27 CULTURA __Sabato 7 marzo 2015__ commenta su www.liberoquotidiano.it @ Mondo piccolo di EGIDIO BANDINI Dietro ogni scemo nella Bassa c’è sempre un villaggio ■■■ Con l'uso disinvolto che si fa oggi della carta bollata le cose sono cambiate e, quindi, dare a uno dello «scemo», potrebbe essere un magro affare, ma, ciò nonostante, qui dalle mie parti, in ogni borgo o frazione, si racconta ancora dello «scemo del villag- gio»: intendiamoci, non che il personaggio in questione sia un pazzo pericoloso, è solo un individuo leggermente più “originale” rispetto alla media della gente della Bassa, già un bel po’ “originale” di suo. Va da sé che, come per tutti gli abitanti di queste terre, alla personalità singolare del nostro si aggiunge il soprannome: quasi sempre azzeccatissimo. Così, ecco che in quel di S. un tipo strambo, di corporatura assai generosa, venisse chiamato simpaticamente il «Mato Grosso» e nel borgo di C. i HORROR SHOW di PAOLO NORI Il terrore come antidoto perfetto per l’Occidente vittima della noia Film, fumetti, romanzi e serie tv: la paura torna a dominare il nostro immaginario con zombie, vampiri, cannibali, epidemie. E i timori si incarnano nei boia dell’Isis ::: FRANCESCO BORGONOVO ■■■ «A volte ritornano». Era il titolo della prima raccolta di racconti firmata da Stephen King, nel 1978, dopo il clamoroso successo del romanzo Shining. Da qualche tempo, a quanto dicono le classifiche divendita, è ritornato anche King. Prima con Doctor Sleep - il seguito di Shining - e poi con Mr Mercedes, lo scrittore del Maine pare aver ritrovato la vena creativa, e soprattutto il successo di pubblico, degli anni in cui sfornava capisaldi dell’immaginario occidentale come It o L’ombra dello scorpione. Ma forse la verve del maestro dell’horror non si è mai appannata. Semplicemente, il mercato letterario chiedeva prodotti diversi. Ora, invece, l’orrore sembra tornato prepotentemente sulla piazza, e suoi volumi hanno ripreso a vendere come prima. A volte ritornano, appunto. E lo fanno in tutte le forme: serie tv, fumetti, film, romanzi... Si ristampano i classici del genere, un editore coraggioso come Gargoyle ha fatto riscoprire all’Italia autori celebri e altri meno noti ma altrettanto talentuosi, l’ultimo dei quali è Charlie Human, di cui è appena stato pubblicato il feroce urban fantasy Apocalypse Now Now (pp. 348, euro 18). Persino il Sole 24 Ore ha appena lanciato una collana dedicata ai capolavori del terrore, cominciando da L’esorcista di William Peter Blatty, ancora spaventevole. A che cosa si deve questa rinascita? Le spiegazioni sono tante, ma una delle più suggestive e credibili è che da sempre l’horror è uno specchio dei tempi. Clive Barker, colonna britannica del genere, introduceva un suo racconto spiegando che «non vi è piacere uguale alla paura. Se fosse possibile sedere rendendosi invisibili fra due persone su di un treno, in una qualsiasi sala d’attesa o in un ufficio, la conversazione che potremmo udire non farebbe che girare attorno allo stesso argomento. (...) Tolte metafore e allusioni,ecco che annidata nel cuore del discorso vi è la paura». Ebbene, i nostri tempi sono un continuo ondeggiare fra due emozioni: la paura e la noia. Una funzionale all’altra. Lo VIRUS FATALI Sopra, una scena tratta dal primo episodio della serie televisiva americana «The Strain», ora in onda su Fox. A sinistra, le copertine dei libri di Charlie Human e Richard Preston ha spiegato bene Lars Svendsen in Filosofia della paura (Castelvecchi): «La paura non è soltanto qualcosa di cui siamo vittime contro la nostra volontà; spesso è anche qualcosa che infliggiamo a noi stessi volontariamente, nel tentativo di dare un senso a una quotidianità noiosa e banale». Infatti «la paura dà colore al mondo. Un mondo senza paura probabilmente sarebbe mortalmente noioso». Non è un caso se Svendsen ha scritto anche una Filosofia della noia (Guanda). Dunque la paura serve a scuotere la società occidentale che tende alla pigrizia ed è in perenne ricerca di emozioni forti. Da un’altra prospettiva, tuttavia, la paura ha anche una funzione, banalmente, catartica. Perché, dopo tutto, siamo anche quella che Ulrich Beck ha battezzato «società delrischio». Ondeg- giamo fra due estremi. A spezzare la nostra noia arrivano pericoli reali, difficili da eliminare. Siamo ossessionati dalla cura del corpo, ed ecco che i nostri incubi si popolano di zombie, con la loro «carne orribile e putrefatta», ben smembrata analiticamente da Maxime Coulombe in Piccola filosofia dello zombie (Mimesis, pp. 116, euro 12). Dalla serie tv Walking Dead (tratta dal fumetto edito da Saldapress) a quella fumettistica Crossed (Panini), ce n’è per tutti i gusti. Siamo fissati con il cibo e la cucina di alta classe, ed ecco la serie tv Hannibal, in cui un giovane dottor Lecter serve leccornie