UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA ___________________________________________________ TESI DI LAUREA DINAMICA E CINETICA DI UN PLASMA RF TRA PIATTI PARALLELI IN OSSIGENO Relatori: Laureando: Prof. Mario Capitelli Daniele Marinazzo Prof. Savino Longo ___________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2000 - 01 INDICE INTRODUZIONE .................................................................................. 1 CAPITOLO 1 CARATTERISTICHE DI UN PLASMA RF......................................... 5 1.1 Il plasma RF ..............................................................................................5 1.2 Lunghezza di Debye e moti collettivi..............................................................6 1.3 Sheath e bulk .............................................................................................9 1.4 Modello circuitale dello sheath......................................................................10 1.5 Diffusione ambipolare ...................................................................................12 1.6 Riscaldamento elettronico .............................................................................14 CAPITOLO 2 CARATTERISTICHE MATEMATICHE E FISICHE DEL MODELLO ...........................................................................................17 2.1 Modello numerico per la simulazione: PIC/MCC.........................................17 2.1.1 PIC ..........................................................................................................17 2.1.2 MCC .......................................................................................................20 2.2 Modifica del ciclo temporale.........................................................................24 2.3 Accoppiamento del modello con la cinetica..................................................26 2.4 Dinamica delle collisioni ...............................................................................29 CAPITOLO 3 REAZIONI ED ENERGIA...................................................................33 3.1 Specie neutre presenti nel modello................................................................33 3.2 Sezioni d’urto e costanti di velocità ..............................................................34 3.3 Reazioni da impatto elettronico.....................................................................36 3.3.1 Eccitazioni verso stati metastabili ...................................................36 3.3.2 Diseccitazioni ..................................................................................37 3.3.3. Dissociative attachments O2 ............................................................40 3.3.4 Ionizzazioni .....................................................................................41 3.3.5 Eccitazione dissociativa...................................................................42 3.3.6 Perdite di 4.5, 6.0, 8.4 e 9.97 eV .....................................................44 3.3.7 Momentum transfer .........................................................................45 3.3.8 Dissociative attachment O3..............................................................46 3.3.9 Ricombinazioni...............................................................................46 3.3.10 Collisioni tra specie pesanti.............................................................47 3.3.11 Scambio di carica............................................................................48 3.3.12 Momentum transfer ........................................................................49 3.3.13 Emissione secondaria ...........................................................................50 3.4 Verso l’equazione del calore .........................................................................50 3.5 L’equazione del calore...................................................................................53 3.5.1 Il termine sorgente ..................................................................................53 3.5.2 Conduttività ............................................................................................56 CAPITOLO 4 DISCRETIZZAZIONE ED IMPLEMENTAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL CALORE..................................................57 4.1 Forma generale dell’equazione da discretizzare............................................57 4.2 Regole di base................................................................................................59 4.3 Nonlinearità ...................................................................................................65 4.4 Condizioni al contorno ..................................................................................67 4.5 Risoluzione delle equazioni algebriche .........................................................71 4.6 Sovrarilassamento e sottorilassamento ..........................................................75 4.7 Forma finale dell’ equazione discretizzata ....................................................77 CAPITOLO 5 RISULTATI..........................................................................................79 5.1 Temperatura...................................................................................................79 5.2 Potenziale.......................................................................................................80 5.3 Densità ...........................................................................................................82 5.4 Energia media ................................................................................................86 5.5 Densità, energia e velocità in un ciclo RF .....................................................93 5.6 Funzione di distribuzione dell’energia degli elettroni (EEDF) .....................95 5.7 Funzione di distribuzione di energia degli ioni (IEDF).................................97 5.8 Potenza depositata e reazioni.......................................................................106 5.9 Ionizzazione.................................................................................................114 CONCLUSIONI .................................................................................115 APPENDICE LIVELLI ENERGETICI DELLA MOLECOLA DI OSSIGENO.....117 BIBLIOGRAFIA ................................................................................119 INTRODUZIONE I plasmi da scarica chimicamente reattivi sono ampiamente usati per modificare le proprietà superficiali dei materiali . Processi superficiali basati sul plasma sono indispensabili nel costruire circuiti integrati su ampia scala usati dall’ industria elettronica . Tali processi sono anche di vitale importanza per l’industria aerospaziale, automobilistica, biomedica, per le acciaierie e per lo smaltimento di rifiuti tossici . Col plasma si possono fabbricare materiali e strutture superficiali altrimenti non ottenibili e le proprietà superficiali dei materiali possono essere modificati in maniera unica. Ad esempio si possono incidere solchi larghi 0.2 µm e profondi 4 µm in pellicole o substrati di silicio per isolare un dispositivo o costruire un condensatore per l’immagazzinamento di carica in un circuito integrato (il diametro di un capello è tra i 50 e i 100 µm). Tramite il plasma sono anche stati prodotti materiali quali i film di diamante e il silicio amorfo . Le scariche in ossigeno sono usate per depositare tramite sputtering alluminio, tungsteno o pellicole superconduttrici ad alta temperatura; per crescere film di SiO2 sul silicio; per rimuovere selettivamente film di silicio; per rimuovere pellicole fotoresistenti o pellicole di polimeri . Per la microcostruzione di un circuito integrato, circa un terzo delle decine di migliaia di passi di fabbricazione sono basati sull’utilizzo di plasmi . Inoltre, una caratteristica delle scariche a bassa pressione che sono trattate in questo lavoro è che il plasma, e così anche il sistema plasma-substrato , non è in equilibrio termico, come sarà mostrato in 1 seguito. Ciò permette temperature del substrato relativamente basse, pur mantenendo tassi adeguati di deposizione o di etching anche laddove si devono trattare materiali termolabili quali i polimeri organici. I plasmi di non equilibrio sono caratterizzati da una elevata energia elettronica e da un’alta concentrazione di particelle cariche ed eccitate. L’ottimizzazione di tutti i processi che riguardano i plasmi di non equilibrio richiede la soluzione di due problemi intrecciati: la determinazione dei parametri interni (concentrazione di particelle cariche ed eccitate e di prodotti di reazioni chimiche, e loro distribuzioni di energia) dati i parametri esterni della scarica (composizione del gas, pressione; frequenza, potenza ed intensità della corrente si scarica, geometria del reattore), e il calcolo della cinetica delle reazioni chimiche nel volume del plasma, sugli elettrodi e sulle pareti. Alla luce di ciò si evince l’utilità di un lavoro teorico che vada fianco a fianco con quello sperimentale. Una simulazione infatti permette il controllo rapido ed immediato, oltre che poco dispendioso, di tutti i parametri di cui si è parlato in precedenza, ed è anche un utilissimo mezzo per comprendere il comportamento delle particelle all’ interno del plasma, consentendo anche un conteggio preciso di ogni tipo di collisione. Questo lavoro è rivolto alla simulazione di una scarica a radiofrequenza in ossigeno puro, che è stata solo raramente considerata come caso test per modelli fluidi e cinetici di plasmi di non equilibrio, lasciando relativamente aperto il campo di ricerca. Il metodo numerico per la simulazione prende il nome di PIC/MCC (Particle In Cell with Monte Carlo Collisions). Nel modello qui in esame è stata prestata particolare attenzione alla cinetica degli 2 elettroni e degli ioni. All’interno di questo modello si sono studiate dettagliatamente tutte le reazioni che hanno avute per protagoniste le specie chimiche da noi simulate, con particolare attenzione all’energia assorbita o rilasciata nel plasma dopo ognuna di esse. Parallelamente sono stati monitorati tutti i processi di semplice collisione e le conseguenti variazioni di energia cinetica. Queste energie sono state raccolte ed utilizzate come sorgente in una equazione allo stato stazionario per la diffusione del calore, dando origine ad un profilo di temperatura. Questo tipo di studio non era finora mai stato condotto, e si vede come il profilo di temperatura modifica l’energia e la densità delle specie presenti nel nostro modello. Nel primo capitolo della presente tesi si farà riferimento alle caratteristiche generali di un plasma di non equilibrio. Il secondo capitolo illustra il modello utilizzato per la simulazione e descrive l’accoppiamento tra cinetica e modello PIC/MCC. Il terzo capitolo è una esposizione delle reazioni considerate, delle rispettive sezioni d’urto e del loro apporto energetico. Inoltre saranno gettate le basi per la costruzione dell’equazione di diffusione del calore. Il quarto capitolo descrive in dettaglio l’implementazione della equazione della diffusione del calore. Infine il quinto capitolo è dedicato alla discussione dei risultati. Il codice PIC/MCC usato per la simulazione fa parte dell’ultima generazione di modelli che sono stati sviluppati a partire dai primi anni Novanta presso il Dipartimento di Chimica dell’ Università di Bari e il Centro di Studi per la Chimica dei Plasmi del CNR. Si vedano in 3 proposito i lavori di M.Capitelli, S.Longo [1,2,3] e la tesi di Laurea in Fisica di D.Iasillo[4]. Il lavoro sulla cinetica è stato svolto in collaborazione con K.Hassouni e W.Morscheidt dell’ Università di Paris 13. 4 CAPITOLO 1 CARATTERISTICHE DI UN PLASMA RF 1.1 Il plasma RF Un plasma generato tramite scarica a radiofrequenza è solo uno dei numerosissimi plasmi esistenti in natura o che possono essere prodotti in laboratorio, che spaziano su un range enorme di densità e di temperatura. Esso viene prodotto in un reattore costituito da un cilindro le cui basi sono gli elettrodi. Questo tipo di plasma è caratterizzato da una temperatura elettronica dell’ordine di qualche eV e da una densità di particelle cariche n* tra 108 e 1013 cm-3. Per questo motivo un plasma di non equilibrio è detto anche plasma freddo o a bassa pressione e la scarica che lo produce è detta glow discharge, dal bagliore diffuso dovuto alla radiazione emessa dalle specie che si diseccitano. Un sistema siffatto è caratterizzato dalla molteplicità di canali che variano in maniera diversa in diversi intervalli di energia e si influenzano l’un l’altro. Questi processi comportano non equilibrio, non linearità, non stazionarietà ed instabilità. La densità di energia nel plasma è tale che in esso si verificano continuamente processi chimici ed è quindi necessario, data la dipendenza dall’energia di questi processi, tenere sempre controllo la variazione di energia e tener conto dei contributi dovuti agli stati eccitati delle particelle e dei prodotti di reazione. Lo stato stazionario di nonequilibrio è sostenuto dal flusso attraverso il sistema dell’energia presa dal campo elettrico esterno ed * Si fa l’ipotesi di quasineutralità per cui n rappresenta due quantità circa uguali, la densità elettronica e quella ionica 5 usato in primo luogo per scaldare gli elettroni. Come risultato della collisione con particelle pesanti, l’energia elettronica è usata per eccitare i vari livelli, per la dissociazione delle molecole e la ionizzazione delle molecole e degli atomi nei processi inelastici, ed è trasferita ai gradi di libertà traslazionali nelle collisioni elastiche. Il rilassamento delle energie rotazionali e vibrazionali porta al trasferimento di questa energia ai gradi di libertà traslazionali delle particelle pesanti e al riscaldamento del gas. 1.2 Lunghezza di Debye e moti collettivi Le forze che agiscono su una particella carica possono essere divise in due tipi: quelle dovute a cariche distanti, che danno un campo lentamente variabile in prossimità della particella e contribuiscono così al moto collettivo delle particelle; e quelle dovute a particelle vicine che la fanno muovere in maniera non correlata rispetto ad esse. I moti correlati sono governati da un tempo detto periodo di plasma, tp. - + - + -+ -+-++ +-+-+ -+-++ + - + -+ - + - ++ +-+-+-+-+-+ +-+-+-+-+-+ +-+-+-+-+-+ + + + + + + +-+-+-+ +-+-+-+ +-+-+-+ - Fig. 1.1 Oscillazioni di plasma Consideriamo una «fetta» di plasma, soggetta ad un campo elettrico che separa leggermente le cariche e crea due strati sottili di polarità opposta, ognuno di spessore x come indicato in figura 1.1. Un 6 foglio infinito uniformemente carico con densità di carica origina un campo uniforme σ/2ε0 nelle sue vicinanze. Dato che la densità di carica superficiale in ogni strato ha modulo nex, dove e è la carica elementare, e le due distribuzioni si rinforzano a vicenda, il campo totale è