UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea magistrale in Fisica Simulazione Monte Carlo di una Faraday Cup per dosimetria assoluta con fasci di protoni laser-driven Tesi di Laurea di: Daniel Deidda Relatore: Dott.ssa Viviana Fanti Dr. G. A. Pablo Cirrone Dr. Francesco Romano Anno Accademico: 2012 - 2013 2 Indice Introduzione 5 1 L’Adroterapia 1.1 Interazioni e perdita di energia . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Interazione fotoni-materia . . . . . . . . . . . . . . 1.1.2 Interazione particelle cariche pesanti - materia . . . 1.1.3 Perdita di energia degli elettroni . . . . . . . . . . . 1.2 Aspetti radiobiologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 LET Linear Energy Transfer . . . . . . . . . . . . . 1.2.2 RBE Relative Biological Effectiveness . . . . . . . . 1.2.3 OER Oxygen Enhancement Ratio . . . . . . . . . . 1.2.4 Variazione nella radiosensibilità con il ciclo cellulare 1.3 Modulazione del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Beam Spreading longitudinale . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Beam Spreading trasverso . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Dosimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Dosimetria assoluta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Il progetto Elimed 2.1 Produzione di particelle e accelerazione tramite laser di alta potenza . . . 2.2 Simulazioni PIC (Particle In Cell) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Bersagli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Diagnostica del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1 Spettrometro Thomson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 Spettroscopia ottica e UV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.3 Diagnostica X del plasma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Selezione e trasporto del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Simulazione Monte Carlo della linea di trasporto del fascio in aria e calcoli di radioprotezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Sistemi per la diagnostica in aria delle particelle accelerate e misure di fluenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8 Rivelatori per dosimetria assoluta e relativa . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.1 Film radiocromici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.2 Rivelatori CR39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.3 Faraday cup . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.9 Studi e misure radiobiologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 7 7 7 8 13 16 16 17 18 20 20 20 22 23 24 27 27 29 30 31 32 34 35 35 37 38 39 39 39 40 41 3 Simulazione Monte Carlo della Faraday Cup 3.1 Codice di simulazione Monte Carlo: Geant4 . . . . . . . . . . . . . 3.2 Simulazione di una Faraday Cup con Geant4 . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Geometria della Faraday Cup . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.2 Campo Elettrico per la soppressione degli elettroni secondari 3.2.3 Recupero informazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Calcolo della Dose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 43 45 45 49 54 59 4 Analisi e Risultati 4.1 Profilo del fascio . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Variazione dell’apertura angolare del fondo 4.3 Materiale della Faraday Cup . . . . . . . . 4.4 Spessore del fondo della Faraday Cup . . . 4.5 Campo elettrico . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Fascio con energia pari a 10 MeV . . . . . 4.6.1 Geometria del fondo . . . . . . . . 4.6.2 Campo elettrico . . . . . . . . . . . 4.6.3 Aggiunta di materiale scintillante . 4.6.4 Fascio con angolo di 5 gradi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 61 63 64 65 67 71 71 74 75 76 . . . . . . . cuneiforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni 79 Bibliografia 81 4 Introduzione La radioterapia è una tecnica, utilizzata per il trattamento di alcune forme di tumore, consistente nell’utilizzo di radiazioni ionizzanti. Le particelle usate nella radioterapia tradizionale sono fotoni di alta energia, e vengono utilizzati per fare in modo che questi ultimi depositino la loro energia nelle cellule tumorali, distruggendole. La radioterapia può essere curativa in un certo numero di tipi di cancro, se confinati in una zona del corpo. È prassi comune combinare la radioterapia con la chirurgia, con la chemioterapia, con l’ormonoterapia e l’immunoterapia. Lo scopo del trattamento (curativo, adiuvante, palliativo ecc.) dipenderà dal tipo di tumore, dalla posizione e stadio, nonché dalla salute generale del paziente. Le radiazioni ionizzanti utilizzate in radioterapia sono in grado di danneggiare il DNA del tessuto bersaglio. Le cellule tumorali sono, in genere, scarsamente capaci di riparare i propri danni e quindi vanno incontro a morte cellulare. Per risparmiare tessuti sani, ad esempio pelle o organi che la radiazione deve attraversare per arrivare al tumore, i fasci delle radiazioni vengono sagomati e rivolti da diverse angolazioni, intersecandosi nel centro della zona da trattare, dove perciò vi sarà un quantitativo di dose assorbita totale superiore che nelle parti adiacenti. Oltre al tumore, le radiazioni possono comprendere anche linfonodi drenanti se sono clinicamente o radiologicamente coinvolti con il tumore, o se si ritiene che possa esserci un rischio di diffusione maligna. La radioterapia convenzionale presenta alcuni limiti, tra i quali il fatto che un fascio di fotoni deposita la dose seguendo una legge di decadimento esponenziale, ed è quindi possibile che anche una buona parte dei tessuti sani venga irradiata. Inoltre i tumori ipossici sono più radioresistenti rispetto a quelli ben ossigenati, questo rende difficile trattare tale tipo di neoplasia. L’obbiettivo principale della radioterapia è quello di confinare il più possibile la dose erogata irradiato al bersaglio tumorale. A questo scopo, i fasci di adroni sono quelli più indicati. Gli adroni nella fisica moderna sono particelle subatomiche composte da quark e antiquark legati a coppie o triplette dalla forza nucleare forte. Gli adroni che sono oggi utilizzati nella radioterapia sono: neutroni, protoni e ioni leggeri, come elio, carbonio, ossigeno e neon. Il motivo principale per cui si preferisce utilizzare protoni e ioni accelerati, oltre ad altri motivi che verranno elencati in seguito, consiste nel fatto che sono adatti a irradiare tumori ad ogni profondità del corpo, con una bassa quantità di dose depositata nei tessuti sani circostanti. La caratteristica principale di questo tipo di fasci è rappresentata dal fatto che depositano la maggior parte della loro energia alla fine del loro percorso (picco di Bragg). Quindi la dose depositata nelle zone vicine al tumore può essere tenuta bassa, facendo coincidere il punto in cui si ha il picco con la posizione del tumore[1]. Recentemente sono stati compiuti grandi progressi nel campo dell’accelerazione di 5 particelle tramite laser, e in base a tali sviluppi alcuni autori hanno proposto l’utilizzo di questa tecnica come potenziale futura alternativa nell’accelerazione di particelle nell’adroterapia, in quanto permetterebbe di ridurre i costi e le dimensioni degli apparati di circa un fattore dieci. Sono stati pubblicati alcuni studi[2] comprendenti simulazioni e risultati sperimentali, per l’accelerazione di protoni, e per gli elementi da utilizzare per il trasporto del fascio per possibili applicazioni mediche dei fasci laser-driven. Sono state pubblicate inoltre simulazioni sui piani di trattamento[3] e sugli elementi schermanti per le future applicazioni cliniche[4]. Tuttavia, prima dell’applicazione clinica di questi fasci, è necessario raggiungere alcuni obbiettivi. Ad esempio, deve essere sviluppata una strumentazione dedicata, si deve passare da fasci sperimentali con singoli pacchetti di particelle di scarsa riproducibilità a fasci stabili e irradiazioni riproducibili in cui sarà prescritta la dose in pochi minuti, sviluppare metodi per i controlli di qualità e la sicurezza del paziente. Inoltre è necessaria la caratterizzazione dosimetrica in tempo reale, e l’investigazione degli effetti biologici di questi fasci. Questi richiedono una serie di esperimenti, che comprendono irradiazioni di cellule in vitro, esperimenti sugli animali ed infine i trial clinici sul paziente. Senza informazioni sulla dose, non si può avere una relazione doserisposta. Quindi un prerequisito fondamentale per esperimenti radiobiologici e clinici è quello di avere un sistema dosimetrico accurato. In particolare le caratteristiche dello spettro energetico, le fluttuazioni tra un impulso e l’altro, e l’elevato rateo di dose per impulso rendono la dosimetria di questi fasci accelerati da laser una vera e propria sfida. L’obbiettivo di questo lavoro di tesi è quello di simulare una Faraday Cup (FC), uno strumento in grado di misurare la corrente prodotta dal fascio di protoni, che verrà utilizzata come dosimetro assoluto per i fasci laser-driven (la dose verrà calcolata a partire dalla misura della carica raccolta nella FC). Verranno variati alcuni parametri geometrici con lo scopo di ottimizzare tale strumento, ed ottenere un calcolo di dose il più preciso possibile. Infatti quando i protoni incidono sulla finestra di ingresso della FC producono elettroni secondari, e alcuni di questi entrano nella FC; in questo modo la misura di carica viene falsata, poiché questi elettroni danno un contributo negativo alla carica raccolta. Analoghe considerazioni si devono fare per gli elettroni che incidono nel fondo della FC e che vengono retro diffusi verso l’uscita dello strumento. Questi elettroni invece danno un contributo positivo alla carica misurata, poiché escono dalla FC. Lo scopo della simulazione è quindi studiare le suddette problematiche per ridurre al minimo questi due fattori. Per lo stesso motivo verrà inserito un anello di guardia posto a potenziale negativo rispetto al resto della FC, che devierà gli elettroni, permettendo cosı̀ di diminuire la fonte di errore. Nel primo capitolo verrà descritta brevemente l’adroterapia e i motivi per cui si preferisce tale tecnica rispetto alla radioterapia tradizionale. Nel secondo capitolo verranno descritti gli obbiettivi del progetto ELIMED, in cui è collocato questo lavoro. Infine nel terzo e nel quarto capitolo si discuterà il lavoro svolto, l’analisi dei dati e i risultati. 6 Capitolo 1 L’Adroterapia In questo capitolo verranno descritte le modalità con le quali fotoni, adroni e elettroni perdono energia durante l’interazione con la materia e verranno mostrate le differenze tra terapie che usano fasci di fotoni con quelle che usano adroni. Verrà descritta inoltre la perdita di energia degli elettroni, in quanto il lavoro di tesi in questione è incentrato sulla dosimetria assoluta, e gli elettroni secondari ricoprono un ruolo rilevante in tale contesto. Verranno discussi poi gli aspetti radiobiologici dell’adroterapia, descritti da specifici parametri come LET, RBE, OER ecc. Si introdurranno i concetti base di dosimetria e infine si descriveranno brevemente alcuni dei metodi utilizzati per allargare il fascio trasversalmente e orizzontalmente. 1.1 1.1.1 Interazioni e perdita di energia Interazione fotoni-materia Quando i fotoni a piccole lunghezze d’onda (X e γ) incidono sulla materia, sono in grado di liberare elettroni dagli atomi con cui interagiscono. I processi con i quali i fotoni possono trasferire energia alla materia sono processi stocastici, come: 1. Effetto Fotoelettrico 2. Effetto Compton 3. Produzione di coppie (ad alte energie). Effetto Fotoelettrico Implica l’assorbimento di un fotone da un elettrone atomico, che acquisterà quindi l’energia necessaria per allontanarsi dall’atomo. L’energia dell’elettrone sarà: E = hν − B (1.1) dove B è l’energia di legame dell’elettrone. poiché un elettrone libero non può conservare la quantità di moto, allora, l’effetto fotoelettrico è possibile solo per elettroni legati, e la conservazione della quantità di moto è dovuta al rinculo dell’atomo. L’effetto fotoelettrico è predominante per energie relativamente basse (10-100 keV) e per materiali ad alto Z. 7 Effetto Compton Implica l’interazione tra un fotone ed un elettrone. In seguito all’interazione viene diffuso un fotone con energia diversa mentre l’elettrone rincula. Nella materia gli elettroni sono legati, tuttavia, se l’energia del fotone è alta rispetto all’energia di legame, gli elettroni possono essere considerati essenzialmente liberi. Il processo è illustrato schematicamente nella Figura 1.1. Figura 1.1: Cinematica della diffusione Compton. Applicando la conservazione dell’energia e della quantità di moto, la relazione tra l’energia del fotone incidente e quella del fotone diffuso è data da : hν 0 = hν 1 + γ(1 − cosθ) (1.2) dove γ è il fattore di Lorentz, e θ l’angolo di diffusione. La probabilità di avere tale processo cresce linearmente con Z e diminuisce all’aumentare dell’energia[5]. Produzione di coppie Implica la trasformazione di un fotone in una coppia elettrone positrone. Al fine di conservare la quantità di moto, questo può avvenire in vicinanza di un terzo corpo, solitamente un nucleo. Questo è un effetto a soglia, infatti affinché ci sia produzione di coppie l’energia del fotone deve essere almeno di 1.022 MeV, cioè almeno due volte la massa a riposo dell’elettrone. La probabilità che l’interazione tra fotoni e materia avvenga tramite produzione di coppie aumenta con l’aumentare dell’energia. A causa della natura statistica del processo di assorbimento e a causa del fatto che i fotoni vengono facilmente deflessi (diffusi) durante le loro interazioni con gli atomi, un fascio di fotoni entrante nella materia si allarga rapidamente e non ha un range ben definito. La curva di assorbimento relativa ai fotoni appare inizialmente crescente con una successiva caduta esponenziale. 1.1.2 Interazione particelle cariche pesanti - materia Le particelle cariche pesanti (adroni) come le particelle alpha, interagiscono con la materia principalmente tramite forza coulombiana tra cariche positive delle particelle e cariche negative degli elettroni atomici. Quando penetrano nel materiale, le particelle interagiscono simultaneamente con tanti elettroni. In ognuna di queste interazioni gli elettroni acquistano un impulso tramite la forza coulombiana attrattiva. In questa circostanza 8 l’elettrone può saltare nella shell superiore (eccitazione) o può fuoriuscire dall’atomo (ionizzazione). L’energia che gli elettroni acquistano è chiaramente spesa dalla particella carica con cui hanno interagito, che perderà quindi energia e velocità, finché, dopo un certo spessore verrà fermata. A causa del fatto che gli adroni sono molto più pesanti degli elettroni (circa 2000 volte nel caso dei protoni), questi durante il loro percorso nel materiale seguiranno una traiettoria rettilinea con deflessioni non apprezzabili. Inoltre questo tipo di particelle, al contrario dei fotoni, hanno un range ben definito in un dato materiale assorbente. In alcune interazioni può accadere che un elettrone acquisti un impulso talmente grande da permettergli di sfuggire dall’atomo genitore e ionizzarne un altro. Questi elettroni vengono chiamati raggi δ. Per descrivere la perdita dell’energia delle particelle cariche viene utilizzata una grandezza che va sotto il nome di Potere di frenamento (Stopping Power ), che descrive l’energia rilasciata dalla particella per unità di percorso all’interno della materia. Questa quantità fu prima calcolata da Bohr usando una trattazione classica, poi fu modificata da Bethe, Bloch e altri che utilizzarono la meccanica quantistica. Nel caso classico, considerando una particella pesante con carica Ze, velocità v passante in un materiale, e assumendo che gli elettroni dei materiali siano stazionari, il Potere di frenamento calcolato è il seguente: 4πZ 2 e4 γ 2 me v 3 dE = Ne ln S=− dx me v 2 Ze2 ν̄ (1.3) dove Ne rappresenta la densità elettronica del mezzo, ν̄ la frequenza degli elettroni legati mediata su tutti gli stati legati, e me è la massa dell’elettrone. Tale formula è adatta per particelle pesanti, come particelle alfa e ioni più pesanti. Tuttavia per particelle più leggere come ad esempio il protone, la formula non è valida a causa di effetti quantistici. Il corretto calcolo quantistico fu effettuato parametrizzando l’energia trasferita in termini di momento trasferito. La forma ottenuta è la seguente: 2 dE 2me γ 2 v 2 Wmax 2 