa al profilo gaussiano (proporzionale all’energia) è costante, si può infatti dimostrare che APPENDICE A. LARGHEZZA DI UN FASCIO GAUSSIANO FOCALIZZATO57 Z +∞ Z +∞ dx −∞ dyU (r, z) = cost −∞ per ogni z. A.3 Focalizzazione di un fascio gaussiano tramite una lente sottile Immaginiamo che una lente sottile (con lunghezza focale f ) fissata in una certa posizione z riceva un fascio gaussiano caratterizzato dalla quantità immaginaria q(z) = z − iz0 (si veda la (A.16)). Alla prima faccia della lente avremo l’ampiezza (complessa) 2 ikr − 2(z+iz U− (r, z) = U1 e 0) L’ampiezza dopo la lente U+ (r, z) può essere calcolata moltiplicando la U− (r, z) per il fattore di fase introdotto dalla lente sottile eikr U+ (r, z) = U− (r, z)e ikr 2 2f 2 /2f 2 ikr − 2(z+iz = U1 e 0) e ikr 2 2f Possiamo ora riesprimere la U+ (r, z) con la forma di un fascio gaussiano definendo 1 1 1 = − z 0 + iz00 z + iz0 f (A.18) In questo modo la U+ (r, z) potrà scriversi come 2 − 2(zikr 0 +iz 0 ) U+ (r, z 0 ) = U10 e 0 che ha la forma di un fascio gaussiano. Identificando la parte reale e la parte immginaria della relazione (A.18) possiamo ottenere le seguenti equazioni per il Rayleigh range z00 e per la larghezza caratteristica σ00 del fascio gaussiano immagine z00 = M 2 z0 (A.19) w00 = M 2 w0 (A.20) dove M=p |f /(z − f )| 1 + z0 2 /(z − f )2 APPENDICE A. LARGHEZZA DI UN FASCIO GAUSSIANO FOCALIZZATO58 Sempre dalla (A.18) possiamo calcolare distanza d tra la posizione della larghezza caratteristica σ00 e la lente (si veda la Figura ??) d = M 2 (z − f ) + f (A.21) Si noti dalla (A.21) che se z > f il punto di massima focalizzazione (cioè la posizione della σ00 ) si sposta oltre il fuoco della lente (Figura ??). Per calcolare la larghezza del fascio focalizzato dalla lente, in un generico punto dell’asse orizzontale, è conveniente utilizzare un nuovo sistema di riferimento Oζ centrato nella posizione della larghezza caratteristica w00 (si consideri sempre la Figura ??). Poiché il fascio immagine è comunque un fascio gaussiano si avrà (si veda la (A.10)) 0 w (ζ) = w00 q 1 + (ζ 2 /z00 2 ) (A.22) Dovendo, ad esempio, calcolare la larghezza del fascio nel fuoco della lente scriveremo 0 w (d − f ) = w00 q 1 + [(d − f )2 /z00 2 ] (A.23) In base alla (A.23) possiamo calcolare la larghezza del fascio laser incidente sul campione nel nostro esperimento. Considerando che il nostro laser (con lunghezza d’onda λ = 1064 nm) ha una larghezza caratteristica σ0 = 0.44 mm ed è posto ad una distanza z = 1.5 m dalla lente (che ha una focale f = f1 = 40 cm) avremo d = 51.45 cm w00 = w1 = 100 µm z00 = 5.95 cm w0 (d − f ) = 504 µm Appendice B Stima della velocità di convezione per un volume di fluido riscaldato Nel nostro esperimento la soluzione, che si trova a temperatura ambiente T , viene irradiata dalla luce laser focalizzata da una lente. In questo modo il liquido illuminato, assorbendo l’energia del laser e riscaldandosi, si espanderà ed essendo soggetto alla forza di Archimede sarà spinto verso l’alto. Dopo aver ceduto parte della sua energia al resto del fluido per conduzione, la porzione di soluzione riscaldata uscirà dalla zona illuminata, cedendo il calore assorbito al fluido circostante. In questo modo vengono ad instaurarsi dei moti convettivi all’interno della soluzione. Nel seguito vederemo come si possa ottenere un’equazione per la velocità di convezione in funzione della