da gourmet ai suoi ospiti, e un brivido scorre quando spiega che la carne nel piatto apparteneva a «un porco». Temiamo le malattie, ed ecco la spaventosa serie The Strain, ora in onda su Sky e figli di un patriarca noto per essere stravagante fossero soprannominati con affetto Gisto, Orio o la Gisa «dal Matt». Non era di qui, ma aveva ragione Fabrizio De André: «Dietro ogni scemo, c’è sempre un villaggio…». tratta dal romanzo La progenie di Guillermo del Toro e Chuck Hogan, che ha per protagonista un epidemiologo. La crisi ci spolpa? Gli uomini senza volto dalla finanza non sono forse vampiri, di cui cinema e tv ci hanno offerto mille varianti in questi anni? Il fatto è che non tutti i timori sono infondati. L’insicurezza è talmente generalizzata che interi paesini si armano per autodifesa. Ed ecco materializzarsi nella fiction la paura del vicino, del quartiere, della piccola città in cui avvengono fatti raccapriccianti, come nelle serie Wayward Pines (in arrivo su Sky, già in libreria col romanzo omonimo) o Fortitude, eredi di Twin Peaks. Che dire, poi, dell’immigrazione e dei rischi che presenta? Ai facilmente impressionabili non conviene leggere lo splendido libro di Richard Preston The Hot Zone, appena ristampato da Rizzoli (pp. 344, euro 18). Parla del virus Ebola ed è spaventosamente reale. Poi c’è il terrorismo. Che, non a caso, sfrutta proprio il genere horror per colpirci di più, basti pensare ai filmati dell’Isis e ai suoi boia senza volto, personificazione dell’uomo nero degli incubi. L’horror è tornato, insomma. E, come sempre, è la cosa più spaventosa che potete vedere in tv dopo i telegiornali... Come la coda del maiale ■■■ C’è un parcheggio dei taxi che, quando ci passo di fianco, spesso suona iltelefono, un suono di quelli vecchi,meccanici, come un campanello da bicicletta, ma forte, e io, quando passo di lì e sento quel suono forte, mi vien da cercarmi in tasca il mio telefono, che sul mio telefono ho una suoneria di quelle vecchie, meccaniche, che si chiama «Nostalgy», se non mi sbaglio. E mi viene in mente quella cosa che è successa in questi ultimi decenni in Germania Est, quel fenomeno che si chiama Ostalgie, che c’è della gente che consuma prevalentemente cose che c’erano nella Germania Est, fuma le sigarette che c’erano nella Germania Est, si veste come ci si vestiva nella Germania Est, beve le bibite che si bevevano nella Germania Est, ascolta la musica che si ascoltava nella Germania Est, e lo fa perché adesso la Germania Est non c’è più, se ci fosse ancora credo non lo farebbe,o forse lo farebbe perché costretta, per mancanza di alternative, e mi son chiesto se questa nostalgia per quelle cose lì vecchie, meccaniche, che, tra l’altro, i nostri meccanici, quelli delle macchine, li chiamiamo ancora meccanici anche se le macchine, se si rompono, si rompe quasi sempre una componente elettronica, se le portiamo a far riparare le dovremmo forse portare da un elettronico, non da un meccanico, e mi sono chiesto se questa nostra predilezione per le cose vecchie, meccaniche, non sia la spia del fatto che anche qui, ormai, da qualche anno, è cominciata una specie di Ostalgie solo che non si chiama Ostalgie: dovremmo trovarle un nome. E la sparizione di quel mondo lì vecchio, forte, meccanico, dove siam nati, che era un mondo dove i telefoni facevano ancora dei suoni forti e campanellosi che per noi voglion dire «telefono», anche se abbiamo dei telefoni che coi campanelli non c’entran più niente, quella sparizione produce una nostalgia che, data la nostra propensione a identificarci con gli oggetti che usiamo, mi sono chiesto se non si possa chiamar «Noistalgia». E a pensare a tutti gli oggettiche conservano il loro nome ma mancano come oggetti, mi sembra che, forse, si potrebbe fare un repertorio di quel mondo lì, che potrebbe dirci quello che non siamo più e ci dispiace, cioè potremmo cercare di rintracciare il filo di questa Noistalgia mettendo in fila le parole che continuiamo a usare ma che rimandano a degli oggetti che non ci sono più, come un bar che c’è a Bologna, era di fianco a un teatro, e il teatro l’han chiuso perché è fallito, ma il bar ci chiama ancora «Bar del teatro», o come certe scuole dove ci sono le ore di 50 minuti, che duran 50 minuti e si chiamano ore, e allora, non so, io vado a correre tre quarti d’ora tutti i giorni, posso chiamarla la mia ora di corsa? O il dolce preferito di una bambina che conosco che sono le fragole con panna senza fragole. O un ponte grosso, imponente, che hanno costruito a Parma qualche anno fa, sul torrente Parma, appena fuori dalla città, che l’hanno inaugurato d’estate e ci han portato il direttore dell’Agenzia europea dell’Alimentazione, che era un inglese, e gliel’han fatto vedere e lui sembra che abbia detto «Bellissimo ponte, peccato che non avete il fiume».