2 zZ 2 S=− = 2πNa re me c ρ 2 ln − 2β dx Aβ I2 (1.4) con 2πNa re2 me c2 = 0.1535 M eV cm2 /g, re raggio classico dell’elettrone =2.817 · 10−13 cm, Na numero di Avogadro, I potenziale di eccitazione medio, z numero atomico del materiale assorbente, A massa atomica del materiale assorbente, Wmax la massima energia trasferita in una collisione, Z carica delle particelle incidenti in unità della carica dell’elettrone, e β è dato da v/c. L’equazione 1.4 è conosciuta come formula di Bethe-Bloch ed è l’espressione di base usata per i calcoli di energia persa. Tuttavia, normalmente vengono aggiunte due importanti correzioni, l’effetto densità e la correzione di shell. Cosı̀ si ottiene la seguente equazione: 9 2 dE 2me γ 2 v 2 Wmax C 2 2 zZ 2 S=− = 2πNa re me c ρ 2 ln − 2β − δ − 2 dx Aβ I2 z (1.5) dove δ è la correzione di densità, C correzione di shell. Le correzioni δ e C sono importanti rispettivamente alle alte e alle basse energie. L’effetto densità è dovuto al fatto che il campo elettrico delle particelle tende a polarizzare gli atomi lungo il loro percorso. A causa di questa polarizzazione, gli elettroni lontani dal percorso della particella saranno schermati. Le interazioni con gli elettroni esterni contribuirà meno all’energia persa predetta dalla formula di Bethe-Bloch. Questo effetto sarà tanto più importante quanto più l’energia della particella aumenta. Inoltre anche la densità gioca un ruolo importante, infatti la polarizzazione indotta sarà maggiore in materiali a stato solido rispetto a quella ai gas. La correzione di shell invece tiene conto degli effetti che sorgono quando la velocità delle particelle incidenti sono confrontabili o minori della velocità orbitale degli elettroni legati. A tali energie, infatti, l’ipotesi che gli elettroni siano stazionari non vale più, e le particelle durante il loro cammino riescono a prelevare elettroni dagli atomi. Questo riduce la carica delle particelle e di conseguenza anche la perdita di energia. La massima energia trasferita si ottiene da una collisione frontale. Per una particella di massa M , si ottiene: Wmax = 2me c2 β 2 γ 2 p e 1 + 2m 1 + β 2γ 2 + M me 2 M (1.6) Se si studia l’andamento di dE/dx in funzione dell’energia cinetica, si nota che, a velocità non relativistiche domina il termine 1/β 2 e decresce con l’aumentare della velocità sino a v ' 0.96c dove si ha un minimo. Superato questo punto, all’aumentare dell’energia, il termine 1/β 2 diventa circa costante e dE/dx cresce di nuovo tramite il termine logaritmico (eq. 1.5). Tale crescita relativistica è parzialmente cancellata dalla correzione di densità. Per particelle con energie minori del minimo, la curva è diversa per ogni particella. Questa caratteristica è molto utilizzata nella fisica particellare come mezzo per identificare le particelle (fig 1.2). Come è già stato detto, a basse velocità, confrontabili con quelle orbitali degli elettroni, dE/dx raggiunge un massimo e diminuisce velocemente e la particella tende ad acquisire elettroni. Questo abbasserà la carica effettiva e cosi anche il potere di frenamento. Dalla figura 1.2 si vede che mano mano che la particella rallenta nel materiale, il suo rate di perdita di energia aumenta con il diminuire dell’energia cinetica. Quindi sarà depositata una quantità di energia per unità di lunghezza maggiore verso la fine del percorso rispetto all’inizio. Questo effetto si nota nella Figura 1.3 che mostra l’energia persa per unità di lunghezza in funzione della profondità nel materiale per una particella generica. Questo è il cosiddetto picco di Bragg, e, come si può vedere, la maggior parte dell’energia viene depositata alla fine del percorso della particella incidente. 10 Figura 1.2: Rappresentazione del potere di frenamento in funzione dell’energia per diverse particelle. La parte della curva in cui si ha la caduta del picco corrisponde al punto in cui la particella inizia ad acquistare elettroni. Se assumessimo che l’energia è persa dalle particelle cariche in modo continuo, la distanza entro la quale quest’ultime perdono tutta l’energia sarebbe un numero ben definito, e sarebbe lo stesso per ogni particella identica con la stessa energia iniziale e nello stesso materiale. Questa quantità è chiamata range della particella, e dipende dal tipo di materiale, il tipo di particella e la sua energia. Si può determinare il range sperimentalmente, facendo passare un fascio di particelle attraverso spessori crescenti di un dato materiale, e vedere come diminuisce il rapporto tra numero di particelle trasmesse e numero di particelle incidenti all’aumentare dello spessore. Quando lo spessore del materiale è confrontabile con il range della particella,il rapporto inizia a diminuire. La cosa particolare è che non diminuisce immediatamente ma entro un certo spessore. Questo è dovuto proprio al fatto che la perdita di energia non è continua, ma di natura statistica. Quindi due particelle uguali con stessa energia iniziale e nello stesso materiale, in generale non hanno lo stesso numero di interazioni e quindi perdono energia differentemente. Una misura con un insieme di particelle identiche darà una distribuzione statistica di range centrata in un valor medio. Questo fenomeno va sotto il nome di range straggling. Il valor medio della distribuzione è detto mean range e corrisponde allo spessore entro il quale vengono assorbite approssimativamente la metà delle particelle. In genere quello che più interessa è lo spessore entro il quale tutte le particelle vengono assorbite. Questo valore viene calcolato prendendo la tangente alla curva nel punto di mezzo ed estrapolando cosı̀ il punto nell’asse delle ascisse (fig. 1.4). Tale grandezza è detta infatti extrapolated range. Teoricamente si può calcolare il range come segue: 11 Figura 1.3: Tipica curva di Bragg, mostra la variazione dello stopping power in funzione della profondità raggiunta dalla particella all’interno del materiale. Figura 1.4: Tipica curva di trasmissione in funzione della profondità, la distribuzione dei range è approssimativamente gaussiana. 12 Z T0 R(T0 ) = R0 (Tmin ) + Tmin dE dx −1 dE (1.7) Dove T0 è l’energia cinetica iniziale, e Tmin è l’energia cinetica minima per la quale dE/dx è valida, R0 (Tmin ) è una costante che tiene conto dell’energia persa a basse energie. 1.1.3 Perdita di energia degli elettroni A causa della loro piccola massa, quando gli elettroni attraversano la materia entra in gioco un altro meccanismo di perdita di energia: l’emissione di fotoni. Questa è dovuta allo scattering nel campo elettrico di un nucleo (bremsstrahlung). Classicamente questo effetto può essere visto come l’accelerazione dell’elettrone, tale da deviare il suo percorso dovuta all’attrazione elettrica del nucleo. A energie dell’ordine di qualche MeV o minori questo effetto è trascurabile, ma al crescere dell’energia, a circa 10 MeV, l’energia persa tramite radiazione è comparabile o addirittura maggiore di quella persa per collisione. Ad energie superiori il Bremsstrahlung domina completamente. La perdita di energia totale è data da due termini: dE dx = tot dE dx + rad dE dx (1.8) coll Perdita per collisioni La formula di Bethe-Bloch in questo caso deve essere modificata, almeno per due ragioni, la prima è la piccola massa, quindi l’assunzione che la particella incidente mantenga una traiettoria rettilinea non vale più. La seconda ragione è che per gli elettroni le collisioni avvengono con particelle identiche, quindi il calcolo deve tenere conto della loro indistinguibilità. Queste considerazioni portano alla modifica di alcuni termini. Ad esempio l’energia massima raggiungibile diventa Wmax = Te /2 dove Te è l’energia cinetica iniziale dell’elettrone incidente. 2 z τ (τ + 2) C dE 2 2 = 2πNa re me c ρ 2 ln + F (τ ) − δ − 2 − dx Aβ 2(I/me c2 )2 z Dove τ è l’energia cinetica della particella in unità di me c2 , e 2 F (τ ) = 1 − β + τ2 8 13 − (2r + 1)ln2 (τ + 1)2 (1.9) Perdita per Bremsstrahlung La probabilità di emissione varia come l’inverso della massa della particella al quadrato, 2 cioè σ ∝ re2 = (e2 /mc2 ) . Poichè l’emissione dipende fortemente dal campo elettrico sentito dagli elettroni, l’effetto di schermo sugli elettroni atomici vicini al nucleo gioca un ruolo importante. La sezione d’urto dipende cosı̀ non solo dall’energia degli elettroni incidenti ma anche dal loro parametro di impatto e dal numero atomico, z, del materiale. L’energia persa dovuta all’emissione di fotoni, è calcolata integrando il prodotto tra la sezione d’urto e l’energia del fotone emesso, in dν per tutto l’intervallo di frequenza permesso [5]. − dE dx Z rad ν0 hν =N 0 dσ (E0 , ν)dν dν (1.10) con N numero di atomi/cm3 , N = ρNa /A; ν0 = E0 /h. Le differenze tra i due contributi allo stopping power sono rappresentate dalla figura 1.5 Figura 1.5: confronto tra Energia persa per radiazione e energia persa per collisione per elettroni in rame. Viene rappresentata anche la dE/dx per i protoni, come confronto. Il range degli elettroni è molto diverso da quello delle particelle pesanti. Infatti a causa del fatto che ogni elettrone viene deviato in ogni collisione, il range può variare in un intervallo del 20-400%. L’energia persa dagli elettroni fluttua molto di più rispetto a quella persa dagli adroni, quindi ci sarà un range straggling molto maggiore (fig. 1.6). Questo è dovuto al fatto che gli elettroni perdono molta energia con una singola collisione. 14 Figura 1.6: Confronto tra i range degli elettroni al variare dell’energia cinetica. Backscattering A causa della loro piccola massa gli elettroni sono soggetti a deviazioni con grandi angoli in seguito a interazioni con nuclei, e possono anche essere diffusi all’indietro. L’effetto è particolarmente frequente per elettroni di bassa energia, ed è più probabile all’aumentare del numero atomico del materiale. Il backscattering dipende anche dall’angolo di incidenza dell’elettrone. Un angolo di incidenza grande, rispetto alla superficie del materiale, corrisponde ad una alta probabilità di avere tale effetto. Il rapporto tra il numero di elettroni retro-diffusi e quelli incidenti è detto coefficiente di backscattering o albedo. La figura 1.7 mostra i valori misurati al variare dell’energia cinetica e per vari materiali. Figura 1.7: Albedo per vari materiali. 15 Nella figura 1.8 si può notare che diversi tipi di radiazione hanno diverse distribuzioni di dose in profondità. In particolare si vede che la dose1 depositata dai protoni e da altri adroni carichi, in acqua, ha un picco stretto alla fine del percorso. Guardando la curva per i fotoni si vede invece un decadimento esponenziale in seguito a una risalita iniziale. Si preferisce utilizzare gli adroni proprio perché questi permettono di concentrare la massima dose sul tumore preservando i tessuti circostanti sani. Figura 1.8: Grafico della dose in funzione del percorso in acqua per diverse particelle. 1.2 1.2.1 Aspetti radiobiologici LET Linear Energy Transfer Il trasferimento lineare di energia (LET) è strettamente collegato al potere di frenamento descritto in (1.1.2). Tale parametro, espresso in genere in keV/µm, dipende dalla carica e dall’energia della particella proiettile. Tuttavia il LET non descrive in maniera completa degli effetti delle radiazioni, ma è un buon parametro per classificare il danno indotto. 1 La dose assorbita D è una grandezza fisica definita come la quantità di energia assorbita da un mezzo in seguito all’esposizione a radiazioni per unità di massa: D= dE dm La dose assorbita è misurata in gray (Gy) nel Sistema internazionale, dove 1 Gy rappresenta 1 J di radiazione assorbita da 1 kg di massa. 16 1.2.2 RBE Relative Biological Effectiveness L’efficacia biologica relativa (RBE) è il rapporto tra la dose di un tipo di radiazione ionizzante di riferimento necessaria a produrre un certo effetto con quella di un’altra radiazione ionizzante che produce il medesimo effetto. L’RBE varia in dipendenza con le particelle, e la loro energia, e descrive gli effetti biologici provocati sui tessuti per radiazioni differenti. Figura 1.9: Curve di sopravvivenza per radiazioni di diverso LET. Gli ioni più pesanti dell’elio mostrano un RBE elevato in corrispondenza della regione del picco di Bragg. L’aumento dello stopping power alla fine del percorso di tali particelle nella materia provoca in tale regione un aumento del danno biologico. La figura 1.9 riporta delle curve di sopravvivenza cellulare per differenti radiazioni, si può notare che: • più alto è il LET più pendente è la curva; • le linee cellulari, esposte a radiazioni di basso LET, mostrano una spalla iniziale sulla curva di sopravvivenza, che indica l’intervento di meccanismi di riparazione del danno da radiazione; • In seguito a esposizione a radiazioni ad alto LET la capacità di recupero del danno è bassa o assente: le curve di sopravvivenza hanno un andamento lineare L’efficacia relativa aumenta col crescere del LET, sino a 100-200 keV/µm, e diminuisce a valori di LET maggiori. Questo viene chiamato effetto overkill, poiché la densità di ionizzazione in una singola cellula è maggiore di quella necessaria a generare gli eventi sufficienti a provocare l’inattivazione della cellula stessa (fig. 1.10). Tale dose risulta dunque dissipata all’interno di una singola cellula e non contribuisce all’inattivazione cellulare, quindi a parità di particelle l’RBE decresce. 17 Figura 1.10: Esempio di RBE in funzione del LET per fascio di ioni. 1.2.3 OER Oxygen Enhancement Ratio L’ossigeno rende le cellule più sensibili alla radiazione. Quando le cellule vengono irradiate con radiazioni a basso LET come fotoni o elettroni, queste mostrano un diverso comportamento a seconda che sia presente o meno l’ossigeno. Il rapporto di accrescimento dell’ossigeno (OER) della radiazione è il rapporto tra la dose D richiesta per produrre un effetto biologico, E, in condizioni ipossiche con la dose richiesta per produrre lo stesso effetto in presenza di ossigeno. OER = Danoxic (E) Doxic (E) (1.11) Quando un qualunque tipo di radiazione ionizzante è assorbita da un tessuto biologico si hanno due possibili forme di interazione: • AZIONE DIRETTA: vengono ionizzati atomi appartenenti alle molecole del DNA originando una modifica letale che interessa entrambe le eliche e rende molto improbabile la sua riparazione e duplicazione. • AZIONE INDIRETTA: la radiazione incidente interagisce con le molecole d’acqua, e a causa della idrolisi dell’acqua di cui è costituita la cellula bersaglio vengono prodotti radicali liberi (OH-), che indirettamente causano danni alle molecole, e possono causare la morte della cellula. Per i fotoni prevale l’azione indiretta, il contrario nel caso degli adroni, questo giustifica il fatto che la presenza di ossigeno (che aumenta l’effetto indiretto) influenza l’effetto globale nel caso dei fotoni e non in quello degli adroni. 18 Figura 1.11: Curva di sopravvivenza delle cellule di rene umano dopo l’irradiazione con ioni o raggi X. Confronto tra condizioni ipossiche e ben ossigenate. 19 Infatti per i raggi X il rapporto è di 2.5 - 3, quindi la dose richiesta per uccidere le cellule senza ossigeno è 2.5 - 3 volte maggiore di quella necessaria per uccidere cellule ossigenate. Usando particelle ad alto LET per le terapie, il valore OER si riduce notevolmente. Questo è un altro dei motivi per cui si punta all’uso di particelle ad alto LET per le terapie contro il cancro. 1.2.4 Variazione nella radiosensibilità con il ciclo cellulare Un altro importante fattore che influenza la risposta cellulare dei tessuti sottoposti ad una radiazione ionizzante è lo stadio del ciclo cellulare che prevede diverse fasi: mitosi(M), fase postmitotica (G1 ), sintesi (S), fase G2 . I momenti di maggiore radiosensibilità della cellula sono la mitosi e la fase G2 , mentre la maggiore radioresistenza si registra alla fine della fase di sintesi del DNA, (S). Sperimentalmente è stato osservato che variazioni di radiosensibilità durante le varie fasi del ciclo cellulare sono più marcate per le radiazioni a basso LET che quindi rendono più difficile il raggiungimento dell’obiettivo radioterapico. Ricapitolando, ci sono diversi motivi per cui preferire l’adroterapia alla radioterapia con fotoni: • maggiore probabilità di preservare i tessuti sani; • gli adroni hanno alto LET, e questo implica grandi valori di RBE, quindi maggiore efficacia nel provocare danno biologico, e valori vicini a uno di OER, per cui non fa differenza che ci si trovi in presenza di ossigeno o meno; • inferiore variazione di radiosensibilità durante il ciclo cellulare. 