variazione di temperatura e otterremo un’equazione che permetta di sovrastimare la velocità di convezione in funzione della potenza assorbita dal fluido. B.1 Forma del volume illuminato Nell’esperimento condotto il laser viene focalizzato sulla provetta (avente lato L = 1 cm) che contiene la soluzione in esame. Poichè il fascio luminoso gaussiano messo a fuoco dalla lente ha larghezza w1 = 100 µm esso definirà un volume illuminato V di forma cilindrica1 con diametro di base w1 e lunghezza L (Figura B.1). Avremo quindi V = πw1 /22 L 1 In realtà la larghezza del fascio varia dall’entrata all’uscita della provetta definendo un volume illuminato dalla forma complicata, tuttavia questa variazione è di appena 5 µm cosı̀ potermo assumere che w1 sia costante definendo cosı̀ un volume cilindrico. 59 APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO Figura B.1: Volume di fluido contenuto nella provetta illuminato dal fascio laser focalizzato. La zona illuminata trova ad una distanza dall’estremo superioredal della Figura B.1: Volumehadisifluido contenuto nellahprovetta illuminato fascio provetta. laser focalizzato. B.2 Approssimazione delle equazioni di Navier-Stokes per un fluido riscaldato Consideriamo le equazioni di Navier-Stokes [?] per la velocità u, per un fluido incomprimibile di densità ρ ad una certa pressione p ρ ∂u + ρ u · ∇u = −∇p + η∇2 u + F ∂t (B.1) qui η è la viscosità dinamica del solvente ed F è la forza per unità di volume agente sul fluido. Se il fluido è in uno stato stazionario la u non dipende esplicitamente dal tempo e l’equazione (B.1) diverrà 61 ρ u · ∇u = −∇p + η∇2 u + F Supponendo che il sitema sia bidimensionale, cioè u = (u, v) , (B.2) APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO l’equazione (B.2) per la componente verticale della velocità v si ridurrà a ρv ∂v ∂2v ∂u ∂p ∂2v + ρv =− +η 2 +η 2 +F ∂y ∂x ∂y ∂y ∂x (B.3) Se l’unica forza agente sul fluido è la forza di gravità avremo che la forza per unità di volume sarà F = −ρ g Inoltre la pressione p è data dalla legge di Stevino p = ρ g(h − y) + p0 dove p0 è la pressione atmosferica, allora avremo ∂p = −ρ g ∂y per cui dalla (B.3) otterremo ρv ∂v ∂u ∂2v ∂2v + ρv = ρg + η 2 + η 2 − ρg ∂y ∂x ∂y ∂x (B.4) A seguito dell’espansione del fluido indotta dal riscaldamento la densità subirà una variazione ρ = ρ0 + ∆ρ tuttavia considereremo ρ ' ρ0 costante in tutti i termini della (B.4) eccetto che nell’ultimo che terrà conto dell’effetto della forza idrostatica. In questo modo otteniamo ρ0 v ∂v ∂u ∂2v ∂2v + ρ0 v = ρ0 g + η 2 + η 2 − (ρ + ∆ρ)g ∂y ∂x ∂y ∂x per cui ρ0 v ∂v ∂u ∂2v ∂2v + ρ0 v = η 2 + η 2 − ∆ρ g ∂y ∂x ∂y ∂x (B.5) possiamo dividere la (B.5) per ρ0 ottenendo v ∂u ∂2v ∂2v ∆ρ ∂v +v =ν 2 +ν 2 − g ∂y ∂x ∂y ∂x ρ0 (B.6) dove abbiamo introdotto ν = η/ρ0 che è la viscosità cinematica del fluido. La diminuzione della densità del liquido a seguito dell’aumento di temperatura ∆T è dato dall’equazione APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO ∆ρ = −α ρ0 ∆T grazie alla quale la (B.6) diviene v ∂2v ∂v ∂u ∂2v +v = ν 2 + ν 2 + α g ∆T ∂y ∂x ∂y ∂x (B.7) Se adesso supponiamo che i termini inerziali v ∂v ∂y v ∂u ∂x e siano trascurabili otteniamo l’equazione ν ∂2v ∂2v + ν + α g ∆T = 0 ∂y 2 ∂x2 (B.8) Ponendo per semplicità ∂2v '0 ∂x2 nella (B.8) otteniamo ν ∂2v + α g ∆T = 0 ∂y 2 (B.9) Assumiamo ora che le forze idrostatiche agiscano solo sulle