Indice
Introduzione
3
1) Energia ed ambiente
6
1.1 Il problema energetico
7
1.1.1 Consumi e proiezioni
7
1.1.2 Le fonti energetiche
12
1.1.3 Il problema della CO2 e rischio ambientale
14
1.2 La Fusione Nucleare
18
1.2.1 Reazioni di fusione
18
1.2.2 Condizione di reazione: criterio di Lawson
20
1.2.3 Fusione magnetica
23
1.2.4 Fusione inerziale
25
2) Fusione a confinamento inerziale
27
2.1 Panoramica
27
2.2 Fisica dell’ignizione
35
2.3 Velocità d’implosione
41
2.4 Guadagni
43
3) Dinamica del fascio
47
3.1 Equazioni di Hill
48
3.1.1 Equazioni del moto
49
3.2 Effetti non lineari
52
3.2.1 I sestupoli
53
3.2.2 Apertura dinamica
58
3.2.3 Approccio geometrico
68
Conclusioni
71
1
Appendice A
72
Appendice B
75
Ringraziamenti
77
Bibliografia
78
2
Introduzione
Gli acceleratori di particelle sono stati da sempre un poderoso strumento della fisica moderna ed hanno per anni supportato la ricerca fondamentale, accompagnandola tra la verifica delle più incredibili teorie,
non sottraendosi mai al concreto aiuto dato per sviluppo della fisica applicata e delle sue innumerevoli branche. Mentre si sta registrando un
notevole calo d’entusiasmo per quel riguarda l’utilizzo degli acceleratori
nel campo della ricerca fondamentale (calo generato soprattutto dai più
numerosi limiti tecnici e dalla quasi impossibilità di raggiungere certe
energie), si nota, invece, come ci sia fermento in quei settori applicativi
in cui l’acceleratore è uno strumento ancora utile.
Uno di questi settori è senza dubbio quello biomedico dove
l’acceleratore è usato addirittura per colpire ed eliminare tumori. Le
energie e le intensità richieste non sono particolarmente alte, ma viene
richiesta una estrema affidabilità ed una qualità del fascio molto elevati.
Anche in campo industriale queste macchine hanno fatto il loro
ingresso proprio con la produzione di fasci intensi di neutroni, prodotti
per spallazione, i cui utilizzi vanno dalla spettroscopia alla radiografia
industriale. A volte anche la ”luce” di sincrotrone viene utilizzata per
tecniche spettrometriche; un fulgido esempio è il sincrotrone ELETTRA, progettato da Rubbia, dello Science Park di Trieste.
Un utilizzo più che interessante che potrebbero avere gli acceleratori è la trasmutazione delle scorie nucleari. Si capisce benissimo che,
se un simile progetto andasse in porto, risolverebbe tantissimi problemi
3
legati, purtroppo, alla produzione di energia con materiale fissile. Il
progetto italiano per la trasmutazione si chiama TRASCO-ADS. Nei
laboratori di Los Alamos (LANL) è in fase di realizzazione un analogo progetto denominato ATW (Acceleration-driven Trasmutation of
Waste).
Molto più interessante è invece l’utilizzo degli acceleratori per la
produzione di energia. Ad esempio c’è il progetto di Rubbia, denominato Energy Amplifier, che prevede la realizzazione di un reattore nucleare a fissione sottocritico nel quale i neutroni, necessari a mantenere
stazionario il livello di potenza del reattore, sarebbero forniti appunto
da un acceleratore di protoni ad alta intensità. In breve questi protoni,
urtando su un bersaglio di metallo, producono un fascio di neutroni i
quali, a loro volta, saranno iniettati nel nocciolo del reattore. Il vantaggio rispetto ai tradizionali metodi è duplice: da un lato il reattore,
lavorando ad un livello sottocritico, può essere spento in qualsiasi momento senza il rischio della reazione incontrollata; dall’altro, il materiale
fissile utilizzabile produrrebbe scorie dalla vita media di diversi ordini
di grandezza inferiore a quelli tradizionali.
Quella che invece è l’applicazione più ambiziosa e che senza dubbio è destinata a diventare la più importante nell’arco di quarantacinquanta anni, è la fusione termonucleare. È di questa incredibile
sfida che buona parte di questa tesi tratta. Una pallina di DeuterioTrizio viene colpita, il più isotropamente possibile, da lasers che cosı̀
forzano la pallina stessa all’implosione e quindi alla fusione degli atomi
di Deuterio-Trizio. Dalla reazione di fusione termonucleare generata, si
ha un alto guadagno energetico. Tale meccanismo di fusione prevede
tante varianti. Una è quella che prevede l’uso, appunto, di un acceleratore. Due fasci ben collimati di particelle cariche, vanno a colpire una
”scatola” (hohlraum), debitamente progettata, ad alto Z su i due lati
opposti. Il materiale scaldato dai fasci, produce radiazione X che va ad
inondare isotropamente l’interno dell’hohlraum al cui centro è posta la
4
solita capsula di Deuterio-Trizio. I raggi X producono una pressione su
di essa, costringendola cosı̀ all’implosione e alla generazione di reazioni
di fusione. Quindi, per la fusione attualmente ci sono due grandi approcci: il primo è quello che viene chiamato ”driver diretto” e cioè
quello che fa riferimento ai lasers; il secondo è quello che viene chiamto
”driver indiretto” ed è appunto quello che usa come driver il fascio di
particelle cariche .
Camera per la capsula al Nova
Senza dubbio uno scenario allettante per la produzione di energia che
vedrebbe, per la prima volta, la generazione di questa per via nucleare
senza crare scorie radioattive. Tanto allettante quanto ancora irrealizzabile vista la complessità del procedimento e la mancanza, ancora,
di conoscenze adeguate il cui apprendimento viene spesso, a torto, osteggiato da attegiamenti di certi governi che, tra l’impercettibile soglia
che c’è tra il limitare e il vietare, vedono lo sviluppo delle tecniche
nucleari ancora con reticenza.
Non a caso sono gli Usa che a tutt’oggi stanno facendo lo sforzo
più grosso per acquisire le conoscenze necessarie. Nonostante siano
decenni che studiano questo tipo di approccio alla fusione (fusione inerziale), gli Usa hanno approntato un programma ventennale di ricerca
5
che dovrebbe vedere in funzione la prima centrale dimostrativa a fusione
intorno al 2025. È ovviamente auspicabile che tale data venga rispettata ma, come sempre accade, ciò che darà la spinta decisiva saranno i
fondi che si riusciranno a trovare. Comunque i laboratori americani più
importanti ed attivi nel campo della ricerca per la fusione termonucleare inerziale sono: il Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL)
dove si sta sviluppando il progetto NIF (National Ignition Facility), che
vede la costruzione di una vera e propria centrale a fusione e il progetto
Nova che tratta dello sviluppo dei lasers e della camera di ignizione; il
laboratorio di Rochester che però organizza i suoi progetti più importanti al LLNL (sua la collaborazione al Nova del LLNL); il laboratorio
Sandia di Albuquerque. Per quel che riguarda l’Europa possiamo dire
che non c’è il vigore dimostrato finora dagli americani se non in ambito prettamente teorico. Per quanto riguarda la fusione inerziale si
evidenzia il progetto HIDIF con driver indiretti. Il più famoso, e forse
il più vecchio, progetto europeo è il JET (Joint European Taurus) che
però sviluppa un’idea abbastanza antiquata di fusione termonucleare
controllata che si contrappone alla fusione inerziale e cioè quella del
Tokamak o fusione magnetica.
Progetto NIF al LLNL
6
Capitolo 1
Energia ed ambiente
1.1 Il problema energetico
1.1.1 Consumi e proiezioni
Il bisogno di energia nel mondo, in futuro, è legato a molteplici
fattori ma è fondamentale prendere in considerazione la crescita della
popolazione mondiale e quella delle attività economiche nel prossimo
secolo. La tabella sotto riportata mostra brevemente quali sono le previsioni per energia, popolazione ed economia.
Previsioni per energia e popolazione per il 21esimo secolo
Popolazione mondiale (miliardi)
Consumo energia primaria
(gigatoni di olioequivalente)
1990
2050
2100
∼5.3
∼10.1
∼11.7
9.0
∼75-102
∼200-300
Tabella 1.1
7
Proiezioni della crescita energetica al 2015
Regione
Rapporto di crescita
energetica (%/anni)
Tempo di raddoppio
dell’energia (anni)
Energia totale
paesi ”sviluppati”
1.3
53
Energia totale paesi
in via di ”sviluppo”
2.5
25
Tabella 1.2
Le previsioni date dalle tue tabelle, suggeriscono che la popolazione
mondiale raddoppierà quasi intorno al 2050 e raggiungerà, approssimativamente, 2.2 volte la popolazione ora esistente intorno al 2100 (si è
assunto in vigore il metodo di controllo della popolazione e che quindi
si sia arrivati ad una certa stabilità demografica). Distinguiamo ora
tra paesi ”sviluppati” e paesi in ”via di sviluppo”. Al momento l’82%
della popolazione mondiale vive nei paesi in ”via di sviluppo” e il rimanente 18% in quelli ”sviluppati”. I paesi ”sviluppati” allo stato attuale
consumano ben il 55% dell’energia primaria del pianeta. Entro il 2050
si prevede una crescita demografica di oltre il 90% dei paesi in ”via
di sviluppo” ed intorno al 2006 il consumo energetico di questi ultimi
diverrà più grande di quello dei paesi ”sviluppati”. È evidente,quindi,
che da queste previsioni sia la crescita della popolazione che quella in
termini energetici saranno concentrati nei paesi in ”via di sviluppo”.
Con una stima finale possiamo cosı́ dire che la domanda di energia aumenterà di un fattore ∼ 2 nel 2050 e di ∼ 3.5 nel 2100. Un discorso
di questo tipo porta necessariamente a fare il punto di quelle che sono
attualmente le risorse e le riserve energetiche del pianeta.
Incominciamo col prendere in esame le risorse fossili. Esse sono costituite per gran parte da carbone che, visto lo scenario dell’incremento
della popolazione mondiale, ce ne sarà abbastanza ancora per circa
200-300 anni. Un’altra risorsa fossile è il gas naturale che, tra l’altro, è
8
considerato da molti un combustibile eccellente per il prossimo futuro.
Rispetto al carbone è più ambientalmente compatibile e più facile da usare, ma durerà solo per circa 100 anni. Il gas naturale può trovarsi anche
sottoforma di gas-idrati e si stima che ce ne siano enormi quantitativi. I
gas-idrati sono composti fisici formati da reticoli solidi cristallini di acqua dove sono appunto intrappolate le molecole di gas. Il metano-idrato
è il più comune. Questi gas si possono trovare o nelle zone di permafrost
o nei sedimenti in fondo al mare. Metodi e tecniche per l’estrazione dei
gas-idrati sono ancora allo studio, ma per molti basterà trovare solo il
sistema per avere cosı̀ da questo gas energia a sufficienza. Ci sono poi
le risorse energetiche che vengono dalla fissione nucleare. Le risorse del
combustibile per la fissione sono limitate, ma in seguito all’impiego di
una strategia di riutilizzo di questo, si permetterebbe l’allungamento
di entrambe i cicli dei combustibili
238
U →239 P u e
232
T h →238 U di
decine di migliaia di anni. Comunque, una fonte supplementare per
il combustibile di fissione è l’acqua del mare che conterrebbe appunto
una certa percentuale di Uranio. Cosı̀, l’efficiente estrazione di Uranio
dell’acqua del mare, restituirebbe una fornitura di combustibile per la
fissione che potrebbe essere considerata quasi illimitata. Per quel che
riguarda le risorse di energia rinnovabile c’è da dire che sebbene l’energia
solare, la biomassa, l’energia idroelettrica, eolica etc. giocheranno un
ruolo importante nel prossimo secolo, esse probabilmente non avranno
la capacità di sostenere la domanda-base di energia della futura società.
Riassumendo, quindi, possiamo dire che: il combustibile fossile,
specificatamente il carbone, ci sosterrebbe per circa 100-300 anni; i
gas-idrati invece hanno un potenziale energetico enorme, ma è troppo
difficile ed economicamente dispendioso estrarli; la fissione nucleare,
con la strategia del riutilizzo del combustibile e l’estrazione di Uranio
dall’acqua del mare, ci darebbe energia sufficiente per qualche milione
di anni. Cosı̀ in termini di risorse di base solo la fusione nucleare può
essere considerata inesauribile con i suoi migliaia di anni di erogazione
9
d’energia con la DT(Li) (col Litio estratto dalla superficie terrestre),
con decine di milioni di anni con la fusione DT(Li) (col Litio estratto
dall’acqua del mare) e con miliardi di anni con la fusione DD. L’ultima
stima in anni è compatibile con il tempo di ”vita” della Terra stessa!
Un esauriente riassunto di quanto detto sulle riserve e risorse energetiche future, è dato dalla Tabella 3 riportata nella pagina seguente.
10
Riserve e risorse di energia fossile e nucleare relative ai consumi del 1990 in g.o.e.