1.3 Modulazione del fascio Il picco di Bragg di un fascio monoenergetico di protoni risulta essere largo qualche mm, questo può essere utile in alcune specifiche procedure di radiochirurgia. Tuttavia nella maggior parte dei casi è necessario un allargamento del campo di radiazione, sia lateralmente che in profondità, per coprire un’area del bersaglio maggiore. In alcuni casi si utilizzano strumenti passivi per lo shaping del fascio, come fogli diffusori e mezzi assorbenti per modulare l’energia, i quali allargano il fascio trasversalmente ed estendono il picco di bragg dalla parte distale alla parte prossimale del tumore. Grazie al fatto che le particelle usate nell’adroterapia sono cariche, è possibile usare un altro metodo per indirizzare le particelle all’interno del bersaglio tumorale. Infatti il fascio sottile prodotto può essere deflesso magneticamente in orizzontale e verticale per irradiare una fetta di tumore che ha circa la stessa larghezza del picco di Bragg [1]. 1.3.1 Beam Spreading longitudinale Allargare il fascio longitudinalmente implica l’aggiunta di dose longitudinalmente rispetto al picco di Bragg originario. Sommando molti picchi di Bragg con diversi range e 20 intensità si può creare quello che va sotto il nome di ”Spread-out Bragg peak (SOBP), come mostrato in figura 1.12. Figura 1.12: Spread-out Bragg peak Questo può essere fatto modulando in maniera attiva l’energia del fascio di particelle proveniente dall’acceleratore, o introducendo dei materiali assorbenti, prima del paziente, che degradano l’energia del fascio. Ad ogni profondità del bersaglio, la dose assorbita è il risultato della sovrapposizione di tutti i picchi di Bragg. Si possono usare due metodi: • Si producono N1 ioni con range R1 . Quindi viene cambiata l’energia del fascio estratto dall’acceleratore, e si producono N2 ioni con R2 , e si continua finché non si raggiunge la distribuzione di dose desiderata. • Si producono N1 ioni con range R1 . Quindi viene cambiato il materiale nel percorso del fascio tenendo costante l’energia, e cosi via sino a quando non viene raggiunta la dose desiderata. Un esempio di strumento utilizzato per il beam spreading longitudinale è il ridge filter. È costituito da creste per tutta la superficie sulla quale incide il fascio. Il fascio viene diffuso in questo filtro cosicché tutte le energie degli ioni che sono entrati nel filtro si mescolino con quelle prodotte nel processo di degradamento durante il percorso all’interno del filtro, creando una distribuzione statistica. Lo svantaggio di questo metodo risiede nel fatto che la larghezza del SOBP è fissata dalla larghezza del filtro, e ci un vuole un filtro diverso per ogni range di energia. Un altro esempio di strumento utilizzato è il Range Modulator Wheel, tale strumento è una versione dinamica dello beam spreading longitudinale. Assumendo che la rotella 21 ruoti ad una velocità costante e che la fluenza del fascio incidente sia costante, allora il numero di ioni la cui energia sarà diminuita ad un certo valore dipenderà dal tempo in cui un determinato spessore della rotella si pone lungo il percorso del fascio. Nella Figura 1.13 è riportato un esempio di questo tipo di strumento. Figura 1.13: Esempio di multitrack range modulator wheel [1] Un dispositivo di questo tipo permette di superare il problema del ridge filter riguardo la limitazione dell’ampiezza del SOBP. Infine esiste un altro metodo che consiste nell’inserimento di materiale, in grado di degradare l’energia del fascio, lungo il percorso di quest’ultimo, finché non viene prodotto il numero desiderato di particelle con l’energia desiderata. Questo viene fatto utilizzando, di solito, un sistema costituito di lamine, strati plastici (che degradano l’energia) e strati di piombo (diffusore), posti in modo alternato uno davanti all’altro. Gli spessori di queste lamine sono scelti in base all’energia desiderata. 1.3.2 Beam Spreading trasverso Il modo più semplice per allargare il fascio trasversalmente è quello di far passare quest’ultimo attraverso un materiale diffusore. Il miglior materiale per diffondere le particelle senza far perdere ad esse troppa energia è il piombo. Un altro modo per allargare trasversalmente il fascio di particelle cariche consiste nella tecnica va sotto il nome di Beam scanning. Il fascio prodotto viene deflesso magneticamente in orizzontale e verticale per irradiare una fetta di tumore che ha circa la stessa larghezza del picco di Bragg. Riducendo gradualmente l’energia e ripetendo l’irraggiamento per ogni fetta, può essere irradiato un tumore di forma arbitraria dalla parte distale alla parte prossimale (fig.1.14). Ci sono diversi metodi, alcuni includono movimenti meccanici, ma il metodo più flessibile e veloce è quello che sfrutta i campi magnetici per piegare la traiettoria delle particelle. Sono presenti dei dipoli per allargare il fascio nelle due direzioni trasverse. La dose depositata in qualunque regione può essere tenuta sotto controllo tramite sistemi di feedback. 22 Figura 1.14: Ion beam scanning 1.4 Dosimetria La dosimetria è una branca della fisica che si occupa del calcolo della dose assorbita dalla materia quando sottoposta alle radiazioni. Il calcolo della dose necessita di una buona accuratezza, infatti un’incertezza più elevata del 5% nella misura della dose assorbita può pregiudicare l’efficacia del trattamento. È necessario definire il fascio in termini di percorso, modulazione del picco di Bragg, range, rate di dose, dimensioni del campo, uniformità e simmetria del fascio, penombra, e caduta di dose nella parte distale del picco. Le caratteristiche delle particelle usate influenzano la scelta degli acceleratori, e quindi anche dei rivelatori per la dosimetria. Consideriamo un curva di dose in funzione della profondità (fig. 1.15), allora il practical range è definito come la distanza tra la superficie in cui incide il fascio e il punto distale dove la dose si è ridotta al 10%. Questo dipende dall’energia del fascio e dai materiali lungo la linea. L’estensione in profondità del fascio, è definita come la distanza tra due punti, prossimale e distale. Le dimensioni del campo dipendono dal tipo di linea di trasporto utilizzata. Per fasci orizzontali utilizzati nel trattamento di tumori oculari, le dimensioni del campo variano da 5 a 35 mm di diametro. Fasci orizzontali utilizzati per tumori del collo e della testa necessitano invece di un campo maggiore di 15x15 cm2 . Se è richiesta flessibilità, per trattare tumori in ogni parte del corpo, il campo deve variare da 2x2 a 40x40 cm2 . La penombra laterale (80-20 %) deve essere essere minore di 2 mm. Quando il fascio è modulato in energia, oltre all’acceleratore, anche i materiali diffusori influiscono sulla penombra. Questa può essere minimizzata utilizzando dei collimatori , e riducendo al minimo la distanza tra l’uscita del collimatore e la pelle. Consideriamo il caso particolare di fasci di protoni, esistono in letteratura dei Code 23 Figura 1.15: Caratteristiche di uno spread-out Bragg peak of practice[20], che danno delle linee guida per la determinazione della dose assorbita nei tessuti per un fascio clinico di protoni. Al momento ci sono due tipi di applicazioni cliniche per i fasci di protoni: la prima è quella che utilizza fasci di energia minore di 80 MeV, indicata per il trattamento di tumori oculari. La seconda utilizza energie maggiori o uguali a 150 MeV, indicata per tumori situati in profondità. 1.4.1 Dosimetria assoluta Per la determinazione della dose assorbita per fasci di protoni convenzionali possono essere utilizzati diversi rivelatori, come calorimetri, Faraday cup (FC), oppure camere a ionizzazione. Per le camere a ionizzazione nei codici di pratica è consigliato che vengano calibrate almeno una volta confronto ad un calorimetro[17, 20], il quale è considerato il dosimetro di riferimento. Per i fasci laser-driven, invece, le camere a ionizzazione, a causa dell’alto impulso di dose e del largo spettro energetico di questi fasci, non sono adatte. Il dosimetro assoluto che si deve utilizzare deve essere indipendente dal rate di dose e dall’energia del fascio. Per questo motivo lo strumento più adatto è la Faraday cup. 24 Faraday Cup La FC è una tazza metallica che raccoglie gli ioni o gli elettroni liberi nel vuoto. La corrente prodotta può essere misurata e usata per determinare il numero di ioni o elettroni che sono entrati nella tazza. Quando una particella carica raggiunge il metallo della tazza la sua carica viene neutralizzata e si forma un impulso di corrente. Misurando la corrente si può conoscere il numero di ioni o elettroni che sono andati sul rivelatore. Per un fascio ionico continuo: I N = t e (1.12) dove N è il numero di ioni osservati in un tempo t, I è la corrente misurata ed e è la carica elementare. La misura effettuata con questo strumento è un tipo di misura distruttiva, nel senso che il fascio di protoni si ferma all’interno della FC. Quindi non viene usato come dosimetro online. Dovranno essere fatte delle considerazioni riguardo la geometria della FC, lo spessore del fondo, la qualità del vuoto, il voltaggio dell’anello di guardia e sulla scelta della camera a ionizzazione. Le misure con la FC sono basate sulla determinazione della fluenza dei protoni, e vengono effettuate in aria. Alcuni schemi tipici di FC sono riportati nella letteratura[18, 19]. L’energia e l’area del fascio nel punto di misura devono essere determinato accuratamente. Assumendo che tutti i protoni del fascio siano monoenergetici, che l’area del fascio sia nota, la dose assorbita in acqua può essere calcolata dalla seguente espressione: Q 1 · (S(E))w · · 1.602 · 10−10 (Gy) (1.13) A e dove A è l’area effettiva del fascio (cm2 ), (S(E))w (MeV·cm2 /g) è il cosiddetto mass stopping power in acqua per energia dei protoni nota, E l’energia cinetica delle particelle del fascio, e Q (C) è il valore di carica letto nell’elettrometro. I valori di S(E) sono tabulati, in funzione dell’energia del fascio e del materiale bersaglio. Dw = Camera a ionizzazione Nel caso della camera a ionizzazione (e quindi per fasci convenzionali), per applicazioni in cui si necessita di piccoli campi (≤ 10 cm2 ), è consigliato utilizzare una piccola camera a ionizzazione cilindrica (con volume ≤ 0.1 cm3 ). Mentre per applicazioni con campi grandi sono necessari volumi maggiori, 0.1 − 1.0 cm3 . Le camere sono riempite d’aria. La dose assorbita dal tessuto può essere calcolata come segue: Dt = Mc · Acal (1.14) Dove Mc è il valore di dose letto nella camera a ionizzazione, corretto per la temperatura e la pressione ambientale, e per effetti di ricombinazione. Acal è il fattore di calibrazione 25 di dose per il fascio di protoni ottenuto dal confronto diretto con un calorimetro: Dm · (S(E))tissue (1.15) Acal = m Mc calorimeter Dove Dm è la dose nel tessuto misurata dal calorimetro (Gy), (S(E))tissue è il rapporto m tra i mass stopping power per il tessuto e per il calorimetro, all’energia considerata. Nel caso in cui non è possibile avere un calorimetro, la camera a ionizzazione può essere calibrata con una FC, usando la seguente relazione: Dt (1.16) Acal = Mc F C La calibrazione della camera a ionizzazione viene effettuata al punto di mezzo del SOBP in un fantoccio ad acqua. 26 Capitolo 2 Il progetto Elimed L’obbiettivo del progetto è quello di sviluppare strumentazioni, tecnologie e metodologie dosimetriche e radiobiologiche innovative per la realizzazione di un impianto di adroterapia basato su fasci prodotti e accelerati dall’interazione laser materia [6]. ELIMED, acronimo di MEdical applications at ELI-Beamlines, è un’iniziativa internazionale, nata dalla collaborazione tra i ricercatori dei Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN di Catania e dell’ELI Experimental Program Department di Praga. L’obbiettivo è realizzare un primo impianto interamente dedicato agli studi fisici e radiobiologici di fasci di protoni di alta energia (60 - 250 MeV), accelerati dall’interazione tra un laser di alta potenza e la materia. In particolare, laser con una durata molto piccola generano fasci ad impulsi estremamente intensi (109 - 1012 protoni per impulso con 1.0 - 0.1 ns di durata). In questo capitolo verranno descritti, dal punto di vista fisico, gli obbiettivi che tale progetto si propone. Verranno descritti: • il processo con cui i protoni verranno prodotti e accelerati; • gli studi che permettono di scegliere il bersaglio a seconda delle caratteristiche del plasma, e quindi del fascio, che si vuole creare; • i metodi di diagnostica del fascio e del plasma; • le modalità con cui il fascio verrà trasportato e selezionato in energia; • la dosimetria e i rivelatori ad essa dedicati. 2.1 Produzione di particelle e accelerazione tramite laser di alta potenza L’accelerazione degli ioni è dovuta all’interazione di un laser ad alta potenza (I > 108 W/cm2 ) e con impulsi di durata dell’ordine dei nanosecondi con un bersaglio solido. Laser di tale intensità vengono prodotti con la tecnica che va sotto il nome di Chirped Pulse Amplification (CPA). In tale tecnica, un impulso prodotto da un laser a bassa potenza, che riesce a creare pacchetti molto piccoli (∼50 fs), viene allungato in tempo di un fattore 27 ∼ 104 , tramite una coppia di reticoli, quindi viene amplificato e infine ricompresso sempre tramite una coppia di reticoli. Si ottiene cosi un impulso stretto e di alta potenza [7]. In questa tecnica, oltre all’impulso principale, viene prodotto anche un debole piedistallo o pre-impulso, dovuto alla parte amplificata dell’impulso che non è stata ricompressa. Questo piedistallo gioca un ruolo importante nell’accelerazione di ioni, infatti anche se la sua intensità è molti ordini di grandezza più piccola dell’impulso principale, è comunque abbastanza grande da riuscire a creare plasma. Gli elettroni che fuoriescono dagli atomi acquisteranno un’energia cinetica maggiore della loro massa a riposo, e diventeranno altamente relativistici. Un parametro utile in questo contesto è la laser strenght definito come: a0 = eA me c2 (2.1) Rappresenta il valore di picco del potenziale vettore normalizzato rispetto alla massa di riposo dell’elettrone. È legata all’intensità, I0 , e alla lunghezza d’onda, λL , del laser tramite: r 2 (2.2) A = I0 λL πc Quindi, a0 può essere visto come la quantità di moto massima di un elettrone accelerato dal campo del laser, normalizzato rispetto alla sua massa di riposo. Si ha regime relativistico quando I0 > 1018 W/cm2 . Quando un onda elettromagnetica con frequenza ω nell’ottico e nel vicino infrarosso è focalizzata in un gas, il plasma prodotto ha una densità elettronica ne minore della densità critica1 . nc = me ω 2 /4πe2 = 1.1 · 1021 ( 1µm 2 ) λL Quindi il plasma è detto ”underdense” e l’onda può propagare attraverso quest’ultimo. Gli elettroni vengono accelerati nel regime chiamato Laser Wake-Field Acceleration. Se si considera invece l’interazione con un bersaglio a stato solido, il comportamento è diverso. Infatti le onde elettromagnetiche del laser ionizzano subito il bersaglio, formando un plasma molto denso (overdense) con ne > nc . L’impulso laser può penetrare p soltanto a livello superficiale con profondità lsd = c/ωp = (λ/2π)nc /ne . Dove ωp = 4πne e2 /me è la frequenza del plasma. Parte della luce del laser viene riflessa nell’interazione, ma, una frazione significativa dell’energia viene assorbita dal bersaglio. Se si considera un laser che incide normalmente alla superficie del bersaglio, la forza ponderomotrice, una forza non lineare che varia lentamente con il tempo, indotta dal campo elettromagnetico ad alta frequenza del laser, spingerà in avanti gli elettroni dalla superficie posteriore del bersaglio creando una separazione di carica che produce un campo elettrico [8]. Tale forza fu descritta da Landau e Lifshitz negli anni 50 del XX secolo. L’espressione finale è data da: 1 È la massima densità elettronica alla quale l’onda elettromagnetica di frequenza angolare ω può propagarsi. 