Dott. Emilio Battisti Medico chirurgo Specialista in Reumatologia Centro TAMMEF Università degli Studi di Siena UTILITA’ TERAPEUTICA DELLA MAGNETOTERAPIA Già nell’antica Grecia era nota la proprietà della magnetite (minerale ferroso abbondante in Asia minore, presso Magnesia) di attirare il ferro (1). Il principio alla base delle proprietà fisiche di un magnete è quello di presentare ai due poli opposti una carica elettrica positiva ed una negativa. I primi studi quantitativi sulle forze esercitatesi tra poli magnetici furono portati avanti da Coulomb, al quale si deve la constatazione che due poli dotati della stessa carica elettrica si respingono, mentre quelli di segno opposto si attraggono con forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza (Legge di Coulomb). I primi due studi sulle connessioni tra elettricità e magnetismo risalgono al 1820, quando il fisico danese Oersted rivelò che la corrente elettrica stessa generava nello spazio circostante un campo magnetico (2). L’utilizzazione a scopo terapeutico dell’energia elettromagnetica è relativamente recente, mediante l’impiego di un sistema di erogazione che ne prevede l’emissione continuativa sull’area corporea su cui si intende agire. A differenza di altre tecniche fisioterapiche in cui vengono utilizzate onde radio (marconiterapia) e microonde (radarterapia), che producono aumento della temperatura, la magnetoterapia fonda l’impiego su campi elettromagnetici, nei quali la componente magnetica è di gran lunga prevalente su quella elettrica (3). Gli apparecchi che inducono un campo elettomagnetico, operano tutti con frequenze molto basse: frequenze ELF (Estremely Low Frequency). Vi sono apparecchi che operano con una sola frequenza fissa (50 Hz) e altri in cui la frequenza può essere variata (con due sole possibilità, 50 e 100 Hz, o con ampie possibilità comprese in questo range). Effetti prettamente magnetici Corrispondono all’azione diretta del campo magnetico e dipendono da tre possibilità di interazione: -interazione con materiali ferromagnetici , strutturalmente organizzati in organismi animali e nell’uomo (magnetosomi); -interazione con centri paramagnetici naturalmente presenti (metalloproteine, citocromi, ossigeno molecolare) o formati con reazioni intermedie (coppie di radicali con spin elettronici disaccoppiati) -interazione con macromolecole diamagnetiche dotate di anisotropia di suscettibilità magnetica, coinvolte nello svolgimento di attività enzimatiche. Da questi tre tipi di interazione, che richiamano la classica nozione di magnetismo come forza di attrazione o repulsione, scaturiscono i seguenti effetti: -orientamento e traslazione di elementi cellulari; -orientamento di organuli subcellulari e di macromolecole; -rotazione, traslazione e/o gradienti di concentrazione di molecole paramagnetiche; -orientamento di dipoli elettrici con conseguenze sull’organizzazione dei liquidi contenuti nei tessuti (4,5). Effetti prettamente elettrici 1 Un campo magnetico variabile induce un campo elettrico anch’esso variabile. L’entità degli effetti sui tessuti biologici sarà funzione delle caratteristiche dell’onda ovvero delle forze elettromotrici indotte nei tessuti. E’ necessario, comunque, ricordare che, nel meccanismo d’azione di un campo magnetico variabile, non è possibile separare completamente l’effetto magnetico da quello elettrico; l’azione dei campi magnetici ha quindi luogo probabilmente grazie ad un doppio meccanismo: da una parte un’azione diretta magnetica, dall’altra l’induzione di un’azione elettrica. Azione dei campi L’azione dei campi magnetici si esplica a tre diversi livelli di organizzazione biologica: -molecole protoplasmatiche (in particolare tessuto collagene); -membrana cellulare; -tessuto nervoso. L’effetto fondamentale esercitato dai campi elettromagnetici aventi particolari caratteristiche di intensità, frequenza, forma d’onda e modalità di erogazione sui tessuti lesionati è quello di determinare la rimozione del potenziale di lesione e il conseguente riequilibrio dei potenziali elettrici della membrana. In condizioni fisiologiche, la differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della cellula è di 70 millivolt, e ciò viene definito “potenziale elettrico transmembranario”. Ogni insulto meccanico, chimico o fisico, diminuisce la differenza di potenziale della membrana cellulare, poiché il valore della carica elettrica introdotta è positivo, si determina una diminuzione del potenziale di membrana. Si verifica inoltre una parziale depolarizzazione dei biopolimeri interstiziali composti essenzialmente da collagene e una notevole riduzione dell’attività enzimatica propria dei fenomeni riparativi normali. Le onde elettromagnetiche esercitano la loro azione determinando un aumento della permeabilità selettiva cellulare, il cui effetto viene in seguito compensato dalla pompa sodio-potassio con ripristino della fisiologica differenza di potenziale di membrana (6). Per quanto riguarda l’azione analgesica dei campi elettromagnetici, l’iperpolarizzazione delle membrane post-simpatiche produce una diminuzione della trasmissione di informazione ed una conseguente riduzione dell’attività simpatica: si determinerà quindi una relativa vasodilatazione con aumento della disponibilità tessutale di ossigeno ed eliminazione dell’eventuale componente ischemica del dolore. Si osserva inoltre una depressione dell’attività delle fibre C di piccolo diametro, delle quali il cinquanta per cento è deputato alla trasmissione della cosiddetta componente lenta del dolore, poiché conduce