Consumo Totale
di Energia
Risorsa
base
Fonti
ulteriori
Dal 1850
al 1990
1990
Riserve
Risorse
Risorsa
base Totale
Totale fossile
260
7
1330
3800
5100
Olio
90
3.2
340
480
820
Convenzionale
90
3.2
150
150
300
Non Convenz.
–
–
190
330
520
1900
41
1.7
330
540
870
19000
Convenzionale
41
1.7
140
280
420
Non Convenz.
–
–
190
260
450
400
Idrati
–
–
–
–
–
19000
Carbone
130
2.2
600
2800
3400
Totale fissione
17
0.5
17
0.5
57
–
–
3400
–
–
Gas naturale
Uranio
Riutilizzo
combustibile
Torio
Fonti
rinnovabili
Totale fossile+
fissione
Consumo relativo
al 1990
Energia Energia
Totale Elettrica
86%
62%
39%
10%
20%
16%
3000
27%
36%
16000+Th
1.7·107
6%
17%
203
260
290000
12000
16000
1.7·107
8%
21%
100%
100%
3500+Th 12000+Th
24000
Comparabie all’Uranio (0.5-1 volta) –
0.7
280
7.5
4800
16000
21000
1.7·107
DT(Li)
–
–
9000
?
9000+?
2.2·108
DD
–
–
Fusione
3.5·1013
Tabella 1.3
11
È importante sottolieare che tutti i dati riportati nella Tabella 1.3 sono
in unità di gigatoni di olio equivalente. Inoltre, si fa notare, che con
”riserve” si intendono quelle fonti che sono conosciute e recuperabili
con le tecnologie presenti. La somma delle riserve e delle risorse sono
chiamate ”risorse base” e includono tutte le risorse convenzionali e nonconvenzionali potenzialmente recuperabili. Con ”fonti ulteriori” si intendono quelle fonti che si credono esistere ma ancora non sono state
sviluppate le tecnologie adatte per poterle estrarre. Un esempio sono il
metano e l’uranio naturale disciolto in acqua.
1.1.2 Le fonti energetiche
Vogliamo ora, in questa breve sessione, parlare del rapporto
energia-volume che intercorre tra le varie fonti energetiche. Ogni volta
che sentiamo parlare di fonti d’energia, dobbiamo anche soffermarci su
un aspetto e cioè quello che ci dice quanto volume di quella fonte è
necessario per creare una certa potenza; con questo tipo di valutazione
si ha in mano anche un nuovo tipo di termine di paragone che per forza
di cose tira in ballo l’efficienza delle fonti stesse.
Un esempio pratico di quanto appena detto è quello di confrontare
le due principali fonti energetiche: il carbone e il petrolio. Una centrale
elettrica da 1000 M W consuma circa 2-2,5 milioni di tonnellate all’anno
di carbone, mentre per la stessa centrale (da 1000 M W ) si bruciano un 1
milione e 450 mila tonnellate di petrolio l’anno. Ecco quindi che questo
esempio riportato ci mostra la quantità annua di petrolio e carbone per
mantenere una centrale da 1000 M W . Viene da se quindi che questo
paragone può essere esteso a tutte le altre fonti energetiche. Prima di
continuare vogliamo dare la definizione, molto utile, di una unità di
misura che viene usata per i consumi energetici e cioè il tep ovvero
12
”tonnellata di petrolio equivalente”. Riportiamo ora la tabella con il
rapporto energia/volume per le principali fonti energetiche.
Energia di alcune fonti energetiche espresse in tep per tonnellata di materiale
Fonte energetica
Processo
Energia ottenibile (tep/ton)
Petrolio grezzo
Combustione
1.0
Carbone fossile
Combustione
0.7
Gas naturale
Combustione
1.3
Minerale uranifero
(0.2% in Uranio)
Fissione in reattori
ad acqua leggera
23.8
”
Fissione in reattori ad acqua
leggera con riciclo
dell’Uranio e del Plutonio
40
”
Fissione in reattori veloci
autofertilizzanti con riciclo
completo del Plutonio
2200
Tabella 1.4
Dai dati della tabella può essere facilmente letto che l’energia nucleare è molto più efficiente in termini di rapporto energia-volume piuttosto che l’energia chimica. Proprio questa grande efficienza fa diventare competitivi anche minerali a bassissimo contenuto di Uranio
(fino allo 0.1%). Se poi si prendono in considerazione i reattori veloci,
per i quali il costo del combustibile è una percentuale quasi trascurabile del costo del kW h, potrebbe diventare utilizzabile anche l’Uranio
disciolto, in quantità pressochè illimitate, nell’acqua degli oceani.
Infine consideriamo l’energia che viene dal Sole. Dell’energia irradiata dalla stella, 9.3 · 1021 kcal · s, 4.1 · 1013 kcal · s raggiunge la Terra.
Comunque la densità d’energia solare su un piano normale alla superficie terrestre è solo di 2 cal/cm2 · min. A causa di questa bassa energia
occorrerebbero grandi aree per sfruttare una significativa quantità di
energia solare. Calcoli più precisi indicano che per costruire una centrale solare termica da 1000 M W occorrono superfici di 29 km2 , per
una centrale fotovoltaica 50 km2 e per una centrale eolica 74 km2 . Anche da questi ultimi numeri si evince che l’energia nucleare è davvero
molto competitiva rispetto alle altre fonti energetiche.
13
1.1.3 Il problema della
CO2
e rischio ambientale
Il ruolo dei gas serra nel riscaldamento globale del pianeta nel prossimo
secolo è uno scottante argomento di dibattito sia scientifico che politico.
Comunque, l’effetto della CO2 sul riscaldamento globale è visto ora
come una potenziale seria minaccia da molti corpi scientifici tenendo
conto anche del larghissimo impiego che l’odierna società fa, come discusso precedentemente, e farà appunto di prodotti e materie prime contenenti carbonio. Il grafico sotto riportato, ci dà una rapida ed efficiente
occhiata su quelli che saranno gli sviluppi energetici futuri in termini di
produzione di energia ”senza carbonio” e di concentrazione di carbonio
nell’atmosfera. In termini più appropriati il grafico mostra la quantità di energia ”senza carbonio”, come funzione degli anni futuri, che
deve essere disponibile per stabilizzare la concentrazione di carbonio
nell’atmosfera che nel grafico è un parametro. Tale concentrazione è
misurata in parte per milione (ppm).
Figura 1.1
Per dare ora un’idea delle concentrazioni di CO2 in atmosfera riportiamo il suo valore dell’era pre-industriale, prima della metà del 1800,
14
che era approssimativamente 270 ppm. Oggi invece la concentrazione
è arrivata circa a 350 ppm, e sta crescendo, e c’è consenso unanime
nel dire che questa ha causato un innalzamento globale medio della
temperatura di circa 0,5 ◦ C. Dal grafico di Figura (1.1) vediamo che
se noi vorremmo stabilizzare la concentrazione atmosferica di carbonio
al doppio di quella dell’era pre-industriale, 550 ppm, allora nell’anno
2050 occorrerebbe sviluppare ulteriori 15 T W di energia ”senza carbonio”. La situazione odierna presenta un ”tasso di consumo” (Burn
Rate) di energia primaria, considerando tutte le fonti, di circa 13 T W
e di questo circa l’85% proviene da combustibili fossili basati ovviamente sulla chimica del carbonio. C’è da notare, però, che anche stabilizzando a 550 ppm la concentrazione, nel 2050 si è calcolato che la
temperatura si alzerà di circa 1,5-4,5 ◦ C. Ma questo di 550 ppm è solo
uno degli scenari di stabilizzazione. C’è anche lo scenario ”business-asusual” (IS92a nel grafico di Figura (1.1)) che tenendo conto degli incrementi della popolazione mondiale e dell’uso dell’energia fossile senza
controlli sul carbonio, prevede un eccesso di concentrazione dello stesso
nell’atmosfera oltre il valore 900 ppm con catastrofiche conseguenze sul
clima. Ora, ci si può chiedere se può essere possibile isolare la CO2 nel
processo di combustione per evitare che essa si disperda nell’atmosfera.
Ricerche in questo senso sono tutt’ora in corso. Scenari possibili prevederebbero trattamenti sia nella fase di estrazione che lavaggi dei fumi di
scarico delle centrali. Comunque, un esempio di isolamento della CO2
è il seguente: ”spaccamento” del metano, riiniezione del carbonio nei
giacimenti e la combustione dell’idrogeno risultante. La rottura dei
legami C − H del metano vuol essere fatto con vapore a pressione ele-
vata restituendo cosı̀ idrogeno e carbonio: CH4 + H2 O → CO + 3H2 .
Il CO verrebbe riiniettato nelle sacche occupate precedentemente dal
metano. Non è comunque chiaro se trovare posti per una disposizione
permanente del carbonio sarà problematico. Presumibilmente si possono pensare come buone disposizioni le fosse oceaniche o i giacimenti
15
dove vengono estratti i combustibili fossili stessi. Certamente il costo
per questi tipi di siti sarà un fattore cruciale. Un’altra osservazione
riguarda la dispersione di gas naturale e gas idrati nell’atmosfera. Anche se questi combustibili possono avere un enorme potenziale in termini di riserve, necessiteranno di essere trasportati dal luogo della produzione a quello di consumo magari con condutture extra-continentali.
Sfortunatamente il metano è sei volte peggiore, in termini di proprietà
di gas serra, della CO2 . Questo implica che in un ”business-as-usual”,
politica del non isolamento della CO2 , la dispersione da parte degli
impianti (tubature) deve attenersi ad un livello inferiore al 6%, altrimenti sarebbe meglio in termini ambientali bruciare olio.
Alcuni dati sul gas da effetto serra
Gas
Abbondanza
attuale
Tasso di
aumento
Efficienza relativa per
il riscaldamento∗
CO2
356 ppm
+0.4%
1
CH4
1.74 ppm
+0.6%
23
N2 O
0.31 ppm
+0.25%
270
CF C − 11(CF Cl3 )
0.26 ppb
n/a
14000
∗
Per molecola riferito ad un periodo di tempo di 20 anni
Tabella 1.5
Dopo aver parlato della problematica dell’eccesso di CO2 in atmosfera, viene da se ora una breve trattazione dei rischi per i sistemi energetici. Tutti i sistemi energetici hanno un certo effetto sull’ambiente
e sulla salute umana poichè essi modificano la situazione ambientale
preesistente e introducono, durante il loro funzionamento, inquinanti
e calore di scarico nell’atmosfera e in fiumi, laghi o mari. Nell’analisi
comparativa dei rischi, deve essere attribuito un peso appropriato agli
16
effetti ambientali. La possibilità di esprimere rischi sanitari ed ambientali con la stessa unità richiede che essi vengano considerati e valutati
separatamente. Circa l’impiego degli indicatori di rischio è utile ricordare che quello maggiormente adottato è il tasso di mortalità; non
bisogna però dimenticare che tale indicatore non è una misura complessiva dei danni potenziali per la salute; una valutazione completa dei
rischi sanitari deve prendere in esame anche i decessi ritardati ed altri
effetti non letali.
Non meno importanti , ed interessanti, sono i dati relativi ai rischi
per gli impianti industriali. Nella figura proposta di seguito vengono
confrontate le conseguenze di differenti cause di rischio, tra le più significative nella categoria dei rischi relativi ad attività umane appunto
di tipo industriale. Quello che risulta evidente è la bassa incidenza, in
termini di rischio, di impianti storicamente ritenuti molto pericolosi.
Figura 1.2
17
1.2 La Fusione Nucleare
1.2.1 Reazioni di fusione
La figura 1.3, che mostra la variazione di energia di legame per numero
di massa A, suggerisce un modo per estrarre energia dal nucleo atomico
e cioè scalando la curva verso nuclei sempre più stabili cominciando con
quelli molto leggeri. Ossia, se combiniamo due nuclei leggeri per farli
diventare un nucleo con numero di massa inferiore a A = 56, viene
rilasciata energia. Questo processo è chiamato fusione nucleare perché
due nuclei leggeri vengono fusi in uno più pesante. Da notare che se
si scala la curva in senso opposto e cioè cominciando dai nuclei più
pesanti, avremo il processo detto fissione nucleare.
Figura 1.3
18
In realtà, un processo di fusione nucleare non è altrettanto semplice da svolgere come lo si è raccontato poch’anzi. Affinchè due nuclei
possano fondersi devono potersi avvicinare moltissimo l’un l’altro e toccarsi. Ma stiamo trattando nuclei della stessa ”natura” e quindi con la
stessa carica, ecco allora che si forma una barriera coulombiana, tra i
due, che tende appunto ad allontanarli. Solo quando tale barriera viene
vinta si ha un processo di fusione.
La fusione nucleare non è una reazione naturale sulla Terra, ma lo
è sicuramente sul Sole dove essa rappresenta la reazione base: quattro
nuclei di Idrogeno fondono per dare un nucleo di Helio-4, due positroni
e due neutrini
41 H −→4 He + 2e+ + 2ν + 26.7 M eV
(1.1)
che è ovviamente la reazione netta.
Come detto prima, sulla Terra la reazione di fusione non è poi
cosı̀ naturale come sul Sole, ma molti provano comunque a realizzarla
scegliendo tra vari processi tutti più o meno simili, chi più o meno
vantaggiosi e realizzabili. Presentiamo ora i principali:
2
1D
+21 D −→