28 fp = − ωp2 ∇ · Es2 16πωL2 (2.3) Dove ωL è la frequenza angolare del laser, e Es è la parte dipendente dallo spazio del campo elettrico E = Es cos ωL t. I primi esperimenti che studiarono l’interazione tra un impulso laser corto (τ < 1 ps) e intenso (Il λ2 > 1018 W/cm2 ) con un sottile foglio solido idrogenato, mostrarono la produzione di protoni, nell’intervallo di energia di decine di MeV, provenienti dalla superficie posteriore del bersaglio. Nella maggior parte degli esperimenti il regime dominante è il cosiddetto Target Normal sheath Acceleration (TNSA), nel quale i protoni, prodotti nella superficie posteriore del bersaglio, vengono accelerati dal campo prodotto dagli elettroni in espansione durante il riscaldamento del plasma. Nell’interazione tra un onda elettromagnetica intensa e un solido, la superficie frontale del bersaglio viene ionizzata prima del picco dell’impulso (grazie al pre-impulso). La succesiva interazione laser-plasma riscalda gli elettroni, tramite diversi meccanismi di assorbimento, a temperature dell’ordine del MeV, e il loro libero cammino diventa maggiore della profondità superficiale del plasma e dello spessore del bersaglio. Questi elettroni si muovono nella direzione concorde con la direzione del laser in entrambi i versi. In questo modo gli elettroni possono propagare nel bersaglio arrivando alla superficie posteriore dove si espandono nel vuoto per molte lunghezze di Debye2 formando una nube di elettroni relativistici. Si forma quindi uno squilibrio della carica, e si forma un intenso campo elettrico (dell’ordine dei TV/m) longitudinale, il quale sarà responsabile per l’accelerazione degli ioni. Il meccanismo di accelerazione predominante avviene nella superficie posteriore, dove l’intenso campo elettrostatico può ionizzare gli atomi presenti e accelerare gli ioni prodotti. I protoni ottenuti provengono dagli atomi, contaminanti, di idrogeno presenti nel bersaglio. Il modello teorico utilizzato per descrivere il meccanismo di accelerazione è quello proposto da Passoni [9]. Quando l’intensità del laser supera I = 1021 W/cm2 , possono essere ottenuti diversi regimi. In queste condizioni la pressione di radiazione del laser domina sul processo di riscaldamento e il gruppo di particelle accelerate è composto da ioni provenienti dalla superficie irradiata del bersaglio. Questo regime è detto Radiation Pressure Acceleration (RPA) e l’accelerazione dipende dallo spessore del bersaglio. 2.2 Simulazioni PIC (Particle In Cell) Il metodo PIC, rappresenta una tecnica usata per risolvere una certa classe di equazioni differenziali alle derivate parziali ed è particolarmente utile nell’ambito della fisica dei plasmi. In questo metodo, le singole particelle in una struttura lagrangiana sono tracciate nello spazio delle fasi continuo. Per una completa descrizione, bisogna conoscere ~x(t) e ~v (t) di ogni particella, queste informazioni si ottengono dalle tracce ottenute nella simulazione. Da queste grandezze si ottengono poi i contributi della densità di carica e 2 Distanza massima entro cui può essere violata la netraulità elettrica in un plasma. 29 Figura 2.1: Rappresentazione del regime TNSA. corrente delle singole particelle del plasma. Risolvendo poi le equazioni di Maxwell si trovano i campi Eij e Bij e da questi si ricavano le forze tra le particelle. Abbiamo visto che la produzione e l’accelerazione dei protoni sono dovuti al riscaldamento della nube elettronica e alla conseguente creazione di un campo elettrostatico dovuto alla separazione di carica. In questo modo i protoni avranno uno spettro maxwelliano, che sarà quindi esponenziale rispetto all’energia con una soglia proporzionale alla radice quadrata dell’intensità: N0 − EE dN = e 0 dE E0 (2.4) con E0 energia p media e N0 numero totale di protoni. Il cut off è dato da Emax ∼ k · a −10 con a = 8.5 · 10 I[W/cm2 ] · λ[mm] e k ∼ 1 − 2. Poiché l’energia che viene trasferita ai protoni è circa 1 - 5 % dell’energia del laser e l’energia media è tipicamente otto volte inferiore al cut off, allora nelle vicinanze del cut off il numero di protoni sarà molto piccolo. Lo spessore del bersaglio influisce sull’energia massima, ad esempio utilizzando un bersaglio di 50-100 µm di spessore con densità quasi critica, si viene a creare un intenso campo elettrostatico che accelera i protoni efficientemente. Le simulazioni mostrano che possono essere raggiunte energie superiori a 100 MeV. 2.3 Bersagli I bersagli saranno preparati in modo tale da controllare la composizione del plasma, gli ioni e la densità di elettroni. Per aumentare la concentrazione di protoni, si usano bersagli idrogenati, come polimeri, idrati ecc. Per aumentare la densità elettronica per ogni bersaglio, saranno aggiunti elementi metallici pesanti, come oro, incorporati come 30 nanostrutture, nanosfere e film sottili. Si dovrà inoltre tenere conto del coefficiente di assorbimento per la lunghezza d’onda del laser. Per questa ragione verranno incorporati dei nanotubi di carbonio contenenti idrogeno. Questo aumenterà sia il coefficiente di assorbimento che il numero di protoni prodotti dal plasma. I bersagli proposti saranno usati per aumentare l’assorbimento del laser e diminuire la riflessione della luce incidente in modo tale che la massima energia dell’impulso laser possa essere trasferita al plasma. 2.4 Diagnostica del fascio Per avere informazioni immediate sull’energia media dei protoni, e la produzione nelle varie direzioni angolari rispetto alla direzione normale al bersaglio, verranno utilizzati collettori di ioni (IC) e anelli collettori di ioni (ICR) in configurazione ”tempo di volo” (TOF). IC e ICR saranno posti a diversi angoli in avanti e indietro e a diverse distanze (almeno 150 cm) in modo che le misure di TOF permettano di distinguere il fotopicco nel collettore, il contributo dei protoni e degli ioni lenti provenienti da altri elementi del plasma prodotto. L’ICR sarà posto di fronte allo spettrometro Thomson per confrontare l’energia massima dei protoni con le valutazioni di tempo di volo. Lo spettro di TOF è composto da diversi contributi. Quando l’energia degli ioni del plasma aumenta, come conseguenza dell’aumento della potenza del laser, la distanza in TOF tra i vari picchi diminuisce. Diventa quindi complicato distinguere i vari contributi. Questo effetto si presenta specialmente quando vengono generati protoni e ioni con energie dell’ordine di vari MeV [10]. Per questo motivo i collettori IC e ICR verranno equipaggiati con diversi assorbitori (generalmente sottili assorbitori di alluminio con spessori da 1 a 8 µm) in modo tale che sia possibile distinguere meglio il picco dei protoni da quello degli ioni pesanti e da quello dei fotoni che producono il fotopicco. Saranno utilizzati rivelatori a semiconduttori, SiC, per monitorare la radiazione ionizzante emessa dal plasma. Permettono misure immediate di raggi x emessi durante un intervallo di tempo di pico-nano secondi, di elettroni veloci e delle emissioni degli ioni. Questi rivelatori non sono sensibili alla luce visibile e infrarossa, poichè la loro energià è al disotto del gap di energia del 4H-SiC di 3.26 eV, e non riescono a creare una coppia elettrone-buca. Quindi tali rivelatori possono lavorare senza disturbi anche se esposti a luce visibile. Questo permette l’uso di tali rivelatori anche in assenza di filtri schermanti per rivelare raggi x, elettroni, e fascio di ioni. I vantaggi di questi rivelatori sono prevalentemente l’alta velocità di risposta, l’alta sensibilità, basse correnti di buio, alto rapporto segnale-rumore e alta efficienza di rivelazione [11]. I SiC saranno installati in configurazione TOF per ridurre il fondo del picco dei protoni e per evidenziare il contributo dei protoni rispetto agli ioni pesanti provenienti dal plasma. Per esperimenti con laser ultra intensi saranno utilizzati anche rivelatori monocristallo di diamante. Anche questi configurati in TOF per diminuire il fondo dovuto alla luce visibile e agli UV molli, rivelare meglio il picco dei protoni, misurare la velocità media e l’energia di questi ultimi per confrontarle con le misure effettuate con lo spettrometro Thomson. IC, ICR, SiC e diamanti saranno posti a diversi angoli per avere informazioni sulla distribuzione angolare degli ioni in funzione dei parametri del laser e del bersaglio. 31 2.4.1 Spettrometro Thomson Lo spettrometro Thomson (TPS) è uno strumento largamente usato per la diagnostica di fasci laser-driven. Permette di prendere un set completo di informazioni da una singola misura. Uno spettrometro Thomson è costituito da campi elettrici e magnetici omogenei paralleli tra loro, e perpendicolari alla direzione di propagazione degli ioni (Fig. 2.2). Figura 2.2: Shema classico di uno spettrometro Thomson. I campi magnetico e elettrico sono perpendicolari alla direzione di propagazione del fascio. Gli ioni vengono raccolti nel piano del rivelatore [12]. Negli esperimenti in cui si accelerano ioni tramite laser, l’intensità dei campi è dell’ordine di qualche centinaia di mT per il campo magnetico e diversi kV/m per il campo elettrico. Le equazioni del moto per gli ioni che passano nel TPS possono essere ottenute dalla forza di Lorentz, la quale in unità del SI è: d~p p~ ~ ~ =q E+ ∧B dt mγ (2.5) Dove m, q, E, e B sono la massa, la carica, il campo elettrico e il campo magnetico dello ione rispettivamente, p è la quantità di moto relativistico e gamma il fattore di Lorentz; il tempo è quello del sistema del laboratorio. Prendendo in considerazione la deriva degli ioni dopo l’uscita dai campi, si può calcolare la traccia nel piano del rivelatore come funzione della energia cinetica e del rapporto massa carica. Nel caso non relativistico l’espansione di Taylor al primo ordine ci da l’equazione della parabola. y2 = 2 qB 2 lB (DB + 12 lB )2 x mElE (DE + 21 lE ) (2.6) Dove x e y descrivono la deflessione degli ioni nel piano perpendicolare alla direzione di propagazione che risulta dai campi E e B di lunghezza, lE e lB e dopo una lunghezza 32 di deriva DB e DE , misurate dalla fine dei campi E e B rispettivamente al piano del rivelatore. Per il caso relativistico l’equazione si ottiene tramite l’algoritmo Range-Kutta al quarto ordine [13], assumendo E e B costanti e trascurando effetti di bordo. I principali fattori che contribuiscono alla risoluzione intrinseca di uno spettrometro Thomson per uno specifico rapporto carica massa sono la lunghezza di deriva, le dimensioni del foro usato per limitare e collimare il fascio di ioni in arrivo, e le proprietà del campo magnetico, cioè l’intensità e la lunghezza lungo la direzione di propagazione degli ioni. Infatti un campo magnetico intenso e lungo aumenta la risoluzione energetica, mentre un foro largo diminuisce la risoluzione poiché aumentano le dimensioni del punto sul rivelatore. Diminuire le dimensioni del foro e aumentare la lunghezza di deriva contribuisce a migliorare il contrasto di un TPS, poiché diminuisce il flusso di ioni sul rivelatore. La risoluzione, ottenuta dall’equazione (2.6) (cioè nel limite non relativistico), è data dal rapporto tra l’intervallo di energia coperto dal punto del fascio sul rivelatore e il suo valore nel punto centrale. ∆Ekin = Ekin y 1− 2s 2s ≈ 2 2 y s (2.7) 2y dove s sono le dimensioni del punto del fascio sul rivelatore, che dipendono dalle dimensioni del foro e dalla lunghezza di deriva. La separazione tra i diversi rapporti carica-massa invece dipende dai parametri del campo elettrico, dalla lunghezza di deriva e dalle dimensioni del punto del fascio sul rivelatore. L’energia di ”fusione” tra due tracce vicine è calcolata dal punto di intersezione tra i contorni vicini delle rispettive tracce, dove i contorni sono dati dalle dimensioni del punto del fascio sul rivelatore. L’energia di fusione può essere trovata tramite l’eq. 2.6, cioè nel limite non relativistico, ed è data da: qi ElE DE + 12 lE Em = sRQ (2.8) dove RQ = (Q1 + Q2 )/(Q1 − Q2 ) con Q1 = q1 /m1 > Q2 [12]. All’interno del progetto LILIA-ELIMED è stato sviluppato ai Laboratori Nazionali del Sud uno spettrometro Thomson con alta risoluzione e grande accettanza. Nella figura 2.3 è mostrata una simulazione di un fascio di ioni Carbonio passante attraverso lo strumento. Il principale upgrade in ELIMED rispetto a LILIA riguarda il miglioramento del campo di vista del rivelatore di imaging. Questo può essere fatto se tutti gli ioni raggiungono il 33 Figura 2.3: Simulazione di un fascio di ioni Carbonio passante nello spettrometro Thomson. rivelatore non lungo il proprio asse. Questo permetterebbe di sfruttare l’intera accettanza del rivelatore, risolvendo facilmente le parabole delle diverse specie di ioni. Si sta considerando la possibilità di usare piccoli fori, con diametri di 500-50 µm. Questo permetterebbe di ridurre le dimensioni dell’alone centrale e di migliorare la risoluzione spaziale e la risoluzione intrinseca in energia. Infine un sistema di puntamento laser assicura l’allineamento tra i fori, e l’allineamento tra lo spettrometro e la camera di interazione. Inoltre è sotto test un sistema di movimento micrometrico, che permetterà di impostare lo spettrometro sulla posizione adatta rispetto al bersaglio nella camera di interazione. 2.4.2 Spettroscopia ottica e UV La spettroscopia ottica e UV è utile per lo studio delle distribuzioni spaziali e temporali del pennacchio formato dal plasma. La produzione intensificata di CCD commerciali, ha reso possibile ottenere risoluzioni temporali dell’ordine dei nanosecondi, alta risoluzione spaziale e alta sensibilità. Possono essere cosı̀ ottenute informazioni sulla densità elettronica, sulla temperatura elettronica, sulla velocità delle particelle del pennacchio e sull’equilibrio di ionizzazione. La spettroscopia permette di eseguire simultaneamente l’analisi spaziale, temporale e spettrale del pennacchio prodotto dal laser. L’immagine di un plasma in espansione viene focalizzata all’entrata della fessura di uno spettrometro astigmatico con un readout risolto in tempo. Sarà usata una camera ICCD sensibile da 185 a 850 nm, con una matrice di pixel di 1024 x 1024, un’area attiva di circa 20 mm x 20 mm e un apertura ottica minima <2 ns. Il sistema laser sarà sincronizzato temporalmente con il principale sitema di diagnostica usando dei generatori di ritardi con un massimo di 1 ns. Un filtro ottico proteggerà l’ICCD da ogni radiazione diffusa del laser. La spettroscopia ottica sarà realizzata tramite due spettrografi, uno per l’intervallo ultravioletto e uno per l’intervallo visibile, con una risoluzione di 2 nm. Il plasma focalizzato all’entrata della fessura dello spettrografo produce in uscita un immagine spaziale e spettrale in una dimensione del pennacchio. L’asse verticale corri34 sponde alla direzione di espansione (z) quello orizzontale si riferisce alla lunghezza d’onda dell’emissione. Ponendo l’ICCD in uscita dallo spettrografo sarà possibile ottenere contemporaneamente sia le informazioni spaziali che quelle spettrali sulla propagazione del plasma. 2.4.3 Diagnostica X del plasma La principale emissione del plasma ricade nel dominio dei raggi X. Quindi gli studi in tale intervallo costituiscono un potente strumento di investigazione non invasiva della composizione del plasma. In particolare è possibile avere informazioni accurate sulla temperatura elettronica, densità elettronica e sugli stati di ionizzazione. Saranno sviluppate e integrate tecniche analitiche basate sulla spettroscopia e l’imaging X applicate allo studio delle interazioni del laser con diversi materiali bersaglio (alto Z o basso Z) o diverse strutture di bersaglio (multistrato, nanostrutture ecc.). Lo scopo principale di tale diagnostica sarà lo studio delle condizioni sperimentali migliori per la produzione finale di protoni (riproducibilità, intensità e stabilità energetica). 