nex/ε0. Ogni elettrone, di massa m, è soggetto ad una forza –ne2x/ε0 e quindi compie un moto armonico con frequenza angolare, detta frequenza di plasma, 1 ne 2 2 ω P = ε m 0 (1.1) corrispondente ad un periodo di plasma 1 ne 2 − 2 t P = 2π mε 0 (1.2) . La distanza entro la quale le interazioni non correlate tra particelle sono considerate importanti è detta lunghezza di Debye, che indicheremo con D. Se consideriamo una sfera di Debye, una sfera di raggio D che circonda la particella, l’effetto della distribuzione di carica oltre una distanza D è sostanzialmente ridotto dallo schermo costituito dalle particelle circostanti. Consideriamo infatti una carica di prova q circondata da elettroni in equilibrio termico. Risolvendo l’equazione di Poisson si può determinare il potenziale che agisce sulla particella [5] : 7 r q φ= exp − πε 4 0r λD (1.3) con λD = ε 0 kT e2n (1.4) è la lunghezza di Debye. E’ evidente che per r<<D il campo è dovuto alla carica di prova, ma per r dell’ordine di D o maggiori il campo è sostanzialmente ridotto (schermato) dagli elettroni. Per distanze minori della lunghezza di Debye i campi dovuti a particelle cariche individuali sono predominanti è il plasma si comporta come un insieme di particelle non correlate. Su grandi distanze il comportamento individuale è schermato dall’azione collettiva di di molte particelle. Infatti, per tali distanze, si può avere solo un comportamento collettivo, in cui le particelle si comportano in maniera coerente, sotto forma di un’onda di plasma. La simulazione tramite particle-in-cell ha senso in quest’ultima regione. Infatti, il comportamento delle particelle nel regime a corto raggio (individuale) è caratterizzato da effetti collisionali che si differenziano da quelli che si incontrano nei gas per l’importanza dell’interazione simultanea della particella di prova con tanti altri corpi. Il problema è adesso quello di decidere quanto sono importanti i moti indotti dalle interazioni locali rispetto ai moti collettivi dovuti alle particelle più lontane. Un indicatore per questo problema è il rapporto tra tc e tP dove tc è il tempo medio tra due collisioni in cui una particella è deviata di un angolo maggiore di π/2 e tP è il periodo di 8 plasma. Si può dimostrare [6] che questo rapporto è dell’ ordine del numero di particelle nella sfera di Debye, ND. Per questo motivo, quando ND è >>1 si può portare avanti la simulazione per un gran numero di periodi di plasma senza che siano importanti gli effetti dovuti alle collisioni. In queste condizioni il sistema può essere considerato non collisionale e il modello può essere costruito sulla base di valori medi del campo in prossimità di ogni particella. Ovviamente il nostro è il modello di un plasma in queste condizioni, detto plasma ideale. 1.3 Sheath e bulk I plasmi, che sono quasineutri, sono collegati alle pareti del reattore da strati sottili carichi positivamente, detti sheaths . Per capire come mai, si noti in primo luogo che la velocità termica degli elettroni (eTe/m)1/2 è almeno 100 volte maggiore della velocità termica ionica (eTi/M)1/2 in quanto m/M<<1 e Te<<Ti. Consideriamo un plasma di larghezza l con ne=ni inizialmente confinato tra due pareti assorbenti a potenziale zero (fig.1.2). Dato che la densità di carica netta =e(ni-ne) è zero, il potenziale elettrico e il campo elettrico Ex sono nulli ovunque. Quindi gli elettroni veloci non sono confinati e si perderanno rapidamente contro le pareti. Su una scala di tempi molto piccola alcuni elettroni vengono persi in prossimità delle pareti, portando alla situazione mostrata in figura 2.1. Si formano delle guaine (sheaths) sottili (s<<l) vicino a ciascuna parete in cui ni>>ne. La densità di carica netta positiva all’interno degli sheaths porta ad un profilo del potenziale (x) che è positivo all’interno 9 del plasma e diventa rapidamente zero avvicinandosi alle pareti. Questo profilo funge da «valle» di potenziale per gli elettroni e da «collina» per gli ioni, poichè i campi elettrici all’interno degli sheaths vanno dal plasma alle pareti. Quindi la forza –eEx che agisce sugli elettroni è diretta verso l’interno del plasma; questo porta ad una riflessione all’indietro degli elettroni che si muovono verso le pareti. Al contrario, gli ioni che dal plasma entrano negli sheaths sono accelerati verso le pareti. Se il potenziale del plasma (rispetto alle pareti) è VP , ci si aspetta che VP sia pari a qualche eV per confinare la maggior parte degli elettroni. L’energia degli ioni che bombardano le pareti è quindi essa stessa pari a qualche eV. Il potenziale uniforme nella regione centrale della scarica è detto invece potenziale di plasma, e la regione centrale è chiamata glow. Fig. 1.2 Formazione dello sheath 1.4 Modello circuitale dello sheath La frequenza del voltaggio applicato ha un valore intermedio tra la frequenza di oscillazione degli elettroni e quella degli ioni. Sotto 10 queste ipotesi si assume che lo sheath sia puramente capacitivo e la regione centrale sia equipotenziale. Ragionando in termini di circuiti elettrici, questo equivale a dire che gli sheath hanno resistenza infinita e il glow abbia resistenza trascurabile. Il plasma RF può essere rappresentato come in figura: Fig. 2.2 Circuito equivalente del modello dello sheath capacitivo Cs1 e Cs2 sono capacità che rappresentano gli sheath, D1 e D2 sono diodi che fanno in modo che il potenziale di plasma Vs sia sempre positivo rispetto agli elettrodi. Nell'ipotesi in cui il comportamento dello sheath sia puramente capacitivo, il potenziale di plasma Vp(t) è espresso come: Vp (t) = Vp + ∆Vp sen(ωt) (1.5) dove V p è la media temporale del potenziale di plasma e ∆Vp l’ampiezza della modulazione dello stesso potenziale. ∆Vp è determinato dalla partizione della tensione Vrf secondo la: ∆Vp = Cs1 V Cs1 + Cs2 rf (1.6) dove Cs1 e Cs2 sono le capacità che rappresentano rispettivamente lo sheath di fronte all’elettrodo sotto tensione e quello di fronte 11 all’elettrodo a terra. Il potenziale di plasma istantaneo è sempre più elevato rispetto al potenziale agli elettrodi, ovvero: Vp,max = Vp + ∆Vp ≥ Vrf (1.7) Vp,min = Vp − ∆Vp ≥ 0 Una volta ogni periodo il potenziale di plasma uguaglia tanto il potenziale dell’elettrodo sotto tensione, quanto quello dell’elettrodo a terra per bilanciare la corrente netta attraverso lo sheath, ovvero le 1.7 diventano uguaglianze. I valori delle capacità si sheath, anch’essi mediati nel tempo, sono determinati dall’area degli elettrodi ma sono anche influenzati dal modulo delle cadute di potenziale nei due sheaths. 1.5 Diffusione ambipolare Ai campi di sheath e bulk occorre aggiungere un terzo elemento, il cosiddetto campo ambipolare, che è dovuto allo stesso tipo di considerazioni, ma in assenza di campo applicato. Si fa nel plasma l’ipotesi di congruenza, ovvero che il flusso di elettroni e quello di ioni, dovuti tanto alla diffusione nel campo elettrico quanto a quella per gradiente di concentrazione, siano uguali ovunque. Questa ipotesi continua a valere in presenza di collisioni ionizzanti, che producono un ugual numero di entrambe le specie. Dato che gli elettroni sono più leggeri, e tenderebbero a lasciare il plasma più velocemente, deve nascere un campo elettrico che mantenga l’equilibrio locale del flusso. 12 Questo campo ambipolare ha l’effetto di impedire l’accelerazione nel campo di sheath agli elettroni di bassa energia. Questi elettroni, confinati nella regione centrale del plasma, saranno soggetti alla sola azione del campo bulk. Aumentando il potenziale applicato all’elettrodo aumenta il potenziale di accelerazione degli ioni verso le pareti. La caduta di potenziale in prossimità degli elettrodi dipende dalla superficie degli stessi: in particolare il potenziale decade in modo inversamente proporzionale alla superficie elettrodica. Anche la pressione influenza l’energia del bombardamento ionico poichè un suo aumento determina un maggior numero di urti nello sheath che rallentano gli ioni. Inoltre, se la frequenza della scarica è minore della frequenza con cui gli ioni attraversano lo sheath, questi ultimi sono sensibili al potenziale istantaneo e il bombardamento ionico risulta estremamente energetico. Quando questa condizione non è verificata gli ioni non riescono a seguire le oscillazioni del potenziale e sono sensibili solo al potenziale medio. Quindi, operando nella regione dei MHz il moto delle particelle pesanti è controllato dal campo medio. Considerando insieme gli effetti dovuti alla diffusione ambipolare e ai campi elettrici di bulk e di sheath si osserverà un profilo di concentrazione ionica che non cambia molto nel tempo a causa dell’elevata inerzia degli ioni rispetto a quella degli elettroni. Per gli elettroni si osserva invece una oscillazione. 13 1.6 Riscaldamento elettronico Una delle questioni chiave riguardo la struttura e la dinamica delle scariche RF è il meccanismo di riscaldamento elettronico e il corrispondente meccanismo di ionizzazione o di sostentamento della scarica. Sono stati identificati tre meccanismi [7] di riscaldamento elettronico nelle scariche glow: 1. gli elettrodi emettono elettroni secondari, e questi elettroni si riversano negli elevati campi di sheath ed entrano nel plasma con notevole energia; 2. gli elettroni nel plasma sono riscaldati dal campo elettrico oscillante di sheath; 3. i campi elettrici all’interno del plasma scaldano gli elettroni che trasportano la corrente di scarica. Il secondo meccanismo è una prerogativa esclusiva delle scariche RF ed è stato diffusamente studiato [8,9,10,11] . Si può distinguere tra due casi limite di riscaldamento per oscillazione dello sheath: riscaldamento stocastico in cui gli elettroni non subiscono collisioni con le particelle neutre mentre interagiscono col campo elettrico oscillante di sheath, e moto dominato dalle collisioni. Il primo è detto riscaldamento stocastico di sheath e il secondo riscaldamento ohmico di sheath. Il riscaldamento ohmico è detto anche regime «wave-riding»[7]. Infatti in questo caso, una volta che l’elettrone è stato «intrappolato» nel campo elettrico durante l’espansione dello sheath, «cavalca» lo sheath in espansione, e percepisce un campo elettrico proporzionale alla velocità di espansione dello sheath. 14 Oltre alla distinzione tra i diversi tipi di riscaldamento dovuti all’oscillazione dello sheath, va fatta anche una distinzione tra scariche sostenute dall’emissione di elettroni secondari e scariche sostenute dal riscaldamento elettronico nello sheath o nel bulk. Sono dette scariche alfa quelle in cui il meccanismo dominante di ionizzazione è il riscaldamento degli elettroni all’interno del plasma e scariche gamma quelle in cui la ionizzazione avviene prevalentemenet ad opera degli elettroni secondari. E’ possibile passare da un regime di scarica ad un altro variando parametri quali potenza, pressione e frequenza di scarica. Si va dal regime alfa al regime gamma aumentando potenza e pressione, mentre le scariche con frequenza minore di 1 MHz sono sostenute prevalentemente dagli elettroni secondari[12]. 15 16 CAPITOLO 2 CARATTERISTICHE MATEMATICHE E FISICHE DEL MODELLO 2.1 Modello numerico per la simulazione: PIC/MCC 2.1.1 PIC La maggior parte dei plasmi di non equilibrio di interesse è caratterizzata da un gran numero di elettroni nella sfera di Debye: in queste condizioni l’interazione fra particelle cariche può essere approssimata da una interazione tra particella e campo di carica spaziale . Questo è proprio il punto di vista del metodo PIC. (Particle In Cell). L’ approccio del PIC consiste nel risolvere l’equazione di Vlasov: & ∂ & & & ∇ + v ⋅ ∇ + e rϕ ⋅ ∇ f (r&, v&,t ) = 0 r v ∂t m (2.1) e l’equazione di Poisson: 2 ∇ ϕ (r) = − ρ ε0 (2.2) assumendo una soluzione a N particelle: N & & & & f (r,v,t) = w∑ δ (r − ri )δ ( v − v i ) i= 1 (2.3) N & & & & ρ (r ,t) = −ew ∑ S( r − ri ) + ρ' ( r ) i =1 17 dove ri e vi sono le posizioni delle singole particelle, che soddisfano le equazioni di Newton, δ è la funzione di Dirac, S è il fattore di forma delle particelle (una δ con larghezza finita) e ρ’ è la distribuzione di carica dovuto alle altre particelle. Le equazione vengono risolte per un gran numero di elettroni (104-106 ) tenendo conto del campo elettrico locale risultante dall’interpolazione locale della carica spaziale all’interno di una cella di un reticolo matematico. E’ praticamente impossibile effettuare la simulazione con il numero reale di particelle, per cui le particelle simulate sono in realtà ‘superparticelle’ con un peso matematico w (pari al rapporto tra particelle simulate e particelle reali), con carica e massa uguali rispettivamente a –ew ed mw. In questo modo il rapporto q/m rimane invariato e le superparticelle si muovono come elettroni sotto l’influenza del campo elettrico e del campo magnetico. Dopo un passo di calcolo delle equazioni del moto, viene determinata la carica elettrica in ogni cella del reticolo dal numero di elettroni presenti in essa, opportunamente pesati. Dalla densità di carica elettrica, risolvendo l’equazione di Poisson all’interno del reticolo stesso, si ricavano il potenziale e il campo elettrico. L’assegnazione della carica a ciascun punto, che determina la forma di S ) consiste in una interpolazione tra i punti della griglia più vicini alla particella. Nel caso monodimensionale esistono due ordini di assegnazione. Nell’assegnazione di ordine zero, o NGP (nearest grid point) si conta il numero di particelle in ciascuna cella e si assegna questo numero al punto di griglia rappresentativo della cella. Una assegnazione che, sebbene più complessa della NGP, è molto meno rumorosa, è l’assegnazione di prim’ordine, o CIC (cloud in cell). In questo caso si assegna la carica della particella ai due punti più vicini alla cella in frazioni dipendenti dalla posizione della particella 18 stessa; ovvero, con i indice del punto di griglia e q carica della particella: i∆x ≤ x ≤ (i + 1)∆x (i + 1)∆x − x ∆x x − i∆x =q ∆x qi = q qi +1 (2.4) Le stesse formule devono essere usate per interpolare il campo elettrico che agisce su ciascuna particella per soddisfare la conservazione del momento per valori molto piccoli del passo temporale. Le equazioni di Newton nel PIC vengono risolte utilizzando un semplice schema per posizione e velocità, il cosiddetto metodo Leapfrog[1,13]: & & q & & v ' = v + E ( r ) ∆t m & & & r ' = r + v ' ∆t (2.5) La differenza rispetto al metodo esplicito di Eulero è semplicemente la sostituzione di v’ con v nella seconda equazione. Bisogna comunque notare che r è calcolato al tempo t e v è calcolato al tempo t+∆t. Una dettagliata descrizione del PIC si trova in Birdsall and Langdon (1985,1991) [13,14], Vahedi,[23]Cohen[16]Longo et al.[2]. 