 32 He +10 n + 3.27M eV
3
1T
+11 H + 4.03M eV
(1.2)
(1.3)
dove 3 T è il Trizio, un isotopo dell’Idrogeno. Il tasso di reazione di
1.2 o 1.3 è più alto di quello di 1.1. Comunque la sezione d’urto della
reazione 1.2 o 1.3 non è grande abbastanza per permettere l’estrazione
dell’energia da tale fusione. Un processo di fusione con una grande
sezione d’urto è
2
1D
+31 T −→42 He +10 n + 17.6 M eV
(1.4)
ed ha più possibilità affinchè la sua energia venga adoperata. In 1.4, T è
materiale radioattivo che fa decadimenti β con tempo di dimezzamento
19
di 12 anni, cosı̀ non c’è nessun Trizio naturale. Ma il Trizio può essere
prodotto tramite queste reazioni:
6
3 Li
+10 n −→42 He +31 T + 4.6 M eV
(1.5)
7
3 Li
+10 n −→42 He +31 T +10 n − 2.41 M eV
(1.6)
Nei reattori di fusione, il processo 1.4 procede contemporaneamente con
1.5 o 1.6. I neutroni prodotti dalla 1.4 sono forniti a una o a entrambe
le reazioni 1.5 e 1.6; il Trizio prodotto da una o entrambe la 1.5 o 1.6
è usato nel processo 1.4. Se le reazioni 1.4 e 1.5 sono combinate, esse
danno il processo netto
6
3 Li
+21 D −→ 242 He + 22.4 M eV
e diventa chiaro che il vero carburante per una reazione DT (DeuterioTrizio) sono Litio e Deuterio.
1.2.2 Condizione di reazione: criterio di Lawson
Prima di dare e descrivere uno dei criteri fondamentali della teoria
della fusione nucleare (criterio di Lawson), è importante parlare brevemente di alcuni parametri in gioco. Nel paragrafo precedente abbiamo
descritto le diverse reazioni di fusione e la barriera colombiana da vincere. Ma come realizzare praticamente queste fusioni di nuclei? Un
metodo è quello di imitare il Sole e quindi riscaldare questi nuclei in
modo tale da fornirgli un’energia cinetica che sia maggiore dell’energia
del potenziale colombiano. Le temperature che si devono raggiungere,
per ottenere un simile risultato, sono elevatissime e in tali condizioni la
materia che stavamo trattando diventa plasma. Quindi, alla fine, tutto
viene ricondotto allo studio del comportamento e della dinamica dei
plasmi. Ora, l’energia di fusione estratta dal plasma per secondo e per
20
metro cubo è data da
Pf =
1
< συ > n2 Ef
4
dove < συ > è il tasso di collisione, n è la densità del plasma e Ef è
l’energia della reazione di fusione. Per dare un’idea di quanto grande
deve essere n, scegliamo Pf = 108 W/m3 , che è comparabile con la
densità di potenza in uscita di un reattore a fissione, scegliamo la temperatura essere di 10 keV e di conseguenza < συ >= 1.1 · 10−22 m3 /s;
n allora è uguale a 1.16 · 1021 /m3 !!
L’energia di fusione (si prende in considerazione la 1.4) è condivisa
tra l’energia cinetica dei neutroni e delle particelle α. I neutroni passano
attraverso il plasma senza interagire perchè sono neutri elettricamente.
Comunque la quantità di energia che è assorbita dal plasma è data tutta
dall’interazione delle α col plasma stesso riscaldandolo. Questa energia
è:
Pα =
1
< συ > n2 Eα .
4
(1.7)
Il plasma, comunque, ha anche la tendenza a decrementare la sua temperatura dovuta ad un deflusso di energia. La parte più grossa di questa
perdita viene dalla radiazione di bremsstrahlung. I massimi ”indiziati”
sono gli elettroni del plasma che, appunto, collidendo con gli ioni sono
soggetti a variazioni di accelerazione e quindi a generare onde elettromagnetiche. L’energia di radiazione bremsstrahlung è:
PB = 5.35 · 10−37 ne ni T 1/2 W/m3
Nel plasma elettricamente neutro, mistura di Trizio e Deuterio, ne =
ni = n e quindi:
PB = 5.35 · 10−37 n2 T 1/2 .
(1.8)
Ora, il riscaldamento e l’energia persa, nel plasma, sono bilanciati
ad una temperatura di 4 keV che è chiamata temperatura di auto ignizione. In queste condizioni il plasma mantiene la sua alta temperatura
21
permettendo cosı̀ che le reazioni di fusione continuino. Questo è ben
interpretato dalla Figura 1.4 che segue.
Figura 1.4
Dopo questo preambolo atto a descrivere i parametri principali
della fusione, possiamo ora finalmente prendere in considerazione uno
dei criteri fondamentali. La stima della temperatura di auto ignizione
è stata ottenuta per un plasma di dimensioni infinite e quindi troppo
ottimistica. Il plasma per la fusione deve essere confinato in ”ambienti” limitati. Proprio perchè parliamo di spazi finiti, dobbiamo introdurre altre perdite di energia da parte del plasma oltre che quelle
di bremsstrahlung. Consideriamo ora che il plasma perda tutta la sua
energia termica durante un tempo t (t è chiamato tempo di confinamento). Assumendo che l’energia persa dal flusso caldo è lineare col
tempo e imponendo il bilanciamento tra energia guadagnata e persa
avremo:
nτ =
24 · κT
< συ > Ef − 4.28 · 10−36 T 1/2
(1.9)
con κ costante di Boltzmann. La condizione espressa dalla 1.9 chiamata
22
criterio di Lawson. Per una reazione DD (Deuterio-Deuterio) e con un
valore della temperatura di T = 10 keV
nτ > 1020 s/m3
e cioè, con un valore di nτ > 1020 s/m3 , la reazione di fusione continua
nel plasma senza un rifornimento esterno di energia. Questo criterio
indica anche che il plasma deve mantenere la sua alta temperatura e
alta densità per qualche tempo.
1.2.3 Fusione magnetica
La condizione che deve essere soddisfatta affinchè il plasma generi energia attraverso reazioni di fusione, è tutta contenuta nel criterio di
Lawson già descritto. Questo criterio afferma che il plasma deve mantenere la sua alta temperatura ed un’alta densità per un pò di tempo.
Il primo obiettivo pratico è allora di incrementare la temperatura del
plasma fino a 10 keV . Il secondo obiettivo è di contenere lo stesso in uno
spazio finito. Nessun recipiente può contenere plasma a cosı̀ alte temperature. Nonostante ciò, sono stati sviluppati due particolari metodi:
il confinamento magnetico e quello inerziale. Vogliamo ora brevemente
illustrare il confinamento magnetico.
Il più facile confinamento magnetico è un campo magnetico uniforme dove le particelle cariche hanno una traiettoria a spirale lungo
la direzione del campo. Questo però è sufficiente a confinare le particelle in solo due direzioni. Per prevenire la perdita della particella
lungo l’asse, possiamo formare un toro, con le linee del campo, mantenendo cosı̀ la traiettoria a spirale in un anello. In qualsiasi avvolgimento
toroidale, il campo è più debole per grandi raggi e cosı̀ mentre la particella spiraleggia vede una zona dove il campo è più debole e questa
23
tende a spostarvisici allargando cosı̀ la sua traiettoria fino a raggiungere
le pareti del recipiente. Per ridurre questo effetto, viene introdotta una
componente magnetica poloidale. Questa può essere realizzata usando
un set di bobine esterne o facendo passare una corrente lungo l’asse
del toroide attraverso il plasma. In questo caso la corrente oltre che
creare il campo poloidale serve anche per il riscaldamento del plasma
stesso. Dispositivi toroidali con entrambi i campi toroidali e poloidali,
vengono chiamati Tokamak. Nonostante sia il più famoso, il Tokamak
non è il solo tra i metodi di confinamento magnetico. Vi è infatti anche quello che è chiamato Specchio magnetico. Esso consiste in un
campo magnetico uniforme con alle estremità zone con alta densità di
linee di campo magnetico cosı̀ che la particella carica quando incontrerà
queste zone verrà riflessa indietro verso le regioni a bassa intensità di
linee di campo. La didascalia seguente mostra: a) specchio magnetico;
b) Tokamak; c) comportamento schematico in un particolare Tokamak
(Stellator).
a)
b)
Figura 1.5
24
c)
1.2.4 Fusione Inerziale
Diamo uno sguardo ora a quello che è il metodo di confinamento inerziale. Questo tipo di metodo ha un approccio totalmente differente
da quello che può essere il confinamento magnetico. La reazione fondamentale per il processo è quella già vista nelle precedenti descrizioni:
D + T −→ α + n + 17.6 M eV
Una descrizione qualitativa del processo può essere questa: una piccolissima pallina, contenente Deuterio e Trizio, è improvvisamente colpita
con degli intensi impulsi laser che oltre a riscaldare la pallina la comprimono fino a farle raggiungere alte densità. Il traguardo di questa
tecnica è di raggiungere densità e temperature cosı̀ alte da permettere
che avvengano reazioni di fusione prima che la pallina si espanda.
Figura 1.6
Proviamo ora a descrivere meglio ciò che accade alla pallina in un
reattore di questo tipo. Una sferetta di DT è iniettata nella macchina
ed è simultaneamente colpita da molte direzioni da un intenso impulso
laser. La parte più esterna della pallina è immediatamente vaporizzata
e forma un plasma che continua ad assorbire la radiazione laser. Il
plasma è non confinato e rapidamente si spande verso l’esterno e di qui
si crea un’onda d’urto che comprime la parte interna, rimanente, della
pallina. Questa onda d’urto comprime e scalda il nucleo della sferetta
fino al punto in cui la reazione nucleare si innesca nelle regioni di più alta
25
densità nel centro della pallina. Le particelle α risultanti dalla fusione
perdono rapidamente la loro energia nelle collisioni con gli ioni del denso
carburante. Questo fatto contribuisce ad un ulteriore riscaldamento cosı̀
che le reazioni termonucleari si propagano verso l’esterno, la pallina poi
si espande e la reazione finisce.
Ora ci soffermeremo su quelle che sono un pò le problematiche
dei fasci. Un problema particolarmente serio, per i fasci laser, è la
bassa efficienza (1 − 10%) per la conversione da energia elettrica in
radiazioni. Quindi, approcci alternativi alla fusione a confinamento
inerziale sono stati esplorati fino ad arrivare ad usare particelle cariche
invece di laser. Sotto, la Figura 1.7 mostra la sequenza degli stadi della
fusione a confinamento inerziale.
Figura 1.7
26
Capitolo 2
Fusione a confinamento inerziale
2.1 Panoramica
La fusione a confinamento inerziale (ICF) è un approccio alla fusione termonucleare che fa assegnamento sull’inerzia della massa del
combustibile per provocare il confinamento stesso. Per raggiungere le
condizioni sotto le quali il confinamento inerziale è sufficiente per un
efficiente ”scoppio” termonucleare, i bersagli ICF, o capsule, devono
avere caratteristiche simili a quelle mostrate nella Figura 2.1.
Figura 2.1
27
Una capsula generalmente è un guscio sferico riempito con gas a
bassa densità (≤ 1.0 mg/cm3 ). Il guscio è composto da una regione
esterna, che forma l’ablatore, ed una regione più interna di deuteriotrizio (DT ), liquido o congelato, che forma il combustibile principale.
Come è mostrato in Figura 2.2, la sezione d’urto per reazioni di fusione
di tipo DT è approssimativamente due ordini di grandezza più grande
rispetto a tutte le altre reazioni nel range di temperature fino a circa
40 keV . Di qui la scelta del combustibile DT .
Figura 2.2
L’energia proveniente da un ”driver” è trasportata rapidamente
all’ablatore che si riscalda e si espande. Come l’ablatore si espande
verso l’esterno, il resto del guscio è forzato a muoversi verso l’interno
28
per conservare la quantità di moto. L’efficienza con cui il combustile
per la fusione implode sta tipicamente nell’intervallo tra il 5% e il 15%.
Il lavoro che fa il combustibile mentre implode è il prodotto della pressione, generata dal processo di ablazione, per il volume racchiuso dal
guscio. Di qui, per una data pressione, un guscio più sottile che racchiude più volume può essere accelerato a velocità più elevate rispetto ad
un guscio più spesso della stessa massa.
Nella sua configurazione finale, il combustibile è quasi isobarico
a pressioni fino a ∼ 200 Gbar ma consiste di due distinte regioni: una
zona calda centrale, contenente ∼ 2%−5% del combustibile e una densa
regione del combustibile principale che comprende anche la massa rima-
nente. Le reazioni di fusione iniziano proprio nella zona centrale e, un
fronte prodotto dagli scoppi termonucleari, si propaga radialmente verso
l’esterno nel combustibile principale producendo un alto guadagno.