2.5 Selezione e trasporto del fascio Il fascio di particelle cariche prodotte tramite la nuova tecnica di accelerazione con laser di alta potenza ha interessanti proprietà: è caratterizzato da un picco molto alto di corrente (1012 - 1013 particelle per impulso, I > 500 mA) e l’emittanza3 trasversa e longitudinale sono molto piccole. Infatti l’emittanza trasversa, sebbene sia caratterizzata da una grande apertura angolare (> 30 gradi) ha delle dimensoni radiali che dipendono dal punto d’interazione del bersaglio (100 µm). Il risultato è una piccola emittanza geometrica < 0.1·π·mm·mrad. L’emittanza longitudinale, dipende dalla piccola ampiezza temporale dell’impulso del laser (< 1 ps). Lo spettro di energia delle particelle prodotte varia da un minimo di energia di pochi keV al massimo valore derivato dai campi elettrici raggiunti durante il processo di espansione del plasma. Anche la distribuzione spaziale dipende dall’energia delle particelle (fig. 2.4) Sarà necessario lo studio delle tecniche di focalizzazione per massimizzare il numero di particelle trasportate e selezionate in energia e la loro relativa diffusione. Il procedimento di focalizzazione e selezione del fascio è riassunto nei seguenti passaggi: 1. raccolta e cattura: solenoidi. Avviene nelle vicinanze del punto di produzione delle particelle cariche. Bisogna raccogliere il maggior numero possibile di particelle in modo da ridurre la componente trasversa dell’emittanza. Lo strumento deve essere sufficientemente compatto da essere posizionato all’interno della camera di interazione. Questo sistema fornisce la prima selezione di energia del fascio. Le particelle vengono catturate da un solenoide che produce intensi impulsi di campo magnetico ∼ 10 T direttamente dietro il piano del bersaglio che è stato irradiato dall’impulso laser. Il fascio di protoni sarà collimato e trasportato per una distanza di circa 300 mm. Gli elttroni verranno fortemente deflessi dal campo del solenoide, 3 È una grandezza misurata dall’area dell’ellisse descritta dalle particelle nello spazio delle fasi (usualmente espressa in mm mrad) divisa per π. 35 Figura 2.4: Divergenza angolare in funzione dell’energia delle particelle del fascio. e propagheranno attorno all’asse del solenoide con una traiettoria a spirale. L’alto flusso di protoni produce una alta carica spaziale favorendo una forte focalizzazione del fascio di protoni [14]. In questo primo passaggio è indispensabile effettuare le simulazioni dinamiche del fascio in presenza di effetti di carica spaziale dovuti alla presenza di alte correnti, ma anche in presenza di effetti di de-neutralizzazione. 2. Focalizzazione: quadrupoli. Gli strumenti con il compito di focalizzare la componente trasversale del fascio pre-selezionato nella fase precente, vengono posizionati all’uscita della camera di interazione. Poiché il sistema deve essere in grado di focalizzare fasci con diverse energie e con dimensioni trasverse piuttosto larghe, deve essere costituito da campi elettomagnetici o quadrupoli permanenti con alta accettanza. Verrà usato un sistema ottico per ioni che consiste in mini quadrupoli magnetici permanenti (PMQ) con un forte gradiente di campo (> 500 T/m) [16]. La configurazione a tripletto assicura la focalizzazione delle particelle nello spazio trasverso ad un piccolo punto. 3. Selezione: selezione magnetica o con strumenti a radiofrequenza. All’uscita della seconda fase il fascio deve raggiungere spread di energia e dimensioni trasverse abbastanza piccoli, poi verra ridotta anche l’emittanza longitudinale. Verrà usato un sistema magnetico costituito da quattro dipoli magnetici, Ogni dipolo consiste in una coppia di magneti rettangolari permanenti. Il secondo e il terzo campo magnetico sono paralleli tra loro, e antiparalleli rispetto al primo e al quarto. I protoni verranno collimati all’entrata di un foro e spostati lateralmente rispetto all’asse normale al bersaglio nel piano di mezzo tra il terzo e il quarto dipolo. In quest’ultimo ci sarà un foro mobile che permette di stabilire lo spread energetico e l’energia dei protoni. Gli ultimi due magneti reindirizzano i protoni verso l’asse normale al bersaglio, e il profilo trasverso è definito tramite un foro [15]. 36 Il sistema magnetico con lo scopo di selezionare l’energia del fascio di particelle prodotte dall’interazione laser-bersaglio è sotto studio. Lo spread di energia e il numero di particelle che passano nel foro dipendono dalle dimensioni dell’apertura. Più piccolo è il foro e minore sarà sia lo spread in energia, che il numero di particelle passanti attraverso il foro stesso. L’energia dei protoni potrà essere adattata muovendo trasversalmente la posizione del foro tra 30 e 8 mm dall’asse normale al bersaglio. I due magneti gemelli centrali sono posti su un sistema a rotelle in modo tale da spostare radialmente i due magneti per aumentare l’allargamento trasversale e selezionare le particelle con una determinata energia. In questo modo l’energia può variare da 5 a 50 MeV. Lo spread raggiungibile usando un foro con un’apertura da 1 mm va da 3 a 30 %. L’intero sistema magnetico è lungo almeno 600 mm e sarà posto in un’apposita camera a vuoto. Davanti e dietro il sistema magnetico vengono posti due collimatori in modo tale da controllare le dimensioni del fascio. L’intero sistema verrà simulato tramite il toolkit Monte Carlo di Geant4, per predire accuratamente le traiettorie dei protoni e lo spettro energetico del fascio selezionato. Queste informazioni sono cruciali per il calcolo preliminare della fluenza dei protoni e la dose per impulso. Inoltre tali simulazioni permetteranno di prevedere quantitativamente l’attivazione prodotta dai protoni all’interno del sistema, e quindi eventuali valutazioni di radioprotezione. 2.6 Simulazione Monte Carlo della linea di trasporto del fascio in aria e calcoli di radioprotezione Per riprodurre accuratamente il trasporto del fascio di protoni e per prevedere tutte le quantità fisiche di interesse verrà usato Geant4. Ai LNS-INFN è stato scritto il software hadronterapy, che simula la linea di trasporto di proton-terapia CATANA a Catania, dove vengono trattati tumori oculari con protoni da 62 MeV [22, 23, 24]. Il codice hadronterapy sarà modificato, ad esempio, per quel che riguarda il lavoro di questa tesi, verrà simulata la geometria e il comportamento fisico della Faraday cup, per ottenere la migliore configurazione e geometria da realizzare. In questo lavoro saranno realizzate: • Simulazioni Monte Carlo del setup sperimentale. Le informazioni preliminari ottenute da questi calcoli sono importanti per l’ottimizzazione del setup sperimentale e la predizione della fluenza per impulso attesa nel punto di misura. Inoltre sarà possibile effettuare una stima accurata della dose per prevedere la risposta dei diversi rivelatori. • Simulazioni Monte Carlo del selettore di energia. Una riproduzione realistica del sistema e del trasporto delle particelle in un campo magnetico permette una predizione accurata delle caratteristiche del fascio alla finestra di uscita e, di conseguenza, di ottenere lo spettro di energia atteso. • Simulazioni sui componenti passivi e attivi della linea di trasporto, in aria, del fascio. Queste simulazioni permetteranno di studiare le soluzioni migliori per lo shaping spaziale del fascio, l’omogeneità, i collimatori e ogni tipo di elemento necessario per ottenere il fascio ”clinico”. 37 • Studi di radioprotezione. La simulazione della linea di trasporto del fascio, iniziando dal selettore di energia al punto di misura in aria, permetterà di predire la radiazione dovuta alle particelle secondarie e identificare le zone ad alto livello di attivazione. Questi studi saranno d’aiuto per la progettazione di eventuali elementi schermanti. 2.7 Sistemi per la diagnostica in aria delle particelle accelerate e misure di fluenza Risulta fondamentale sviluppare un sistema di monitoraggio on-line (che possa minimizzare la perturbazione del fascio) di sistemi di rivelazione capaci di operare in un ambiente con alto inquinamento elettromagnetico. Uno schema dell’apparato proposto è mostrato in figura 2.5. Figura 2.5: Schema del nuovo rivelatore per il monitoraggio online della fluenza del fascio. Il fascio impulsato sarà diffuso tramite un bersaglio d’oro, i protoni diffusi elasticamente saranno rivelati ad un angolo adattabile (per cambiare l’intervallo di intensità) tramite un sistema di rivelazione con batteria, consistente in uno scintillatore plastico accoppiato con un fotomoltiplicatore. Tale rivelatore lavorerà in modalità full pile-up (conversione totale carica-altezza dell’impulso), permettendo una conversione semplice e lineare dell’intensità in altezza dell’impulso. Un MCA convertirà ogni impulso in un numero digitale, e verrà quindi costruito un istogramma che mostrerà la distribuzione 38 di intensità per diversi impulsi di fascio. Il profilo di intensità sarà scaricato tramite un collegamento ottico durante l’intero intervallo dell’impulso del fascio. 2.8 Rivelatori per dosimetria assoluta e relativa A causa dello spettro esponenziale dei protoni a bassa energia, del basso range dei protoni e dell’alta dose, la dosimetria del fascio è un problema non banale. Per questo è necessario sviluppare un dosimetro assoluto indipendente e un sistema di monitoraggio online per la dose relativa, per ottenere buoni risultati in esperimenti radiobiologici e clinici con protoni accelerati da laser. Verranno sviluppati e testati diversi rivelatori per dosimetria e verrà progettato un sistema integrato per le misure dosimetriche e l’irradiazione di cellule. L’idea è quella di usare film radiocromici (RCF) e CR39 per la dosimetria relativa e sviluppare una Faraday cup (FC) per misure di dose indipendenti dal rate di dose. RCF e CR39 possono essere usati in pile, per ottenere informazioni quantitative sullo spettro energetico di uno specifico gruppo di protoni accelerati. La misura accurata dello spettro di energia è fondamentale per la calibrazione della FC. Tuttavia l’alta risoluzione dei film gafcromici permette la misura precisa della distribuzione di dose bidimensionale a diverse profondità, la quale è cruciale per l’irradiazione di cellule. 2.8.1 Film radiocromici Mostrano una piccola dipendenza dall’energia dei protoni ionizzanti, alta risoluzione, e sono tessuto-equivalenti. La sensibilità alla radiazione è dovuta ad una soluzione di monomeri di dietilene depositata su una pellicola flessibile. Quando la parte attiva rè sottoposto a radiazioni, reagisce formando un polimero di colore blu. Esistono diversi tipi di RCF, cono diverse sensibilità, e che vengono quindi utilizzati in diversi intervalli di dose: • HD-V2, 8x10 pollici; intervallo di dose: 10-1000 Gy; numero atomico effettivo = 6.5; • MD-V3, 5x5 pollici; intervallo di dose: 1-100 Gy;numero atomico effettivo = 6.7; utilizzati per il progetto CATANA ai LNS-INFN, sono stati calibrati con protoni da 21.5 MeV direttamente in un fantoccio d’acqua. • EBT3, 8x10 pollici; intervallo di dose: 1 cGy - 40 Gy; numero atomico effettivo = 6.98 molto vicino a quello dell’acqua (7.3). Gli EBT3 sono al momento largamente usati in strutture di proton-terapia per le misure del profilo laterale del fascio. La calibrazione viene effettuata tramite fascio di protoni mono-energetico da 62 MeV, usando un collimatore di diametro 25 mm. 2.8.2 Rivelatori CR39 Il CR39 è un rivelatore a stato solido, largamente utilizzato come rivelatore di protoni e di ioni pesanti. Una particella che colpisce tale rivelatore produce un danno molecolare 39 nella regione cilindrica del materiale colpito, che si estende per qualche decina di nm lungo la traiettoria delle particelle. Questo è chiamato LT (Latent Track). L’energia che viene persa dalle particelle per formare il LT è detta invece REL (Restricted Energy Loss). Un acido trasforma questi danni in strutture solide chiamate ”traccia dello ione”. 2.8.3 Faraday cup Già descritta nel precedente capitolo, la Faraday Cup (FC) sarà il dispositivo che avrà il compito di misurare la dose assoluta. Poiché non è stato ancora definito alcun protocollo per la valutazione della dosimetria assoluta per fasci di protoni laser-driven, deve essere definita una procedura per sviluppare un metodo di calibrazione per la dose assoluta. Come suggerisce il TRS-398 [17], l’efficienza per la raccolta della carica in una camera a ionizzazione può essere valutata tramite un sistema indipendente dal rate di dose come un calorimetro. Poiché una Faraday cup (FC) può effettuare misure di dose assoluta, con una risposta lineare con il numero di particelle e ha un segnale indipendente dal rate di dose, può essere usata per questo proposito. Nel nostro caso, la FC sarà implementata in connessione con altri sistemi dosimetrici, come pellicole Gafcromiche e CR39, per effettuare misure di dose preliminari in tempo reale. Si preferisce non utilizzare, per le misure di dose assoluta, una camera a ionizzazione, poiché, essendo il fascio generato da un impulso laser con durata dell’ordine delle centinaia di ns, si ha un grande tempo morto e non si riesce a contare tutti gli eventi. Mentre a differenza della camera a ionizzazione (IC), la FC è indipendente dal rate di dose, quindi non si ha questo problema. All’interno dell’attività di ELIMED si propone di sviluppare una specifica FC da usare per le misure di dose assoluta e connessa fisicamente con il selettore di energia. Il lavoro di questa tesi si svolge proprio all’interno di tale ambito. Il design di questa FC sarà basato su un tipico modello di FC per fasci di protoni, come quello sviluppato da Cambria et al. [21]. In tale articolo la FC è stata testata per fasci tradizionali da 62 MeV. La geometria della tazza è stata progettata per avere una piccola uscita, 10◦ , per le particelle primarie retrodiffuse e le particelle secondarie prodotte verso l’esterno. Lo spessore delle pareti è stato scelto per minimizzare il numero di protoni che fuoriescono lateralmente. Gli elettroni secondari si formano sia per ionizzazione nella finestra di ingresso, che nella tazza ma il numero di elettroni che torna indietro è solo una piccola frazione rispetto a quelli prodotti in avanti. I risultati mostrano che gli elettroni secondari nella finestra di ingresso non sono trascurabili e bisogna usare un alta tensione per l’anello di guardia per bloccarli, per gli elettroni secondari prodotti nella tazza basta il campo scelto per quelli prodotti nella finestra. Assumendo che l’efficienza di raccolta della carica sia vicina al 100%, la principale fonte di incertezza, nella misura della fluenza, sta nell’area del fascio. Il raggio effettivo del fascio può essere misurato sperimentalmente al punto di misura. L’area effettiva del fascio è data da: 40 Z 2π Z R r · P (r)drdθ Aef f = 0 (2.9) 0 che può essere approssimato a Aef f ≈ 2π R X ri · P (ri )dri (2.10) i=0 dove ri è il raggio in cui si ha la scansione, P (ri ) è la distribuzione di dose normalizzata associata al profilo del fascio e R è il valore per cui P (ri )=0 Sono stati misurati i profili del fascio, a distanze di 7 e 16.7 cm dall’ultimo collimatore, per diversi diametri del collimatore (il piano di riferimento per il FC e IC è a 23.9 cm). Per determinare P(r) nel piano a distanza 23.9 cm dall’ultimo collimatore, vengono fatte misure di fluenza tramite la IC a diverse distanze dall’ultimo collimatore. In questo modo si riesce a stabilire come cambia la funzione del profilo al variare della distanza, e si può estrapolare P(r) alla distanza 23.9 cm. La costruzione e calibrazione di un calorimetro è un compito molto difficoltoso. La FC rimane lo strumento più semplice da utilizzare e costruire. Una volta note le caratteristiche del fascio, la dose può essere determinata con buona accuratezza. Come è stato già accennato, la FC che verrà progettata e prodotta nel progetto ELIMED, lavorerà sotto vuoto, all’interno del suo contenitore, e sarà mobile per permettere di posizionare gli altri rivelatori (CR39, Gafcromici). 2.9 Studi e misure radiobiologici La risposta biologica di sistemi cellulari a impulsi ultra corti a frequenza variabile è sostanzialmente indeterminata. Tra gli scopi del progetto è presente anche quello di ottenere tecniche e procedure sperimentali ottimizzate per misurare le possibili differenze in termini di effetti biologici tra fasci con alti impulsi e alto rate di dose e quelli usati convenzionalmente. La strategia usata si concentra su tre grandezze biologiche: • sopravvivenza delle cellule, la quale rappresenta un parametro di riferimento importante in ogni applicazione di radioterapia. • Danno al DNA, rivelazione dell’immunofluorescenza della fosforilazione di gammaH2AX. • Senescenza cellulare prematura. La risposta cellulare indotta dalla radiazione è determinata dal rate al quale la dose è prodotta, dalla dose totale e dalla fase del ciclo cellulare nel quale la cellula si trova al momento dell’irradiazione. Inoltre gli effetti osservati dipenderanno dal tempo di analisi post irradiazione dovuto alla velocità di alcuni processi cellulari che possono amplificarlo (cioè diffusione di radicali, ps) o ridurlo (cioè meccanismi di riparazione, secondi - ore). 41 Gli effetti del rate di dose sono ben documentati nel caso di rate dell’ordine del Gy/min, mentre c’è una bassa conoscenza degli effetti agli alti rate, e specialmente per fasci di protoni a bassa energia. Ad oggi, sono stati fatti pochi studi sugli effetti prodotti dai protoni generati tramite laser. In questo progetto, si propone di effettuare una serie di misure del danno del DNA e della risposta a stress sub letale come senescenza cellulare prematura. Queste misure forniranno informazioni complete sulla risposta a questo tipo di fasci. 