lungezze tipiche del volume illuminato ∼ w1 , allora possiamo integrare l’equazione (B.9) tra −w1 e +w1 ponendo le condizioni al bordo2 v(y = +w1 ) = v(−w1 ) = 0 ottenendo v(y) = α g ∆T (w1 2 − y 2 ) 2ν (B.10) La velocità caratteristica che si ottiene dalla (B.10) al centro del fascio y = 0 è Vy = α g w1 2 ∆T 2ν (B.11) Se il liquido considerato è acqua a temperatura ambiente avremo 2 In pratica stiamo assumendo che la velocità sia nulla se ci troviamo ad una distanza w1 dal centro del volume illuminato, ciò è ragionevole poiché la potenza del fascio è distribuita con un gaussiana e se ci troviamo ad una distanza w1 dal centro la potenza incidente è già diminuita di oltre il 90 % quindi la variazione di temperatura (che genera il moto convettivo) è trascurabile. APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO ν = 1.0−6 m2 /s α = 1.8 × 10−4 K−1 e poiché è g = 9.8 m/s2 e w1 = 100µm si avrà Vy = ζ∆T (B.12) dove ζ = 8.82 × 10−3 B.3 mm/s K Potenza del laser assorbita dal fluido Supponiamo che il solvente della soluzione di microsfere assorba la maggior parte della radiazione del laser complessivamente assorbita dalla soluzione. Come è noto, quando la radiazione attraversa un mezzo, la sua intensità I(x) decresce esponenzialmente dal valore iniziale I(0) = I0 con lo spessore del materiale attraversato I(x) = I0 e−γx (B.13) dove γ è il coefficiente di assorbimento del solvente che dipende dalla natura solvente e dalla lunghezza d’onda considerata. In base alla B.13 l’intensità assorbita da un di spessore L mezzo IA sarà IA = I0 (1 − e−γL ) (B.14) Poiché l’intensità del laser è proporzionale alla sua potenza avremo che la potenza assorbita è P = P0 (1 − e−γL ) (B.15) dove P0 è la potenza del laser incidente. Dopo un breve transiente iniziale il liquido riscaldato raggiungerà l’equilibrio. Assumiamo che il calore assorbito dal fluido nella zona illuminata sia ceduto al fluido circostante principalmente3 per convezione [?]. Per calcolare la quantità 3 In realtà il volumetto riscaldato cede il suo calore anche attraverso altri meccanismi soprattutto attraverso la conduzione ma anche tramite irraggiamento, tuttavia trascureremo la quantità di calore ceduto attraverso queste ulteriori modalità. APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO Figura B.2: Volume illuminato (cilindrico) approssimato con un Figura B.2: Volume illuminato (cilindrico) approssimato con un parallelepipedo a parallelepipedo a base quadrata. base quadrata. Poiché l’intensità del laser è proporzionale alla sua potenza avremo che di calore che fuoriesce la potenza assorbita èdal volume illuminato per convezione, approssimiamo il cilindro illuminato con un parallelepipedo a−γL base quadrata di lunghezza L e lato P = P0 (1 − e w1 (Figura B.2). ) (B.15) dove P è la potenza del laser incidente. Dopo un breve transiente iniziale il liquido riscaldato raggiungerà l’equirerà una distanza dy (Figura B.3). assorbito Quindi, dal in un tempo dt,zona dalla regione illuminata librio. Assumiamo che il calore fluido nella illuminata sia 3 ceduto al circostante fuoriuscirà unfluido volume pari a principalmente per convezione [4]. Per calcolare la quantità di calore che fuoriesce dal volume illuminato per convezione, approssimiamo il cilindro illuminato con un parallelepipedo a base quadrata di dV = L w1 dy lunghezza L e lato w1 (Figura B.2). In un intervallo di tempo