Nel processo di implosione, molte caratteristiche sono importanti.
Il rapporto d’aspetto in volo (IFAR) è definito come il rapporto tra
il raggio del guscio R, come esso implode, e il suo spessore ∆R
che è più piccolo dello spessore iniziale perchè il guscio è compresso
mentre implode.
Instabilità idrodinamiche, simili all’instabilità di
Rayleigh-Taylor (RT) di un fluido classico, impone un limite superiore
a questo rapporto che risulta da un minimo di pressione o assorbimento
dell’irradiazione da parte del ”driver”. Per processi di fusione che usano
laser come driver, quando siamo nel range 25 < IF AR < 35 i valori
di picco sono ∼ 100 M bar e ∼ 1015 W/cm2 per drivers che possono
arrivare ai megajoules. Questi valori minimi dipendono dalla velocità
di implosione richiesta che è a sua volta determinata dalle dimensioni
della capsula. Le velocit minime sono nel range di 3 − 4 · 107 cm/s
per drivers che raggiungono i megajoules. Va ricordato inoltre che il
³
´
rapporto di convergenza RRinitial
va da 20 a 30.
f inal
Le condizioni del combustibile che devono essere raggiunte per
scoppi efficienti e rendite elevate, relativi all’energia del driver, possono
29
essere ottenute prontamente dall’analisi dello scoppio di un combustibile
confinato inerzialmente. Dopo che il combustibile si è scaldato fino a
raggiungere alte temperature, iniziano a verificarsi reazioni di fusione.
Nello stato iniziale (si ricorda che nello stato finale il combustibile è
ionizzato e bisogna quindi tener conto anche degli elettroni), il combustibile soddisfa la relazione nD = nT = n/2, dove n indica la densità
e i suffissi D e T si riferiscono al Deuterio e al Trizio rispettivamente.
L’equazione che regola le reazioni termonucleari è
dn
n2
=−
< συ > .
dt
2
(2.1)
Se la frequenza di reazioni media < συ > si ipotizza essere una costante
(sebbene essa cambi come una funzione della temperatura), la soluzione
dell’equazione (2.1) risulta essere
1
1
1
−
= < συ > τ
n n0
2
(2.2)
dove n0 è la densità del combustibile prima della reazione e τ è il tempo
di confinamento del combustibile dovuto all’inerzia espresso da
τ=
Rf
Rf
=
Cs
(κT /mi )1/2
(2.3)
dove Rf è il raggio finale del combustibile DT , Cs = (κT /mi )1/2 è la
velocità del suono degli ioni (la velocità di espansione del combustibile),
κ è la costante di Boltzmann e mi è una massa efficace che tiene di
entrambe gli ioni del combustibile. Se la frazione o efficienza dello
scoppio (tasso di reazione) del combustibile è definita da
f = (n0 − n)/n0
(2.4)
l’equazione (1.2) può essere riscritta come
f=
ρR
(8mi Cs / < συ >) + ρR
(2.5)
dove ρ = nmi è la densità del combustibile. La temperatura del combustibile si innalza a T = 80 keV per merito del riscaldamento prodotto
30
dal rilascio di energia delle particelle α create durante le reazioni. In
media, T è di circa 20 keV cosı̀ che
8mi Cs / < συ >≃ 6.3 g/cm2
(2.6)
e l’equazione (2.5) si riduce a
f=
ρR
(6.3 + ρR)
(2.7)
dove ρR è espresso in unità di g/cm2 . Se prendiamo f con un valore di
0.3 ( efficienza di scoppio del 30%), ρR deve essere di 3 g/cm2 .
Nel campo della ricerca sulla fusione a confinamento inerziale, ρR
è frequentemente usato al posto di nτ . Tra ρR e nτ esiste la seguente
relazione
ρR
.
(2.8)
mi Cs
Introduciamo ora il concetto di ignizione o accensione e vediamo sonτ =
prattutto come esso viene inteso nel ICF. In ICF, processo fondamentalmente pulsato, l’ignizione avviene quando la produzione d’energia e
il rilascio energetico delle particelle, provenienti dalla zona calda, sono
sufficienti per creare un’onda di scoppio autosostenuta che si propaga
nella circostante regione densa del combustibile principale. Per compensare le inefficienze dell’implosione e del driver, il bersaglio ICF deve
avere un’alta efficienza di scoppio e la maggior parte del combustibile
deve essere scaldato dall’onda creata che si propaga dalla zona calda
centrale verso l’esterno. La produzione di energia tramite la fusione a
confinamento inerziale, richiede guadagni dei bersagli sufficientemente
alti tali che il prodotto tra il guadagno e l’efficienza del driver sia ∼ 10.
Dipendendo ovviamente dall’efficienza del driver, guadagni del bersaglio
di 30-100 o più sono richiesti per soddisfare tale condizione.
Oggi, nei laboratori, con la compressione del combustibile DT si riesce a raggiungere ρR = 3 g/cm2 necessari per raggiungere un’efficienza
di scoppio di 1/3. Per una sfera abbiamo
M=
4π (ρR)3
.
3 ρ2
31
(2.9)
Di qui, la massa (e anche l’energia del ”driver” con un coefficiente
d’efficienza fissato) richiesta per ρR = 3 g/cm2 va come 1/ρ. A densità
come quelle dei liquidi di 0.21 g/cm3 , sono richiesti circa 2.5 kg di DT .
Se tutta questa massa fosse accesa, restituirebbe circa 8·1014 J sapendo
che l’energia prodotta dal DT per chilogrammo è 3.3 · 1014 J/kg. Cosı̀,
se pensiamo di raggiungere densità di 400 g/cm3 , un guscio sferico di
spessore r/2 e raggio r con ρR = 3 avrà un massa di DT pari a 5 mg.
Questa massa restituirebbe circa 6 · 108 J. Da cinque a sei impulsi per
secondo, tale bersaglio (capsula) potrebbe sostenere un reattore per la
produzione di energia di 1 GW .
Sempre riferendoci a processi che usano laser come driver, possiamo ora fare un altro esempio pratico per capire meglio di come sia
importante il fattore densità. Introduciamo EDT come l’energia fornita
al combustibile DT all’istante in cui esso compresso a densità elevate
ed Ei come quella parte di energia del fascio, indirizzata dal driver,
assorbita dal bersaglio. Le due energie sono legate dalla seguente relazione
EDT = ηEi .
(2.10)
EDT è espressa come
EDT = ηEi = 2
µ
4π 3 3
R nκT
3
2
¶
(2.11)
dove n è la densità degli ioni DT , η è il coefficiente o rendimento idrodinamico, R è il raggio finale del combustibile DT che nello stadio finale è
ionizzato, quindi è cosı̀ spiegato il due che moltiplica la (2.11) che tiene
conto degli ioni e degli elettroni. Semplificando la (2.11) e ponendo
η = 0.1 (10%), T = 4 keV e ρR = 3 kg/m2 abbiamo
Ei = 4πR3 nκT /η
Ei = 3.65 · 1012 (ns /n)2 J.
(2.12)
Qui ns sta per la densità del combustibile solido e il suo valore è
ns = 4.5 · 1028 m−3 . Quando n = ns abbiamo Ei = 3.65 · 1012 J
32
che è enormemente grande ed è tecnologicamente impossibile fornire.
Comunque, abbiamo supposto che il combustibile può essere compresso
a circa n = 1000ns . Allora Ei diventa 3.65 M J che è nell’ambito
delle energie che possono essere tecnologicamente raggiunte. Quando
n = 104 ns , Ei si riduce fino a 36.5 kJ. Quindi, per raggiungere la fusione a confinamento inerziale è necessario comprimere il combustibile a
densità 103 − 104 volte quella dei solidi. Con queste semplici formule si
è potuto capire quanto sia importante il ruolo che gioca la densità nella
fusione inerziale. Un rapido sguardo lo diamo anche alla pressione. Se
il combustibile principale (DT solido) fosse riscaldato a T = 4 keV e
compresso a n = 1032 m−3 , la pressione p del combustibile avrebbe il
valore p = 6.4 · 1016 P a, valore derivato da p = nκT . Per la fusione
a confinamento inerziale la pressione del combustibile deve raggiungere
altissimi valori dell’ordine di 1017 P a. Con la stima della pressione, ora
si hanno ben chiari quali sono i valori, davvero impressionanti, in questi
tipo di processo.
Finora, parlando del driver, abbiamo fatto sempre riferimento al
raggio laser. In verità esistono diversi dispositivi, tutti atti a comprimere più o meno efficientemente la capsula. Possiamo sostanzialmente raggrupparli in due categorie: driver diretti e driver indiretti.
Nel drive diretto, il fascio laser (oppure un fascio di particelle
cariche) colpisce direttamente il bersaglio. L’energia laser è trasferita
agli elettroni tramite la reazione inversa a quella di bremsstrahlung o
tramite una varietà di processi collettivi del plasma. Questo assorbimento accade ad una densità di particelle uguale o inferiore alla densità
critica di plasma nc (cm−3 ) = 1021 /λ2 , dove λ è la lunghezza d’onda del
laser in µm . La conduzione tramite elettroni deve trasportare l’energia
al fronte di ablazione che tipicamente ha una densità di elettroni di circa
1024 cm−3 .
Nel drive indiretto l’energia proveniente dal laser o dal fascio di
ioni è prima assorbita da un recipiente con alto numero atomico Z, un
33
”hohlraum”, che circonda la capsula. Il materiale riscaldato dal driver
emette raggi X che guidano l’implosione della capsula. Per una capsula ottimamente progettata il 70%-80% dell’energia del driver riesce
ad essere convertita in raggi X. Una geometria ottimale dell’hohlraum
dipende dal driver. Disegni schematici di hohlarums per driver laser e
per driver a fasci di ioni pesanti sono mostrati nella Figura 2.3 sotto
riportata.
Figura 2.3
Infine presentiamo una suggestiva immagine di un hohlraum per
fasci laser, ed esattamente l’esterno dell’hohlraum dell’esperimento
NOVA (ubicato al Lawrance Livermore National Laboratory), proprio
quando dieci raggi laser colpiscono e riscaldano la superficie interna.
Hohlraum NOVA
34
2.2 Fisica dell’ignizione
Classicamente il concetto di fusione di due atomi è molto semplice.
Purtroppo, però, quello che ha sempre impedito lo sviluppo di questo
processo, è la barriera coulombiana che inevitabilmente ”compare”
quando si cerca di avvicinare due nuclei di atomi designati e quindi
di fonderli. Nella Figura 2.4 sotto riportata, viene data una descrizione
qualitativa della barriera.
Figura 2.4
In meccanica quantistica l’idea che una particella abbia una certa
probabilità di passare attraverso una barriera di potenziale non è certo
un’idea bislacca. Quindi, tornando alla Figura 2.1, si vede che più
l’energia dei nuclei è alta, più si ha una probabilità elevata di attraversare la barriera coulombiana. Quanto detto può essere formalizzato
35
come segue. Se V (r) è la barriera coulombiana ed E l’energia dei nuclei
V (r) =
Z1 Z2
e2
·
4πε0
r
E=
e2
Z1 Z2
·
4πε0
b
con Z1 e Z2 numeri atomici dei due nuclei e b distanza tra i due stessi
con la particolare energia E, allora la probabilità di attraversare la
barriera sarà
2
|T | = P = exp
−2
R
dr
√
(2m/h̄2 )[V (r)−E]
= exp−2G
T è il coefficiente di trasmissione, P indica la probabilità, m è la massa
del nucleo che incide sulla barriera e G è il fattore di Gamow. Il fattore
di Gamow è espresso cosı̀
G=
µ
2m
h̄2 E
¶1/2
s µ
"
r
¶#
Z1 Z2 e2
R
R 1−R
−
arccos
.
4πε0
b
b
b
Nella fisica dell’implosione della capsula, però, bisogna tenere conto di
molti fattori che vanno ad incidere più o meno sensibilmente proprio
sull’accensione e sull’auto-sostenimento del fronte d’onda degli scoppi
termonucleari.
Come la capsula implode, il lavoro P dV e il rilascio di energia da
parte delle particelle α riscaldano la zona calda centrale. La conduzione
di elettroni da questa zona fino alla zona circostante (regione densa del
combustibile principale), contribuisce a raffreddare la zona calda centrale. Contribuiscono anche al raffreddamento le perdite tramite radiazioni. Come il guscio del combustibile primario comprime la zona
calda, la pressione aumenta e le densità di entrambe, zona calda e regione densa del combustibile principale, incrementano. Se le perdite per
conduzione e radiazione della zona calda sono troppo grandi, l’ignizione
non avverrà mai. Per raggiungere l’accensione, ora che il processo
36
d’implosione si è fermato, la zona calda deve avere ρR uguale a circa
0.3 g/cm2 e si deve raggiungere una temperatura, nel centro, di circa
10 keV . Sotto queste condizioni, l’energia rilasciata dalle particelle
α prevarrà su quella persa dalla conduzione degli elettroni nella zona
calda e sarà cosı̀ generata un’onda di scoppio auto-sostenuta. Andando
avanti con la trattazione verrà dimostrato il perché di tali requisiti numerici per l’accensione della capsula. Prima di fare questo, facciamo
un piccolo riassunto del modello di ignizione che si sta usando:
Riscaldamento