42 Capitolo 3 Simulazione Monte Carlo della Faraday Cup In questo capitolo verrà descritto lo sviluppo della simulazione Monte Carlo della Faraday Cup (FC). Le simulazioni risultano necessarie per la sua realizzazione, poiché per ottimizzare il suo funzionamento in termini di misura della fluenza e ottenere la configurazione ottimale che permetterà la misura della dose con il minimo errore possibile, è necessario modificare parametri geometrici e fisici. Qui sarà descritto il modo in cui è stata creata la geometria della Faraday Cup, i metodi per la registrazione delle informazioni sui protoni del fascio e sugli elettroni secondari, e verrà infine descritta la procedura utilizzata per creare un campo elettromagnetico non uniforme tramite una mappa. Prima di descrivere il lavoro svolto, verrà fatta una breve introduzione allo strumento utilizzato, Geant4. 3.1 Codice di simulazione Monte Carlo: Geant4 Geant4 (GEometry ANd Tracking) è un toolkit per la simulazione dell’interazione delle particelle attraverso la materia [28]. Comprende una grande varietà di funzionalità, tra cui tracciamento, geometria, e modelli fisici. I processi fisici a disposizione includono, processi elettromagnetici, adronici, processi ottici e un largo set di particelle. Si possono descrivere processi con un largo intervallo di energia, dai 10 eV sino a energie dell’ordine del TeV. Questo toolkit si basa sulla tecnologia object-oriented ed è implementato nel linguaggio di programmazione C++. Viene utilizzato nelle applicazioni riguardanti la fisica delle particelle, fisica nucleare, acceleratori, ingegneria spaziale e fisica medica. Geant4 è modulare e flessibile, e l’implementazione della fisica può essere gestita dall’utente. Ci sono otto classi utente, l’implementazione e registrazione di queste classi è obbligatoria in tre casi, per gli altri cinque è opzionale. Questo permette all’utente di personalizzare l’applicazione per il caso specifico. Le tre classi obbligatorie sono: • G4VUserDetectorConstruction per definire la geometria e i materiali del setup del rivelatore. In questa classe vengono definiti anche altre molte altre proprietà come ad esempio gli attributi di visualizzazione. • G4VUserPhysicsList per definire tutte le particelle, i processi fisici e i parametri di cut-off. 43 • G4VUserPrimaryGeneratorAction per la generazione delle particelle primarie. Le classi opzionali, invece permettono di modificare il comportamento di default di Geant4. Queste cinque classi sono le seguenti: • G4UserRunAction per le azioni da effettuare all’inizio e alla fine di ogni run. • G4UserEventAction per le azioni da eseguire all’inizio e alla fine di ogni evento. • G4UserStackingAction per personalizzare l’accesso alle tracce delle particelle. • G4UserTrackingAction per le azioni da eseguire alla creazione e al completamento delle tracce delle particelle. • G4UserSteppingAction per personalizzare il comportamento ad ogni step e eventualmente ottenere informazioni sulle particelle in ogni step. Descriviamo ora le classi e gli oggetti utilizzati in questa tesi. Consideriamo la geometria, la quale permette di definire e descrivere una struttura geometrica e la propagazione delle particelle attraverso questa. Per definire un volume bisogna utilizzare tre oggetti, G4Solid, G4LogicalVolume e G4VPhysicalVolume. Un volume logico rappresenta un elemento del rivelatore di una certa forma che può contenere altri volumi al suo interno (volumi figli) e può avere altre caratteristiche; ha inoltre accesso ad altre informazioni che sono indipendenti dalla sua posizione nel rivelatore, come il materiale, il colore e il comportamento come volume sensibile. Un volume fisico rappresenta il posizionamento del volume logico rispetto al volume madre logico in cui si trova. In questo modo può essere costruita una struttura ad albero gerarchica di volumi, ogni volume può contenere volumi più piccoli, che non devono sovrapporsi, o uscire dai contorni del volume madre. La forma del volume logico è definita tramite G4Solid come entità separata. Possono essere definiti solidi con forme semplici, come cilindri, cubi o coni, oppure volumi cavi. Possono essere costruiti volumi booleani come risultato di una unione o di una sottrazione di volumi, e volumi ancora più complessi. Bisogna inoltre specificare che può esistere un unico volume fisico che rappresenta l’area sperimentale, e deve contenere al suo interno tutti gli altri componenti. Consideriamo ora i campi elettromagnetici. Il trasporto di particelle cariche in un campo non segue traiettorie lineari. In un campo magnetico uniforme, ad esempio, queste saranno elicoidali, mentre per un campo non uniforme seguiranno delle curve, che in molti casi, non possono essere descritte analiticamente. La propagazione di particelle nel rivelatore comporta: il calcolo della traiettoria (numericamente se il campo è non uniforme), e la ricerca delle sue intersezioni con i contorni del volume. Il moto delle particelle è risolto tramite una selezione di metodi, la maggior parte utilizzano l’integrazione Runge-Kutta. Il metodo di default è un Runge-Kutta al quarto ordine. Per calcolare l’intersezione con i contorni del volume si considerano dei segmenti lineari (chord ), che devono essere adattati alla curva del moto nel campo. Questi chord sono scelti in modo tale che il parametro detto Sagitta 1 sia abbastanza piccolo. 1 Rappresenta la massima distanza tra il percorso della traccia e il segmento rettilineo. 44 L’accuratezza e le performance dell’algoritmo sono controllate da un set di parametri che possono essere specificati dall’utente, ad esempio si può impostare il parametro detto miss distance, il quale rappresenta una misura dell’errore nella risoluzione con la quale il segmento interseca un volume, e il suo valore di default è pari a 0.25 mm. Impostare un valore minore di quello di default implica un maggior lavoro da parte della CPU. Per definire un campo è necessario utilizzare la classe G4FieldManager, la quale si occupa di gestire tutte le proprietà di un campo magnetico, elettrico o elettromagnetico in un rivelatore. Tale classe può essere impostata per un volume logico (o più di uno), per cambiare il suo campo rispetto a quello del volume mondo. G4FieldManager inoltre contiene un puntatore al G4ChordFinder, l’oggetto adibito alla propagazione della particella nel campo. Tutte le traiettorie geometriche nel campo, sono gestite dal G4ChordFinder. La classe G4MagInt Driver invece ha il compito di integrare l’equazione del moto, e utilizza per questo compito uno Stepper che richiama il metodo di integrazione (di default Runge-Kutta al quarto ordine), se il campo è calcolato tramite una mappa è consigliato utilizzare un metodo con un ordine inferiore come G4SimpleHeum al terzo ordine, inoltre tramite G4MagInt Driver si può impostare la lunghezza minima dei segmenti che costituiscono la traiettoria. 3.2 3.2.1 Simulazione di una Faraday Cup con Geant4 Geometria della Faraday Cup La Faraday Cup (FC) è situata in un contenitore metallico all’interno del quale viene effettuato il vuoto. I componenti principali sono: la finestra di ingresso per mantenere la differenza di pressione con l’esterno; l’anello di guardia per poter inserire un campo elettrico; la Faraday cup dove viene misurata la corrente; e un anello di massa che serve esclusivamente per essere messo a potenziale nullo ed avere una differenza di potenziale rispetto all’anello di guardia. È stata creata una FC, all’interno del file ”HadronterapyDetectorCostruction.cc”. Tale FC è fatta in modo tale che sia un volume figlio del world volume2 , physicalTreatmentRoom, ed è costituita da: 2 Il word volume è il volume all’interno del quale si trovano tutti i volumi. 45 • Un volume madre chiamato FCChamber, il cui materiale è il vuoto, e con le dimensioni seguenti: Raggio = 4.5003 cm ; Lunghezza (FCTotalHight) = 29.9031 cm . All’interno di tale volume saranno posti tutti i componenti della FC, i quali saranno suoi volumi figli. Poiché in questo codice il fascio si propaga lungo l’asse x, FCChamber è stato ruotato di 90◦ attorno all’asse y, in questo modo la FC sarà posta lungo il fascio, alla posizione (FCTotalHight/2,0,0). Tutti i volumi figli, in quanto figli di FCChamber, non hanno bisogno di essere ruotati. • Finestra di Kapton (KaptonEntranceWindowFC ): tale volume, il cui materiale è Kapton, è un disco di dimensioni: ThicknessKaptonEntranceWindow = 25 µm, raggio(ExternalRadiusFC ) = 4.5 cm. È stato posto a 3 µm dall’inizio del volume FCChamber (KaptonEntranceWindowZPosition = ThicknessKaptonEntranceWindow/2 - (FCTotalHight/2 - 3 um)). • Anello di massa (MassRing): è posto immediatamente dopo la finestra di Kapton (MassRingZposition = KaptonEntranceWindowZPosition + (ThicknessMassRing + ThicknessKaptonEntranceWindow )/2), il materiale di cui è fatto è l’alluminio, e le dimensioni sono le seguenti: ThicnessMassRing = 0.5 cm, raggio interno (InnerRadiusFC) = 2.5 cm, raggio esterno = ExternalRadiusFC. • Anello di guardia (GuardRing): è posto 2 mm dopo l’anello di massa (GuardRingZPosition = MassRingZposition + 0.2 cm +(ThicknessMassRing + ThicknessGuardRing)/2), il materiale di cui è fatto è l’alluminio, e le dimensioni sono le seguenti: ThicnessGuardRing = 12 cm, raggio interno = InnerRadiusFC, raggio esterno = ExternalRadiusFC. • Parte laterale della FC (FaradayCupLateral ): è posta 2 mm dopo l’anello di guardia (FaradayCupZPosition=GuardRingZPosition + 0.2 cm + (ThicknessGuardRing + ThicknessFaradayCup)/2), il materiale di cui è fatto è l’alluminio, e le dimensioni sono le seguenti: ThicknessFaradayCup = 12 cm, raggio interno = InnerRadiusFC, raggio esterno = ExternalRadiusFC. • Fondo della FC (Cup): è un cilindro pieno, posto subito dopo la parte laterale della FC (CupZPosition=FaradayCupZPosition + (ThicknessFaradayCup + ThicknessCup)/2), il materiale di cui è fatto è l’alluminio, e le dimensioni sono le seguenti: ThicknessCup = 5 cm, raggio = ExternalRadiusFC. Questa appena descritta è la geometria della configurazione di default, che mostro nella Figura 3.1. Tale configurazione sarà modificata per studiare come varia il valore della carica raccolta nella FC, al variare di alcuni parametri, come spessore del fondo, materiale della coppa, forma del fondo (ad esempio a cono fig. 3.2) ecc. La configurazione con il fondo a cono incavo si ottiene dalla modifica di quella di default, modificando il volume del fondo della FC (fig. 3.2). I risultati ottenuti con le diverse configurazioni saranno confrontati, per capire quale FC si comporta meglio, in termini di errore sulla dose dovuto alla carica raccolta. Nelle figure 3.3(a), e 3.3(b), vengono rappresentate le immagini delle simulazioni per le due configurazioni con e senza cono. Per studiare il comportamento dello strumento al variare del materiale verranno simulate anche delle FC fatte di grafite e di rame. 46 Figura 3.1: Configurazione 1. Figura 3.2: Configurazione con fondo a cono. 47 (a) (b) Figura 3.3: (a): Configurazione di default; (b) Configurazione con fondo a forma di cono. 48 3.2.2 Campo Elettrico per la soppressione degli elettroni secondari Con lo scopo di deflettere o bloccare gli elettroni secondari che tentano di fuoriuscire dalla FC, o quelli che, prodotti nella finestra di Kapton cercano di entrare nella FC, viene inserito un campo elettrico negativo. Tale campo è dovuto alla differenza di potenziale tra l’anello di guardia e la FC, e tra l’anello di guardia e l’anello di massa (-300 V). Per inserire il campo all’interno del codice per la simulazione, è stata creata una classe, HadrontherapyElectricTabulatedField, all’interno della quale viene calcolato il campo elettrico in ogni punto in cui si troverà la particella durante il suo percorso. Il campo viene prima simulato con il softwareCOMSOL3 e tramite questo viene prodotto un file che riporta nelle colonne, posizione x, y, z, e componenti del campo Ex , Ey , Ez , con una risoluzione di 3 mm. In questa classe sono stati definiti dei valori di offset da sommare alle posizioni x, y, e z della mappa. In questo modo si può posizionare la mappa facilmente dove si vuole. All’interno della classe HadrontherapyElectricTabulatedField viene creato un metodo che legge i dati contenuti nella mappa del campo. Tramite il metodo GetFieldValue appartenente all’oggetto G4ElectroMagneticField viene calcolato il valore del campo elettrico anche laddove non è presente un punto della mappa. Infatti in tale metodo si utilizza una interpolazione trilineare siffatta: Si consideri un cubo unitario con il vertice in basso a sinistra posto nell’origine (fig. 3.4). Figura 3.4: Cubo unitario. Siano V000 , V001 , V010 , V011 , V100 , V101 , V110 e V111 i valori del campo nei vertici del cubo. Allora il valore del campo nella posizione (xyz), Vxyz , sarà dato da: 3 Un software, che permette la simulazione di campi elettrostatici. 49 Vxyz = V000 · (1 − x) · (1 − y) · (1 − z)+ V100 · x · (1 − y) · (1 − z)+ V010 · (1 − x) · y · (1 − z)+ V001 · (1 − x) · (1 − y) · z+ V101 · x · (1 − y) · z+ V011 · (1 − x) · y · z+ V110 · x · y · (1 − z)+ V111 · x · y · z (3.1) In questo modo vengono calcolate le componenti del campo in ogni punto in cui si troverà la particella. Se la particella si trova al di fuori della mappa allora al campo viene dato il valore nullo. Poiché GetFieldValue è un metodo per la definizione di campi elettromagnetici è necessario definire tutte e sei le componenti del campo elettromagnetico, e se si vuole un campo puramente elettrico il valore delle componenti magnetiche sarà nullo. La classe HadrontherapyElectricTabulatedField viene richiamata dal DetectorConstruction tramite un metodo apposito che prende il nome di CreateGridElectricField in cui viene definito il Field Manager, l’Integrator Stepper e il Chord Finder. Per assicurarci che il metodo funzionasse, è stata creata una mappa in cui viene riprodotto un campo uniforme e la traiettoria ottenuta è stata messa a confronto con quella teorica dovuta allo stesso campo uniforme. Questo confronto è stato effettuato sia per un campo elettrico che per un campo magnetico. Un ulteriore controllo sul metodo è stato effettuato anche per il campo non uniforme. Sono state confrontate le traiettorie degli elettroni, ottenute tramite Geant4 con quelle ottenute tramite un altro software di tracking (chiamato SIMION ) che utilizza il campo prodotto dal software COMSOL. Dalle figure 3.5(a) e 3.5(b) si può vedere che le traiettorie sono perfettamente sovrapposte per quanto riguarda il campo uniforme. Nalle figure 3.6 e 3.7, sono stati confrontati i risultati ottenuti con i due software per elettroni da 1 keV. Se consideriamo l’elettrone che parte da y=1 cm, z=0, si può notare che l’elettrone deflette praticamente lungo l’asse Y, con una piccolissima deflessione lungo l’asse Z. (viceversa se si considera l’elettrone che parte da y= 0, z= 1 cm, si ha una deflessione lungo l’asse Z, con una piccolissima deflessione lungo l’asse Y). Le traiettorie sono praticamente sovrapposte, con una discrepanza di 200 µm su un percorso di 400 mm che può essere considerata trascurabile per gli scopi del presente lavoro. Dalla figura 3.8, inoltre, è evidente che il campo calcolato da Geant4 tramite la classe HadrontherapyElectricTabulatedField corrisponde perfettamente a quello generato dal software COMSOL. 50 (a) (b) Figura 3.5: Confronto tra il metodo creato per l’implementazione della mappa e il metodo di default per la creazione di campi uniformi. 51 (a) (b) (c) (d) Figura 3.6: Confronto tra le traiettorie ottenute da Geant4 e SIMION, per elettroni da 1 keV. (a) e (b) sono relative all’elettrone che parte dal punto (5 mm, 10 mm, 0) in verso concorde con l’asse X. (c) e (d) sono relative all’elettrone che parte dal punto (200 mm, 10 m, 0) in verso opposto all’asse X. 52 (a) (b) (c) (d) Figura 3.7: Confronto tra le traiettorie ottenute da Geant4 e SIMION, per elettroni da 1 keV. (a) e (b) sono relative all’elettrone che parte dal punto (5 mm, 0, 10 mm) in verso concorde con l’asse X. (c) e (d) sono relative all’elettrone che parte dal punto (200 mm, 0, 10) in verso opposto all’asse X. Figura 3.8: Profilo della componente x del campo elettrico lungo l’asse x. Confronto tra il campo calcolato con Geant4 tramite la mappa, e quello calcolato con il software COMSOL. 