infinitesimo dt il volume di fluido riscaldato Quindi la massa chedistanza abbandona la regione percorrerà una dy (Figura B.3).illuminata Quindi, innel untempo tempodtdt,sarà dalla regione illuminata fuoriuscirà un volume pari a 0 In un intervallo di tempo infinitesimo dt il volume di fluido riscaldato percor- dm = ρ dV = ρ L w1 dy dV = L w1 dy Quindi la massa che abbandona regione illuminata nel tempo dt sarà La quantità di calore dQC chelaabbandona la regione illuminata in un tempo dt sarà pari a dm = ρ dV = ρ L w1 dy La quantità di calore dQC che abbandona la regione illuminata in un dQC = c dm ∆T = c ρ L w1 dy ∆T (B.16) tempo dt sarà pari a dove c è il calore specificodQ del fluido in esame. Se siamo all’equilibrio il (B.16) calore (B.16) = c dm ∆T = c ρ L w dy ∆T C 1 ceduto 3per convezione deve essere uguale al calore assorbito della radiazione laser In realtà il volumetto riscaldato cede il suo calore anche attraverso altri meccanismi so- che èprattutto dato da PA dt, laquindi avremo attraverso conduzione ma anche tramite irraggiamento, tuttavia trascureremo la quantità di calore ceduto attraverso queste ulteriori modalità. dQC = c ρ L w1 dy ∆T = P dt (B.17) derivando la (B.17) rispetto a t otteniamo 65 c ρ L w1 Vy ∆T = P Si noti che la (B.18) assieme alla stima della velocità di convezione (B.18) APPENDICE B. STIMA DELLA VELOCITÀ DI CONVEZIONE PER UN VOLUME DI FLUIDO Figura B.3: Volume di fluido riscaldato che esce dal volume illuminato. Figura B.3: Volume di fluido riscaldato che esce dal volume illuminato. dove c è il calore specifico del fluido in esame. Se siamo all’equilibrio il calore (B.16) ceduto per convezione deve2 essere uguale al calore assorbito della radiazione laser che è dato da αPgA w dt,1 quindi Vy ∼ ∆T avremo ν dQC = c ρ per L w1ledygrandezze ∆T = P dt∆T e Vy con soluzione (B.17) rappresenta un sistema di equazioni derivando la (B.17) rispetto a t otteniamo r g w1 α 1/2 Vy = P ν ρ= P c ρ L w1 VcyL∆T (B.18) Si noti che la (B.18) assiemer alla stima della velocità di convezione ν ∆T = P 1/2 cαg gLww1 23 α ρ Vy ∼ ∆T ν Se il solvente considerato è acqua a temperatura ambiente (T = 298 K) avremo rappresenta un sistema di equazioni per le grandezze ∆T e Vy con soluzione γ ! g w1 α 1/2 P Vy = −1 c ν ρ λ = 1064 nm) = 0.12 cm L (per ! ρ = 103 kg/m3 ν P 1/2 ∆T = 3αρ c −4 g L w−1 α = 1.8 × 10 K Se il solvente considerato è acqua 3a temperatura ambiente (T = 298 K) c = 4.186 × 10 J/K avremo allora avremo γ ρ α mm/s c dove ξ = 64.9 1/2 , e mW allora avremo dove ς = 3.68 mWK1/2 = = = = 0.12 cm−1 (per λ = 1064 nm) 103 kg/m3 Vy = ξ P 1/2 1.8 × 10−4 K−1 4.186 × 103 J/K ∆T = ς P 1/2 Vy = ξ P 1/2 66 (B.19) (B.20) (B.19) Appendice C Teoria del thermal-lensing Il Thermal Lensing (TL) è un effetto auto-indotto sulla propagazione dei raggi luminosi che avviene quando un fascio laser focalizzato incide su un mezzo parzialmente assorbente, generando un profilo disomogeneo dell’indice di rifrazione. La dilatazione termica, quindi, induce una distribuzione di densità locale nel campione che, per fasci Gaussiani, ha una forma parabolica vicino al waist. Un gradiente di densità radiale di questo tipo produce un profilo quadratico dell’indice di rifrazione, che agisce come una lente negativa, che aumenta la divergenza del fascio trasmesso. L’allargamento del fascio può essere misurato rilevando anche piccole variazioni dell’intensità