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CULTURA
__Sabato 7 marzo 2015__
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Mondo piccolo di EGIDIO BANDINI Dietro ogni scemo nella Bassa c’è sempre un villaggio
■■■ Con l'uso disinvolto che si fa oggi della
carta bollata le cose sono cambiate e, quindi, dare a uno dello «scemo», potrebbe essere un magro affare, ma, ciò nonostante, qui
dalle mie parti, in ogni borgo o frazione, si
racconta ancora dello «scemo del villag-
gio»: intendiamoci, non che il personaggio
in questione sia un pazzo pericoloso, è solo
un individuo leggermente più “originale”
rispetto alla media della gente della Bassa,
già un bel po’ “originale” di suo.
Va da sé che, come per tutti gli abitanti di
queste terre, alla personalità singolare del
nostro si aggiunge il soprannome: quasi
sempre azzeccatissimo. Così, ecco che in
quel di S. un tipo strambo, di corporatura
assai generosa, venisse chiamato simpaticamente il «Mato Grosso» e nel borgo di C. i
HORROR SHOW
di PAOLO NORI
Il terrore come antidoto perfetto
per l’Occidente vittima della noia
Film, fumetti, romanzi e serie tv: la paura torna a dominare il nostro immaginario
con zombie, vampiri, cannibali, epidemie. E i timori si incarnano nei boia dell’Isis
::: FRANCESCO BORGONOVO
■■■ «A volte ritornano». Era il
titolo della prima raccolta di racconti firmata da Stephen King,
nel 1978, dopo il clamoroso successo del romanzo Shining. Da
qualche tempo, a quanto dicono le classifiche divendita, è ritornato anche King. Prima con
Doctor Sleep - il seguito di Shining - e poi con Mr Mercedes, lo
scrittore del Maine pare aver ritrovato la vena creativa, e soprattutto il successo di pubblico, degli anni in cui sfornava capisaldi
dell’immaginario occidentale come It o L’ombra dello scorpione.
Ma forse la verve del maestro dell’horror non si è mai appannata.
Semplicemente, il mercato letterario chiedeva prodotti diversi.
Ora, invece, l’orrore sembra tornato prepotentemente sulla piazza, e suoi volumi hanno ripreso
a vendere come prima.
A volte ritornano, appunto. E
lo fanno in tutte le forme: serie
tv, fumetti, film, romanzi... Si ristampano i classici del genere,
un editore coraggioso come Gargoyle ha fatto riscoprire all’Italia
autori celebri e altri meno noti
ma altrettanto talentuosi, l’ultimo dei quali è Charlie Human,
di cui è appena stato pubblicato
il feroce urban fantasy Apocalypse Now Now (pp. 348, euro 18). Persino il Sole 24 Ore ha
appena lanciato una collana dedicata ai capolavori del terrore,
cominciando da L’esorcista di
William Peter Blatty, ancora spaventevole.
A che cosa si deve questa rinascita? Le spiegazioni sono tante,
ma una delle più suggestive e credibili è che da sempre l’horror è
uno specchio dei tempi. Clive
Barker, colonna britannica del
genere, introduceva un suo racconto spiegando che «non vi è
piacere uguale alla paura. Se fosse possibile sedere rendendosi
invisibili fra due persone su di
un treno, in una qualsiasi sala
d’attesa o in un ufficio, la conversazione che potremmo udire
non farebbe che girare attorno allo stesso argomento. (...) Tolte
metafore e allusioni,ecco che annidata nel cuore del discorso vi è
la paura». Ebbene, i nostri tempi
sono un continuo ondeggiare
fra due emozioni: la paura e la
noia. Una funzionale all’altra. Lo
VIRUS FATALI
Sopra, una scena
tratta dal primo
episodio della serie
televisiva
americana
«The Strain», ora
in onda su Fox.
A sinistra, le
copertine dei libri
di Charlie Human
e Richard Preston
ha spiegato bene Lars Svendsen
in Filosofia della paura (Castelvecchi): «La paura non è soltanto qualcosa di cui siamo vittime
contro la nostra volontà; spesso
è anche qualcosa che infliggiamo a noi stessi volontariamente,
nel tentativo di dare un senso a
una quotidianità noiosa e banale». Infatti «la paura dà colore al
mondo. Un mondo senza paura
probabilmente sarebbe mortalmente noioso». Non è un caso se
Svendsen ha scritto anche una
Filosofia della noia (Guanda).
Dunque la paura serve a scuotere la società occidentale che tende alla pigrizia ed è in perenne
ricerca di emozioni forti.
Da un’altra prospettiva, tuttavia, la paura ha anche una funzione, banalmente, catartica.