 Lavoro P dV f atto sul gas durante l′ implosione

Riscaldamento dovuto alle particelle α

Conduzione degli elettroni




Raf f reddamento P erdita dovuta alle radiazioni




Lavoro P dV f atto sul gas durante l′ esplosione
Elenchiamo ora, brevemente, le potenze specifiche dei vari contributi.
Consideriamo una sfera (ci stiamo riferendo alla zona calda detta
anche Hot Spot), con densità ρ e temperatura T uniformi, che implode
con una certa velocità ν . Verrà compiuto un certo lavoro sul combustibile e la potenza specifica per questo contributo al meccanismo di
riscaldamento è
ρT10 ν5
(2.13)
R
Il pedice W sta per ”work”, cioè lavoro, R è il raggio dell’hot spot
Pw = 2.4 · 1017
espresso in m e ρ è la densità espressa in kg/m3 . Abbiamo anche che
¸
·
ν
W
ν5 = 5
, T10 = T /(10 keV ) e [PW ] =
10 m/s
m3
37
con T espressa in keV e ν in m/s.
Consideriamo ora il riscaldamento dovuto alle particelle α . Il tasso
di riscaldamento termonucleare per unità di volume è
1/2
Pα = 6.2 · 1017 ρ2 T10 (ρR)
·
¸
W
[Pα ] =
.
m3
(2.14)
Per quanto riguarda, invece, la perdita di energia dovuta a radiazioni,
avremo che il suo contributo è
1/2
Pr = 1017 ρ2 T10
·
¸
W
[Pr ] =
.
m3
(2.15)
Passiamo ora all’ultimo contributo per la perdita di energia per conduzione degli elettroni:
7/2
18 T10
10
R2
Pe = 2.5 ·
¸
·
W
.
[Pr ] =
m3
(2.16)
Le equazioni che vanno da (2.13) a (2.16) forniscono un quadro qualitativo dei termini di perdita e guadagno nella zona calda centrale. In
tale zona ci sarà un guadagno netto per f = PW + Pα − Pe − Pr > 0.
La soluzione f = 0 è quadratica in ρR, infatti si ha
R2 X
7/2
1/2
2
P = (ρR)2 [6T10
(ρR) − T10 ] + (ρR)[2.4T10 ν5 ] − 25T10 =
107
= A · (ρR)2 + B · (ρR) − C = 0.
(2.17)
La condizione f = 0 distingue tra regioni in cui la zona calda guadagna
energia, come essa viene compressa, e regioni in cui essa perde energia. Le regioni di perdita e guadagno sono mostrate nella Figura 2.5,
riportata nella pagina seguente, per una velocità di ν5 = 3; tali zone
specificano dove i vari termini di energia dell’equazione dominano.
38
Figura 2.5
Sopra una linea data da T = 15.75(ρR2/3 ) keV , il tasso di perdita
per conduzione supera quello di perdita per radiazioni. Una tipica implosione di una capsula ICF, procede interamente sopra questa linea
(per DT senza tracce d’impurità). Sempre dalla figura si vede chiaramente che il lavoro P dV è un termine dominante di guadagno d’energia
nell’intervallo 0.1 < ρR < 0.2 g/cm2 e temperature di diversi keV .
L’esistenza di una zona di perdita di energia a valori di ρR alti e di
temperature di alcuni keV , è causata dal fatto che le perdite per radiazioni vanno come ρ2 mentre il lavoro P dV va semplicemente come ρ.
Infatti il rapporto tra P dV e le perdite per radiazioni è dato da
7/2
T ν5
PW
= 0.767 10
Pr
(ρR)
(2.18)
che per una data velocità ν è sempre minore dell’unità a valori di ρR
sufficientemente alti. Questa regione di perdita di energia per alti valori
di ρR, si estende solo fino alla ”temperatura ideale di ignizione” che
sarebbe la temperatura alla quale il tasso di produzione delle particelle
α uguaglia il tasso di perdita per radiazioni. Nel DT senza impurità
questa temperatura è di 4.3 keV .
39
Lungo le traiettorie, definite da f = 0, il guadagno e le perdita di
energia si bilanciano cosı̀ che una capsula non può implodere seguendo
esattamente queste traiettorie. Nella regione in cui perdita per conduzione e lavoro P dV dominano il bilancio di energia, c’è una traiettoria d’implosione verso la quale tutte le possibili altre traiettorie d’implosione convergono o per meglio dire vengono ”attratte”.
L’equazione, nello spazio T − ρR, da cui è possibile vedere questo è
Cν ρ
X
dT
=
P = P w + P α − Pe − Pr .
dt
(2.19)
Le capsule che incominciano la loro implosione lontano da questa traiettoria, gradatamente tendono verso essa. La traiettoria non attraversa
mai quella dell’ ”attrattore stabile” poichè il coefficiente angolare, da
sotto, approccia asintoticamente lo stesso valore dell’ ”attrattore stabile”.
Una volta che il sistema inizia ad entrare in zone con valori di T
e ρR alti, la pressione cresce e rallenta l’implosione stessa. Per ν5 = 0,
nella parte più in basso a sinistra di tale traiettoria c’è il cambio di penP
denza e siccome una pendenza negativa significa P < 0, bisogna mantenersi a T10 ≃ 1 e ρR ≃ 3 kg/m2 piuttosto che tale cambio avvenga.
Tutto questo è mostrato nella Figura 2.6 sotto riportata. Prima di fare
un rapido esempio di quanto appena detto, facciamo notare che nella
suddetta figura sono riportate anche le simulazioni numeriche di traiettorie d’implosione della capsula del National Ignition Facility (NIF);
si vede che le traiettorie calcolate dal NIF sono qualitativamente consistenti col semplice modello di perdita e guadagno di energia del combustibile, ma la zona calda centrale raggiunge temperature più alte
rispetto ai valori di pre-ignizione di ρR. Il tempo è implicito nella trai-
ettoria: esso incrementa proprio come la temperatura e ρR, cambiando
da destra verso sinistra attraverso la figura. Questa capsula ha una velocità d’implosione di 4 · 107 cm/s nel momento in cui essa incomincia
a decelerare.
40
Figura 2.6
Riferendoci sempre alla (2.19), è possibile applicare dei criteri di
ignizione, lavorando ovviamente in zone di guadagno netto di energia,
che ci riportano sempre ai valori di ignizione T10 ≃ 1 e ρR ≃ 3 kg/m2 .
Come detto precedentemente, ρR è spesso usato al posto di nτ . Il valore
di quest’ultimo, corrispondente al criterio di ignizione, è
nτ > 1021 s/m3 .
Siccome nell’ICF si raggiungono densità di particelle dell’ordine di
1032 m−3 , allora avremo un tempo di confinamento τ pari a
τ ≈ 10−11 s.
2.3 Velocità d’implosione
Prima di addentrarci nel calcolo della velocità tipica d’implosione di
una capsula ICF, bisogna puntualizzare alcune cose. Il combustibile DT
41
nella zona fredda è in genere nello stato solido e a basse temperature,
quindi è giusto trattare il combustibile come un gas di fermioni degeneri
(o che si trovano nello stato Fermi degenere). Allora si può dire che
l’energia media per particella è dell’ordine di εF0 perchè guardando la
densità di particelle in funzione dell’energia, si vede che solo i fermioni
che stanno intorno a εF0 interagiscono tra di loro e con campi esterni. I
fermioni lontani da εF0 subiscono soltanto un rimescolamento. Quindi,
nel caso di fermioni degeneri, la statistica ci suggerisce
ET ot = N · < εF > = N ·
3
· εF0 .
5
(2.20)
Con εF0 abbiamo indicato l’energia di Fermi a T ≃ 0 e con N il numero
di particelle.
Una domanda che potremmo subito porci è:
che velocità
d’implosione è richiesta affinchè il combustibile si assembli? Si può
partire da una semplice considerazione e che cioè la somma delle energie della zona calda (hot spot) e della regione densa (zona fredda),
non sarebbe altro che l’energia del driver incidente sulla capsula convertita in energia termica. Se si tiene conto che la massa del combustibile
nella zona calda è molto minore della massa del combustibile nella zona
fredda possiamo scrivere
EHS + ECold = ET ot =
1
2
MF Vimpl
2
1
1
2
2
MF Vimpl
≃ MCold Vimpl
≃ ET ot ≃ ECold
2
2
(2.21)
con Cold che sta ad indicare la zone fredda, MF la massa complessiva
del combustibile e Vimpl è ovviamente la velocità d’implosione. Usando
ora le espressioni della (2.20) e della (2.21), riusciamo a dedurre qual è
la velocità di assemblamento o implosione
ECold
1 2
Vimpl ≃
≡ QF D = 3.2 · 106 ρ1/3
2
MCold
Vimpl ≃ 2.5 · 103 ρ1/3
42
(2.22)
e per valori di circa ρ = 106 kg/m3 avremo
Vimpl ≃ 2.5 · 105 m/s.
Poichè la conversione di energia cinetica in energia interna può essere
imperfetta, allora la Vimpl pu variare tra Vimpl = 3 − 4 · 105 m/s.
2.4 Guadagni
Parte integrante di un discorso approfondito sulla fusione inerziale, è
la trattazione dei guadagni, in energia, della capsula e la descrizione
dei vari rendimenti che entrano in gioco quando finalmente si inizia a
progettare ciò che deve essere un reale reattore a fusione termonucleare
inerziale. Vogliamo subito presentare un schema semplificato di un
eventuale reattore con tutti i parametri caratterizzanti
Reattore ICF
dove ovviamente ηD è sempre il rendimento del driver o efficienza idrodinamica, Pin e Pout rispettivamente le potenze d’entrata e d’uscita, G
il guadagno della capsula, ηT il rendimento delle pareti del reattore e
43
delle turbine e f è la frazione che viene presa dalla potenza in uscita
per l’automantenimento del ciclo del reattore.
Pin = f Pout = f ηT GηD Pin ⇒ f ηT ηD G = 1
noi vogliamo che f < 1/4. Allora, con ηT ≃ 0.4 avremo
ηD G ≥ 10.
(2.23)
Ora, riprodurremo lo stesso schema del reattore questa volta però con
un rendimento del driver fissato (in questo caso un driver diretto ossia
un laser) cosı̀ che incominceremo a vedere i numeri più rappresentativi.
Reattore ICF
Come detto appena sopra, lo schema testè rappresentato indica quali
sono i parametri principali di tutti i maggiori componenti del reattore
per un dato rendimento del driver (laser) e cioè η = 10%. Formalmente
il guadagno di una capsula definito nel modo seguente
G=
Energia T ermonucleare P rodotta
.
Energia del driver
44
Ora possiamo provare a fare un esempio di calcolo per una capsula
ICF. Consideriamo un driver da 6 M J e questa volta supponiamo
che questo sia un driver indiretto (quindi rendimenti abbastanza elevati). Fissiamo il rendimento idrodinamico a η = 0.04. Ricordando
che ET ot = ηEdriver = EHS + ECold avremo che ET ot = 0.24 M J. In
condizione di ignizione (T = 10 keV e ρR = 3 kg/m2 ) e di equilibrio di pressione tra hot spot e zona fredda (PH = PC , configurazione
isobarica), avremo
G=
fb · MC · QDT
(1/2) · (4.8 · 10−6 ) · (3.3 · 1014 )
=
= 130
Edriver
6 · 106
(2.24)
dove fb è il tasso di scoppio del combustibile principale, MC la massa
della zona fredda e QDT è l’energia per unità di massa di una reazione
DT . Si vede che il guadagno è ben oltre quello richiesto dalla relazione
(2.23) per questo tipo di rendimento.
Durante l’implosione il combustibile può assumere più di una configurazione di assemblamento, ed esattamente: quella isocora e quella
isobarica. La configurazione col guadagno più elevato è quella isocorica
(fast ignition), che prevede una densità uniforme su tutta la capsula.
È ovvio che per le due diverse configurazioni esisteranno due diverse
relazioni per il guadagno della capsula ICF.
Ora vogliamo brevemente ricordare che per driver diretti esistono
due effetti che possono pregiudicare il perfetto assemblamento del combustibile: 1) preriscaldamento del combustibile 2) instabilità idrodinamiche del guscio implodente. Il preriscaldamento del proprellente
DT incrementerà la pressione dello stesso rendendo cosı̀ più difficile
comprimere la capsula (PDT = α · 2 · 106 ρ5/3 con PDT = α · PF D dove
PF D è la pressione nello stato Fermi degenere). La quantità di preriscaldamento può essere quantificata in termini del coefficiente adiabatico α
già visto precedentemente (definito come il rapporto tra l’energia specifica del combustibile e l’energia specifica Fermi degenere). Quello che si
vuole arrivare a dire è che per questi tipi di driver il guadagno va come
45
α−3/5 e i valori di α sono maggiori di 1. Proprio sotto è riportato un
grafico, Figura 2.7, che mostra la relazione tra il guadagno della capsula
e l’energia incidente del laser per valori isoentropici di α fissati.
Figura 2.7
I driver indiretti invece, sono ritenuti essere stabili alle instabilità idrodinamiche e possono operare molto vicino il limite Fermi degenere
(α = 1).
Per approfondimenti vedere Appendice A e Appendice B.
46
Capitolo 3
Dinamica del fascio
Prima di tutto vogliamo introdurre quello che è il progetto europeo,
che in un certo senso si contrappone al già citato americano NIF, per
la costruzione di una centrale per la produzione d’energia che si basa
sulla fusione inerziale a driver indiretto. È proprio su di esso che questo
capitolo incentra i suoi calcoli, ovvero all’atto di ricavare i primi dati
numerici dal modello, si fa uso proprio dei paramtri di HIDIF. Proponiamo sotto una schematizzazione di tutto l’impianto
Preinjector :16 ion sources
per species, RFQ's and
Funneling System
9 Rings
(3 per species)
12 bunches/ring
Induction Linac Buncher (1 per species)
36 beams each
Species Merging
Final Drift
Stage (3x36 ->
(36 beamlines)
36 beam lines)
Bunch Synchronisation Stage
Final Focus
1 delay-line system per ring
Target Station
Final Drift
(36 beamlines)
Injector Linac 10 GeV, Length >3 km(not to scale)
9 Rings
(3 per species)
12 bunches/ring
Species Merging
Induction Linac Buncher (1 per species)
Stage (3x36 ->
36 beams each
36 beam lines)
100 m
Bunch Synchronisation Stage
1 delay-line system per ring
Schema of HIDIF Scenario (to scale)
H.O.S.
Impianto HIDIF
47
17/09/97
Quello che ci occuperemo in seguito, è di descrivere la dinamica del
fascio dei ”rings”, acceleratori circolari, che si possono vedere anche
nella figura precedente. Intanto riportiamo sotto una piccola tabellina
in cui sono mostrati i parametri principali degli acceleratori di HIDIF;
ν è il tune
Numero dipoli
Lunghezza cella
Raggio di curvatura
ν
27
7m
31 m
0.22
Si vuole inoltre precisare che per la descrizione dei pacchetti di
particelle all’interno dell’acceleratore, si userà la famosa distribuzione
KV (Kapcinschij-Vladiminschij) che è soluzione autoconsistente e
stazionaria delle equazioni di Poisson-Vlasov. Per la descrizione di tali
sistemi si possono adoperare tre distinti modelli: Particle in Core (PC),
Particle in Cell (PIC) e il Poisson Solver.
3.1 Equazioni di Hill
In questo capitolo verrà esposta quella che è la teoria della dinamica
di un fascio di particelle cariche all’interno di un acceleratore circolare.
In tali macchine la dinamica può essere scomposta in una parte trasversale ed in una longitudinale. Siccome in questi acceleratori i bunch, veri
e propri fiotti o pacchetti di particelle, sono allungati, è lecito limitarsi
alla sola dinamica trasversa. In realtà un altro valido motivo viene dal
fatto che l’effetto del campo magnetico generato dalla corrente del fascio, ovvero dal moto longitudinale delle particelle, risulta trascurabile
ed inoltre poichè il fascio è pressochè continuo, le componenti longitudinali della forza elettrica repulsiva tra gli ioni si annullano.
48
Quindi, questo tipo di dinamica che andremo a trattare descrive in
prima approssimazione anelli d’accomulazione di bassa energia (e/o per
ioni pesanti), nei quali si possono trascurare l’accelerazione e gli effetti
di radiazione di sincrotrone derivanti dalla curvatura.
D’ora in poi con la parola ”acceleratore” vorremmo sempre riferirci
ad un tubo di materiale conduttore con sezione costante, suddiviso
longitudinalmente in celle identiche di lunghezza L; possiamo pensarlo
come un anello di raggio ρ0 = L/2π.
3.1.1 Equazioni del moto
Come sistema di riferimento scegliamo una terna cartesiana
(ex , ey , ez ) con ez parallelo all’asse del tubo, ex giacente nel piano orizzontale che contiene idealmente tale asse (l’acceleratore è sempre posizionato orizzontalmente) ed ey orientato verticalmente. Chiamando s
l’ascissa curvilinea sull’asse dell’acceleratore, il nostro sistema di riferimento si muove con la stessa velocità costente ṡ (e lo stesso verso) delle
particelle in moto. La relazione tra tempo e ascissa curvilinea è
ds = vdt = βcdt ≃ vz dt
(3.1)
Cerchiamo ora di formulare l’equazione che descrive il moto di una
particella singola di carica q ed impulso p~ all’interno dell’acceleratore
quando questa è sottoposta all’azione dei campi magnetici opportunamente generati per controllarne la traiettoria. Eòvvio che il bunch non
è composto da una sola perticella ma di circa 1012 che interagiscono
elettricamente tra di loro, ma per ora ci limiteremo a descrivere la sua
traiettoria trascurando gli effetti di carica spaziale debitemente trattati più avanti. Evitando una tediosa trattazione, arriviamo subito a
49
scrivere che
(3.2)
 2
d x x
∂V


+ 2 =−

2

ρ0
∂x

 ds




d2 y
∂V


=−
2
ds
∂y
con V potenziale del campo magnetico applicato per far muovere la
particella su di una traiettoria approssimativamente circolare di raggio
ρ(s) = ρ0 +x(s). Se ora sviluppiamo il potenziale V in serie di multipoli
abbiamo
k2 (s) 3
k1 (s) 2
(x − y 2 ) −
(x − 3xy 2 ) + . . . =
2
6
X kn−1 (s)
(x + iy)n
= − Re
n
V (x, y, z) = −
n≥2
dove i kn sono i gradienti multipolari e se teniamo soltanto i termini di
primo ordine arriviamo a scrivere
 2
µ
¶
d x
1