19 2.1.2 MCC Sulla base di quanto detto finora riguardo al PIC è evidente come esso sia in grado di riprodurre solo le interazioni tra le particelle cariche. Ma una descrizione accurata di un plasma collisionale, quale è quello RF, non può trascurare gli urti tra particelle cariche e specie neutre. A tal fine il Particle in Cell è stato accoppiato con il metodo Monte Carlo secondo lo schema a blocchi in figura 2.1. Ad ogni passo di calcolo il programma risolve le equazioni del campo e muove tutte le particelle. Il Monte Carlo viene inserito nel ciclo calcolando la probabilità che una particella subisca una collisione; in caso affermativo la particella dopo la collisione rientrerà nel ciclo principale con una nuova velocità. Integration of equations of motion, moving particles Fi v i’ Weighting Ej Monte Carlo Collisions v i’ vi xi Weighting ∆t Fi (x , v )i ρj Integration of field equations of grid ρj Ej Figura 2.1 Schema a blocchi dell’accoppiamento PIC/MCC Inserendo le collisioni il numero totale di particelle varia. Poichè l’errore relativo su quantità macroscopiche, dovuto a fluttuazioni statistiche, diminuisce con il numero di particelle*, è * L’errore decresce comunque piuttosto lentamente col numero n di particelle (tipicamente come n-1/2) 20 necessario mantenere elevato quest’ultimo nella simulazione. Tuttavia, il tempo di calcolo pone un limite al numero di particelle simulate. Nel codice è quindi inserito un controllo che elimina metà particelle a caso e moltiplica per due il peso statistico qualora le particelle diventino più del doppio di quelle iniziali, mentre le raddoppia dimezzando il peso quando sono ridotte a meno della metà rispetto a quante erano all’inizio. Il metodo Monte Carlo è basato sul calcolo dei tempi di volo per la particella testata tra due successive collisioni con le altre particelle. Questi tempi sono calcolati generando numeri casuali presi da una distribuzione appropriata modellata secondo la fisica che regola i processi. Si suppone che i processi siano binari ed istantanei. I numeri casuali possono essere calcolati utilizzando il seguente teorema della teoria delle probabilità: dato un insieme di numeri casuali ri distribuiti uniformemente tra zero ed uno, un insieme di numeri casuali yi distribuiti secondo la funzione f(y) nell’ intervallo (a,b) è dato da: ∫ yi a b f (x)dx = ri ∫a f (x)dx (2.6) Dopo aver calcolato l’integrale, l’equazione 2.3 diventa una equazione in yi. Dato che l’insieme di numeri ri può essere fornito per mezzo di una routine generatrice di numeri casuali dal calcolatore, si può simulare ogni processo fisico casuale caratterizzato da distribuzioni note di probabilità. Il tempo che trascorrerà fino alla successiva collisione va calcolato conoscendo la frequenza di collisione in funzione della velocità elettronica.Il modo migliore per risolvere questo problema è di 21 introdurre una specie nulla in modo che in una collisione tra elettrone e specie nulla (collisione nulla) la velocità elettronica rimane invariata[17]. Figura 2.2 Probabilità di collisione e collisione nulla La sezione d’urto per la collisione nulla è scelta al fine di ottenere una frequenza totale di collisione νtot costante, data da : ν tot 1 2ε 2 = max ∑ N p (x)σ p ( ε ) x ∈V , 0 ≤ε ≤ ε lim me p (2.7) dove la somma è fatta su ogni processo di collisione p, σp(ε) è la sezione d’urto, Np è la densità del partner collisionale, V è l’estensione spaziale del sistema e εlim è il limite della scala di energia cinetica usata per calcolare le sezioni d’urto. Si è usata la seguente approssimazione: dato che gli elettroni si muovono molto più velocemente delle 22 molecole, possiamo semplificare il calcolo delle frequenze di collisione assumendo che le particelle obiettivo siano ferme. Con una frequenza di collisione costante, i tempi di collisione sono distribuiti secondo [18]. f (t ) = ν tot exp(−ν tot t ) (2.8) Il tempo prima della successiva collisione è ottenuto usando l’equazione 2.3 nella forma tc = − 1 ln η ν tot (2.9) dove η è un elemento di un insieme di numeri casuali uniformemente distribuiti tra zero e uno. Il tipo di collisione (incluso quello nullo) che si verifica dopo il tempo di volo libero viene scelto in base alle corrispondenti frequenze di collisione : sia 1 2ε 2 & ν k (ε ) = σ k (ε )nk ( r ) me (2.10) il contributo dell’elettrone k-esimo alla frequenza totale di collisione. Dopo aver generato il numero casuale r, il processo di collisione scelto sarà l’n-esimo con n tale che n −1 n νk νk r < < ∑ ∑ k =1 ν tot k =1 ν tot (2.11) 23 Figura 2.3 Selezione del processo collisionale 2.2 Modifica del ciclo temporale Consideriamo le modifiche al normale ciclo tempo temporale che sono richieste al fine di incorporare in Monte Carlo nel PIC. Questa modifica è fondamentale per poter permettere che le collisioni avvengano anche più volte all’ interno del passo di calcolo PIC [19].Quest’ultimo è il tempo che trascorre tra due successivi aggiornamenti del campo. 24 Figura 2.4 Modifica del ciclo temporale Dopo aver calcolato per la prima volta il tempo di volo libero, le particelle vengono fatte muovere utilizzando il metodo Leapfrog in cui, però, il passo di calcolo ∆t è sostituito dal tempo di volo libero tc. A questo punto, se tc è minore del passo di calcolo ∆t la particella subisce una collisione e tc viene sottratto a ∆t. Si determina il tipo di collisione e si calcola un nuovo tempo di volo libero che viene confrontato con la parte restante del passo di calcolo. Se, ancora una volta, tc risulterà più piccolo, la particella subirà una nuova collisione e si ripeterà la procedura già vista. Diversamente, le particelle vengono fatte muovere per la parte restante del passo di calcolo ∆t e l’eccesso di tc viene immagazzinato come tempo di volo libero iniziale nel successivo passo di calcolo. 25 2.3 Accoppiamento del modello con la cinetica A questo punto è utile una precisazione: durante i processi collisionali, le ∼100000 particelle della simulazione sono considerate come un campione preso dalla reale distribuzione di tutte le particelle nel plasma, mentre durante il calcolo del campo le particelle assumono lo status di superparticelle, in modo da apportare il giusto contributo di carica. Un’altra importante caratteristica delle particelle neutre (e del gas in generale) nel modello PIC/MCC è che si assume che esse siano distribuite uniformemente nello spazio, e quindi non sono seguite come particelle. Vedremo invece adesso come, tramite la cinetica reattiva e diffusiva, le neutre saranno considerate come particelle e la loro cinetica sarà accoppiata alla dinamica delle particelle cariche. Questo accoppiamento è insito nella concezione di plasma: l’equazione 2.4 mostra che la frequenza di collisione dipende dalla composizione chimica del gas, ovvero la cinetica chimica influenza la dinamica. Allo stesso tempo nel prossimo capitolo si vedrà come la velocità di reazione dipenda fortemente dalla funzione di distribuzione dell’energia elettronica*. L’accoppiamento che si deve realizzare deve essere autoconsistente, ovvero la dinamica e la cinetica chimica devono essere risolte tenendo conto della loro reciproca connessione. Il diagramma in figura 2.5 illustra la linea guida dell’intero modello Durante i calcoli, le densità delle differenti specie devono essere aggiornate risolvendo le equazioni appropriate. In particolare, le * La forma non Maxwelliana della eedf infatti non permette che il coefficiente di velocità di una reazione venga espresso in termini di parametri macroscopici quali ad esempio la temperatura elettronica. 26 densità delle particelle cariche sono ottenute direttamente dalla simulazione PIC/MCC mentre quelle dei neutri vengono aggiornate risolvendo le equazioni reattive e diffusive tenendo conto del fatto che i parametri che rientrano in queste equazioni non sono costanti ma dipendono dalla funzione distribuzione locale dell’energia degli elettroni, che pertanto deve essere calcolata per prima. CONDIZIONI AL CONTORNO EQUAZIONE DI POISSON Campo elettrico EQUAZIONI DI REAZIONE E DIFFUSIONE eedf Densità particelle cariche Carica spaziale DINAMICA DELLE PARTICELLE CARICHE Composizione del gas Figura 2.5 Schema a blocchi del modello Durante la simulazione PIC/MCC, la eedf viene campionata su di una griglia spaziale impiegata anche per la cinetica diversa da quella utilizzata nella risoluzione della equazione di Poisson. Le due griglie hanno una densità di punti diversa: la griglia per la cinetica ha 50 punti mentre quella per l’equazione di Poisson ne ha 400. Questo permette di ridurre le fluttuazioni statistiche nel calcolo dei coefficienti di velocità delle reazioni chimiche considerate. 27 Come vedremo in seguito, anche la temperatura viene calcolata sulla griglia per la cinetica, come è da attendersi essendo in questo lavoro interessati alla temperatura del gas. Il metodo utilizzato consiste nel risolvere la cinetica, fino al raggiungimento dello stato stazionario, a tempi diversi tk durante la simulazione PIC/MCC. Questa tecnica adiabatica sebbene opposta alla più naturale (essendo i tempi caratteristici di plasma molto più piccoli rispetto a quelli della cinetica) si rivela molto efficace poichè i tempi di calcolo necessari per la risoluzione delle equazioni della cinetica e della diffusione sono trascurabili in confronto a quelli richiesti per la descrizione delle particelle cariche nel plasma. Ad ogni tk i valori dei coefficienti di velocità e le densità elettroniche sono quelle che si ottengono dalla simulazione PIC/MCC, mediati nel periodo tk-tk-1. L’utilizzo di questo metodo di accoppiamento rende quindi impossibile una descrizione temporale sensata prima che venga raggiunta la stabilità. 28 2.4 Dinamica delle collisioni Per quanto riguarda il trattamento delle collisioni binarie, se consideriamo due particelle che collidono, con masse m1 ed m2 e velocità v1 e v2 , il trattamento è semplificato scomponendo le velocità in velocità del centro di massa vc e velocità relativa vr, cioè & & v1 = vc + m1 & vr m1 + m2 & & v2 = vc − m1 & vr m1 + m2 (2.12) Il processo di collisione può soltanto cambiare la velocità reòativa, secondo il guadagno di energia interna ∆ε e gli angoli di scattering θ e ϕ. In questo modo può essere introdotto ogni processo collisionale che lascia invariato il numero totale di particelle: la generalizzazione ad altri processi quali la ionizzazione o l’attachment elettronico non presenta particolari difficoltà. Per affrontare il problema del trasferimento di energia definiamo due sezioni d’urto: la sezione d’urto totale elastica π σ te = 2π ∫ σ (ϑ , ε )sin ϑ dϑ 0 (2.13) e la sezione d’urto di momentum transfer π σ m = 2π ∫0 σ (ϑ , ε )(1 − cos θ )sin ϑdϑ 29 (2.14) dove (1 - cosθ) è la frazione di momento iniziale mv persa dalla particella incidente e σ(θ,ε) è la sezione d’urto differenziale. Nella collisione elastica di un proiettile di massa m1 e velocità v1 con un bersaglio stazionario di massa m2 , la conservazione del momento lungo la direzione di v1 e perpendicolarmente ad essa e la conservazione dell’energia possono essere scritte nel sistema laboratorio come m1v1 = m1v1 ' cosϑ1 + m2v2 ' cosθ 2 0 = m1v1 ' sin θ1 − m2v2 ' sin θ 2 (2.15) 1 1 1 m1v12 = m1v1 '2 + m2v2 '2 2 2 2 dove gli apici denotano i valori dopo la collisione. Risolvendo il sistema eliminando v1’ e θ1 si ottiene 1 1 4m1m2 m2v2 '2 = m1v12 cos 2 θ 2 2 2 2 (m1 + m2 ) (2.16) Guardando l’equazione 2.13 si vede che la frazione di energia persa dal proiettile nel sistema laboratorio è ζL = 4m1 m 2 (m1 + m 2 ) 2 cos 2 θ 2 (2.17) Trasformando l’angolo per portarci nel sistema del CM si ottiene ζL = 4m1 m 2 (m1 + m 2 ) 2 (1 − cos Θ) (2.18) 30 A questo punto si media sulla sezione d’urto differenziale per ottenere la perdita media: ζL Θ = 2m1m2 σ m (m1 + m2 ) 2 σ te (2.19) Gli elettroni quindi trasferiscono poca energia nelle collisioni elastiche con particelle pesanti, facendo in modo che Te>>Ti in una tipica scarica. Invece, per m1≈m2 si ottiene ζ L Θ = 1 , che comporta un 2 forte scambio di energia tra particelle pesanti e quindi una temperatura comune. 31 32 CAPITOLO 3 REAZIONI ED ENERGIA 3.1 Specie neutre presenti nel modello Le specie neutre presenti nel nostro modello sono sette: O2(X3Σ-g) stato fondamentale O2(a1∆g) primo stato metastabile[O2*] O2(b1Σ+g) secondo stato metastabile[O2**] O3 O(3P) stato fondamentale O(1D) primo stato metastabile[O*] O(1S) secondo stato metastabile[O**] All’ inizio della simulazione queste sette specie sono state immesse con le seguenti densità e relative pressioni parziali* : densità(m-3) 3.42×1021 1.66×1020 1.34×1019 9.50×1017 2.44×1019 5.12×1017 3.53×1015 specie O2 O2* O2** O3 O O* O** pressione parziale 1.062×10-1 5.135×10-3 4.160×10-4 2.950×10-5 7.580×10-4 1.590×10-5 1.100×10-7 Inoltre il numero iniziale di elettroni è stato posto uguale a 5x1015 Una volta partita la simulazione, gli elettroni vengono accelerati dalla tensione alternata applicata e, collidendo con le specie pesanti, * Si è usata per le pressioni parziali la formula p=ρRT, con R costante dei gas e T temperatura del gas 33 vanno a eccitarle o diseccitarle ma anche a ionizzarle, producendo altri + - - + protagonisti della simulazione: gli ioni O2 ,O ,O2 ,O . A loro volta le componenti pesanti, ionizzate o meno, interagiranno tra di loro in reazioni di ricombinazione, attachment e detachment che vedremo in dettaglio in seguito. 3.2 Sezioni d’urto e costanti di velocità Tutte le reazioni che vedono un elettrone collidere con l’ossigeno neutro atomico o molecolare sono caratterizzate da una sezione d’urto dipendente dall’energia. In questo modo si ha una descrizione a livello microscopico del sistema, per cui una reazione ha una maggiore o minore proabilità di verificarsi (corrispondente ad un intervallo più o meno ampio entro cui deve cadere il numero casuale generato) a seconda dell’ energia dell’ elettrone incidente*. Le reazioni tra gli ioni e le reazioni da impatto elettronico con gli ioni e con l’ozono sono invece descritte dalla costante di rate K, definita in modo che il rate della reazione (il numero di reazioni elementari del tipo e-+A→prodotti che avvengono per unità di tempo e di volume) sia dato da: v = Kne n A (3.1) dove nA è la densità molare di A e ne è la densità numerica degli elettroni. * vedremo che questa energia è presa da un profilo non maxwelliano della eedf (electron energy distribution function) 34 La costante di rate ha pertanto le dimensioni di cm3 mol-1 sec-1 e ha il significato fisico di una integrazione sulla distribuzione di energia elettronica e sulla sezione d’urto del processo: 2 K = me 1 2 ∞ ∫ εf (ε )σ (ε )dε (3.2) εth dove f è la eedf, me è la massa dell’elettrone e σ è la sezione d’urto del processo elementare. Il secondo membro dell’ equazione 3.2 dipende dalla eedf e a causa della forma decisamente non Maxwelliana di quest’ultima nei plasmi freddi non può essere scritta come una funzione dei parametri macroscopici quali la temperatura elettronica.