Perché, dopo tutto, siamo anche
quella che Ulrich Beck ha battezzato «società delrischio». Ondeg-
giamo fra due estremi. A spezzare la nostra noia arrivano pericoli reali, difficili da eliminare. Siamo ossessionati dalla cura del
corpo, ed ecco che i nostri incubi
si popolano di zombie, con la loro «carne orribile e putrefatta»,
ben smembrata analiticamente
da Maxime Coulombe in Piccola filosofia dello zombie (Mimesis, pp. 116, euro 12). Dalla
serie tv Walking Dead (tratta dal
fumetto edito da Saldapress) a
quella fumettistica Crossed (Panini), ce n’è per tutti i gusti. Siamo fissati con il cibo e la cucina
di alta classe, ed ecco la serie tv
Hannibal, in cui un giovane dottor Lecter serve leccornie da
gourmet ai suoi ospiti, e un brivido scorre quando spiega che la
carne nel piatto apparteneva a
«un porco». Temiamo le malattie, ed ecco la spaventosa serie
The Strain, ora in onda su Sky e
figli di un patriarca noto per essere stravagante fossero soprannominati con affetto
Gisto, Orio o la Gisa «dal Matt». Non era di
qui, ma aveva ragione Fabrizio De André:
«Dietro ogni scemo, c’è sempre un villaggio…».
tratta dal romanzo La progenie
di Guillermo del Toro e Chuck
Hogan, che ha per protagonista
un epidemiologo. La crisi ci spolpa? Gli uomini senza volto dalla
finanza non sono forse vampiri,
di cui cinema e tv ci hanno offerto mille varianti in questi anni?
Il fatto è che non tutti i timori
sono infondati. L’insicurezza è
talmente generalizzata che interi paesini si armano per autodifesa. Ed ecco materializzarsi nella
fiction la paura del vicino, del
quartiere, della piccola città in
cui avvengono fatti raccapriccianti, come nelle serie
Wayward Pines (in arrivo su
Sky, già in libreria col romanzo
omonimo) o Fortitude, eredi di
Twin Peaks. Che dire, poi, dell’immigrazione e dei rischi che
presenta? Ai facilmente impressionabili non conviene leggere
lo splendido libro di Richard
Preston The Hot Zone, appena
ristampato da Rizzoli (pp. 344,
euro 18). Parla del virus Ebola
ed è spaventosamente reale. Poi
c’è il terrorismo. Che, non a caso, sfrutta proprio il genere horror per colpirci di più, basti pensare ai filmati dell’Isis e ai suoi
boia senza volto, personificazione dell’uomo nero degli incubi.
L’horror è tornato, insomma.
E, come sempre, è la cosa più
spaventosa che potete vedere in
tv dopo i telegiornali...
Come la coda
del maiale
■■■ C’è un parcheggio dei taxi che,
quando ci passo di fianco, spesso suona
iltelefono, un suono di quelli vecchi,meccanici, come un campanello da bicicletta, ma forte, e io, quando passo di lì e sento quel suono forte, mi vien da cercarmi
in tasca il mio telefono, che sul mio telefono ho una suoneria di quelle vecchie,
meccaniche, che si chiama «Nostalgy»,
se non mi sbaglio.
E mi viene in mente quella cosa che è
successa in questi ultimi decenni in Germania Est, quel fenomeno che si chiama
Ostalgie, che c’è della gente che consuma prevalentemente cose che c’erano
nella Germania Est, fuma le sigarette che
c’erano nella Germania Est, si veste come ci si vestiva nella Germania Est, beve
le bibite che si bevevano nella Germania
Est, ascolta la musica che si ascoltava nella Germania Est, e lo fa perché adesso la
Germania Est non c’è più, se ci fosse ancora credo non lo farebbe,o forse lo farebbe perché costretta, per mancanza di alternative, e mi son chiesto se questa nostalgia per quelle cose lì vecchie, meccaniche, che, tra l’altro, i nostri meccanici,
quelli delle macchine, li chiamiamo ancora meccanici anche se le macchine, se
si rompono, si rompe quasi sempre una
componente elettronica, se le portiamo a
far riparare le dovremmo forse portare
da un elettronico, non da un meccanico,
e mi sono chiesto se questa nostra predilezione per le cose vecchie, meccaniche,
non sia la spia del fatto che anche qui,
ormai, da qualche anno, è cominciata
una specie di Ostalgie solo che non si
chiama Ostalgie: dovremmo trovarle un
nome.
E la sparizione di quel mondo lì vecchio, forte, meccanico, dove siam nati,
che era un mondo dove i telefoni facevano ancora dei suoni forti e campanellosi
che per noi voglion dire «telefono», anche se abbiamo dei telefoni che coi campanelli non c’entran più niente, quella
sparizione produce una nostalgia che, data la nostra propensione a identificarci
con gli oggetti che usiamo, mi sono chiesto se non si possa chiamar «Noistalgia».
E a pensare a tutti gli oggettiche conservano il loro nome ma mancano come oggetti, mi sembra che, forse, si potrebbe
fare un repertorio di quel mondo lì, che
potrebbe dirci quello che non siamo più
e ci dispiace, cioè potremmo cercare di
rintracciare il filo di questa Noistalgia
mettendo in fila le parole che continuiamo a usare ma che rimandano a degli
oggetti che non ci sono più, come un bar
che c’è a Bologna, era di fianco a un teatro, e il teatro l’han chiuso perché è fallito,
ma il bar ci chiama ancora «Bar del teatro», o come certe scuole dove ci sono le
ore di 50 minuti, che duran 50 minuti e si
chiamano ore, e allora, non so, io vado a
correre tre quarti d’ora tutti i giorni, posso chiamarla la mia ora di corsa?
O il dolce preferito di una bambina che
conosco che sono le fragole con panna
senza fragole. O un ponte grosso, imponente, che hanno costruito a Parma qualche anno fa, sul torrente Parma, appena
fuori dalla città, che l’hanno inaugurato
d’estate e ci han portato il direttore dell’Agenzia europea dell’Alimentazione, che
era un inglese, e gliel’han fatto vedere e
lui sembra che abbia detto «Bellissimo
ponte, peccato che non avete il fiume».