+ 2 − k1 (s) x = 0


2

ρ
 ds
o più in generale



2


 d y +k1 (s)y = 0
ds2
(3.3)
 2
d x


+kx (s)x = 0


 ds2


2


 d y +k (s)y = 0.
y
ds2
Le ultime scritte sono le equazioni del moto per una particella singola
e prendono il nome di equazioni di Hill. Poichè sono lineari in x e y, se
identificassimo il parametro s col tempo t e se kx e ky non dipendessero
da s, avremmo due oscillatori (armonici o iperbolici in base al segno dei
k) fra loro disaccoppiati; la dipendenza da s ci suggerisce di pensare ad
50
oscillatori con forza elastica dipendente dal tempo (con periodo L) ed
in genere accoppiati.
Supponiamo che nell’equazione di Hill il coefficiente k(s) sia una
funzione periodica di periodo L, ovvero k(s + L) = k(s). Cerchiamo
una soluzione del tipo
x = Re(A(s)e(i(φ(s)+γ)) ) = A(s) cos(φ(s) + γ)
(lavoriamo con x ma il discorso è identico per y).
(3.4)
Manipolando
le equazioni di Hill con la soluzione appena ipotizzata, avremo
l’importante equazione d’inviluppo
A′′ −
C4
+ k(s)A(s) = 0
A3 (s)
la cui soluzione ci dà l’ampiezza (nominale) del fascio di particelle in
assenza di carica spaziale. A(s), infatti, è l’ampiezza massima di oscillazione che una particella può compiere in un determinato punto s; k
è periodico, ma la soluzione A(s) in generale non lo è (in questo caso
si dice che la soluzione è mismatch o non mecciata). Ricordo che con
il simbolo
′
si intende la derivata prima fatta rispetto a s; si lascia al
lettore il compito di congetturare sul simbolo ′′ .
Definiamo ora la variabile β (dalla quale la dinamica trasversa
prende il nome di betatronica
1
β(s) = ′
φ (s)
da cui
φ(s) =
Z
s
ds′
β(s′ )
0
anch’essa periodica β(s + L) = β(s).
Quindi, la soluzione per
l’equazione di Hill sarà del tipo
x(s) = C
p
β(s) cos(φ(s) + γ).
(3.6)
Dopo un giro (ovvero un percorso di lunghezza L), la variazione di
fase è
φ(s) = 2φν =< β
−1
>L
cioè
51
1
ν=
2π
Z
0
L
ds′
β(s′ )
(3.7)
dove con ν vogliamo indicare il tune.
Si può, in un certo qual modo, pensare al tune come ad una specie
di frequenza di Larmor, ovvero il numero di giri che la particella compie
sul piano trasverso in un periodo. Il tune di un fascio collimato è
maggiore rispetto al tune di un fascio più largo: la perticella, trovandosi
ad una distanza dall’asse maggiore, deve in un certo senso percorrere
più strada prima di completare un giro. La carica spaziale allarga il
fascio (repulsione coulombiana) e abbasserà di conseguenza il tune.
3.2 Effetti non lineari
All’interno degli acceleratori circolari il fascio deve essere ben focalizzato e sorgono molti problemi per raggiungere tale scopo. La curvatura all’interno dei dipoli magnetici, infatti, dipende dalla velocità
con cui le particelle li attraversano e quindi dal loro impulso. È ovvio
che particelle con diverso impulso verranno curvate in maniera diversa.
Al fine di ”focalizzare” le particelle attorno alla traiettoria prevista,
è dunque necessario contenere il loro spread energetico. I dispositivi
designati a limitare questi effetti chiamati cromatici, sono appunto i
sestupoli.
Anche errori nel campo magnetico generato dai quadrupoli possono dare origine a termini non lineari (errori di multipolo). In questo
caso l’Hamiltoniana conterrà sia i termini quadratici del quadrupolo,
sia quelli di ordine superiore che nel caso dei sestupoli risultano essere
termini cubici. Quello che si vuole descrivere in questo capitolo sono le
equazioni del moto corrette per i sestupoli in presenza di carica spaziale.
52
3.2.1 I sestupoli
Come abbiamo appena detto, tutta la trattazione sarà impostata
tenendo sempre conto della carica spaziale, ovvero facendo l’ipotesi
(la più sensata mai fatta) di considerare le interazioni di repulsione
coulumbiana tra la particelle cariche costituenti il fascio. Altra ipotesi
fatta è che siamo nel caso Costant Focusing, ovvero si suppone che le
funzioni kx (s) e ky (s), già viste nel capitolo precedente, siano costanti
e positive. Cominciamo con lo scrivere l’Hamiltoniana
Hph
p2xph + p2yph k0x 2
k0y 2
K2 3
2
=
+
xph +
yph −
(x − 3xph yph
)δ(sph )+
2
2
2
6 ph
ξ
+ V (xph , yph )
(3.8)
2
dove con il pedice
ph
si è voluto indicare una variabile fisica. ξ è la
perveanza, grandezza che quantifica il peso della carica spaziale nella
dinamica del fascio, mentre K2 è il gradiente sestupolare integrato:
K2 = k2 L. Si ricorda che la cella dell’acceleratore presa in esame è
lunga L. Sia ora V il potenziale generato da una carica per unità di
lunghezza su una ellissi di semiassi Ax e Ay . Se Ex ed Ey sono i campi
corrispondenti, q è la carica della macroparticella, v la sua velocità, Q
³
´−1/2
v2
la carica per unità di lunghezza, si ha, detto γ = 1 − c2
¶
µ
v2
d2 x
(3.9)
mγ 2 = qQEx 1 − 2
dt
c
ossia
d2 x
qQ
ξ
=
Ex = Ex
2
2
ds
mvpγ
2
se I = Qv, dove con I indichiamo la corrente e β = v/c
ξ=
2qI
2I
=
3
3
3
mγ β c
I0 β 3 γ 3
con
I0 =
mc3
.
q
(3.10)
Con I0 indichiamo la corrente caratteristica. Essa è un parametro della
macchina fissato dal rapporto q/m del tipo di particelle accelerato ed è
evidentemente costante. Nel sistema MKS si ha
I0 =
4πε0 mc3
q
53
e nel caso dei protoni I0 ≃ 7.8 M A.
Abbiamo poch’anzi parlato di una distribuzione di carica ellittica.
Se abbiamo a che fare, invece, con una distribuzione circolare avremo
che il campo elettrico è
E(r) =

2r
R
2

2/r
r<R
r>R
con R raggio della distribuzione, mentre il potenziale corrispondente è

r2

r<R
 − R2
V (r) =
³ 2´

 −lg r 2 − 1
r > R.
R
Ma nel nostro caso tratteremo una distribuzione ellittica, che è in pratica la famosa distribuzione KV, che ci porta a scrivere il campo elettrico
in questa maniera
E(x) =
con t =
x2
A2x
+
y2
A2y .

4x
 Ax (Ax +Ay )

4x
A′x (A′x +A′y )
t>1
t>1
Ax e Ay sono i semiassi dell’ellisse, mentre A′x e
A′y sono i semiassi dell’ellisse confocale. Infatti quando una particella
si trova fuori dal core, per essa passa un’ellisse che ha gli stessi fuochi
dell’ellisse che passa per un punto interno al core. Si ha che A′i =
p ′
Ai + χ dove χ è la posizione della particella che si trova fuori dal core.
In questo caso abbiamo preso la distribuzione KV bidimensionale nel
senso che abbiamo mandato Az → ∞, avendo cosı̀ un cilindro ellittico
infinito carico. Si vede agevolmente che il caso di distribuzione circolare
è un caso particolare del più generale ellittico. Infatti se poniamo k0x =
k0y , dal caso di distribuzione ellittica passiamo al caso di distribuzione
√
√
circolare essendo βi = 1/ ki e Ai = ε0 βi .
Ora, ricordando che siamo nel caso in cui k0x 6= k0y , scaliamo
l’Hamiltoniana di partenza Hph con L2 e con a. Il primo scaling serve
54
per mettere in una forma più semplice e agevole l’Hamiltoniana e quindi
le equazioni del moto risultanti, mentre il secondo serve per dare una
descrizione adimensionale del sistema proprio perché a è un parametro
che ha le dimensioni di una lunghezza. Perciò
2
H = L Hph
2
2
ω0y
p2x + p2y ω0x
K2 La 3
2
=
+
x +
y2 −
(x − 3xy 2 )δ(s)+
2
2
2
6
ξL2
+ 2 V (x, y).
(3.11)
2a
Gli scaling fatti sono i seguenti
x=
xph
,
a
s=
Ax =
β0x =
con ω0 =
√
sph
,
L
Axph
,
a
px =
L
px
a ph
L2
ε0
a ph
1
=
ω0x
ε0 =
β0xph
1
= √
L
L k0x
k0 L. È ovvio che gli stessi scaling valgono per le componenti
in y.
Se indichiamo con Vin il potenziale all’interno del core abbiamo
−
4xph
∂Vin
=
∂xph
Axph (Axph + Ayph )
(3.12)
da cui segue
−
∂Vin
4x
4xph
∂Vin
= −a
=
.
=a
∂x
∂xph
Axph (Axph + Ayph )
Ax (Ax + Ay )
(3.13)
Quindi l’espressione del campo elettrico nelle coordinate scalate è lo
stesso a patto di mettere le ampiezze scalate. Detto cioò andiamo a
scrivere quello che è il potenziale dentro il core
Vin = −
2x2
2y 2
−
Ax (Ax + Ay ) Ay (Ax + Ay )
con
t=
y2
x2
+
< 1.
A2x
A2y
Possiamo allora, visto gli ultimi sviluppi, riscrivere la nostra Hamiltoniana scalata
55
¶
µ
p2x + p2y
x2
ξL2
2
2
2
H=
+
+ x ω0 x − 2
2
a Ax + Ay Ax
+y
2
µ
ω02 y
ξL2
y2
2
− 2
a Ax + Ay Ay
¶
−
K2 aL 3
(x − 3xy 2 )δ(s)+
6
ξL2
(V − Vin ).
(3.14)
2a2
Le quantità tra le parentesi nell’equazione (3.14) sono chiamati tune
+
depressi in quanto c’è una quantità che viene sottratta al tune ”nudo”.
Pertanto riscriviamo la nuova Hamiltoniana con le frequenze depresse
p2x + p2y
ωx2 2 ωy2 2 K2 aL 3
H=
+
x +
y −
(x − 3xy 2 )δ(s)+
2
2
2
6
ξL2
(3.15)
+ 2 (V − Vin )
2a
dove i tune depressi sono

ξL2
2

2

 ωx2 = ω0x
− 2

2a Ax (Ax + Ay )
(3.16)

ξL2
2

2
2

ω
=
ω
−
 y
0y
2
2a Ay (Ax + Ay )
p
√
e si ricordi che l’autoconsistenza impone Ax = ε0 βx e Ay = ε0 βy
dove βx =
βxph
L
e βy = ω1y da cui
µ ¶1/2
µ ¶1/2
ε0
ε0
Ay =
.
Ax =
ωx
ωy
=
1
ωx
(3.17)
Osserviamo che nel caso simmetrico K0 x = K0 y si ha che
ξL2
ξL2
=
.
a2 ωA2
a2 ε0
Nel caso generale invece, sostituendo la definizione di Ai in (3.16)
ˆ
ω 2 = ω02 − ξω
avremo
(3.18)
dove
ξˆ =

2ωx
2


ωx2 = ω0x
− ξˆ
³
´1/2



ωx

1
+

ωy





2ωy

2

ωy2 = ω0y
− ξˆ

³
´1/2


ωy

1+
ωx
56
ˆ Abbiamo visto come nella (3.12) era
dove vale la solita definizione di ξ.
definito il campo elettrico all’interno del core, ma dobbiamo ricordare
qual è la relazione del campo elettrico al di fuori di questo e di come
scala
∂V
∂V
4x
4xph
=a
=
.
=a ′
∂x
∂xph
Axph (A′xph + A′yph )
A′x (A′x + A′y )
(3.19)
Facciamo ora un cambiamento di coordinate che ci fa passare dalle
variabili scalate a quelle di Courant-Snyder
x̂ =
√
ωx x
ŷ =
√
ωy y
py
p̂y = √
ωy
px
p̂x = √
ωx
(3.20)
di conseguenza l’Hamiltonina diventa
p̂2y + ŷ 2
p̂2 + x̂2
K2 aL
Ĥ = ωx x
+ωy
−
3/2
2
2
6ωx
ξL2
+ 2 (ε0 V − ε0 V̂ ).
2a ε0
µ
¶
ωx 2
x̂ − 3 x̂ŷ δ(s)+
ωy
3
(3.21)
Definiamo ora la variabile K̂2 che va ad aggiungersi alla già nota ξˆ
K̂2 =
ξL2
ξˆ = 2 .
2a ε0
K2 aL
3/2
ωx
(3.22)
Si noti che se ξˆ = 0, ovvero in assenza di carica, allora si scala K̂2
ottenendo cosı̀ la ben nota mappa di trasformazione di Hènon.
Le equazioni di evoluzione del sistema sono
˙
x̂ = ωx p̂x



µ
¶



K̂2
ωx 2
ξ

2
˙

x̂ −
ŷ δ(s) + Êx
 p̂x = −ωx x̂ +
2
ωy
2
(3.23)


ŷ˙ = ωy p̂y


µ ¶



ξ
ωx

 p̂˙y = −ωy ŷ − K̂2 x̂ŷ
δ(s) + Êy
ωy
2
dove abbiamo che
Êx = −
√
∂
ε0 (V − Vin ) = A2x ωx (Ex − Exin ).
∂ x̂
57
(3.24)
Riprendendo le definizioni per Ex ed Exin avremo che
Êx = 2x̂
µ
2A2x
2A2x
−
A′x (A′x + A′y ) Ax (Ax + Ay )
¶
t>1
(3.25)
e di conseguenza le equazioni del moto diverranno
(3.26)
˙
x̂ = ωx p̂x



¶
µ



 p̂˙ = −ω x̂ + K̂2 x̂2 − ωx ŷ 2 δ(s) + ξ x̂D

x
x
 x
2
ωy


ŷ˙ = ωy p̂y


µ ¶



ωx

˙
 p̂y = −ωy ŷ − K̂2 x̂ŷ
δ(s) + ξ ŷDy
ωy
dove abbiamo definito Êx = 2x̂Dx e quindi
(3.27) Dx