53 3.2.3 Recupero informazioni Area del fascio di protoni Al fine di ottenere una stima della sezione del fascio di protoni è stata creata una macro apposita, FaradaycupScorer.mac, che attiva la FC, e crea degli scorer in tre diversi punti della FC, in cui viene registrata la Fluenza dei protoni. Il fascio di protoni è definito come un fascio circolare, prodotto nella posizione (1,0,0) del world volume, ha un raggio di 10 mm e sigma 0 mm. La superficie incidente giace nel piano y-z, e il fascio si propaga lungo l’asse x. Il fascio di protoni è un fascio monocromatico da 62 MeV, per riprodurre il fascio clinico con cui verrà testata la FC. La FC viene attivata tramite il comando /FCactivation/active true. Poiché si vogliono contare i protoni che attraversano la FC, per evitare tempi di simulazione lunghi dovuti alla produzione di particelle secondarie, si pone il cut4 a 1 km. In questo modo, considerate le energie in gioco, non vengono prodotti elettroni secondari lungo la traiettoria delle particelle primarie. Gli scorer creati sono parallelepipedi di dimensioni 0.001x100x100 mm3 , ruotati di 90◦ attorno all’asse y e suddivisi in 1000000 cellette, in cui viene registrata la grandezza population che conta il numero di tracce entranti in una cella dello scorer. Usando un filtro per il protone, verranno contate solo le tracce dei protoni. Gli scorer sono posizionati rispettivamente, prima della finestra di Kapton (/score/mesh/translate/xyz 0.0002 0. 0. cm), dopo la finestra di Kapton (/score/mesh/translate/xyz 0.0003 + ThicknessKaptonEntranceWindow 0. 0. cm), e appena prima del fondo della FC (/score/mesh/translate/xyz 24.9030 0. 0. cm). Questa macro viene eseguita per la configurazione di default, vengono generati 108 protoni, quando l’ultimo evento è stato generato le quantità registrate nello scorer vengono scritte in file tramite un comando di questo tipo: /score/dumpQuantityToFile beforeWindow fluence1 beforeWindowFluence.csv. Informazioni sugli elettroni Per recuperare informazioni sul numero di elettroni nei vari punti della FC, sono stati creati dei volumi virtuali in HadrontherapyDetectorConstruction.cc, ed è stato creato un metodo all’interno di HadrontherapySteppingAction.cc con lo scopo di creare dei file in cui vengono registrate le informazioni sugli elettroni passanti in ogni volume virtuale. I volumi virtuali creati, per la raccolta delle informazioni sono i seguenti, sono i seguenti: • VirtualVolumeWindow : è un disco, posizionato immediatamente dopo la finestra di Kapton (VirtualVolumeWindowZPosition= KaptonEntranceWindowZPosition + 0.1 cm + (ThicknessKaptonEntranceWindow + ThicknessVirtualVolumeWindow)/2, con le seguenti dimensioni: ThicknessVirtualVolumeWindow = 1 µm, raggio = InnerRadiusFC = 2.5 cm. 4 Il cut è una soglia di produzione per le particelle secondarie. In Geant4 si decide il valore del range delle particelle secondarie al di sotto del quale queste ultime non vengono prodotte. Geant4 effettua la conversione tra range ed energia, in questo modo non verranno prodotte particelle secondarie al di sotto dell’energia cinetica corrispondente al range da noi deciso. 54 • VirtualVolumeMiddle: è un disco, posizionato all’entrata della parte laterale della FC (VirtualVolumeMiddleZPosition= GuardRingZPosition + 0.2 cm + (ThicknessGuardRing + ThicknessVirtualVolumeMiddle)/2 ), con le seguenti dimensioni: ThicknessVirtualVolumeMiddle = 1 µm, raggio = InnerRadiusFC = 2.5 cm. • VirtualVolumeBottom: è un disco, posizionato appena prima del volume Cup (VirtualVolumeBottomZPosition= FaradayCupZPosition + (ThicknessFaradayCup - ThicknessVirtualVolumeBottom)/2 ), con le seguenti dimensioni: ThicknessVirtualVolumeBottom = 1 µm, raggio = InnerRadiusFC = 2.5 cm. • VirtualVolumeOverBottom: è un disco, posizionato subito dopo il fondo della FC (VirtualVolumeOverBottomZPosition= CupZPosition + (ThicknessCup + ThicknessVirtualVolumeOverBottom)/2 ), con le seguenti dimensioni: ThicknessVirtualVolumeOverBottom = 1 µm, raggio = ExternalRadiusFC = 4.5 cm. • VirtualVolumeLateral : è un cilindro cavo posto attorno alla FC (VirtualVolumeLateralZPosition= -ThicknessVirtualVolumeLateral/2 +FCTotalHight/2, con le seguenti dimensioni: ThicknessVirtualVolumeLateral= FCTotalHight-2 um - ThicknessKaptonEntranceWindow -ThicknessGuardRing - 0.4 cm -ThicknessMassRing = 28.0004 cm, Raggio interno = ExternalRadiusFC, raggio esterno = 4.5002 cm. • SpectrumPVolume: è un disco posto davanti alla finestra (SpectrumPVolumeZPosition= ThicknessSpectrumPVolume/2 - (FCTotalHight/2 -3*um), con le seguenti dimensioni: ThicknessSpectrumPVolume = 1 um, Raggio interno = ExternalRadiusFC, raggio = 4.5002 cm. Tale volume è necessario nel caso in cui si volesse riprodurre uno spettro energetico del fascio di protoni. Per ogni volume virtuale vengono creati due file, uno per gli elettroni che viaggiano verso il fondo della FC e uno per gli elettroni che viaggiano verso la finestra di Kapton. In ogni file vengono registartii, energia cinetica, numero dell’evento, posizione x del postStep, posizione y del postStep, posizione z del postStep, parentID e trackID. Affinché le informazioni vengano scritte devono essere rispettate alcune condizioni, cioè il nome del volume in cui si trova il postStep dell’elettrone deve corrispondere al nome del volume virtuale su cui si vogliono acquisire le informazioni, la particella deve essere un elettrone, e infine, il volume sul quale si trova il prestep deve essere diverso dal postStep. In questo modo si evita di contare più volte la stessa particella. Per distinguere la direzione degli elettroni si aggiunge un’altra condizione: se la differenza tra la coordinata x del postStep e quella del preStep è positiva, l’elettrone si muove in avanti. Se invece questa differenza è negativa, allora l’elettrone sta tornando indietro. Di seguito una parte del codice relativa al volume virtuale VirtualVolumeWindow : G4StepPoint* PreStep = aStep->GetPreStepPoint(); G4StepPoint* PostStep = aStep->GetPostStepPoint(); G4double PreStepX =PreStep->GetPosition().x(); G4double PreStepY =PreStep->GetPosition().y(); G4double PreStepZ =PreStep->GetPosition().z(); G4double parentID =aStep->GetTrack()->GetParentID(); G4double PostStepX =PostStep->GetPosition().x(); G4double PostStepX =PostStep->GetPosition().y(); G4double PostStepX =PostStep->GetPosition().z(); 55 G4TouchableHandle touchPreStep = PreStep->GetTouchableHandle(); G4TouchableHandle touchPostStep = PostStep->GetTouchableHandle(); //To get the current volume: G4VPhysicalVolume* volumePre = touchPreStep->GetVolume(); G4VPhysicalVolume* volumePost = touchPostStep->GetVolume(); //To get its name: G4String namePre = volumePre->GetName(); G4String namePost = volumePost->GetName(); G4int eventNum = G4RunManager::GetRunManager() -> GetCurrentEvent() -> GetEventID(); G4double eKin = aStep -> GetPreStepPoint() -> GetKineticEnergy(); /////////////////////////////////////////////// ////////////////////////////////////W IN DOW //////////////////////////////////////////////// if ((namePost==”VirtualVolumeWindow”) && (aStep->GetTrack()->GetDefinition()->GetParticleName() == ”e-”)&& (namePre-> != ”VirtualVolumeWindow”)) { if ((PostStepX - PreStepX)>0) { std::ofstream WriteDataIn(”DatiFCWindowIn.out”, std::ios::app); WriteDataIn <<eKin<< ’\t’ << << eventNum << ’\t’<< << PreStepX <<’\t’<< << PreStepY <<’\t’<< << PreStepZ <<’\t’<< << parentID <<’\t’<< << trackID <<’\t’<< << G4endl; } else { std::ofstream WriteDataBack(”DatiFCWindowBack.out”, std::ios::app); WriteDataBack <<eKin<< ’\t’ << << eventNum <<’\t’<< << PreStepX <<’\t’<< << PreStepY <<’\t’<< << PreStepZ <<’\t’<< << parentID <<’\t’<< << trackID <<’\t’<< <<G4endl; } } Questo metodo è stato ripetuto per tutti i volumi virtuali, in modo tale da poter contare tutti gli elettroni che attraversano i volumi virtuali in entrambi i versi, e registrare le relative informazioni. Inoltre si può utilizzare tale algoritmo, per contare quanti protoni arrivano sul fondo, o sulle pareti, o per contare quanti protoni non riescono ad entrare nella FC nel caso di allargamento del fascio. Per fare questo tipo di studio è stata creata la macro FaradayCupElectrons.mac, che è simile alla macro FaradaycupScorer.mac, con la differenza che in questa gli scorer non vengono utilizzati, inoltre il cut è posto a 0.0001 mm in modo da avere la soglia di produzione minima (990 eV) in tutti i materiali della FC. Per studiare la produzione degli elettroni secondari al diminuire del cut sono state eseguite delle simulazioni con diversi cut di produzione, come 990 eV, 300 eV e 100 eV. e sono stati acquisiti gli spettri di produzione di elettroni secondari nella finestra di kapton e nel fondo. Dalla figura 3.9 si vede che i tre spettri si sovrappongo perfettamente seguendo entrambi un andamento esponenziale. Confrontando questi spettri (fig. 3.9) con quelli degli elettroni che riescono ad uscire dal kapton e quelli che tornano indietro dal fondo, si è visto che gli elettroni di bassa energia vengo fermati quasi tutti, mentre quelli che riescono ad uscire dal kapton o dal fondo hanno un’energia media dell’ordine delle decine di keV. Inoltre analizzando lo spettro degli elettroni che attraversano il volume virtuale middle si è visto che solo circa il 2% degli elettroni in tale volume ha energia minore o uguale a 1 keV. Per questo motivo, considerando che i tempi di simulazione passando da 990 eV a 100 eV diventano circa 100 volte maggiori, si può continuare ad utilizzare come taglio sulla produzione di particelle secondarie 990 eV, senza apprezzabili sottostime sul 56 conteggio degli elettroni. 57 (a) (b) (c) Figura 3.9: Spettri di produzione degli elettroni secondari nel kapton (a) e nel fondo di alluminio (b),(c) zoom del grafico (b). 58 3.3 Calcolo della Dose Il calcolo della dose viene effettuato tramite la seguente relazione [19]: R (S(E))w N (E)dE Q 1 R · · 1.602 · 10−10 (Gy) Dw = · A e N (E)dE (3.2) Dove A è l’area effettiva del fascio (cm2 ), (S(E))w (MeV·cm2 /g) è il potere di frenamento massico in acqua per energia dei protoni nota, E l’energia cinetica delle particelle del fascio, Q (C) è il valore di carica letto nell’elettrometro, N (E) la distribuzione energetica del fascio, e e la carica dell’elettrone. Questa formula vale nel caso in cui il fascio non sia monoenergetico, e il potere di frenamento massico viene mediato in base allo spettro. Poiché nel caso della simulazione il fascio utilizzato è monoenergetico prenderemo in considerazione la formula 1.13. Per quanto riguarda l’errore sulla dose, in letteratura [29], sono presenti delle stime. Il maggior contributo all’errore sulla dose sembra essere quello sulla misura dello spettro energetico (0.75% per fasci monoenergetici tradizionali, '10% per fasci laser-driven da circa 10 MeV), e quello sulla misura dell’area effettiva del fascio ottenuta come nella formula 2.9 (0.5% per fasci monoenergetici tradizionali, '2% per fasci laser-driven da circa 10 MeV). L’errore che possiamo valutare con la simulazione è quello sulla carica raccolta nella FC. Tale grandezza, Q/e, è calcolata come segue: Q/e = Np − Q/e(middleIn) + Q/e(middleBack) + Q/e(lateral) + Q/e(OverBottom) (3.3) Dove Np è il numero di protoni generati , Q/e(middleIn) è il numero di elettroni prodotti nel kapton che riescono ad arrivare dentro la FC, Q/e(middleBack) è il numero di elettroni prodotti nel fondo che escono dall’ingresso della FC, Q/e(lateral) è il numero di elettroni prodotti nel fondo che escono dalle pareti laterali della FC, e Q/e(OverBottom) è il numero di elettroni prodotti nel fondo che oltrepassano lo spessore del fondo della FC. L’errore su Q/e è dato dalla somma degli errori statistici dei singoli contributi. p p p p Q/e(middleIn)+ Q/e(middleBack)+ Q/e(lateral)+ Q/e(OverBottom) (3.4) Una FC ideale raccoglie tutta la carica dovuta ai protoni, senza elettroni secondari. Quindi Il valore di Q/e ideale sarà pari al numero di protoni generati. Da questo valore possiamo ricavare l’accuratezza della FC nella misura della carica e quindi sulla dose. Tale errore è dato da : ∆Q/es = ∆Q/ea = Q/eideale − Q/e Q/eideale (3.5) Tramite la relazione 3.5, come vedremo nel capitolo sucessivo, è stata calcolata l’accuratezza della FC per ogni configurazione. 59 60 Capitolo 4 Analisi e Risultati In questo capitolo finale verranno analizzati i dati ottenuti tramite le simulazioni. Saranno riprodotti i profili del fascio per fasci monoenergetici paralleli da 62 MeV e 10 MeV, e per uno da 10 MeV con angolo di 5◦ . Verranno riportati i dati ottenuti tramite la stepping action e sarà calcolato il numero di cariche raccolto dalla FC. 4.1 Profilo del fascio Tramite l’utilizzo della macro FaradaycupScorer.mac sono stati prodotti i file, e tramite questi è stato possibile studiare se il fascio in ingresso si allarga eccessivamente in seguito al passaggio attraverso la finestra di Kapton. Ai fini dosimetrici l’obbiettivo è quello di raccogliere il massimo numero di protoni. Tutti devono essere raccolti nella coppa e devono essere bloccati al suo interno. Sono stati ottenuti i seguenti grafici, che riportano la distribuzione del fascio: (cm2 ), (S(E))w (MeV·cm2 /g) è il cosiddetto mass stopping power in acqua per energia dei protoni nota, E l’energia cinetica delle particelle del fascio, e Q (C) è il valore di carica letto nell’elettrometro. Dai grafici nella figura 4.1 si può notare che il fascio da 62 MeV parallelo si allarga di 1 mm in raggio passando dalla finestra al fondo della FC. Per verificare che il raggio della Faraday cup sia abbastanza largo da non perdere protoni prima della FC, si considera il caso limite: di un fascio da 10 MeV, poiché in questo momento i fasci prodotti da laser hanno un energia di quest’ordine di grandezza, e si controlla di quanto si allarga lo spot dalla finestra al fondo della FC. Questo procedimento si esegue per due diversi materiali per la finestra di ingresso: 25 µm di Kapton, 25 µm Mylar. I grafici nella figure 4.2 mostrano che l’allargamento massimo e di 4 mm per entrambi i materiali. Quindi non c’è differenza tra i due materiali riguardo l’allargamento del fascio. 61 Figura 4.1: Profili, lungo l’asse z, del fascio di protoni nei diversi scorer, ottenuti generando 108 protoni da 62 MeV. Figura 4.2: Profili, lungo l’asse z, del fascio di protoni nei diversi scorer, ottenuti generando 108 protoni da 10 MeV. 62 Figura 4.3: Confronto tra due diversi materiali per la finestra di ingresso della FC. I grafici mostrano la sovrapposizione dei profili del fascio di protoni da 10 MeV nella finestra e nel fondo.. 4.2 Variazione dell’apertura angolare del fondo cuneiforme Un primo studio sulla geometria della FC consiste nel verificare come cambia la risposta della Faraday cup in funzione dell’angolo θ (fig. 4.4). Figura 4.4: Rappresentazione schematica della FC in cui viene indicato l’angolo θ preso in considerazione. Vediamo i risultati nella tabella 4.1. Le simulazioni vengono eseguite con un fascio di protoni da 62 MeV, monoenergetico e parallelo. Nella tabella vengono messe a confronto alcune possibili FC, che si differenziano nell’angolo θ del cono. Nella prima colonna viene riportata il tipo di FC tramite l’angolo θ. La seconda colonna rappresenta il numero di elettroni prodotti nel Kapton che riescono a entrare nella FC. La terza colonna rappresenta il numero di elettroni prodotti nel fondo che riescono a fuoriuscire dalla FC. La quarta e la quinta colonna rappresentano il numero degli elettroni prodotti nel fondo che 63 Tabella 4.1: Tabella che mostra un confronto, tra diverse combinazioni di FC in cui viene cambiato l’angolo del cono situato nel fondo. Np =100000, E=62 MeV Config. θ θ θ θ θ θ Q/e(middle in) ◦ = 15 = 30◦ = 45◦ = 60◦ = 75◦ = 90◦ 335 347 361 355 351 379 ± ± ± ± ± ± 18 19 19 19 19 19 Q/e(middle back) 146 ± 12 172 ± 13 121 ± 11 111 ± 11 120 ± 11 96 ± 10 Q/e(lateral) 171 175 167 168 149 203 ± ± ± ± ± ± 13 13 13 13 13 13 Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) 5±2 6±2 2±1 13 ± 3 2±1 7±2 0.01 0.01 0.07 0.06 0.08 0.07 0.06 0.06 0.06 0.06 0.06 0.06 Tabella 4.2: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e ◦ θ = 15 θ = 30◦ θ = 45◦ θ = 60◦ θ = 75◦ θ = 90◦ ideale 99987 ± 60 100006 ± 60 99929 ± 50 99937 ± 60 99920 ± 50 99927 ± 60 100000 riescono a fuoriuscire dalla FC tramite le pareti laterali e tramite lo spessore del fondo rispettivamente. Dopo aver contato il numero di elettroni passanti nei vari volumi virtuali viene calcolata la carica raccolta nella FC. La sesta colonna rappresenta il contributo della carica nell’errore sulla dose, e la settima colonna rappresenta l’errore statistico ottenuto dalla somma degli errori. La tabella 4.2 mostra i valori di carica raccolta sulla FC. Da questi valori sembrerebbe che le configurazioni con un angolo piccolo tendano a minimizzare l’errore sulla carica. Tuttavia l’errore statistico è grande e queste differenze potrebbero essere fluttuazioni. Per minimizzare l’errore statistico bisognerebbe generare un numero di eventi almeno 100 volte maggiore. Da questo primo test si può notare che dai risultati delle simulazioni l’errore dovuto alla carica, per un fascio da 62 MeV omogeneo e monoenergetico è piuttosto piccolo dell’ordine dello 0.1% 4.3 Materiale della Faraday Cup Il successivo studio riguarda quello sui materiali di cui può essere realizzata la FC. Sono state messe a confronto tre FC realizzate con alluminio, grafite e rame. Tutte le altre simulazioni i cui risultati sono riportati in questa tesi sono state eseguite con il materiale di default, cioè alluminio. I risultati, riportati nelle tabelle 4.3 e 4.4, mostrano i seguenti risultati: per quanto riguarda la grafite si può notare un evidente diminuzione di elettroni prodotti dal fondo, e quindi uscenti nelle varie direzioni, dovuto alla minore probabilità che hanno gli elettroni di avere backscattering nella grafite rispetto all’alluminio (fig. 1.7), e probabilmente 64 Tabella 4.3: Tabella che mostra un confronto, tra diverse combinazioni di FC in cui viene cambiato il materiale della coppa. Np =100000, E=62 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) alluminio Grafite Rame 314 ± 18 322 ± 18 334 ± 18 105 ± 10 34 ± 6 184 ± 14 140 ± 12 47 ± 7 82 ± 9 35 ± 6 5±2 16 ± 4 0.1 0.2 0.1 0.06 0.04 0.05 Tabella 4.4: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e alluminio 99931 ± 60 Grafite 99759 ± 40 Rame 99932 ± 50 ideale 100000 anche alla minore densità elettronica rispetto all’alluminio. Questo sembrerebbe un buon comportamento, tuttavia se si considera la carica raccolta questo comporta uno sbilanciamento. Infatti, poiché il contributo negativo, cioè quello degli elettroni prodotti nel kapton, è maggiore rispetto a quello degli elettroni prodotti nel fondo, se inoltre viene diminuito il contributo positivo di carica, allora si avrà un peggioramento sull’accuratezza. Per quanto riguarda il rame, si ha un aumento degli elettroni uscenti dall’ingresso dalla FC, a causa del maggiore coefficiente di backscattering (fig. 1.7) rispetto all’alluminio e dell’alta densità elettronica del rame, ma una diminuzione di elettroni che riescono a passare dalle pareti, e quindi il risultato non cambia rispetto all’alluminio. 