[20]. I dati da noi utilizzati provengono infatti da dati sperimentali. Da quanto specificato nel secondo capitolo, le reazioni per cui non è disponibile il set di sezioni d’urto non possono essere trattate con il metodo delle collisioni nulle. Si procede allora calcolando la probabilità che il protagonista della reazione scompaia nel passo di calcolo ∆t attraverso la seguente relazione [14]: P = 1 − exp(− ν coll ∆t ) (3.3) dove νcoll è la frequenza di collisione. Per ogni particella νcoll sarà la somma della frequenza di collisione per tutti i processi di cui essa è protagonista. I processi che noi consideriamo sono tutti processi del secondo ordine, per cui la definizione di frequenza è: 35 ν coll = ∑i Ki [S ] (3.4) dove la somma è estesa a tutti i processi di cui la particella è protagonista, con Ki costante di velocità del processo i-esimo e [S ] densità numerica della specie compagno. Si estrae quindi un numero casuale compreso tra zero ed uno e lo si confronta con P. Se è minore, si verifica un processo di perdita della particella protagonista. 3.3 Reazioni da impatto elettronico Sono riportate qui di seguito le reazioni presenti nella simulazione, insieme alle rispettive sezioni d’urto o costanti di rate e alla fonte sperimentale. Inoltre in corrispondenza di ogni reazione si trova il guadagno o la perdita di energia nel plasma che essa comporta. 3.3.1 Eccitazioni verso stati metastabili • e- + O2* → O2** + e- [21] perdita di 0.64 eV • e- + O2 → O2* + e- [21] perdita di 0.98 eV • e- + O2 → O2** + e- [21] perdita di 1.627 eV • e- + O → O*+ e- [22] perdita di 1.97 eV • e- + O → O** + e- [22] perdita di 4.18 eV Le eccitazioni generano diversi stati metastabili dell’ossigeno molecolare (a1∆g, b1Σg, c1Σ-u, A3Σ+u) e atomico e sono importanti meccanismi di perdita di energia elettronica, oltre a permettere la ionizzazione dagli stati metastabili. 36 3.3.2 Diseccitazioni • e- + O2* → O2 + e- [21] guadagno di 0.98 eV • e- + O2** → O2* + e- [21] guadagno di 0.64 eV • e- + O2** → O2 + e- [21] guadagno di 1.627 eV • e- + O* → O + e- [22] guadagno di 1.97 eV • e- + O** → O + e- [22] guadagno di 4.18 eV Le diseccitazioni sono delle collisioni superelastiche, in cui un elettrone urta una specie pesante che si trova in uno stato eccitato e guadagna l’energia di soglia del processo, mentre la specie pesante si diseccita. Le sezioni d’urto per questi processi vengono calcolate a partire da quelle dei corrispondenti processi anelastici attraverso la seguente relazione: gεσ sup (ε ) = g * (ε + ∆ε )σ an (ε + ∆ε ) (3.5) dove g e g* sono, rispettivamente, le degenerazioni dello stato fondamentale ed eccitato della specie pesante e ∆ε è l’energia di soglia del processo. 37 10 0 1 * e- + O( ∆ ) -> O + e2 2 * O + e- -> e- + O( ∆ ) 2 2 -1 10 σ(cm 2 -16 ) -2 10 1 2 -3 10 -1 -1 6 10 8 10 10 0 3 10 0 0 5 10 7 10 0 Energia(eV) Figura 3.1 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il primo metastabile dell’O2 -1 10 1 σ(cm -16 ) 1 * e- + O(Σ ) -> O + e2 10 -2 2 2 * O + e- -> e- + O (Σ ) 2 2 2 10 -3 10 0 Energia(eV) 10 1 Figura 3.2 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il secondo metastabile dell’O2 38 10 0 * 1 * O(Σ )+e- ->e- + O (∆) 2 2 * 2 * e- + O(∆) -> O (Σ )+e2 10 σ(cm 2 -1 -16 ) 10 -2 1 10 2 -3 10 -3 10 -2 -1 10 Energia(eV) 10 0 10 1 Figura 3.3 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra i primi due stati metastabili dell’O2 10 1 1 2 10 σ(cm - * 1 3 - e + O ( D) -> O(P) + e 3 - - * 1 O(P) + e -> e + O ( D) 0 -16 ) 10 -1 1 2 10 -2 10 -3 10 -2 -1 10 Energia(eV) 10 0 10 1 Figura 3.4 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il primo metastabile dell’ossigeno atomico 39 10 1 1 2 10 σ(cm - * 1 3 - e + O ( D) -> O(P) + e 3 - - * 1 O(P) + e -> e + O ( D) 0 -16 ) 10 -1 1 2 10 -2 10 -3 10 -2 -1 10 Energia(eV) 10 0 10 1 Figura 3.5 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il secondo stato metastabile dell’ossigeno atomico 3.3.3. Dissociative attachments O2 • e- + O2 → O + O- [21] perdita di 4.2 eV • e- + O2* → O + O- [21] perdita di 3.22 eV • e- + O2** → O + O- [21] perdita di 2.573 eV Viene riportata la sezione d’urto solo per il primo dei tre processi. Le sezioni d’urto per gli altri due si ottengono traslando le curve verso valori decrescenti dell’energia di 0.98 e 1.627 eV, pari alle distanze in eV tra il ground state e i primi due livelli eccitati, rendendo ovviamente più agevole il processo. 40 La reazione di attachment dissociativo è il principale meccanismo di creazione di ioni negativi e di perdita di energia elettronica nel bulk. L’elettrone incidente perde l’energia di soglia di 4.2 eV ed è assorbito dalla molecola di ossigeno per formare uno ione O2- che si dissocia in O e O-. Si assume che la transizione elettronica sia rapida su scala nucleare [24] e ciò che rimane dell’energia incidente dell’elettrone è divisa tra i frammenti. Dato che la sezione d’urto per questo processo ha il picco intorno ai 6.5 eV i frammenti avranno energie dell’ordine di 1-2 eV. 3.3.4 Ionizzazioni • e- + O2 → O2+ + 2e- [21] perdita di 12.06 eV • e- + O2* → O2+ + 2e- [21] perdita di 11.08 eV • e- + O2** → O2+ + 2e- [21] perdita di 10.43 eV • e- + O → O+ + 2e- [22] perdita di 13.61 eV • e- + O* → O+ + 2e- [25] perdita di 11.65 eV • e- + O** → O+ + 2e- [25] perdita di 9.43 eV La ionizzazione è l’unica reazione che produce ioni positivi nel sistema. Si crea una coppia elettrone-ione e il bilancio energetico si scrive: ε scat + ε prod + ε i = ε inc + ε N − ε ion (3.6) dove εinc, εscat e εprod sono le energie rispettivamente dell’elettrone incidente prima e dopo la collisione e dell’elettrone rilasciato dallo ione; εi e εN somo le energie dello ione creato e della neutra bersaglio e 41 εion è l’energia di soglia della ionizzazione. A causa dell’elevato valore del rapporto tra le masse dello ione e dell’elettrone si può supporre che l’elettrone incidente “strappi” un elettrone dalla particella neutra e che questa diventi uno ione, continuando la sua traiettoria indisturbata. Possiamo riscrivere l’equazione 3.6 come ε scat + ε prod = ε inc − ε ion (3.7) εi = ε N L’energia dopo la collisione viene distribuita tra i due elettroni generando un numero casuale R ∈[0,1]. L’energia dell’elettrone prodotto sarà: ε prod = R ε inc − ε ion 2 (3.8) e la 3.7 dà l’energia dell’elettrone scatterato. 3.3.5 Eccitazione dissociativa • e- + O2 → e- + O + O (3P) [21] perdita di 14.7 eV Nelle dissociazioni l’elettrone perde l’energia di soglia di 6, 8.4, 9.97 o 14.7 eV ed eccita elettronicamente la molecola di O2 in uno stato che si dissocia in due O. Queste reazioni sono i principali meccanismi responsabili di produzione di ossigeno atomico nel bulk. Vengono riportate le sezioni d’urto solo per i processi che hanno come specie di partenza lo stato fondamentale dell’O2. Le sezioni d’urto per i processi che hanno come specie bersaglio i primi 42 due stati metastabili si ottengono traslando le curve verso valori decrescenti dell’energia di 0.98 e 1.627 eV, pari alle distanze in eV tra il ground state e i primi due livelli eccitati, rendendo ovviamente più agevole il processo. 10 10 σ(cm 1 1 2 3 0 Attachment dissociativo (4.2eV) Ionizzazione (12.06 eV) Eccitazione dissociativa(14.7 eV) 2 -16 ) -1 10 3 1 -2 10 1 -3 10 10 -2 10 -1 10 0 10 1 10 2 Energia(eV) Figura 3.6 Sezioni d’urto per attachment dissociativo, ionizzazione e eccitazione dissociativa dell’O2 10 σ(cm 0 * + * + 1 e- + (1S) O -> 2e- + O 2 e- + (1D) O -> 2e- + O 3 e- + O(3P) -> 2e- + O + -16) 10 -1 1 2 10 0 10 Energia(eV) 1 3 10 2 Figura 3.7 Sezioni d’urto per le ionizzazioni dei primi tre stati dell’ossigeno atomico 43 3.3.6 Perdite di 4.5, 6.0, 8.4 e 9.97 eV L’identificazione delle suscritte perdite di energia con processi specifici non è definita con precisione e non c’è accordo tra i vari sperimentatori[26].I candidati più probabili per queste perdite di energia sono[15]: • e- + O2 → e- + O2(c1Σ-u, A3Σ+u) [21] perdita di 4.5 eV • e- + O2 → e- + O + O [21] perdita di 6.0 eV • e- + O2 → e- + O + O* [21] perdita di 8.4 eV • e- + O2 → e- + O* + O* [21] perdita di 9.97 eV Processi analoghi, con sezioni d’urto e perdite di energia opportunamente shiftate, si hanno per impatto di elettroni con i primi due stati metastabili dell’O2. 10 10 σ(cm 1 1 2 3 4 0 4.5 6.0 8.4 10 eV eV eV eV Loss Loss Loss Loss 3 -16 ) -1 10 2 4 1 10 -2 10 -3 10 -2 10 -1 10 0 Energia(eV) Figura 3.8 Sezioni d’urto per i processi di energy loss 44 10 1 10 2 3.3.7 Momentum transfer • e- + O2 → e- + O2 In questo caso l’equazione 2.16 ci dice che la perdita di energia media è dell’ordine di 10-4 a causa del rapporto tra le masse, per cui in una scarica tipica si ha Te>>Ti. Sebbene questa perdita di energia sia bassa, questa collisione elastica è l’unico meccanismo di perdita di energia per gli elettroni con energia minore delle soglie di ionizzazione ed eccitazione, ed è anche abbastanza frequente a causa della sua elevata sezione d’urto. 10 2 - - e + O -> e + O 2 10 σ(cm 2 1 -16 ) 10 10 10 0 -1 -2 10 -2 10 -1 10 0 1 10 Energia(eV) 10 2 Figura 3.9 Sezione d’urto per il momentum transfer e-/O2 45 10 3 10 4 3.3.8 Dissociative attachment O3 • e- + O3 → O-2 +O perdita di 0.61 eV K = 6.02 × 108 cm3/mol sec [27] 3.3.9 Ricombinazioni • 2e- + O2+ → O2 + e- guadagno di 12.14 eV K = 2.61 × 109 cm3/mol sec [28] • 2e- + O+ → O + e- guadagno di 11.05 eV K = 2.61 × 109 cm3/mol sec [28] Tra le possibili eccitazioni da impatto elettronico abbiamo tralasciato le eccitazioni rotazionali e vibrazionali. Per quanto riguarda le prime, hanno una sezione d’urto minore di alcuni ordini di grandezza rispetto agli altri processi e sono relativamente poco importanti in un quadro globale. Le eccitazioni vibrazionali invece sono molto importanti ai fini della funzione di distribuzione dell’energia elettronica. Infatti questi processi hanno una sezione d’urto diversa da zero solo per piccoli intervalli di energia, e questo comporta una forma della eedf decisamente non maxwelliana. Ai fini della raccolta di energia, però, si vede che il rilassamento vibrazionale è molto rapido nell’ossigeno[29] e che tutta l’energia che andrebbe ad eccitare vibrazionalmente la molecola 46 viene rapidamente rilasciata prevalentemente mediante la reazione O2(v) + O → O2(v-1) + O (dove v indica il numero quantico vibrazionale). Questa rapidità di diseccitazione si riflette peraltro sulla forma della eedf, che comunque anche nel nostro modello si rivela non maxwelliana in accordo con le previsioni e con i dati sperimentali. 3.3.10 Collisioni tra specie pesanti • O- + O → O2 + e- guadagno di 3.66 eV K = 3.00×108 [30] • O- + O2** → O + O2 + e- perdita di 1.37 eV K = 4.16×108 [30] • O- + O2** → O3 + e- perdita di 0.32 eV K = 1.81×108 [28] • O- + O2* → O2- + O perdita di 0.13 eV K = 6.02×107 [30] • O-2 + O+2 → 2 O2 K = 1.2×1011 guadagno di 11.7 eV [30] 47 • O-2 + O+ → O2 + O K = 1.2×1011 guadagno di 10.61 eV [30] • O- + O+2 → O2 + O guadagno di 10.68 eV K = 1.15×1011 [28] • O-2 + O → O- + O2 K = 1.99×108 guadagno di 1.02 eV [28] • O-2 + O → O3 + eK = 1.99×108 guadagno di 0.61 eV [28] • O-2 + O+2 → O2 + 2 O guadagno di 6.58 eV K = 2.90×1010 [28] • O2 + O2- → 2 O2 + e- guadagno di 0.46 eV K = 1.20×108 [28] • O+ + O- → 2 O guadagno di 9.59 eV K = 1.20×108 [28] 3.3.11 Scambio di carica • O+2 + O2 → O2 + O+2 [21] • O-2 + O2 → O2 + O-2 [21] In un processo di scambio di carica si assume che un elettrone salti dal neutro sullo ione, per diventare uno ione con velocità uguale a zero nel sistema di riferimento del neutro. Ritornando nel sistema di riferimento del laboratorio, il nuovo ione possiede la velocità 48 del neutro incidente, e il nuovo neutro acquista la velocità dello ione incidente. Nel nostro caso, lo ione prodotto è orientato a caso con velocità corrispondente all’energia traslazionale termica 3/2kT: 3kT mione v= (3.9) dove k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura traslazionale del gas. Si vedrà quindi come gli ioni prodotto acquistino maggiore velocità al centro della scarica, dove la temperatura è maggiore. 3.3.12 Momentum transfer • O- + O2 → O- + O2 • O+ + O2 → O+ + O2 σ(cm 10 4 10 3 10 2 momentum transfer O-/O2 -16 ) 1 10 scambio di carica O2+/O2 10 0 10 -1 10 -2 10 -3 10 -3 10 -2 10 -1 10 0 10 1 10 2 10 3 Energia(eV) Figura 3.10 Sezioni d’urto per scambio di carica e momentum transfer tra specie pesanti 49 3.3.13 Emissione secondaria Un altro meccanismo per cui nuovi elettroni possono entrare nel plasma è quello di emissione secondaria in seguito al bombardamento del catodo da parte degli ioni positivi. In input viene dato il coefficiente di emissione secondaria γ, pari a 0.30. Ancora una volta si estrae un numero casuale: se è minore di γ si verifica una emissione. 3.4 Verso l’equazione del calore La figura 3.11 illustra i canali di dissipazione dell’energia in una scarica RF in ossigeno così come sono considerati nel presente modello. Il punto di partenza è la densità totale di potenza elettrica dissipata per unità di volume nel bulk del plasma, mentre il punto di arrivo è l’energia dissipata sulle pareti e per irradiazione. Figura 3.11 Canali di dissipazione dell’energia 50 Il primo passo della dissipazione di potenza è l’accelerazione degli elettroni per mezzo del campo elettrico di scarica. Il secondo passo sono le collisioni inelastiche degli elettroni con le molecole di O2, che hanno come conseguenza la dissociazione o l’eccitazione. Durante la dissociazione da impatto elettronico, una frazione dell’energia è rilasciata in energia in eccesso dei frammenti atomici. Questi atomi di ossigeno “caldi” rilasciano rapidamente la loro energia cinetica in collisioni elastiche o inelastiche, andando nuovamente ad eccitare le molecole. Gli ioni sono poi accelerati verso le pareti. Durante questo trasporto diffusivo gli ioni possono dar luogo a reazioni esotermiche con altri ioni o molecole, per cui una frazione dell’entalpia dello stato fondamentale degli ioni sarà rilasciata nel gas [31]. I canali di perdita di questa energia sono i seguenti: - dissociazione da impatto elettronico - reazioni chimiche - diffusione - energia trasferita ai fotoni In particolare è stato stimato che il contributo alla dissipazione di potenza degli elettroni termici, dell’accelerazione degli elettroni secondari, e dagli ioni negli sheaths sia pari rispettivamente al 15%, al 5% e all’80% rispettivamente [32]. Si trascura il contributo dell’energia trasferita ai fotoni:la densità di potenza dell’emissione del plasma tra 300 e 900 nm, misurata con un radiometro, è pari ad una parte su 105 di tutta la potenza dissipata [33]. 