2A2x
2A2x
−
A′x (A′x + A′y ) Ax (Ax + Ay )
se t =
0
se t ≤ 1
y2
x2
+
A2x
A2y
3.2.2 Apertura dinamica
Un aspetto fondamentale nello studio della dinamica di un fascio in
un acceleratore è l’apertura dinamica, ovvero la regione entro la quale
le particelle rimangono dopo un tempo fissato. Diamo ora, brevemente,
delle definizioni matematiche per l’apertura dinamica nel caso 2D ed in
quello 4D.
Caso 2D. Sia x∗ il punto fisso ellittico di una mappa M e D
il massimo set di invarianti, connesso, incluso x∗ . Le definizioni di
apertura dinamica per questo caso sono:
D = min kx − x∗ k,
x∈D
Dx =
min
(x>0,0)∈D
58
|x − x∗ |,
DA =
µ
µL (D)
π
¶1/2
.
L’ultima curva invariante che racchiude x∗ è la frontiera ∂D.
L’approssimazione di D viene dall’Hamiltoniane interpolanti che vedremo più avanti.
Caso 4D. Per un intero n ed un reale R, consideriamo il set
D(n, R)
x ∈ D(n, R) =⇒ max kM ◦k (x)k ≤ R.
1≤k≤n
Teoremi simili a quelli di Nekhoroshev, mostrano che se si pensa a D
¡
¢
come una sfera di raggio R/2, si può scegliere n = n0 exp (R∗ /R)2/3 .
Quando si parla di termine ”corto” e termine ”lungo” dell’apertura
dinamica ci si riferisce a D(n) rispettivamente per n ≤ 1000 e n ≥ 105 ∼
106 . Anche qui D è ben approssimata dall’Hamiltoniane interpolanti.
Data una descrizione matematica, si può dire ora che in definitiva
noi vogliamo una apertura dinamica che sia maggiore della larghezza
del fascio e, possibilmente, della larghezza del tubo dell’acceleratore.
Dobbiamo in pratica pensare che le particelle all’interno di questa regione (apertura dinamica) siano debolmente affette dalla non linearità
del campo. Limitandoci anche qui al caso Costant Focusing, dapprima
daremo una trattazione teorica senza carica spaziale, che però introdurremo in seguito. Quello che intuitivamente ci aspettiamo è che la
carica spaziale, allargando il fascio, riduce l’apertura dinamica.
L’Hamiltoniana di partenza è
H=
ω 2
1
(px + p2y + x2 + y 2 ) − (x3 − 3xy 2 )
2
3
(3.28)
dove abbiamo considerato il caso particolare in cui ωx = ωy = ω. Il
potenziale si scrive allora nella forma
V =
ω 2
1
(x + y 2 ) − (x3 − 3xy 2 ).
2
3
Si vanno ora a trovare gli eventuali punti critici del suddetto potenziale

∂V


=ωx − x2 + y 2

∂x
(3.29)
∂V


=ωy + 2xy.