sul fuoco; questo rende il TL adatto per misurazioni di assorbimento in fluidi semplici, con coefficienti di estinzione fino a 10−7 . Per quantificare l’effetto di TL indotto da un fascio laser Gaussiano di potenza ottica P , incidente su un campione con coefficiente di assorbimento b , conducibilità termica κ , e diffusività termica χ, si deve risolvere l’equazione del calore per l’incremento della temperatura locale ∆T (r, t), ∂(∆T (r, t)) χQ̇ = + χ∇2 (∆T (r, t)), ∂t κ (C.1) con un termine di sorgente dato da Q̇ = 2P l − 2r22 e w πw2 (C.2) dove w è la dimensione dello spot del fascio focalizzato, l è il cammino ottico nel mezzo, ed r è la distanza dall’asse ottico. L’analisi è di gran lunga più semplice se si assume una geometria infinita in 2-D, e si trascura il flusso di calore lungo l’asse ottico, e poi si calcolano gli effetti auto-indotti sulla propagazione in approssimazione parassiale. In questa semplice approssimazione, si può dimostrare che, 66 APPENDICE C. TEORIA DEL THERMAL-LENSING 67 in prossimità dell’asse ottico, ∆T (r, t) si può scrivere come ∆T (r, t) = dove ϕ(t; τth ) = (1 + τth −1 2t ) , Pb 2r2 [C(t; τth ) − ϕ(t; τth ) 2 ], 4πκ w C(t) = ln[1 − ϕ(t; τth )]−1 , e τth = (C.3) w2 4χ è il tempo di diffusione del calore sulla dimensione dello spot. A causa della dilatazione termica, dall’ eq. C.3 si trova per l’indice di rifrazione, n(0, t) − n(r, t) = P b ∂n r2 ϕ(t; τth ) 2 , 2κ ∂T πw (C.4) cosı̀ che il campione agisce come una lente divergente con distanza focale inversa 1 λ ϕ(t; τth ), = −θth fth πw2 (C.5) dove la grandezza adimensionale θth è data da θth = − P bl ∂n . κλ ∂T (C.6) Per quanto segue è molto utile dare un’espressione per la riduzione relativa di intensità sull’asse ottico, dovuta all’aumentare dell’allargamento del fascio. Al prim’ordine in θth quest’ultima è data, in uno stato stazionario, da I(0) − I(∞) 2z̃ ∆I = = −θth , I I(∞) 1 + z̃ 2 dove z̃ = z0 zR (C.7) è la distanza z0 dalla cella alla waist del fascio riscalata al range di Rayleigh. Come si vede, al prim’ordine in θth , l’effetto di TL scompare se la cella è posizionata esattamente sul waist , mentre è massimo se si posiziona la cella ad una distanza zR da esso, dove il raggio di curvatura del fascio Gaussiano è minimo. L’analisi di Fresnel, tenendo anche conto di effetti di aberraqzione delle lenti dà , di nuovo al prim’ordine, un’espressione leggermente più complicata per la variazione di intensità, 2z̃ ∆I = −1 + [1 − θth arctan( )]−1 , I 3 + z̃ 2 (C.8) con una dipendenza temporale completa data da I(t) − I(0) = −I(0)θth f (t; θth ; z̃), dove f (t; θth ; z̃) = arctan[ 3+ z̃ 2 2z̃ ]. + (9 + z̃ 2 )τth /2t (C.9) L’equazione C.8 comporta un’importante differenza sperimentale rispetto alla C.7: l’effetto massimo infatti si trova quando il campione è posizionato non in zR , ma in √ 3zR . Inoltre la dipendenza temporale dell’equazione C.9 diventa esplicitamente dipendente da z̃. APPENDICE C. TEORIA DEL THERMAL-LENSING 68 I risultati di simulazioni numeriche 3-D che permettono trasferimento di calore lungo l’asse in campioni spessi, a parte rimuovere la divergenza logaritmica spuria di ∆T (0, t), che è una conseguenza del considerare un mezzo infinito 2-D, mostrano inoltre profili di temperatura variabili. Inoltre il massimo incremento di temperatura sull’asse ottico diventa una funzione decrescente della dimensione dello spot del laser.