51 Nel presente modello la temperatura delle pareti è fissata ed è una condizione al contorno per l’equazione di diffusione del calore nel corpo del plasma, che è uno degli obiettivi di questo lavoro. Ciononostante si è fatta una stima di quanta sia l’energia persa nelle collisioni ioni-parete. Ricordiamo inoltre che ci troviamo nel regime per cui il meccanismo dominante di dissipazione di potenza elettrica è il fenomeno di “wave riding” dovuto all’alternarsi di espansione e contrazione dello sheath. Questa energia persa si configura come un flusso di calore q dal plasma agli elettrodi. Esperimenti a diverse pressioni hanno mostrato che q è costante rispetto al tempo ad alla temperatura delle pareti [33]. Dal fatto che q è costante deriva che il contributo al flusso di calore delle molecole con elevata energia cinetica che colpiscono le pareti è piccolo. Gli elettroni che arrivano agli elettrodi hanno peraltro energie bassissime. Si può concludere quindi che il flusso di calore dal plasma agli elettrodi è causato quasi esclusivamente dal bombardamento di ioni positivi. Dato che l’energia degli ioni in prossimità delle pareti è dell’ordine di qualche centinaio di eV, possono essere tralasciate correzioni riguardanti la perdita di energia degli elettroni secondari, che hanno energie inferiori a pochi eV. Da quanto detto, si può concludere che il calcolo della temperatura nel plasma è un metodo valido per calcolare il flusso di energia dovuto agli ioni, una quantità che non è facilmente ottenibile con altri metodi. 52 3.5 L’equazione del calore 3.5.1 Il termine sorgente L’obiettivo è adesso quello di determinare come la dissipazione di energia elettrica influenzi la temperatura del plasma; dobbiamo cioè trovare una equazione da inserire nel programma di simulazione. L’equazione che fa al caso nostro è ovviamente l’equazione di diffusione del calore. Essa si presenta in due forme, una dipendente dal tempo, l’altra indipendente. L’equazione di cui ci serviremo è quella allo stato stazionario (vedi discussione alla fine del paragrafo 2.3). Inoltre, per gli stessi motivi ivi esposti, essa interverrà non certo in ogni ciclo temporale (dell’ordine di 10-11secondi), ma ogni 50000, parallelamente all’inserimento della cinetica, con l’avanzamento delle particelle neutre e il calcolo delle funzioni di distribuzione dell’energia. La forma di questa equazione è d dT k + S = 0 dx dx (3.10) dove k è la conduttività termica e S è il termine sorgente. La sorgente ha le dimensioni di un flusso di energia, ovvero Joule/m3sec. Quindi l’energia netta proveniente dalle collisioni va divisa per il tempo trascorso dall’ultima volta che essa è stata raccolta (nel nostro caso 50000 volte il time step) e per l’intervallo spaziale monodimensionale in cui questa energia è stata raccolta. Ricordiamo che essendo il nostro un modello unidimensionale l’energia raccolta nelle collisioni è già una energia per metro quadro, essendo le cariche stesse rappresentate come se fossero dei fogli di carica. 53 Per quanto riguarda le collisioni degli elettroni con O2 e O, e i processi di scambio di carica e momentum transfer tra ioni, ovvero quei processi che sono stati descritti tramite le loro sezioni d’urto, l’energia di attivazione o quella rilasciata è stata rispettivamente sottratta o aggiunta all’energia cinetica degli elettroni dopo la collisione. La variazione positiva o negativa dell’energia nel gas è stata quindi determinata confrontando l’energia cinetica delle particelle in ingresso ed in uscita dalla subroutine che tratta queste collisioni. Il bilancio di energia per gli altri processi è stato calcolato aggiungendo o sottraendo energia ogniqualvolta che si verificava ogni singolo processo. Il termine sorgente non è però costituito esclusivamente dai contributi provenienti dalle collisioni; deve infatti contenere anche l’altro canale di dissipazione dell’energia: l’irraggiamento. Studi sperimentali [33] hanno infatti mostrato come esso giochi un ruolo cruciale nella dispersione del calore. Il termine usato per tener conto dell’irraggiamento è la formula dell’irraggiamento da corpo nero, per cui il calore irraggiato da una superficie di area unitaria è dato da σ (T 4 − T04 ) (3.11) dove T0 è la temperatura del reattore e σ è la costante di StefanBoltzmann, pari a 5.67 × 10-8 W m-2 K-4. Nel considerare gli ultimi due contributi al termine sorgente, ovvero i processi caratterizzati dalla costante di velocità e l’irraggiamento, si è dovuto tener conto dell’effettivo volume tridimensionale della scarica. Le proprietà del plasma che andiamo ad 54 investigare con un modello unidimensionale sono grandezze intensive (densità, energia e velocità di ogni singola particella), quindi l’assunzione ovviamente irrealistica che la scarica misuri un metro quadro in due piani perpendicolari alla direzione lungo la quale avviene la simulazione non inficia il valore dei risultati ottenuti. Quando però si va ad inserire il termine dovuto all’irraggiamento, già l’analisi dimensionale mostra che, per ottenere un flusso di energia, espresso in W/m3, l’equazione 3.11 va moltiplicata per l’inverso di una distanza, ovvero per un rapporto tra la superficie che irradia e il volume in essa contenuto. Allo stesso modo, nel considerare l’energia rilasciata o assorbita da una reazione in una regione del nostro dominio unidimensionale, dobbiamo tener conto delle effettive dimensioni trasverse in m2 della scarica. Per questi dati, come del resto per la temperatura da fissare alle pareti, si è fatto riferimento ai reattori in [32] e [33], che sono del tipo e della misura più frequentemente utilizzati per la produzione del tipo di plasmi qui considerato e le cui misure nella direzione del diametro degli elettrodi sono state impiegate in modelli bidimensionali [34]. I reattori di cui sopra hanno elettrodi circolari aventi diametro di 30 cm spaziati di 2 cm (ed è proprio lungo la direzione che collega i due elettrodi che è sviluppata la nostra simulazione). 55 3.5.2 Conduttività La conduttività termica dipende dalla temperatura secondo la relazione [35] : T n J k = k0 T0 m ⋅ s ⋅ °K (3.12) con k0 = 2.4476 × 10-2 J/m⋅s ⋅°K e n = 0.87. Dato che il grado di ionizzazione e di dissociazione in questo plasma è basso, si può assumere che le variazioni relativamente piccole della composizione del gas mentre esso si trova nello stato di plasma abbiano effetti trascurabili sulle proprietà di conduzione di calore del gas. 56 CAPITOLO 4 DISCRETIZZAZIONE ED IMPLEMENTAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL CALORE 4.1 Forma generale dell’equazione da discretizzare La conduzione di calore stazionaria unidimensionale è governata dalla equazione d dT k + S = 0 dx dx (4.1) dove k è la conduttività termica, T è la temperatura e S è il tasso di generazione di calore per unità di volume . Per discretizzare l’equazione si impiega la griglia di figura 4.1. Figura 4.1 Agglomerato di punti griglia per il problema unidimensionale Focalizziamo l’attenzione sul punto P, che ha come vicini i punti E e W, rispettivamente nella direzione delle x crescenti e decrescenti. Le linee tratteggiate indicano le facce del volume di controllo , denotati con e e w. 57 Per il problema unidimensionale che stiamo considerando si assume spessore unitario nelle direzioni y e z. Quindi il volume di controllo ha volume ∆x×1×1. Integrando l’equazione 4.1 sul volume di controllo otteniamo e dT dT k − k + ∫ Sdx = 0 dx e dx w w (4.2) Allo stato attuale si assegna ad ogni punto della griglia un valore di temperatura che diventa il valore assunto in tutto il volume di controllo. Questa assegnazione restituisce un profilo a scala come in figura 4.2(a), per il quale la pendenza dT/dx non è definita ai lati del volume di controllo . Un profilo che non soffre di questa limitazione è quello lineare a tratti della figura 4.2(b) dove si è usata una interpolazione lineare tra i punti di griglia . Tuttavia una griglia abbastanza fitta da permettere stabilità in problemi ben più complessi quale è la nostra può garantire la quasi linearità del profilo di temperatura e possiamo quindi calcolare le derivate nell’ equazione 4.2 ottenendo k e (TE − TP ) k w (TP − TW ) − + S ∆x = 0 (δx ) e (δ x ) w (4.3) dove S è il valore medio di S sul volume di controllo . E’ utile riscrivere l’ equazione discretizzata nella forma : aPTP = aETE + aWTW +b (4.4) 58 dove aE = ke , (δx)e aw = kw , (δx) w (4.5) a P = a E + aW , b = S ∆x Figura 4.1 Due semplici tipologie di profilo. (a) a scala; (b) lineare a tratti 4.2 Regole di base A. Consistenza ai lati del volume di controllo Il flusso attraverso una faccia comune a due volumi di controllo deve essere rappresentato dalla stessa espressione nelle equazioni discretizzate per i due volumi . 59 B. Coefficienti positivi Il valore di una variabile dipendente in corrispondenza di un punto di griglia è influenzato dai valori ai punti confinanti tramite il processo di diffusione . Ovviamente un aumento del valore ad un punto , in assenza di altri cambiamenti , deve portare ad un aumento del valore al punto confinante , ovvero i coefficienti a devono avere lo stesso segno , che assumiamo positivo . C. Somma dei coefficienti confinanti Se l’ equazione 4.1 è soddisfatta da T essa deve essere anche essere soddisfatta da T+c , con c costante arbitraria . Questa proprietà dell’ equazione differenziale deve essere riflessa nell’ equazione discretizzata , ovvero l’equazione 4.1 deve rimanere valida quando TP , TE e TW sono aumentati di una costante , da cui segue aP=aE+aW (4.6) La nostra equazione ovviamente soddisfa questa regola , la quale implica che TP è una media pesata dei valori confinanti . Passiamo ora a vedere in dettaglio altri aspetti del problema della conduzione del calore in una dimensione . D. Spaziatura della griglia Per i punti di griglia mostrati in figura 4.1 non è necessario che le distanze (δx)e e (δx)w siano uguali , anzi a volte l’uso di una griglia nonuniforme è indicato per risparmiare tempo di macchina . In generale 60 si otterrà una soluzione accurata solo quando la griglia è sufficientemente fine , ovvero tanto piu fine quanto più è rapida la variazione di T con x . E. Conduttività all’ interfaccia Nell’ equazione 4.3 ke e kw rappresentano i valori della conduttività sulle facce e e w sulle facce del volume di controllo . Quando k è una funzione di x spesso conosciamo i valori di k in corrispndenza dei punti di griglia W , P , E e così via . Serve quindi un metodo per calcolare la conduttività all’ interfaccia , diciamo ke , in termini dei valori sui punti della griglia . Ovviamente questa discussione è irrilevante quando la conduttività è uniforme. Disuniformità nella conduttività possono sorgere dalla disomogeneità del materiale, o, come nel nostro caso, dalla distribuzione di temperatura. La procedura più immediata per ottenere la conduttività ke all’ interfaccia è assumere una variazione lineare di k tra i punti P ed E : k e = f e k p + (1 − f e )k E (4.7) dove il fattore di interpolazione fe è un rapporto definito in termini delle distanze mostrate in figura 4.3 : fe = (δx) e+ (δx) e (4.8) 61 Se l’ interfaccia e fosse esattamente a metà tra i punti di griglia , fe sarebbe 0.5 e ke sarebbe la media aritmetica di kP e kE . Questo semplice approccio porta ad implicazioni scorrette e non può affrontare correttamente gli improvvisi cambi di conduttività che si verificano nei materiali composti . Figura 4.3 Distanze associate all’interfaccia e Nel ricercare un’ alternativa ricordiamo che non è il valore locale della conduttività all’ interfaccia e che ci interessa direttamente . Il nostro obiettivo principale è di ottenere una buona rappresentazione del flusso di calore qe all’ interfaccia tramite qe = k e (TP − TE ) (δx) e (4.9) che è stata usata per ottenere l’ equazione discretizzata . L’ espressione cercata per ke è quella che porta ad un qe “corretto” . Immaginiamo che il volume di controllo che circonda il punto P sia riempito con un materiale di conduttività uniforme kP e quello intorno ad E con un materiale di conduttività kE . Per la “fetta” di 62 materiale compresa tra i punti P ed E , una analisi stazionaria unidimensionale (senza sorgenti ) porta a qe = TP − TE (δx) e − / k P + (δx) e + / k E (4.10) La combinazione delle equazioni 4.8 e 4.10 dà 1 − f −1 f e k e = + e kE kP (4.11) Quando l’ interfaccia è posta a metà tra P ed E si ottiene fe = 0.5 , ovvero ke = 2k P k E kP + kE (4.12) L’ equazione 4.12 mostra che ke è la media armonica di kP e kE piuttosto che quella aritmetica che darebbe la 4.7 quando fe = 0.5 . L’ uso dell eq. 4.11 nelle definizioni dei coefficienti 4.5 porta alla seguente espressione per aE : −1 (δx) δ x) ( e+ e− + aE = k P k E (4.13) Una espressione analoga sarà scritta per aW . Ovviamente aE rappresenta la conduttanza del materiale tra i punti P ed E . 63 La validità di questa formulazione è confermata dai sue seguenti casi limite : 1. Sia kE→0 . Quindi dall’equazione 4.11 , ke→ 0. (4.14) Questo implica che il flusso di calore attraverso una faccia di un isolante diventa zero, come dovrebbe, laddove invece la formulazione basata sulla media aritmetica avrebbe dato un flusso non nullo . Sia kP>>kE . Quindi : ke → kE fe 4.15) Questo risultato ha due implicazioni; la prima più immediata, la seconda più sottile. L’ equazione 4.15 indica che la conduttività all’interfaccia ke non dipende affatto da kP . Ciò è prevedibile dato che il materiale ad alta conduttività attorno al punto P offre una resistenza trascurabile rispetto a quella offerta dal materiale attorno ad E la formulazione basata sulla media aritmetica avrebbe trattenuto l’ effetto di kP su kE ) . L’altra implicazione è che ke non è uguale a kE , bensì il loro rapporto è 1/fe . Il nostro scopo è di ottenere un valore corretto di qe tramite l’ eq. 4.9 . L’uso dell’eq. 4.15 dà 64 qe = k E (TP − TE ) (δx) e + (4.16) Quando kP>>kE , la temperatura TP prevarrà fino all’ interfaccia e , e la caduta di temperatura TP – TE avrà luogo lungo (δ x)e+ . Perciò il valore corretto del flusso sarà quello dato dall’ eq. 4.16 . In altre parole il fattore fe nell’eq. 4.15 compensa l’ uso della distanza nominale (δ x)e nell’ eq. 4.9 . La considerazione di questi due casi limite mostra che la formulazione può far fronte a repentini cambi di conduttività senza richiedere una griglia eccessivamente fine in prossimità della discontinuità . La formula 4.11 per la conduttività all’ interfaccia è basata sulla situazione unidimensionale stazionaria senza termine sorgente in cui la conduttività varia secondo un profilo a gradini da un volume di controllo ad un altro . Ma anche in situazioni come la nostra con sorgente non nulla e con variazione continua di conduttività questa formula approssima molto meglio il reale comportamento [36]. 4.3 Nonlinearità L’ equazione di discretizzazione 4.4 è un’equazione algebrica lineare, risolvibile con i metodi appositi per tali equazioni . Tuttavia nel problema della conduzione del calore si incontrano spesso situazioni in cui si perde la linearità. Questo accade ad esempio quando k dipende da T , come nel presente caso, o quando la sorgente S è una funzione nonlineare di T . 65 In questi casi i coefficienti nella equazione di discretizzazione dipenderanno essi stessi da T . In queste situazioni la procedura da adottare è quella dell’ iterazione , che consiste dei seguenti passi : 1. Si parte da una stima o da un valore a caso per i valori di T in corrispondenza di tutti i punti di griglia . 2. Da questi valori di T si calcolano dei valori di prova dei coefficienti nell’ equazione di discretizzazione . 3. Si risolve l’ insieme , nominalmente lineare , di equazioni algebriche per ottenere nuovi valori di T . 