∂y
59
Dall’ultimo sistema di equazioni scritto, esce fuori che esistono tre punti
critici e noi andremo a trattare quello in cui si ha un massimo per il
potenziale e cioè il punto (ω, 0). In questo punto la funzione H assume
il valore H =
ω3
3
e quindi proprio per H <
ω3
3
avremo la regione di
stabilità. Andiamo subito allora a scrivere V − Vc
x3
ω3
ω
+ xy 2 −
=
V − Vc = (x2 + y 2 ) −
2
3
6
³ω
´ ω
x3
ω3
=y 2
+ x + x2 −
−
=
2
2
3
6
µ 2
¶
³
´
ωx x2
ω
2 ω
=y
+ x + (x − ω)
+
−
.
2
6
6
3
(3.30)
Manipolando ancora la (3.30)
V − Vc = y 2
³ω
´ 1
+ x + (x − ω)(ω − x)(2x + ω)
2
6
otteniamo che il dominio in cui si annulla V − Vc è dato dalla seguente
equazione
V − Vc = y
2
¸
´·
1
2
2
+ x y − (x − ω) .
2
3
³ω
(3.31)
Alla fine la relazione che viene dall’Hamiltoniana di partenza è
¸
´·
³
1
2
2
2
2
2 ω
(3.32)
+ x y − (x − ω) ≤ 0.
ω(px + py ) + y
2
3
La sezione con px = py = 0, dà un triangolo ottenuto intersecando le
rette
ω
x=− ,
2
1
y = ± √ (ω − x),
3
x≤ω
che è il triangolo equilatero i cui vertici sono dati da
Ã
Ã
√ !
√ !
3
1
3
1
ω − ,
, ω − ,−
, ω(1, 0).
2 2
2
2
È stato scritto un programma che implementa le equazioni (3.23). Vengono fatte evolvere delle particelle con condizioni iniziali px = py = 0
e distribuite su un quadrato di lato L. Dopo essere passati alla coordinate di Courant Snyder, si fanno agire le (3.23). Dopo essere tornati
60
alle coordinate fisiche, ad ogni periodo viene effettuato un controllo: se
x2 +p2x +y 2 +p2y > Lmax la particella viene fatta uscire. Di seguito sono
riportate le immagini delle simulazioni in cui la regione blu è la regione
stabile, la gialla è la zona in cui le particelle escono dalla regione di
sicurezza immediatamente, il cerchio bianco indica la sezione del core
del fascio, il triangolo bianco rappresenta la regione di stabilità definita
da (3.32). Le due immagini che seguono descrivono l’apertura dinamica
senza carica spaziale.
ν=0.1
ν=0.22
Y
2
Y
1
-1
-2
-1
1
-2
X
2
X
Quelle sopra sono immagini fatte variando il tune ν. Come si vede, il
triangolo di stabilità non riesce più a descrivere bene l’apertura dinamica quando il tune cresce.
Passiamo invece ora ad esaminare altre due immagini, ma questa
volta elaborate in maniera tale da considerare anche gli effetti di carica
spaziale. Questa volta nelle figure comparirà anche un triangolo rosso
che non è altro che la zona stabile che tiene conto della carica.
61
ν=0.1
ν=0.22
pv=0.6
pv=0.6
Y
4
Y
4
-4
-4
-4
X
4
-4
X
4
La grandezza pv che compare nelle due immagini sopra, sta ad
ˆ Anche in presenza di carica (ξˆ = 0.6) si vede
indicare il valore per ξ.
che quando cresciamo col tune il triangolo di stabilità non approssima
più con buona precisione la zona blu.
Prima di dare una stima per l’apertura dinamica, voglio introdurre
il cambiamento di variabile che ci porta dalle coordinate di CourantSnyder a quelle di Hènon
X=
K̂2
x̂
2
Y =
K̂2
ŷ
2
(3.33)
dove ricordiamo che l’espressione per K̂2 è
K̂2 =
K2 aL
.
ω 3/2
Quando diciamo che la trasformazione ci porta alle coordinate di Hènon,
vogliamo intendere che le equazioni del moto (3.26) prendono la stessa
forma della famosa mappa di trasformazione, non lineare, di Hènon
¶
µ
µ ¶
x
x
.
= R(ω)
p + x2
p
Ora, partendo anche qui dal caso senza carica spaziale o comunque
con pochissima carica tale da poter porre ω ≃ ω0 ed indicando con
62
D(ω0 ) l’apertura dinamica nelle nuove variabili di Hènon, possiamo
porre (siamo ancora nel caso ωx = ωy = ω)
D(ω0 ) =
ω0
2
con
D(ω0 ) = Xdyn =
ω0
2
ricordando le trasformazioni di Courant-Snyder (3.20) avremo
x̂dyn =
ed infine
2D(ω0 )
K̂2
5/2
ω
= 0
K2 aL
(3.34)
2D(ω0 )
2D(ω0 )ω0
x̂
ω02
.
=
x= √ = √
=
ω0
K2 aL
ω0 K̂2
K̂2 L
(3.35)
La condizione che l’apertura dinamica sia molto più grande del raggio
del core si scrive xdyn ≫ R, con R appunto raggio del core, cioè
2D
ω ≫ 1.
RK2 aL
Ricordando, tuttavia, che per una emittanza fissata si ha che
r
β
R = ε0
L
per cui stando sempre nel caso in cui D(ω0 ) = ω/2 si ha
5/2
2ω
≫1
√ 0
L ε0 K 2 a
ω0
√
ossia
K̂2 ε0
≫ 1.
(3.36)
Se ora invece consideriamo la carica spaziale, non si può fare
l’affermazione secondo la quale ω ≃ ω0 in quanto va ricordato che
ω 2 = ω02 −
ξL2
a2 R2
abbiamo R al posto delle A perché ωx = ωy . Quindi possiamo scrivere
x̂dyn (ω, ξ) =
√
ω xdyn =
ω0 2D(ω0 ) 3/2
ω
ω K2 La
Diamo uno sguardo, ora, alla condizione di consistenza
x̂dyn (ω, ξ) ≫ R̂ = Rω =
63
√
ε0
(3.37).
che diventa
√
√
2D(ω0 ) ω0
≫ ε0 ≡ R ω
K̂2 (ω) ω
e sostituendo D(ω0 ) avremo
√
ω02 √
ω ≫ ε0 .
K2 aL
Poiché
ω02
ξL2
=ω ω+ 2
a ε0
µ
(3.38)
¶
se ω ≪ ξL2 /a2 ε0 , si arriva a
√
ω 3/2 ξL2
≫ ε0
3
K2 a L ε0
da cui
ε0
≪
ω
µ
ξL2
K2 a3 L
¶2/3
.
(3.39)
Fino ad ora abbiamo sempre visto il caso in cui l’apertura dinamica era molto più grande del raggio del core e questo, in un certo senso,
ci assicurava che il bunch di particelle cariche non sentisse più di tanto
delle non linearità. Quindi, con tali supposizioni eravamo tranquilli
della stabilità del fascio. Se invece ora cominciamo a supporre che le
dimensioni dell’apertura dinamica siano confrontabili con quelle del raggio del core, dobbiamo senz’altro preoccuparci della stabilità del fascio.
Infatti la zona periferica del bunch comincerebbe a sentire effetti non
lineari che, nella peggiore delle ipotesi, disgregherebbe il pacchetto delle
particelle. Tale catastrofica evenienza, a dispetto delle sue apparenti
tremende conseguenze, non viene affatto fuggita dagli esperti del settore
se non perché risulta essere una tecnica efficace per l’estrazione di tali
ioni. Tornando sui nostri passi, il fatto che le dimensioni dell’apertura
dinamica siano confrontabili con quelle del raggio del core ci dice che
siamo in presenza di un punto critico e si scrive xdyn ≃ R o meglio
ε0
≃
ω
µ
ξL2
K2 a3 L
64
¶2/3
(3.40)
e quindi siccome R =
p
ε0 /ω, troviamo la legge
Rcrit ≃
µ
ξL2
K2 a3 L
¶1/3
(3.41)
che, come è evidente, non dipende più da ω. Ricordando che
¶2
µ
ξL2
ωξL2
ε0
2
2
ω0 = ω + ω 2 =
+ 2
a ε0
Rcrit
a ε0
si ha che per ε0 → 0 chiaramente il secondo termine domina, per cui
¶1/2
µ
ωξL2
ω0 ≃
a2 ε0
ed il tune depressione sarà
δ=
ε0
ε0 a3 (K2 L)1/3
ω
=
=
2
ω0
ω0 Rcrit
(ξL2 )5/6
(3.42)
Per chiarire meglio le idee, presentiamo ora delle immagini venute fuori
usando il modello Particle in Cell che mostrano come nella situazione
in cui l’apertura dinamica sia comparabile con le dimensioni del core,
dopo pochi ”giri” del bunch la distribuzione KV prendi una forma triangolare e che dopo altri giri il fascio addirittura si rovini completamente.
Quest’effetto sarà maggiore con valori del gradiente sestupolare alti.
Per le immagini sotto riportate K2 = 0.5 m−2
n=1
n=10
-1
-1
1
y
1
y
1
y
1
n=50
-1
-1
1
x
x
-1
-1
1
x
Gli n che compaiono nelle immagini fanno riferimento ai ”giri” del
bunch fatti nell’acceleratore.
65
Vogliamo ora dare una valutazione di quelli che sono i parametri più
significativi della dinamica fin qui descritta e, per la precisione, facciamo
riferimento al gradiente sestupolare K2 e alla perveanza ξ prendendo
come acceleratore di riferimento quello di HIDIF. Una volta calcolati i
loro valori, possiamo sostituirli nelle equazioni date per l’apertura dinamica incominciando cosı̀ a vederne le prime stime numeriche. Cominciamo con lo scrivere due diverse espressioni degli errori sestupolari:
una ripresa dallo Yellow report
By + iBx = B0 ρ0
X
kn
n
(x + iy)n
n!
(3.42)
e l’altra dal pink-book
By + iBx = B0
X
n
bn
µ
x + iy
Rr
¶n−1
(3.43)
dove con B indichiamo ovviamente il campo magnetico, con ρ0 il raggio
di curvatura dell’acceleratore, con Rr il raggio di riferimento, che è di
un centimetro, e con bn e kn coefficienti. In tutte e due le espressioni
(3.42) e (3.43) l’indice che fa riferimento agli errori di sestupolo è n = 3,
mentre con n = 2 si indicano i termini quadrupolari. Ricordando che
per una particella carica che si muove in un campo magnetico si può
scrivere
p
e
= B0
ρ0
c
(3.44)
e facendo un pò riferimento ad aluni parametri di LHC, alla fine scriviamo la relazione del gradiente sestupolare k2 , ancora non integrato
k2 =
2
2 · 104
=
m−3
2
ρ0 R r
ρ0 (m)
(3.45)
Ora, sapendo che il raggio di curvatura di HIDIF è ρ0 = 31 m e che la
lunghezza di ogni cella è L = 7.2 m ne segue che
k2 =
2
m−3 = 0.065 m−3
31
66
pertanto il gradiente sestupolare integrato sarà
K2 = k2 L =
2
· 7 = 0.5 m−2 .
31
(3.46)
Ricordando che nelle precedenti trattazioni avevamo introdotto la quantità a per rendere il tutto adimensionale, ora la poniamo essere a =
1 mm cosı̀ che
K2 aL = 0.5 · 7.2 · 10−3 = 3.6 · 10−3 .
Quindi, per HIDIF, in assenza di carica spaziale avremo (con ω = 2πν)
ν0 ≃ 0.22
ω0 ≃ 1.4
e con D(ω0 ) ≃ ω0 /2
xdyn ≃
2D(ω0 )
ω0 ≃ 0.5 · 103
K2 aL
Passiamo ora al caso in cui abbiamo carica spaziale: prima calcoleremo
la perveanza, poi ovviamente l’aperura dinamica. Facendo sempre riferimento ai parametri di HIDIF, abbiamo che
∆ν = ν − ν0 = 0.045
e sapendo che ν0 ≃ 0.22 avremo che ν = 0.175 e quindi
ω
≃ 0.81.
ω0
(3.47)
ˆ
ω02 = ω(ω + ξ)
(3.48)
ξˆ = 0.62.
(3.49)
δ=
Ricordiamo la solita
e sostituendo avremo
Riprendendo le relazioni scritte per l’apertura dinamica in presenza di
carica spaziale e sostituendo i valori delle variabili possiamo scrivere
x̂dyn =
ω0 2D(ω0 )
= 0.6 · 103 .
ω K̂2 (ω)
67
3.2.3 Approccio geometrico
Quello che è stato fatto fin ad adesso è stata una descrizione della
dinamica del fascio usando i soliti strumenti della meccanica hamiltoniana atti a dare una soddisfacente rappresentazione del sistema con
le classiche equazioni del moto. Grazie a questo si è potuto avere una
prima stima, teorica e numerica, dell’apertura dinamica e degli altri
fondamentali parametri costituenti il sistema stesso.
Ora, in questo paragrafo si vuole presentare un diverso approccio
alla trattazione del’apertura dinamica, questa volta soffermandoci un
pò di più, per quanto sia possibile, sull’aspetto prettamente geometrico.
Quello che si è fatto è calcolare per tutti gli ω del sistema, quindi
da 0 a 2π, alcune grandezze statistiche. Il risultato è stato quello di
avere una misura di tali grandezze statistiche nello spazio ωx − ωy .
Cioè per ogni punto (ωx , ωy ) nello spazio delle frequenze, possiamo
individuare l’esatto valore della quantità statistica a cui quel grafico
fa riferimento. Indicando questa volta l’apertura dinamica con r, le
grandezze che abbiamo calcolato a cui si fa riferimento sono :
<r>
< r2 >1/2
< r3 >1/3
< r4 >1/4
< (r− < r >)2 >1/2
< (r− < r >)3 >1/3
< (r− < r >)4 >1/4
(3.50)
che sono rispettivamente il momento iniziale di oridine 1 o raggio medio,
la radice quadrata del momento iniziale di ordine 2, la radice cubica del
momento iniziale di ordine 3, la radice quarta del momento iniziale
di ordine 4, la varianza, la skewness e la curtosi. Qui di seguito ri68
porteremo una serie di immagini che rappresenteranno lo spazio delle
frequenze in relazione proprio con ognuna di queste grandezze.
ωy
1
ωy
1
-1
-1
-1
ωx
1
-1
a)
ωx
1
b)
ωy
1
ωy
1
-1
-1
-1
ωx
1
-1
c)
ωx
1
d)
L’immagine a) rappresenta il raggio medio nello spazio delle frequenze,
la b) la radice quadrata del momento iniziale di ordine 2, la c) la radice
cubica del momento iniziale di ordine 3 e la d) la radice quarta del
momento iniziale di ordine 4. Le zone blu stanno ad indicare le regioni
69
in cui il valore dell’apertura dinamica è basso (zone instabili), mentre le
zone rosse le regioni in cui sia ha un valore alto (zone stabili). Quello che
si nota subito è la struttura periodica delle risonanze ω = 1/3 e ω = 2/3.
In tutte e quattro le immagini si nota, in basso a destra, una zona
instabile dovuta alla presenza delle non-linearità portate dai sestupoli.
In assenza di essi, infatti, si avrebbero delle immagini perfettamente
simmetriche. Le quattro figure sono simili, tranne per piccole variazioni
dell’apertura dinamica nelle zone in cui ωx → 0. Proponiamo ora di
seguito le immagini delle grandezze prettamente statistiche.
-1
ωy
1
ωy
1
ωy
1
-1
-1
ωx
e)
1
-1
-1
ωx
f)
1
-1
ωx
1
g)
L’immagine e) rappresenta la varianza, la f) la skewness e la g) la curtosi. Si nota che anche qui abbiamo una struttura di risonanza. Nelle
zone di risonanza, abbiamo che nelle prime quattro la grandezza apertura dinamica è piccola, mentre nelle ultime tre figure le tre grandezze
hanno un valore grande. Questo significa che in tali zone l’apertura
dinamica è piccola e la sua topologia è alquanto complicata proprio
perché si ha un valore alto delle grandezze statistiche. Quindi, solo con
la lettura di questi grafici nello spazio delle frequenze, siamo riusciti a
dare una descrizione qualitativa dell’apertura dinamica e anche della
forma del suo dominio. Va ribadito che tutte le immagini sono in scala
logaritmica.
70
Conclusioni
Lo scopo principale di questa tesi, era quello di addentrarci nelle nuove
metodologie e approcci della fusione termonucleare inerziale a driver
indiretto, mostrando i punti più salienti di quella che si candida ad
essere la nuova risorsa per la produzione d’energia.
Trattando come detto i driver indiretti, ci siamo addentrati nello
studio della stabilità dei fasci di ioni protagonisti principali, appunto,
della fusione inerziale. Il modello descritto nel Capitolo 3, che rappresenta l’intero sistema sia in assenza che in presenza di carica spaziale
considerando anche gli errori sestupolari di una cella in un acceleratore circolare, è corroborato da alcune simulazioni numeriche che ci
mostrano come il modello stesso funzioni bene per tune piccoli, e funzioni non altrettanto bene via via che i tune aumentano. Nella nostra
descrizione, quadridimensionale, si è sempre assunto ωx = ωy in quanto
è molto difficile trattare teoricamente il caso ωx 6= ωy nei punti critici
del sistema.
Approccio prettamente geometrico, invece, per quanto riguarda la
parte statistica sempre del terzo capitolo. Si sono calcolate grandezze
come la varianza o la curtosi che avevano lo scopo di mettere in evidenza
la forma geometrica del dominio dell’apertura dinamica nello spazio
delle frequenze ωx −ωy . Anche qui si è tenuto conto del contributo non-
lineare dei sestupoli e della carica spaziale. Quest’aspetto geometrico
può essere messo in relazione con la descrizione del sistema fatta prima:
infatti una volta sapute le due frequenze (ωx , ωy ), si studia l’apertura
dinamica con la trattazione classica, ma già si può sapere come sarà
la sua topologia andando a cercarla nello spazio delle frequenze. Come
detto prima, il modello si limita al caso ωx = ωy , quindi nello spazio
dell frequenze ci si muoverà su una retta con una pendenza di 45◦.
71
Appendice A
Proviamo qui a dare una formulazione di alcuni contributi, per il meccanismo di riscaldamento e raffreddamento, che compaiono nel secondo
capitolo. Partiamo col lavoro fatto sul gas durante l’implosione. Consideriamo una sfera (ci stiamo riferendo all’hot spot) che implode con
una velocità ν. Il lavoro fatto sul gas sarà
PW
P dV
P · 4π dr
3P ν
dt
=
= 4 3dt =
.
V
R
3 πr
(A.1)
Classicamente abbiamo che
P = (ne + ni )kT ≃
¶
µ
¶
µ
T
ρ · 1027
−19
4
· 1.6 · 10
· 10 ·
2·
4
10 keV
quindi
PW
PW
µ
T
=(2.4) · 10 ρ
10 keV
ρT10 ν5
.
=2.4 · 1017
R
17
¶ µ
·
ν
5
10 m/s
¶
/R
(A.2)
Passiamo ora alla descrizione del riscaldamento dovuto alle particelle α.
Quello che andremo a trovare è il tasso di riscaldamento termonucleare
per unità di volume Pα . La sua espressione è
Pα = fα εα ρ · n < σν >
(A.3)
dove fα è la frazione di energia depositata dalle particelle α, εα è
l’energia di tali particelle per unità di massa e n < σν > è il tasso
di ”scoppio”. Per temperature vicine a 10 keV si ha che
2
< σν >= 1.1 · 1022 T10
m3 /s.
72
Sapendo che in una reazione di fusione DT la particella α ha un’energia
di circa 3.6 M eV , possiamo agilmente calcolare il valore di εα
εα =
(3.6 · 106 eV ) · (1.6 · 10−19 J/eV )
= 0.67 · 1014 J/kg
(5 AM U ) · (1.7 · 10−27 kg/AM U )
e con fα ≃ ρR/3 ,dove ρR può arrivare fino a 3, scriviamo l’equazione
finale
2
Pα = 6.2 · 1017 ρ2 T10
(ρR).
(A.4)
Ora, invece, vogliamo dare un’espressione per la traiettoria d’implosione
nello spazio T −ρR. Cominciamo con lo scrivere l’equazione del bilancio
energetico
Cν =
X
P = PW + Palpha − Pe − Pr .
(A.5)
Svolgendo abbiamo che
dT
dT d(ρR)
=
dt d(ρR) dt
dρ
d(ρR)
= ρν + R
dt
dt
dρ
dR
3ρν
M
= −3ρ
=−
con
ρ=
dt
dt
R
(4/3)πR
d(ρR)
= ρν − 3ρν = −2ρν
dt
ricordando che la velocità ν è negativa perchè stiamo descrivendo un
processo implosivo. Ora, ribadendo che siamo nella zona in cui dominano la perdita per conduzione e il lavoro P dV , scriviamo
X
dT
=
P = P W − Pe
dt
Ã
!
P
5/2
P
T10
bT
dT10
=
=a
1 − 10
2
d(ρR) 2Cν ρ |ν|
d(ρR)
ρR
Cν ρ
con
a=
infine abbiamo
2.4 · 1017 ν5
=1
2Cν ν
e
b=
Ã
!
5/2
bT10
T
dT
1−
.
=
d(ρR)
(ρR)
(ρR)
73
10
ν5
(A.6)
Ora supponiamo di avere come soluzione della (A.6) la seguente espressione
T =δ
2/5
³ ρr ´2/5
b
(A.7)
dove se δ = 1 riproduciamo la traiettoria nella condizione f = 0 con
P
P = PW − Pe e quindi quando PW = Pe . Quindi, con un δ 6= 1,
sostituiamo la (A.7) nella (A.6) e avremo cosı̀
δ 2/5
δ 2/5 2
−3/5
(ρR)−3/5 (1 − δ)
(ρR)
=
b2/5 5
b2/5
2
=1−δ
5
⇒
δ = 3/5.
La (A.7) diventa
T = 0.815
³ ρr ´2/5
74
b
Appendice B
Segue la dimostrazione dell’espressione del fattore di Gamow G descritta nel secondo capitolo (Fisica dell’ignizione). Sono dati la barriera
coulombiana V (r) e l’energia dei nuclei E
V (r) =
Z1 Z2
e2
·
4πε0
r
(B.1)
E(r) =
e2
Z1 Z2
·
4πε0
b
(B.2)
allora avremo che
2
|T | = P = e
−2
R
dr
√
(2m/h̄2 )[V (r)−E]
= e−2G
(B.3)
dove T è il coefficiente di trasmissione e P la probabilità di attraversare
la barriera. Il fattore di Gamow sarà
¶1/2 Z b µ 2
µ
¶1/2
2m
e Z1 Z2
G=
dr
−E
=
4πε0 r
h̄2
R
¶1/2
¶1/2 Z b µ 2
µ
e2 Z1 Z2
e Z1 Z2
2m
−
=
dr
=
4πε0 r
4πε0 b
h̄2
R
s
=
2m e2 Z1 Z2
·
4πε0
h̄2
Z
b
R
µ
1 1
−
r
b
¶1/2
dr.
(B.4)
L’integrale da risolvere è
Z µ
1 1
−
r
b
¶1/2
r Z r
1
b
− 1 dr.
dr =
b
r
75
(B.5)
Con un doppio cambio di cambio di coordinate la (B.5) diventa
r
= x ⇒ dr = bdx
b
r Z r
1
1
− 1 dx
b
x
x = t2 ⇒ dx = 2tdt
µ ¶
Z p
√ Z 1 1/2 p
√
2
b
· 1 − t · 2tdt = b · 2
1 − t2 dt =
t
=
√
i
hp
2
b · t 1 − t + arcsin t .
(B.6)
Integrando tra i due limiti di integrazione avremo
Z
b
µ
R
1 1
−
r
b
¶1/2
π
dr = −
2
s
R
b
µ
R
1−
b
¶
− arcsin
r
R
b
(B.7)
e ricordando la relazione trigonometrica
arcsin x + arccos x =
π
2
s
R
b
la (B.7) diventa
Z
b
R
µ
1 1
−
r
b
¶1/2
dr = arccos
r
R
−
b
µ
¶
R
1−
.
b
Possiamo cosı̀ finalmente scrivere il fattore di Gamow
s µ
"
r
µ
¶#
¶1/2
2
2m
Z1 Z2 e
R
R 1−R
−
G=
arccos
.
4πε0
b
b
b
h̄2 E
76
(B.8)
(B.9)
Ringraziamenti
Ringraziamenti per la stesura materiale di questo lavoro di tesi vanno:
al mio relatore Giorgio prof. Turchetti che ha saputo insegnarmi tutto
quello che so sugli acceleratori con tanta pazienza, sperando di riaverlo
ripagato con altrettanto interesse e curiosità; a Graziano prof. Servizi,
uomo della provvidenza informatica, che con nervi saldissimi mi ha insegnato più di quello che io riuscissi ad immaginare, sperando di riaverlo
ripagato con le mie ”figurine” PostScript nonostante non gli abbia mai
promesso esplicitamente di passare definitivamente al linguaggio C.
Non ci saranno mai ringraziamenti adeguati per la mia famiglia
che ha sempre provveduto ad ogni sorta di mio bisogno, facendo sı̀ che
io potessi scrivere questa ultima pagina. . .spero di riaverli ripagati in
qualche maniera.
Non ultimo un ringraziamento a tutte quelle e solo quelle persone,
e ne sono tante, che per un certo periodo hanno fatto capolino nella mia
vita portando un contributo positivo, non indifferente, al conseguimento
della mia laurea. Una fra tutte la mia amica Maria Pia . . .sicuro di
averla ripagata con questa laurea.
77
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the 21st century and beyond NIM (Nuclear Instruments & Methods in
Physics Research) A415, (1998).
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