gli stimoli raccolti dai recettori periferici sensibili all’azione delle pian producing substances. Tale ridotta attività di queste fibre, in accordo con la teoria del gate control di Melzack e Wall (7), concorrerà alla chiusura del cancello. Sembra inoltre possibile l’ipotesi che il riequilibrio della membrana cellulare determini il blocco delle sostanze algogene e pro-infiammatorie, quali l’istamina, la serotonina, i prostanoidi, le prostaglandine eccetera, nonché un’azione di neutralizzazione o di modulazione sulla produzione dei cosiddetti radicali liberi, sia diretta a livello di legame sia mediata dalla stimolazione di varie reazioni enzimatiche cellulari. La stimolazione del sistema diencefalo-ipofisario o delle ghiandole surrenali provoca un’aumentata increzione sistemica di sostanze, quali endorfine e catecolamine, che influiscono sul controllo del dolore e sulla regolazione dei processi infiammatori (8). Indicazioni terapeutiche Gli effetti terapeutici dei campi elettromagnetici sul tessuto osseo sono senz’altro i più conosciuti. L’interesse nasce in seguito agli studi di Fukuda e Yasuda (9) sulle proprietà piezoelettriche dell’osso. La sollecitazione meccanica sull’osso evidenzia sull’area di compressione una polarizzazione negativa che provoca osteogenesi, mentre sull’area di tensione si verifica una polarizzazione positiva che causa il riassorbimento osseo. 2 Patologia osteoarticolare Intorno agli anni Sessanta si sviluppa la sperimentazione clinica dei campi elettromagnetici pulsati (CEMP) sui ritardi di consolidazione delle fratture con terapie elettromagnetiche e si deve a Basset (10-13) la tecnica che prevede l’uso di una coppia di bobine contrapposte sull’arto da trattare, che producono un campo magnetico in grado di stimolare l’osteogenesi ed i primi risultati positivi ottenuti con questa metodica risalgono al 1976. Altri autori recentemente hanno evidenziato risultati positivi nell’osteonecrosi dell’anca, nel morbo di Perthes e per favorire l’attecchimento di innesti ossei (14-17). Molti sono gli autori che riportano sudi sull’efficacia dei CEMP nell’osteporosi (18-21) e diversi sono i protocolli applicativi proposti: frequenze di 50 o 100 Hz, intensità di 50-60 gauss per tempi variabili da trenta minuti a quattro ore al giorno. Gli studi relativi all’applicazione dei CEMP sull’artrosi evidenziando gli effetti positivi, collegati all’azione analgesica dei CEMP e dell’attività di stimolo sulle cellule cartilaginee, come dimostrato dagli studi eseguiti in vivo e in vitro (22-31). Alcune affezioni neuromuscolari e tendinee (tendiniti, mialgie, periartriti, neuropatie muscolari) possono beneficiare di applicazioni di CEMP (24,32-36). Anche altre patologie reumatiche (artrite reumatoide, fibromialgia), possono trovare beneficio nell’utilizzo dei CEMP, sfruttandone l’effetto antinfiammatorio e antidolorifico e riducendo così il consumo di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) ed i loro conseguenti effetti collaterali da largo impiego (24,36-38). Patologia vascolare I campi elettromagnetici sono vantaggiosamente utilizzati nelle arteriopatie e nelle flebopatie. Il trattamemtp con CEMP determina una sensibile riduzione dello stato edematoso del derma, come conseguenza di un effetto protettivo sui rapporti tra tessuti e microcircolo. Ciò comporta risultati positivi sull’edema post-operatorio, su lesioni cutanee di origine venosa, riducendo il dolore e il tempo di cicatrizzazione. Inoltre è di frequente riscontro l’associazione tra patologie ortopediche e vascolari, come per esempio gli edemi periferici post-operatori o le ulcere, e quindi i CEMP possono avere una doppia indicazione (30-10 gauss effetto iperemizzante; 40-100 gauss effetto antiedemigeno) (39-42). Dermatologia Pur essendo strettamente collegate alla patologia vascolare, l’applicazione dei CEMP nelle patologie dermatologiche non ci offre un numero considerevole di lavori in bibliografia. Anche se non è ancora chiaro il meccanismo d’azione dei CEMP in questa branca medica, vengono riferiti buoni risultati ottenuti nella alopecia ed in alcune dermatiti papulo-edematose, così come nell’acne (43-44); le applicazioni, di breve durata (20 min/die) si avvalgono di basse intensità di campo a frequenze variabili medio-alte. Patologia respiratoria L’azione antiflogistica dei CEMP ha spinto la ricerca e la sperimentazione nel campo del trattamento delle broncopneumopatie ostruttive croniche e nell’asma bronchiale ed alcuni lavori riferiscono di buoni risultati con trattamenti di intensità inferiore a 100 gauss (45-47). Controindicazioni ed effetti collaterali Le controindicazioni all’uso dell’applicazione terapeutica dei campi elettromagnetici a bassa frequenza sono minime e riguardano essenzialmente i portatori di pace-maker e le donne in stato di gravidanza; per prudenza è sconsigliabile l’uso in presenza dei versamenti ematici e negli stati emorragici e trombotici in atto. 3 Conclusioni L’uso terapeutico dei campi elettromagnetici a bassa frequenza è ormai una metodica di primo piano in moltissime patologie e consente risultati terapeutici clinicamente validi e confermati dagli studi di laboratorio nell’ambito della ricerca scientifica internazionale. La magnetoterapia va ad integrare e a completare la terapia farmacologica, in virtù della sua efficacia, dell’assenza di tossicità, dei quasi nulli effetti collaterali, del suo basso costo di impianto e di esercizio e della sua facilità di esecuzione (48-50). BIBLIOGRAFIA 1) Villey R. 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