4. Con questi nuovi valori di T come stime migliori si ritorna al passo 2 e si ripete il processo fino a che successive iterazioni cessano di ptodurre variazioni significative nei valori di T. Lo stato finale senza variazioni è chiamato convergenza delle iterazioni. * La soluzione convergente è proprio la soluzione corretta delle equazioni nonlineari , anche se ci si è arrivati risolvendo equazioni lineari . E’ in ogni caso possibile che successive iterazioni non convergano mai ad una soluzione . I valori di T possono allontanarsi sempre più o oscillare con ampiezza crescente . Questo processo è detto divergenza , e un buon metodo numerico deve minimizzare le possibilità che esso si verifichi. Di certo il rispetto delle tre regole derivate in precedenza è un buon passo verso la convergenza . * Alle volte il termine convergenza è usato per indicare il processo in seguito al quale successive regolazioni della griglia portano la soluzione numerica più vicina alla soluzione esatta . Questo aspetto sarà chiamato in questo lavoro ‘accuratezza’ della soluzione numerica , riservando la parola convergenza allo stato finale delle iterazioni qui descritte. 66 4.4 Condizioni al contorno Assumiamo che , nel nostro problema unidimensionale sia stata scelta la serie di punti di griglia mostrata in figura 4.4. C’è un punto di griglia su ciascuno dei due confini . Gli altri punti sono detti punti interni , attorno a ciascuno dei quali è mostrato un volume di controllo . Per ognuno di questi volumi di controllo può essere scritta una equazione discretizzata come la 4.4. Se consideriamo l’ equazione 4.4 come una equazione per TP, abbiamo le equazioni necessarie per tutte le temperature incognite in corrispondenza dei punti di griglia interni . Due di queste però contengono le temperature dei punti di griglia sui contorni . Attraverso il trattamento di queste temperature al contorno si introduconi le condizioni al contorno nello schema della soluzione numerica. Poniamo l’ attenzione sul punto B sul confine sinistro , che è adiacente al primo punto interno I , come mostrato in figura. Figura 4.4 Volumi di controllo per i punti interni e per il contorno In genere si incontrano tre tipi di condizioni al contorno nei problemi di conduzione del calore . Essi sono : 67 1. Data temperatura sul contorno 2. Dato flusso di calore in corrispondenza del contorno 3. Flusso di calore in corrispondenza del contorno specificato da un coefficiente di trasmissione del calore e dalla temperatura del fluido circostante Se è data la temperatura del contorno ( ovvero si conosce il valore di TB) , non ci sono particolari difficoltà e non sono richieste ulteriori equazioni . Quando non è specificata la temperatura al contorno bisogna costruire una equazione supplementare per TB integrando l’equazione differenziale sul ‘mezzo’ volume di controllo adiacente al contorno (fig.4.5) . Figura 4.5 Mezzo volume di controllo adiacente al contorno Si ottiene q B − qi + S∆x = 0 (4.17) dove il flusso di calore q sta per –k dT/dx . Il flusso all’ interfaccia qi può essere scritto come si è fatto nell’equazione 4.9 . Il risultato è : 68 qB − k i (TB − TI ) + S∆x = 0 (δx) i (4.18) Una ulteriore implementazione di questa equazione dipende da quanto è dato circa il flusso di calore al contorno qB . Se il suo valore è dato, l’ equazione per TB diventa a B TB = a I TI + b (4.19) dove aI = ki , (δx ) i b = S∆x + q B , (4.20) aB = aI Se il flusso di calore qB è specificato in termini di un coefficiente di trasmissione di calore h e una temperatura del fluido circostante Tf tale che q B = h(T f − TB ), (4.21) l’ equazione per TB diventa a BTB = a I TI + b, (4.22) 69 dove aI = ki , x δ ( )i b = S∆x + hT f , (4.23) aB = aI + h 70 4.5 Risoluzione delle equazioni algebriche I metodi per risolvere le equazioni algebriche si dividono in diretti o iterativi . Il più semplice dei metodi diretti è il metodo TDMA (TriDiagonal Matrix Algorithm), cosiddetto perchè scrivendo la matrice dei coefficienti delle equazioni , tutti i valori diversi da zero si allineano su tre diagonali della matrice *. Questo metodo usa una relazione di ricorrenza che permette di risolvere le equazioni dall’ultima alla prima . I metodi diretti sono accettabili nella risoluzione di equazioni lineari , ma quando le equazioni vanno risolte ripetutamente con coefficienti aggiornati essi portano ad un elevato spreco di tempo e di memoria della macchina . Inoltre diventano eccessivamente complicati e dispendiosi passando a più dimensioni . L’alternativa è data dai metodi iterativi , che richiedono molta meno memoria e sono particolarmente indicati nel trattare la nonlinearità . Infatti in un problema non lineare non è necessario nè saggio portare la soluzione delle equazioni algebriche alla convergenza finale per un insieme di valori fissi per i coefficienti . Una volta scelto un primo insieme di questi valori , bastano poche iterazioni dell’algoritmo risolvente prima che venga effettuato l’aggiornamento dei coefficienti . In generale ci vuole un certo equilibrio tra lo sforzo richiesto per calcolare i coefficienti e quello richiesto per risolvere le equazioni . Non è certo sensato spendere troppo nel risolvere equazioni basate su coefficienti che sono solo un tentativo . La base di tutti i metodi iterativi è il metodo di Gauss-Seidel in cui i valori della variabile sono calcolati visitando in un dato ordine * Ciò avviene perchè ci si riferisce ai valori nel punto in interesse e nei suoi due punti adiacenti 71 tutti i punti della griglia [37]. Nella memoria del calcolatore rimane solo un insieme di valori di T per volta . All’inizio questi rappresentano la stima iniziale o i valori che vengono dalla precedente iterazione . Man mano che si arriva su ogni punto della griglia , il corrispondente valore di T nella memoria della macchina è variato in questo modo : - se l’equazione discretizzata è scritta aPTP = aETE + aW TW + b (4.24) il valore di T al punto P sarà dato da : aETE* + aW TW* + b TP = aP (4.25) dove T*E,B sono i valori in corrispondenza dei punti limitrofi immagazzinati nella memoria . Per punti vicini che sono già stati visitati nell’iterazione corrente , T* è il valore appena calcolato , per punti vicini che devono ancora essere visitati , T* è il valore che viene dalla iterazione precedente . Quando tutti i punti sono stati visitati in questo modo , è stata completata una iterazione del metodo di GaussSeidel . Per illustrare il metodo , consideriamo due semplici esempi . Equazioni : T1 = 0.4T2 + 0.2 (4.26) T2 = T1 + 1. 72 Soluzione : Iterazione n. 0 1 2 3 4 T1 0 0.2 0.68 0.872 T2 0 1.2 1.68 1.872 5 ... ∞ 0.949 0.980 ... 1.0 1.949 1.980 ... 2.0 Si può vedere che , partendo con un valore arbitrario ci si è potuti avvicinare all’esatta soluzione delle equazioni . Un aspetto interessante dei metodi iterativi è che la precisione dei calcoli non deve essere necessariamente elevata nei passaggi intermedi . I calcoli approssimati , e anche gli errori , tendono a essere eliminati , dato che i valori intermedi sono usati semplicemente come stime per la successiva iterazione . Ricaviamo ulteriori informazioni dal seguente esempio . Equazioni : T1 = T2 − 1, (4.27) T2 = 2.5T1 − 0.5 Soluzione : Iterazione n. 0 1 2 3 4 T1 0 -1 -4 -11.5 -30.25 T2 0 -3 -10.5 -29.25 -76.13 Non sembra che ci siano molte speranze . Qui il processo di iterazione è andato incontro a divergenza . 73 Dopotutto le equazioni 4.27 altro non sono che versioni riarrangiate delle equazioni 4.26, per le quali si era ottenuta la convergenza , che quindi non è sempre garantita dal metodo di GaussSeidel . Scarborough ha formulato un criterio che, se soddisfatto, assicura la convergenza . Criterio di Scarborough . Una condizione sufficiente per la convergenza del metodo di Gauss-Seidel è ∑ av aP ≤1 (4.28) per tutte le equazioni tranne almeno una per cui l’uguaglianza deve valere in senso stretto , con av che rappresenta il coefficiente di T per i punti vicini , in questo caso E e W . Commenti : 1. Il criterio è una condizione sufficiente , non necessaria . Ovvero può essere talvolta violato ottenendo comunque la convergenza. 2. Alcune delle regole base, che sono state motivate da considerazioni fisiche, soddisfano le richieste del criterio di Scarborough . Ad esempio se uno dei coefficienti fosse negativo, aP , che nel nostro caso è uguale a Σav , avrebbe un modulo minore di Σ|av|, portando ad una violazione del criterio. 3. Quando, come nel nostro caso, aP = Σav, e tutti i coefficienti sono positivi, otteniamo, per tutte le equazioni, Σ|av|/|aP| = 1 . In che caso, 74 quindi, il rapporto è minore dell’unità? La risposta è nelle condizioni al contorno. Affinchè il problema abbia una determinata soluzione, la temperatura deve essere specificata per almeno un punto sul contorno. L’equazione discretizzata in cui questo punto appare come uno dei punti vicini implica Σ|av|/|aP|<1. Questo perchè Σ|av| va calcolato come somma dei coefficienti dei vicini incogniti; d’altro canto aP è la somma di tutti i coefficienti dei punti confinanti incluso quello del punto sul contorno. 4.6 Sovrarilassamento e sottorilassamento Nella soluzione iterativa delle equazioni algebriche o nello schema iterativo usato per trattare la nonlinearità è spesso conveniente , anche alla luce di quanto si è detto sull’equilibrio tra sforzi per calcolare i coefficienti e sforzi per calcolare i valori di T , accelerare o rallentare i cambiamenti dei valori della variabile dipendente da una iterazione all’altra . Questo processo è detto sovrarilassamento o sottorilassamento a seconda che le variazioni siano accelerate o rallentate . Il sovrarilassamento è spesso usato in coppia con il metodo di Gauss-Seidel prendendo il nome di SOR (Successive OverRelaxation) . Il sottorilassamento è uno strumento molto utile per problemi non lineari [38] . Vediamo come viene modificata la nostra equazione . Si parte da TP = aETE + aW TW + b aP (4.29) 75 Sommando e sottraendo il valore TP* (che come si è detto rappresenta il valore di TP proveniente dalla precedente iterazione) dal secondo membro si ottiene : a T +a T +b * E E W W − TP TP = T + aP * P (4.30) dove il contenuto della parentesi è proprio la variazione di TP prodotta dall’iterazione corrente . Questa variazione può essere modificata introducendo un fattore di rilassamento α , ovvero a T +a T +b * E E W W TP = T + α − TP aP * P (4.31a) cioè aP a TP = a E TE + aW TW + b + (1 − α ) P TP* α α (4.31b) Notiamo in primo luogo che quando le iterazioni convergono, ovvero TP diventa uguale a TP*, la 4.31a implica che i valori di T soddisfano l’equazione originale 4.29 . Questa è una proprietà che ogni schema di rilassamento deve possedere; la soluzione finale deve soddisfare l’equazione di discretizzazione comunque si sia arrivati alla convergenza . 76 Quando il fattore di rilassamento α è compreso tra 0 e 1 il suo effetto è il sottorilassamento , ovvero i valori di TP sono più vicini a TP* . Quando α è maggiore di 1 si ha sovrarilassamento . Non vi sono regole generali per la scelta del migliore valore di α . In questo caso si è scelto il sottorilassamento trattandosi di un caso di nonlinearità , e si è posto α uguale a 0.8 . 4.7 Forma finale dell’ equazione discretizzata Partiamo dall’equazione 4.4 . Combinando la 4.5 con la 4.12 si ottiene : aP = k(TP )k(TW ) 2 k(TP )k(TE ) + ∆x k(TP ) + k(TE ) k(TP ) + k(TW ) aW = 2 k(TP )k(TW ) ∆x k(TP ) + k(TW ) aE = (4.32) 2 k(TP )k(TE ) ∆x k(TP ) + k(TE ) e la forma finale dell’equazione discretizzata è quindi : 77 k(TP )k(TW ) TP 2 k(TP )k(TE ) + = ∆ x k(TP ) + k(TE ) k(TP ) + k(TW ) α = 2 k(TP )k(TW ) T + ∆ x k(TP ) + k(TW ) W + 2 k(TP )k(TE ) T + SP ∆ x + ∆x k(TP ) + k(TE ) E k(TP )k(TW ) * (1 − α ) 2 k(TP )k(TE ) + + T α ∆x k(TP ) + k(TE ) k(TP ) + k(TW ) P 78 (4.33) CAPITOLO 5 RISULTATI La simulazione è stata condotta utilizzando due versioni differenti del programma: una in cui la temperatura del gas era fissata pari a 300 ºK e una in cui è stata inserita l’equazione del calore discretizzata, che conduce ad un profilo non costante di temperatura. Parte di questo capitolo sarà dedicata alle differenze riscontrate confrontando i risultati ottenuti, laddove queste ultime sono più significative. Inoltre saranno discussi aspetti relativi alle scariche a radiofrequenza in ossigeno evidenziati da entrambi i programmi. Sono stati simulati circa 1900 cicli RF, sufficienti a raggiungere la stabilità, condizione quest’ultima assicurata dal fatto che il numero di particelle simulate non varia che in minima parte all’aumentare dei passi di calcolo. Si passano adesso in rassegna i diversi parametri di plasma. 5.1 Temperatura La temperatura che si ottiene quando l’energia depositata o assorbita a seguito delle varie reazioni e collisioni viene inserita come sorgente nell’equazione allo stato stazionario per la diffusione del calore mostra il profilo riportato in figura 5.1. L’analisi di Fourier assicura che la forma del profilo di temperatura è la stessa del profilo del termine sorgente. Si evince che la maggior parte dell’energia viene depositata al centro del glow, e questo viene spiegato da una analisi comparata dei profili di densità e di temperatura delle varie specie che mostra che per quanto gli ioni abbiano maggiore energia in 79 corrispondenza degli sheath, la loro densità, così come quella degli elettroni, è molto maggiore al centro. A tale proposito si veda in seguito il paragrafo dedicato all’energia depositata dalle diverse reazioni. Con le pareti del reattore fisse a 300 ºK , i risultati ottenuti Temperatura del gas (Kelvin) sono in perfetto accordo con quelli misurati sperimentalmente [33]. 2 5,0 10 2 4,5 10 2 4,0 10 2 3,5 10 2 3,0 10 2 2,5 10 0 0 10 5 10 -3 1 10 -2 2 10 -2 2 10 -2 posizione (m) Figura 5.1 Temperatura del gas 5.2 Potenziale L’andamento del potenziale medio è mostrato in figura 5.2. Esso è stato ottenuto mediando tutti i valori del potenziale calcolati dal PIC ad ogni ciclo. Il profilo è simmetrico in accordo con la geometria del reattore qui simulato. 