4.4 Spessore del fondo della Faraday Cup Un parametro che potrebbe cambiare la risposta della FC è lo spessore del fondo della coppa. vediamo come varia la risposta in funzione dello spessore. Vengono eseguite tre simulazioni con spessori di 3, 5, 10 cm. Le tabelle 4.5 e 4.6, e le figure 4.5 e 4.6 mostrano che il numero di elettroni di alta energia che riescono a superare lo spessore del fondo diminuisce secondo una legge esponenziale. Allo stesso tempo però aumenta il numero di elettroni che escono lateralmente. Questo è dovuto al fatto che, probabilmente, gli elettroni che viaggiano con un angolo tale da uscire dal fondo a 3 cm, nel caso di uno spessore maggiore escono lateralmente (fig. 4.7). Il numero di cariche raccolte dalla FC, sebbene si intraveda una diminuzione nella carica totale, non cambia apprezzabilmente rispetto all’errore statistico. I risultati cambierebbero se venisse aumentato lo spessore delle pareti laterali, poiché il numerò di 65 Tabella 4.5: Tabella che mostra un confronto, tra diverse combinazioni di FC in cui viene cambiato lo spessore del fondo della coppa. Np =100000, E=62 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) 3 cm 5 cm 8 cm 364 ± 19 360 ± 19 375 ± 19 92 ± 10 90 ± 9 99 ± 10 123 ± 11 159 ± 13 178 ± 13 57 ± 8 31 ± 6 9±3 0.1 0.1 0.1 0.06 0.06 0.06 Tabella 4.6: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e 3 cm 5 cm 8 cm ideale 99908 ± 60 99920 ± 60 99911 ± 60 100000 Figura 4.5: Decadimento esponenziale del numero di elettroni uscenti dal fondo in funzione dello spessore di quest’ultima. 66 Figura 4.6: Numero di elettroni uscenti dalle pareti laterali in funzione dello spessore del fondo. elettroni uscenti lateralmente diminuirebbe esponenzialmente con lo spessore delle pareti laterali. Tuttavia questo peggiorerebbe l’accuratezza della FC, in quanto il contributo negativo degli elettroni prodotti nel kapton domina su quello positivo degli elettroni prodotti nel fondo. Questo tipo di controllo ci permette di affermare che non servono grossi spessori per migliorare la risposta della FC, ma ci possiamo fermare a 5 cm. Figura 4.7: Rappresentazione schematica del possibile comportamento di un elettrone prodotto nel fondo. 4.5 Campo elettrico Sono state eseguite delle simulazioni con lo scopo di studiare la risposta della FC al variare del campo. Prima di questo si è visto a quale energia, gli elettroni vengono fermati nelle due estremità dell’anello di guardia, per un potenziale sull’anello di guardia pari a -300 V. Il risultato è che dalla parte vicina alla coppa si riesce a respingere elettroni di 290 eV, mentre dalla parte vicina al finestra di Kapton si riesce a respingere elettroni da 160 eV. 67 Questo è dovuto probabilmente al fatto che i due elettrodi posti a massa sono di diversa lunghezza (fig. 4.8). (a) (b) Figura 4.8: Riproduzione del comportamento degli elettroni in seguito al campo elettrico dovuto ad un potenziale di -300 V nell’anello di guardia. (a) Elettroni prodotti nel kapton, energia massima per riuscire a bloccare gli elettroni 160 eV. (b) Elettroni prodotti nel fondo, energia massima per riuscire a bloccare gli elettroni 290 eV. Quindi gli elettroni con energia maggiore di questi due limiti, riusciranno a passare. Ci si aspetta allora, guardando gli spettri nei volumi virtuali window e bottom (fig.4.9), che il campo elettrico non migliori apprezzabilmente la risposta della FC. Verifichiamo questa ipotesi eseguendo simulazioni in cui si cambia il potenziale dell’anello di guardia. Tabella 4.7: Tabella che mostra un confronto, tra diverse combinazioni di FC in cui viene variato il potenziale dell’anello di guardia. Np =100000, E=62 MeV Config. 600 V 300 V 50 V 0 -50 V -100 V -300 V -600 V -900 V Q/e(middle in) 323 338 346 314 357 340 353 360 374 ± ± ± ± ± ± ± ± ± 18 18 19 17 19 18 19 19 19 Q/e(middle back) 116 ± 11 110 ± 10 108 ± 10 105 ± 10 99 ± 10 104 ± 10 100 ± 10 100 ± 10 103 ± 10 Q/e(lateral) 144 161 168 140 177 153 159 175 149 ± ± ± ± ± ± ± ± ± 12 13 13 12 13 12 13 13 12 Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) 38± 6 38± 6 33± 6 35 ±6 40 ± 6 23± 5 30 ± 5 30± 5 34± 6 0.02 0.03 0.04 0.03 0.04 0.06 0.06 0.06 0.09 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 Dalle tabelle 4.7, 4.8 e dalla figura 4.10 è evidente che la risposta non cambia con questo tipo di campo. 68 (a) (b) Figura 4.9: Spettri degli elettroni secondari per un fascio da 62 MeV (Bin=200 eV). (a) Elettroni prodotti in avanti nel kapton e registrati nel volume virtuale Window. (b) Elettroni prodotti all’indietro nel fondo e registrati nel volume virtuale bottom. 69 Tabella 4.8: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e 600 V 300 V 50 eV 0V -50 V -100 V -300 V -600 V -900 V ideale 99975 ± 50 99971 ± 50 99963 ± 50 99966 ± 50 99959 ± 50 99940 ± 50 99936 ± 50 99945 ± 50 99912 ± 50 100000 Figura 4.10: Risposta della FC in funzione del potenziale dell’anello di guardia. 70 4.6 Fascio con energia pari a 10 MeV Poiché i fasci laser-driven per ora arrivano a energie massime dell’ordine di 10 MeV. Vengono effettuati dei test anche con dei fasci di tale energia. In questo modo si può vedere se la FC si comporta diversamente a basse energie. 4.6.1 Geometria del fondo Simulando un fascio monoenergetico di energia 10 MeV, si studia come cambia la risposta della FC rispetto alla forma del fondo. Vengono messe a confronto due configurazioni, quella con il fondo piatto e quella con il fondo a forma di cono con semi apertura di 45◦ (avendo visto che per energie pari a 62 MeV la risposta non cambia, usiamo solo la configurazione con semi apertura di 45 ◦ , come quella riportata in letteratura [18]). Sono stati generati per ogni configurazione 30000 protoni. Il cut di produzione per le particelle secondarie è fissato a 100 eV (in questo caso usiamo questo cut poiché a basse energie la simulazione è un po’ più veloce, ∼ =5000 protoni in 24 ore). Dagli spettri nelle figure 4.11 e 4.12 si può notare che gli elettroni vengono emessi in un range angolare che va da 0 a 90 gradi con un massimo intorno a 30 gradi per la finestra e da 90 a 180 gradi con un massimo intorno a 140 gradi circa per il fondo, e che l’energia degli elettroni secondari è diminuita di circa un fattore 5, rispetto al fascio da 62 MeV. Inoltre, il numero di secondari è aumentato di un fattore 2 per quanto riguarda gli elettroni prodotti nel kapton, e di un fattore 1.3 per quelli prodotti nel fondo. Questo porterà ad un peggioramento nell’accuratezza della FC. Tabella 4.9: Tabella che mostra un confronto, tra due diverse combinazioni di FC in cui viene cambiata la forma del fondo. Np =30000, E=10 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) cono piatto 247 ± 16 260 ± 16 89 ± 9 94 ± 10 0 1±1 0 2±1 0.5 0.6 0.1 0.1 Tabella 4.10: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e cono piatto ideale 29849 ± 40 29824 ± 40 30000 Da questi risultati si può notare che rispetto al fascio da 62 MeV, l’accuratezza peggiora di un fattore circa 5, ma tra le due configurazioni con fondo di diversa forma non 71 (a) (b) Figura 4.11: Spettri degli elettroni secondari: (a) elettroni prodotti in avanti nel kapton e registrati nel volume window ; (b) elettroni prodotti all’indietro nel fondo e registrati nel volume bottom . 72 (a) (b) Figura 4.12: Spettri angolari degli elettroni secondari: (a) elettroni prodotti in avanti nel kapton e registrati nel volume window ; (b) elettroni prodotti all’indietro nel fondo e registrati nel volume bottom. 73 ci sono differenze. Inoltre lateralmente e oltre il fondo abbiamo una netta diminuzione di elettroni uscenti. Questo è dovuto al fatto che per un fascio da 10 MeV pochissimi elettroni hanno abbastanza energia da superare lo spessore di alluminio da 2 cm o più. 4.6.2 Campo elettrico Anche in questo caso confrontiamo due configurazioni, una con 0 V e l’altra con -600 V per l’anello di guardia. Come nel caso del fascio da 62 MeV, anche per quello da 10 MeV non si riscontrano differenze nella misura di Q/e (vedi tab. 4.11 e 4.12). Tabella 4.11: Tabella che mostra un confronto, tra due configurazioni di FC con diverso potenziale per l’anello di guardia. Np =30000, E=10 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) 0 -600 V 285 ± 17 279 ± 17 94 ± 10 69 ± 8 1±1 2±1 0 0 0.5 0.6 0.1 0.1 Tabella 4.12: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e cono piatto ideale 34465 ± 30 34447 ± 30 34655 74 4.6.3 Aggiunta di materiale scintillante Poiché uno degli errori principali nel calcolo della dose sembra essere l’area efficace, si pensa di utilizzare delle fibre scintillanti per determinare tale area. Questo tipo di rivelatore è principalmente composto da polistirene. Con questa simulazione possiamo studiare se l’inserimento di uno spessore di 250 µm di polistirene crea più danno che beneficio nella risposta della FC. Figura 4.13: Allargamento del fascio di protoni da 10 MeV in seguito all’inserimento di 250 µm di polistirene prima del kapton. Tabella 4.13: Tabella che mostra un confronto, tra FC di default e FC con polistirene. Np =30000, E=10 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) default polystyrene 260 ± 16 282 ± 17 81 ± 9 153 ± 12 3±1 5±2 0 0 0.6 1.1 0.1 0.2 Dalla figura 4.13 si vede che l’inserimento di questo materiale prima della finestra provoca un allargamento del fascio di circa 8mm in raggio. In questo caso 184 protoni su 30000 vengono persi prima della FC. Dalle tabelle 4.13 e 4.14 si vede che introducendo questo materiale l’accuratezza peggiora di un fattore 1.7 e passa all’1%. Tuttavia un’accuratezza dell’1% è comunque accettabile. 75 Tabella 4.14: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e default 29824 ± 40 polystyrene 29692 ± 40 ideale 30000 4.6.4 Fascio con angolo di 5 gradi Infine l’ultima simulazione viene eseguita tramite un fascio da 10 MeV monoenergetico con una semi-apertura di 5 gradi, il quale rappresenta un caso limite, poiché i fasci sperimentali in realtà presentano uno spread angolare minore di questo. Figura 4.14: Simulazione del fascio di protoni da 10 MeV con apertura di 10 gradi. Tabella 4.15: Tabella che mostra un confronto, tra FC con un fascio parallelo e con un fascio a cono con apertura di 10 gradi. Np =30000, E=10 MeV Config. Q/e(middle in) Q/e(middle back) Q/e(lateral) Q/e(over bottom) (∆Qa /Qa ) (%) (∆Qs /Qs )(%) fascio parallelo fascio a cono 260 ± 16 254 ± 16 81 ± 9 94± 10 3± 1 1±1 0 0 0.6 0.6 0.1 0.1 Dalla figura 4.14 si nota subito che, non ostante l’apertura angolare grossolana, il fascio riesce ad entrare perfettamente all’interno della FC. Dalle tabelle 4.15 e 4.16, invece, si può notare che per quanto riguarda la stima di Q/e non c’è alcuna differenza tra i due fasci. 76 Tabella 4.16: Valore di Q/e misurato dalla FC. Config. Q/e fascio parallelo fascio a cono ideale 29824 ± 40 29828 ± 40 30000 77 78 Conclusioni Lo scopo di questo lavoro di tesi è stata la simulazione Monte Carlo di una Faraday Cup per dosimetria assoluta nell’ambito del progetto ELIMED per la produzione di fasci laser-driven per adroterapia. Il lavoro svolto si può schematizzare come segue: • è stata modificata l’applicazione hadrontherapy, creata per la simulazione della linea di trasporto CATANA, in modo tale da inserire la geometria di una Faraday Cup; • è stata creata una classe per l’inserimento di un campo elettrico non uniforme. Questo campo viene calcolato a partire da un file in cui sono registrati i valori del campo elettrico dovuto al di potenziale dell’anello di guardia nello spazio. Per il calcolo del campo nei punti diversi da quelli della matrice si usa un’interpolazione lineare; • sono state eseguite diverse simulazioni in cui, al variare di alcuni parametri, e’ stata studiata la risposta della Faraday Cup in modo da capire quale possa essere la configurazione migliore da realizzare. La simulazione della Faraday cup ha permesso di studiare come vengono prodotti gli elettroni secondari e quantificare l’effetto che essi hanno sul calcolo della dose totale assorbita. Dai risultati del lavoro svolto si evince che il numero di elettroni prodotti nella finestra di ingresso che riescono ad arrivare dentro la FC (contributo negativo alla carica) sono in numero maggiore rispetto a quelli prodotti nel fondo che viaggiano all’indietro sino ad uscire dalla FC (contributo positivo), tale maggiorazione è di un fattore circa 3. Si è visto inoltre che per fasci da 62 MeV contribuiscono alla carica anche gli elettroni di alta energia prodotti nel fondo che superano lo spessore della coppa. Quindi in sintesi dalle simulazioni si ottiene un’informazione sperimentalmente non ottenibile: si può ottenere il rapporto tra contributo negativo e positivo alla carica raccolta, il quale risulta essere 3.1 per fasci di protoni da 62 MeV e 1.2 per fasci di protoni da 10 MeV. Quest’informazione risulta utile per l’eventuale calcolo di un fattore di correzione nella corrente misurata sperimentalmente. Nel caso di fasci da 62 MeV si ottiene un’accuratezza massima nella misura della carica raccolta pari allo 0.1%. Nel caso di fasci da 10 MeV, invece, non ci sono elettroni di energia abbastanza alta da riuscire a superare lo spessore della coppa. Quindi in questa situazione domina il contributo negativo nella misura della carica, e l’accuratezza peggiora fino a 0.6%. Tra i vari test effettuati in questo lavoro, gli unici che mostrano un cambiamento importante riguardano lo studio sui materiali con cui può essere realizzata la FC, la variazione di energia e l’inserimento del polistirene per l’eventuale utilizzo di fibre scintillanti. Infatti la grafite peggiora l’accuratezza di un fattore due rispetto all’alluminio e al rame. La variazione di energia del fascio invece provoca un 79 cambiamento notevole nell’accuratezza di un fattore 5-6. Come si può notare dai risultati delle simulazioni il contributo che degli elettroni secondari all’errore sulla carica è piccolo. Di notevole importanza saranno le misure sperimentali, le quali permetteranno di avere un confronto coi dati delle simulazioni, e di minimizzare l’errore sulla stima dell’area e dello spettro energetico. 80 Bibliografia [1] Ute Linz Editor Ion Beam Therapy Fundamentals,Technology,Clinical Applications, Springer, Ottobre 2011. [2] S.V. 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