80 In corrispondenza degli elettrodi il potenziale medio è chiaramente nullo. A causa della maggiore velocità degli elettroni, che diffondono più rapidamente verso le pareti, il plasma al centro del glow si ritrova con una prevalenza di carica positiva e quindi con un potenziale medio più elevato rispetto agli elettrodi. Peraltro, considerando la velocità con cui le cariche positive e negative arrivano agli elettrodi, si ha un flusso di carica netto pari a zero. Il potenziale di plasma Vp si assesta ad un valore pari a circa 0.4 VRF, in accordo con la teoria[39]. Potenziale potenziale medio (V) 100 80 60 40 20 0 0 0 10 1 10 -2 posizione (m) Figura 5.2 Potenziale medio in funzione dalla posizione 81 2 10 -2 5.3 Densità In figura 5.3 è riportata la densità degli elettroni. L’avvallamento al centro è dovuto all’inerzia degli ioni negativi al centro del plasma, per cui gli elettroni “vedono” una maggiore carica negativa al centro e non vi si posizionano per assicurare la neutralità [40]. Il numero di elettroni si riduce drasticamente in corrispondenza degli elettrodi a causa della diffusione ambipolare e della formazione dello sheath. Per quanto riguarda lo studio a due diverse temperature, si vede che il numero di elettroni al centro della scarica è circa del 20% maggiore nel caso di temperatura variabile, quindi laddove il profilo di temperatura raggiunge il massimo, mentre la densità si mantiene costante nelle regioni di diffusione. Ci sono due processi principali che conseguono all’aumento di temperatura, e che producono effetti contrastanti: da un lato ad una temperatura maggiore corrisponde una maggiore diffusione, e questo porterebbe ad una diminuzione del numero di elettroni nel centro del plasma; d’altra parte con la temperatura cresce anche il numero di collisioni, che portano ad un intrappolamento degli elettroni nella regione ambipolare. Nel caso in analisi prevale quest’ultimo effetto. 82 densità elettroni 14 -3 elettroni (m ) 10 10 T variabile T costante 13 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.3 Densità elettronica a due temperature Le figure da 5.4 a 5.7 mostrano la densità degli ioni. Anche in questo caso la densità è maggiore al centro, in quanto gli ioni vengono prodotti in primo luogo per impatto elettronico. L’effetto della temperatura è pressochè ininfluente sugli ioni negativi, mentre porta ad una diversa densità gli ioni positivi, in particolare gli O+ nei pressi degli sheath. Questi fenomeni trovano spiegazione nelle seguenti considerazioni: - gli ioni O2- sono prodotti per dissociazione dell’O3 o per scambio di carica tra O- e O2: l’ozono è una specie relativamente pesante e quindi poco mobile; gli ioni negativi, dopo essere stati prodotti, vengono sospinti verso il centro del plasma dal campo ambipolare . Da questo segue che gli ioni negativi vengono poco influenzati dalle variazioni di temperatura. - gli ioni positivi sono invece maggiormente accelerati verso gli elettrodi, in seguito agli effetti cooperativi del campo ambipolare e 83 della maggiore velocità termica. Gli ioni O+, più leggeri degli O2+ si perdono con maggiore velocità. densità ioni O2 + T costante 10 15 2 + -3 ioni O (m ) T variabile 14 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 -2 1,0 10 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.4 Densità degli ioni O2+ densità ioni O 10 14 - -3 ioni O(m ) 10 - 15 10 10 13 T costante T variabile 12 11 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 posizione (m) 84 -2 1,5 10 -2 2,0 10 densità ioni O+ 10 -3 ioni O(m ) 10 12 11 + 10 13 10 10 10 9 T variabile T costante 8 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 -2 1,0 10 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.5 Densità degli ioni O+ 10 - 14 2 - -3 ioni O (m ) 10 densità ioni O2 15 10 10 13 T costante T variabile 12 11 10 0 0,0 10 -3 5,0 10 -2 1,0 10 posizione (m) Figura 5.6 Densità degli ioni O2- 85 -2 1,5 10 -2 2,0 10 densità ioni O 10 10 12 11 + -3 ioni O(m ) 10 + 13 10 10 10 9 T variabile T costante 8 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.7 Densità degli ioni O+ 5.4 Energia media Le figure da 5.8 a 5.10 riportano l’energia media delle tre specie più rappresentate nella presente simulazione: elettroni, ioni O2+ e ioni O-. Osservando l'energia cinetica media delle particelle, notiamo ancora come la fenomenologia sperimentale viene riprodotta da principi primi: gli elettroni hanno energia media dell'ordine dell'eV nel centro della scarica, dove gli ioni sono invece ad energie termiche. Questo accade perché gli elettroni, molto leggeri, traggono energia dal forte campo elettrico nella regione dello sheath e la trasportano per diffusine nel centro della scarica. Si ha quindi un regime di riscaldamento non locale, a differenza di quanto avviene nelle scariche 86 ad elevata pressione (in cui la diffusione è poco importante) dove l'energia media degli elettroni è determinata dal campo elettrico locale. Gli ioni, molto più pesanti, si muovono più lentamente e sono caratterizzati da più bassi coefficienti di diffusione per cui il trasporto di energia nel bulk è molto meno importante. Inoltre gli ioni trasferiscono molta energia negli urti elastici con le altre particelle pesanti, a differenza di quanto accade per gli elettroni. Questo spiega perché nel bulk gli ioni abbiano energie termiche. Nelle regioni periferiche si ha una moderata diminuzione dell'energia elettronica ed un vistosissimo aumento dell'energia degli ioni positivi, che vengono accelerati verso gli elettrodi dal campo di sheath ed ivi raggiungono la massima energia. energia degli elettroni 1 3,0 10 1 energia (eV) 2,5 10 1 2,0 10 1 1,5 10 1 1,0 10 T variabile T costante 0 5,0 10 0 0,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.8 Energia media degli elettroni Per quanto detto in precedenza, gli elettroni acquistano maggiore energia cinetica lungo tutta la scarica a causa della aumentata temperatura. 87 energia degli ioni O- energia (eV) 10 10 10 2 1 0 T variabile T costante -1 10 0 0,0 10 -3 5,0 10 -2 -2 1,0 10 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.9 Energia media degli ioni O2+ energia (eV) 10 10 10 10 energia ioni O2 2 + T variabile T costante 1 0 -1 -2 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.10 Energia media degli ioni O- Gli ioni O2+ sono poco influenzati dall’aumento di temperatura, al contrario di quanto avviene per gli ioni O- nei pressi degli sheath. Questo aumento di energia cinetica può indicare un abbassamento della 88 buca di diffusione ambipolare, al quale bordo peraltro gli ioni arrivano con velocità maggiore in quanto trovano un gas maggiormente rarefatto in seguito alla temperatura più elevata. 5.5 Velocità di deriva I grafici della velocità di deriva, da figura 5.11 a figura 5.15, mostrano chiaramente che la scarica a piatti paralleli in esame opera in regime di diffusione ambipolare, in cui il movimento degli elettroni è condizionato da quello degli ioni che, essendo più pesanti, diffondono più lentamente. Infatti ioni ed elettroni hanno ovunque velocità di deriva con lo stesso segno, contrariamente a quanto avverrebbe se avessimo invece un trasporto convettivo dominato dall'energia locale. velocità degli elettroni 5 6,0 10 5 velocità (m/s) 4,0 10 T variabile T costante 5 2,0 10 0 0,0 10 -2,0 10 -4,0 10 5 5 5 -6,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.11 Velocità di deriva degli elettroni Guardando il grafico della velocità degli elettroni, si nota che questi ultimi non sono accelerati dall’aumento di temperatura, in 89 accordo con quanto si era detto a proposito della densità, ovvero che la diffusione è fortemente limitata dalle collisioni. velocità ioni O2 4 + 4,0 10 4 T variabile T costante velocità (m/s) 3,0 10 4 2,0 10 4 1,0 10 0 0,0 10 -1,0 10 -2,0 10 -3,0 10 4 4 4 4 -4,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 -2 1,0 10 -2 1,5 10 2,0 10 posizione (m) Figura 5.12 Velocità di deriva degli ioni O2+ lungo tutta la scarica velocità ioni O2 2 + 4,0 10 2 velocità (m/s) 3,0 10 T variabile T costante 2 2,0 10 2 1,0 10 0 0,0 10 -1,0 10 -2,0 10 -3,0 10 -4,0 10 2 2 2 2 -3 6,0 10 -3 -2 8,0 10 1,0 10 -2 1,2 10 -2 1,4 10 posizione (m) Figura 5.13 Velocità di deriva degli ioni O2+ in prossimità del centro della scarica 90 Dalla figura 5.12 si evince che gli ioni O2+, pur entrando nello sheath con una energia maggiore quando la temperatura è più elevata, non raggiungono velocità maggiori rispetto al caso di temperatura costante, ma sono addirittura rallentati dalle collisioni. La figura 5.13 mostra l’andamento della velocità all’interno del bulk. È interessante notare come nel caso di temperatura variabile siano evidenziati dei cambi di segno della derivata. Questo fenomeno evidenzia l’esistenza di un doppio strato di carica dovuto al richiamo di cariche negative conseguente all’espansione e restringimento dello sheath. Gli ioni negativi pesanti vengono richiamati più lentamente degli elettroni, andando così a formare un secondo sheath. Per quanto riguarda gli ioni O-, essi vengono accelerati molto di più all’aumentare della temperatura, come mostra la figura 5.14. In questo caso, oltre alla minore massa rispetto agli ioni O2+, le collisioni e le ricombinazioni sono molto meno presenti. velocità ioni O - 6 3,0 10 6 velocità (m/s) 2,0 10 T variabile T costante 6 1,0 10 0 0,0 10 -1,0 10 6 6 -2,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 posizione (m) Figura 5.14 Velocità di deriva degli ioni O- 91 -2 1,5 10 -2 2,0 10 velocità ioni O - 4 3,0 10 T costante 4 velocità (m/s) 2,0 10 4 1,0 10 0 0,0 10 -1,0 10 -2,0 10 4 4 4 -3,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.15 Velocità di deriva degli ioni O- a temperatura costante Per maggiore chiarezza la figura 5.15 mostra l’andamento della velocità degli ioni O- a temperatura costante, che non era ben evidenziato nella figura precedente a causa della diversa scala. 92 5.5 Densità, energia e velocità in un ciclo RF I parametri di plasma sopra riportati si riferiscono a medie su valori campionati per un periodo di tempo corrispondente a diversi cicli di radiofrequenza. È interessante vedere come questi parametri variano all’interno di un singolo ciclo. posizione (cm) 2.00 1e+11 2.16e+14 (log) elettroni per m3 1.50 1.00 0.50 0.00 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 cicli rf Figura 5.16 Variazione della densità degli elettroni in un ciclo RF Come è evidente dalla figura, gli elettroni rispondono istantaneamente al campo applicato, e penetrano completamente in ognuno dei due sheath una volta per ogni ciclo. Gli ioni invece mantengono una densità costante. La figura 5.17 conferma questa previsione per gli ioni O2+ (analoga situazione si ha per gli altri ioni). posizione (cm) 2.00 8.88e+13 1.33e+15 (log) ioni o2+ per m3 1.50 1.00 0.50 0.00 0.00 0.20 0.40 0.60 cicli rf Figura 5.17 Densità degli ioni O2+ in un ciclo RF 93 0.80 1.00 Analogo andamento ci si aspetta dall’energia e dalla velocità, ovvero le informazioni interessanti provengono soltanto dallo studio di questi parametri negli elettroni. posizione (cm) 2.00 1 15 (log) energia elettroni (eV) 1.50 1.00 0.50 0.00 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 cicli rf posizione (cm) cicli rf Figura 5.18 Energia degli elettroni in un ciclo RF posizione (cm) 2.00 -5e+05 5e+05 velocità degli elettroni 1.50 1.00 0.50 0.00 0.00 0.20 0.40 0.60 cicli rf Figura 5.19 Velocità degli elettroni in un ciclo RF 94 0.80 1.00 5.6 Funzione di distribuzione dell’energia degli elettroni (EEDF) Come detto in precedenza, ci si aspetta in questo tipo di plasma una eedf non maxwelliana. Questo perché durante la contrazione dello sheath e il conseguente avanzamento del fronte elettronico, vengono prodotti degli elettroni “caldi” ad alta velocità. La eedf dovuta a questi elettroni si combina con quella degli elettroni “freddi”, portando ad un cambiamneto di pendenza nella funzione di distribuzione. La figura 5.20 riporta la eedf in diverse posizioni. eedf -1 10 -2 10 -3 x= x= x= x= eedf (eV -3/2 ) 10 0 0,0 10 1 1,0 10 0.12 cm 0.36 cm 0.6cm 0.84 cm 1 2,0 10 energia (eV) Figura 5.20 eedf in diverse posizioni Si evince dalla figura che la eedf, per quanto non maxwelliana, non mostra una elevata differenza tra le due temperature, e questa differenza tende a diminuire allontanandosi dallo sheath, dove gli 95 elettroni sono più energetici e le due temperature si equilibrano maggiormente. Si nota una competizione fra fenomeni di collisione inelastica, che tendono a fare abbassare la cosiddetta "coda" della distribuzione ad alta energia, ed il processo di scambio di energia tra elettroni e campo di sheath, che produce un innalzamento della coda. Tra i processi di collisione, quelli inelastici sono naturalmente più efficaci poiché sottraggono all'elettrone gran parte della sua energia. La diversità delle sezioni d'urto dei processi e la disomogeneità del campo elettrico nella scarica RF generano la ricchezza di comportamenti osservabile nelle figure. Spostandosi dagli sheath verso il bulk si nota un innalzamento della coda della eedf, ovvero il numero di collisioni inelastiche che subiscono gli elettroni è minore mentre tende a prevalere lo scambio di energia. energia(eV) 40 1e-05 0.3 (log) eedf (eV -3/2) 30 20 10 0 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 cicli rf Figura 5.21 EEDF in un ciclo RF Nel corso di un ciclo RF si nota una lieve modulazione della eedf per alti valori di energia, corrispondente agli elettroni “caldi” prodotti nelle ondulazioni dello sheath. 96 5.7 Funzione di distribuzione di energia degli ioni (IEDF) Il modello del trasporto degli ioni positivi attraverso gli sheats è basato su tre assunzioni fondamentali, che sono verificate in questa simulazione: - la densità ionica ni nello sheath è costante nel tempo; - gli elettroni hanno mobilità infinita: reagiscono istantaneamente al campo elettrico oscillante; - il processo dominante tra ione e neutra nello sheath è lo scambio di carica. Le prime due assunzioni sono giustificate dal fatto che la frequenza rf usata in questa simulazione è alta rispetto alla frequenza di plasma degli ioni ωp+ ma è bassa rispetto alla frequenza di plasma degli elettroni ωp-. Accade quindi che la densità degli ioni è determinata da potenziali mediati nel tempo mentre gli elettroni seguono all’istante l’alternare del potenziale (fig. 5.16). Per quanto riguarda lo scambio di carica, da un’analisi della sezione d’urto e dell’energia degli ioni si vede che anche a pressioni relativamente basse (100 mTorr) e temperatura inferiore ai 500 °K il libero cammino medio è dell’ordine del millimetro, ovvero il processo è molto probabile. In seguito alla modulazione del potenziale nello sheath gli elettroni dal plasma penetrano periodicamente nello sheath e compensano il flusso di ioni positivi sul catodo. Sia xe(t) la posizione del fronte di elettroni. Per l’infinita mobilità degli elettroni, il campo elettrico E(x) è zero per x≤xe e il potenziale V(x) è uguale al potenziale di plasma. Per x>xe la densità elettronica ne(x) va a zero e la distribuzione del potenziale è determinata dall’equazione di Poisson, 97 d 2V e ni ( x) = − dx 2 ε0 . (5.1) I processi di scambio di carica portano alla creazione di ioni termici nello sheath lasciando invariato il flusso ionico totale. Se uno ione viene creato da un processo di scambio di carica nella posizione S0, raggiungerà il catodo con una probabilità exp[-α(1-S0)] dove α =d/λ è il rapporto tra lo spessore dello sheath ed il libero cammino medio. L’energia di impatto Eimp(S0,,ϕ0) di tale ione è una funzione della posizione di partenza S0 e dell’angolo di fase rf ϕ0 al momento della creazione. Se invece uno ione entra nello sheath dal plasma e raggiunge il catodo senza collisioni, l’energia di impatto sarà funzione della velocità iniziale v0 e nuovamente dell’angolo di fase. La sezione d’urto dello scambio di carica può ritenersi pressochè indipendente dall’energia, per cui la velocità di creazione di ioni termici è costante nello sheath. Ne segue una espressione per la distribuzione dell’energia del tipo : I(E)dE ≈ α ∫ exp[−α(1 − S )]dS dϕ 0 0 0 + E imp ∈[ E, E + dE ] + exp(− α ) ∫[ f (v ] )dv dϕ 0 E imp ∈ E, E + dE 0 0 (5.2) dove f(v0) è la distribuzione di velocità degli ioni normalizzata ad 1 in corrispondenza del confine tra plasma e sheath. Il primo termine descrive il contributo degli ioni creati nello sheath, il secondo rappresenta gli ioni che entrano nello sheath dal plasma e raggiungono l’elettrodo senza collisioni. I due tipi di ioni sono descritti come ioni 98 secondari e primari rispettivamente. Il contributo degli ioni primari porta ad un profilo “a sella” della IEDF, dove i due picchi rappresentano il massimo e il minimo dell’energia raggiunta dagli ioni che seguono in misura minima le oscillazioni del potenziale applicato. Come detto sopra, l’energia d’impatto degli ioni secondari dipende dalla posizione e dall’angolo di fase di partenza. Ci si aspetta un picco nella distribuzione di energia degli ioni quando si annullano le derivate prime dEimp/dS0 e dEimp/dϕ0. La dipendenza di Eimp da ϕ0 è mostrata in fig.5.22 [40]. Per S0 fissata, l’energia di impatto è una funzione periodica di ϕ0. Oltre ai due estremi Emin ed Emax si trova una regione centrata attorno a ϕ0=0 in cui dEimp/dϕ0 =0. Questa regione ∆ϕ0 corrisponde a ioni che sono stati creati nella regione oltre il fronte elettronico in cui il campo elettrico totale è uguale a zero. Per questi ioni quindi c’è un ritardo tra la creazione e l’accelerazione, che porta l’energia d’impatto ad esere indipendente dall’angolo di fase ϕ0 quando quest’ultimo è circa uguale a zero. Ci sono quindi tre diverse energie che soddisfano la condizione necessaria per avere un picco nella IEDF dEimp/dϕ0 =0. Queste tre energie sono indicate con Emax , Emin e Eϕ=0. Figura 5.22 Dipendenza dell’energia ionica dall’angolo di fase iniziale 99 La fig. 5.23 mostra la dipendenza di Emax , Emin ed Eϕ=0 dalla posizione di partenza S0. Mentre le prime due decrescono in maniera continua all’aumentare di S0, Eϕ=0 mostra una serie di estremi per i quali sono verificate entrambe le condizioni dEimp/dS0=0 e dEimp/dϕ0=0. A questi estremi si possono far corrispondere picchi nella IEDF, e ricondurre in ultima analisi l’origine dei picchi agli ioni creati per ϕ0=0, ovvero quando il campo elettrico nello sheath è trascurabile. Ovviamente il numero di picchi è strettamente correlato al numero di cicli rf impiegati dagli ioni per attraversare lo sheath, quindi è possibile ottenere una informazione diretta sul tempo di transito osservando la IEDF. Figura 5.23 Dipendenza dell’energia ionica dalla posizione di partenza e dal tempo di transito 100 Le figure riportano le funzioni di distribuzione dell’energia degli ioni O2+ risultanti dalla simulazione, in diverse posizioni e per due temperature. iedf ioni O2 -2 + 2,0 10 x= 0.12 cm x= 0.2 cm -2 x=0.28 cm -3/2 iedf (eV ) 1,5 10 -2 1,0 10 -3 5,0 10 0 0,0 10 0 8,0 10 1 1,6 10 1 1 2,4 10 3,2 10 energia (eV) Figura 5.24 Picchi nella IEDF degli O2+ in prossimità delle pareti iedf ioni O2 -2 + 2,0 10 x= 0.4 cm x= 0.48 cm x= 0.56 cm -2 -3/2 iedf (eV ) 1,5 10 -2 1,0 10 -3 5,0 10 0 0,0 10 0 8,0 10 1 1,6 10 1 2,4 10 energia (eV) Figura 5.25 Picchi nella IEDF degli O2+ allontanandosi dallo sheath 101 1 3,2 10 iedf ioni O2 x = 0.64 cm x = 0.76 cm x = 0.88 cm 0 -3/2 iedf (eV ) 10 + 10 -1 -2 10 0 0 10 4 10 0 8 10 0 1 10 1 energia (eV) Figura 5.26 Progressiva perdita di struttura della IEDF degli O2+ verso il bulk Dalla figura 5.24 è evidente che i picchi hanno maggiore intensità per energie minori, in accordo con tutte le distribuzioni di energia in questi plasmi. I picchi sono inoltre più alti e più ravvicinati man mano che ci si allontana dalla parete: questo fenomeno è dovuto alla diversa velocità degli ioni lungo lo sheath. La regolarità della variazione di spaziatura tra picchi successivi per diverse posizioni è indice di una correlazione di fase tra velocità di ingresso nello sheath e angolo di fase RF. Le figure 5.35 e 5.26 mostrano la perdita della struttura della IEDF quando ci si allontana dallo sheath: a centro plasma gli ioni sono praticamente tutti termici, come si evince anche dai grafici sull’energia. Per quanto riguarda lo studio a due diverse temperature, si trova una diminuzione dell’ampiezza dei picchi ed un aumento della 102 loro spaziatura nel caso di temperatura maggiore, similmente a quanto avviene per una temperatura fissata avvicinandosi alle pareti. Questo conferma che la spiegazione di questo fenomeno risieda ancora una volta nella energia acquistata dagli ioni a causa della maggiore temperatura. La IEDF degli ioni O+ mostra dei picchi molto più stretti e frequenti rispetto a quelli degli O2+. La maggiore frequenza è indice della maggiore velocità del processo di scambio di carica con l’atomo O. I picchi sono inoltre molto ben definiti grazie alla maggiore mobilità degli ioni leggeri. iedf ioni O + -2 3,0 10 x = 0.24 cm x = 0.32 cm -2 2,5 10 -3/2 iedf (eV ) -2 2,0 10 -2 1,5 10 -2 1,0 10 -3 5,0 10 0 0,0 10 1 1 10 2 10 1 3 10 energia (eV) 1 4 10 1 Figura 5.27 Picchi nella IEDF degli ioni O+ nello sheath Nella figura 5.27, in corrispondenza dei valori più alti di energia si nota la “sella” dovuta alla modulazione dello sheath, a cui gli ioni O+ sono più sensibili data la loro minore massa. Allontanandosi dallo sheath si nota una “spalla” per i valori più alti di energia, che regredisce sempre più verso valori minori man mano che si perde la struttura a picchi (figure 5.28 e 5.29). Questa 103 caratteristica mostra chiaramente come la probabilità di dissociazione degli ioni creati per scambio di carica nello sheath sia molto minore della probabilità di dissociazione degli ioni nel plasma. iedf degli ioni O + -1 1,0 10 x = 0.44 cm x = 0.56 cm -2 -3/2 iedf (eV ) 8,0 10 -2 6,0 10 -2 4,0 10 -2 2,0 10 0 0,0 10 0 0 10 1 10 1 2 10 1 3 10 1 energia (eV) + Figura 5.28 IEDF degli ioni O e progressivo rientro verso valori più bassi di energia iedf degli ioni O + -1 7,0 10 x = 0.68 cm x = 0.8 cm -1 6,0 10 -1 -3/2 iedf (eV ) 5,0 10 -1 4,0 10 -1 3,0 10 -1 2,0 10 -1 1,0 10 0 0,0 10 4 10 0 1 10 1 2 10 1 3 10 1 energia (eV) Figura 5.29 Perdita di struttura e assestamento verso valori di energia termica per gli ioni O+ a centro plasma 104 Per quanto detto all’inizio del paragrafo, la IEDF degli ioni negativi non è soggetta ad una struttura a picchi. Le figure 5.30 e 5.31 -3/2 iedf (eV ) confermano questa ipotesi. 10 2 10 1 10 0 10 -1 10 -2 10 -3 iedf ioni O2 - x x x x 4 10 0 1 10 = = = = 1 0.16 cm 0.4 cm 0.6 cm 0.88 cm 2 10 energia (eV) Figura 5.30 IEDF degli ioni O2 - iedf degli ioni O10 -3/2 iedf (eV ) 10 10 10 10 10 2 x x x x 1 = = = = 0.12 cm 0.4 cm 0.68 cm 0.96 cm 0 -1 -2 -3 0 2,0 10 0 6,0 10 energia (eV) Figura 5.31 IEDF degli ioni O- 105 1 1,0 10 1 1,4 10 1 Gli ioni O- si stabiliscono verso valori termici di energia verso il centro del plasma, mentre gli ioni O2- mantengono una IEDF pressochè costante nelle varie posizioni essendo maggiormente confinati nel centro dal campo ambipolare. 5.8 Potenza depositata e reazioni Al termine sorgente nell’equazione del calore contribuisce l’energia depositata o assorbita in ogni reazione che si verifica nella simulazione. La raccolta è stata effettuata distinguendo tra l’energia depositata nelle collisioni che hanno come protagonisti gli elettroni, quella depositata nelle reazioni di scambio di carica tra ioni, e quella depositata in ogni tipo di reazione tra specie pesanti. Nell’equazione del calore il termine S compare come flusso di energia, ovvero come potenza per metro cubo. La potenza depositata in funzione della posizione nei diversi canali di raccolta è riportata nelle figure seguenti. 4 3 ) potenza depositata (W/m 10 10 3 2 10 0 0 10 -2 1 10 posizione (m) Figura 5.32 Potenza depositata nelle reazioni da impatto elettronico 106 2 10 -2 2 3 ) potenza depositata (W/m 8,0 10 2 6,0 10 2 4,0 10 2 2,0 10 0 0,0 10 2 -2,0 10 0 0 10 1 10 -2 2 10 -2 posizione (m) Figura 5.33 Potenza depositata dagli ioni per scambio di carica 5 3 ) potenza depositata (W/m 10 10 10 4 3 2 10 0 0 10 1 10 -2 posizione (m) Figura 5.34 Potenza depositata dalle reazioni tra specie pesanti 107 2 10 -2 La forma della curva che descrive la raccolta energetica nelle reazioni da impatto elettronico richiama la distribuzione di energia e di posizione degli elettroni. Allo stesso modo la figura 5.33 conferma che lo scambio di carica avviene nello sheath, laddove gli ioni riescono a raggiungere energia sufficiente a fare avvenire la reazione; l’energia depositata al centro del plasma è infatti nulla. Che lo scambio di carica sia praticamente l’unica reazione (a parte la collisione elastica tra elettroni e tra elettroni e specie pesanti) lo si vede dalla figura 5.34, che rappresenta la somma della potenza raccolta da tutte le reazioni tra specie pesanti. Tutte queste reazioni, siano esse esotermiche o endotermiche, avvengono nella zona centrale della scarica. Sono riportati in seguito i grafici relativi alle singole reazioni. O2- + O2+ -> 2O2 O- + O2 -> O2 + O O- + O -> O2 + e02- + O+ -> O2 + O 4 3 ) potenza depositata (W/m 1,5 10 4 1,0 10 3 5,0 10 0 0,0 10 0 0 10 1 10 0 2 10 0 posizione (m) Figura 5.35 Potenza depositata La figura 5.35 mostra come l’O2 venga rigenerato al centro del plasma a causa delle ricombinazioni. Le prime due reazioni 108 depositano molta più potenza a causa dell’elevata concentrazione delle specie protagoniste. La reazione O2-+O+ → O2 +O pur essendo fortemente esotermica, deposita poca potenza a causa della bassa concentrazione di reagenti. 2 -3 ) potenza depositata (J/m 3,0 10 O2- + O -> O3 + e- 2 2,5 10 2 2,0 10 2 1,5 10 2 1,0 10 1 5,0 10 0 0,0 10 0 0 10 5 10 -1 1 10 0 2 10 0 2 10 0 posizione (m) Figura 5.36 La scarsità delle specie protagoniste ed il basso guadagno (0.61 eV) fa si che la reazione di figura 5.36 depositi poca potenza. 109 4 1,0 10 3 ) potenza depositata (J/m O2- + O2+ -> O2 + 2O 3 8,0 10 3 6,0 10 3 4,0 10 3 2,0 10 0 0,0 10 0 0 10 5 10 -1 1 10 0 2 10 0 2 10 0 posizione (m) Figura 5.37 O+ + O- -> 2O 2e- + O+ -> O + e0 3 ) potenza depositata (J/m 6,0 10 0 5,0 10 0 4,0 10 0 3,0 10 0 2,0 10 0 1,0 10 0 0,0 10 0 0 10 5 10 -1 1 10 0 2 10 0 2 10 0 posizione (m) Figura 5.38 Le reazioni di figura 5.38 depositano una quantità di potenza trascurabile. 110 O- + O2* -> O2- + O O- + O2** -> O + O2 + e0 3 potenza depositata (J )/ m 0,0 10 -2,0 10 -4,0 10 -6,0 10 -8,0 10 -1,0 10 2 2 2 2 3 3 -1,2 10 0 0,0 10 -1 0 5,0 10 0 1,0 10 1,5 10 0 2,0 10 posizione (m) Figura 5.39 Le reazioni di figura 5.39, pur non essendo fortemente endotermiche, assorbono molta potenza a causa dell’elevata concentrazione degli ioni O- e degli stati metastabili dell’ossigeno molecolare. 111 0 3 potenza depositata (J )/ m 0,0 10 -5,0 10 -1,0 10 -1,5 10 -2,0 10 -2,5 10 -2 2e- + O2+ ->O2 + e- -1 e- + O3 -> O2- + O -1 -1 -1 -1 -3,0 10 0 0,0 10 -1 0 5,0 10 1,0 10 0 1,5 10 0 2,0 10 posizione (m) Figura 5.40 Si vede che le reazioni endotermiche assorbono molta meno potenza di quanta ne depositino quelle esotermiche. Il resto della potenza viene rilasciata per irraggiamento. Al solito, in un ciclo RF variano l’energia, la densità e la velocità dei soli elettroni. Pertanto varierà anche la potenza depositata in seguito a collisioni da impatto elettronico. 112 4 .25 .5 .75 1 media 3 ) potenza depositata (J/m 2,0 10 4 1,5 10 4 1,0 10 3 5,0 10 0 0,0 10 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (cm) Figura 5.41 Variazione della potenza depositata da reazioni da impatto elettronico in un ciclo RF La figura 5.41 rivela chiaramente l’avanzamento e l’indietreggiamento del fronte elettronico dentro e fuori dallo sheath. La lunga coda e lo spostamento del massimo verso il centro della scarica per 1/4 e 3/4 del ciclo RF è dovuto agli elettroni “caldi” prodotti quando il fronte elettronico penetra completamente nello sheath. 113 5.9 Ionizzazione Le ionizzazioni, anch’esse dovute ad impatto elettronico, non si verificano ad un tasso uniforme, infatti un un ciclo RF variano la velocità e la densità degli elettroni, mentre rimane pressochè invariata la densità delle molecole o atomi che vengono ionizzati. La figura 5.41 riporta la variazione del tasso di ionizzazione dell’O2 in un ciclo RF. posizione (cm) 2.00 9e+17 8e+20 tasso di ionizzazione 1.50 1.00 0.50 0.00 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 cicli rf Figura 5.42 Variazione del tasso di ionizzazione dell’O2 in un ciclo RF 23 0.25 0.5 0.75 1 media -3 -1 ) tasso di ionizzaziones (m 10 10 10 22 21 0 0,0 10 -3 -2 5,0 10 1,0 10 -2 1,5 10 -2 2,0 10 posizione (m) Figura 5.43 Tasso di ionizzazione dell’O2 in quattro frazioni di ciclo RF in funzione della posizione 114 CONCLUSIONI Il codice numerico messo a punto nell’ambito di questa tesi implementa un nuovo modello auto-coerente per una scarica RF in ossigeno in un reattore a piatti paralleli. Il numero delle specie presenti e l’attenzione rivolta alle reazioni in gioco lo rendono completo anche dal punto di vista della teoria cinetica e della cinetica chimica. È stata evidenziata una ricca dinamica caratterizzata dal non equilibrio locale, non solo tra le temperature elettroniche e ioniche, ma anche all’interno delle stesse distribuzioni traslazionali. Esse sono infatti lontane dalla distribuzione di Boltzmann, come dimostrano soprattutto i picchi dinamici trovati nella distribuzione di energia degli ioni positivi nella regione di sheath. È emersa inoltre l’impossibilità si trattare separatamente il trasporto reattivo delle specie neutre e quello delle cariche elettriche, rendendo necessario l’accoppiamento tra il problema di VlasovBoltzmann-Poisson multispecie e l’equazione di reazione e diffusione per il trasporto delle particelle neutre. L’importanza di una buona simulazione in cui i parametri di plasma rispondano correttamente alle variazioni delle condizioni applicabili dall’esterno rende questo modello un’ottima base ‘sperimentale’ in senso lato per studi di carattere fondamentale. Per quanto riguarda gli sviluppi futuri è prevista l’estensione a due dimensioni spaziali della simulazione per il caso di simmetria cilindrica, con tre dimensioni nello spazio delle velocità. 115 A conclusione di questo lavoro voglio ringraziare tutti i docenti, ricercatori, dottorandi e laureandi presso il Centro di Studio per la Chimica dei Plasmi, per la disponibilità e la simpatia che mi hanno sempre dimostrato. Ringrazio poi quanti, volendomi bene, mi sono stati vicini in particolare nel corso di questo impegno. 116 APPENDICE LIVELLI ENERGETICI DELLA MOLECOLA DI OSSIGENO Energia potenziale in funzione della distanza internucleare 117 118 BIBLIOGRAFIA [1] Longo S , Capitelli M 1994 Plasma Chem Plasma Proc 14 1 [2] Longo S , Capitelli M and Hassouni K 1997 J.Physique IV C4 7 271 [3] Longo S, Capitelli M, Hassouni K 1998 J. 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